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DIRITTO URBANISTICO
Docente: Prof. Antonino Longo
Orario di ricevimento: lun., mar., mer. 11-12
Email: [email protected]
Luogo di ricevimento: D.A.U., piano III
Corso di Laurea: Edile-Architettura
Anno di corso: I
Semestre: I
Numero totale dei crediti: 5 cfu
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CONTENUTO DEL CORSO (testo Urbani)
Parte I: principi, funzioni, soggetti.
I.
Nozioni generali
II.
Evoluzione e fonti del diritto urbanistico
III.
Attori pubblici e funzioni urbanistiche
IV.
La funzione di salvaguardia
V.
La funzione di disciplina sostanziale
Parte II: la funzione precettiva
VI. I procedimenti di pianificazione urbanistica e territoriale. Profili generali
VII. Gli strumenti urbanistici comunali
Sezione I: il piano regolatore generale
Sezione II: la funzione di gestione
Sezione III: la riconversione urbana
VIII. Le convenzioni urbanistiche
IX. La pianificazione sovracomunale e di coordinamento e gli interesse differenziati
X. La proprietà
XI. Le opere pubbliche
XII. L’urbanistica consensuale.
Parte III: Controllo dell’attività edilizia
XIV. La funzione sanzionatoria
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CONTENUTO DEL CORSO (Testo Longo)
Capitolo I – La riforma del Titolo V della Costituzione rilancia la territorialità quale fattore
unificante dei governi
Capitolo II – Il consenso interistituzionale e la pianificazione territoriale
Capitolo III – La tutela nazionale degli interessi territoriali sul piano collaborativo e
sussidiario
Capitolo IV – I percorsi di cooperazione territoriale in Europa
Capitolo V – Limiti dei moduli concertativi nell’ordinamento italiano
Capitolo VI – La necessità ineludibile di una legge di principi
Capitolo VII – Alcune considerazioni finali
TESTI DI RIFERIMENTO
URBANI P., CIVITARESE S., Diritto Urbanistico,
Torino, Giappichelli, 2010.
LONGO A., Governo del territorio, Milano,
Giuffrè, 2009.
Slides, dispense ed altro materiale didattico
saranno resi disponibili durante lo svolgimento
delle lezioni
MODALITA’ D’ESAME
• Durante lo svolgimento delle lezioni saranno
raccolte le firme attestanti la presenza.
• Controappelli saranno effettuati per verificare
l’effettiva frequenza degli studenti.
• Saranno effettuate verifiche scritte o colloqui
orali in itinere sulla preparazione conseguita
dagli studenti frequentanti ad integrazione
dell’esame finale.
• L’esame finale consisterà in una prova orale
UOMO E DIRITTO
Ubi societas, ibi ius è una locuzione latina che significa "dove
c'è una società (civile), lì vi è il diritto".
Ogni società non può che fondarsi sul diritto, non può esservi
alcuna società (civile) che non avverta l'esigenza di
regolamentarsi.
"Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi
ius".
Principio di origine romanistica che sta ad indicare come l'uomo
abbisogni necessariamente di regole giuridiche per poter
vivere. Difatti se l'uomo è un "animale sociale" per usare una
espressione di Aristotele, ossia necessariamente deve vivere
con altri uomini e si relaziona costantemente con altri uomini.
Per poter fare tutto questo è necessaria la creazione di
regole.
DIRITTO NATURALE E DIRITTO POSITIVO
• Il termine diritto, nella sua più nota accezione, identifica
l'insieme ed il complesso sistematico delle norme che
regolano la vita dei membri della comunità di riferimento.
• Due concetti del diritto: naturale e positivo.
Una delle concezioni più risalenti è la c.d. teoria del
diritto naturale, o giusnaturalismo. Tale teoria postula
l’esistenza di una serie di princìpi eterni e immutabili,
inscritti nella natura umana.
Il diritto positivo (cioè il diritto effettivamente vigente) non
sarebbe altro che la traduzione in norme di quei princìpi.
Il metodo adottato dal legislatore è, dunque, un metodo
deduttivo: da princìpi universali si ricavano (per
deduzione) le norme particolari.
LE NORME
• Per norma giuridica si intende la “regola di condotta”, dotata dei
caratteri della generalità e dell’astrattezza, avente la capacità di
determinare, in maniera tendenzialmente stabile, l'ordinamento
giuridico generale (ossia il diritto oggettivo). Una norma è una
proposizione volta a stabilire un comportamento condiviso
secondo i valori presenti all'interno di un gruppo sociale. Essa è
finalizzata a regolare il comportamento dei singoli appartenenti al
gruppo, per assicurare la sua sopravvivenza e perseguire i fini
che lo stesso ritiene preminenti.
