Michel de MONTAIGNE
(1533-1592)
Precursore del pensiero moderno
e del “pensiero debole”
prof.ssa Maria Elena
Auxilia
vita
Montaigne (1533-1592) appartiene ad una famiglia di modesta
nobiltà. Compie gli studi primari a Bordeaux e successivamente
a Toulouse. A 21 anni è consigliere alla Cour des Aides di
Périgueux e quindi al Parlamento di Bordeaux, dove mantiene la
carica fino al 1570. Nel 1558 incontra l'umanista Etienne de la
Boétie, che diventa suo carissimo amico.
Nel 1570 abbandona la carica al Parlamento e si ritira a vita
privata nel suo castello, dove, in una torre, raccoglie una ricca
biblioteca. Scrive i suoi Essais immerso nella lettura dei classici,
ma non trascura i moderni. Percorre un lungo viaggio attraverso
l'Europa, anche in Italia. Tra il 1581 e il 1588 riprende gli incarichi
pubblici accettando di diventare sindaco di Bordeaux. Cattolico
convinto mantiene in politica un atteggiamento rigidamente
lealista e conservatore. Muore lasciando incompiuta l'opera di
revisione definitiva dei suoi Essais.
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Auxilia
Essais
Il termine Essais vuol dire
assaggi,
sperimentazioni,
ricerche, esperienze, perché
Montaigne intende confrontare
le esperienze degli antichi con
le proprie.
L'esistenza è per lui un problema sempre aperto,
un'esperienza continua, che non può mai
concludersi definitivamente e deve quindi sempre
chiarirsi. Essa è costantemente protesa verso il
futuro: l'uomo ha una costante preoccupazione per il
futuro. "Noi siamo sempre al di là di noi stessi; il
timore, il desiderio, la speranza ci lanciano verso
l'avvenire...". Dovremmo invece imparare a non
essere troppo presuntuosi e ad accettare
serenamente la nostra condizione: l'uomo non deve
cercare di essere più di uomo. E della condizione
umana è elemento costitutivo la morte: "Tu muori
perché sei vivo".
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Auxilia
Nella prefazione alla sua opera scrive: "Sono
io stesso la materia del mio libro". Dunque il
meditare, il filosofare è inteso da Montaigne
come un continuo sperimentare se stessi, un
continuo riferimento a se stessi.
L'uomo deve dunque accettare il suo destino
di essere mortale per poter vivere meglio: il
pensiero che si è mortali suscita un impegno
a vivere, a vivere meglio, più profondamente
e
pienamente.
L'uomo
deve
anche
riconoscere che sa ben poco, che la ragione
ha dei limiti, che la scienza può sbagliare.
Insomma, in realtà, "que sais-je?" (che cosa
so io?).
Il problema però non è tanto che cosa si sa o
che cosa non si sa, quanto piuttosto che cosa
si può e si deve fare.
La saggezza consiste nel vivere bene: "Il mio
mestiere, la mia arte, è vivere".
La saggezza
La saggezza di Montaigne non si
basa né sulla rivoluzione né
sull'utopia. La sua saggezza
consiste nella ricerca di una felicità
terrena e nel modo migliore per
conseguirla: da qui l'abbandono di
ogni
orgoglio
intellettuale,
l'accettazione dell'esistenza nei
suoi vari aspetti, cioè la tolleranza
verso le nostre fragili illusioni, le
nostre
piccinerie,
i
nostri
peccatucci abituali, persino una
certa dose di follia, per accettare
appunto i piaceri che la vita ci può
offrire, sopportando i mali e le
avversità.
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Auxilia
Gli Essais furono considerati il libro più
personale che fosse mai stato scritto, fino
a quel momento, nella letteratura
universale. La sua originalità, rispetto alle
autobiografie classiche e alle confessioni
e ai soliloqui cristiani, sta nell'aver posto
al centro di un'opera letteraria l'autoritratto
di un uomo del tutto ordinario, di una vita
privata spoglia di eventi o di circostanze
straordinarie.
