Ricercare il senso nella sofferenza Cremona, 11 dicembre 2014 ACCOMPAGNARE NELLE FASI ESTREME DELLA VITA Itala Orlando Area cure palliative e disabilità di Asp Azalea - Borgonovo Val Tidone (Piacenza) 1 Ieri, per un momento, ho pensato che non avrei potuto continuare a vivere, che avevo bisogno d’aiuto. La vita e il dolore avevano perso il loro significato, avevo la sensazione di “sfasciarmi” sotto un peso enorme, ma anche questa volta ho combattuto una battaglia che poi all’improvviso mi ha permesso di andare avanti con maggiore forza. Ho provato a guardare in faccia il “dolore” dell’umanità, coraggiosamente e onestamente, ho affrontato questo dolore o piuttosto lo ha fatto qualcosa in me stessa, molti interrogativi disperati hanno trovato risposta, l’assurdità completa ha ceduto il posto a un po’ più d’ordine e di coerenza: ora posso andare avanti di nuovo. E’ stata un’altra breve ma violenta battaglia, ne sono uscita con un pezzetto di maturità in più. Ho scritto che mi sono confrontata col “dolore dell’Umanità” (questi problemi mi fanno ancora paura), ma non è del tutto esatto. Mi sento piuttosto come un piccolo campo di battaglia su cui si combattono i problemi, o almeno alcuni problemi del nostro tempo. L’unica cosa che si può fare è offrirsi umilmente come campo di battaglia. Quei problemi devono pur trovare ospitalità da qualche parte, trovare un luogo in cui possano combattere e placarsi, e noi, poveri piccoli uomini, noi dobbiamo aprir loro il nostro spazio interiore, senza sfuggire… Etty Hillesum, Diario 1941-1943 , Adelphi, 1985, (pag. 48-49) 2 Etty Hillesum, 1914 - 1943 3 Questa riflessione viene dopo due importanti presentazioni che hanno proposto il pensiero di Viktor E. Frankl (Antonella Arioli) e l’analisi dell’esperienza della sofferenza (Luciana Murru). Il collegamento a Viktor E. Frankl sta nel fatto che V. Frankl è stato soprattutto un testimone dei principi che predicava. La sua frase “nonostante tutto, dire sì alla vita”, non era uno slogan, ma uno stile di vita. Il significato ricercato all’esperienza complicata della sofferenza, al limite dell’assurdo e a rischio di insensatezza, è qualcosa che si intuisce nella vita concreta. Non è, cioè, un costrutto teorico, non è un enunciato consolatorio. L’esperienza racconta nei fatti che esiste una possibilità di significato. Da qui scaturisce la credibilità di Frankl e la credibilità di chiunque abbia attraversato l’esperienza del dolore senza rinunciare a vivere. 4 Ci sono delle parole chiave che si ripetono nelle riflessioni dedicate a questi temi. E non è un caso. Tempo Relazione Ascolto Empatia Cura Accoglienza Silenzio Speranza Dignità Solitudine Compagnia Dubbio Domande Aiuto Eticità Ciascuno è libero di aggiungere altre parole 5 Ci sono poi soprattutto dei VERBI Stare Piangere Pregare Scrivere Riflettere Trovarsi e ritrovarsi Ricordare Celebrare Aver paura Soffrire - Non soffrire Fermarsi - muoversi Fare/farsi domande Parlare Esprimersi (con tutti i linguaggi) Distrarsi Consolare Condividere Sapere-saper fare-saper essere Sapere di qualcosa E altro ancora… 6 Chiavi per entrare nelle tante storie che incontriamo ogni giorno 7 Con quale sguardo guardiamo queste storie? Con quale sguardo guardiamo noi stessi? 8 Se guardiamo con attenzione* e precisione ciò che viviamo, ciò che incontriamo nella nostra vita quotidiana, se ri-entriamo nelle parole che usiamo tutti i giorni troviamo molti dei significati che andiamo cercando. Dobbiamo fare un lavoro di riflessività. Partire dall’esperienza per arrivare al sapere e dal sapere giungere alla sapienza che si riversa nuovamente nell’esperienza, illuminandola di senso. Propongo di seguire un percorso di riconoscimento dei significati stando dentro le poche parole del titolo della relazione ACCOMPAGNARE NELLE FASI ESTREME DELLA VITA Ci lasciamo guidare dalle domande, anzi dal domandare * L’attenzione è lo sguardo oltre, dove c’è attesa di assoluto (S. Weil) 9 Parola per parola 10 Accompagnare Cosa vuol dire accompagnare? = stare vicino, stare insieme, stare con qualcuno (cum) = non solo stare, il verbo è preceduto dalla preposizione ad che indica un moto a luogo, indica cioè un movimento verso qualcuno, un movimento di avvicinamento, di approssimazione, l’andare verso chi mi è prossimo = andare verso, stare con qualcuno per mangiare insieme il pane AD CUM PANIS Che cos’è il pane? Di quale nutrimento, di quale pane possiamo mangiare con l’altro a cui ci avviciniamo per stargli vicino? In cosa consiste questo stare vicino? 