Biografia di Giotto di Bondone (1267 ca - 1337) • Giotto nacque probabilmente nel 1267, a Colle, frazione di Vespignano, presso Vicchio di Mugello. Di famiglia contadina, si racconta che egli venisse notato dal Cimabue mentre ritraeva il suo gregge sui sassi e preso dal maestro a bottega. Dopo l'inurbamento della famiglia, Giotto dovette, infatti, frequentare la bottega d'un pittore: le sue prime esperienze artistiche, per stile e composizione, avvalorano la tesi dell'identificazione del maestro in Cenni di Pepo, detto Cimabue. Con lui, Giotto poté visitare Roma e Assisi. • In breve tempo egli divenne a sua volta maestro e il suo stile innovativo iniziò lentamente ad affermarsi, pur trovandosi ancora in minoranza (Corso di Buono, con il suo rigido stile cimabuesco, è a capo della Confraternita dei pittori nel 1295). All'ultimo ventennio del secolo va ascritta la datazione delle sue più antiche opere fiorentine: la "Madonna di San Giorgio alla Costa" e il "Crocifisso" in Santa Maria Novella. Crocifisso di Santa Maria Novella, 1311-1312 • Nel 1287, intanto, Giotto si sposò con Ciuta di Lapo del Pela, dalla quale ebbe cinque figli: quattro femmine e un maschio. Negli anni a cavallo tra il Duecento e il Trecento, il maestro si divise tra Roma e Assisi. Qui controllò l'andamento della decorazione della Chiesa Superiore di San Francesco; a Roma, invece, attese al lavoro del ciclo papale nella Basilica di San Giovanni in Laterano e ad altre decorazioni in occasione del Giubileo del 1300, indetto da Papa Bonifacio VIII. È questo il periodo di massimo splendore per Giotto Assisi, Francesco al capitolo di Arles Assisi, Francesco e il miracolo del fuoco davanti al sultano Assisi, Santa chiara depone il corpo di Francesco Assisi, il presepe di Greccio Negli affreschi della Basilica di Assisi quello che viene rappresentato è un S. Francesco in forma ormai totalmente clericalizzata priva degli aspetti più rivoluzionari della sua figura. Ai tempi di Giotto, infatti, la figura di Francesco era nota per gli scritti di S. Bonaventura che si preoccupò di eliminare le parti dell’epopea francescana che più disturbavano la Chiesa (ad es. la solidarietà verso i poveri e gli oppressi, la spoliazione dalle ricchezze, ecc.). Vediamo così che il presepe di Greccio è diventato una chiesa ricca con fedeli ricchi ed elegantemente vestiti e che ad essere messa in evidenza è la similitudine con la vicenda del Cristo, testimoniata dalla presenza dei miracoli e dalla deposizione del corpo del santo che riprende le varie deposizioni del Cristo. Maestro affermato con una nutrita bottega, uomo ricco con proprietà terriere (confermate da documenti fiorentini), egli aveva superato per fama il suo mentore Cimabue. Lo stesso Dante scrisse, infatti, "credette Cimabue nella pittura tener lo campo", ma "ora Giotto ha il grido". Tale fu la sua fama che egli venne chiamato nell'Italia settentrionale - fatto eccezionale per l'epoca - per realizzare il suo capolavoro: il ciclo pittorico della Cappella degli Scrovegni di Padova. Cappella degli Scrovegni, Annunciazione Scrovegni, Strage degli innocenti Nella diapositiva precedente è rappresentata la strage degli innocenti. Probabilmente Giotto si ispirò alle stragi compiute dal tiranno Ezzelino che uccise molti bambini durante gli anni del suo governo. Enrico Scrovegni offre la chiesa a Dio Nella precedente diapositiva viene raffigurato il committente, Enrico degli Scrovegni, mentre offre la chiesa a Dio. Quella raffigurata avrebbe dovuto essere la struttura originale della cappella che in seguito venne modificata. La sua costruzione attirò sugli Scrovegni l’ira dei monaci eremitani che avevano la loro sede vicino alla chiesa. La gente infatti andava a messa nella nuova sede disertando la loro chiesa e, di conseguenza, facendo diminuire le elemosine. Ufficialmente Enrico degli Scrovegni fece costruire la chiesa per emendare i peccati del padre, diventato ricco prestando denaro a usura. Nelle tre diapositive precedenti abbiamo un classico esempio della struttura narrativa che Giotto inserisce nei dipinti. Si tratta dello sposalizio della vergine. Nel primo affresco assistiamo alla consegna delle verghe che i pretendenti portavano al sacerdote. Notate come Giuseppe resti in disparte. Era molto anziano e riteneva di non avere la possibilità di diventare il prescelto di Maria. Le verghe vengono benedette, come si vede nella seconda scena. Nella terza scena, che rappresenta il matrimonio, si può notare che uno dei pretendenti spezza la sua verga, seguendo la tradizione ebraica. Nel nord dipinse, inoltre, opere oggi perdute, citate da Riccobaldo Ferrarese. Dal 1311 in poi Giotto tornò a Firenze: la sua presenza in città è testimoniata dai documenti di alcune speculazioni finanziarie svolte da un novero di avvocati (addirittura dieci) per suo conto. Nel 1327 s'iscrisse all'Arte dei Medici e degli Speziali: all'epoca, dovette aver già concluso i dipinti della Cappella Peruzzi e Bardi nella Chiesa francescana di Santa Croce, e il polittico francescano, connesso stilisticamente con questo ciclo pittorico e oggi smembrato in vari musei. L'anno successivo il pittore risulta impegnato in un lavoro a Napoli per Roberto d'Angiò, di cui però nulla è sopravvissuto. Da Napoli si spostò nuovamente a Firenze solo quando fu nominato (12 aprile 1334) capomaestro dell'Opera del Duomo di Firenze. Iniziati subito i lavori per il campanile, non portò mai a termine l'opera: