Ognuno è nato in un luogo
La linea di
confine
Linea di demarcazione e di
separazione
Contorno
Interfaccia tra due elementi
in comunicazione tra loro
Luogo di contatto e di
reciproco scambio tra ambiti
diversi
La differenza
Il confine segna la differenza
“… io una volta passando feci un segno in un
punto dello spazio, apposta per poterlo ritrovare
duecento milioni d’anni dopo, quando saremmo
ripassati di lì al prossimo giro. Un segno come?
… Avevo l’intenzione di fare un segno, questo sì,
ossia avevo l’intenzione di considerare segno una
qualsiasi cosa che mi venisse fatto di fare, quindi
avendo io, in quel punto dello spazio e non in un
altro, fatto qualcosa intendendo di fare un segno,
risultò che ci avevo fatto un segno davvero.”
I. Calvino, da Le cosmicomiche ‘Un segno nello spazio’
Mirò blu III
La differenza
La percezione opera solo sulla differenza. Ricevere informazioni vuol
dire sempre e necessariamente ricevere notizie di differenza, e la
percezione della differenza è sempre limitata da una soglia. Le
differenze troppo lievi o presentate troppo lentamente non sono
percettibili: non offrono alimento alla percezione.
Per produrre notizia di una differenza, cioè informazione, occorrono
due entità (reali o immaginarie) tali che la differenza tra di esse possa
essere immanente alla loro relazione reciproca…Vi è un problema
profondo e insolubile a proposito della natura di quelle ‘almeno due’
cose che tra loro generano la differenza che diventa informazione
creando una differenza. E’ chiaro che ciascuna di esse, da sola, è per la
mente e la percezione- una non-entità, un non-essere. Non è diversa
dall’essere e non è diversa dal non-essere : è un in conoscibile, una
Ding an sich, il suono di una mano sola.
Gregory Bateson
Un segno nello spazio
Situato nella zona esterna della Via Lattea, il Sole impiega circa 200 milioni d' anni a compiere una rivoluzione completa della
Galassia,
Esatto, quel tempo là ci si impiega, mica meno, -disse Qfwfq, -io una volta passando feci un segno in un punto dello
spazio, apposta per poterlo ritrovare duecento milioni d'anni dopo, quando saremmo ripassati di li al prossimo giro. Un
segno come? È’ difficile da dire perché se vi si dice segno voi pensate subito a un qualcosa che si distingua da un
qualcosa, e li non c'era niente che si distinguesse da niente; voi pensate subito a un segno marcato con qualche arnese
oppure con le mani, che poi l’arnese o le mani si tolgono e il segno invece resta,, ma a quel tempo arnesi non ve n'erano
ancora, e nemmeno mani, o denti, o nasi, tutte cose che si ebbero poi in seguito, ma molto tempo dopo. La forma da dare
al segno, voi dite non è un problema perché, qualsiasi forma abbia, un segno basta serva da segno, cioè sia diverso
oppure uguale ad altri segni: anche qui voi fate presto a parlare, ma io a quell'epoca non avevo esempi a cui rifarmi per
dire lo faccio uguale o lo faccio diverso, cose da copiare non ce n'erano, e neppure una linea, retta o curva che fosse, si
sapeva cos'era, o un punto, o una sporgenza o rientranza. Avevo l'intenzione di fare un segno, questo si, ossia avevo
l'intenzione di considerare segno una qualsiasi cosa che mi venisse fatto di fare, quindi avendo io, in quel punto dello
spazio e non in un altro, fatto qualcosa intendendo di fare un segno, risultò che ci avevo fatto un segno davvero.
Insomma, per essere il primo segno che si faceva nell'universo, o almeno nel circuito della Via Lattea, devo dire che
venne molto bene. Visibile? Si, bravo, e chi ce li aveva gli occhi per vedere, a quei tempi là? Niente era mai stato visto da
niente, nemmeno si poneva la questione. Che fosse riconoscibile senza rischio di sbagliare, questo si: per via che tutti gli
altri punti dello spazio erano uguali e indistinguibili, e invece questo aveva il segno.
Cosi i pianeti proseguendo nel loro giro, e il Sistema solare nel suo, ben presto mi lasciai il segno alle spalle, separato da
campi interminabili di spazio. E già non potevo trattenermi dal pensare a quando sarei tornato a incontrarlo, e a come
l'avrei riconosciuto, e al piacere che mi avrebbe fatto, in quella distesa anonima, dopo centomila anni-luce percorsi senza
imbattermi in nulla che mi fosse familiare, nulla per centinaia di secoli, per migliaia di millenni, ritornare ed eccolo li al
suo posto, tal quale come l'avevo lasciato, nudo e crudo, ma con quell'impronta -diciamo -inconfondibile che gli avevo
data.
