Ognuno è nato in un luogo La linea di confine Linea di demarcazione e di separazione Contorno Interfaccia tra due elementi in comunicazione tra loro Luogo di contatto e di reciproco scambio tra ambiti diversi La differenza Il confine segna la differenza “… io una volta passando feci un segno in un punto dello spazio, apposta per poterlo ritrovare duecento milioni d’anni dopo, quando saremmo ripassati di lì al prossimo giro. Un segno come? … Avevo l’intenzione di fare un segno, questo sì, ossia avevo l’intenzione di considerare segno una qualsiasi cosa che mi venisse fatto di fare, quindi avendo io, in quel punto dello spazio e non in un altro, fatto qualcosa intendendo di fare un segno, risultò che ci avevo fatto un segno davvero.” I. Calvino, da Le cosmicomiche ‘Un segno nello spazio’ Mirò blu III La differenza La percezione opera solo sulla differenza. Ricevere informazioni vuol dire sempre e necessariamente ricevere notizie di differenza, e la percezione della differenza è sempre limitata da una soglia. Le differenze troppo lievi o presentate troppo lentamente non sono percettibili: non offrono alimento alla percezione. Per produrre notizia di una differenza, cioè informazione, occorrono due entità (reali o immaginarie) tali che la differenza tra di esse possa essere immanente alla loro relazione reciproca…Vi è un problema profondo e insolubile a proposito della natura di quelle ‘almeno due’ cose che tra loro generano la differenza che diventa informazione creando una differenza. E’ chiaro che ciascuna di esse, da sola, è per la mente e la percezione- una non-entità, un non-essere. Non è diversa dall’essere e non è diversa dal non-essere : è un in conoscibile, una Ding an sich, il suono di una mano sola. Gregory Bateson Un segno nello spazio Situato nella zona esterna della Via Lattea, il Sole impiega circa 200 milioni d' anni a compiere una rivoluzione completa della Galassia, Esatto, quel tempo là ci si impiega, mica meno, -disse Qfwfq, -io una volta passando feci un segno in un punto dello spazio, apposta per poterlo ritrovare duecento milioni d'anni dopo, quando saremmo ripassati di li al prossimo giro. Un segno come? È’ difficile da dire perché se vi si dice segno voi pensate subito a un qualcosa che si distingua da un qualcosa, e li non c'era niente che si distinguesse da niente; voi pensate subito a un segno marcato con qualche arnese oppure con le mani, che poi l’arnese o le mani si tolgono e il segno invece resta,, ma a quel tempo arnesi non ve n'erano ancora, e nemmeno mani, o denti, o nasi, tutte cose che si ebbero poi in seguito, ma molto tempo dopo. La forma da dare al segno, voi dite non è un problema perché, qualsiasi forma abbia, un segno basta serva da segno, cioè sia diverso oppure uguale ad altri segni: anche qui voi fate presto a parlare, ma io a quell'epoca non avevo esempi a cui rifarmi per dire lo faccio uguale o lo faccio diverso, cose da copiare non ce n'erano, e neppure una linea, retta o curva che fosse, si sapeva cos'era, o un punto, o una sporgenza o rientranza. Avevo l'intenzione di fare un segno, questo si, ossia avevo l'intenzione di considerare segno una qualsiasi cosa che mi venisse fatto di fare, quindi avendo io, in quel punto dello spazio e non in un altro, fatto qualcosa intendendo di fare un segno, risultò che ci avevo fatto un segno davvero. Insomma, per essere il primo segno che si faceva nell'universo, o almeno nel circuito della Via Lattea, devo dire che venne molto bene. Visibile? Si, bravo, e chi ce li aveva gli occhi per vedere, a quei tempi là? Niente era mai stato visto da niente, nemmeno si poneva la questione. Che fosse riconoscibile senza rischio di sbagliare, questo si: per via che tutti gli altri punti dello spazio erano uguali e indistinguibili, e invece questo aveva il segno. Cosi i pianeti proseguendo nel loro giro, e il Sistema solare nel suo, ben presto mi lasciai il segno alle spalle, separato da campi interminabili di spazio. E già non potevo trattenermi dal pensare a quando sarei tornato a incontrarlo, e a come l'avrei riconosciuto, e al piacere che mi avrebbe fatto, in quella distesa anonima, dopo centomila anni-luce percorsi senza