La crisi politica dell’inverno 1802-1803 ottobre 1802: esce a Milano, per le edizioni del Genio Tipografico, la prima redazione completa e autorizzata da Foscolo de Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis. La polemica antifrancese è (già in questa edizione) piuttosto tagliente. 30 novembre 1802: il Consigliere Cicognara riceve il ms. degli Sciolti di Timone Cimbro: è l’inizio del cosiddetto ‘affaire Ceroni’, che avrà l’effetto di screditare Francesco Melzi (il vice-presidente della Repubblica Italiana) e il suo entourage, dove avevano acquistato credibilità alcuni promotori dell’indipendenza e dell’autonomia italiana, tra cui Foscolo stesso. 21 gennaio 1803: Melzi promulga un Decreto di regolamento per le stampe e i libri. 1803: Foscolo si lascia assorbire dal lavoro di traduzione e commento della Chioma di Berenice di [Callimaco-] Catullo. La crisi politica e la memoria lucreziana [dalla dedica a Niccolini della Chioma]: Né mi sarei accinto a farla da commentatore se in questa infelice stagione non avessi bisogno di distrarre come per medicina la mente ed il cuore dagli argomenti pericolosi a’ quali attendo per istituto. [e in nota]: Nam neque non agere hoc patriai tempore iniquo possumus aequo animo nec Memmi clara propago talibus in rebus communi deesse salute [LUCR. 1, 41-43]. Non posso infatti in questo tempo avverso alla patria compiere l’opera sereno, Né può la nobile progenie di Memmio mancare in quest’ora alla salvezza comune da una lettera a G.B. Giovio, Firenze, 19 ottobre 1813 […] Ma se v’era speranza per l' Italia, io la desumeva tutta dall’unione di parecchi milioni d’abitanti in un solo regno, dall’animo militare che già si assumeva, e dalla corona d’Italia che, un giorno o l’altro, sarebbe stata indipendente in uno de’ successori di chi oggi comanda. Comunque sia, Il mal mi preme e mi spaventa il peggio, Al qual veggo si larga e strana via, Ch’io sono entrato in simil frenesia – di scrivere a lei di siffatte cose e di spoliticare, contro il mio solito. E vo spesso leggendo la bibbia e poeti, e canto versi da me, né so fermare il capo in nulla di concludente. Nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo Possumus aquo animo: Necque Talibus in rebus communi deesse saluti. Ancora dalla dedica a Niccolini della Chioma Posterius graviore sono tibi musa loquatur Nostra: dabunt cum securos mihi tempora fructus. Culex 8-9 Più tardi la mia Musa canterà per te in modo più elevato, quando i tempi mi daranno una vita tranquilla. Una proposta ermeneutica per la Chioma Interpretando un antico poeta fabbro di arte bella, per cui usa di modi figurati e di peregrine parole, che tocca fatti di principi e di nazioni onde ritorcerli alla istruzione degli uomini, il commento deve essere critico per mostrare la ragione poetica: filologico per dilucidare il genio della lingua e le origini delle voci solenni; istorico per illuminare i tempi ne’ quali scrisse l’autore ed i fatti da lui cantati; filosofico acciocché dalle origini delle voci solenni e dai monumenti della storia tragga quelle verità universali e perpetue rivolte all’utilità dell’animo alla quale mira la poesia. A. Conti, Prefazione a Prose e Poesie I (Venezia 1739) A tali Poesie si occupano i Poeti oltramontani, mentre buona parte de’ nostri non cercano, che a far de' centoni del Petrarca, e s'immaginano d’esser Poeti per accoppiar insieme undici o sette sillabe, e con le rime legarle, non accorgendosi, che il Poeta, secondo l’etimologia del nome, è Creatore, e che la facoltà civile l’obbliga a dirigere l'opere della sua creazione all' utile della società. Gli uomini non si governano, che per via del senso, delle passioni, e della fantasia; dunque convien guadagnare quelle potenze per insinuare nell'animo le verità che più l'istruiscono. Dalla Chioma di Berenice, considerazione IX: Deificazioni 1° I Numi delle nazioni sono stati di mano in mano i prìncipi, legislatori e sacerdoti. 