AMOR PROPRIO
E AMOR DI SÉ
NEI MORALISTI
DELLA PRIMA
MODERNITÀ
Dr. A. Frigo
Pisa, 17-21 marzo 2013
Per quante scoperte siano
fatte nel paese dell’amor
proprio, vi restano ancora
molte terre sconosciute.
La Rochefoucauld, Massime, §
3
Che impressione ne riceverebbe
anche
La
Rochefoucauld,
Labruyère e Vauvenargues se
nell’Ade capitasse loro di leggere
il Suo libro? E cosa ne direbbe il
vecchio Montaigne? Frattanto
conosco un paio di Suoi motti che
La Rochefoucauld, per esempio,
potrebbe davvero invidiarle.
J. Burckhardt a Nietzsche, 5 aprile
1879
La nostra lingua ha l’ottima abitudine di
distinguere l’amor proprio (amour propre)
dall’amore di noi stessi (amour de nousmêmes). L’amore di noi stessi è l’amore in
quanto legittimo e naturale. L’amor
proprio è l’amore in quanto viziato e
corrotto.
J. Abbadie, L’art de se connaitre soi-même ou
la recherche des sources de la morale, 1692
Saint François de Sales mi diceva spesso
che è dalla confusione di queste due
espressioni, amour propre e amour notre, che
nascono infiniti disordini nei pensieri e
nelle azioni umane.
J.P. Camus, L’Esprit du bienheureux François
de Sales, 1639-41
Ognuno ha caro se stesso più del prossimo
suo
Euripide, Medea, 86
La gran parte degli uomini ha nella sua
anima fin dalla nascita il peggiore dei vizi
[...]. E con ciò intendo riferirmi al principio
- peraltro è del tutto logico che così debba
essere - secondo cui ogni uomo è portato
per natura ad amare se stesso. Di fatto,
però, causa di tutti i vizi per ognuno di noi
è il più delle volte una forma eccessiva di
questo amore di sé, perché se è vero che
l'amante ama ciecamente l'oggetto amato, è
anche vero che per questo egli non valuta
in maniera esatta il giusto, il bene e il male.
Platone, Leggi, 731 D-E
C’è, poi, un’altra questione: si deve
amare soprattutto se stessi o un’altra
persona? Infatti, coloro che amano
soprattutto se stessi sono biasimati e
sono chiamati, in senso dispregiativo,
egoisti, e si ritiene comunemente che
l’uomo
malvagio
faccia
tutto
nell’interesse di se stesso, e tanto più
quanto più è perverso. L’uomo
virtuoso, invece, agisce per la bellezza
morale, e tanto più per la bellezza
quanto più è virtuoso, e a favore
dell’amico, trascurando
il proprio
interesse.
Aristotele, Etica nicomachea, IX, 8
L’uomo buono deve dunque amare se stesso
(infatti, se compirà buone azioni, trarrà
vantaggio lui stesso e gioverà agli altri); ma
non deve farlo il malvagio, giacché danneggerà
se stesso ed il prossimo, perché segue passioni
cattive. […] Ed è vero che l’uomo virtuoso
compie molte azioni in favore dei suoi amici e
della patria, ed è anche disposto a morire per
loro […]. Preferirà, infatti, un breve momento
d’intensa gioia ad una lungo periodo di
soddisfazione tranquilla, un anno di vita
esaltante a innumerevoli di un’esistenza
meschina, e vorrà compiere una sola grande e
bella azione piuttosto che molti gesti da nulla.
Senza dubbio è questo risultato che ottengono
coloro che sacrificano la propria vita: ciò che
scelgono per sé è qualcosa di grande e di bello.
Aristotele, Etica nicomachea, IX, 8
Nessuno odia la propria carne.
Paolo, Lettera agli Efesini, V, 29
Amerai il prossimo tuo come te stesso.
Levitico, IX, 18 e Matteo, XXII, 37-40
Or sappi questo: negli ultimi giorni verranno
tempi difficili; perché gli uomini saranno
egoisti, amanti del denaro, vanagloriosi,
superbi, bestemmiatori, ribelli ai genitori,
ingrati,
irreligiosi,
insensibili,
sleali,
calunniatori, intemperanti, spietati, senza
amore per il bene, traditori, sconsiderati,
orgogliosi, amanti del piacere anziché di Dio,
aventi l'apparenza della pietà, mentre ne hanno
rinnegato la potenza.
