L’AMORE DEL PROSSIMO
IN PSICOANALISI
VICINANZA
VS
PROSSIMITÀ
Lc 10, 25-37
Nel greco neotestamentario “prossimo” è reso col termine plēsìon
usato dai LXX per tradurre prevalentemente il vocabolo ebraico rea’
che deriva da ra’ah e significa “avere rapporti con qualcuno”, “essere
in relazione con qualcuno”.
Dott. Daniele Benini
13-05-2011
Tra vicinanza fisica e vicinanza
psichica/spirituale, ovvero prossimità

Che cos’è la vicinanza, se l’infaticabile eliminazione delle distanze ha
addirittura l’effetto di renderla più difficile? […]Questo confondersi di
tutto nell’assenza di distanza non è forse ancora più inquietante di
un’esplosione che riduca tutto in minuti frammenti? (Heidegger, das Ding,
in Saggi e discorsi).

"Per "villaggio globale" si intende un mondo piccolo, delle dimensioni di
un villaggio, all'interno del quale si annullano le distanze fisiche e culturali
e dove stili di vita, tradizioni, lingue, etnie sono rese sempre più omogenee
e internazionali (H.M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare).

Ma l’essere - che cos’è l’essere? Esso “è” se stesso. […] L’essere è
essenzialmente più lontano di ogni ente e nondimeno è più vicino all’uomo
di qualunque ente […]. L’essere è ciò che è più vicino. Eppure questa
vicinanza resta per l’uomo ciò che è più lontano. (Heidegger, Lettera
sull’”umanismo” in Segnavia, p. 284).
13-05-2011
Daniele Benini
Evangelo e fede sottoposti
al rischio della psicoanalisi
Due soli spunti da questi due libretti di F. Dolto:
13-05-2011

Gesù insegna il desiderio, non una
morale; un amore al di là di qualsiasi
amore, senza limiti, non un insieme di
doveri e di proibizioni di natura
superegoica.

Il commento che F. Dolto ci offre della
parabola del Buon Samaritano mostra
molto bene perché Gesù non poteva
rispondere teoricamente - ovvero
teologicamente - alla domanda su “chi
è il mio prossimo”, ma poteva
rispondere solo con un’altra domanda:
“Chi si è fatto prossimo?”
Daniele Benini
L’amore del prossimo in Freud

Testo principale: Il disagio nella civiltà, cap. 5°.

Tesi di Freud: l’uomo diventa nevrotico perché è incapace di sopportare il peso della
frustrazione che la civiltà gli impone.

Soggiacente il mito di Totem e tabù: la civiltà nasce dalla Legge che i fratelli si sono
dati “Nel Nome del padre morto”, ovvero la proibizione dell’incesto e dunque la
forza della maggioranza che impone al singolo la rinuncia pulsionale.

“All’antico comandamento che il cristianesimo ostenta come la sua più grandiosa
dichiarazione (ma risalente a tempi più antichi)”, Freud oppone che “se amo
qualcuno, in qualche modo egli se lo deve meritare. Costui merita il mio amore se mi
assomiglia in certi aspetti importanti, talchè in lui io possa amare me stesso” (p. 597
vol. X). Questo è il punto cruciale, questo comandamento va bene a Freud solo se
così interpretato, tant’è che nella pagina successiva prende in esame l’”Ama i tuoi
nemici” e questo proprio non può digerirlo, gli appare una pretesa ancora più
assurda.

