Le magistrature
Consules
Magistrati eponimi, titolari del potere supremo civile e militare e degli
auspicia, i due consoli esercitavano la suprema potestas e il loro
imperium maius (domi militiaeque) collegialmente.
Per esercitare la collegialità pari si ricorse a vari sistemi: al turno
mensile per la gestione degli affari civili, a quello giornaliero per il
comando militare, nel caso impegnati nella stessa campagna, al
sorteggio o all’accordo politico per la spartizione delle diverse
competenze.
L’uno poteva porre l’intercessio all’operato dell’altro.
Le competenze erano amplissime, indefinite con limiti di fatto
derivati solo dalla provocatio ad populum e dall’esistenza di altre
magistrature con proprio imperium.
Il prevalere della tradizione del nome consules su pretore o iudices
vuole sottolineare la natura collegiale della magistratura e dei suoi
atti (consulere =consultarsi?).
Imperium domi:
Ius agendi cum populo et cum patribus: e il connesso potere di iniziativa
legislativa (rogatio). Con la presidenza del senato e dei comitia a ogni
console spettava il potere di procedere alla nomina dei successori (creatio) e
degli altri magistrati ordinari (pretori, censori, edili, questori) accettando e
proponendo le candidature. Invece nominavano per autonoma scelta il
dittatore.
Limitate competenze in materia civile: sovrintendevano alle
manomissioni, , che avvenivano in gran numero nel giorno dell’entrata in
carica della nuova coppia consolare.
Esercitavano la coercitio criminale in casi straordinari, in cui erano
investiti dai comizi e sempre nei confronti di donne, schiavi, stranieri, che non
godevano della provocatio ad populum
Erano i supremi responsabili dell’ordine pubblico
Gestivano il pubblico denaro, osservando le direttive del senato.
Imperium militiae:
Comandavano l’esercito e decidevano il suo impiego in guerra,
seguendo le direttive del senato.
Provvedevano alla leva (dilectus).
Nominavano alcuni ufficiali.
Utilizzavano il bottino di guerra nell’interesse pubblico
Tale imperium era esercitato solo al di fuori del pomerio e nei confronti dei
militari e dei nemici; le pene erogate erano eseguibili immediatamente,
purché fuori Roma.
Come segno di tale potere i 12 littori di scorta di ogni console portavano
nei fasci le scuri, che dovevano deporre entrando nel pomerio, tranne il
giorno del trionfo, quando il console poteva indossare il paludamentum in
luogo dell’abituale abito bianco orlato di porpora.
Ai consoli spettava anche sella curulis e ius imaginum.
Dictator
Destinato costituzionalmente a gestire l’emergenza, il dittatore
era un magistrato straordinario nominato da uno dei consoli
in accordo con il senato (senza intervento dei comizi) in
momenti di grave pericolo esterno o interno per le sorti della
repubblica o per far fronte a particolari necessità di carattere civile.
L’eccezionalità
delle
circostanze
giustificava
l’ampiezza
eccezionale dei poteri, fondati su un imperium, eventualmente
limitato nelle specifiche competenze, però maggiore in senso
gerarchico rispetto a quello di tutti gli altri magistrati, consoli
compresi.
L’intensità dell’imperium era testimoniata dalla scorta di 24 littori,
che lo accompagnavano con le scuri anche all’interno dell’Urbe.
Veniva a svanire ogni distinzione tra imperium domi e militiae, che
nell’emergenza acquistava valore assorbente, per cui ad esempio non
valeva nei loro confronti la garanzia costituzionale della provocatio ad
populum. Si aveva in concreto l’assunzione dei pieni poteri militari e
civili da parte di una sola persona, in una reviviscenza del potere
monarchico, finché non venne abolita nel 44 a.C. da una lex Antonia
de dictatura tollenda.
Unico limite era la brevità della durata della carica, 6 mesi, e la non
iterabilità.
Anche il senato non esercitò nei confronti dei dittatori i compiti che
gli spettavano di direzione politica e di controllo sul suo operato per
l’eccezionalità delle circostanze e per il prestigio di chi rivestiva la
carica.
