7. L’azione revocatoria
Lezione n. 7 di diritto fallimentare
Anno accademico 2013/2014
Tutele ordinarie dei creditori
Nel diritto comune la tutela dei creditori, che si esprime
attraverso la garanzia patrimoniale, è abbandonata alla
singola iniziativa mediante:
- mezzi cautelari che anticipano l’atto di disposizione
pregiudizievole del patrimonio (il sequestro conservativo);
- mezzi successivi all’atto di disposizione o alla sua
omissione, che minano la garanzia patrimoniale: l’azione
revocatoria (art. 2901 c.c.) e l’azione surrogatoria (art. 2900
c.c.);
- la tutela di condanna esecutiva mediante pignoramento ed
espropriazione del patrimonio, esprimibile mediante atto
autonomo di ogni creditore.
Le diverse tutele fallimentari
Quale effetto della sentenza che dichiara il fallimento e
accerta l’insolvenza dell’imprenditore fallibile, si origina
una particolare tutela del principio della par condicio come
espressione della regola economica che vuole una
ripartizione proporzionale delle conseguenze
dell’insolvenza presso l’intero ceto creditorio:
- mediante un’iniziativa ove il curatore ha il monopolio di
un’azione sul patrimonio di cui beneficiano tutti i creditori
(art. 52) secondo le regole del concorso e che impedisce
azioni individuali cautelari e di condanna (art. 51);
- mediante una significativa modifica delle disciplina
dell’azione revocatoria.
La ratio della revocatoria ordinaria
La ragione di essere dell’azione della lex paoli
(pauliana), dal diritto romano, che noi
denominiamo azione revocatoria, è quella di
reintegrare la garanzia patrimoniale dalle
aggressioni che hanno matrice negli atti di
disposizione del debitore.
La ratio della revocatoria fallimentare
Dopo la dichiarazione di fallimento l’azione
revocatoria assume caratteristiche diverse,
bene avvertibili nei suoi presupposti, che pone
al centro dell’azione non tanto la
reintegrazione patrimoniale quanto la par
condicio creditorum, ovvero la ripartizione
proporzionale delle conseguenze
dell’insolvenza sul ceto creditorio
Presupposto oggettivo della
revocatoria ordinaria
Presupposto oggettivo e quindi elemento
costitutivo dell’azione revocatoria ordinaria è
il pregiudizio alla garanzia patrimoniale
mediante sua alterazione quantitativa
(diminuzione dell’attivo o incremento di una
situazione passiva) o qualitativa (sostituzione
di beni facilmente aggredibili esecutivamente
con bene meno facilmente aggredibili
esecutivamente).
Il carattere obbligatorio dell’atto
esclude la sua revocabilità
Se l’atto di disposizione è dovuto perché
costituisce l’adempimento di un rapporto
obbligatorio (art. 2901, 3° comma c.c.) esso
non è revocabile, esempio il pagamento di un
debito scaduto (ciò che riprova l’irrilevanza
della par condicio creditorum agli effetti
dell’azione revocatoria ordinaria)
Il presupposto soggettivo dell’azione
revocatoria ordinaria
Tra gli elementi costitutivi dell’azione anche
un presupposto soggettivo, in capo al
debitore:
- il dolo generico nel caso di un atto
perfezionato quando il credito è già insorto
(prevedibilità del pregiudizio);
- il dolo specifico nel caso di atto che precede il
sorgere del credito (intesa come previsione
dolosa del pregiudizio).
Segue.
In capo al terzo contraente il presupposto
soggettivo deve intendersi come
consapevolezza del pregiudizio (nel caso di
dolo generico) e partecipazione alla dolosa
preordinazione (nel caso di dolo specifico).
In caso di gratuità dell’atto è irrilevante la
situazione soggettiva in cui versa il terzo.
La buona fede dell’avente causa del
terzo
Chi acquista in buona fede dal terzo
contraente del debitore, in quanto non
conosce la revocabilità dell’atto del suo dante
causa, perfeziona un atto che non è
impugnabile con l’azione revocatoria (art.
2901, 4° comma c.c.).
Residua un effetto risarcitorio in capo al dante
causa consapevole o dolosamente partecipe
della frode.
