LA DONNA E L’AMORE DIVINA COMMEDIA DANTE ALIGHIERI CONFRONTO AMOR CORTESE E AMORE STILNOVISTA Il canto V dell’Inferno è il canto dell’amore cortese mentre il III del Paradiso è il canto dell’amore stilnovista. La famosa ANAFORA del canto di Paolo e Francesca (amor…amor…amor…) ci mostra infatti l’inganno e la passione tipico dell’amore cortese che Francesca confonde con l’amore stilnovista. L’inganno prodotto dall’amore cortese si può notare facendo un confronto tra il bacio descritto nel libro che Paolo e Francesca stavano leggendo molto romantico, quasi angelico (disiato riso) e quello reale tra i due innamorati più umano (bocca…tremante). Francesca , tipica donna dell’amore cortese, si dimostra un’ anima dell’Inferno in quanto non prova pietà per i suoi assassini mentre Piccarda e Costanza risultano essere donne gentili e pie. Piccarda e Costanza sono donne del Dolce Stil Novo per la descrizione del loro SORRISO, della VOCE, dello SGUARDO; si tratta di una descrizione quasi ultraterrena. Simili a loro sono Pia e Metelda che risultano poco più concrete. PARADISO Canto III PURGATORIO Canto V PURGATORIO Canto XXX INFERNO Canto V FRANCESCA DA RIMINI Il padre, detto Guido da Polenta o Guido III, nel 1275, quand'ella aveva 15-16 anni, la diede in sposa a Gianciotto Malatesta di Rimini; questo matrimonio probabilmente fu concordato non per amore, ma per stringere un'alleanza tra le due signorie romagnole. Di Francesca si sa solo che diede al marito una figlia e forse anche un figlio. Secondo il celebre racconto di Dante Alighieri, ella s'innamorò di Paolo Malatesta, suo cognato, durante il suo matrimonio. Tra i due nacque un amore segreto, che quando fu scoperto, venne punito con l'uccisione dei due amanti. Francesca è un'adultera che ha violato la sacralità del matrimonio. Pur con tutte le attenuanti è morta senza pentirsi ed è perciò una peccatrice anche se la sua nobiltà d'animo la riscatta agli occhi del lettore e commuove noi e il poeta, di cui ci colpisce ancor oggi la complessità dell'atteggiamento: di condanna e, insieme, di umana comprensione. PIA DE TOLOMEI Personaggio su cui manca ogni forma di documentazione. Attenendoci, però, ai primi commentatori di Dante, risulta che Pia fosse sposa di Nello (Paganello) di Inghiramo dei Pannocchieschi, signore guelfo del castello maremmano della Pietra dove Pia sarebbe morta per volontà del marito, fatta precipitare, a opera del servo di lui, da una finestra del castello. Per Benvenuto da Imola e Pietro di Dante la donna apparteneva alla potente casata senese dei Tolomei, ma i documenti della famiglia non lo confermano. Incerta anche la cause del delitto: gelosia del marito, infedeltà della moglie o come molti affermano, desiderio di Nello di sposare una nobile maremmana, Margherita Aldobrandeschi. Sembra che Nello abbia avuto un figlio dalla donna, ma nessun documento attesta il matrimonio tra i due. Inoltre nel testamento di Nello del 1322 sono menzionate due mogli, ma non sono né Pia né Margherita. MATELDA Matelda è protagonista degli ultimi cinque canti del Purgatorio: il suo nome verrà fatto soltanto in quello conclusivo. È la donna che il poeta incontra nel Paradiso Terrestre prima di Beatrice. Caratterizzata da una bellezza assoluta, sia nell'aspetto sia nei gesti, simboleggia la condizione umana prima del peccato originale. Sarà lei a immergere Dante nelle acque dei due fiumi Lete ed Eunoè, rito indispensabile prima dell'ascesa al Paradiso Celeste. Scrive il critico Umberto Bosco che Matelda, dunque, è "un'idea figurata alla quale il poeta ha dato un nome al quale non sappiamo che valore attribuire.