Non costituiva una limitazione del suo potere neppure l’obbligo di
nominare a sua scelta immediatamente dopo la sua investitura il
collega minor, magister equitum, il quale era, oltre che un ufficiale, un
magistrato di grado elevato (pari al pretore), dotato di un autonomo
imperium, ma la cui funzione scadeva con il mandato conferito al
dittatore.
Praetores
Magistrati maggiori eletti nei comitia centuriata, collegae minores
dei consoli, perché titolari di imperium, anche se di minore
potestas, in epoca storica avevano essenzialmente competenze
nel campo della giurisdizione civile.
Notevole antichità della magistratura, derivata come il consolato
dall’antico collegio magistratuale dei tribuni militum consulari
potestate.
Sua caratteristica è di non essere collegiale. Solo nel 242 a.C. fu
istituito il praetor peregrinus.
Competenze:
Imperium domi:
ius agendi cum populo et cum patribus (convocazione dei comitia
tributa per l’elezione dei magistrati minori)
amministrazione della giustizia tra i cittadini
Imperium militiae:
comando dell’esercito fuori dell’Urbe , conferito dal senato
Livio narra (VI, 42, 10s.) che con lo scopo precipuo di amministrare la
giustizia la pretura urbana fu riservata ai patrizi nel 367 per ottenere
la loro adesione all’accordo che ammetteva i plebei al consolato. Non si
trattava dell’istituzione ex novo della pretura in tale anno, come è stato
frainteso, ma solo il riservare l’elezione di tale magistratura ai patrizi. Nel
337 non senza resistenze venne eletto pretore per la prima volta un
plebeo, Publilius Philo.
All’inizio dell’anno di carica il pretore emanava un editto nel quale
indicava i criteri che avrebbe seguito nell’impostazione giuridica e nelle
soluzioni delle controversie. Così i pretori furono in grado di modificare il
diritto civile adattandolo alle sempre nuove e diverse esigenze.
Censores
Magistrati dotati di notevole potestas e di auspicia maggiori, ma, a
quanto sembra, almeno in epoca storica, non di imperium.
E’ da porsi tra le magistrature ordinarie maggiori, con il consolato e la
pretura.
Le loro funzioni sono estremamente delicate politicamente ed
essenziali in una struttura timocratica quale quella romana, in cui la
posizione del cittadino nell’esercito e nelle diverse unità votanti era
determinata dal livello di ricchezza.
Il compito di accertare periodicamente la consistenza patrimoniale
dei singoli cittadini fu svolto in precedenza dai pretori-consoli, che vi
provvidero per l’ultima volta nel 459. Poi il loro compito fu assegnato
ai censores (Livio afferma: censurae initium fuit nell’anno 443), le cui
funzioni si vennero solo in seguito a determinare con maggior chiarezza.
Con la lex Aemilia de censura minuenda del 434 fu definita la durata della
carica a 18 mesi, con l’intervallo di un lustro corrente tra due elezioni
(forse con tale provvedimento si tolse ai censori l’imperium).
I censores erano investiti dei loro poteri nei comitia centuriata.
Almeno fino al 351 da questa magistratura vennero rigorosamente
esclusi i plebei, che vi furono ammessi solo dal 339 con certezza, ma
due censores plebei si ebbero solo nel 131, quando ormai l’antica
contrapposizione patrizi-plebei era del tutto superata.
Appena investiti, i censori fissavano con un editto la data del censimento,
che riguardava tutti i cittadini senza distinzione di sesso e di età e
annunciavano i criteri che avrebbero seguito nel valutare i loro beni. Tutti
dovevano intervenire alla contio che, presi gli auspici, si teneva nel Campo
Marzio, a dichiarare le generalità e a comunicare l’entità dei beni posseduti.
Questi erano valutati dai censori assistiti da un consilium formato dai
pretori e dai tribuni della plebe, e i censiti erano posti in due ruoli, l’uno
per i tributi, l’altro per le leve e i comizi. Così i cittadini erano ripartiti tra le
classi e assegnati, ad arbitrio dei censori, alle centurie.
Spettava ai censores anche il potere di controllare a posteriori il
comportamento pubblico e privato tenuto negli anni del precedente
lustrum dai vari cittadini. Questi in caso di condotta ritenuta riprovevole,
venivano colpiti dalla nota censoria, che poteva comportare la rimozione dalle
classi dei senatori e dei cavalieri, il trasferimento da una tribù rustica ad una
urbana, l’esclusione dalle classi del censo e l’iscrizione nella lista dei cives
aerarii (sine suffragio, ma tenuti al versamento dei tributi).
