ARCHETIPI DELLE DIPENDENZE Parte seconda L'USURAIO La seduzione e l'inganno dell'usuraio Se l’alcol o la droga può dischiudere l’estasi ogni volta che lo si desidera, chi può rifiutare un simile dono? Lo può rifiutare solo chi ha letto attentamente i termini del contratto che regola la donazione e ha potuto constatare che questa non è un atto gratuito perchè richiede, anche se non immediatamente, una restituzione ad un tasso di interesse talmente esorbitante che chi riceve il dono difficilmente potrà restituirlo e che sino ad allora la sua vita non gli apparterrà più L’adescamento Immagini dell’usuraio Mefistofele nel Faust di Goethe Il diavolo dell’Histoire du soldat di Stravinsky L’usuraio è presente soprattutto nella psiche, è la figura interiore che vuole convincerci che possiamo avere qualcosa subito senza dover dare nulla in cambio sia un viaggio verso il paradiso sia la scorciatoia verso la creatività. All’inizio questa figura può apparire cordiale, addirittura gentile ma non appena si diventa suoi debitori manifesta la sua crudeltà e il suo diabolico potere e alla fine si paga molto di più di quanto si è ricevuto, a volte si paga addirittura con la vita. L’usuraio si impossessa della psiche, assume il controllo della vita della persona sia attraverso i debiti che le accuse di colpevolezza. Egli mantiene questo possesso inducendo la persona che ne è vittima a credere che potrebbe liberarsi completamente dai suoi debiti. Se lo ascolta e gli dà credito la persona rinforzerà ancora si più la sua schiavitù perché sarà sommersa dal senso di colpa che credeva di poter rimuovere e/o controllare. Schuld: essere debitore equivalente a essere colpevole Heidegger fa notare che l’espressione tedesca Schuld rimanda sia all’essere debitore che all’essere reo. Questa equivalenza introduce l’immagine dell’usuraio. La persona pensa di poter saldare il proprio debito e di liberarsi dalla colpa come se egli fosse un oggetto che può essere portato a compimento. Ma, come ricorda Heidegger, la persona non è la fonte del proprio essere e, quindi, la colpa esistenziale di non giungere a compiersi non scaturisce dalle sue azioni o dalle sue omissioni. Questa è perciò una colpa paradossale che va accettata come insita nella condizione umana e che è all'origine del debito che ogni uomo condivide. Il debito di ogni esistenza umana Il debito nasce dalla responsabilità di ogni uomo di realizzare le proprie potenzialità. È un debito che però non può mai essere saldato, da cui non ci si può liberare, anche perché dovendo morire l'uomo non può realizzare tutto. È necessario ricordare che ogni volta che un essere umano prende una decisione o compie un'azione, di fatto, limita il modo in cui possono essere messe in atto del suo essere in un determinato momento. La coscienza è il luogo in cui deve avvenire giorno dopo giorno, attraverso la saggezza, l'accettazione di ciò che non può essere cambiato e il cambiamento coraggioso di ciò che può essere cambiato. Il trasferimento del debito esistenziale all'usuraio Spesso le persone preferiscono le soluzioni facili, quelle che (illusoriamente) sono in grado di controllare e questo favorisce la comparsa dell'usuraio. Il dipendente si consegna all'usuraio sostituendo il debito esistenziale della sua anima con quello verso il diavolo. Anziché riconoscere di essere quotidianamente in debito del mistero della vita, cerca di controllare e di padroneggiare il proprio debito mercanteggiando con il demonio. L'usuraio prende il mistero paradossale dell'essere umano e cerca di ridurlo a un debito che può essere pagato. Ma il pagamento che egli esige fino all'ultimo centesimo è l'anima del debitore, come fa Mefistofele con Faust. Il risveglio spirituale del dipendente Il dipendente impersona sia il ruolo del colpevole sia quello opposto dell'innocente autogiustificato. Nella dipendenza si evita di affrontare il nulla, lo spazio aperto perché esso è anche la faccia oscura della Totalità. È solo la coscienza che può condurre in questo spazio che è di fronte alla morte e che consente la scelta del vivere autenticamente. Quando il dipendente riconosce con umiltà la propria colpa esistenziale, sperimenta un risveglio spirituale che gli consente di accettare le ferite della dipendenza e scoprire la forza redentrice che è