Gli effetti della revocatoria verso il
creditore
L’azione revocatoria priva di effetti, per il solo
creditore che agisce – a riprova del carattere
singolare dell’azione – l’atto di disposizione,
consentendogli di avviare sul bene oggetto
della disposizione l’azione esecutiva (art.
2902, 1° comma c.c.)
Gli effetti della revocatoria verso il
terzo
Il terzo contraente, non viene allineato alle
regole della par condicio creditorum, ma viene
trattato in modo deteriore potendosi
soddisfare sulle restituzioni derivanti dalla
revocatoria solo quando i creditori siano stati
integralmente soddisfatti (art. 2902, 2°
comma c.c.).
I diversi presupposti costitutivi
dell’azione revocatoria fallimentare
La revocatoria fallimentare si fonda su elementi
costitutivi differenti:
- è irrilevante il pregiudizio alla garanzia patrimoniale;
- è irrilevante uno stato soggettivo del debitore e del
terzo contraente, che prescinde dalla consapevolezza
generica o dalla volontà specifica di ledere la garanzia
patrimoniale e si fonda sulla conoscenza della
insolvenza.
In sostanza, non vi è coincidenza degli elementi
costitutivi dell’azione revocatoria ordinaria con l’azione
revocatoria fallimentare.
Gli atti che ledono la par condicio
L’irrilevanza al pregiudizio della garanzia
patrimoniale offre rilevanza a tutti gli atti che
ledono invece la par condicio, per cui sia il
pagamento di debiti scaduti è oggetto di
azione revocatoria (art. 67, 2° commal. fall.),
sia la vendita o l’acquisto a prezzo pieno
conforme al mercato di un bene, se alterano
la par condicio integrano i presupposti
dell’azione revocatoria fallimentare.
La presunzione di lesione della par
condicio
Il legislatore presume che il compimento di un
atto di disposizione quando l’imprenditore è
insolvente alteri di per sé la par condicio,
poiché l’imprenditore insolvente, pur di
sopravvivere alla crisi, normalmente non
rispetta la graduazione dei crediti nei
pagamenti.
Il periodo di insolvenza
Poiché la dichiarazione di fallimento può intervenire molto
dopo il configurarsi dell’insolvenza, al legislatore erano
date due strade:
- lasciare che sia la sentenza che dichiara il fallimento a
stabilire quali siano i periodi nei quali l’imprenditore ha
agito in stato di insolvenza;
- fissare dei periodi presuntivi ex lege, nei quali il legislatore,
secondo quanto accade nella esperienza comune, presume
che l’imprenditore si trovasse in insolvenza.
Il legislatore del 1942, come il legislatore degli anni
2006/2007, hanno preferito optare, per esigenze di
certezza, sulla seconda soluzione, quella della presunzione
ex lege.
La presunzione ex lege
Il legislatore pertanto, in funzione della tipologia
degli atti e quindi della diversa intensità lesiva
della par conditio, ha stabilito un periodo
sospetto di due anni (atti gratuiti e pagamento di
debiti non scaduti, artt. 64, 65); un anno per i c.d.
atti anomali (contratti a prestazioni
sproporzionate; pagamenti con mezzi anormali;
costituzione di garanzie per debiti preesistenti,
art. 67, 1° comma); sei mesi per gli atti normali
(pagamento di debiti scaduti; costituzione di
garanzie per debiti contestualmente creati (art.
67, 2° comma).
Il dies a quo del termine presunto
Il dies a quo dal quale è calcolabile a
ritroso il termine, muove dalla sentenza
dichiaratrice di fallimento, ma nel caso di
consecuzioni di procedure concorsuali
dal primo atto della procedura, la
pubblicazione del ricorso che ha
preceduto il concordato.
l’art. 69 – bis, 2° comma l. fall
Oggi il legislatore in tale disposizione da
rilevanza alla sola consecuzione tra
concordato e fallimento, non contemplando
gli accordi di ristrutturazione.
Il riferimento letterale è dalla pubblicazione
del ricorso nel registro delle imprese.
Il termine decadenziale per l’esercizio
dell’azione revocatoria
L’art. 2903 c.c., quanto all’azione revocatoria ordinaria,
sancisce il termine prescrittivo di cinque anni per
l’esercizio dell’azione revocatoria dal compimento
dell’atto.