Lentamente la Via Lattea si voltava su di se con le sue frange di costellazioni e di pianeti e di nubi, e il Sole insieme al
resto, verso il bordo. In tutta quella giostra, solo il segno stava fermo, in un punto qualunque, al riparo da ogni orbita (per
farlo, m'ero sporto un po' dai margini della Galassia, in modo che restasse al largo e il rotolare di tutti quei mondi non gli
venisse addosso), in un punto qualunque che non era più qualunque dal momento che era l'unico punto
Italo Calvino, Le Cosmicomiche, Einaudi, Torino, 1980 p.39
Il suono di una sola mano
…Il maestro del tempio Kennin
era Mokurai, Tuono Silenzioso.
Aveva un piccolo protetto un
certo Toyo, un ragazzo appena
dodicenne. Toyo vedeva che i
discepoli più grandi andavano
ogni mattina e ogni sera nella
stanza del maestro per essere
istruiti nel Sanzen o per avere
privatamente qualche consiglio,
e che il maestro dava loro dei
Koan per fermare le divagazioni
della mente…
Linea di demarcazione e separazione
Il modello
Facciamo un esempio. L'iterazione che
prende un punto P del piano, ne calcola la
distanza dall'origine, ed elevandola al
quadrato ottiene il punto successivo, e così via
per un numero infinito di volte, conduce ad
una frontiera molto semplice, costituita dalla
circonferenza di raggio 1. Tutti i punti interni
alla circonferenza finiranno con il convergere
verso l'origine, tutti i punti esterni alla
circonferenza fuggono verso l'infinito, tutti i
punti sulla circonferenza rimarranno sulla
circonferenza. I punti sulla circonferenza
sono la frontiera tra due regioni che
presentano un comportamento dinamico
radicalmente diverso.
L'iterazione è il
procedimento
fondamentale che
permette di studiare,
con il computer,
l'evoluzione di un
modello matematico.
Il punto A precipita
nell'origine, il punto B
resta sempre dove si
trova, il punto C fugge
verso l'infinito. I punti
che precipitano
sull'origine sono
colorati in rosso. In blu
i punti della frontiera.
Luogo di
contatto e di
reciproco
scambio tra
ambiti
diversi
Riflettiamo ancora
sulla natura della costa
di un continente, che
possiamo definire
come la regione di
confine tra il mondo
acquatico e il mondo
delle terre emerse. In
questa regione non vi è
un dominatore
assoluto: ad ogni
livello di scala, la costa
mantiene questa sua
proprietà di zona di
confine.
L' autosomiglianza di scala
E' importante affrontare il problema del nome che viene dato a queste rappresentazioni. Esse
vengono chiamate frattali, dal latino fractus, che significa spezzato. In effetti, la prima cosa che ci
colpisce in queste immagini è la forma dei contorni, che appare estremamente frastagliata. Vi sono
anche, tuttavia, delle ampie zone uniformi. Quale è la ragione di tutto ciò?
E' come se, in alcune parti della figura, si fossero scontrati due partiti, uno che voleva usare un
colore, e un altro partito che voleva usarne uno diverso. E' un po' come quando il mare e la
terraferma si confrontano, ora vince l'uno ora l'altro, e il risultato di questa competizione è la costa
frastagliata, colma di insenature, apparentemente senza alcuna regolarità. A ben pensarci, tutta la
natura è impegnata in una grande lotta, intrapresa tra tutte le sue parti. Riflettiamo ancora sulla
natura della costa di un continente, che possiamo definire come la regione di confine tra il mondo
acquatico e il mondo delle terre emerse. In questa regione non vi è un dominatore assoluto: ad ogni
livello di scala, la costa mantiene questa sua proprietà di zona di confine. A seconda del gioco delle
correnti marine, dei fenomeni di erosione, e di tutti gli altri eventi che concorrono alla dinamica del
sistema mare-terraferma in un certo tratto di costa, questa può assumere, ad una certa scala
dimensionale, forme diverse : può essere frastagliata, oppure lineare. Tuttavia, ad una scala
dimensionale diversa, una costa molto frastagliata può apparire lineare, e, viceversa, una costa
lineare può mostrare un numero insospettato di insenature e sporgenze. Ad ogni livello di scala la
situazione può cambiare, e magari possiamo scoprire che un determinato motivo, ad esempio un
golfo di forma semicircolare, compare e scompare in funzione della scala di rappresentazione
adottata.