presente nella sua vita.La colpa esistenziale diventa un dono e il debito la forza che risana. IL GIOCATORE Il giocatore di Dostoevskij Dostoevskij uscì dalla dipendenza del gioco della roulette solo cinque anni dopo aver terminato il "giocatore". Mentre nel progetto originale il protagonista alla fine si sarebbe ravveduto nella stesura finale, introducendo una chiara negazione, smetterà di giocare solo quando sarà tornato in pareggio. Nelle lettere scritte dopo la fine del romanzo egli cerca di giustificare la sua "passione" per il gioco sostenendo che per lui il problema era solo quello di riuscire a "riflettere senza perdere il controllo", a "giocare freddamente", a"mantenersi con i nervi saldi", perché se ci fosse riuscito avrebbe vinto. L'usuraio e il giocatore agiscono insieme Nella dipendenza dal gioco l'usuraio riceve il proprio potere dal fatto che l'archetipo del giocatore spinge la persona a rischiare sempre di più facendo in modo che un rischio per quanto elevato non basti mai. Nel caso di Dostoevskij l'usuraio è impersonificato nella ruota della roulette che con un solo giro può cambiare tutto. Gli elementi essenziali del giocatore sono l'assunzione del rischio, la paura e il pericolo. Ora mentre egli ha una notevole capacità di affrontare i pericoli manca completamente di quella di controllare gli impulsi che li provocano. La guarigione Il confine tra il gioco ricreativo e quello patologico è molto labile e poroso. La spinta al gioco è spesso determinante per l'instaurarsi della dipendenza, tuttavia lo è anche per la guarigione soprattutto se diviene oggetto della creatività della persona dipendente. IL ROMANTICO LA FIGURA ARCHETIPICA PIU' AVVINCENTE E PERICOLOSA Il romantico è una delle figure più avvincenti, ma anche più pericolose, della psiche del dipendente: se non la trasforma lo può condurre alla morte. Se, invece, la trasforma può condurlo alla trasformazione spirituale. Infatti, la sua energia può strappare la psiche dalla presa del mondo concreto per condurla negli ignoti reami del proibito. Questa figura archetipica persegue la totale fusione della persona con chi ama. Di solito si tratta di una persona che anela a prendere il volo verso "qualche luogo al di sopra dell'arcobaleno" o a dissolversi sperimentando l'unione con l'infinito. Quando il desiderio di fusione con l'infinito si impossessa della vita di questa persona la riduce a una inutile e insaziabile brama solitaria e il romanticismo diventa una dipendenza patologica. Tuttavia, dietro questa brama inquieta si nasconde l’anelito dell’anima al divino e alla creatività, e in questo anelito che nasce la possibilità di trasformazione. romanticismo diventa una dipendenza patologica. Dall’evasione dal mondo diurno alla Liebestod Nella letteratura romantica tedesca lo struggimento per il paradiso porta spesso a un’amara sensazione di sradicamento, di evasione dal mondo diurno e a una dipendenza dal modo della notte. Nell’amore per la notte il romantico può continuare a sognare sfuggendo alla prigione della realtà. Ma la notte da cui diventa dipendente spesso si trasforma nell’ultima notte, nel Liebestod in cui l’amore è possibile solo nella morte. Quando il romantico è deluso dalla vita perché è stato frustrato il suo anelito alla fusione totale, il suo romanticismo può degenerare nel rendimento cinico, negatore della vita, che si manifesta nell’uomo del sottosuolo descritto da Dostoevskij. Liebestod e dipendenza Il romantico dipendente rifiuta di vivere nella tensione, considera entità assolute l’amore e il mistero, e si ritrae dal mondo ordinario cercando scampo nel liebestod. Nella tossicodipendenza la sostanza chimica preferita diviene sempre il fine a cui sacrificare ogni altra cosa. Infatti, nel dipendente romantico la sostanza è la passione dell’unione, del fondersi. Consegnandosi all’alcol, alla droga, al potere, all’idealismo o all’amore romantico, il dipendente cerca di sfuggire ai conflitti e alle tensioni della vita. Spera così di sfuggire l’antinomia che è insita nella condizione umana vivendo in un unico polo. La dipendenza, infatti, mira agli estremi: o l’idealismo o la disperazione e il cinismo assoluti. Tristano e Isotta Nella visione romantica il polo dell’ideale appare dapprima fulgido come un sogno, ma in esso finiscono per infiltrarsi