2° I poeti furono i primi teologi, storici e giureconsulti delle nazioni. 3° Ogni nuovo stato quantunque in fondo mantenga la religione del paese, deve nondimeno procacciarsi nuove divinità o almen nuovi riti. 4° A questo tendevano gli imperadori primi di Roma, e i poeti; e senza Costantino le adulazioni di Orazio e Virgilio, il quale (egl. I, v. 42) chiama praesentes deos fino i cortigiani di Ottaviano Augusto, ci sarebbero giunte non solo come poesia, ma come teologia. 5° Per i lumi sparsi dalla filosofia e dalla storia sulla religione gentile, che come tutte le umane cose arrivava alla decrepitezza, non avendosi potuto ne’ popoli istillare la divinità degl’imperadori, saggiamente Costantino abbracciò nuova religione di cui nondimeno o non seppe, o non poté interamente valersi. Dall’ultimo dei Frammenti su Lucrezio «[...] conviene ornare di assai edifici le città, e con somma pompa fare l’esequie de’ cittadini, ed ogni festa sì lieta che trista tragga principio dalla religione, e sieno le vesti de’ sacerdoti non dissimili da quelle de’ grandi magistrati; e santificando molti egregi concittadini o nelle scienze, o nelle armi, o ne’ costumi, le loro statue ponendo fra i simulacri de’ nostri dèi, e celebrando sontuosamente i loro nomi e le loro solennità, fare a poco a poco dimenticare i nomi de’ Giuseppi e de’ Franceschi, facendo che lo Stato sia l’anima della religione, e che ad ogni gioia o patimento dell’animo il corpo [gioisca o] patisca. Sopra di che unico modello ti sia la religione Romana, non in quanto a’ dogmi, che più o meno cangiano negli accidenti e ne’ nomi, ma in quanto al rito». Principali obiezioni critiche mosse a I Sepolcri da Guillon pessimismo asprezza espressiva incongruenza delle singole parti rispetto al discorso d’insieme Obiezioni e risposte GUILLON pessimismo asprezza espressiva incongruenza delle singole parti rispetto al discorso d’insieme FOSCOLO replica di aver voluto: considerare i sepolcri politicamente trattare il tema nei modi della lirica, come la intendevano gli antichi (ha scritto un carme). suscitare un effetto non patetico ma sublime («quello sommamente è sublime che dà molto da pensare»). combinare le sue idee (nessuna delle quali nuova in sé) attraverso una tessitura sottile e – quella sì – originale e funzionale al suo scopo. Lo schema dei Sepolcri nella Lettera a M. Guillon • I monumenti inutili a' morti giovano a' vivi perchè destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene: solo i malvagi, che si sentono immeritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge accomuna le sepolture de' tristi e dei buoni, degl'illustri e degl'infami. [1-90] • Istituzione delle sepolture nata col patto sociale. Religione per gli estinti derivata dalle virtù domestiche. Mausolei eretti dall'amor della patria agli Eroi. Morbi e superstizioni de' sepolcri promiscui nelle chiese cattoliche. Usi funebri de' popoli celebri. Inutilità de' monumenti alle nazioni corrotte e vili. [91-150] • Le reliquie degli Eroi destano a nobili imprese, e nobilitano le città che le raccolgono: esortazioni agl'italiani di venerare i sepolcri de' loro illustri concittadini; que' monumenti ispireranno l'emulazione agli studi e l'amor della patria, come le tombe di Maratona nutriano ne' Greci l'abborrimento a' Barbari. [151-212] • Anche i luoghi ov'erano le tombe de' grandi, sebbene non vi rimanga vestigio, infiammano la mente de' generosi. Quantunque gli uomini di egregia virtù sieno perseguitati vivendo, e il tempo distrugga i lor monumenti, la memoria delle virtù e de' monumenti vive immortale negli scrittori, e si rianima negl'ingegni che coltivano le muse. Testimonio il sepolcro d'Ilo, scoperto dopo tante età da' viaggiatori che l'amor delle lettere trasse a peregrinar alla Troade; sepolcro privilegiato da' fati perchè protesse il corpo d'Elettra da cui nacquero i Dardanidi autori dell'origine di Roma, e della prosapia de' Cesari signori del