Paolo, Seconda lettera a Timoteo, III, 2
Quattro dunque sono le cose che dobbiamo amare:
una è sopra di noi, un'altra siamo noi stessi, una
terza ci è assai vicina, una quarta è inferiore a noi.
Riguardo alla seconda e alla quarta non occorreva
che ci venisse dato alcun precetto, poiché l'uomo,
per quanto devii dalla verità conserva sempre
l'amore per se stesso e per il suo corpo.
In conclusione, non c'è bisogno di leggi perché
ciascuno ami se stesso o il suo corpo, cioè quello che
siamo noi e quello che è al di sotto di noi ma fa parte
di noi. Ciò amiamo per una basilare legge di natura
che è stata partecipata anche agli animali, i quali di
fatto amano se stessi e il loro corpo. Per questo
motivo non restava altro se non che ci venissero
impartiti precetti concernenti ciò che è al di sopra di
noi o accanto a noi. Dice: Amerai il Signore Dio tuo con
tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua
mente, e amerai il prossimo tuo come te stesso. In questi
due precetti si compendia tutta la Legge e i Profeti.
Agostino, Della dottrina cristiana, I, 23, 22; 26, 27
Due amori dunque diedero origine a due città,
alla terrena l'amor di sé fino all'indifferenza per
Iddio, alla celeste l'amore a Dio fino
all'indifferenza per sé. Inoltre quella si gloria in
sé, questa nel Signore.
Agostino, La città di Dio, XIV, 1; 28
È dunque per concupiscenza o per carità; non
che non si debba amare la creatura, ma se
questo amore viene riferito al Creatore, non
sarà più concupiscenza, ma carità. […] Tu devi
compiacerti di te stesso, non in te stesso bensì
in Colui che ti ha creato.
Agostino, La trinità, IX, 8, 13
L’unica sorgente dell’amore, che sgorga dentro
di noi, alimenta due ruscelli: uno è l’amore del
mondo, ossia la concupiscenza, l’altro è l’amore
di Dio, ossia la carità.
Pseudo-Agostino [Ugo da San Vittore], La
natura dell’amore
È impossibile che chi si ama non odi Dio e,
parimenti, che chi ama Dio non odi se stesso.
L’uno vede in se stesso il fine ultimo di tutti i
suoi desideri, l’altro invece cerca solo Dio: in
effetti si preoccupa di se e si ama solo in vista
di Dio, ossia essendo pronto a rinunciare
all’amore e alla cura di sé per Dio, e anche a
immolarsi per lui.
Giansenio, Augustinus (1640)
Nell’anno di Cristo 1571, all’età di 38 anni, la
vigilia delle calende di marzo, nell’anniversario
della sua nascita, Michel de Montaigne, già da
lungo tempo stanco della schiavitù della corte e
delle cariche pubbliche, ancora in buona salute
si ritirò nel seno delle dotte Vergini, dove in
calma e sicurezza trascorrerà i giorni che gli
restano da vivere; sperando che il destino gli
conceda
di
portare
a
compimento
quest’abitazione e questo dolce rifugio avito,
l’ha consacrato alla sua libertà, alla sua
tranquillità e al suo ozio.
Iscrizione del cabinet di Montaigne
Recentemente, quando mi sono ritirato
a casa mia, risoluto per quanto lo
potessi a non occuparmi d'altro che di
trascorrere in pace e appartato quel po'
di vita che mi resta, mi sembrava di
non poter fare al mio spirito favore più
grande che lasciarlo, nell'ozio più
completo, conversare con se stesso e
fermarsi e riposarsi in se medesimo:
cosa che speravo potesse ormai fare più
facilmente, divenuto col tempo più
posato e più maturo.