sia la luce della coscienza,il mondo diurno della realtà, sia la gelosia e la possessività del mondo delle tenebre. Quando ciò accade, piuttosto che sacrificare il loro ideale gli amanti romantici, come Tristano e Isotta, optano per il suicido In sintesi Il romanticismo può essere una possente forma di dipendenza. Questo archetipo compare nel dipendente quando tenta di sfuggire allo stress del mondo presente nella vita quotidiana. Attraverso una sostanza, una relazione o un comportamento cerca di dare a questa stessa realtà un senso assoluto e nel contempo di essere tutt’uno con l’universo. In questa ricerca il romantico spesso si impiglia in un paradosso: cercando di possedere e perpetuare il senso della sua unicità la perde completamente. L’UOMO DEL SOTTOSUOLO Il risentimento Quando una persona dipendente frena la rabbia, questa si congela nel risentimento, una forza distruttiva che può essere rivolta verso gli altri, contro se stessi e contro l’universo intero. Nelle memorie di Dostoevskij c’è un’analisi del risentimento visto come il principale atteggiamento che cova nell’uomo del sottosuolo uccidendone l’amore e la creatività. Nietzsche nella genealogia della morale la chiama la malattia dell’untermensch, dell’individuo che teme la creatività e vuole ucciderla in se stesso e negli altri. Gli A.A. hanno definito il risentimento il nemico pubblico numero uno che più ogni altra cosa porta alla rovina gli alcolisti. Il risentimento secondo Nietzsche Nietzsche considera il risentimento l’antitesi della creatività, l’atteggiamento che l’uomo assume quando vive una vita di impotenza e di schiavitù, quando non vive la sfida creativa della propria esistenza ma l’immiserimento della vita. Si manifesta spesso nella rispettabile facciata del moralismo, ma origina l’odio e l’invidia che chiedono la vendetta della vittima senza risorse che è gelosa della persona ch possiede una forza creativa. Coloro che sono soggetti al moralismo della schiavitù vivono reprimendo la loro aggressività in uno stato di ebete tranquillità che maschera l’impotenza. È questa passività che secondo Nietzsche alimenta l’occhio avvelenato del risentimento, sia esso quello del moralista o del carnefice o del sofferente che cerca scampo nell’intossicazione. Il risentimento secondo Dostoevskij Nelle memorie del sottosuolo Dostoevskij rivela il tormento di un uomo che soffre nell’abisso del risentimento e che come molti dipendenti soffre del mal di fegato. Con la sua malignità l’uomo del sottosuolo ha scelto di vivere in un angolo, convinto che nella società non ci sia posto per una persona della sua intelligenza e che solo agli stupidi arrida il successo. l’uomo del sottosuolo sperimenta in sé il conflitto degli opposti, ma non è disposto né ad affrontarlo e a conciliarlo, né a sopportare la tensione che produce. La tensione che questo conflitto genera in lui lo porta a definire cinicamente la coscienza una malattia. Infatti, è proprio nel momento in cui egli sente tutto ciò che è “buono e bello” che sprofonda in pensieri perversi e commette un atto odioso, abominevole. E quando egli acquisisce la coscienza della propria degradazione prova la gioia più intensa, come accade, ad esempio, in quei momenti di disperazione in cui si gode di essere in una posizione senza via d’uscita. È questa la maledizione della coscienza. L’uomo del sottosuolo è un sognatore romantico diventato cinico. L’uomo del sottosuolo: il lato oscuro della natura umana L’uomo del sottosuolo è una creatura che ricorda ogni offesa fin nei minimi particolari umilianti, che si tormenta escogitando con la propria immaginazione anche altri insulti, che non perdona nulla e vuole la vendetta, ma che cerca nei modi più insulsi, in incognito, consapevole che la sofferenza che procurerà a stesso sarà maggiore di quella che proverà la persona contro cui la dirige. C’è un godimento nel dolore, un voluttuoso piacere nel soffrire lamentandosi. Come rileva Dostoevskij: “ l’uomo, a volte, ama immensamente la sofferenza, fino alla passione”. L’uomo del sottosuolo non rinuncerà alla paradossale libertà di scegliere ciò che è distruttivo, caotico, offensivo per lui, perché questa è la stessa libertà che sta a fondamento della sua individualità e della sua creatività. Il risentimento e la distruttività sono