I censores perciò avevano il potere di procedere alla lectio senatus, fonte
per chi la compiva di ineguagliato prestigio e di grande responsabilità. I
censori, interpreti e custodi dei valori dominanti tra i gruppi egemoni, ebbero
tale compito in base a un plebiscito Ovinio del 312: dovevano procedere alla
scelta e alla nomina tra gli ex magistrati maggiori dei nuovi senatori e
all’espulsione di quanti a loro insindacabile giudizio ne erano divenuti indegni.
Le decisioni relative alla nota censoria e alla lectio senatus per essere
valide dovevano essere prese dai due censori di comune accordo (forse
ciò avveniva anche per il censo): questo probabilmente a garanzia dei cittadini,
per la delicatezza e la gravità delle conseguenze che i provvedimenti dei
censori potevano comportare in ambito politico e giuridico.
Ai censori spettavano anche competenze minori:
-amministrazione dell’ager publicus;
-cura degli edifici, delle strade e delle opere pubbliche:
-appalti relativi allo sfruttamento e alla manutenzione del patrimonio statale;
-contratti relativi alla percezione delle entrate, ecc.
I loro poteri cessavano con lo scadere dei 18 mesi dall’insediamento.
Il mandato si concludeva sempre con una cerimonia purificatrice, la
lustratio (da luere = lavare, purificare), che conferiva valore legale agli atti
compiuti e che raggiungeva il suo momento culminante con i suovetaurilia,
sacrificio rituale di un maiale, un ovino, un bue.
Solo ai censores era conferito il privilegio di essere sepolti nel manto
purpureo come gli antichi re.
Tribuni plebis
Inizialmente solo i capi rivoluzionari della plebe, poi divenuti laeders
politici con autorità e influenza su tutti i cittadini, i tribuni ebbero, già
nel 449, con la lex Valeria Horatia, riconoscimento giuridico da
parte di tutto il popolo, poiché tale legge dovette conferire validità
costituzionale alle elezioni dei magistrati plebei effettuate nei concilia
plebis. I tribuni si videro confermare allora la loro sacrosanctitas,
cioè l’inviolabilità personale, essendo stabilita la consecratio,
l’abbandono agli dei del violatore, che poteva essere ucciso
impunemente da chiunque.
Nel quadro istituzionale segnato dall’accordo del 367 i tribuni si
collocano in una posizione di notevole potere. In essi si vedeva:
•l’auxilium plebis, la funzione storica di difensori e garanti degli
interessi della plebe;
•il ruolo di controllo politico e di opposizione di classe tenace e
innovatrice dell’attività di direzione dello stato affidata al senato e ai
magistrati maggiori.
Venuta meno con il tempo l’antitesi patrizio-plebea e quindi quasi la loro
stessa ragion d’essere, i tribuni seppero assumere progressivamente
un ruolo di partecipazione attiva nella gestione politica dello stato.
Anche la carica di tribunus, quindi, venne ad inserirsi nel certo
ordo magistratuum.
Inizialmente in numero di due, il loro numero aumentò e, almeno nel
quarto secolo, ne erano eletti 10 l’anno.
La loro inviolabilità li rendeva immuni dalla coercitio di qualsiasi
magistrato, anche dei supremi magistrati patrizi, quando prestavano il
loro auxilium ai plebei, interponendo talvolta la loro persona fisica tra
loro e il condannato o perseguitato.
Si venne sempre più affermando inoltre il loro potere di intercessio,
ovvero di porre un veto agli atti di imperio di ogni magistrato,
paralizzandone l’azione e tale potere poteva essere esercitato
individualmente da ogni tribuno, anche senza l’accordo dei
colleghi.
Ma nella pratica della vita costituzionale si affermò la convinzione
che se ogni tribuno poteva autonomamente usare il suo ius
intercessionis per paralizzare gli atti di qualsiasi organo di governo,
la sua stessa intercessio poteva essere vanificata da un diverso
diritto di veto da parte di un altro membro dello stesso collegio.
