A SCUOLA DI EMOZIONI A cura dell’insegnante Simona Grion Devo avvicinarmi ad ogni persona come a una realtà assolutamente unica e irripetibile (Maslow, Psicologia della scienza) Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (Pascal, Pensieri) PROGETTAZIONE DEL LABORATORIO DI EDUCAZIONE RELAZIONALE – EMOTIVA Disegni realizzati dai bambini di classe prima con l’insegnante di informatica Silvia Benedetti PREMESSA Ogni alunno porta nella scuola la sua storia, le sue emozioni, le conoscenze e l’intreccio di esperienze che costituiscono la sua identità: a scuola ha la possibilità non solo di scoprire altri compagni diversi da sé ma anche di consolidare la propria identità, di cogliere “le occasioni per capire se stesso, per prendere consapevolezza delle sue potenzialità e risorse”. E’ la scuola il luogo educativo in cui favorire “lo sviluppo delle capacità necessarie per imparare a leggere le proprie emozioni e a gestirle, per perseguire obiettivi non immediati.” Nel programma di alfabetizzazione emotiva proposto da Goleman ci sono cinque competenze emotive e sociali fondamentali che ciascun individuo deve acquisire e consolidare nell’arco di tutta la vita: Consapevolezza di sé (conoscere sempre i propri sentimenti) Autocontrollo (saper gestire le proprie emozioni) Motivazione (saper spronarsi per raggiungere gli obiettivi prefissati) Empatia (percepire i sentimenti altrui e il punto di vista dell’altro) Abilità sociali (gestire le emozioni nelle relazioni e leggere le situazioni sociali). Per garantire ad un alunno il successo scolastico, nonché poi quello professionale, non è necessario che egli possegga pienamente tutte e cinque le aree/competenze: l’importante è avere dei punti di forza in alcune di esse e, comunque, bisogna pensare che è sempre possibile potenziarle. Sono convinta che nell’educazione emotiva non si possa dire “è troppo presto per iniziare” e penso che non ci si debba scoraggiare come insegnanti se i risultati sembrano non arrivare immediatamente: le skills life non sono subito verificabili e quantificabili con prove oggettive! Durante l’anno scolastico ho scelto di trattare solo alcuni aspetti del vasto percorso di alfabetizzazione emotiva, qui di seguito esplicitati. FINALITA’: promuovere la crescita dell’identità personale e relazionale, nonché avviare il controllo affettivo-emotivo attraverso la conoscenza dei propri sentimenti e delle proprie emozioni. OBIETTIVI GENERALI a lungo termine: Rendere consapevoli gli alunni delle variabili coinvolte nel processo di apprendimento (emozioni, autostima, motivazione, socializzazione) Incrementare l’empatia Esser consapevoli del fenomeno dell’aggressività Prevenire il disagio e promuovere l’agio scolastico OBIETTIVI SPECIFICI: Identificare e nominare le emozioni Riconoscere le proprie emozioni Saper esprimere le emozioni Costruire un vocabolario per le emozioni Conoscere e utilizzare semplici strategie per controllare paure, ansie, rabbia, tristezza Essere orgogliosi di se stessi Avviare al colloquio interno Saper ascoltare i propri bisogni e quelli altrui. MODALITA’ DIDATTICA PRIVILEGIATA: Per favorire l’operatività e allo stesso tempo il dialogo e la riflessione ho realizzato un percorso di tipo laboratoriale, in collaborazione anche con l’insegnante di inglese e di sostegno, nonché con la collega della classe parallela. Infatti, “ il laboratorio è una modalità di lavoro che incoraggia la sperimentazione e la progettualità, coinvolge gli alunni nel pensare-realizzarevalutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri”. Per affrontare il breve percorso sulle emozioni e per favorire negli alunni la riflessione sui sentimenti è stato scelto quale mediatore, Filo Rosso, la fiaba classica o altri “pretesti” narrativi, per ricreare le condizioni necessarie ad esprimere il proprio mondo interiore e collegare le emozioni ai comportamenti quotidiani: paure, gioie, rabbie, conflitti, sogni. Le storie infatti suscitano nei bambini facilmente interesse e motivazione; si prestano bene a veicolare messaggi educativi riguardanti il