• La generalità consiste nella ripetuta applicabilità della stessa
ogni qual volta si presentino le condizioni prescritte.
• L’astrattezza si riferisce al fatto che la norma giuridica non deve
essere ricondotta ad un caso specifico, ma deve riferirsi ad un
situazione astratta, ciò per garantire l'applicabilità ad una
molteplicità di casi concreti.
“COATTIVITA’ “ DELLE NORME GIURIDICHE
• La norma giuridica viene assimilata ad un comando, che
impone all'individuo un determinato comportamento. Il
carattere "coattivo" della norma giuridica è, dunque,
imprescindibile. Questo elemento centrale della norma
giuridica contribuisce, in modo determinante, a
differenziarla da altri tipi di norme, come quelle morali o
religiose, che appartengono ad una sfera non coattiva.
• L'individuo è libero o meno di assecondare un comando
religioso o morale. Può sentirsi perfino obbligato a farlo ma
tale obbligo non è generalizzabile. Affini alle norme
giuridiche vere e proprie possono considerarsi quelle
deontologiche, che appartengono più alla sfera morale, ma
che, quando sono inserite in disciplinari di ordini
professionali o di associazioni di produttori, possono
prevedere anche sanzioni in caso di violazione.
CARATTERISTICHE DELLE NORME GIURIDICHE
• Le caratteristiche di una norma sono: la generalità,
l'astrattezza, la novità, l'imperatività o coazione.
• A parte generalità ed astrattezza di cui si è detto innanzi,
la novità è intesa nel senso che ogni norma viene
emanata per regolare un comportamento che fino a ieri
si riteneva che non dovesse essere regolato, oppure allo
scopo di modificare un già esistente regolamento di quel
tale comportamento. L'imperatività (o coazione)
consiste nel fatto che, accanto ad una norma che
contiene un precetto, esiste una norma che prevede la
sanzione. Gli atti o fatti da cui scaturiscono le norme
giuridiche costituiscono le fonti del diritto, e, più
esattamente, le fonti di produzione normativa o
normogenetiche.
FONTI DEL DIRITTO
• Le fonti del diritto si distinguono in fonti di cognizione e
fonti di produzione.
• Per fonti di cognizione s'intende l'insieme dei documenti
che fornisce la conoscibilità legale della norma e sono,
quindi, documenti che raccolgono i testi delle norme
giuridiche, come la Costituzione, la Gazzetta Ufficiale e i
codici.
• Per fonti di produzione s'intendono gli atti e i fatti idonei a
produrre norme giuridiche. Le fonti di produzione si
distinguono, a loro volta, in fonti-atto e fonti-fatto.
• Per fonti-atto si intendono atti giuridici volontari imputabili a
soggetti determinati ed implicano l'esercizio di un potere ad
esso attribuito (“atti normativi”), mentre le fonti-fatto, pur
non essendo riconducibili ad azioni volontarie, sono
accettati dall'ordinamento nella loro oggettività, “fatto
normativo" (si tratta, in altri termini, di meri fatti giuridici).
ATTI GIURIDICI …
• L'atto giuridico è un fatto giuridico consistente in un
comportamento umano volontario. Per gli atti giuridici, quindi,
è rilevante l'imputazione ad un soggetto di diritto, che può
essere la persona fisica che ha voluto il loro accadimento o la
persona giuridica per la quale detta persona fisica ha agito in
qualità di organo.
• Sono esempi di atto giuridico: la promessa, il testamento, la
sentenza, il contratto, l'atto amministrativo. Sono, altresì, atti
la legge, il regolamento e, in generale, tutti gli atti che sono
fonti del diritto in quanto il loro effetto è la produzione,
modificazione o abrogazione di una norma giuridica (“atti
normativi”).
• Essi possono essere recettizi, non recettizi, leciti, illeciti,
unilaterali, bilaterali, plurilaterali, collegiali, pubblici, privati.
… E FATTI GIURIDICI
• Con il termine fatto giuridico si indica un avvenimento o una
situazione prevista dalla fattispecie di una norma. Al verificarsi
del fatto giuridico la norma ricollega il prodursi di un effetto
giuridico, ossia la costituzione, modificazione o estinzione di un
rapporto giuridico.