imbattermi in nulla che mi fosse familiare, nulla per centinaia di secoli, per migliaia di millenni, ritornare ed eccolo li al suo posto, tal quale come l'avevo lasciato, nudo e crudo, ma con quell'impronta -diciamo -inconfondibile che gli avevo data. Lentamente la Via Lattea si voltava su di se con le sue frange di costellazioni e di pianeti e di nubi, e il Sole insieme al resto, verso il bordo. In tutta quella giostra, solo il segno stava fermo, in un punto qualunque, al riparo da ogni orbita (per farlo, m'ero sporto un po' dai margini della Galassia, in modo che restasse al largo e il rotolare di tutti quei mondi non gli venisse addosso), in un punto qualunque che non era più qualunque dal momento che era l'unico punto Italo Calvino, Le Cosmicomiche, Einaudi, Torino, 1980 p.39 Il suono di una sola mano …Il maestro del tempio Kennin era Mokurai, Tuono Silenzioso. Aveva un piccolo protetto un certo Toyo, un ragazzo appena dodicenne. Toyo vedeva che i discepoli più grandi andavano ogni mattina e ogni sera nella stanza del maestro per essere istruiti nel Sanzen o per avere privatamente qualche consiglio, e che il maestro dava loro dei Koan per fermare le divagazioni della mente… Linea di demarcazione e separazione Il modello Facciamo un esempio. L'iterazione che prende un punto P del piano, ne calcola la distanza dall'origine, ed elevandola al quadrato ottiene il punto successivo, e così via per un numero infinito di volte, conduce ad una frontiera molto semplice, costituita dalla circonferenza di raggio 1. Tutti i punti interni alla circonferenza finiranno con il convergere verso l'origine, tutti i punti esterni alla circonferenza fuggono verso l'infinito, tutti i punti sulla circonferenza rimarranno sulla circonferenza. I punti sulla circonferenza sono la frontiera tra due regioni che presentano un comportamento dinamico radicalmente diverso. L'iterazione è il procedimento fondamentale che permette di studiare, con il computer, l'evoluzione di un modello matematico. Il punto A precipita nell'origine, il punto B resta sempre dove si trova, il punto C fugge verso l'infinito. I punti che precipitano sull'origine sono colorati in rosso. In blu i punti della frontiera. Luogo di contatto e di reciproco scambio tra ambiti diversi Riflettiamo ancora sulla natura della costa di un continente, che possiamo definire come la regione di confine tra il mondo acquatico e il mondo delle terre emerse. In questa regione non vi è un dominatore assoluto: ad ogni livello di scala, la costa mantiene questa sua proprietà di zona di confine. L' autosomiglianza di scala E' importante affrontare il problema del nome che viene dato a queste rappresentazioni. Esse vengono chiamate frattali, dal latino fractus, che significa spezzato. In effetti, la prima cosa che ci colpisce in queste immagini è la forma dei contorni, che appare estremamente frastagliata. Vi sono anche, tuttavia, delle ampie zone uniformi. Quale è la ragione di tutto ciò? E' come se, in alcune parti della figura, si fossero scontrati due partiti, uno che voleva usare un colore, e un altro partito che voleva usarne uno diverso. E' un po' come quando il mare e la terraferma si confrontano, ora vince l'uno ora l'altro, e il risultato di questa competizione è la costa frastagliata, colma di insenature, apparentemente senza alcuna regolarità. A ben pensarci, tutta la natura è impegnata in una grande lotta, intrapresa tra tutte le sue parti. Riflettiamo ancora sulla natura della costa di un continente, che possiamo definire come la regione di confine tra il mondo acquatico e il mondo delle terre emerse. In questa regione non vi è un dominatore assoluto: ad ogni livello di scala, la costa mantiene questa sua proprietà di zona di confine. A seconda del gioco delle correnti marine, dei fenomeni di erosione, e di tutti gli altri eventi che concorrono alla dinamica del sistema mare-terraferma in un certo tratto di costa, questa può assumere, ad una certa scala dimensionale, forme diverse : può essere frastagliata, oppure lineare. Tuttavia, ad una scala dimensionale diversa, una costa molto frastagliata può apparire lineare, e, viceversa, una costa lineare può mostrare