mondo. [213295] Il valore politico dei Sepolcri nella Lettera a M. Guillon Young ed Hervey meditarono sui sepolcri da cristiani: i loro libri hanno per iscopo la rassegnazione alla morte e il conforto d’un altra vita; ed a’ predicatori de’ protestanti bastavano le tombe de’ protestanti. Gray scrisse da filosofo; la sua elegia ha per iscopo di persuadere l’oscurità della vita e la tranquillità della morte; quindi gli basta un cimitero campestre. L’autore considera i sepolcri politicamente; ed ha per iscopo di animare l’emulazione politica degli italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi: però dovea viaggiare più di Young, d’Hervey e di Gray, e predicare non la resurrezione de’ corpi, ma delle virtù. Da che cosa può venire l’orrore della sepoltura? Dalla ‘negazione’ del sepolcro = il cimitero abbandonato Forse tu fra plebei tumuli guardi Vagolando, ove dorma il sacro capo Del tuo Parini? A lui non ombre pose Tra le sue mura la città, lasciva D'evirati cantori allettatrice, Non pietra, non parola; e forse l'ossa Col mozzo capo gl'insanguina il ladro Che lasciò sul patibolo i delitti. Senti raspar fra le macerie e i bronchi La derelitta cagna ramingando Su le fosse e famelica ululando; E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna, L'ùpupa, e svolazzar su per le croci Sparse per la funerea campagna, E l'immonda accusar col luttuoso singulto i rai di che son pie le stelle Alle obbliate sepolture. Dalla minaccia del ‘ritorno’ = lo scheletro, lo spettro Non sempre i sassi sepolcrali a' templi Fean pavimento; nè agl'incensi avvolto De' cadaveri il lezzo i supplicanti Contaminò; nè le città fur meste D'effigiati scheletri: le madri Balzan ne' sonni esterrefatte, e tendono Nude le braccia su l'amato capo Del lor caro lattante onde nol desti Il gemer lungo di persona morta Chiedente la venal prece agli eredi Dal santuario. Immagini del rito nei Sepolcri (vv. 91-103) Dal dì che nozze e tribunali ed are Dier alle umane belve esser pietose Di sè stesse e d'altrui, toglieano i vivi All'etere maligno ed alle fere I miserandi avanzi che Natura Con veci eterne a sensi altri destina. Testimonianza a' fasti eran le tombe, Ed are a' figli; e uscian quindi i responsi De' domestici Lari, e fu temuto Su la polve degli avi il giuramento: Religion che con diversi riti Le virtù patrie e la pietà congiunta Tradussero per lungo ordine d'anni. • nozze = diritto privato = rito nuziale • tribunali = diritto pubblico = rito giudiziario • are = diritto “canonico” = rito religioso. Icone e lessico dei riti funebri ‘alla maniera degli antichi’ le piante e la loro ombra ombra (e) : 1, 39 (molli), 68, 72 (non ), 281 (antichissime); cipresso (i) : 1, 115, 272; arbore : 39 (odorata, amica); cedri : 115; verde : 116 (perenne); palme : 272, frondi : 276 (devote) i fiori e il loro profumo fiore (i) : 39, 89 (non); effluvio (i) : 116 (puri); amaranti : 125; viole : 125; fragranza : 128 ciò che si versa sul sepolcro pianto : 42, 90 (amoroso); ambrosia : 63 (non), 252; rugiade : 87; lagrime : 118 (votive), 274 (vedovili); acque : 124 (lustrali); latte (127); lamento : 262 (amoroso) ciò che contiene o ricorda le spoglie urna (e) : 1 (confortate di pianto), 42, 116, 152 (dei forti), 282; sasso (i) : 13, 38, 104 (sepolcrali); reliquie : 36 (sacre); ceneri : 39; pietra : 75 (non); ara (e) : 98; vasi : 118 (preziosi). Il valore politico dei sepolcri ‘privati’ Nell’antichità classica, come nell’Inghilterra del primo Ottocento, il culto del sepolcro è un atto pubblico, e assume un valore politico anche quando il morto è un personaggio oscuro. Questo valore si può esprimere nella misura in cui il culto dei sepolcri ha un valore rituale, quindi comunicativo => se una tomba è ben custodita e onorata i membri della comunità sanno che i parenti del morto sono vivi e coltivano una tradizione comune. Il cimitero milanese vs. Santa Croce Ma ove dorme il furor d’inclite geste e sien ministri al vivere civile l’opulenza e il tremore, inutil pompa e inaugurata immagine dell’Orco sorgon cippi e marmorei monumenti. Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, decoro e mente al bello Italo regno, nelle adulate reggie ha sepoltura già vivo, e i stemmi unica laude. A noi morte apparecchi riposato albergo ove una volta la fortuna cessi dalle vendette, e l’amistà raccolga non di tesori eredità, ma caldi sensi e di liberal carme l’esempio. Che ove speme di gloria agli animosi intelletti rifulga ed all’Italia, quindi trarrem gli auspicii. E a questi marmi venne spesso Vittorio ad ispirarsi. Irato a’ patrii Numi, errava muto ove Arno è più deserto, i campi e il cielo desïoso mirando; e poi che nullo vivente aspetto gli molcea la cura, qui posava l’austero; e avea sul volto il pallor della morte e la speranza. Con questi grandi abita eterno; e l’ossa fremono amor di patria. […] Da una lettera a Vincenzo Monti, da Pavia, dicembre 1808 Per l'anno 1814 e 1815 io riserbava il tempo e la mente agl’Inni Italiani, scritti con la ragione morale e poetica de’ Sepolcri – ed ho già prefissi gli argomenti, Alceo, o la storia della letteratura in Italia dalla rovina del’'Impero d’oriente a’ dì nostri, – Alle Grazie, ove saranno idoleggiate tutte le idee metafisiche sul bello – A Eponia Dea, su le razze, il pregio, l'uso in guerra de' cavalli – All’Oceano, sulle conquiste marittime e sul commercio – Alla Dea Sventura, sull’utilità dell’avversa Fortuna e su la celeste virtù della compassione, unica virtù disinteressata ne’ petti mortali – Nell’ultimo inno, l’unico che sarà in metro rimato, e a strofi, antistrofi, epodi alla greca, intitolato A Pindaro si tratterà della divinità della poesia lirica e delle virtù e de’ vizi de’ poeti che la maneggiarono. parti de Le Grazie pubblicate vivente Foscolo per volontà dell’autore 1) 4 frammenti nel 1803, come parte del commento alla Chioma di Berenice. 2) 90 vv. detti “del velo” più altri frammenti nel 1822, nel volume intitolato Outline Engravings and description of the Woburn Abbey Marbles. [proposti per la pubblicazione] 115 versi detti “del rito” nell’estate 1813. sconfessati da Foscolo 1) 156 versi comparsi nel 1818 sulla «Biblioteca Italiana» 2) 285 versi nel 1822 (e 1825) editi da Silvestri nelle Prose e versi di Ugo Foscolo. Cosa si intende per ‘inno mimetico’ L’inno mimetico, «un’invenzione ellenistica» (D’Alessio) è un componimento non solo destinato ad accompagnare un’«occasione sociale o religiosa», ma capace di «inglobarla» e di metterla in scena (Pretagostini). Sono classificati come ‘mimetici’ gli inni II, V e VI di Callimaco (Ad Apollo, Sopra i lavacri di Pallade e A Demetra) A. Conti, Annotazioni su l’artifizio poetico di Callimaco nell’inno Sopra il lavacro di Pallade Il grande artifizio è di metter la ceremonia in azione e con le circostanze di questa tessere senza affettazione le lodi della dea. I lamenti di Cariclo appassionano la narrazione, le promesse di Pallade le conciliano maestà. Nel principio dell’Inno Pallade si rappresenta fulminatrice de’ Giganti, nel fine la prima tra le figliuole di Giove ed immutabile nelle sue promesse. Si comincia dall’esortazioni e si termina con le gratulazioni. Mirabile è la gradazione e non men mirabile l’intreccio degli affetti e la brevità e l’eleganza con la quale tante cose s’esprimono in così poche parole. Racconti mitologici legati alle Grazie recuperati/inventati o messi in relazione da Foscolo • l'apparizione di Venere dal mare greco, accompagnata dalle Grazie, trasforma la condizione umana: dalla ferinità alla civiltà • Venere prima di abbandonare la terra, invita le Grazie a perpetuare il ricordo dei nobili sentimenti che rendono eterni gli uomini (ripresa di un tema dei Sepolcri) • cacciate dalla Grecia [con la caduta di Costantinopoli] le Grazie si rifugiano in Italia • Pallade trasporta le Grazie sopra un cocchio nel mondo mitico di Atlantide e dà l'ordine alle dee minori