riconoscimento e il controllo delle emozioni; in esse emergono svariate emozioni nelle quali ogni alunno può riconoscere le proprie. Inoltre, la fiaba e le favole possono conferire unitarietà alla specificità del percorso e far emergere la trasversalità di questo tipo di approccio attraverso : l’educazione all’ascolto (per sviluppare le capacità di comprensione e di comunicazione), l’educazione linguistica (generare nuove conoscenze lessicali o contenutistiche attraverso un itinerario didattico vicino all’immaginario infantile), educazione relazionale-emotiva (“ l’emozione è essenzialmente relazione” scrive Galimberti e mediante la scoperta dei sentimenti dei protagonisti, ciascun bambino riconosce i propri, al fine di potenziare il pensiero positivo), educazione tecnologica per promuovere le abilità espressivo-creative e le capacità di risolvere situazioni problemiche, intendendo la tecnologia non come un mero mezzo, educazione all’immagine per sviluppare l’utilizzo creativo del colore nella rappresentazione grafica delle emozioni TEMPI: 1 ora alla settimana circa da febbraio a maggio 2008 (16 ore circa). Quando possibile, l’attività viene fatta in compresenza con l’insegnante di sostegno. MODALITA’ DI RAGGRUPPAMENTO DEGLI ALUNNI: gruppo classe e per piccoli gruppi. MATERIALI NECESSARI: fogli, cartoncino, colori, matite, riviste. ORGANIZZAZIONE DEGLI SPAZI: viene utilizzata l’aula; se possibile le sedie sono disposte a cerchio e i banchi uniti per il lavoro di gruppo. PROCEDURA Partendo dall’ipotesi che tutti i bambini, se stimolati, sono in grado di esprimere le loro emozioni e desiderano condividerle con i propri compagni, ho ritenuto che tale percorso possa giovare specialmente a quei bambini che hanno un disagio emotivo o ansie scolastiche. Sono partita dalla lettura espressiva di due fiabe classiche “Cappuccetto Rosso” e “Hansel e Gretel”, che tra l’altro hanno potuto veder rappresentate al teatro. Ho proposto, inoltre, la storia di un bambino che non faceva mai emergere le proprie emozioni, Uno scricciolo di nome Nonimporta o altri racconti brevi (La matita dimenticata, Anna è furiosa, La tartaruga) che sono serviti da punto di partenza per la riflessione. Ho previsto un momento di gruppo, disposti a cerchio, dedicato alla riflessione guidata, finalizzata inizialmente alla mera comprensione del testo (Quali sono i protagonisti? Dove si svolgono i fatti? Cosa fanno…?); in un secondo momento c’è stato il riconoscimento da parte dei bambini in alcuni personaggi delle fiabe delle emozioni attraverso l’uso di domande aperte, sollecitandoli spesso allo scambio delle loro esperienze relative all’emozione emersa. Ho utilizzato alcune tecniche per sollecitare la partecipazione e il confronto, acquisite durante un corso di aggiornamento “Insegnanti efficaci” (T. G), come l’attività di ascolto attivo in cui ho … …riformulato a specchio ciò che i bambini hanno detto per far sì che si spieghino meglio (“Allora tu dici che…”, “forse volevi dire che…”) rimesso in circolo certe affermazioni utili a far evolvere la discussione sulle emozioni individuate nella storia e riportate alla memoria (“Maria dice che Cappuccetto Rosso ha provato paura quando …” “Siete d’accordo? Hansel avrebbe potuto … che ne pensate?”); ho formulato ancora altre domande per andare più a fondo e cercare di far emergere analogie e differenze con le situazioni del proprio vissuto personale (“A Gretel capita che …ricordi qualcosa di simile che ti è accaduto?”). Solo in seguito ho proposto un’ attività di brainstorming attraverso la quale i bambini hanno realizzato una mappa dei sentimenti: si sono chiariti quali erano quelli considerati primari (rabbia, paura, felicità, tristezza) e poi sono state formulate delle domande volte a verificare se le emozioni si sentono solo nel “cuore” oppure si percepiscono anche nel corpo. Poi, una alla volta, in maniera più sistematica, sono state affrontate le quattro emozioni primarie, pensando di approfondire nei prossimi anni le emozioni secondarie più complesse e con maggiori implicazioni di tipo