TRA SIMBOLISMO E
DECADENTISMO
Pascoli e D’Annunzio
Pascoli e D’Annunzio
analogie e differenze
Sono i due massimi rappresentanti del simbolismo e del decadentismo a livello nazionale
Ambedue s’ispirano inizialmente
il classicismo carducciano
Cultura e formazione classica
Ricerca del sublime nel comune,
nel quotidiano e nelle piccole cose
Più vicino al modello dell’intellettuale
ottocentesco
Cultura e formazione attenta
e sensibile ai modelli europei
Ricerca del sublime nel raro e nel
prezioso, attraverso l’innalzamento
dello stile e l’estetismo.
Incarna un nuovo modello d’intellettuale
e di figura pubblica, il divo che dà scandalo
e mira a colpire l’immaginario delle masse
GIOVANNI PASCOLI
VITA E OPERE
Nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna in una famiglia
della media borghesia.
La sua infanzia è segnata profondamente dalla morte del padre
Ruggero, amministratore di una tenuta nobiliare, assassinato
mentre tornava in carrozza a casa il X Agosto del 1867.
Altri lutti si susseguono: in pochi anni perde la madre e due
fratelli. Costretto prima a trasferirsi a Rimini (1871) e dal 1876
capofamiglia dopo la morte del fratello maggiore Giacomo, riesce
tuttavia a laurearsi in letteratura greca nel 1882.
Il periodo universitario, in cui entra in contatto col Carducci, che lo esaminerà e gli offrirà
una borsa di studio,è segnato dalla sua adesione al movimento socialista; adesione che gli
costa il carcere per la partecipazione ad una manifestazione.
Successivamente Pascoli si dedica esclusivamente alla ricostituzione del nido famigliare,
prima a Massa (1887) con le sorelle Ida e Maria, poi, dopo il matrimonio contrastato di Ida,
con la sola sorella Maria nella casa di campagna di Castelvecchio di Barga, sua residenza
definitiva (1895), anno in cui è nominato professore di grammatica greca e latina
all’Università di Bologna.
In questa residenza vivrà con la sorella Maria, a cui resterà morbosamente legato, fino alla
morte avvenuta nel 1912 a Bologna.
La prima edizione della raccolta di poesie, chiamata Myricae
(nome latino di tamerici) è del 1891. Ulteriori edizioni ed
ampliamenti si avranno negli anni successivi.
Nel 1903 pubblica la raccolta Canti di Castelvecchio e l’anno
Seguente i Poemi conviviali. Rientrato all’università di Bologna
nel 1905 succede al Carducci sulla cattedra di Letteratura e
nella funzione pubblica di vate, cosa che lo porta ad accentuaRe il proprio interesse per la poesia storica e civile (Odi e Inni,
Canzoni di Re Enzio, Poemi italici, Poemi del Risorgimento).
Ingresso della casa di Pascoli
La partecipazione alla vita culturale e civile del paese fu
costante ma senza slanci per tutti i restanti anni della sua vita
con l’eccezione del celebre discorso nazionalista, pronunciato
pochi mesi prima di morire, a celebrazione dell’impresa
coloniale libica, La grande proletaria si è mossa.
La poetica del fanciullino
La poetica di Pascoli è rintracciabile a partire da un testo in prosa, intitolato Il fanciullino e
pubblicato sulla rivista fiorentina Il Marzocco nel 1897
Come nel mito platonico del Fedone esiste
dentro di noi un fanciullino che nell'infanzia si
confonde con noi, ma, anche con il
sopraggiungere della maturità, non cresce e
continua a far sentire la sua voce ingenua e
primigenia, suggerendoci quelle emozioni e
sensazioni che solo un fanciullo può avere.
Spesso, però, questa parte che non è cresciuta
non viene più ascoltata dall'adulto. Il poeta
invece è colui che è capace di ascoltare e dare
voce al fanciullino che è in lui e di provare di
fronte alla natura le stesse sensazioni di
stupore e di meraviglia proprie del bambino o
dello stato primigenio dell'umanità.
La poesia è quindi per Pascoli la voce del poeta-fanciullo che riscopre la realtà delle cose,
anche delle più piccole; è uno sguardo vergine e primigenio che si posa sul mondo e ne
evidenzia gli aspetti più nascosti. Secondo Pascoli, dunque, può dirsi poeta colui che è riuscito
ad esprimere quello che tutti stavano pensando ma che nessuno riusciva a dire.
La poesia però deve avere anche un compito sociale e
civile: deve migliorare l'uomo, renderlo buono, renderlo
etico. Questa concezione riflette pienamente il suo
socialismo umanitario, utopistico, interclassista,
patriottico.