Il procedimento autobiografico seguito da
Montaigne nei suoi Essais mira alla conoscenza
dell'uomo a partire dalla conoscenza di se stesso.
Gli Essais, tuttavia, non costituiscono una vera e
propria autobiografia o un libro di confessioni, ma
distillano nella scrittura le riflessioni personali
dell'autore sul mondo e su se stesso, delimitando
un campo di conoscenze nel quale egli
sperimenta il proprio pensiero e lo mette alla
prova. Non esistendo negli Essais un disegno
unitario, il lettore è autorizzato a letture parziali e
soggette a interpretazioni personali.
Ricerca della conoscenza di sé
i Saggi sfidano il lettore a cimentarsi
a sua volta nella ricerca della
conoscenza di sé, poiché "ciascuno
reca in sé la forma intera della
condizione
umana".
La
frammentarietà
degli
Essais
nasconde anche un preciso intento
polemico dell'autore contro le
pretese dei filosofi tradizionali di
pervenire a conoscenze definitive
ed esaurienti della realtà. Nel
pensiero di Montaigne si possono
distinguere
tre
componenti
filosofiche principali: una di matrice
stoica, una scettica e una epicurea.
Ciò non significa
un'adesione passiva di Montaigne agli
insegnamenti di queste scuole filosofiche antiche, ma uno sforzo
di rielaborarne originalmente gli approcci filosofici di fondo, nella
prospettiva di una saggezza intrisa dei temi dell'umanesimo e
dell'individualismo che avrebbe contraddistinto gran parte del
pensiero moderno. Ma è soprattutto lo scetticismo (che traspare
dalla domanda "que sais-je?", sempre ricorrente negli Essais), a
conferire al pensiero di Montaigne il carattere di una riflessione
distaccata sulle contraddizioni e le incoerenze proprie della
natura umana.
Negli antichi Montaigne cerca i segni di una fraternità,
all'insegna di una comune miseria, fra gli uomini di tutti i
tempi e paesi. Il suo interesse non si rivolge a ciò che sta
principalmente a cuore ai grandi uomini (gloria e memoria
delle loro imprese), ma ai particolari oscuri e rivelatori,
spesso omessi o dimenticati dallo storico.
La natura di cui parla è il tutto che ingloba l'insieme delle cose singole, il nodo in cui si
intrecciano i dissonanti aspetti dell'esistenza, l'ordine celato in cui si accorda il disordine
apparente del mondo. Montaigne si serve di accenti lucreziani per celebrare questa Madre
Natura in cui gli opposti si incontrano e si conciliano: vita e morte, gioia e dolore, pace e
guerra, salute e malattia. Per Montaigne "Dio" e "natura" sono quasi sinonimi.
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Rifiuta il pregiudizio verso i
"diversi"
Montaigne rifiuta il
pregiudizio verso
le popolazioni sudamericane
considerate dagli europei
barbare e selvagge
utilizzando
l'argomento
della relatività
delle opinioni
e dei costumi
dei popoli
Selvaggio assume il significato positivo di naturale, non corrotto dalla
civiltà. Queste popolazioni "diverse" per usi e costumi, appartengono
comunque alla stessa natura umana. Montaigne idealizza la vita
selvaggia e afferma che "noi civilizzati" non abbiamo il diritto di
giudicarli, in quanto in assenza di un criterio razionale veramente
universale dobbiamo accontentarci di ribadire la nostra relatività dei
punti di vista
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Montaigne e il “moderno”
Montaigne rifiuta il principio di
autorità a cui costantemente
ricorrevano i Medioevali e come
trionfo del dubbio sulla certezza
metafisica
il moderno prende le mosse e da Montaigne
e da Cartesio, cadendo così in una
(almeno) apparente aporia, dettata dalla
così netta diversità tra questi due pensatori:
l’intera modernità è percorsa
da due diverse scuole di
pensiero, spesso in conflitto
tra loro, miranti e
l’una a cogliere
metafisicamente il reale e
l’umano (Hobbes, Spinoza,
Hegel, Marx)
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il moderno è segnato da un
bifrontismo tale per cui l’uomo
montaigneiano, dubitante in un
mondo che non dà certezze,
convive in perfetta armonia con
quello cartesiano, certo delle sue
conoscenze assolute che gli
permettono di avere conoscenze
(laddove esse siano “chiare e
distinte”) non meno precise di
quelle che ha Dio.