culturale. Durante l’ora di informatica la collega ha ripreso le riflessioni sulle emozioni dei bambini e li ha aiutati ad illustrarle al computer. Gli elaborati sono stati lasciati in bianco e nero e poi fatti colorare in classe con la tecnica preferita. Anche questa è stata un’occasione preziosa per imparare a lavorare in gruppo. Non è mancata la rappresentazione iconica delle scene relative ai sentimenti precedentemente individuati dai bambini, talvolta con la consegna di usare colori concordati e ritenuti quindi i più adatti a rappresentarli o il semplice disegno personale interpretativo dei vari personaggi delle storie. In particolare ho chiesto di disegnare una o più situazioni diverse in cui si sono trovati Cappuccetto Rosso, il lupo o i fratellini Hansel e Gretel, invitando poi i bambini a scrivere l’emozione provata dal personaggio in quel preciso momento. Ho trovato interessanti le seguenti proposte operative tratte dal già citato libro di Ulisse Mariani, che ho conosciuto due anni fa durante il corso di aggiornamento “La costruzione del benessere a scuola”, organizzato da questo Istituto, per altro decisamente attento a simili tematiche. Il collage delle emozioni Obiettivo: sviluppare nei bambini la congruenza tra le emozioni e gli stimoli esterni. I bambini, divisi in quattro gruppi, ritagliano da riviste facce, situazioni, personaggi o altro relativi all’emozione prescelta (felicità, tristezza, rabbia e paura). Il cartellino delle emozioni. Obiettivo: favorire lo sviluppo dell’empatia (“Io sento che tu senti ciò che io sento”). Ho preparato 4 cartellini per ogni bambino della classe; su ogni cartellino è rappresentata la faccia di un bambino da loro stessi colorata con le varie espressioni relative alle seguenti emozioni: gioia, paura, tristezza e rabbia. Una volta verificato che tutti sono in grado di decodificare i vari volti e il sentimento corrispondente, li ho invitati a scegliere il cartellino che mostra il proprio stato d’animo di quel preciso momento. Considerata l’età ho deciso di dedicare un momento preciso della settimana a questa attività solamente orale, in cui chiedevo di esprimere la propria emozione a voce alta per verbalizzarla a tutto il gruppo. Il prossimo anno utilizzerò ancora i cartellini e farò scrivere ai bambini il proprio sentimento e, se possibile, la motivazione (Come ti senti oggi? Sai dire perché ti senti così?). E’ importante che le domande non siano di stampo investigativo o moraleggiante. Nel secondo biennio della primaria si può proporre l’ “Appello delle emozioni” , noto soprattutto nella scuola secondaria di primo grado, in cui gli alunni, anziché rispondere “presente”, esprimono con un numero da 1 a 10 il loro stato d’animo corrispondente ad un certo momento; valori bassi indicano uno stato d’animo negativo e i valori alti indicano benessere. Il gioco del mimo. Obiettivo: rendere i bambini consapevoli della percezione dei movimenti mimici (in particolare il movimento volontario dei muscoli facciali). Un bambino mima l’espressione corrispondente ad una certa emozione e il gruppo classe cerca di indovinare qual è; poi insieme si valuta quale espressione è stata mimata meglio e quale è risultata più difficile. I momenti in cui sto veramente bene (autostima). Obiettivo: far riflettere i bambini sulle situazioni che suscitano benessere in classe e nei contesti extrascolastici. Sono partita dalla verbalizzazione di alcune situazioni in cui i bambini si sono sentiti veramente bene. In seguito hanno disegnato tali momenti. Infine ho provato a far loro generalizzare le situazioni che provocano serenità per riflettere sui fattori essenziali che ci devono essere per stare bene. Il gioco della tartaruga. Obiettivo: controllare i momenti di rabbia e avviare al dialogo interno. Dopo aver letto la storia, si fa “drammatizzare” la vicenda ai bambini secondo i diversi punti di vista (tartaruga vecchia e saggia, insegnante, tartarughina arrabbiata). Il racconto, tratto da un programma americano (PATHS) per promuovere il pensiero alternativo, insegna come diventare consapevoli