Da: Fiorello Fraioli , presidente della associazione ALINET http://www.tin.it/sbdi/46/kaos.htm
La biosfera[1]
La biosfera è un sistema di confine, caratterizzata, al suo interno, dalla stretta interconnessione di
tutti gli organismi viventi, legati da uno scambio continuo che si attua attraverso la respirazione, la
nutrizione, i processi che si sviluppano a livello subatomico. Se questo scambio si interrompe, la
vita non può continuare a sussistere e viene a mancare. Si può quindi affermare non tanto che la
vita si nutra di questa interazione e di questo interscambio, quanto che si identifichi
sostanzialmente con essi.
…Come i sistemi viventi, anche la biosfera è circoscritta rispetto al contesto in cui è immersa: solo
che la linea di confine non è qualcosa di assolutamente invalicabile, ma una somma di filtri
attraverso i quali bisogna passare per penetrare all’interno di essa e che provvedono
all’adattamento alla biosfera medesima di tutto ciò che proviene dal di fuori. Il confine è pertanto il
luogo del contatto specifico tra interno ed esterno, un meccanismo di cuscinetto a due facce, una
rivolta verso l’organizzazione intrinseca del sistema, l’altra verso l’ambiente, che proprio perché si
presenta così può mettere in comunicazione reciproca ambiti che tuttavia restano separati nella
loro specifica determinazione. Esso è quindi sia elemento di separazione (linea di demarcazione),
sia tratto di unione di sfere diverse.
Le[2] differenze culturali non rappresentano modi diversi di trattare la stessa realtà oggettiva , ma
domini cognitivi legittimamente differenti: Uomini diversi culturalmente vivono in realtà cognitive
diverse che sono ricorsivamente specificate attraverso il loro vivere in esse
[1] Silvano Tagliagambe,Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano 1997 p.110
[2] H. R. Maturana, Cognitive strategies, in E Morin, M. Piattelli Palmarini (a cura di) L’unité de l’homme, Seuil, Parigi,
1974, p.464
Su una grande carta di Europa,
una costa viene rappresentata con
una linea arrotondata. Prendendo
però carte di scala via via minore,
ci si accorge che quella che era
una curva regolare sulla prima
carta diventa una curva con un
numero crescente di zig zag.
Le curve frattali
Le curve frattali
A[1] un primo livello si collocano le curve lisce. Prendiamo per esempio un cerchio: visto globalmente è appunto
un cerchio, ma più ci si avvicina più lo si vede dritto, ed è per questo che il cerchio è localmente una linea retta. Il
cerchio ha infatti una tangente in ogni suo punto, e se lo guardo molto da vicino, mi appare come una curva
estremamente semplice: si riduce pressoché a una retta. Analogamente, una sfera vista da lontano è proprio una
sfera, ma se ci si avvicina sempre di più, quello che si vede è qualcosa che assomiglia sempre più a un piano: per
questo l’uomo ha creduto a lungo che la Terra fosse piatta. Essa è quasi perfettamente piatta da un punto di vista
locale Questo è il livello più semplice, quello delle curve classiche ed elementari.
Invece le curve frattali «classiche» sono curve nelle quali la complicazione non cambia molto quando ci si avvicina:
esse appaiono complicate da lontano e se ci si avvicina la complicazione può cambiare, ma non radicalmente:
possono diventare un po' meno o un po' più complicate, ma restano complessivamente la stessa cosa. C’è così
un’invarianza della forma rispetto alla distanza e questa forma è sempre egualmente complicata, interessante. In tali
casi si ha, infine una dimensione (che per le curve su un piano è compresa tra uno e due) che resta la stessa quando
ci si avvicina ( e viene dunque misurata da quel numero):
Ma, ancora, esistono curve ben più complicate, come per esempio quella che è conosciuta come 1 'insieme detto di
Mandelbrot. Questo è un insieme che ho scoperto io qualche anno fa e al quale ho avuto l'onore di dare il mio
nome. Presenta due aspetti veramente sorprendenti. Innanzitutto, quando si guarda sempre più da vicino, si
riconosce in alcuni particolari ciò che si vedeva globalmente. Ma c'è anche un aumento costante della
complicazione: quando si guarda questa curva più da vicino si scopre che alcuni bracci di filamenti sempre più
complessi ne escono, mentre altri ne entrano, qui come
una sorta di vortici, lì come un groviglio. E più ci si avvicina, più questi filamenti diventano complessi. È quindi un
esempio di curva la cui complessità aumenta senza limiti quando la si guarda in modo sempre più preciso. Questo
insieme ha una complicazione fortissima, perché si ritrova nei dettagli ciò che si scorge nel tutto, ma trovando in
più delle strutture nuove, inattese.