11 Di per sé assistere comporta attività assolutamente ordinarie, come preparare una minestra, fare un massaggio alla schiena, cambiare le lenzuola, somministrare medicine, ascoltare le storie di una vita vissuta che sta per spegnersi, offrire all’altro una presenza serena e affettuosa. Niente di speciale, semplice gentilezza umana. Eppure queste comuni attività quotidiane, se affrontate come occasioni di consapevolezza, possono contribuire a risvegliarci. Frank Ostaseski, Saper accompagnare Pag. 15 12 Chi accompagniamo? Non è detto nel titolo. Accompagniamo un malato o una malata, un giovane, un vecchio, un adulto… Malato di cosa? In quale fase della malattia? In quale contesto? A casa, in ospedale, in una RSA, in un hospice…. Accompagniamo un familiare? Che tipo di familiare? Un genitore, un coniuge, un figlio… Chi abbiamo accompagnato oggi? Il chi fa la differenza del nostro accompagnare. 13 Verso cosa? Qual è la meta vogliamo raggiungere in questo accompagnare? la serenità il sonno la distrazione l’oblio la consapevolezza la pace interiore la verità la sopportazione la decisione La morte …. È una meta che possiamo decidere da soli? (quale ruolo svolgono il malato, il collega, l’équipe, il familiare? L’organizzazione?) 14 Chi è l’accompagnatore? Chi accompagna chi? Il medico L’infermiere Lo psicologo Il fisioterapista L’operatore socio sanitario L’assistente spirituale Il volontario L’équipe Il familiare L’amico La comunità sociale Ognuno di questi soggetti ha il proprio modo, la propria mission legata alle competenze di ruolo. Ma tutti insieme fanno parte di una rete di cura. 15 Quale capacità di cure, quali competenze affettive, emotive, spirituali hanno coloro che professionalmente si prendono cura della persona che sta morendo? Quale visione della vita e della morte si ha in questi contesti? Quale ethos caratterizza le nostre strutture che si propongono come dimore della vita nella sua interezza fino a comprendere anche la morte? In alcuni casi questa domanda non viene nemmeno messa a tema, e questa è la prima questione etica. Vi una miseria culturale nel fare che, pure, spesso è un «fare bene, attento e sensibile, grazie alla bellezza di tante persone che si occupano della cura delle persone ricoverate. Quello che spesso manca è l’esercizio riflessivo che porta a consapevolezza il sentimento spontaneo della vita e lo coniuga nei gesti tecnici di tutti i giorni, lo trasforma in patrimonio di tutti, in uno stile condiviso quotidiano. 16 Nella cura è sempre implicata l’organizzazione della cura che è una questione • Culturale • Sanitaria • Sociale • Economica Se la cura è il TESTO che scriviamo ogni giorno, l’organizzazione è il CONTESTO in cui comunichiamo parole, gesti: ciò significa che il valore del messaggio può essere fortemente condizionato dal contesto in cui si esprime. Quando non vi è consapevolezza di questa rilevanza si rischia di non essere presenti a se stessi, agli altri, di non avere senso critico di fronte alle cose che facciamo, di muoverci per inerzia, ripetendo dei clichè, lavorando bene «per caso». «In tutti alberga una quotidiana e «banale» inattenzione e distrazione che dobbiamo sorvegliare perché non diventi l’istanza che decide», scrive Ivo Lizzola. Si rimane, cioè, in buona fede, dentro l’anonimo «si fa» dei gesti comuni, delle convenzioni, delle abitudini. 