un numero insospettato di insenature e sporgenze. Ad ogni livello di scala la situazione può cambiare, e magari possiamo scoprire che un determinato motivo, ad esempio un golfo di forma semicircolare, compare e scompare in funzione della scala di rappresentazione adottata. Da: Fiorello Fraioli , presidente della associazione ALINET http://www.tin.it/sbdi/46/kaos.htm La biosfera[1] La biosfera è un sistema di confine, caratterizzata, al suo interno, dalla stretta interconnessione di tutti gli organismi viventi, legati da uno scambio continuo che si attua attraverso la respirazione, la nutrizione, i processi che si sviluppano a livello subatomico. Se questo scambio si interrompe, la vita non può continuare a sussistere e viene a mancare. Si può quindi affermare non tanto che la vita si nutra di questa interazione e di questo interscambio, quanto che si identifichi sostanzialmente con essi. …Come i sistemi viventi, anche la biosfera è circoscritta rispetto al contesto in cui è immersa: solo che la linea di confine non è qualcosa di assolutamente invalicabile, ma una somma di filtri attraverso i quali bisogna passare per penetrare all’interno di essa e che provvedono all’adattamento alla biosfera medesima di tutto ciò che proviene dal di fuori. Il confine è pertanto il luogo del contatto specifico tra interno ed esterno, un meccanismo di cuscinetto a due facce, una rivolta verso l’organizzazione intrinseca del sistema, l’altra verso l’ambiente, che proprio perché si presenta così può mettere in comunicazione reciproca ambiti che tuttavia restano separati nella loro specifica determinazione. Esso è quindi sia elemento di separazione (linea di demarcazione), sia tratto di unione di sfere diverse. Le[2] differenze culturali non rappresentano modi diversi di trattare la stessa realtà oggettiva , ma domini cognitivi legittimamente differenti: Uomini diversi culturalmente vivono in realtà cognitive diverse che sono ricorsivamente specificate attraverso il loro vivere in esse [1] Silvano Tagliagambe,Epistemologia del confine, Il Saggiatore, Milano 1997 p.110 [2] H. R. Maturana, Cognitive strategies, in E Morin, M. Piattelli Palmarini (a cura di) L’unité de l’homme, Seuil, Parigi, 1974, p.464 Su una grande carta di Europa, una costa viene rappresentata con una linea arrotondata. Prendendo però carte di scala via via minore, ci si accorge che quella che era una curva regolare sulla prima carta diventa una curva con un numero crescente di zig zag. Le curve frattali Le curve frattali A[1] un primo livello si collocano le curve lisce. Prendiamo per esempio un cerchio: visto globalmente è appunto un cerchio, ma più ci si avvicina più lo si vede dritto, ed è per questo che il cerchio è localmente una linea retta. Il cerchio ha infatti una tangente in ogni suo punto, e se lo guardo molto da vicino, mi appare come una curva estremamente semplice: si riduce pressoché a una retta. Analogamente, una sfera vista da lontano è proprio una sfera, ma se ci si avvicina sempre di più, quello che si vede è qualcosa che assomiglia sempre più a un piano: per questo l’uomo ha creduto a lungo che la Terra fosse piatta. Essa è quasi perfettamente piatta da un punto di vista locale Questo è il livello più semplice, quello delle curve classiche ed elementari. Invece le curve frattali «classiche» sono curve nelle quali la complicazione non cambia molto quando ci si avvicina: esse appaiono complicate da lontano e se ci si avvicina la complicazione può cambiare, ma non radicalmente: possono diventare un po' meno o un po' più complicate, ma restano complessivamente la stessa cosa. C’è così un’invarianza della forma rispetto alla distanza e questa forma è sempre egualmente complicata, interessante. In tali casi si ha, infine una dimensione (che per le curve su un piano è compresa tra uno e due) che resta la stessa quando ci si avvicina ( e viene dunque misurata da quel numero): Ma, ancora, esistono curve ben più complicate, come per esempio quella che è conosciuta come 1 'insieme detto di Mandelbrot. Questo è un insieme che ho scoperto io qualche anno fa e al quale ho avuto l'onore di dare il mio nome. Presenta due aspetti veramente