[1] [1] Benoit B. Mandelbrot, La geometria della natura, Teoria 1989, Roma – Napoli p.24
L'evoluzione della
matematica che ci porta ad
asserire che una curva non
liscia è mostruosa, che, per
esempio, la curva di Peano è
mostruosa, si è lasciata
interamente influenzare da
un mito che essa stessa ha
creato. Questo mito è stato
demolito nel momento
stesso in cui si è potuto
impiegare il computer per
tracciare queste curve e ci si
è accorti che esse sono
spesso rassomiglianti alla
natura che ci circonda e
sono anche molto belle.
I frattali
I frattali
Quando[1] ho cominciato le mie ricerche, la maggior parte dei matematici pensava che. le curve irregolari fossero appunto curve
patologiche, e questa è ancora l'idea pressoché dominante. Quei matematici che invece sostenevano che le curve più frequenti sono
irregolari erano abbastanza rari. Insomma, essi sostenevano un punto di vista che pareva estremamente astratto sotto il profilo della
pratica matematica.
Nella mia ricerca ho cercato invece di mantenermi vicino a esperienze concrete, come il problema di definire la tangente a un punto
di una costa. Se si prende, per esempio, la costa della Bretagna su una grande carta d'Europa, la costa si arrotonda, è una specie di
grande penisola che va verso ovest; in questo caso si può definire una tangente alla curva liscia che è tracciata sulla carta. Ma se ci si
avvicina, , se si prende una carta più precisa, ci si accorge che quella che era una curva regolare sulla prima carta diviene ora una
curva con molti zig-zag. Se si guarda da vicino uno di questi zig-zag con una carta ancor più dettagliata ci si accorge che diventano
ancora più fitti. Se si cerca dunque di rappresentare con una curva matematica una cosa del tutto naturale, come la costa della
Bretagna, si ha bisogno di una curva via via più irregolare, una curva che sempre meno si può ridurre a una curva semplice, liscia
come lo è una linea retta.
Quest'esperienza è a livello quasi infantile: anche un bambino vi dirà che se guarda un oggetto sempre più da vicino, come una pietra
frantumata~ vedrà i dettagli sempre meglio e vedrà particolari nuovi man mano che si avvicina. Quel che è sorprendente è che i
matematici se ne sono dimenticati. Essi guardano nella direzione opposta. È insomma para- dossale che la matematica, sviluppatasi in
origine dall'esigenza di descrivere la realtà e col desiderio di rappresentare le forme delle cose attorno a noi, abbia finito col generare
dei matematici lontani-dal reale al punto da essere completamente succubi del- la loro mitologia, al punto cioè da considera la
continuità degli oggetti della geometria dì Euclide come cosa data apriori , al punto da ritenere data a priori la continuItà delle curve
nel calcolo infinitesimale,il che non è-affatto scontato. Si tratta semplicemente di approssimazioni, di rappresentazioni della realtà,
che, come tali, sono soggette a revisione.
Quando si rappresenta un fenomeno reale si fa un modello, poi lo si corregge ancora, lo si migliora costantemente, ma il modello in
se stesso non va mai confuso con la cosa reale, la realtà è sempre più complicata del modello.
L'evoluzione della matematica che ci porta ad asserire che una curva non liscia è mostruosa, che, per esempio, la curva di Peano è
mostruosa, si è lasciata interamente influenzare da un mito che essa stessa ha creato. Questo mito è stato demolito nel momento
stesso in cui si è potuto impiegare il computer per tracciare queste curve e ci si è accorti che esse sono spesso rassomiglianti alla
natura che ci circonda e sono anche molto belle.
[1] Benoit B. Mandelbrot, La geometria della natura, Teoria 1989, Roma – Napoli p.16
Interfaccia tra due elementi in comunicazione tra loro:
Analogico/digitale,
Osservatore/
osservato
Da una lingua ad
un’altra
Da una cultura ad
un’altra
Dalla realtà al sogno
Da un secolo ad un
altro
….