Montaigne, Essais, I, 8
Questo, lettore, è un libro sincero. Ti avverte fin dall'inizio
che non mi sono proposto, con esso, alcun fine, se non
domestico e privato. Non ho tenuto in alcuna
considerazione né il tuo vantaggio né la mia gloria. Le mie
forze non sono sufficienti per un tale proposito. L'ho
dedicato alla privata utilità dei miei parenti e amici:
affinché dopo avermi perduto (come toccherà loro ben
presto) possano ritrovarvi alcuni tratti delle mie qualità e
dei miei umori, e con questo mezzo nutrano più intera e
viva la conoscenza che hanno avuto di me. Se lo avessi
scritto per procacciarmi il favore della gente, mi sarei
adornato meglio e mi presenterei con atteggiamento
studiato. Voglio che mi si veda qui nel mio modo d'essere
semplice, naturale e consueto, senza affettazione né
artificio: perché è me stesso che dipingo. Si leggeranno qui i
miei difetti presi sul vivo e la mia immagine naturale, per
quanto me l'ha permesso il rispetto pubblico. Ché se mi
fossi trovato tra quei popoli che si dice vivano ancora nella
dolce libertà delle primitive leggi della natura, ti assicuro
che ben volentieri mi sarei qui dipinto per intero, e tutto
nudo. Così, lettore, sono io stesso la materia del mio libro:
non c'è ragione che tu spenda il tuo tempo su un
argomento tanto frivolo e vano. Addio dunque; da
Montaigne, il primo di marzo millecinquecentottanta
Mi si dirà che questo proposito di servirsi di sé
come soggetto nello scrivere sarebbe
giustificabile in uomini rari e famosi i quali, per
la loro fama, avessero fatto sorgere qualche
desiderio di conoscerli […] A nessun altro si
addice farsi conoscere, tranne a colui che ha di
che farsi imitare, e la vita e le opinioni del
quale possono servire di modello.
L'uso ha fatto un vizio del parlar di se stessi, e
lo proibisce ostinatamente per odio della
vanteria che sembra sempre esser congiunta
alle testimonianze personali.
Montaigne, Essais, II, 18; II, 6
Non sto innalzando qui una statua da erigere al
crocicchio d’una città, o in una chiesa o su una
pubblica piazza […]. È per l’angolo d’una
biblioteca, e per intrattenere un vicino, un
parente, un amico, che avrà piacere di
riavvicinarsi a me e frequentarmi di nuovo in
quest'immagine. Gli altri hanno trovato il
coraggio di parlare di sé perché hanno trovato
il soggetto degno e ricco; io al contrario, perché
l’ho trovato tanto sterile e magro che non vi
può cadere sospetto di ostentazione.
Montaigne, Essais, II, 18
Di fatto, non osar parlare chiaramente di sé è
segno d'una certa mancanza di coraggio. Un
giudizio severo e altero, e che giudica in modo
sano e sicuro, usa a piene mani dei propri
esempi come di cosa estranea, e testimonia
francamente di se stesso come di un terzo.
Bisogna passar sopra a queste regole comuni di
civiltà a favore della verità e della libertà. Io
oso non soltanto parlare di me, ma parlare
soltanto di me ; vado fuori strada quando
scrivo d'altro, e mi allontano dal mio soggetto.
Non mi amo così smodatamente e non sono
così attaccato e legato a me stesso da non poter
distinguermi e considerarmi a parte, come un
vicino, come un albero. È sbagliare allo stesso
modo non vedere fino a che punto si vale,
come dire più di quello che si vede.
Montaigne, Essais, III, 8
Gli altri formano l'uomo; io lo descrivo, e ne presento un
esemplare assai mal formato, e tale che se dovessi
modellarlo di nuovo lo farei in verità molto diverso da
quello che è. Ma ormai è fatto. Ora, i segni della mia pittura
sono sempre fedeli, benché cambino e varino. Il mondo
non è che una continua altalena. Tutte le cose vi oscillano
senza posa: la terra, le rocce del Caucaso, le piramidi
d'Egitto, e per il movimento generale e per il loro proprio.
La stessa costanza non è altro che un movimento più
debole. Io non posso fissare il mio oggetto. Esso procede
incerto e vacillante, per una naturale ebbrezza. Io lo prendo
in questo punto, com'è, nell'istante in cui m'interesso a lui.
Non descrivo l'essere. Descrivo il passaggio: non un
passaggio da un'età all'altra o, come dice il popolo, di sette
in sette anni, ma di giorno in giorno, di minuto in minuto.
Bisogna che adatti la descrizione al momento. Potrei
cambiare da un momento all'altro, non solo per caso, ma
anche per intenzione. È una registrazione di diversi e
mutevoli eventi e di idee incerte e talvolta contrarie: sia che
io stesso sia diverso, sia che io colga gli oggetti secondo
altri aspetti e considerazioni. Tant'è che forse mi
contraddico, ma la verità non la contraddico mai.