Si intrecciano cioè nella sua poetica due spinte
fondamentali:
- una verso l'esterno, verso l'intervento attivo nella
società per produrre nei cambiamenti nelle cose e negli
uomini.
- una verso l'interno, intimista, abbinata al gusto
contadino per le cose semplici e all'attenzione a volte
ossessiva alle complicazioni tortuose del suo animo
decadente.
arbusta iuvant humilesque myricae
Il nido: simbolismo naturale e mito della famiglia
Le tre raccolte Myricae, Canti di Castelvecchio e Poemetti, rappresentano
il nucleo più vivo e intenso della produzione poetica pascoliana.
In esse vi si rintracciano una tendenza narrativa e una lirico-simbolica spesso
Intrecciate.
frammentarietà
impressionismo
presenza del motivo naturalistico
modellato sul trascorrere delle stagioni
tema della famiglia, legato alla tragica
esperienza della morte del padre
Tema della morte e del male cosmico
Nei Canti si registra una liricità più distesa e recupero di tematiche leopardiane (ricordanze e
rapporto uomo/natura).
Si ha anche una ricerca per mezzo del linguaggio (uso di termini popolari e arcaici vs aulici e
classici) di una nuova forma di sublime estetico.
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s'esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento . . .
È l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
I gelsomini notturni, detti anche “le belle di notte”, aprono i
loro fiori al calar della sera quando il poeta rivolge il pensiero
ai suoi morti. Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro
volo nelle ore della notte tra i viburni, altrimenti detti “palloni
di neve”, perché fiori bianchi di forma sferica.
Tutto tace: insieme alla notte è calato il silenzio: solo in una
casa ancora si veglia: i rumori sommessi, che ne provengono,
non turbano la pace notturna, paiono un bisbiglio di voci. Nel
nido i piccoli dormono sotto le ali della madre.
Dai calici aperti dei fiori di gelsomino esala un profumo che fa
pensare all’odore di fragole rosse. Mentre nella casa palpita
ancora la vita e una luce splende nella sala, l’erba cresce sulle
fosse dei morti.
Un’ape, che si è attardata nel volo, trova tutte occupate le
cellette del suo alveare. La costellazione delle Pleiadi risplende
nel cielo azzurro e il tremolio della sua luce richiama alla
mente l’immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi
pulcini, intenti a pigolare.
Per tutta la notte esala il profumo dei gelsomini che il vento
porta via con sé. La luce accesa nella casa sale su per la
scala, brilla al primo piano e si spegne. E’ chiara l’allusione
agli sposi che si uniscono nell’oscurità.
Al sopraggiungere dell’alba si chiudono i petali e il fiore
“cova” “nell’urna molle e segreta” “non so che felicità nuova”.
Il poeta allude al germogliare di una nuova vita nel grembo
della sposa, ora madre.
Il poeta, immerso in un’atmosfera di trepidazione e indefinibile smarrimento coglie il mistero che palpita nelle
piccole cose della natura. Si accorge che nella notte, quando tutto intorno è pace e silenzio, vi sono fiori che si
aprono e farfalle che volano. Una vita inizia quando la vita consueta cessa. L’ora della vita notturna è anche
un’ora di malinconia per il poeta che pensa ai suoi morti. Il buio avvolge le cose in un profondo silenzio, cui si
contrappone il misterioso agitarsi della vita “là” nella casa: Il bisbiglio desta fascino e curiosità: “è indice di una
presenza umana che si accorda con l’atmosfera di arcani silenzi e di attese inespresse”
Nei versi successivi appare l’immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali della madre. Affiora l’idea
rassicurante del nido come rifugio sicuro, tema caro al poeta. La musicalità dei versi crea un’eco suggestiva,
un’atmosfera sospesa, incantata, di seduzione, di fascino, di veglia, contrapposta al torpore e al sonno.
Nella sinestesia “l’odore di fragole rosse”, in cui il profumo, una percezione olfattiva, sembra acuito dal colore
rosso delle fragole, percezione visiva, è evidente il tema dell’attrazione, della tentazione sensuale che si accosta,
nei versi successivi, al risplendere della luce nella sala, alla curiosità per la vicenda degli sposi. Ma su tutto si
diffonde un senso di mistero per il compenetrarsi inesplicabile di vita e morte: “nasce l’erba sopra le fosse”.
L’ape, che, essendosi attardata, trova già prese le celle del suo alveare, potrebbe allora tradurre in immagine il
senso di esclusione che il poeta, incuriosito dall’eros, avverte rispetto alla propria famiglia di origine. Ma subito
ricompaiono immagini apparentemente rassicuranti del nido. Le Pleiadi nel cielo appaiono per un procedimento
analogico come una chioccetta, che in un’aia si trascina dietro la covata dei suoi pulcini e il pigolio potrebbe offrirsi
come una sinestesia che trasferisce nella percezione uditiva la percezione visiva del tremolio della luce stellare.