L’art. 69 bis, per la revocatoria fallimentare, sancisce un
termine di tre anni dalla dichiarazione di fallimento e
comunque di cinque anni dal compimento dell’atto,
dies a quo discutibile quest’ultimo perché ipotizza il
decorso del termine prima ancora che l’avente diritto
possa giuridicamente esercitare l’azione, che può
promuoversi solo dopo la dichiarazione di fallimento.
Conclusione sul presupposto oggettivo
Per concludere il presupposto oggettivo,
elemento costitutivo dell’azione revocatoria, è
rappresentato dal perfezionamento dell’atto
nel periodo sospetto:
- nei contratti quando perviene al proponente
l’adesione dell’altro contraente;
- negli atti unilaterali recettizi, quando l’atto
perviene al beneficiario degli effetti
Il presupposto soggettivo dell’azione
revocatoria fallimentare
Se il compimento dell’atto durante il periodo
di insolvenza è il presupposto oggettivo
dell’azione revocatoria fallimentare, quello
soggettivo si riferisce alla conoscenza o meno
da parte del terzo contraente della condizione
di insolvenza in cui si trovava l’imprenditore
(con il rilievo solo dello stato soggettivo del
terzo, essendo lo stato soggettivo del debitore
in re ipsa).
L’onere della prova nell’azione
revocatoria ordinaria
La prova dell’eventus damni e del dolo
generico specifico delle parti contraenti
spetta, secondo l’art. 2697 c.c. all’attore
ovvero al creditore che agisce con l’azione
revocatoria.
L’onere della prova nell’azione
revocatoria fallimentare
L’onere della prova a carico del curatore che
agisce è semplificato:
- la prova del compimento dell’atto durante
l’insolvenza è facilitata dalla presunzione iuris et
de iure del periodo sospetto ex lege;
- la prova dell’elemento soggettivo gode in alcuni
casi della presunzione iuris et de iure (atti a titolo
gratuito); in altri casi della presunzione iuris
tantum (atti anomali); in altri casi ancora del
regime ordinario della prova (atti normali).
Alcune fattispecie
Gli atti a titolo gratuito e il pagamento di debiti non scaduti, con scadenza
successiva alla dichiarazione di fallimento.
Tali atti per la loro gravità nella lesione della par condicio, sono revocabili
se compiuti nei due anni anteriori e integrano l’elemento soggettivo in re
ipsa per la natura dell’atto compiuto, quindi tali elementi costitutivi non
devono essere oggetto di prova alcuna da parte del curatore.
L’atto a titolo gratuito dovrà essere inteso atto di liberalità, senza
corrispettivo. Sono esclusi i regali d’uso e gli atti di pubblica utilità o gli atti
in adempimento di un dovere morale, purché proporzionali al patrimonio
dell’imprenditore.
La costituzione del fondo patrimoniale rientra negli atti a titolo gratuito,
come anche la costituzione di patrimoni separati.
Il pagamento di un debito o la costituzione di una garanzia per un debito
altrui sono liberali o onerosi in relazione al rapporto tra imprenditore e
terzo per il quale ha effettuato il pagamento o costituito la garanzia.
segue
Gli atti anormali sono gli atti squilibrati o compiuti con modalità
inusuali, essi ingenerano una presunzione iuris tantum della
conoscenza dello stato di insolvenza nel terzo contraente, visto il
carattere anomalo dell’atto:
- contratti a prestazioni sproporzionate(nel diritto comune ha rilievo
la sola lesione, ex artt. 1447 e 1448 c.c., qui ha rilievo la
sproporzione di ¼);
- pagamento con mezzi anomali, diversi da contante o titoli o
mandati, mediante datio in solutum;
- costituzione di garanzie per debiti preesistenti (il creditore quando
si fa concedere una garanzia successiva all’insorgere del credito è
consapevole dell’insolvenza del suo debitore) e non solo garanzie in
senso tecnico, ma anche garanzie atipiche come la cessione dei
crediti offerti in garanzia.
segue
Anche gli atti normali possono ledere la par
condicio: pagamento di debiti esigibili, atti a
titolo oneroso a valore di mercato e
costituzione di garanzie per debiti
contestualmente create, pertanto sono esenti
da revocatoria ordinaria, ma assoggettati a
revocatoria fallimentare.