Montaigne, Essais, III, 2
Ritengo che sia necessario esser prudente nel giudicare di
sé, e parimenti coscienzioso nel testimoniarne, sia in male
sia in bene, indifferentemente. Se mi sembrasse di essere
buono e saggio o quasi, lo canterei a voce spiegata. Dire di
sé meno di quel che si è, è stoltezza, non modestia.
Valutarsi meno di quel che si vale, è vigliaccheria e
pusillanimità, secondo Aristotele. Nessuna virtù si giova
della falsità; e la verità non è mai materia di errore. Dire di
sé più di quello che si è, non è sempre presunzione, spesso
anche questo è stoltezza. Compiacersi oltre misura di ciò
che si è, cadere in uno smodato amore di sé, è, secondo me,
la sostanza di questo vizio. Il supremo rimedio per
guarirne è fare tutto il contrario di quello che ordinano di
fare costoro che, proibendo di parlare di sé, proibiscono di
conseguenza ancora di più di pensare a sé. L'orgoglio
risiede nel pensiero. La lingua non vi può avere che una
parte molto lieve. Occuparsi di sé, sembra loro che sia
compiacersi di sé ; frequentare e praticare se stessi, amarsi
troppo. Forse. Ma questo eccesso nasce solo in coloro che
non si saggiano se non superficialmente ; che vediamo
attendere ai loro affari, che chiamano fantasticheria e ozio
occuparsi di sé, e fare castelli in aria coltivarsi e costruirsi :
ritenendosi un altro, estraneo a se stessi.
Montaigne, Essais, II, 6
Per raddrizzare un legno curvo lo si curva all'incontrario.
Io ritengo che nel tempio di Pallade, come vediamo in tutte
le altre religioni, vi fossero dei misteri comprensibili da
rivelare al popolo, e altri misteri più segreti e più alti da
rivelare soltanto a quelli che vi fossero iniziati. È verosimile
che in questi ultimi si trovi il vero grado dell'affetto che
ognuno deve a se stesso. Non un affetto falso che ci fa
abbracciare la gloria, la scienza, la ricchezza e cose simili
con un amore dominante e smodato, come membra della
nostra persona, né un affetto sviscerato e indiscreto nel
quale accade ciò che si vede dell'edera, che corrompe e
rovina la parete a cui si attacca ; ma un affetto salutare e
moderato, utile quanto piacevole. Chi ne conosce i doveri e
li adempie, fa parte davvero del tabernacolo delle Muse; ha
raggiunto il culmine della saggezza umana e della nostra
felicità. Costui, sapendo esattamente ciò che deve a se
stesso, trova che rientra nella sua parte il dover trarre
vantaggio dagli altri uomini e dal mondo e, per far ciò,
tributare alla società i doveri e gli uffici che gli
appartengono. Chi non vive in qualche modo per gli altri,
non vive in alcun modo per sé.
Montaigne, Essais, III, 10
Nessuna particolare qualità farà
inorgoglire colui che terrà conto al
tempo stesso di tante altre qualità
imperfette e fiacche che sono in lui, e
infine
della
nullità
dell'umana
condizione. Per avere, lui solo,
compreso veramente il precetto del suo
dio, di conoscere se stesso, e per essere
arrivato a disprezzarsi attraverso
quello studio, Socrate solo fu stimato
degno del nome di saggio. Chi si
conoscerà così, si faccia arditamente
conoscere per bocca propria.
Montaigne, Essais, II, 6
Che cos'è l'io?
Un uomo che si mette alla finestra per vedere i
passanti, se io passo di là, posso dire che si è messo
là per vedere me? No, perché egli non pensa a me in
particolare; ma colui che ama qualcuno a causa della
sua bellezza, lo ama? No, perché il vaiolo, che
ucciderà la bellezza senza uccidere la persona, non
gliela farà più amare. Ma se mi amano per la mia
intelligenza, per la mia memoria, amano davvero
me? No, perché posso perdere queste qualità senza
perdere me stesso. Dov'è dunque questo io, se non si
trova nel corpo e neppure nell'anima? E come amare
il corpo o l'anima, se non per queste qualità, che non
sono ciò di cui è fatto l'io, dal momento che sono
caduche? Si può amare la sostanza dell'anima di una
persona in modo astratto, indipendentemente dalle
sue qualità? Non è possibile e non sarebbe giusto.