compresi nel prezzo che l’uomo paga per la sua libertà I paradossi dell’uomo del sottosuolo nel dipendente Come l’uomo del sottosuolo il dipendente è incapace di conciliare i violenti paradossi che affliggono la vita umana e si pone fuori della società, ma, da un lato, egli disprezza l’uomo normale mentre, dall’altro lato, vorrebbe essere come lui. Tuttavia, se il dipendente è consapevole del potere umano di autodistruzione e della perversità che è insita in esso, l’uomo normale è ignaro di queste forze oscure interiori essendo malato di autoinganno (Sartre) e di inautenticità (Heidegger). Né il dipendente, che sta nel sottosuolo, né l’uomo normale vivono la tensione dell’esistenza. Per guarire occorre vivere nella tensione dell’esistenza. IL TRASGRESSORE Il coraggio di essere diverso Il trasgressore è una figura affascinante, pericolosa e romantica, simbolo dell’essere umano in contrasto con la società, dell’individuo che ha il coraggio di essere diverso. È come l’artista creativo, che spesso è circondato da un alone romantico ed è temuto per la sua diversità. Il più delle volte le perone dipendenti, quando raccontano la propria storia di vita, dicono di essersi sentiti “diversi” già nell’infanzia e nell’adolescenza La diversità come richiamo del Sé Una fantasia comune alle persone che si sentono “diverse” è quella di essere orfani, nati da genitori misteriosi, forse divini. Secondo Jung questa fantasia, che esprime il senso della diversità, è originariamente il primo richiamo di un Sé maggiore: l’espressione dell’archetipo del fanciullo divino, del primo anelito allo spirito creativo. Hermann Hesse ha descritto questo richiamo nei romanzi “Demian” e “Il lupo della steppa”. Dal disadattamento e dalla ribellione alla trasgressione Sembra che talvolta per essere creativi occorra necessariamente essere disadattati o ribelli. Tuttavia, se diventa assoluta, questa tendenza, anche se nata dal richiamo della creatività, può trasformarsi nel disprezzo dei propri simili. In questo caso il disadattato può diventare un trasgressore o un Assassino. Nei suoi romanzi Dostoevskij mostra come il risentimento dell’uomo del sottosuolo finisca per trasformarsi in un atteggiamento che giustifica l’omicidio, come nel caso di Raskolnikov in “Delitto e castigo”. La sensazione di eccezionalità e di unicità può essere deviata dal proprio corso se si smarriscono la tensione del rapporto con la società e si porta l’eccezionalità alle estreme conseguenze. Diversità e tossicodipendenza Molti individui che originariamente avvertivano l’impulso alla creatività hanno cercato di essere diversi imboccando le strade della tossicodipendenza, ricevendo dalla droga o dall’alcol il “fluttuante coraggio” di ignorare le proibizioni e acquisendo nello stesso tempo un senso smisurato della propria importanza. Nella dipendenza il trasgressore so riallaccia a molte altre figure archetipe: il romantico, il giocatore, il briccone, l’assassino e l’uomo del sottosuolo. I tossicomani che fanno uso di droghe diventano automaticamente “trasgressori”, anche se l’archetipo dell’aggressore non viene estrinsecato e agito. Esso è comunque presente nella loro psiche. L’uomo in rivolta Camus ha mostrato come il trasgressore possieda la capacità di trasformazione di una realtà sociale degenerata, di porsi contro le forme di tirannia e di schiavitù. Tuttavia, se manca il legame di solidarietà con gli altri la rivolta del trasgressore degenera proprio nelle forme di tirannia e schiavitù che combatte e può trasformarsi in assassino, acquiescente al delitto. Ribellandosi per mezzo di una dipendenza molti si tuffano proprio nella tirannide e nella schiavitù cui cercano di sfuggire. Essi autogiustificano la rivolta che li aliena dagli altri esseri umani e si perdono nell’indulgenza verso se stessi. In questo modo incorporano ciò contro cui protestano: la trascuratezza di una società che non riesce a rispettare il potenziale creativo degli individui e che asservisce la natura ai propri fini. Rivolta vs Risentimento Camus contrappone la rivolta al risentimento per distinguere la passività-negatività del risentimento, che si chiude in se stesso in un’autointossicazione, dall’energia attiva, liberatrice della rivolta. Chi è preda del risentimento gode dell’umiliazione e del dolore di coloro