Il diverso regime degli effetti
Dell’azione revocatoria ordinaria gode il
creditore procedente e i creditori intervenuti e
il terzo contraente subisce gli effetti della
postergazione rispetto ai creditori; dell’azione
revocatoria fallimentare godono tutti i
creditori, nessuno escluso, e il terzo
contraente viene allineato ai creditori in forza
del principio della par conditio (art. 70, 2°
comma)
I decreti di acquisizione
A differenza dell’azione revocatoria ordinaria ove
oltre al capo costitutivo degli effetti che inficiano
l’atto di disposizione deve essere un capo
condannatorio al rilascio o alla consegna del
bene, nell’azione revocatoria fallimentare il capo
costitutivo non necessita di un capo
condannatorio, poiché quest’ultimo, una volta
pronunciata con efficacia di giudicato una
pronuncia definitiva sull’azione revocatoria
fallimentare, può essere prodotto mediante l’art.
25, n. 2.
La lacuna sul subacquirente
La legge fallimentare non contempla una norma
come quella dell’art. 2901, 4° comma, sul sub acquirente del terzo contraente, ma non vi è
ragione di non applicare la norma, salvo che
l’elemento soggettivo della buona fede si appunta
nella revocatoria fallimentare sulla natura di
imprenditore commerciale fallibile del dante
causa e sul perfezionamento dell’atto in una
situazione di insolvenza manifestata dal
medesimo, elementi tutti che dovranno essere
provati dal curatore.
Il diverso regime processuale
- La legittimazione ad agire spetta, in luogo di tutti i
creditori, al curatore nell’azione revocatoria
fallimentare;
- la competenza attrattiva è quella del tribunale
fallimentare ex art. 24;
- il curatore deve essere autorizzato dal giudice
delegato, in modo specifico (art. 25 n. 6 e 31, 2°
comma), al difetto di autorizzazione il curatore può
ovviare ex art. 182, 2° comma, con autorizzazione
tardiva sanante ex tunc;
- il giudice che ha autorizzato non può essere giudice
che giudica dell’azione revocatoria (art. 25, 2° comma).
L’art. 702 bis c.p.c.
Lo speciale processo sommario, con rito
alternativo a quello ordinario, a cognizione
piena, si presta all’utilizzazione anche in caso
di azione costitutiva di effetti giuridici nuovi,
come nel caso dell’azione revocatoria
ordinaria e fallimentare, che sono affidate al
rito monocratico.
Le speciali esenzioni del 3° comma
L’art. 67, 3° comma, non tanto allo scopo di
sovvertire la ratio dell’azione revocatoria
fallimentare, ma soltanto allo scopo di
tutelare particolari interessi e valori anche di
rango costituzionale, ha stabilito, con la
riforma, una serie di esenzioni che possono
essere ricollegate a varie ragioni.
Interessi di categorie deboli
Alcuni interessi tutelati riguardano categorie che
possono subire pregiudizi gravi in caso di
inadempimento dovuto a fallimento:
- lavoratori e prestatori d’opera per i pagamenti
ricevuti;
- acquirenti di immobili a giusto prezzo destinati a
costituire l’abitazione propria o dei familiari e
preliminari di immobili ad uso abitativo trascritti i
cui effetti della trascrizione non sono ancora
cessati ex art. 2645-bis, 3° comma c.c.
Interesse dell’impresa
La revocatoria portata alle estreme
conseguenze può condurre un’impresa in crisi
verso l’insolvenza, poiché il pericolo da
revocatoria impedisce all’imprenditore di
avere rapporti commerciali, perciò i
pagamenti nei termini d’uso, ovvero compiuti
nei termini previsti dalla pratica commerciale,
non sono soggetti a revocatoria. Lo sono
invece gli atti tipici dell’attività di impresa,
vendita di merci o servizi, anche a prezzo
pieno.
Interesse di una soluzione concordata
della crisi
Il favore verso una soluzione concordata,
mediante accordi di ristrutturazione,
concordati preventivi o piani di risanamento,
conducono a non ritenere revocabili gli atti
esecutivi di tali accordi o degli atti unilaterali
dell’imprenditore. Sono compresi i compensi
ai professionisti impegnati nell’assistenza
necessaria.