morì, infatti, l'8 gennaio 1337. L'Opera di Giotto di Bondone Nel Duecento una sinergia di fattori economici politici e sociali determinò la fortuna della città di Firenze. Nel contempo, le mutazioni sociali identificarono una nuova classe: il popolo, che di lì a poco sarebbe divenuto la borghesia. Furono queste alcune delle caratteristiche dell'epoca in cui si formò e iniziò la sua attività artistica Giotto di Bondone. A ciò si aggiunga l'ascesa incontrastata dell'ordine religioso dei francescani, con cui il maestro ebbe a collaborare quasi tutta la vita e dal quale fu influenzata la sua cultura e - di conseguenza la sua attività. Ovunque la religione francescana fu accolta come il culto proprio del popolo (quindi della borghesia), soprattutto nei centri rurali e presso i ceti contadini. Boccaccio definì Giotto "il miglior dipintor del mondo": la sua fama d'innovatore del gusto e dello stile artistico iniziò subito, sin dai primordi della sua attività. Sull'ipotesi che Giotto sia stato l'artefice di un profondo mutamento del linguaggio figurativo la critica d'arte ha molto discusso. Se è vero, infatti, che non si può attribuire a una sola persona un generale mutamento culturale e artistico, è altrettanto vero che nell'arte - come in politica e in letteratura - alcune singole personalità si trovano a dare un'impronta fondamentale e un impulso unico al cambiamento. La tradizione, comunque, afferma unanime che Giotto fu iniziatore di uno stile nuovo, il quale segnò un punto di rottura con il passato, aprendo la via alla modernità del gotico che sarebbe venuto. Già alcuni germi del gotico francese erano presenti nella compagine artistica della metà del Duecento. Il Battistero di Pisa e il Pulpito del Duomo di Siena (opera di Nicola Pisano, del figlio Giovanni e di Arnolfo di Cambio) erano lontani dalla scultura romanica e più vicini al gotico d'oltralpe. Assisi, già luogo di scambi artistici provenienti dall'estero (i frati francescani vi confluivano da ogni parte del mondo), divenne sede di un nuovo gusto artistico. Le prime esperienze artistiche di Giotto oscillarono tra il neo-romanico e il gotico, spesso sottintendendo una base classica. Le "Storie di Isacco", la "Madonna" di San Giorgio alla Costa, la "Volta dei Profeti", le "Storie del Nuovo e dell'Antico Testamento" della Chiesa di Assisi dimostrano l'uso di un apparato classico, eppure svelano alcune importanti novità. La struttura logica della composizione risponde a un criterio di centralità della narrazione. Ogni elemento è secondario al racconto, secondo una mentalità che Giotto ha in comune con la laica borghesia in ascesa. La classicità in Giotto è ciò che egli stesso definiva "antico", nel senso dantesco del termine, come riconoscimento dei classici in quanto possessori del miglior metodo di interpretazione della realtà. La differenza del suo guardare ai classici è la totale mancanza di vena nostalgica, che invece pervade un autore quale Cimabue. La "Madonna" di San Giorgio alla Costa di Giotto presenta ancora elementi arnolfiani nella squadratura del blocco del Bambino benedicente, ma allo stesso tempo reca le impronte del gusto gotico nella sinuosa eleganza lineare dei due angeli. A ciò si aggiunga l'intento evidente di rendere terrena e tangibile la figura della Vergine, assisa saldamente in trono. Lo stesso realismo pervade il "Crocifisso" di Santa Maria Novella. Giotto supera qui la tradizione bizantina e il Cristo si trasforma da icona, simbolo araldico della Passione, in uomo terreno crocifisso. Quest'opera si data, per induzione cronologica, al 1290; di lì a poco il maestro dipinse le prime opere nel San Francesco superiore di Assisi. Lo svolgimento dello stile pittorico di questo ciclo implica un rinnovamento delle modalità di rappresentazione mai avvenuto prima nella storia dell'arte. Se l'avvio è dalla maniera bizantina (luci e ombre ben delineate, mani, occhi, bocche rappresentate secondo formule prestabilite, composizioni codificate), lo svolgimento cambia nettamente. Giotto riportò i vocaboli e le cifre ai significati del suo tempo, rinforzò il chiaroscuro (mutuando questo senso delle ombre dalla scultura coeva), tenne ben presente l'unitarietà della rappresentazione e la plasticità della medesima, dunque puntò tutti i suoi sforzi per passare dalla scrittura alla rappresentazione. Il pittore attese a tutte le sue opere con un intento consapevole di distacco dalla tradizione e di rivoluzione pittorica. Negli anni sviluppò una capacità di narrazione che ha contribuito a definirlo autore drammatico ancor prima che pittore naturalistico. Ne è massimo esempio la sua opera più celebre, la Cappella degli Scrovegni di Padova. Realizzata in soli due anni di lavori, dal 1305 al 1307 (velocità che suggerisce un'innovativa organizzazione del cantiere), essa è composta intorno al tema centrale della salvazione. Il percorso è carico di rispondenze, parallelismi, significati simbolici e innovazioni formali. Qui Giotto utilizzò antiche tecniche romane, recuperate dal passato, ma anche un modo nuovo di dipingere, con l'uso di sapienti artifici per una resa più fluida della rappresentazione: così rinnovò e superò radicalmente la tradizione bizantina. Le fonti d'ispirazione per il tema furono la Leggenda Aurea e i Vangeli Apocrifi, ma anche testi classici e della devozione francescana. È, inoltre, verosimile che il programma iconografico-iconologico della Cappella fosse opera di un dotto consigliere teologico.