• Il fatto giuridico si distingue dal fatto naturalistico. Se un fatto
naturalistico è previsto nella fattispecie di una norma, esso
diventa giuridicamente rilevante in seno all'ordinamento giuridico
ed è qualificabile come fatto giuridico.
• I fatti giuridici si possono inoltre distinguere in:
• meri fatti, se per l'ordinamento è irrilevante la volontà del loro
accadimento, a prescindere che sia determinato da un'azione
umana o da una forza della natura (ad esempio la morte di una
persona, un evento meteorologico);
• atti giuridici, se, invece, per l'ordinamento è rilevante la volontà
del loro accadimento, determinato da un'azione umana (ad
esempio un testamento, una sentenza, un contratto)
NORMA E LEGGE
• La norma non va in nessun caso confusa con la legge.
Mentre la legge è un atto, la norma è la conseguenza di
questo. La legge è una delle fonti del diritto, la norma è
diritto. La norma è un comando che si ricava
dall'interpretazione delle fonti del diritto (ermeneutica:
dottrina e giurisprudenza).
• Le norme sono solitamente desumibili da una
formulazione linguistica scritta (costituzione, legge,
regolamento...) al fine di conferire alla stessa un alto
grado di certezza e durevolezza nel tempo.
FONTI DI PRODUZIONE NELL'ORDINAMENTO ITALIANO
(ABROGABILITA’ E IRRETROATTIVITA’)
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Costituzione (sovraordinata a tutte le altre fonti)
legge costituzionale*
legge ordinaria
decreto legislativo
decreto legge
referendum abrogativo
regolamento
contratto collettivo di lavoro
*legge regionale
L'art. 117 della Costituzione, cosi come modificato dalla riforma del titolo V con l.3/2001, individua
tre tipi di competenza legislativa:
la competenza esclusiva dello Stato;
la competenza ripartita tra Stato e Regioni (entrambe, nelle materie espressamente indicate);
la competenza esclusiva delle Regioni, in tutte le materie non enumerate (principio di residualità).
le leggi regionali sono completamente equiparate alle leggi statali o ordinarie, per tale motivo si
collocano insieme con esse tra le fonti primarie subcostituzionali.
FONTI-FATTI
• Le fonti sopradette, sono cd. fonti-atti, vale a dire
manifestazioni di volontà espresse da un organo dello
Stato o da altro ente a ciò legittimato dalla Costituzione,
che, di regola, sono formulate per iscritto.
• Nel nostro ordinamento sono, però, previste anche fontifatti, cioè comportamenti oggettivi od atti di produzione
esterni
all'ordinamento
che
possono
essere
schematicamente sintetizzate in :
• consuetudine
• norme di diritto internazionale generalmente riconosciute
• accordi internazionali
• fonti di ordinamenti stranieri richiamate nell'ordinamento
FONTI INTERNAZIONALI …
• L'ordinamento internazionale e quello interno convivono su piani
paralleli, essendo espressione di distinti processi di integrazione
politica. Perciò, affinché le norme internazionali entrino a far parte
dell'ordinamento interno, si deve verificare ciò che si indica con il
termine di "adattamento", che può essere automatico o speciale.
• L'adattamento automatico o generale è previsto dall'art. 10 della
Costituzione, laddove dispone che «l'ordinamento giuridico italiano
si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute» (cioè le consuetudini internazionali).
• L'adattamento speciale, invece, impiegato per il diritto internazionale
pattizio, può consistere:
• Nel semplice «ordine di esecuzione», che opera direttamente solo in
relazione a trattati contenenti norme self-executing;
• nell'adattamento speciale ordinario, ossia in atti normativi interni
necessari per dare esecuzione a norme internazionali che non siano
self-executing. In seguito all'adattamento, le norme internazionali
assumono, nell'ordinamento giuridico interno, la stessa posizione
gerarchica delle fonti che lo operano
… E IL DIRITTO DELL’U.E.
• Una particolare posizione presenta, nel quadro del diritto
internazionale, il diritto dell'Unione Europea, in quanto i Trattati e le
fonti che ne derivano godono di una particolare copertura
costituzionale (art. 11: «l'Italia [...] consente, in condizioni di
parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie
ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le
Nazioni»), in virtù della quale presentano una particolare forza
attiva, paragonabile a quella delle norme costituzionali, consistendo
in una limitazione definitiva dei diritti sovrani dello Stato, e una
resistenza passiva rinforzata, prevalendo, in virtù della ripartizione di
competenza operata dai Trattati, le norme comunitarie su quelle
interne anche successive.