Gli altri atti esenti da revocatorie
-
Secondo il regime di leggi speciali anteriori alla riforma, per la
peculiarità degli atti sono esenti da revocatorie:
Il pagamento al possessore della cambiale scaduta (che altrimenti
perderebbe l’azione di regresso in quanto non potrebbe far
protestare la cambiale, art. 68);
I pagamenti e gli atti di disposizione a favore della Banca d’Italia;
Le iscrizioni ipotecarie e i pagamenti a favore di banche abilitate al
credito fondiario (purché l’ipoteca sia iscritta prima di 10 giorni
dalla dichiarazione di fallimento);
I pagamenti e gli atti delle banche autorizzate al credito su pegno su
mobili ( e non su titoli e merci);
I pagamenti a favore di banche che operano in regime di credito
agevolato;
I crediti fiscali e previdenziali.
I patrimoni separati
I patrimoni destinati ad uno specifico affare, art.
67 bis, ex art. 2447-bis, 1° comma, lett. A, c.c.,
sono revocabili solo se pregiudicano il patrimonio
della società.
Trattasi di ipotesi eccezionale che da rilievo nella
revocatoria fallimentare al pregiudizio alla
garanzia patrimoniale, ma allo stato soggettivo
resta assolutamente la conoscenza dello stato di
insolvenza, come letteralmente stabilisce la
norma.
Gli atti tra coniugi (art. 69)
L’unione matrimoniale costituisce fonte, per l’evidente
complicità tra coniugi, degli atti tra i più insidiosi e
pregiudizievoli.
Per tale ragione la normativa rende più severo il regime
della revocatoria fallimentare:
1. la conoscenza dello stato di insolvenza è sempre presunta
per tutte le ipotesi dell’art. 67;
2. non ha più rilievo il periodo sospetto ma l’intera durata del
matrimonio per il momento in cui il fallito ha cominciato ad
esercitare l’impresa.
Dunque al curatore è sufficiente provare che l’atto è stato
compiuto durante l’esercizio dell’impresa e in costanza di
matrimonio.
Problemi interpretativi
L’originaria previsione dell’art. 69 in difetto di
deroga, rendeva applicabile ai coniugi anche gli
artt. 64 e 65, con un regime più favorevole
(periodo sospetto di due anni). Intervenne la
Corte Cost. con la sentenza n. 100/1993, la quale
ha dichiarato incostituzionale anche la mancata
deroga di cui agli artt. 64 e 65.
Oggi la norma richiama, in deroga, anche tali
disposizioni e quindi estende il regime pure agli
atti a titolo gratuito, ma solo per il periodo
anteriore ai due anni previsti da tale disposizioni.
La presunzione muciana.
Secondo l’originario istituto romanistico, gli
acquisti della moglie si presumevano effettuati
con denari del marito, a tale previsione, volta ad
escludere che i denari della moglie provenissero
da attività illecite della stessa, in una visione
maschilista della società, tale norma venne
trasferita nel diritto fallimentare, per cui gli atti di
acquisto della moglie in costanza di matrimonio si
consideravano effettuati con denaro del marito e
quindi rientravano nell’attivo fallimentare.
La riforma del diritto di famiglia
Con la legge n. 151 del 1975 è stato adottato
un regime patrimoniale ordinario del regime
della famiglia, la comunione, e un regime
derogativo, la separazione dei beni. Entrambi
tali regimi patrimoniali entravano in rotta di
collisione con il principio della presunzione
muciana.
Il regime della comunione
L’effetto perverso della presunzione
conduceva all’inapplicazione del regime della
comunione poiché al coniuge debole,
normalmente la donna, veniva sottratta anche
la quota che le sarebbe spettata in forza del
regime della comunione legale.
Il regime della separazione
La presunzione muciana poi entrava in
collisone pure con i principi dell’autonomia dei
patrimoni voluti dalla separazione, infatti
rendeva gli atti compiuti sull’uno patrimonio,
rilevanti agli effetti dell’altro e alla sua
consistenza.
La soluzione
La Corte di Cassazione aveva tentato la via
della illegittimità costituzionale, respinta con
sentenza n. 286/1995 e solo grazie
all’abrogazione dovuta alla legge n. 80 del
2005, oggi non vi è più problema di
applicazione della presunzione muciana.