delle proprie emozioni, attraverso l’uso del corpo: fare la tartaruga in questo caso significa incrociare le mani sul petto, fermarsi e non colpire nessuno nel momento di rabbia. Mentre il bambino si calma, si può iniziare ad insegnargli la tecnica del “dialogo interno”, cioè il parlare con se stessi, per calmarsi e controllare il proprio comportamento aggressivo, sostituito appunto dal linguaggio. Infine, nell’ambito delle proposte operative riguardanti la capacità di cogliere i momenti di serenità e benessere (Felicità) da parte dei bambini, ho proposto un’attività (”Se fossi…sarei …”), in cui gli alunni immaginano di essere un animale, un albero, un colore e una cartone animato. Devono riflettere sulle loro qualità, per poi rappresentare tali “simboli” con il disegno. ATTEGGIAMENTO DELL’INSEGNANTE Durante le varie attività ho assunto il ruolo di “facilitatore” e dopo aver letto la storia o predisposto un’attività tale da presupporre una riflessione sulle proprie esperienze, ne ho mediato i significati e ho cercato di favorirne la condivisione; in particolare non sono intervenuta in modo repressivo verso chi ha fatto fatica ad esprimere il proprio vissuto o verso chi proprio non è riuscito a “tirar fuori” le proprie emozioni. Ciò purtroppo è successo proprio con quei bambini che maggiormente esprimevano un disagio relazionale. A volte è stato difficoltoso contenere i comportamenti esuberanti di alcuni alunni che involontariamente inibivano i compagni con maggior difficoltà ad esprimersi. In generale, in tutto l’arco dell’anno scolastico, ho cercato di applicare gli spunti teorici della già citata Psicologia Umanistica e, nella fattispecie, le seguenti tecniche del Metodo Gordon: Ascolto Attivo, Messaggio in Prima Persona e il Metodo III per la risoluzione dei conflitti senza perdenti né vincitori. Non mi è stato sempre facile, soprattutto nei momenti in cui era più complicato gestire la classe dal punto di vista del rispetto delle regole della convivenza o quando bisognava cercare la soluzione alle piccole liti dei bambini, commettendo talvolta l’errore di incappare in una o più delle dodici “barriere” della comunicazione. VERIFICA/VALUTAZIONE: - osservazioni delle abilità degli alunni nei momenti di ascolto, discussione e confronto delle esperienze - rilevazione del gradimento spontaneo dei bambini - raccolta dei materiali dei bambini - osservazioni conclusive da parte dell’insegnante sul percorso svolto. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULL’ ATTIVITA’ PROPOSTA Gli elaborati dei bambini sono stati raccolti in una cartellina per realizzare un semplice libricino che rappresenta il percorso personale di ciascun alunno. Non ho ritenuto rilevante riportare in calce un solo prodotto finale: osservando i materiali dei bambini non avrei saputo quale inserire, proprio per la peculiarità di ciascuno (ognuno ha rappresentato la felicità, la tristezza, la rabbia o la paura nella sua situazione personale, che in quanto tale è diversa da tutte le altre ) . Quale dei ventidue libricini avrei dovuto scegliere? Ogni lavoro è unico ed irripetibile come la persona che lo ha realizzato! Inoltre, in questo contesto non ho valutato il colore usato per esprimere le emozioni né la qualità delle rappresentazioni iconiche. Sarebbe stato certamente interessante fare una valutazione di tipo psicologico sui loro disegni, sulle scelte dei colori, sull’occupazione dello spazio grafico, ecc. ma ritengo di non possedere adeguate conoscenze in proposito. Per i bambini non è stato sempre semplice trovare le parole per esprimere le emozioni e per questo sono stati utilizzati anche altri canali espressivi, soprattutto per quei bambini che evidenziavano un certo grado di disagio affettivo-relazionale. In particolare, il percorso proposto mi è sembrato poco proficuo per un bambino che ha avuto difficoltà ad esprimere i propri vissuti sia attraverso il disegno e la drammatizzazione, sia attraverso il linguaggio verbale. L’alunno, infatti, seguito dall’Equipe, manifesta carenze di tipo affettivorelazionale, nonché