• Sono dette per questo motivo norme interposte in quanto si
frappongono tra la Costituzione e le altre fonti primarie. La
giurisprudenza della Corte Costituzionale ha avallato la prassi per
cui il diritto comunitario può derogare anche leggi Costituzionali
purché non siano norme fondamentali e immodificabili quali ad
esempio diritti fondamentali, e democraticità dell'ordinamento
italiano.
ORDINAMENTO GIURIDICO
Con il termine ordinamento giuridico si intende sia una
comunità organizzata in vista del perseguimento di uno
scopo comune (quindi, in questo senso, si può dire che
lo Stato è un ordinamento giuridico) sia l'insieme delle
norme (il diritto positivo) che regolano la vita di questa
comunità (in questo senso, quindi, si dirà che lo Stato ha
un ordinamento giuridico).
Il diritto positivo è il diritto vigente in un determinato
ambito politico-territoriale in un determinato spazio di
tempo, posto dal potere sovrano dello Stato mediante
norme generali ed astratte contenute dalle leggi nonché
da disposizioni concrete ed individuate di carattere
"regolamentare-amministrativo“.
ORDINAMENTO ORIGINARIO E DERIVATO
• Un ordinamento giuridico può essere originario oppure
derivato. È originario quando non deriva la sua sovranità
da nessun altro ordinamento (ad esempio, lo Stato la
Chiesa, la Comunità internazionale); è invece derivato
quando la sua sovranità non è diretta e immediata, ma
un riflesso della sovranità di un altro ordinamento (le
Regioni italiane e l’Unione europea sono entrambi
ordinamenti giuridici derivati).
• La sovranità è l'espressione della somma dei poteri di
governo riconosciuta ad un soggetto di diritto pubblico
internazionale. Tale istituto giuridico rappresenta uno
degli elementi costitutivi dello Stato, assieme al territorio
ed al popolo. La sovranità connota il potere supremo
dello Stato nei rapporti internazionali e la sua essenziale
indipendenza
STATO
• Lo Stato è un ordinamento giuridico politico, ovvero
esercitante il potere sovrano su un determinato territorio
e sui soggetti ad esso appartenenti. Esso comanda
anche mediante l'uso della forza armata, della quale
detiene il monopolio legale.
Alla parola Stato afferiscono due concetti distinti:
• Stato-Comunità: popolo, stanziato su un territorio
definito, che è organizzato attorno ad un potere centrale
(comunemente chiamato “Stato-nazione").
• Stato-apparato (o Stato-organizzazione): quel potere
centrale sovrano, organizzato in possibili differenti modi,
che detiene il monopolio della forza, e impone il rispetto
di determinate norme nell'ambito di un territorio ben
definito.
STATO E NAZIONE
• Una nazione (dal latino natio: “nascita") è un complesso
di persone che, avendo in comune caratteristiche quali la
storia, la lingua, il territorio, la cultura, l’etnia, la politica,
si identificano in una comune identità a cui sentono di
appartenere legati da un sentimento di solidarietà. È
questa coscienza di un'identità condivisa, questo
sentimento di appartenenza a tale identità e di
solidarietà che li lega, diffusi a livello di massa e non
solo tra ristrette cerchie di persone, che rende una
comunità etnica, culturale, politica una nazione.
• Al fine di autodeterminare la propria esistenza, spesso la
nazione aspira a diventare Stato, cioè a darsi un
ordinamento giuridico che ne affermi la sovranità. In tal
caso si parlerà di Stato-nazione.
Esistono nazioni senza Stato.
STATO COME ENTE TERRITORIALE
• lo Stato è anche un ente territoriale, in quanto
individuato da una porzione di territorio che è soggetta
alla sua sovranità.
• Lo Stato è sovrano giacché superiore ad ogni altro
soggetto entro i suoi confini. Per essere tale, la sovranità
deve manifestarsi come "indipendenza" nei rapporti
reciproci; per tale ragione, allora, lo Stato è indipendente
e sovrano; sovrano al suo interno, indipendente nei
confronti degli altri Stati.
• Lo Stato esercita i seguenti poteri:
la sovranità (esercitata attraverso i tre poteri pubblici
legislativo, esecutivo e giudiziario) e il monopolio della
forza affinché vi sia un fondamento obbligatorio.