17 L’accompagnare è un gesto, un processo, un progetto, un percorso Comunitario Interprofessionale Collettivo L’accompagnamento si estende al coinvolgimento della comunità, quale spazio-luogo allargato della vita, della malattia, della sofferenza, della morte, quale spazio della socialità nel senso più ampio e profondo del termine. La comunità accompagna educandosi a includere nel proprio orizzonte le persone sofferenti. Assistere/accompagnare non è atto da delegare in modo esclusivo ai professionisti delega ad accompagnare la morte ai «posti dove si va a morire» 18 Nota dell’autrice Non saprei dire esattamente perché ho raccontato questa storia, che è la mia storia e quella di chi mi è stato vicino e ha vissuto con me tutte le vicende narrate e anche quelle non narrate. Perché ce ne sono molte non narrate, un po’ per mancanza di memoria, un po’ perché alcune storie è giusto che restino dove sono: in una stanza chiusa. Forse perché non l’ho vissuta come una storia ‘privata’. In effetti non lo è stata, o almeno, non nei termini in cui comunemente si pensa a una storia privata. E’ stata una storia collettiva, perché attorno a me si è mosso un mondo popolato da persone senza le quali non avrei potuto arrivare dove sono arrivata ed essere – nel bene e nel male – ciò che sono. Perché ogni volta che incontro un gradino, una scala, un ascensore stretto, il tavolo di un ristorante scomodo, un posto macchina ‘riservato’ occupato da chi non ne ha diritto, ogni volta che devo battagliare con qualcosa che mi fa sentire ‘diversa’ e indifesa, ogni volta c’è qualcuno insieme a me. E poi perché è questo che accade, talvolta. Che storie private divengano storie di molti. Barbara Garlaschelli, Sirena. Mezzo pesante in movimento 19 Le fasi estreme della vita/nella vita la malattia grave la prossimità della morte in presenza della morte il lutto la malattia psichiatrica la disabilità Il disagio sociale 20 Quale vita? Una vita che non ha una prospettiva di guarigione? Una vita con poche possibilità o possibilità invisibili? Con una qualità di vita da definire? Nella quale si fatica a rintracciare il gusto di vivere? Una vita piena di sofferenza, dolore, disagio Una vita tormentata che chiede rispetto …… 21 Fasi estreme - esperienze-limite E’ davanti ai tragici eventi che interrompono la consueta linearità del quotidiano che il deperimento dell’esperienza si manifesta nella maniera più drammatica. Tali avvenimenti, infatti, introducono nella biografia del singolo una discontinuità che chiama alla fatica di dotarsi di nuove significazioni. La mancanza di familiarità con la dimensione interrogante, la banalizzazione delle emozioni, il venir meno di un costante dialogo con la propria memoria, la scomparsa dei luoghi di ascolto e, quindi, la sempre più diffusa incapacità di raccontarsi fanno sì che questi eventi siano condannati a essere oggetto di rimozione. Tutt’al più essi trovano ascolto solo allorchè si sono tradotti in espressioni patologiche. (…) Karl Jaspers ha definito “situazioni-limite” quelle esperienze che costringono il soggetto a toccare con mano la sua condizionatezza storica e la sua finitezza”. Da Mario Mapelli, Il dolore che trasforma. Attraversare l’esperienza della perdita e del lutto 22 Avevo lasciato la mia casa reggendomi sulle gambe, ci tornavo spingendomi su una sedia a rotelle. In un anno, la vita aveva compiuto non solo un ciclo, ma una rivoluzione. Ero morta e rinata. Una massa di carne e metallo. Un fiore appena sbocciato. Un mezzo pesante in movimento. Una sirena. (…) Nei sogni cammino sempre. Nel sogno so di non poterlo fare, spesso la sedia a rotelle è lì, a pochi centimetri da me, ma io cammino. Spesso ci sono seduta sopra e magari devo salire o scendere delle scale, mi alzo e lo faccio pensando: “in fondo, salire una scala è roba da niente”…. Inutile nascondere che non è stato facile. Per mesi, lunghi quanto lo possono essere certi mesi, ho fissato le gambe. Non le mie. Quelle degli altri. Non mi ero mai resa conto di quante gambe ci fossero in circolazione e quanto fossero belle. Mi sembravano tutte belle, anche quelle storte, grasse, flaccide, magre, stecchite, cellulitiche, scavate, erano tutte meravigliose. Soprattutto erano mobili… Barbara Garlaschelli, Sirena. Mezzo pesante in movimento Dal progetto educativo Bisogna saper perdere Le “esperienze-limite” sono difficili, anzi difficilissime da affrontare. E’ faticoso starci dentro, attraversarle, non ci sono riferimenti sicuri, prescrizioni da eseguire. Sono cose nuove, non siamo preparati e ci prende l’angoscia. Il dolore è sempre soggettivo, individuato, dentro