Non amiamo dunque mai nessuno, ma solo le sue
qualità. Non prendiamoci più gioco dunque di quelli
che si fanno onorare a causa di cariche e di uffici,
perché non si ama nessuno se non per qualità prese
a prestito.
Pascal, Pensées, Lafuma 688
È falso che noi siamo degni di essere amati
dagli altri, è ingiusto volerlo. Se nascessimo
ragionevoli e indifferenti, e conoscendo noi
stessi e gli altri, non daremmo affatto questa
inclinazione alla nostra volontà. Tuttavia, noi
nasciamo con essa; nasciamo dunque ingiusti,
perché ogni cosa tende a sé. Questo è contro
ogni ordine; occorre tendere a quanto è
generale; e la spinta verso di sé è il principio di
ogni disordine, in guerra, in politica, in
economia, nel corpo particolare dell’uomo. La
volontà è dunque pervertita.
Pascal, Pensées, Laf. 421
Chi non odia l'amor proprio in sé e
l'istinto che lo porta a farsi Dio, è ben
cieco. Chi non si accorge che non c'è
niente di più opposto alla giustizia e
alla verità? Perché è falso che noi
meritassimo ciò, ed è ingiusto e
impossibile arrivarvi, poiché tutti
vogliono la stessa cosa. Quella in cui
siamo nati è dunque una palese
ingiustizia di cui non possiamo ma
dobbiamo liberarci.
Pascal, Pensées, Laf. 617
La natura dell'amor proprio e dell'io umano consiste
nell'amare solo sé e nel considerare solo sé. Ma cosa potrà
fare? Non saprebbe impedire che l'oggetto che ama
sia pieno di difetti e di miseria; vuole essere grande e
si vede piccolo; vuole essere felice e si vede
miserabile; vuole essere perfetto e si vede pieno
d'imperfezioni; vuole essere l'oggetto dell'amore e
della stima degli uomini e vede che i suoi difetti gli
procurano solo la loro avversione e il loro disprezzo.
La confusione in cui si trova produce in lui la più
ingiusta e la più criminale passione che sia possibile
immaginare; perché concepisce un odio mortale
contro questa verità che lo ammonisce e lo convince
dei suoi difetti. Desidererebbe annientarla ma, non
potendo distruggerla in se stessa, per quanto gli è
possibile, la distrugge nella propria conoscenza e
in quella degli altri; ciò vuol dire che mette ogni cura
nel nascondere i propri difetti agli altri e a se stesso,
e che non sopporta che glieli si facciano vedere né
che li si veda.
Pascal, Pensées, Laf. 978
È certo un male essere pieno di difetti; ma è un male ancora
più grande esserne pieno e non volerli riconoscere, perché
significa aggiungervi anche quello di un'illusione
volontaria. Noi non vogliamo che gli altri ci ingannino: non
troviamo giusto che essi vogliano essere stimati da noi più
di quanto non meritino: dunque non è neppure giusto che
noi li inganniamo e che vogliamo che ci stimino più di
quanto meritiamo. Così, quando essi scoprono solo quelle
imperfezioni e quei vizi che effettivamente abbiamo, è
evidente che non ci fanno torto, perché non ne sono essi la
causa, e anzi ci fanno del bene, perché ci aiutano a liberarci
da un male, che è l'ignoranza di queste imperfezioni. Non
dobbiamo arrabbiarci perché le conoscono e ci disprezzano,
essendo giusto e che ci conoscano per quello che siamo, e
che ci disprezzino se siamo spregevoli.
Ecco i sentimenti che nascerebbero da un cuore che fosse
pieno di equità e di giustizia. Cosa dire dunque del nostro,
vedendovi una disposizione assolutamente contraria? Non
è forse vero che noi odiamo la verità e quelli che ce la
dicono, e preferiamo che si ingannino a nostro favore, e
vogliamo essere considerati da loro diversi da quello che
siamo?
Pascal, Pensées, Laf. 978
Ci sono gradi diversi in questa avversione per la verità; ma
si può dire che essa si trova in tutti in qualche misura,
perché inseparabile dall'amor proprio.
Da questo deriva che, se qualcuno ha qualche interesse ad
essere amato da noi, si guarda dal renderci un servizio che
sa esserci sgradevole; ci tratta come vogliamo essere
trattati: noi odiamo la verità, ce la nasconde; vogliamo
essere adulati,ci adula; ci piace essere ingannati, ci inganna.