PRINCIPIO DELLA SEPARAZIONE DEI POTERI
• La separazione dei poteri è uno dei principi
fondamentali dello stato di diritto.
• Il concetto dello stato di diritto presuppone che l'agire
dello Stato sia sempre vincolato e conforme alle leggi
vigenti: dunque lo Stato sottopone se stesso al rispetto
delle norme di diritto, e questo avviene tramite una
Costituzione
scritta (principio della civil law).
La separazione dei poteri consiste nell'individuazione di
tre funzioni pubbliche - legislazione, amministrazione e
giurisdizione - e nell'attribuzione delle stesse a tre distinti
poteri dello stato, intesi come organi o complessi di
organi dello stato indipendenti dagli altri poteri.
I TRE POTERI DELLO STATO
• Nelle moderne democrazie:
• la funzione legislativa è attribuita al parlamento,
nonché eventualmente ai parlamenti degli stati federati o
agli analoghi organi di altri enti territoriali dotati di
autonomia legislativa, che costituiscono il potere
legislativo;
• la funzione amministrativa è attribuita agli organi che
compongono il governo e, alle dipendenze di questo, la
pubblica amministrazione, i quali costituiscono il potere
esecutivo;
• la funzione giurisdizionale è attribuita ai giudici che
costituiscono il potere giudiziario.
POTERE LEGISLATIVO
• Il potere legislativo è uno dei tre poteri fondamentali
attribuiti allo Stato.
• Negli stati contemporanei del potere legislativo è titolare:
• il parlamento a livello nazionale;
• i parlamenti degli stati federati e nelle federazioni;
• eventuali organi, analoghi al parlamento, di regioni e altri
enti territoriali ai quali è riconosciuta autonomia
legislativa.
Detti organi producono le norme attraverso un atto che
prende il nome di legge.
POTERE ESECUTIVO
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Il potere esecutivo, generalmente posseduto da
un'istituzione denominata “governo", è il potere di applicare le
leggi, distinto dal potere legislativo, che è il potere di fare le
leggi e da quello giudiziario che è il potere di giudicare, ed
eventualmente punire, chi non rispetta le leggi.
Il potere esecutivo è esercitato da organi che eseguono le
prescrizioni di legge e attuano in concreto le pubbliche finalità.
I suoi compiti sono di:
far rispettare l'ordine e la legge attraverso la gestione delle
forze di polizia e dei penitenziari;
condurre la politica estera dello Stato;
dirigere le forze militari;
dirigere i servizi pubblici e la pubblica amministrazione.
POTERE GIUDIZIARIO
• Il potere giudiziario è quel potere che, in quanto organo
costituzionale, permette in via definitiva e autonoma di
risolvere una controversia di natura civile, penale e
amministrativa (secondo le diverse giurisdizioni)
applicando la legge, nel rispetto del contraddittorio delle
parti, trasparenza del procedimento e motivazione della
decisione, da parte di un Giudice terzo.
• Questo procedimento si svolge in diversi uffici a seconda
il grado di giudizio nell’ambito del quale il cittadino viene
giudicato con la possibilità di impugnare le eventuali
sentenze.
GIURISDIZIONE ORDINARIA …
• Esistono due diverse giurisdizioni: una ordinaria e una
speciale.
• Quella ordinaria si occupa di materie civile e penale.
In ambito civile la controversia sorge tra soggetti privati
che prendono il nome di "attore" (per colui che avvia la
procedura) e "convenuto" (colui che si difende). In
questo caso ci si rivolge in primo grado al Giudice di
pace o al Tribunale, in secondo grado alla Corte
d'Appello e in terzo grado (definitivo) alla Suprema Corte
di Cassazione.
… E QUELLA SPECIALE
• Per quanto riguarda la giurisdizione speciale si divide in
amministrativa, contabile e militare.
• La prima risolve controversie dove sono coinvolte le pubbliche
amministrazioni (tutela degli interessi legittimi) e se ne occupa
il giudice amministrativo, ovvero in primo grado il Tribunale
Amministrativo Regionale e in secondo grado il Consiglio di
Stato.
• La seconda risolve controversie sulla contabilità pubblica ed
enti finanziari dallo Stato; se ne occupa il giudice contabile in
primo grado la Corte dei Conti nella sezione regionale mentre,
in secondo grado, nella sezione centrale.
• Infine, quella militare, si occupa dei reati commessi dalle forze
armate.