l’altra (Pascal, Hume, Nietzsche) a mettere in
evidenza
l’impossibilità
di compiere
tale
operazione, limitando perciò il conoscere umano
al dubbio e all’incertezza.
Differenze con Cartesio
Sia Cartesio sia Montaigne inaugurano l’epoca
moderna, ma solo Montaigne è veramente
moderno fino in fondo, ed è nelle sue pagine
che si riconoscono i lineamenti dell’uomo
moderno, fluttuante nel dubbio e lontano dalle
chimeriche certezze garantite da una
metafisica capace di gettar nebbia sul dubbio
stesso, ma non di dissiparlo con l’antidoto
della reale certezza.
Per Montaigne il moderno è rinuncia di cercare una
certezza che gli antichi – così pieni d’ingegno e di
sagacia – non sono riusciti a conquistare
Egli libera l’uomo tanto dalle catene del divino
quanto da quelle della metafisica, proponendoci
l’immagine di un mondo caotico in cui le certezze
vengono a mancare e anche quelle che
unanimemente vengono considerate tali non
sfuggono ai martellanti colpi del dubbio.
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Per Cartesio il moderno è conquista di quella certezza
che l’antico non è stato in grado di procurare
Cartesio, libera la prospettiva dai vincoli dei cieli
religiosi, ma non riesce a portare l’istanza di
riappropriazione della terra fino in fondo, restando
saldamente legato al cielo per quel che concerne la
rigorosa veduta metafisica di cui il suo pensiero si nutre
La ragione così come la intende Cartesio, onnipossente
e incontrastata, capace di produrre conoscenze
assolutamente certe, verrà non a caso messa alla
berlina dai più grandi pensatori dell’età illuministica, che
resteranno sì fedeli alle potenzialità gnoseologiche
dell’uomo, ma nella consapevolezza che esse siano pur
sempre limitate e impossibilitate a conoscer tutto: così
Kant instaurerà un immaginario tribunale della ragione,
in cui essa svolge la duplice mansione di giudice e di
imputato, poiché è essa stessa ad indagare sui propri
limiti costitutivi
Montaigne Cartesio Voltaire Locke
Voltaire attacca Cartesio e la
sua concezione della ragione
illimitata e inattaccabile, che
pretende di conoscere ogni
cosa ma che in realtà non arriva
a nulla e, più che risolvere i
problemi, ne genera di nuovi
Locke alla ragione sconfinata e acritica,
dogmaticamente certa di sé, prospettando
l’immagine di una ragione accostabile ad una
candela capace illuminarci il cammino, ma di una
luce fioca e insufficiente per cogliere la realtà nella
sua interezza.
Montaigne vede nella ragione un proficuo strumento in grado di
fornire, più che certezze assolute, utili accorgimenti per la vita
comune, validi consigli per muoversi nella caoticità di
un’esistenza di per sé priva di certezze non pretende di
conoscere il mondo nella sua interezza, ma si accontenta di
frugare fra le pieghe dell’animo umano, fluttuando costantemente
nel dubbio, dal quale non riuscirà mai ad uscire completamente,
rivelando in ciò una matrice scettica.
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La differenza tra Locke e
Cartesio si configura allora
come
differenza
tra
il
moderno in senso pieno e il
moderno in senso parziale,
Locke sa bene che ogni
nostra
conoscenza,
per
quanto
profonda
possa
essere e sempre e di nuovo
integrata da altre, non potrà
mai esaurire la realtà; per
Cartesio, invece, la ragione
può tutto, cosicchè, se ben
condotta, può portarci alla
comprensione
dell’intera
realtà.