difficoltà nell’area linguistica. Durante la preparazione dello spettacolo (musical) di fine anno, ho notato una sua partecipazione maggiormente attiva : il canale sonoro potrebbe esser più adatto al suo stile di apprendimento. Il percorso laboratoriale è partito dalla mia lettura espressiva delle due fiabe che avevano anche potuto veder rappresentate a teatro sia pure in chiave moderna. Mentre la storia di Cappuccetto Rosso era nota a tutti, quella di Hansel e Gretel è stata per molti una piacevole novità. Come già detto precedentemente, ci siamo disposti a cerchio in fondo all’aula, seduti a terra, poiché le aule non sono sufficientemente ampie per disporre le sedie senza togliere i banchi. Ciò ha inizialmente creato un po’ di confusione, ma poi è diventata un’abitudine per il momento della lettura da parte dell’insegnante. Dopo aver risposto alle mie semplici domande finalizzate alla comprensione del testo letto, i bambini hanno “tirato fuori” (e-moveo) senza troppe difficoltà le emozioni provate dai personaggi e che loro stessi già conoscevano: rabbia, paura, felicità. Pertanto ho ritenuto di non fornire alcuna definizione di emozione. Sono rimasta piacevolmente colpita dalla facilità con cui la maggioranza degli alunni ha saputo cogliere i molteplici sentimenti provati dallo stesso personaggio nelle diverse situazioni. Trasferendoli poi nel proprio vissuto, si sono resi immediatamente consapevoli del fatto che in ogni persona sono presenti molte emozioni e che tutte sono egualmente degne di considerazione. L’attività rappresenta un buon allenamento per sviluppare le abilità empatiche, ma favorisce anche la capacità di considerare le situazioni da diversi punti di vista. Considerato il fatto che a questa età il pensiero infantile concreto è ancora caratterizzato dall’egocentrismo, devo dire che le loro considerazioni sono state interessanti e “mature”. I disegni sono stati abbastanza efficaci, nonostante sia emersa una scarsa motivazione per il momento della coloritura. Ho trovato molto interessante la storia Uno scricciolo di nome Nonimporta, che fa parte della collana Erikson “Aiutare i bambini”. L’ autrice è una psicoterapeuta /insegnante che si occupa di educazione affettiva a Londra. Personalmente ho trovato poco gradevoli le illustrazioni, ma i bambini hanno ascoltato con particolare attenzione la vicenda di un bambino che non riusciva mai ad esprimere i propri stati d’animo e preferiva sempre dire “non mi importa”, “non fa’ niente”, mentre in realtà soffriva molto. Ho chiesto ai bambini di disegnare il personaggio nel quale si identificavano : pochissimi hanno scelto il bambino “Nonimporta”, molti hanno preferito rappresentare il momento in cui assume un atteggiamento assertivo (Bambino Mi Importa). Due alunni si sono identificati in “Picchioforte”: se per un bambino con difficoltà di autocontrollo, tale scelta m’è sembrata una conferma, la bambina invece mi ha stupito; mi chiedo se in lei non ci sia qualche forma di aggressività repressa o se Picchioforte, il bullo violento della storia, non rappresenti un modello da ammirare! Solo a questo punto ho proposto una sorta di brainstorming partendo dalla parola emozione/sentimento e chiedendo di citare tutti gli stati d’animo di cui avevano sentito parlare : dal lungo elenco abbiamo scelto quelli che ci sembravano più frequenti o esemplificativi; infine hanno realizzato una mappa dei sentimenti in cui il cuore è stato scelto come simbolo: Si è stabilito insieme quali emozioni potevano essere considerate primarie: rabbia, paura, felicità, tristezza. EMOZIONI… Abbiamo realizzato un cartellone con le parole delle emozioni in italiano e in inglese, poiché anche l’insegnante di lingua straniera ha collaborato chiedendo ai bambini il loro stato d’animo e facendolo chiedere a loro volta ai compagni. In un altro momento sono state formulate delle domande per capire se le emozioni si sentono solo con il “cuore” o se le percepiamo con tutto il nostro corpo. E’ emerso prevedibilmente che le emozioni si possono vedere esteriormente (nel volto) o