IL DIRITTO URBANISTICO
Solo di recente il Diritto Urbanistico ha assunto una dignità
disciplinare autonoma rispetto agli altri insegnamenti di materie
giuridiche.
Si tratta di una materia tipicamente interdisciplinare che seca
trasversalmente numerosi campi disciplinari, sia tecnici sia giuridici.
Esso afferisce, tuttavia, in misura largamente prevalente, al Diritto
Amministrativo di cui costituisce un settore di estrema rilevanza
non solo teorica, ma anche pratica.
Il D.U. incide, peraltro, sui rapporti giuridici privati, sul regime
giuridico del diritto di proprietà dei beni immobili, si confronta
costantemente con il diritto costituzionale anche di derivazione
sovranazionale secondo quanto previsto dal novellato art. 117
Cost..
E’ anche oggetto di studio del diritto penale laddove, come spesse,
accade, le trasformazioni fisiche del suolo poste in essere in
violazione della disciplina urbanistica, determinano feedback
penalmente rilevanti.
ELEMENTI DEFINITORI
Il D.U. presenta contorni disciplinari di carattere estremamente
incerto e mutevole nel tempo.
In un periodo compreso fra la legge urbanistica generale (L. n.
1150/1942) e i primi anni Settanta si pensava che il D.U.
coincidesse con la regolamentazione dell’incremento edilizio e la
definizione dell’assetto urbano attraverso l’adozione di determinati
piani urbanistici (D.U. in senso stretto).
Più di recente il D.U. ha assunto connotati più fluidi, afferendo alla
disciplina degli usi del territorio e delle sue risorse al fine di
preservarli da iniziative economiche incompatibili con gli obiettivi
della tutela e della conservazione (D.U. in senso lato).
Prescindendo dai problemi definitori il D.U. ha assistito ad una
notevolissima proliferazione della legislazione statale e regionale
riguardante la disciplina degli usi, delle trasformazioni e della
tutela del territorio nei suoi vari elementi costitutivi (paesaggio,
risorse naturali, infrastrutture, centri abitati) ed al conseguente
incremento dell’intervento della P.A. con vieppiù ampi poteri di
regolazione e controllo.
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IL D.U. E I PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO
AMMINISTRATIVO
Il D.U. è ritenuto una partizione del Diritto Amministrativo di
cui mutua concetti e relativi istituti giuridici.
E’, pertanto, necessario individuare preliminarmente la natura
giuridica della funzione amministrativa cercando di
distinguerla dalla funzione legislativa e da quella
giurisdizionale.
Secondo la dottrina più classica la funzione amministrativa
coincide con la funzione esecutiva: rappresenterebbe attività
esecutiva della legge. Ciò in scrupolosa applicazione del
principio di separazione dei poteri secondo cui a ciascun
potere deve necessariamente corrispondere una specifica
funzione.
1) Il potere legislativo, con il compito di fare le leggi e di
creare il diritto oggettivo;
2) Il potere esecutivo, con il compito di dare esecuzione alla
previsione legislativa;
3) il potere giudiziario, con il compito di garantire l’osservanza
dell’ordinamento giuridico.
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• In quest’ottica la funzione amministrativa rappresenta la “cura
concreta dell’interesse pubblico” in esecuzione di quanto
previsto da una norma giuridica.
• La più recente dottrina ha, peraltro, rilevato la mancata
rispondenza di tale tradizionale tripartizione alla concreta
realtà delle cose, poiché ciascuno dei poteri esercita di fatto
funzioni che sarebbero proprie di altri poteri. Non solo.
• La stessa funzione amministrativa non potrebbe comunque
essere relegata a mera esecuzione di leggi dovendo, invece,
ritenersi riconducibile, più in generale alla regolazione e
disciplina di rapporti giuridici e comportamenti, alla
predisposizione di strumenti finanziari, alla definizione dei
poteri dei privati, alla pianificazione territoriale.
• FUNZIONE AMMINISTRATIVA identifica, pertanto, l’insieme
delle attività svolte dagli apparati amministrativi dello Stato e
delle altre amministrazioni pubbliche per la cura dell’interesse
generale.
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IL MOTIVO
A differenza di quanto accade in genere nel diritto privato, l’attività posta
in essere da un’amministrazione ai fini del perseguimento di un
determinato scopo risulta giuridicamente rilevante per l’ordinamento.