sorprendenti. Innanzitutto, quando si guarda sempre più da vicino, si riconosce in alcuni particolari ciò che si vedeva globalmente. Ma c'è anche un aumento costante della complicazione: quando si guarda questa curva più da vicino si scopre che alcuni bracci di filamenti sempre più complessi ne escono, mentre altri ne entrano, qui come una sorta di vortici, lì come un groviglio. E più ci si avvicina, più questi filamenti diventano complessi. È quindi un esempio di curva la cui complessità aumenta senza limiti quando la si guarda in modo sempre più preciso. Questo insieme ha una complicazione fortissima, perché si ritrova nei dettagli ciò che si scorge nel tutto, ma trovando in più delle strutture nuove, inattese. [1] [1] Benoit B. Mandelbrot, La geometria della natura, Teoria 1989, Roma – Napoli p.24 L'evoluzione della matematica che ci porta ad asserire che una curva non liscia è mostruosa, che, per esempio, la curva di Peano è mostruosa, si è lasciata interamente influenzare da un mito che essa stessa ha creato. Questo mito è stato demolito nel momento stesso in cui si è potuto impiegare il computer per tracciare queste curve e ci si è accorti che esse sono spesso rassomiglianti alla natura che ci circonda e sono anche molto belle. I frattali I frattali Quando[1] ho cominciato le mie ricerche, la maggior parte dei matematici pensava che. le curve irregolari fossero appunto curve patologiche, e questa è ancora l'idea pressoché dominante. Quei matematici che invece sostenevano che le curve più frequenti sono irregolari erano abbastanza rari. Insomma, essi sostenevano un punto di vista che pareva estremamente astratto sotto il profilo della pratica matematica. Nella mia ricerca ho cercato invece di mantenermi vicino a esperienze concrete, come il problema di definire la tangente a un punto di una costa. Se si prende, per esempio, la costa della Bretagna su una grande carta d'Europa, la costa si arrotonda, è una specie di grande penisola che va verso ovest; in questo caso si può definire una tangente alla curva liscia che è tracciata sulla carta. Ma se ci si avvicina, , se si prende una carta più precisa, ci si accorge che quella che era una curva regolare sulla prima carta diviene ora una curva con molti zig-zag. Se si guarda da vicino uno di questi zig-zag con una carta ancor più dettagliata ci si accorge che diventano ancora più fitti. Se si cerca dunque di rappresentare con una curva matematica una cosa del tutto naturale, come la costa della Bretagna, si ha bisogno di una curva via via più irregolare, una curva che sempre meno si può ridurre a una curva semplice, liscia come lo è una linea retta. Quest'esperienza è a livello quasi infantile: anche un bambino vi dirà che se guarda un oggetto sempre più da vicino, come una pietra frantumata~ vedrà i dettagli sempre meglio e vedrà particolari nuovi man mano che si avvicina. Quel che è sorprendente è che i matematici se ne sono dimenticati. Essi guardano nella direzione opposta. È insomma para- dossale che la matematica, sviluppatasi in origine dall'esigenza di descrivere la realtà e col desiderio di rappresentare le forme delle cose attorno a noi, abbia finito col generare dei matematici lontani-dal reale al punto da essere completamente succubi del- la loro mitologia, al punto cioè da considera la continuità degli oggetti della geometria dì Euclide come cosa data apriori , al punto da ritenere data a priori la continuItà delle curve nel calcolo infinitesimale,il che non è-affatto scontato. Si tratta semplicemente di approssimazioni, di rappresentazioni della realtà, che, come tali, sono soggette a revisione. Quando si rappresenta un fenomeno reale si fa un modello, poi lo si corregge ancora, lo si migliora costantemente, ma il modello in se stesso non va mai confuso con la cosa reale, la realtà è sempre più complicata del modello. L'evoluzione della matematica che ci porta ad asserire che una curva non liscia è mostruosa, che, per esempio, la curva di Peano è mostruosa, si è lasciata interamente influenzare da un mito che essa stessa ha creato. Questo mito è stato demolito nel momento stesso in cui si è potuto impiegare il computer per tracciare queste