sentire dentro di noi in qualche parte interna del corpo (dentro la testa, nella pancia, nelle braccia o nelle gambe). Ci siamo allora soffermati ad analizzare la mimica facciale utilizzando il “gioco del mimo”. Tutti gli alunni si sono molto divertiti ad indovinare nel volto dei compagni l’emozione mimata, ma per alcuni è stato difficile riprodurre l’espressione precisa. Ho suggerito di pensare a un evento in cui avevano provato quella emozione. Non sempre ha funzionato, tuttavia l’obiettivo di rendere gli alunni consapevoli del movimento volontario dei muscoli facciali e della relativa importanza di saper “leggerli” negli altri, credo sia stato raggiunto anche attraverso l’uso di una scheda in cui si dovevano completare i volti . Ho affrontato le quattro emozioni primarie partendo da quella che sicuramente è emersa essere come la più “gettonata”: la paura. LA PAURA Il loro libro di lettura offriva qualche semplice brano relativo alle paure, una filastrocca e alcuni spunti per affrontarle in modo un po’ magico e scherzoso. Ho chiesto ad ogni bambino di dire di che cosa avesse paura e poi le abbiamo condivise creando un cartellone murale. Visualizzarle è stato un modo per esorcizzarle, utilizzando anche delle simpatiche filastrocche scaccia-paure . Tranne un bambino che detto di non aver paura di niente, tutti gli altri avevano molto da dire. La maggioranza dei bambini ha paure di tipo reale (paura di essere investito dall’auto, di ferirsi, di perdersi per strada o nei supermercati) e racconta di immagini terrificanti che forse attraversano l’immaginario infantile a causa della televisione (ladri, assassini, rapitori che entrano nelle case, guerre, esplosioni, ecc.); una minoranza ha detto di aver paura dei fantasmi, dei mostri e del classico buio! E’ un dato su cui riflettere: evidentemente le paure relative alla famiglia e alla scuola, simbolizzate dagli animali feroci, dalle streghe e dai mostri sono in ribasso! I bambini non temono più di essere puniti dai genitori o dalle insegnanti per quello che fanno o potrebbero fare. Sicuramente ci sono alcune paure reali dovute alle raccomandazioni dei grandi, che spaventati dalla attuale società trasmettono le loro angosce ai figli, provocando in loro una diffidenza e una paura aprioristica verso tutte le persone sconosciute Ho paura di essere investito da un auto… Gabriele Ho paura di ferirmi Alice Ho paura dei ladri Gaia B., Maria Ho paura dei fantasmi, ma anche di andare in prigione se non mi comporto bene o di essere mandata via da casa… Giada Ho paura dei lupi e dei ladri Veronica Ho paura del buio Agata, Matteo Non ho paura di niente Jonathan Ho paura di essere uccisa Angela, Elisabetta Ho paura del temporale o della pioggia forte forte Federica, Irene, Anna Maria Ho paura degli incubi di notte Gaia F. Ho paura di perdermi Filippo, Mattia, Sofia Ho paura della morte in generale o che i ladri mi uccidano Alex, Riccardo B.., Riccardo C. Ho paura di stare a casa da sola senza la mamma Laura Interessante è stato notare che alcuni bambini hanno già attivato delle strategie per difendersi dalle paure: chi ricorrendo al pensiero magico tipico dell’età (consolarsi tra le braccia del peluche preferito, stare sotto le coperte, guardare al proprio “Gormito” come all’eroe che ti salva …), chi razionalizzando l’emozione e pensando a qualcosa di positivo, utilizzando spontaneamente il dialogo interiore (“Non devo scoraggiarmi, basta cercare il genitore nel supermercato o andare alle casse”, “penso che domani farò qualcosa di bello, penso a quel che mi piace e così la paura del buio se ne va”). Infine, è stato chiesto ai genitori se avessero anche loro paura ed eventualmente di che cosa (vedi scheda sulle paure dei genitori). Le famiglie si sono mostrate abbastanza collaborative, rispondendo puntualmente. I bambini hanno così potuto constatare che anche gli adulti provano paura e non bisogna averne vergogna. Per alcuni momenti ritenuti da me più significativi è stato prodotto una specie di diario di bordo, in cui ho riportato semplicemente le frasi più interessanti