All’intenso odore del fiore che passa col vento si accompagna il salire della luce lungo la scala e il suo spegnersi
al primo piano con i puntini di sospensione che seguono e alludono al congiungersi degli sposi, ma soprattutto al
mistero della vita che continua a palpitare nel buio.
La lirica si chiude nuovamente con un ossimoro: “E’ l’alba”, il momento del risveglio, e “si chiudono i petali un poco
gualciti. “Nell’urna molle e segreta”, che simbolicamente rappresenta il grembo della madre, si dischiude una
nuova vita, si cova “non so che felicità nuova”. “
E’ qui il segreto della lirica, nel miracolo notturno della gestazione di una nuova vita. Un altro gelsomino si apre e,
come l’erba silenziosa sopra le fosse, va segretamente dal nulla verso la rinnovata fertilità. In quel dolce silenzio,
in quell’ombra profumata dalla passione del fiore, quando l’ultimo lume è spento nella casa, forse comincia a
germinare, anche nel grembo della madre, un nuovo essere, capace di arrecare una sconosciuta felicità.
Nei Poemetti Pascoli cerca di andare oltre il frammentismo di Myricae, affermando
una tendenza narrativa (testi lunghi e articolati) che serve ad esprimere il tessuto
ideologico che caratterizza questa parte della sua produzione.
Si evidenziano in queste composizioni il suo nazionalismo e il suo umanitarismo
populistico che rappresenta il mondo popolare nella sua dignitosa sofferenza, denunciando in particolare il dramma dell’emigrazione.
All’aggressività e la negatività della società di
massa Pascoli contrappone il mito della
bontà naturale e della vita umile del mondo
contadino e la poesia come rifugio dei valori
cancellati dalla civiltà industriale.
Anche in questa raccolta largo spazio è dato
ai temi tipicamente decadenti della corruzione
e della morte, mentre a livello stilistico si registra
un intenso sperimentalismo linguistico (uso di termini dialettali e dell’italiano dialettale
americanizzato usato dagli emigranti in Italy) e la ripresa di forme metriche elevate,
come la terzina dantesca.
Il titolo della raccolta è tratto dal motto di Virgilio
(Bucoliche) riportato da Pascoli in epigrafe al
volume.
Il significato allude alla poetica del basso, del
comune del discorsivo, pur nella compresente
ricerca di sostenutezza stilistica ed espressiva.
Il poemetto introduttivo Il giorno dei morti annuncia
il dominante tema funebre che attraverserà tutto il
volume.
L’altro tema dominante è quello della natura quale
grande consolatrice benefica.
Ma la natura non riesce mai a purificare completamente le tracce del male negli uomini e sulla terra. arbusta iuvant humilesque myricae
Il senso di colpa avvolge i sopravvissuti e la stessa Mi piacciono gli arbusti e le basse tamerici
natura appare segnata dal tema funebre.
Lo stesso Ultimo sogno, composizione scelta a chiusura della raccolta dal poeta, fa
coincidere il raggiungimento della serenità col ricongiungimento del poeta alla madre
morta.
Il lampo
E cielo e terra si mostrò qual era:
la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico,disfatto:
bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;
come un occhio,che, largo,esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella notte nera.
I pensieri che tu, o padre mio benedetto, facesti in quel momento, in quel batter d’ala Il
momento fu rapido, ma i pensieri non furono brevi e pochi.
Quale intensità di passione! Come un lampo in una notte buia buia: dura un attimo e ti rivela
tutto un cielo pezzato, lastricato, squarciato, affannato, tragico; una terra irta piena d’alberi neri
che si inchinano e si svincolano, e case e croci. (dalla Prefazione alla 3^ ediz. Di Myricae)
In questa poesia Pascoli parla di un lampo che rompe il silenzio e la notte con una luce violenta tale che mette a
nudo la vera realtà del mondo: la sua tragicità e il caos che la contraddistingue.
La sua stessa casa è scossa dalla forza del lampo e, agli occhi del Pascoli, perde almeno in parte la sicurezza e il
senso di protezione che aveva fino ad un momento prima anche se rimane connotata positivamente dal colore
bianco in antitesi con il nero circostante.
Ed in questa situazione d’angoscia e paura Pascoli sente la sua vita in bilico tra il voler restare in un “nido” ormai
distrutto e l’affrontare una vita piena d’inganni.
In questa poesia viene descritta la casa attraverso il colore bianco, per segnarne l'aspetto positivo come rifugio di
fronte al temporale. Alla casa e al colore bianco che la differenzia, si contrappone il nero della notte con
sensazioni opposte di paura e angoscia. La descrizione della casa accerchiata dal nero della notte durante un
temporale con le sensazioni di paura e di terrore che gli vanno dietro, si trova anche nel "Temporale” sempre dello
stesso autore.
