A Silvia
Di Mattia Zagallo
• Silvia, ricordi ancora quel tempo della tua vita mortale, quando la
bellezza splendeva nei tuoi occhi ridenti e fuggitivi e tu, lieta e
preoccupata, stavi oltrepassando la soglia della gioventù per entrare
nella giovinezza?
• Le stanze e le vie d’intorno risuonavano al tuo canto frequente
quando, intenta ai lavori femminili, sedevi molto contenta di
quell’avvenire vago che immaginavi. Era il maggio profumato e tu eri
solita trascorrere il giorno in questo modo
• Io lasciando talvolta gli studi piacevoli e impegnativi, nei quali si
spendeva la parte migliore di me e la maggior parte del tempo,
ascoltavo dal balcone della casa paterna la tua voce e guardavo la
mano veloce che tesseva la tela.
• Io guardavo il cielo sereno, le vie dorate e gli orti rigogliosi e
osservavo da un lato il mare lontano e dall’altro il monte vicino. Le
parole non bastano per descrivere quello che io sentivo. Ricordi
quanti pensieri dolci, speranze, sentimenti, o Silvia mia? Come ci
appariva bella la vita e il destino! Quando mi ricordo di tanta speranza
mi opprime il cuore questo sentimento aspro e sconsolato e torno a
dolermi della mia vita sventurata. O natura, o natura, perché non dai
in seguito quello che prometti prima ai tuoi figli?
• Tu, Silvia, prima che l’inverno rendesse arida l’erba, presa e vinta da
una malattia interna, morivi, o tenerella e non vedevi la tua
giovinezza; non ti addolciva il cuore la lode dolce ora dei capelli neri
ora degli sguardi innamorati e schivi né le tue compagne hanno
potuto parlare d’amore con te nei giorni di festa.
• Dopo poco è morta anche la mia dolce speranza: agli anni miei il
destino non mi ha mai portato alla giovinezza. Come sei passata in
fretta, mia speranza giovanile! Questo è quel mondo che io
immaginavo? Questi sono gli amori e gli eventi su cui ragionammo
insieme? Questo è il destino degli uomini? All’apparire della verità tu,
speranza, cadesti e con la mano mostravi da lontano la morte ed una
tomba spoglia e desolata.
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