che Giove ha assegnato al suo servizio (le Parche, Flora, Psiche, Erato, Ebe, Iri) di tessere un velo, nel quale sono raffigurate le virtù e gli affetti più sacri. Due versioni iconografiche per le Grazie In una pittura pompeiana, ora al Museo Nazionale di Napoli Il gruppo canoviano (1812-16) La Venere de’ Medici e la Venere Italica di Canova Reitzenstein (Epigramm und Skolion,1893) sugli inni ‘mimetici’ di Callimaco […] «noi sappiamo che il poeta alessandrino lavora per una diffusione libraria, come il poeta moderno;* ma non possiamo dimenticare che egli finge sempre un’esecuzione, e la sua opera acquista vita per noi solo se la pensiamo eseguita». * [e come Foscolo!] Inno primo – Venere, vv. 1-19 Cantando, o Grazie, degli eterei pregi di che il cielo v'adorna, e della gioia che vereconde voi date alla terra, belle vergini! a voi chieggo l'arcana armonïosa melodia pittrice della vostra beltà; sì che all'Italia afflitta di regali ire straniere voli improvviso a rallegrarla il carme. Nella convalle fra gli aerei poggi di Bellosguardo, ov’io cinta d’un fonte limpido fra le quete ombre di mille giovinetti cipressi alle tre dive l’ara innalzo, e un fatidico lauretto la protegge di tempio, al vago rito vieni, o Canova, e agl’inni. Al cor men fece dono la bella Dea che tu sacrasti qui su l’Arno alle belle arti custode; ed ella d’immortal lume e d’ambrosia la santa immago sua tutta precinse. Il poeta: indirizza la lode a una divinità che viene evocata con i suoi propri attributi e si suppone presente, o viene invitata ad essere presente parla al presente, in prima persona, nelle vesti di un officiante, del ‘regista’ di un rito situa il proprio discorso nella contemporaneità indica il luogo in cui il rito si svolge si rivolge con forme esortative o imperative a chi prende parte attivamente al rito Le sacerdotesse delle Grazie sacerdotessa arte modo di città di esprimere la provenienza grazia dolce pietà Firenze Eleonora Nencini musica Cornelia Martinetti poesia amabile fantasia Bologna Maddalena Bignami danza eleganza nelle forme Milano Inno primo – Venere, vv. 20-36 Forse (o ch’io spero!) artefice di numi, nuovo meco darai spirto alle Grazie che or di tua man sorgon dal marmo: [anch’io pingo, e la vita a’ miei fantasmi ispiro; sdegno il verso che suona e che non crea perché Febo mi disse: io Fidia, primo, ed Apele guidai con la mia lira. Eran l'Olimpo e il Fulminante e il Fato, e del tridente enosigèo tremava la genitrice Terra; Amor dagli astri Pluto feria: né ancor v'eran le Grazie. Una Diva scorrea lungo il creato a fecondarlo, e di Natura avea l'austero nome: fra' celesti or gode di cento troni, e con più nomi ed are le dan rito i mortali; e più le giova l'inno che bella Citerea la invoca. Il poeta: allude alle proprie scelte di poetica inserisce il racconto mitico nel tessuto lirico, privilegiandone l’antichità seleziona i miti da raccontare in funzione della circostanza Inno primo – Venere, vv. 81-90 Poi come l'orme della Diva e il riso delle vergini sue fer di Citera sacro il lito, un’ignota violetta spuntò a' piè de' cipressi, e d'improvviso molte purpuree rose amabilmente si conversero in candide. Fu quindi religïone di libar col latte cinto di bianche rose, e cantar gl'inni sotto a' cipressi, e d'offerire all'ara le perle, e il primo fior nunzio d'Aprile. Al racconto del mito si collega un commento che fornisce indicazioni sull’eziologia del rito. Le tre dee alle quali sono intitolati i tre inni ‘governano’ rispettivamente VENERE La sfera naturale, l’armonia cosmica. Si tratta della divinità generatrice, la alma Venus cui si rivolge Lucrezio nell’incipit del De Rerum Natura. VESTA La sfera arcaica, il retaggio della cultura romana pre-classica. Vesta è la custode delle tradizioni familiari e locali, presiede al focolare domestico. PALLADE La sfera culturale e la dimensione guerriera. Foscolo la definisce patrona delle «arti consolatrici» e «maestra degl’ingegni».