che irride. Ma il suo non è che risentimento verso se stesso: egli vuole essere una persona diversa da quella che è. Il ribelle, al contrario, difende la propria persona quale essa è e non permette agli altri di violarla. La rivolta è sempre un’appassionata affermazione dell’integrità dell’essere umano. La comunanza di solidarietà e solitudine come via d’uscita dalla dipendenza Camus indica nella paradossale comunanza di solidarietà e solitudine il significato originario dello spirito di rivolta. Questa paradossale “estraneità che unisce” è leggibile nella comune partecipazione di coloro che stanno uscendo da una dipendenza. Nel loro riunirsi, nel condividere con umiltà le loro sofferenze, avviene una sorta di miracolo. L’Io umiliato, estraniato del tossicodipendente che soffre diventa il Noi di quelli che sono sulla via della guarigione e che stanno trasformando se stessi e gli altri. Dice Camus: mi rivolto, dunque siamo. Rivolta vs Trasgressione La rivolta implica l’accettazione della sofferenza, dei limiti umani e la decisione di resistere; una decisone che non nasce dall’obbedienza a dettami esterni, religiosi o politici, ma da un vigoroso, intelligente confronto entro i limiti umani. Questa rivolta non conduce all’eccesso, come nella sindrome del Trasgressore, bensì al contenimento e alla moderazione. La trasformazione della trasgressione in Rivolta è un atto di coraggio che conduce al di fuori del nichilismo. Il ribelle, infatti, non abbandona la società, non vive nel risentimento e nel rancore come fa il trasgressore, al contrario torna alla vita, da amore, rifiuta l’ingiustizia e offre speranza e dignità a chi è umiliato Il Trasgressore può trasformare il suo odio verso la società in amore e generosità. Secondo Camus la sfida posta agli esseri umani è quella di imparare a vivere, a morire e, per essere uomini, di rifiutare di essere Dio. Per Camus il potere di trasformazione e di risanamento non sta in un superiore ordine ma negli stessi esseri umani che condividono le lotte per affermare e creare le condizioni dell’umano. IL BRICCONE La bipolarità del Briccone Il Briccone divino (trickster) è l'ingannatore che si presenta sia come l'idiota creativo sia come il saggio buffone. Egli, infatti, rappresenta la duplicità e, quindi l'alto e il basso, il sublime e l'abietto, il dentro e il fuori. Questo archetipo è sempre presente nella psiche della persona dipendente in cui compare sotto le vesti del seduttore all'inizio della dipendenza e più avanti in occasione di ogni negazione, occultamento o autoinganno. L'affascinante Briccone si allea con l'Usuraio, il Giocatore, il Romantico, l'Uomo del sottosuolo, il Trasgressore, la Pazza, il Giudice e l'Assassino. Per il suo carattere bipolare egli è all'origine tanto della seduzione che conduce alla dipendenza e della negazione che favorisce la ricaduta, quanto all'uscita della dipendenza. Infatti, il Briccone può allearsi sia con il "dio" sia con il "diavolo". Sconfiggere il Briccone Per sconfiggere il lato oscuro del Briccone è necessario per prima cosa riconoscerne la presenza nella psiche e ammettere l'impotenza dell'Io a combatterlo da solo. Questa consapevolezza deve condurre alla ricerca di aiuto. Infatti, è solo l'amore che può rompere il cerchio di potere che imprigiona il dipendente. In altre parole è necessario smettere di proiettare il male sugli altri e rendersi conto della fraternità universale che lega l'umanità. Il Briccone può aprire a questa consapevolezza perché con i suoi tiri mancini favorisce l'uscita della persona dalla razionalità, dal controllo aprendola alla rivelazione di chi è realmente come essere umano e, quindi, spingendola ad affrontare con umiltà la propria impotenza e a volgersi verso la domanda che abita la profondità del suo essere. LA PAZZA Follia e Dipendenza La pazza abita nel cuore della dipendenza, così come il grembo della creatività. Follia e dipendenza sono sempre state associate nel corso dei tempi poiché lo sbocco di ogni dipendenza è la follia. Ma in quella follia c'è anche la fonte della creatività. Proprio perché la società teme sia la follia che la dipendenza la persona che vive l'una o l'altra o entrambe è posta fuori dal confine della società. Simmetricamente la persona dipendente tende a rifiutare la società che la rifiuta, provando