Da ciò nacquero i ripetuti tentativi di vari gruppi di ceti
dominanti di influenzare o corrompere uno dei tribuni, anche
eventualmente ricorrendo alla transitio ad plebem di qualche
patrizio (facendosi adottare da un plebeo), che poi si faceva
eleggere tribuno. Si ebbero così episodi come quelli di Marco
Ottavio contro Tiberio Gracco e di Livio Druso contro suo fratello
Gaio.
La tribunicia potestas, dunque, nasceva dalla sostanza dei poteri
dovuti al ius intercessionis strettamente correlato alla tutela della
personale inviolabilità di coloro che l’esercitavano.
Frequenti sono le testimonianze dell’impiego dell’intercessio nei
confronti ad es. dei consoli: si impedì di compiere leve quando la
guerra non fosse stata dichiarata, di convocare o proseguire comitia
per l’elezione dei magistrati, di presentare proposte di legge, di
procedere al sorteggio delle province, di esigere tributi.
Spesso, abusando della loro sacrosanctitas, trattavano coloro che
si opponevano al loro operato come violatori della loro persona e in
tal modo riuscivano a costringere chiunque a rispettare le loro
decisioni; del resto potevano imporre le più gravi sanzioni, tra cui
la praecipitatio e saxo, che eseguivano personalmente.
Esercitavano ovunque fosse necessario la loro funzione,
mancando, fra l’altro, non a caso di una loro sede ufficiale, che
ebbero solo dal 184 presso la basilica Porcia; lasciavano sempre
aperte le porte della loro casa, perché chiunque potesse, se
bisognoso di aiuto, rivolgersi a loro.
Non potevano di conseguenza allontanarsi da Roma neppure per
una notte o un giorno, tranne che per presiedere i concilia plebis, che si
svolgevano fuori delle mura della città.
L’auxilium plebis e l’intercessio tribunizia avevano validità perciò
solo entro il pomerio.
I singoli tribuni avevano il potere di agere cum plebe, di convocare i
concilia, di dirigerne i lavori; ma tutti quelli in carica con un editto
collegiale dovevano convocare l’assemblea popolare per l’elezione nel
corso dell’estate dei nuovi tribuni, che sarebbero entrati in carica il 10
dicembre.
Verso la fine del III secolo la tribunicia potestas si arricchì di un nuovo
potere, il ius senatus habendi, il diritto dei tribuni non solo di
partecipare alle sedute del senato (in precedenza dovevano attendere
davanti alle porte aperte, su scanni disposti all’ingresso della curia), ma
persino di convocarlo.
La legge Atinia verso la metà del II secolo diede la possibilità agli
ex tribuni di diventare senatori, se scelti dai censori
.
Fu Silla, nell’88, ad apportare drastiche limitazioni ai poteri dei
tribuni.
•Li spogliò del diritto di intercedere, riducendo la loro potestà al
semplice aiuto ai singoli cittadini;
•vanificò la loro potestà di legiferare, imponendo l’obbligo di
sottoporre i plebisciti al parere preventivo del senato;
•li escluse dalla possibilità di ricoprire in seguito altre magistrature;
•forse attribuì la loro stessa nomina al senato.
Quaestores
Magistrati minori antichissimi, privi di imperium, titolari di potestà
finanziarie.
Eletti nei comitia tributa.
Competenze:
*amministrazione dell’erario del popolo romano, di cui custodivano le
chiavi, il tesoro, i documenti, le insegne militari;
*vigilanza sull’adempimento degli oneri tributari risultanti dalle liste del
censo;
*erogazione dei fondi necessari alle spese decise dai consoli secondo
le direttive del senato;
*intervenivano contro i debitori dello stato con la sectio bonorum;
*gestivano il bottino di guerra aiutando i consoli;
*amministravano i proventi delle province.
Inizialmente avevano anche competenze nel campo della
repressione criminale, dell’istruttoria e dell’accusa dei colpevoli di
crimini capitali,da cui forse deriva la denominazione (quaestores
da quaerere, indagare)
Ai primi due, quaestores urbani o aerarii, nel 421 se ne
aggiunsero altri, “militari”, che seguivano i supremi magistrati
nell’amministrazione delle legioni (ufficiali pagatori, contabili).