Se una società privata decide di far costruire un edificio da destinare a
propria sede, ciò che rileva è semplicemente che la proposta di
affidamento dell’appalto sia effettuata da chi è legittimato a
rappresentare la società e che tale proposta non sia viziata da errore,
violenza o dolo. Quando, tuttavia, la stessa attività viene posta in essere
da un’amministrazione pubblica assume rilevanza IL MOTIVO ossia
l’interesse pubblico per la tutela del quale si vuole procedere a tale
realizzazione, se e a chi serve, chi sarà il contraente e perché, quanto
costerà l’opera pubblica, in quale luogo e perché localizzarvi l’edificio.
Tutta la relativa attività sarà, ovviamente, caratterizzata da una sequela
di atti amministrativi.
Il tratto connotativo dell’attività posta in essere dalla P.A. è rappresentato
dalla necessità che il suo operato sia controllabile e verificabile; esigenza
di controllo che costituisce la ragione precipua della qualificazione
dell’attività amministrativa come esercizio di una funzione.
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TRIPARTIZIONE DELLA FUNZIONE AMMINISTRATIVA
L’attività amministrativa si distingue in tre funzioni principali:
1) attiva;
2) consultiva;
3) di controllo.
La prima è l’attività finalizzata alla cura degli interessi pubblici
attraverso l’emanazione di atti o il compimento di azioni reali
(ad es. l’ordine di demolizione) di un fabbricato;
La seconda serve a “consigliare” l’amministrazione sul modo
migliore di curare l’interesse pubblico e da luogo ai pareri;
La terza è volta a sindacare l’operato delle amministrazioni
pubbliche cui sono affidati i compiti di amministrazione attiva.
Soltanto per gli atti di amministrazione attiva si utilizzerà il
termine di PROVVEDIMENTO (atto con cui si esprime la
volontà imperativa dell’ente).
Gli altri atti verranno denominati semplicemente atti
amministrativi poiché strumentali, o collegati, all’atto
amministrativo provvedimento.
UFFICI, ORGANI, POTESTA’, COMPETENZE E ATTRIBUZIONI
• L’elemento basilare dell’articolazione della P.A. è
rappresentato dall’UFFICIO.
• Esso costituisce la struttura organizzativa di base dei soggetti
pubblici: ogni soggetto pubblico ha, cioè, un disegno
organizzativo secondo cui a ciascun ufficio è affidato lo
svolgimento di un certo compito (uffici funzionali).
• Taluni uffici sono denominati ORGANI giacché hanno il
compito di imputare gli effetti della propria attività
all’organizzazione cui appartengono (il soggetto pubblico si
“esprime” attraverso il suo organo).
• Così accade per il Consiglio Comunale il quale è organo del
Comune poiché esso può emettere atti rivolti all’esterno che
modificano situazioni giuridiche soggettive come l’adozione di
un piano urbanistico.
• Prima di tale atto altri uffici avranno istruito la pratica,
consultato ulteriori uffici, preparato e scritto materialmente il
provvedimento (essi non sono, tuttavia, organi poiché la loro
attività rileva solo ai fini dell’organizzazione interna).
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• La POTESTA’
rappresenta l’espressione del potere
autoritativo ed unilaterale della P.A.. (fra gli atti e le attività che
ne sono espressione si ricordano il potere di stipulare
contratti, di rilasciare certificati, di erogare prestazioni, di
raccogliere dati, ecc.).
• Sia le potestà sia gli altri compiti vengono comunque ripartiti
fra le varie amministrazioni secondo due criteri:
l’ATTRIBUZIONE e la COMPETENZA.
• Attribuzione è l’ambito degli interessi pubblici che una norma
giuridica affida alla cura di un soggetto in una determinata
materia.
• Competenza va, invece, riferita esclusivamente all’attività
degli organi e degli uffici (è un concetto più ristretto rispetto a
quello di attribuzione).
• Es. Il Comune ha attribuzione in materia di pianificazione
urbanistica, il Consiglio Comunale (orano del Comune) ha
competenza ad adottare il piano regolatore generale.
I POTERI AUTORITATIVI DELLA P.A.
• La funzione amministrativa può essere esercitata in via autoritativa e non
autoritativa (per accordi).
• Il potere di agire mediante atti d’imperio costituisce il più tangibile connotato
del diritto speciale delle amministrazioni pubbliche.