Digitale e analogico
Contare (digitale) e misurare (analogico)
non hanno lo stesso statuto epistemologico:
Si possono contare esattamente sei
bicchieri, non si può misurare esattamente
un litro di vino; perciò è sempre necessario
nella misura scegliere il livello di
approssimazione.
I numeri sono il risultato del contare, le
quantità il risultato del misurare.
I numeri possono essere precisi, la quantità
è sempre approssimata.
Il discorso da fare sulle parole intraducibili da una lingua all’altra sarebbe lungo.
Per esempio, prendete la parola “leadership” e “leader”. In italiano abbiamo
“comandare”, “dirigere”, “capo”, “dirigente”. Ma un “capo” si legittima in quanto i
seguaci o dirigenti eseguono i suoi ordini, invece un leader si legittima in quanto è
stato scelto liberamente e potrebbe non essere più leader quando coloro che ne
seguono le direttive cambiassero idea. C’è dunque una differenza fondamentale tra
i tipi di esperienze alle quali queste due parole “capo” e “”leader” si riferiscono. In
inglese ci sono anche delle parole per indicare uno che comanda: “head”,
“commander”, “principal”. Se in italiano non abbiamo sentito l’esigenza di coniare
una parola corrispondente all’esperienza di leadership questo vuol dire che nella
nostra tradizione e cultura l’esperienza di “scegliersi” un capo (specie con la
possibilità di cambiarlo quando non siamo più d’accordo) è considerata marginale,
mentre l’esperienza di comandare nel senso di farsi ubbidire è molto
importante…L’idea che il potere non è qualcosa che si prende e si tiene, ma che ci
è “dato” dagli altri e che si può perdere senza grandi traumi è tipica della
democrazia. Ma mentre in Inghilterra fin dai tempi del feudalesimo si è instaurata
la tradizione del “Primus inter Pares” ratificata dalla Magna Charta e questa prassi
e mentalità sono divenute simbolo della cultura nazionale, da noi non è stato così.
E di questo ancora risente la nostra lingua, la nostra esperienza e il nostro
immaginario collettivo.
I due misteri
...Tra le parole e le cose regna una frattura variabile
e misteriosa analoga alla frattura altrettanto variabile
e misteriosa che separa le immagini dalle cose...
Magritte
I due misteri
Concentrandosi sul quadro interno si riceve il messaggio che c’è differenza tra pipe e simboli
di pipa.
Quindi lo sguardo si sposta verso l’alto, verso la pipa “reale” che galleggia nell’aria; se ne
percepisce la realtà, mentre l’altra è solo un simbolo, Ma ciò naturalmente, è del tutto
sbagliato: entrambe sono dipinte sulla stessa superficie piatta davanti ai nostri occhi. L’idea
che una pipa si trovi in un quadro annidato in un altro quadro, e che quindi sia in qualche
modo “meno reale” dell’altra pipa, è un completo inganno. Non appena si è disposti a “entrare
nella stanza” si è già stati ingannati: si è scambiata l’immagine per la realtà. L’unico modo per
non essere risucchiati è di vedere entrambe le pipe semplicemente come macchie colorate su
una superficie a pochi decimetri di distanza dal nostro naso. Allora, e solo allora, si può
apprezzare il pieno significato del messaggio scritto “Ceci n’est pas une pipe”; ma,
paradossalmente, in quel medesimo istante ogni cosa si confonde in macchie indistinte e la
stessa scritta diventa una macchia di colore, perdendo così il suo significato! In altre parole in
quell’istante il messaggio verbale si autodistrugge in un modo molto godeliano.[1]…
[1] Douglas R. Hofstadter, Godel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi Milano
1984 (1971) p. 76
Se il sogno sia un pensiero. Se sognare sia pensare a
qualcosa.
Supponiamo di considerare un sogno come un tipo di
linguaggio,un modo di dire qualcosa, o un modo di
simboleggiare qualcosa. Potrebbe esserci un simbolismo
costante non necessariamente alfabetico – potrebbe essere,
diciamo, come il cinese. ..