Freud accetta questo antico comandamento solo nella versione: “Ama il prossimo
tuo come il prossimo tuo ama te”, che è la versione narcisistica dell’amore.
13-05-2011
Daniele Benini
Versione narcisistica dell’amore
Nell’altro non amo
l’altro se non nella
misura in cui l’altro
ama me.
Dove quindi il patto di
parola si perde, si
interrompe, perché la
relazione
narcisticoimmaginaria
ha
il
sopravvento.
Prevale questa dimensione quando l’io (il moi) è in primo piano come
assoluta necessità di sostenersi, di credersi un io.
13-05-2011
Daniele Benini
Il verbo “amare” che regge l’”ama il prossimo tuo” è lo stesso
dell’amore narcisistico?
Vediamo quel che ne dice Lacan
Il secondo comandamento [del Decalogo: Non ti
farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù
nel cielo ecc.] esclude qualsiasi immagine e
qualsiasi rappresentazione (di ciò che è nel cielo,
sulla terra e nell’abisso), ovvero l’eliminazione
della funzione dell’immaginario per poter
accedere al simbolico, condizione principale per
avvalersi della funzione della parola come tale.
(Lacan, Sem VII, L’etica della psicoanalisi, TO,
Einaudi, 1994, p. 102 - Einaudi, 2008, p. 96 - mia
traduzione).
Volendo immaginarne la conseguenza topologica, occorrerebbe raffigurarsela come
nello schema a lato, che però è possibile solo come ipotesi scolastica, impossibile
nella realtà, in cui convivono, intrecciate tra loro le due dimensioni.
Il Decalogo è per Lacan esattamente quel che intendeva e intende la tradizione ebraicocristiana, ovvero le dieci parole dell’alleanza che vanno osservate non per “dovere
super-egoico”, ma quale condizione perché possa essere mantenuta l’alleanza tra JHWH
e il suo popolo (a sua volta condizione perché all’interno stesso del popolo vi sia
fraternità, ovvero comunione; non frérocité).
13-05-2011
Daniele Benini
Al centro dell’inconscio - strutturato come un
linguaggio - e intorno ad esso, c’è das Ding.
Come dice Lacan nel sem. VII (p. 89, ed. 1994 – p.
84 ed. 2008 - mia traduzione):
Lacan mette das Ding al cuore del mondo
soggettivo che è quello dei significanti che
costituiscono la struttura dell’inconscio. Volendo
mettere sullo schema das Ding al centro e, insieme,
attorno a questo mondo soggettivo organizzato in
significanti, otteniamo qualcosa di cui potete notare
la difficoltà di rappresentazione topologica".
Das Ding è proprio al centro nel senso
che è escluso.
Vale a dire che in realtà dev’essere posta sia al centro sia come esterna, questa das Ding,
questo Altro preistorico impossibile da dimenticare, di cui Freud afferma¹ la necessità
della posizione originaria, sotto forma di qualcosa di entfremde, di estraneo a me pur
stando al centro di me […].
¹Nella lettera 52 (vecchia numerazione) di Freud a Fliess (in realtà oggi la n.112:
“Attacchi di vertigine e crisi di pianto sono tutte cose dirette verso l’Altro, e per di più
verso quel preistorico indimenticabile Altro che in seguito non sarà mai uguagliato da
nessuno” p.241 Epistolario Freud-Fliess).
13-05-2011
Daniele Benini
Das Ding
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Sono due i riferimenti fondamentali da cui Lacan estrae questo termine.
Il saggio di Heidegger intitolato das Ding, da cui ho tratto precedentemente
alcune citazioni; relativamente a das Ding ci interessa perché Heidegger
mette in risalto il vuoto (ovvero das Ding) attorno a cui il vasaio costruisce la
brocca.
Il progetto di una psicologia di Freud.
Cito il passaggio che ci interessa:“Und so sondert sich der Komplex des
Nebenmenschen in zwei Bestandteile, von denem der eine durch konstantes
Gefüge imponiert, als Ding beisammenbleibt, während der andere durch
Erinnerungsarbeit verstanden, d.h. auf eine Nachricht vom eigenen Körper
zurückgeführt werden kann”.
Trad. it.: “Questo complesso del prossimo” si scinde in due parti costitutive,
di cui l’una si impone per la sua struttura costante, dimora insieme come
cosa (als Ding), mentre l’altra può essere compresa attraverso un lavoro di
rimemorazione, vale a dire ricondotta a una informazione uscita dal corpo
proprio.
Freud, Opere, vol II, Bollati Boringheri, TO, 1989, p. 235 (tenendo presente che la
traduzione è fuorviante, perché traduce Complex des Nebenmenschen con il
complesso di un altro essere umano, mentre è il complesso dell’Altro, lett.:
dell’uomo accanto.
La trad. ted. di “prossimo” del comandamento evangelico è nächste che lett. significa
[il] più vicino ).
13-05-2011
Daniele Benini
“Questo complesso del prossimo” si scinde in due parti costitutive, di cui l’una si
impone per la sua struttura costante, dimora insieme come cosa (als