una storia particolare, da assumere nella sua peculiarità. Le situazioni-limite sono però anche un’occasione preziosa, unica, speciale per incontrare per davvero l’altro, per trovarlo, scovarlo, decifrarlo nel suo bisogno di aiuto che non sempre è esplicito, dichiarato, comprensibile. Il più delle volte, soprattutto con gli adolescenti, è come un crittogramma che tende a nascondere il significato, quasi una sfida. Occorre esercitarsi ad ascoltare, occorre perdere tempo con le persone, e siccome è sempre più difficile perdere tempo per gli altri, bisogna imparare a trovare il tempo da perdere per gli altri. La situazione-limite è tempo favorevole per stare-con, per attraversare insieme il dolore in un percorso, perché il dolore non è uno stato, ma un processo a cui serve una storia che spesso non finisce mai. E allora “bisogna saper perdere” si traduce in “bisogna-saper-stare-con” il proprio limite, quello attuale e quello potenziale, con la propria imperfezione e “bisognasaper-stare-con” l’altro, con il proprio gruppo, con se stessi. Partiamo da noi. 24 “Non è cosa o chi perdi, l’importante è quel che senti quando questo accade; l’impossibilità di agire, di porre rimedio ad una situazione che ti fa così male. In ogni perdita che ho subito, la causa più grande di dolore era proprio l’essere impotente e il non essere in grado di darmi una spiegazione, di trovare il motivo di quel male che all’inizio sembra ingiusto e poi diventa anche insensato. Nella mia esperienza perdere ciò che a me è stato tolto ha provocato solo un gran senso di solitudine, ma proprio come fosse impossibile per qualcuno poter essere avvicinato da qualcun altro: ti senti solo, senza nessuno che condivida quel che senti e che vuoi, fin quando non arrivi a non sentire più nulla, perché ti rendi conto che questo mondo, soprattutto la nostra società, non ti lascia il tempo e non ti dà la possibilità di vivere il tuo dolore. E preferisci non sentire più allora, facendo finta di niente e tenendoti chiuso dentro tutto il male”. Testimonianza di un adolescente del liceo M. Gioia (Piacenza, febbraio 2014) 25 Come accompagnare? Con quale sapere? Con quali competenze? Con quali atteggiamenti? Con quali modi? Come stare di fronte alla libertà dell’altro Come garantire il rispetto per l’altro Come educarsi a lavorare sulle risorse Come superare la visione del deficit Come valorizzare la persona, con i suoi limiti e le sue forze? La psicanalisi del maiale, di Giovanni Braidi (A mo’ di introduzione, pag. 13-14) 26 Avere a che fare con una persona che prova dolore richiede saggezza, pazienza, doti di intuizione psicologica e capacità di mantenere il silenzio quando necessario. Oltre il dolore di Maria Giovanna Luini e Umberto Veronesi 27 M. Chagall, La passeggiata 28 Cosa ci si guadagna in questa esperienza? Dire, fare, baciare, lettera, testamento (G.Braidi) Quale scambio? Quale patrimonio? Quali domande? Quali sentimenti? Quali parole? Quali ricordi? Quali e quante storie abbiamo vissuto, accompagnato? Da chi vorremmo farci accompagnare? Perché vale la pena, qualunque sia il ruolo che svolgiamo? 29 cosa ci serve per saper stare in questa esperienza di accompagnamento? FORMAZIONE – AUTOFORMAZIONE EDUCAZIONE (alla spiritualità, alla speranza, all’ospitalità, ai sentimenti, al limite) SUPERVISIONE RIFLESSIVITA’ CONFRONTO DISCIPLINA (STUDIO, PERSEVERANZA, SERIETA’) RESPONSABILITA’ 30 Su lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca Mi sembra che la mia intensa partecipazione porti alla luce la loro parte migliore e più profonda, le persone si aprono davanti a me, ognuna è come una storia, raccontatami dalla vita stessa. E i miei occhi incantati non hanno che da leggere. La vita mi confida così tante storie, dovrei raccontarle a mia volta, renderle evidenti a coloro che non sono in grado di leggerle direttamente … … Ho il coraggio di guardare in faccia ogni dolore. Etty Hillesum 31 Noi tutti abbiamo un compito supremo: custodire delle vite con la nostra vita. Guai a noi se non troviamo quelli che dobbiamo custodire, guai a noi se dopo averli trovati li custodiamo male. (Elias Canetti) Grazie grazie a Carlotta Mazzi 32