La natura confusa dal temporale, il lampo illumina la notte, scoprendo cielo e terra, mostrando d'un tratto una
casa nel buio. Viene messo in evidenza l'effetto visivo del lampo, come un'improvvisa apparizione della
percezione illusoria e dell'angoscia e la percezione del dolore.
All'inizio della poesia, cielo e terra compaiono legati, ma nel secondo verso, tra di loro si avverte una rottura.
La casa è un posto sicuro, racchiuso in un momento di stabilità nello sconvolgimento della natura e del
paesaggio. Esso è breve, in quanto dura solo per un istante e poi sparisce nell'oscurità. Essa viene paragonata
ad un occhio che si apre e si chiude per ricevere una tragica realtà, e mostra lo stupore ed il timore per la natura
I tre aggettivi, presenti nei versi due e tre, sono la proiezione dello stato d'animo dell'autore. Questi aggettivi
danno vita ad un climax ascendente che conferisce alla realtà un clima più umano e sconvolto: tormentato, triste.
In questa poesia domina il senso visivo; le altre immagini sono utilizzate per dare una rappresentazione umana e
psicologica della natura.
LA GRANDE PROLETARIA SI E’ MOSSA
E’ l’incipit del discorso pubblico tenuto a Barga il 26 Novembre 1911, in cui il
poeta esprime la sua entusiastica adesione all’impresa coloniale libica.
Ma nell’ideologia politica di Pascoli sono presenti anche motivi psicologici ed
esistenziali. La difesa del nido famigliare diventa qui esaltazione della famiglia
di tutti gli italiani, la nazione, all’interno della quale non ha senso l’odio e la lotta
di classe, ma occorre invece la cooperazione di tutti gli strati sociali nella comune
lotta contro le nazioni più ricche e più potenti.
La nazione proletaria può diventare potente. I contadini, ceto esaltato da Pascoli,
saranno i protagonisti di questa epopea andando a formare le fila dell’esercito.
L’umiliazione di intere generazioni costrette all’emigrazione sarà così riscattata.
La grande proletaria si è mossa.
Prima ella mandava altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per
troppo poco. Li mandava oltre Alpi e oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar
terrapieni, a gettar moli, a scavar carbone, a scentar selve, a dissodare campi, a iniziare
culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a fare tutto
ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e perciò più difficile ancora: ad aprire
vie nell'inaccessibile, a costruire città, dove era la selva vergine, a piantar pometi, agrumeti,
vigneti, dove era il deserto; e a pulire scarpe al canto della strada.
Il mondo li aveva presi a opra, i lavoratori d'Italia; e più ne aveva bisogno, meno mostrava di
averne, e li pagava poco e li trattava male e li stranomava. [...]
Era una vergogna e un rischio farsi sentire a dir Si, come Dante, a dir Terra, come Colombo, a
dir Avanti! come Garibaldi.
Si diceva: - Dante? Ma voi siete un popolo d'analfabeti! Colombo? Ma la vostra è l'onorata
società della camorra e della mano nera! Garibaldi? Ma il vostro esercito s'è fatto vincere e
annientare da africani scalzi! Viva Menelik! [...]
Ma la grande Proletaria ha trovato luogo per loro: una vasta regione bagnata dal nostro mare,
verso la quale guardano, come sentinelle avanzate, piccole isole nostre; verso la quale si protende
impaziente la nostra isola grande; una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu
abbondevole d'acque e di messi, e verdeggiante d'alberi e giardini; e ora, da un pezzo, per l'inerzia
di popolazioni nomadi e neghittose, è per gran parte un deserto
Là i lavoratori saranno, non l'opre, mal pagate mal pregiate mal nomate, degli stranieri, ma, nel senso più alto e
forte delle parole, agricoltori sul suo, sul terreno della patria; non dovranno, il nome della patria, a forza, abiurarlo,
ma apriranno vie, colteranno terre, deriveranno acque, costruiranno case, faranno porti, sempre vedendo in alto
agitato dall'immenso palpito del mare nostro il nostro tricolore.
E non saranno rifiutati, come merce avariata, al primo approdo; e non saranno espulsi, come masnadieri, alla
prima loro protesta; e non saranno, al primo fallo d'un di loro, braccheggiati inseguiti accoppati tutti, come bestie
feroci.
Veglieranno su loro le leggi alle quali diedero il loro voto. Vivranno liberi e sereni su quella terra che sarà una
continuazione della terra nativa, con frapposta la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, ogni tratto
le vestigia dei grandi antenati.
Anche là è Roma.
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