La residualità dell’azione revocatoria
ordinaria, art. 66
In difetto dei presupposti dell’azione
revocatoria fallimentare (periodo sospetto)
resta la piena applicazione della revocatoria
ordinaria anche al fallimento , art. 66, 1°
comma, con i soli presupposti originali.
Gli effetti del concorso sulla
revocatoria ordinaria
-
-
Tuttavia è inevitabile che l’esercizio dell’azione ordinaria nel
fallimento implichi una modifica di disciplina:
non è possibile distinguere tra dolo generico e specifico in
quanto non esiste anteriorità o posteriorità del credito
(tutelata è la massa indistinta) prevalendo sempre un
criterio di dolo generico;
legittimato è esclusivamente il curatore e gli effetti si
producono a favore di tutti i creditori;
vale la vis attrattiva del tribunale fallimentare ex art. 24;
il terzo contraente partecipa al concorso ai sensi dell’art.
70, 2° comma;
Il regime della prescrizione è quello dell’art. 69 bis, secondo
la lettera della norma.
Le rimesse in conto corrente
Negli anni 80 del secolo scorso si è affermata una
giurisprudenza estremamente severa verso gli
istituti di credito del giudice di legittimità circa la
revocabilità delle rimesse dell’imprenditore sul
proprio conto corrente bancario. Il problema si
pone non nel caso di conto corrente attivo,
quando il versamento non ha natura solutoria
verso la banca ma integra la sola provvista
disponibile per l’imprenditore, ma nel conto
corrente bancario passivo.
Conto corrente passivo
Il problema non si pone neppure nel conto
corrente passivo quando l’imprenditore opera
nei limiti dell’affidamento poiché in tal caso le
rimesse sul conto corrente sono ancora una
volta integrazione della provvista che
l’imprenditore può utilizzare disponendone
con mandati alla banca.
Conto corrente passivo scoperto
Diverso è il caso di quando l’imprenditore
opera fuori dei limiti dell’affidamento, poiché
se l’imprenditore fuoriesce dai limiti del conto
corrente tutte le operazioni costituiscono degli
adempimenti estintivi del relativo obbligo
verso la banca.
L’affidamento
Non ha qui rilevanza l’affidamento tacito, su
cui hanno fatto leva le difese della banca, ma
l’affidamento consentito in forma scritta, che
la legge bancaria prevede ad substantiam e
l’affidamento sull’apertura di credito bancario
(essendo irrilevanti altre agevolazioni
consentite come l’affidamento sui titolo
scontabili o sui crediti di esportazione e
importazione).
La revocatoria
Le rimesse in conto corrente scoperto per il
carattere solutorio sono tutte perciò revocabili
quando compiute in periodi sospetti. A tale fine la
giurisprudenza ha dato rilievo ai singoli saldi
giornalieri delle rimesse sul conto, individuando
le differenze tra il saldo di apertura e il saldo di
chiusura e imponendo alle banche il rimborso
delle somme relative per ogni giorno verificatosi
nel periodo sospetto, con esborsi di enormi
proporzioni da parte delle banche nei confronti
del fallimento.
Le ragioni della riforma
Le conseguenze di tale giurisprudenza hanno
indotto il legislatore ad intervenire per il
pregiudizio dell’equilibro delle imprese
bancarie, causale conseguenze delle
revocatorie accolte dalla giurisprudenza.
La riforma (art. 67, 3° comma, lett. b)
E’ irrilevante la distinzione tra conto corrente
passivo entro i limiti dell’affidamento e conto
corrente passivo scoperto, essendo revocabile
rimesse che abbiano ridotto in maniera
consistente e durevole l’esposizione
(consistente: sul piano quantitativo e
durevole: per il carattere inusuale rispetto alle
rimesse ordinarie e correnti)
Segue (art. 70, 3° comma)
Non hanno più rilievo le rimesse giornaliere,
adottandosi il criterio del massimo scoperto,
valutando cioè l’apice massimo dell’esposizione e
il suo ammontare residuo alla data del fallimento,
in tale ambito quelle rimesse che hanno carattere
consistente e durevole sono soggette a
revocatoria:
“Il terzo deve restituire una somma pari alla
differenza tra l’ammontare massimo raggiunto
dalle sue pretese e l’ammontare residuo delle
stesse, alla data in cui si è aperto il concorso”
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