Il dubbio
Nel capitolo XXVI dei “Saggi”, egli scrive
significativamente: “soltanto i pazzi sono sicuri e
risoluti”, aggiungendo a conferma della funzione
conoscitiva del dubbio il verso dantesco: “che non
men che saper dubbiar m'aggrada”. La posizione
del saggio sarà allora quella di chi – liquidando la
chimerica pretesa di conoscere il reale nel suo
complesso – si accontenterà di piccole conoscenze
utili per la vita quotidiana, conoscenze che, in forza
di tale aspetto ridimensionato, non possono che
essere strutturalmente deboli.
Anche Cartesio fa del dubbio il suo cavallo di battaglia, ma
in modo del tutto diverso: Montaigne parte dal dubbio e vi
rimane, prendendo atto dell’impossibilità di conoscenze
“forti” che rendano conto della struttura del reale; in
Cartesio il dubbio è un gradino per raggiungere la certezza,
si serve di esso per eliminarlo: revocata in dubbio ogni
cosa, non appena rinviene nel cogito, ergo sum
l’incontestabile punto archimedico su cui far poggiare una
conoscenza illimitata e certa, che non possa essere in
alcun modo corrosa da dubbi. Quello di Cartesio non è un
dubbio genuino, di cui egli sia stato effettivamente in balia:
il suo è invece un dubitare meramente metodico e
artificiale, un voler dubitare su cose di cui in realtà si è certi
per considerare quali conseguenze ne derivino.
La prospettiva cartesiana è ribaltata: il dubbio di
Montaigne non è artificiosamente impiegato, ma genuino
ed in esso egli resta impigliato a tal punto da non trovar
via d’uscita: perfino la sfera dell’interiorità ne è contagiata,
sicchè l’io non costituisce il punto cardinale su cui far leva
per sfuggire al dubbio, ma è anzi un’incerta zona d’ombra
alla pari della realtà esterna, una zona in cui non si ha
potere e in cui, addentrandosi, si finisce per smarrire la
via.
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l’autentico uomo moderno
Cartesio
si
adopera
per
individuare un metodo in grado di
guidare la ragione umana ad una
certezza così salda da non poter
più essere scalfita da alcun
dubbio,
Montaigne mette preventivamente in guardia il lettore, nella
prefazione ai Saggi, dal ritenere che il suo scritto sia animato dalla
pretesa di dispensare verità o precetti universalmente validi e utili, Al
preteso universalismo di stampo metafisico che soggiace alle opere
cartesiane si oppone l’utilitarismo personalistico di Montaigne, che
scrive non già per imbandire verità o nozioni valide e utili per tutti gli
uomini, bensì per conoscersi meglio
Ma, non è forse il dubbio, questo inseparabile compagno
del filosofare montaigneano, una delle più tipiche e
abituali componenti dell’uomo moderno? Più che
raccoglier certezze, non deve egli seminare dubbi? Ne
segue che l’immagine dell’autentico uomo moderno si
rispecchia molto più nel pensiero sempre e di nuovo
dubitante di Montaigne che non in quello di Cartesio,
dogmaticamente riposante su verità già accertate
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nello scontro tra il dogmatismo cartesiano e il criticismo montaigneano
possiamo leggere in filigrana l’affacciarsi sullo scenario filosofico di quella
distinzione – magistralmente colta da Vattimo – tra il “pensiero forte”,
certo delle sue verità (in nome delle quali è anche pronto a brandire la
spada) e il “pensiero debole”, rifiutante le categorie forti e le legittimazioni
onnicomprensive, consapevole dei propri limiti intrinseci e, perciò, pronto
ad aprirsi agli altri, poiché – non potendo essere mai data la verità nella
sua interezza – è solo dal confronto e dal dialogo che la conoscenza può
andare via via arricchendosi, senza tuttavia mai giungere a traguardi ultimi
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Michel de Montaigne