Dal 267 ne vennero aggiunti altri quattro, Italici o classici, per
l’amministrazione dell’Italia conquistata e delle province. Le sfere
di competenza erano stabilite per sorteggio.
Nell’81 a.C., per far fronte alle accresciute necessità, Silla ne
portò il numero a 20; Cesare ne raddoppiò il numero nel 45, ma
Augusto ristabilì la norma sillana.
Aediles
Plebei
L’edilità plebea ebbe il suo primo riconoscimento nel 449, con la
legge Valeria-Orazia, che aveva conferito la sacrosanctitas oltre ai
tribuni della plebe anche agli aediles.
Erano eletti nei concilia plebis.
In tale occasione fu conferita agli edili la responsabilità della custodia
dei testi ufficiali dei senatusconsulta, incarico di grande significato
simbolico e valore politico.
Essi come collaboratori dei tribuni avevano compiti:
•di vigilanza e polizia sui quartieri e mercati plebei;
•di custodia degli archivi e di gestione del tesoro depositati presso il
tempio di Cerere sull’Aventino, centro non solo religioso, ma anche
politico-organizzativo della plebe ai tempi della lotta contro il patriziato.
Curules
I nuovi aediles curules si affiancarono ai successori degli edili primitivi
nel 367, mantenendosi da questi distinti sia formalmente, poiché eletti nei
comitia tributa, sia istituzionalmente, per rango, segni onorifici e poteri
maggiori.
Le due coppie perciò non costituirono mai un collegio unificato, pur quando si
giunse ad ammettere anche i plebei ai due posti di edili curuli.
Competenze comuni:
•cura Urbis, poteri di vigilanza e di polizia sulla viabilità, i luoghi pubblici, gli
acquedotti, gli edifici aperti al pubblico, i lupanari, le terme e la direzione
delle misure antincendio e della nettezza urbana;
• cura annonae, soprintendenza sui mercati, controllando la qualità delle
merci, i prezzi, i pesi e le misure, garantire l’approvvigionamento ordinario e
straordinario;
•cura ludorum, organizzazione delle più importanti feste pubbliche, ad
eccezione dei ludi Apollinares, di competenza del pretore urbano; ciò
divenne uno strumento non secondario di propaganda politica e personale
per acquisire il favore degli elettori.
Gli edili curuli avevano in più funzioni giurisdizionali in materia di
controversie relative alle operazioni commerciali sui mercati.
Funzioni inferiori
Prima di accedere alla questura si esercitava qualcuna delle funzioni
ausiliarie delle magistrature, i cui titolari erano definiti globalmente
vigintisexviri.
Prove certe della loro esistenza si hanno a partire dagli inizi del III
secolo a.C.
Tresviri capitales o nocturni
In origine funzionari di polizia alle dipendenze del pretore, creati per
combattere il dilagare della delinquenza comune
Eletti nei comitia tributa, perseguivano i criminali e nei confronti degli
appartenenti ai più umili strati sociali esercitavano una sorta di giustizia
di polizia: gli arrestati riconosciuti colpevoli erano messi da loro a morte
mediante strangolamento, gli altri, sottoposti a un sommario processo, se
giudicati colpevoli erano consegnati al carnefice.
Dirigevano inoltre le prigioni della città.
Quattuorviri praefecti iure dicundo Capuam Cumas.
Eletti nei comitia tributa, erano delegati del pretore ad amministrare la
giustizia in alcune città, come Capua, Cumae, Puteoli, Liternum, in cui per
motivi politici si era deciso di istituire organi giurisdizionali operanti sotto il
diretto controllo di Roma.
Decemviri stlitibus iudicandis
Costituivano un collegio che aveva competenze a giudicare in materia di
schiavitù e di libertà.
Tresviri aere argento auro flando feriundo
Preposti alla coniazione delle monete bronzee e d’argento almeno dal 268 e
di quelle d’oro solo da epoca sillana.
Quattuorviri viis in urbe purgandis e duoviri viis extra urbem
purgandis
Ausiliari degli edili con compiti chiaramente definiti dalla loro
denominazione.
I duoviri extra urbem purgandis e i quattuorviri praefecti Capuam
Cumas vennero aboliti da Augusto, per cui tali funzionari inferiori vennero
da allora denominati nel complesso come vigintiviri.
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