dei bambini. Gli alunni hanno compreso che la paura è solitamente un’emozione spiacevole, ma che, come tutte le altre, va’ riconosciuta e accettata, poiché entro un certo limite è necessaria alla “sopravvivenza”! Esser a casa da soli Montagne russe Le paure dei genitori Serpenti, ragni, topi …o altri animali pericolosi Malattie Morte Futuro dei propri figli Ladri Ignoranza della gente A volte la paura può associarsi alla rabbia. E’ un’emozione che la maggior parte dei bambini ha detto di provare quando “si gioca assieme e poi ti lasciano da solo a riordinare” o quando scoppia la lite tra fratelli, quando “un giochino viene preso dai compagni e poi gettato via!”, “quando un bambino più grande ti fa i dispetti”. In sostanza la rabbia è un sentimento che hanno provato di fronte a quelle che loro reputano ingiustizie oppure verso le persone cui si è più legati e che ti hanno deluso . Come nel caso della paura, anche per la rabbia non hanno avuto difficoltà a percepirne la potenza a livello fisico; nella sagoma dell’uomo hanno indicato i punti in cui maggiormente sentono la rabbia: testa, volto, piedi, mani, a differenza degli adulti che quando si arrabbiano hanno l’emicrania o soprattutto mal di stomaco! Infine, hanno saputo anche cogliere le varie sfumature del sentimento sia a livello di potenza emotiva, sia a livello lessicale, cominciando così ad ampliare il loro vocabolario sulle emozioni. Per introdurre una questione importante come la gestione della rabbia, ho letto la storia La tartaruga e la rabbia e Anna è furiosa di Cristine Nöstlinger. Hanno almeno intuito che è possibile l’autocontrollo attraverso: l’utilizzo del linguaggio e in particolare del “dialogo interno”, posso calmarmi, anziché “sbattere porte, tirare calci o lanciare oggetti”. Non mi pare semplice interiorizzare in poco tempo questo tipo di strategia di contenimento della rabbia; tuttavia credo valga la pena percorrere questa strada. Per alcuni bambini, infatti, la reazione fisica immediata è l’unico modalità che conoscono per esprimere la rabbia: ciò accade soprattutto nei maschi, per i quali la forza fisica è considerata un valore culturalmente importante. Inoltre, spesso sono le stesse famiglie che, se da una parte parlano di tolleranza e rispetto, dall’altra consigliano ai propri figli di difendersi alzando le mani! Naturalmente non vanno trascurate le forme di aggressività verbali, che riguardano specialmente il bullismo femminile. All’interno del gruppo-classe non emergono casi particolarmente preoccupanti, per cui la rabbia si trasforma in collera o ira. Di ciò ho avuto conferma presentando loro la possibilità di “scrivere una parola che vorrei dire quando sono molto arrabbiato” e poi di cancellarla subito. Non si tratta ovviamente di verificare l’uso o meno della parolaccia, ma di osservare il tratto grafico e il tipo di cancellatura: nessuno ha bucato o strappato il foglio! Infine, alcune bambine hanno detto che più che arrabbiate, si sentono a volte solo infastidite dal compagno dispettoso. LA RABBIA Per quel che riguarda la tristezza devo dire di esser rimasta meravigliata dalle loro risposte. La tristezza mi sembrava l’emozione più difficile da riconoscere e da definire, data l’età dei bambini e il loro esser ancora vincolati al pensiero concreto. Mi aspettavo che venissero evocati episodi banali, legati a situazioni di scarso valore, pur se degni di rispetto. Sono partita subito dalla storiella della matita dimenticata: il racconto è molto semplice e nessuno ha avuto difficoltà a coglierne le informazioni essenziali. Poi, attraverso la rappresentazione iconica e una breve frase, hanno raccontato una situazione personale in cui si sono sentiti tristi. Nell’ascoltare le loro esperienze prima e vedendo gli elaborati poi, ho dovuto ricredermi: hanno colto con precisione il nucleo essenziale di tale emozione (alla cui base c’è un certo grado di rassegnazione per ciò che è avvenuto, più che la spinta all’azione), ricollegabile alle paure fondamentali dell’uomo. Nelle loro risposte è emerso il senso di abbandono o di