curve e ci si è accorti che esse sono spesso rassomiglianti alla natura che ci circonda e sono anche molto belle. [1] Benoit B. Mandelbrot, La geometria della natura, Teoria 1989, Roma – Napoli p.16 Interfaccia tra due elementi in comunicazione tra loro: Analogico/digitale, Osservatore/ osservato Da una lingua ad un’altra Da una cultura ad un’altra Dalla realtà al sogno Da un secolo ad un altro …. Digitale e analogico Contare (digitale) e misurare (analogico) non hanno lo stesso statuto epistemologico: Si possono contare esattamente sei bicchieri, non si può misurare esattamente un litro di vino; perciò è sempre necessario nella misura scegliere il livello di approssimazione. I numeri sono il risultato del contare, le quantità il risultato del misurare. I numeri possono essere precisi, la quantità è sempre approssimata. Il discorso da fare sulle parole intraducibili da una lingua all’altra sarebbe lungo. Per esempio, prendete la parola “leadership” e “leader”. In italiano abbiamo “comandare”, “dirigere”, “capo”, “dirigente”. Ma un “capo” si legittima in quanto i seguaci o dirigenti eseguono i suoi ordini, invece un leader si legittima in quanto è stato scelto liberamente e potrebbe non essere più leader quando coloro che ne seguono le direttive cambiassero idea. C’è dunque una differenza fondamentale tra i tipi di esperienze alle quali queste due parole “capo” e “”leader” si riferiscono. In inglese ci sono anche delle parole per indicare uno che comanda: “head”, “commander”, “principal”. Se in italiano non abbiamo sentito l’esigenza di coniare una parola corrispondente all’esperienza di leadership questo vuol dire che nella nostra tradizione e cultura l’esperienza di “scegliersi” un capo (specie con la possibilità di cambiarlo quando non siamo più d’accordo) è considerata marginale, mentre l’esperienza di comandare nel senso di farsi ubbidire è molto importante…L’idea che il potere non è qualcosa che si prende e si tiene, ma che ci è “dato” dagli altri e che si può perdere senza grandi traumi è tipica della democrazia. Ma mentre in Inghilterra fin dai tempi del feudalesimo si è instaurata la tradizione del “Primus inter Pares” ratificata dalla Magna Charta e questa prassi e mentalità sono divenute simbolo della cultura nazionale, da noi non è stato così. E di questo ancora risente la nostra lingua, la nostra esperienza e il nostro immaginario collettivo. I due misteri ...Tra le parole e le cose regna una frattura variabile e misteriosa analoga alla frattura altrettanto variabile e misteriosa che separa le immagini dalle cose... Magritte I due misteri Concentrandosi sul quadro interno si riceve il messaggio che c’è differenza tra pipe e simboli di pipa. Quindi lo sguardo si sposta verso l’alto, verso la pipa “reale” che galleggia nell’aria; se ne percepisce la realtà, mentre l’altra è solo un simbolo, Ma ciò naturalmente, è del tutto sbagliato: entrambe sono dipinte sulla stessa superficie piatta davanti ai nostri occhi. L’idea che una pipa si trovi in un quadro annidato in un altro quadro, e che quindi sia in qualche modo “meno reale” dell’altra pipa, è un completo inganno. Non appena si è disposti a “entrare nella stanza” si è già stati ingannati: si è scambiata l’immagine per la realtà. L’unico modo per non essere risucchiati è di vedere entrambe le pipe semplicemente come macchie colorate su una superficie a pochi decimetri di distanza dal nostro naso. Allora, e solo allora, si può apprezzare il pieno significato del messaggio scritto “Ceci n’est pas une pipe”; ma, paradossalmente, in quel medesimo istante ogni cosa si confonde in macchie indistinte e la stessa scritta diventa una macchia di colore, perdendo così il suo significato! In altre parole in quell’istante il messaggio verbale si autodistrugge in un modo molto godeliano.