…Potremmo poi trovare un modo di tradurre questo simbolismo nel
linguaggio quotidiano del discorso comune, del pensiero comune. Ma la
traduzione dovrebbe allora essere possibile anche in senso inverso ,
dovrebbe essere possibile, cioè, usando la stessa tecnica, tradurre in
linguaggio onirico i pensieri comuni. Come Freud riconosce, questo non
si fa mai e non si può fare. Potremmo dunque porre in dubbio che il
sognare sia un modo di pensare qualcosa, che sia un linguaggio.
Ovviamente ci sono certe somiglianze con il linguaggio.
…
Confronta il problema del perché si sogna e del perché scriviamo
racconti. Non tutto nel racconto è allegorico. Che significato avrebbe
cercare di spiegare perché uno ha scritto proprio quel racconto e proprio
in quel modo?
Non c’è una ragione sola per cui si parla. Un bambino piccolo balbetta
spesso solo per il piacere di far rumore. Questa è pure una delle ragioni di
parlare per gli adulti. E ve ne sono innumerevoli altre.
contorno
Dal territorio alla mappa
Dal territorio alla mappa
… [1]Mi posi un problema cruciale: che cosa passa dal territorio alla mappa?
La risposta a questa domanda era ovvia: ciò che passa sono notizie di differenze e
nient’altro.
Questo semplicissimo enunciato generale risolve (e almeno per qualche tempo
risolverà) gli antichi problemi di mente e materia. La mente opera sempre a una
certa distanza dalla materia, sempre alla distanza di una derivata (dx/dt) dal mondo
‘esterno’. I dati primari dell’esperienza sono differenze.
Con questi dati noi costruiamo le nostre ipotetiche (Sempre ipotetiche) idee e
immagini del mondo ‘esterno’.
“I saggi vedono i contorni e perciò li tracciano” disse molto tempo fa William
Blake e, tranne che per il chiaroscuro – che è anch’esso composto di differenze -,
non vi è nulla all’interno dei contorni se non l’identità, che è diversa dalla
differenza.
[1] Gregory BatesonUna sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente,Adelphi, Milano, 1997 p.298
La Natura non ha Contorni, ma l’Immaginazione sì.
La Natura non ha Melodie, ma l’Immaginazione sì.
La Natura non ha Soprannaturale e si dissolve:
L’Immaginazione è l’eternità.
…Ciò che è
essenziale è il
presupposto che
le idee…abbiano
una loro forza e
realtà…
C. Cané A doppio taglio
La parola gatto non graffia
Calvino in un suo libro narra della spada del sole.
La spada del sole[1]
Ognuno ha un suo riflesso, che solo per lui ha quella direzione e si
sposta con lui. Ai due lati del riflesso, l’azzurro dell’acqua è più
cupo. “E’ quello il solo dato non illusorio, comune a tutti, il buio?” si
domanda il signor Palomar. Ma la spada si impone egualmente
all’occhio di ciascuno, non c’è modo di sfuggirle.
“Ciò che abbiamo in comune è proprio ciò che è dato a ciascuno
come esclusivamente suo?”
Edvard Munch
Chiaro di luna 1985
Galileo Galilei[2]…fa notare che, se ci troviamo su una spiaggia mentre il Sole sta tramontando sul
mare, allora osserviamo una striscia luminosa che parte dall’orizzonte e si stende sulla superficie
acquea lungo la direzione che congiunge il sole e noi. I nostri occhi vedono questo fenomeno, ma non
possiamo certo dire che sul mare esiste un oggetto dotato di quella forma. Altri osservatori disposti in
punti diversi sulla medesima spiaggia, vedono altre strisce luminose, ma tutte le strisce sono l’effetto
di due fattori diversi: il primo dipende dalla riflessione della luce solare sull’intera superficie
dell’acqua, e il secondo dipende da come sono fatti i nostri occhi.
Se mancano gli osservatori mancano le strisce.
1] Ialo Calvino, Palomar, Einaudi, 1983, p. 15
[2] Enrico Bellone, I corpi e le cose, Bruno Mondatori 2000, p. 33
Laboratorio epistemologico Pensare per storie
A cura di:
•Maria Rocchi. Docente di storia e italiano, attualmente comandata
presso l’IRSIFAR (Istituto romano per la storia d’Italia dal
Fascismo alla Resistenza)
•Lucilla Ruffilli. Docente di Chimica e laboratorio. Fondatrice del
Laboratorio epistemologicoPensare per storie
•Maria Domenica Simeone.Docente di materie letterarie presso
l’ITIS Bernini di Roma. Fondatrice del Laboratorio
epistemologicoPensare per storie
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Linea di confine - Pensare per storie