perdita che implica il sentirsi esclusi, trascurati (“sono triste quando non mi fanno giocare”) e che può essere presunta o reale; hanno dimostrato di aver già vissuto situazioni emotivamente importanti riguardanti le dinamiche familiari: “quando faccio male i compiti e la mamma mi da gli schiaffi”, la morte di una persona cara (il nonno anziano o un papà molto giovane), dell’animale al quale il bambino era molto affezionato (“mi sono sentito triste quando i miei gattini sono morti”, “quando il cane è stato investito davanti casa”, “quando il pesce rosso è morto”). Alcuni, ancora, hanno saputo cogliere nella tristezza un senso di delusione e tradimento (“la mia amica non è più mia amica”, “ha fatto promesse che non ha mantenuto”, “ha rivelato segreti”). Altri, infine, esprimono la loro tristezza semplicemente per la privazione momentanea di un videogioco o della televisione (“quando i genitori mi sequestrano la play o il Ds”, quando la mamma non mi fa vedere alla TV il mio programma”). Per parlare di gioia, serenità e felicità sono partita da alcuni brevi brani tratti dal libro di lettura e, come al solito, ho chiesto ai bambini di illustrare i momenti in cui si sentono felici. Non avendo voluto aggiungere altro, le risposte e i disegni hanno riguardato quasi esclusivamente le situazioni extrascolastiche. “Stare bene” significa sostanzialmente passare del tempo con la famiglia: giocare con il papà, farsi coccolare dalla mamma, andare assieme al mare. Significa anche fare qualcosa di piacevole come, ad esempio, praticare uno sport, andare sull’altalena, giocare con gli amici o con il videogioco. In un secondo momento ho spostato la loro attenzione verso il mondo della scuola e ho chiesto di ricercare in essa delle situazioni gradevoli, che provocano ben-essere. I bambini hanno saputo fare delle buone osservazioni, riuscendo a far emergere i fattori indispensabili al raggiungimento dello “stare bene assieme a scuola”: Saper ascoltare Saper stare in silenzio Aiutarsi reciprocamente Giocare con tutti Volersi bene, cioè non litigare o picchiarsi Salutarsi Ringraziare. LA FELICITA’ Infine, si sono divertiti a pensare a come si sentono quando sono felici, utilizzando semplici immagini o metafore. Come attività conclusiva sulle quattro emozioni ho proposto “Il collage delle emozioni”. E’ stato interessante notare le dinamiche relazionali all’interno dei gruppi e i loro commenti durante l’attività: lavorare in gruppo non è semplice, piuttosto caotico in alcuni momenti, dati anche gli spazi ristretti dell’aula; ritengo sia comunque importante dedicarvi del tempo, nonostante le iniziali difficoltà. L’attività, oltre a favorire la congruenza tra l’emozione proposta e gli stimoli esterni, costituiti in questo caso da immagini tratte da riviste, ha avuto lo scopo di implementare la creatività degli alunni, in quanto essi dovevano cercare immagini-simbolo che non fossero solo i classici volti(vedi scheda). Il prossimo anno intendo avviare un lavoro indirizzato alla formazione dell’autostima, ma gia quest’ anno ho proposto come attività conclusiva il gioco “Se fossi … sarei …”. L’obiettivo è di esprimere se stessi attraverso l’uso di simboli: ho chiesto ai bambini di far finta di trasformarsi in un animale, un albero, un colore e un cartone animato che rispecchi un aspetto del carattere, possibilmente un punto di forza. Tutti hanno saputo motivare le scelte fatte, prendendo coscienza delle proprie qualità e comunicandole agli altri. Nei prossimi anni mi piacerebbe continuare il percorso di alfabetizzazione emotiva, in collaborazione con la collega delle prima parallela, per approfondire alcuni aspetti e per prenderne in considerazione di nuovi. Sarà interessante, ad esempio, sviluppare il rapporto tra pensiero/emozione/comportamento, per cercare di favorire nei bambini una mente positiva in cui prevalgano atteggiamenti di ottimismo, tolleranza e cura di sé e degli altri, utilizzando possibilmente le tecniche del cooperative learning, proposte tra l’altro durante un corso di aggiornamento dalla psicologa dr. Madotta.