un segreto piacere ogni volta che ha la possibilità di aggirare le convenzioni della normalità. La creatività delle dee delle tenebre Quando la società rifiuta il femminile folle, l'energia di questo è respinta nelle persone che la manifestano e ciò impedisce di scorgere il senno creativo che è insito in questa follia. Altre culture onorano invece la creatività delle dee delle tenebre: Ecate, signora delle ombre e dei fantasmi notturni; Ereshkigal, regina dell'oltretomba; Kalì, dea della distruzione e della morte; Oya, dea yoruba (Niger) dei cambiamenti e della devastazioni. La pazza e la dipendenza La Pazza è anche la figura furiosa che chiude lo schiavo della dipendenza nella cella sprangata della solitudine de dell'alienazione. A volte la Pazza esplode all'esterno del proprio sentimento di non essere amata e finisce in una dolorosa prigione di paranoia. Nella dipendenza affettiva la Pazza può essere la vittima ferita, respinta, amareggiata che rivolge la rabbia verso se stessa mutandola in autodistruzione per mezzo dell'alcol, della droga e dell'ingordigia. O può essere, invece, l'aggressore che divora gli altri con le richieste, il controllo o la rabbia, nella sua bramosia insaziabile di amore e di potere. La figura della Pazza trae alimento dalle proiezioni culturali delle e sulle donne. L'ASSASSINO L'Assassino: dipendenza e creatività, quale rapporto? Truman Capote che scrisse "A sangue freddo" morì di droga e alcol; Eugene O' Neal, un alcolizzato che per continuare a scrivere riuscì a smettere di bere,mostrò ne "L'uomo di ghiaccio" come la dipendenza possa portare a uccidere freddamente; Dostoevskij, giocatore d'azzardo compulsivo, descrisse l'omicidio in romanzi come "Delitto e castigo", "L'idiota", "I demoni" e "I fratelli Karamazov". La dipendenza – l'Assassino – uccide in coloro che ne sono succubi l'amore e la creatività. Uccide anche il bambino che ciascuno porta dentro di sé. In ogni sua forma – droga, alcol, gioco d'azzardo, bramosia di potere, consumo compulsivo, passione romantica e codipendenza – divora con la sua fame insaziabile il cuore della creatività e ne prosciuga la linfa vitale come il vampiro succhia il sangue delle sue vittime. Nel dipendente la capacità di essere spontaneo, vulnerabile, ricettivo è gravemente lesa, come lo sono la speranza e la fede nella vita e nell'amore. Delitto e castigo In delitto e castigo Dostoevskij mostra il lavorio della mente dell'assassino e indica la via della trasformazione. Nel romanzo gli assassini sono due: uno che può cambiare e l'altro no (Svidrigajlov). Infatti, Svidrigajlov si è irrigidito e ha oggettivato l'amore in indifferenza. In lui non c'è perdono. È come posseduto dall'impossibilità di riuscire a sopportare nel proprio intimo la tensione tra bene e male. Essendosi consegnato completamente ball forza distruttiva demoniaca che induce all'annientamento Svidrigajlov finisce suicida. L'altro assassino Raskolnikov soffre per il delitto che ha commesso e ha dentro di sé la speranza di una rinascita spirituale. Confessione e senso di colpa Nonostante il senso di colpa e la confessione nella vita di Raskolnikov non è presente quell'umiltà che porta alla conversione. Egli è ancora dominato da un orgoglio demoniaco. Sonja però rappresenta la possibilità di una nuova vita, di una resurrezione. I due lati della personalità di Raskolnikov sono rappresentati da Svidrigajlov e da Sonja. Il primo è l'omicida freddo, calcolatore che non sente rimorso, la seconda rappresenta la possibilità di perdonare se stesso e di mare gli altri. La negazione del femminile nella dipendenza Delitto e castigo mostra con rigorosa precisione come nella vita del dipendente il femminile venga angariato e ucciso quando domina la protervia. Il tratto femminile di affetto e sollecitudine è soffocato e, infine, ucciso dall'indifferenza e dalla monomania del volere ciò che si vuole quando si vuole. Svidrigajlov rappresenta l'estremo di questo atteggiamento demoniaco. È la figura più spaventosa della psiche del dipendente. È un personaggio che non si trasforma. La speranza insita nella figura di Sonja esige il perdono, la confessione, il dolore. Esige che ci si inchini in umiltà. Ma promette anche la redenzione in virtù del lato femminile: il lato dell'amore e del rispetto per la vita.