[...] Se il Paradiso Terrestre è la felicità umana, logico che Matelda impersoni la stessa felicità: più precisamente è la figura dell'essere felice qual era l'uomo prima del peccato [...]". Matelda anagrammato, o meglio letto da destra verso sinistra, dà “ad letam”; quindi essa sarebbe colei che conduce alla donna lieta nella sua beatitudine (Beatrice). Data l’impossibilità di attribuire alla donna un’identità storica, è ragionevole concludere che Matelda è personificazione del tutto allegorica di un’idea, sul modello delle raffigurazioni femminili delle virtù negli affreschi e nei polittici medioevali. PICARDA DONATI Piccarda è il primo personaggio che Dante incontra nel Paradiso e si può dire che ella racchiuda in sé gli elementi di fondo dell'intera cantica, quali l'ordine, la carità e la grazia di Dio. Infatti Piccarda, fatta uscire con la forza dal convento dell'Ordine delle Clarisse nel quale aveva scelto di rinchiudersi prendendo come sposo Cristo, fu costretta dal fratello Corso Donati, tra il 1283 e il 1293, a sposare un ricco rampollo, Rossellino della Tosa, uno dei Neri più facinorosi. Si dice che provvidenzialmente morì di peste prima che le nozze fossero consumate, ma è soltanto una pietosa, delicata leggenda. La donna diventa il mezzo attraverso cui Dante capta delle importanti notizie sulle caratteristiche delle anime beate: esse, pur essendo disposte in diversi cerchi concentrici a seconda della loro maggiore o minore vicinanza a Dio, non provano sentimenti di invidia e non desiderano altro al di fuori di ciò che hanno, in quanto tutto è voluto da Dio ed è nella volontà di Dio che loro trovano la pace. COSTANZA D’ALTA VILLA Nata nel 1154 dal re normanno Ruggero II e da Beatrice di Rethel, ereditò il trono di Napoli e sicilia nel 1189, alla morte, senza figli, del re Guglielmo II. Sposa nel 1186 di Enrico VI di Svevia, figlio dell’imperatore Federico I Barbarossa, fu madre (1194) del futuro imperatore e re di Napoli e Sicilia Federico II; vedova nel 1197, morì nel 1198 dopo aver affidato il figlioletto alla tutela di papa Innocenzo III. DOLCE STIL NOVO Il Dolce Stil Novo è una corrente letteraria che si affermò a Firenze tra il 1280 e il 1310. Il nome di questo genere letterario fu coniato da Dante, nella Divina Commedia, nel XXIV canto del Purgatorio. Le tematiche dello Stil Novo sono il concetto della nobiltà d’animo come dote spirituale e non ereditaria e il rapporto tra la nobiltà d’animo e la capacità d’amare la quale era vista da alcuni poeti come uno strumento di conoscenza di se stessi. Guido Cavalcanti apparteneva ad una famiglia fiorentina schierata con i guelfi bianchi e per questo partecipa attivamente alla vita politica della città. Nel 1300, Cavalcanti, viene esiliato e trascorre il suo esilio in Liguria dove si dedica all’attività letteraria. Per Cavalcanti, la donna non è una persona d’amare bensì un’occasione di riflessione e analisi interiore di se stessi. Egli è interessato ad analizzare gli effetti spesso devastanti dell’amore sull’uomo servendosi delle componenti della condizione di innamoramento (occhi, mente e cuore). Quindi la concezione dell’amore di Cavalcanti è, perlopiù, negativa e tragica, egli infatti sostiene che il saluto della donna provoca una minaccia per la vita dell’amante e, addirittura, l’incontro con l’amata determina distruzione invece di salvezza. Le opere di Dante presentano alcuni elementi in comune con la produzione di Cavalcanti. La "Vita Nuova" è un’opera scritta prima dell’esilio del poeta il quale narra dell’incontro con Beatrice che sconvolge la sua vita. Dante afferma che Beatrice non è la donna - angelo ma è simbolo di spiritualità e teologia e con questo egli supera i temi stilnovisti. Nel sonetto ‘Tanto gentile’, Dante evidenzia l’ineffabilità di Beatrice che va dicendo all’anima di sospirare. Un’altra opera di Dante sono "Le Rime" che è un componimento suddiviso in rime stilnovistiche, rime petrose e rime dell’esilio. Nelle prime due parla di Beatrice, sottolineando nelle rime petrose, il sentimento di durezza della donna da lui amata. ETIMOLOGIA La parola donna deriva dal latino dŏmna, forma sincopata del latino classico domĭna, cioè “signora”. Per indicare la donna, le altre lingue romanze usano diverse parole, i cui diretti corrispondenti esistono in italiano ma con significato più generale o più specifico: FRANCESE Si usa femme, etimologicamente derivato dal latino fēmĭna(m) (italiano: femmina), IN TEDESCO Si usa Frau "donna, signora", che in origine aveva esclusivamente il secondo significato. SPAGNOLO E PORTOGHESE mujer e mulher risalgono entrambi in ultima analisi al latino mŭlĭĕre(m) (italiano: moglie). INGLESE Si usa woman, che risale a un sostantivo bimembre, wīfman, cioè "essere umano (man) femmina (wīf)".