Ding),[…]”
• Nebenmensch = lett. “L’uomo accanto”, ma non accanto in senso fisico
e magari totalmente indifferente, bensì “l’Altro più intimo al soggetto
che il soggetto stesso, e insieme più estraneo”.
• È attraverso questo “Complesso” che ci si può relazionare tra uomini,
bene o male. Se ciascuno ha potuto elaborare il proprio kakòn, bene, se
no male (soggiacenti i due processi: introiezione, d’ordine simbolico e
proiezione d’ordine immaginario).
• “Questo Complesso si scinde in due parti costitutive, di cui l’una si
impone per la sua struttura costante, dimora insieme als Ding”. Il verbo
è beisammenbleibt, costruito sulla stessa radice samm che si trova
anche nel vocabolo: Volkversammlung (= assemblea del popolo).
Entrambi formati sulla radice indoeuropea *sam o *sama che si ritrova
nel francese ensemble, nell’italiano insieme, nel latino simplex, singuli,
simul; in greco eìs deriva dalla stessa radice e significa uno; eìs eìs: uno
per uno, nota formula psicoanalitica.
• Questa radice dà l’idea della mêmeté, propriamente dello “stesso”, in
lat. idem da cui identità, dunque stessità, in definitiva “uno”. Das Ding
non è divisa e non è divisibile, essa resiste all’operazione di
binarizzazione del linguaggio, da cui non può che cadere fuori, come
resto. Perciò resta fuori significante e in quanto tale designa
propriamente un vuoto, un buco; ma, insieme, l’alterità, la differenza,
perchè inassimilabile in nessun modo.
Da F. Cambon, De quoi est fait l’inconscient, Paris, 2008, p. 63
13-05-2011
Daniele Benini
Chi è il mio prossimo?
In psicoanalisi: cosa è la Cosa?
La questione resta necessariamente senza risposta, perché das Ding, la Chose, la Cosa, è
priva di rappresentazione e di raffigurazione; non la si può né nominare né immaginare o
raffigurare. Però si può dire in negativo: Che non è chi mi sta vicino nel senso della
vicinanza fisica; quest’ultimo è il non-moi, il
non-io rispetto al me (moi) che sono io.
Mentre la “Cosa” è ciò che sta “dietro”, non
davanti a me, è ciò che sta dietro al moi; è
semmai al centro del soggetto, ma, insieme, è
un “fuori” non un “dentro”. È la Cosa nella sua
materialità, in quanto fuori-linguaggio, per
certi aspetti la kantiana Ding an sich (Cosa in
sé). Topologicamente, è paragonabile alla
morte, heideggerianamente: un “aldilà”, un
fuori dalla vita; ma, se l’uomo la pensa, viene
al centro della vita.
E’ da notare la straordinaria affinità con quest'affermazione di Agostino d'Ippona:
«Tu autem eras interior intimo meo et superior summo meo». Tu eri più dentro in me
della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta. (Confess. 3, 6, 11).
Qui nello schema a sinistra abbiamo l’oggetto piccolo a che è l’erede o, meglio, il
risultato dell’elaborazione di Lacan da das Ding ad a piccolo nei tre anni intercorsi tra il
sem VII e il sem X (cfr M. Safouan, Lacaniana* p. 146 nonché B. Baas De la chose à
l’objet, diversi rif.ti).
13-05-2011
Daniele Benini
“Come te stesso”
Se proviamo a intendere il termine “prossimo”
come quella “Cosa” che è più intima all’uomo e
insieme più estranea (come ci suggerisce Lacan,
cap. VI sem VII), e la elaboriamo” insieme
all’autòs greco in opposizione all’autoriflessione
fenomenologica, ci avviciniamo molto ad
un’affermazione di Agostino d’Ippona: Noli foras
ire, in te redi, in interiore homine habitat veritas
(De vera religione, XXXIX,7). [Non posso qui
non pensare a come termina l’ultima Meditazione
Cartesiana di Husserl].
La Cosa è sede delle pulsioni, degli appetiti più
bestiali, come delle sublimazioni più eccelse; è
attraverso di essa che si odia o si ama ed è, nel
contempo, ciò che si ignora radicalmente.
Prossima all’io (moi, Ich), ma da esso separata, si
trova rispetto ad esso in una distanza intima - ci
dice Lacan (p. 95 sem VII)- che si chiama
prossimità.
La nostra ricerca del bene (nel corso della quale si incontra spesso il male – ed è in
questo seminario che si comincia a intravedere la nozione di godimento) è anche ricerca
di ciò che torna allo stesso posto, come gli astri per gli antichi e come il reale – oggi - del
soggetto; sta qui il fondamento dell’etica, ci dice Lacan, fondamento non inconcussum,
aggiungiamo, perché è un fondamento senza fondamento. Una garanzia senza garanzia.
13-05-2011
Daniele Benini
PER CONCLUDERE
Il buon samaritano, dipinto di
Van Gogh del 1890.
Carico
di
tutta
la
sua
sofferenza, insieme a tutto il
suo affetto per l’umanità.
Non
a
caso
l’anno
di
composizione
di
questo
dipinto è anche l’anno della
sua morte.
- Grazie per l’attenzione 13-05-2011
Daniele Benini
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