Così la vita umana non è che una perpetua illusione; non si
fa altro che ingannarsi e adularsi. Nessuno parla di noi in
nostra presenza come fa quando siamo assenti. I legami tra
gli uomini si fondano esclusivamente su questo mutuo
inganno; e ben poche amicizie resisterebbero se ciascuno
sapesse ciò che l'amico dice di lui quando non c'è, benché
ne parli allora sinceramente e senza passione.
L'uomo dunque non è che maschera, menzogna e ipocrisia,
per se stesso e riguardo agli altri. Non vuole che gli si dica
la verità. Evita di dirla agli altri; e tutte queste inclinazioni,
così lontane dal giusto e dalla ragione, hanno una radice
naturale nel suo cuore
Pascal, Pensées, Laf. 978
La più grande bassezza dell'uomo consiste
nella ricerca della gloria, ma questo è anche il
più grande segno della sua superiorità, perché
per quanto possegga su questa terra, per
quanto sia sano e per quanti vantaggi
disponga, se gli uomini non lo stimano non è
soddisfatto. A tal punto considera la ragione
umana che qualunque posto occupi al mondo,
se non occupa un buon posto anche nella
ragione umana, non è contento. È il più bel
posto del mondo, niente lo può distogliere da
questo desiderio ed è la caratteristica meno
cancellabile dal cuore umano.
Pascal, Pensées, Laf. 470
ARTICOLO LXXIX
Le definizioni dell’Amore e dell’Odio
L’Amore è un’emozione dell’anima, causata dal
movimento degli spiriti, che la induce a congiungersi con la
volontà agli oggetti che le appaiono consoni. E l’Odio è
un’emozione, causata dagli spiriti, che induce l’anima a
voler essere separata dagli oggetti che si presentano ad essa
come nocivi. Dico che queste emozioni sono causate dagli
spiriti per distinguere l’Amore e l’Odio, che sono passioni e
dipendono dal corpo, sia dai giudizi che portano l’anima a
congiungersi con la volontà con le cose che stima buone e a
separarsi da quelle che stima cattive, sia dalle emozioni che
questi giudizi da soli suscitano nell’anima.
ARTICOLO LXXX
Che cosa significa unirsi o separarsi con la volontà
Del resto con l’espressione di volontà non intendo qui parlare
del desiderio, che è una passione a sé e riguarda il futuro, ma
dell’assenso che ci fa considerare già nel presente come
congiunti a ciò che amiamo: si immagina così un tutto di
cui si pensa di essere solo una parte, mentre la cosa amata
ne è l’altra. Al contrario, nell’Odio ci si considera da soli
come un tutto, completamente separati dalla cosa per la
quale si prova avversione.
Descartes, Passioni dell’anima
Per dare un regola all'amore di sé, dobbiamo immaginare
un corpo pieno di membra pensanti, perché noi siamo
membra del tutto, e vedere come ogni membro dovrebbe
amarsi, ecc.
Essere membro significa avere vita, essere e movimento
solo dallo spirito del corpo e per il corpo. Il membro
separato, non vedendo più il corpo al quale appartiene, ha
un solo essere in declino e morente. Tuttavia crede di
essere un tutto e, non vedendo più il corpo da cui dipende,
pensa di dipendere solo da sé e vuole farsi centro e corpo
egli stesso. Ma non avendo in sé il principio vitale, non fa
che errare e si stupisce nell'incertezza del suo essere,
accorgendosi bene che non è corpo, ma al tempo stesso non
vedendo che è membro di un corpo. Alla fine, quando si
riconosce per quello che è, è come se ritornasse in sé e si
ama solo in vista del corpo. Deplora i suoi errori passati.
Per sua natura non potrebbe amare altra cosa se non per sé
e per legarla a sé, perché ogni cosa ama se stessa più del
tutto. Ma amando il corpo, ama se stesso, perché il suo
essere dipende da quello, per mezzo suo e come suo scopo.
Il corpo ama la mano, e la mano, se avesse una volontà,
dovrebbe amarsi allo stesso modo in cui l'ama l'anima.
Ogni amore che si spinge oltre è ingiusto.
Pascal, Pensées, Laf. 368; 372
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