[1]… [1] Douglas R. Hofstadter, Godel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi Milano 1984 (1971) p. 76 Se il sogno sia un pensiero. Se sognare sia pensare a qualcosa. Supponiamo di considerare un sogno come un tipo di linguaggio,un modo di dire qualcosa, o un modo di simboleggiare qualcosa. Potrebbe esserci un simbolismo costante non necessariamente alfabetico – potrebbe essere, diciamo, come il cinese. .. …Potremmo poi trovare un modo di tradurre questo simbolismo nel linguaggio quotidiano del discorso comune, del pensiero comune. Ma la traduzione dovrebbe allora essere possibile anche in senso inverso , dovrebbe essere possibile, cioè, usando la stessa tecnica, tradurre in linguaggio onirico i pensieri comuni. Come Freud riconosce, questo non si fa mai e non si può fare. Potremmo dunque porre in dubbio che il sognare sia un modo di pensare qualcosa, che sia un linguaggio. Ovviamente ci sono certe somiglianze con il linguaggio. … Confronta il problema del perché si sogna e del perché scriviamo racconti. Non tutto nel racconto è allegorico. Che significato avrebbe cercare di spiegare perché uno ha scritto proprio quel racconto e proprio in quel modo? Non c’è una ragione sola per cui si parla. Un bambino piccolo balbetta spesso solo per il piacere di far rumore. Questa è pure una delle ragioni di parlare per gli adulti. E ve ne sono innumerevoli altre. contorno Dal territorio alla mappa Dal territorio alla mappa … [1]Mi posi un problema cruciale: che cosa passa dal territorio alla mappa? La risposta a questa domanda era ovvia: ciò che passa sono notizie di differenze e nient’altro. Questo semplicissimo enunciato generale risolve (e almeno per qualche tempo risolverà) gli antichi problemi di mente e materia. La mente opera sempre a una certa distanza dalla materia, sempre alla distanza di una derivata (dx/dt) dal mondo ‘esterno’. I dati primari dell’esperienza sono differenze. Con questi dati noi costruiamo le nostre ipotetiche (Sempre ipotetiche) idee e immagini del mondo ‘esterno’. “I saggi vedono i contorni e perciò li tracciano” disse molto tempo fa William Blake e, tranne che per il chiaroscuro – che è anch’esso composto di differenze -, non vi è nulla all’interno dei contorni se non l’identità, che è diversa dalla differenza. [1] Gregory BatesonUna sacra unità. Altri passi verso un’ecologia della mente,Adelphi, Milano, 1997 p.298 La Natura non ha Contorni, ma l’Immaginazione sì. La Natura non ha Melodie, ma l’Immaginazione sì. La Natura non ha Soprannaturale e si dissolve: L’Immaginazione è l’eternità. …Ciò che è essenziale è il presupposto che le idee…abbiano una loro forza e realtà… C. Cané A doppio taglio La parola gatto non graffia Calvino in un suo libro narra della spada del sole. La spada del sole[1] Ognuno ha un suo riflesso, che solo per lui ha quella direzione e si sposta con lui. Ai due lati del riflesso, l’azzurro dell’acqua è più cupo. “E’ quello il solo dato non illusorio, comune a tutti, il buio?” si domanda il signor Palomar. Ma la spada si impone egualmente all’occhio di ciascuno, non c’è modo di sfuggirle. “Ciò che abbiamo in comune è proprio ciò che è dato a ciascuno come esclusivamente suo?” Edvard Munch Chiaro di luna 1985 Galileo Galilei[2]…fa notare che, se ci troviamo su una spiaggia mentre il Sole sta tramontando sul mare, allora osserviamo una striscia luminosa che parte dall’orizzonte e si stende sulla superficie acquea lungo la direzione che congiunge il sole e noi. I nostri occhi vedono questo fenomeno, ma non possiamo certo dire che sul mare esiste un oggetto dotato di quella forma. Altri osservatori disposti in punti diversi sulla medesima spiaggia, vedono altre strisce luminose, ma tutte le strisce sono l’effetto di due fattori diversi: il primo dipende dalla riflessione della luce solare sull’intera superficie dell’acqua, e il secondo dipende da come sono fatti i nostri occhi. Se mancano gli osservatori mancano le strisce. 1] Ialo Calvino, Palomar, Einaudi, 1983, p. 15 [2] Enrico Bellone, I corpi e le cose, Bruno Mondatori 2000, p. 33 Laboratorio epistemologico Pensare per storie A cura di: •Maria Rocchi. Docente di storia e italiano, attualmente comandata presso l’IRSIFAR (Istituto romano per la storia d’Italia dal Fascismo alla Resistenza) •Lucilla Ruffilli. Docente di Chimica e laboratorio. Fondatrice del Laboratorio epistemologicoPensare per storie •Maria Domenica Simeone.Docente di materie letterarie presso l’ITIS Bernini di Roma. Fondatrice del Laboratorio epistemologicoPensare per storie FINE Indietro