• Quando un’amministrazione esercita una potestà pubblica, si dice che
emette un provvedimento amministrativo autoritativo, incidendo, cioè,
unilateralmente sull’altrui sfera giuridica, in particolare costituendo,
modificando o estinguendo situazioni giuridiche soggettive.
• All’imperatività si ricollegano tre caratteristiche principali:
• 1) l’esecutività: i provvedimenti producono i relativi effetti
indipendentemente dalla loro legittimità (c.d. presunzione di legittimità degli
atti amministrativi i cui effetti cessano di prodursi solo a seguito di
annullamento).
• 2) l’esecutorietà: la P.A. può ottenere l’esecuzione coattiva del proprio
provvedimento anche con l’impiego della forza pubblica.
• Tale caratteristica è espressione del c.d. potere di autotutela esecutiva
delle amministrazioni pubbliche le quali, a differenza di quanto accade per i
privati, nell’ambito delle proprie attribuzioni possono portare ad esecuzione i
propri atti senza la necessità di rivolgersi all’autorità giudiziaria.
.
• Nell’ambito dell’autotutela esecutiva
la dottrina fa rientrare anche il
potere di eliminare o modificare i propri atti che risultino viziati e,
quindi, irregolari o invalidi secondo le modalità ed i limiti fissati dalla
legge.
• Nei casi in cui venga, infatti, sollevata da parte di un terzo privato o
dalla stessa amministrazione una questione circa la regolarità
dell’atto, possono essere aperti procedimenti amministrativi
specifici – detti di riesame – il cui esito va dalla conferma
all’annullamento d’ufficio, alla riforma dell’atto stesso.
• I procedimenti di riesame differiscono sostanzialmente da quelli di
revisione che danno luogo alle misure della revoca, ritiro o
abrogazione dell’atto..
• Peraltro, mentre l’annullamento d’ufficio può essere pronunciato
soltanto in presenza di un vizio di legittimità del provvedimento, la
revoca rappresenta la misura da adottare nel caso in cui
l’amministrazione dovesse reputare inopportuna una determinata
decisione a seguito di una nuova valutazione degli interessi in
gioco, oppure in ragione delle mutate circostanze di fatto oppure
ancora in relazione a fatti di cui non si era tenuto conto in
precedenza al momento dell’emanazione del provvedimento.
.
3) L’inoppugnabilità: detta anche consolidazione, sicché una volta
spirato il termine di sessanta giorni dalla conoscenza del
provvedimento, non se ne può più chiedere al giudice amministrativo il
relativo annullamento.
Decorso il predetto termine (che è di decadenza), solo la stessa
amministrazione può eliminarlo in virtù dei suddetti poteri di autotutela
esercitabili in ogni tempo.
L’inoppugnabilità è, comunque, legata alla effettiva conoscenza del
provvedimento medesimo da parte dei soggetti destinatari interessati
alla sua impugnazione.
In taluni casi è la stessa legge a fissare le modalità di effettiva
conoscenza del provvedimento mediante la fissazione di presunzioni:
ad esempio per i PRG si presume la conoscenza del piano mediante la
pubblicazione dello stesso sul Bollettino Ufficiale della Regione.
In tutti gli altri casi è onere dei destinatari del provvedimento che si
intende impugnare la dimostrazione della data e della modalità di
avvenuta conoscenza del provvedimento. Trascorsi inutilmente i
sessanta giorni dalla conoscenza dell’atto, il provvedimento si
consolida e, per l’effetto, non può più essere annullato.
I PRINCIPI FONDAMENTALI DELL’ATTIVITA’
AMMINISTRATIVA
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I principi fondamentali dell’attività amministrativa sono quattro:
1) il principio di legalità;
2) la riserva di legge;
3) il principio di imparzialità;
4) il principio del buon andamento.
Il primo trova il suo fondamento normativo nella L. 241/1990;
gli altri tre nella Carta Costituzionale.
• Allorché l’azione amministrativa si svolge in contrasto con i
predetti principi essa diviene “ingiusta” (illegittima) ragione per
cui l’Ordinamento giuridico accorda ai cittadini l’utilizzo di
taluni strumenti di controllo volti alla difesa da possibili abusi
da parte della P.A.
IL PRINCIPIO DI LEGALITA’
• Esso rappresenta il fondamento del c.d. “Stato di diritto”, laddove tutti i
poteri devono essere subordinati alla legge.
• Si tratta del primato della legge sull’amministrazione, ossia del
Parlamento, espressione della volontà popolare (per ciò legittimato
democraticamente), sui funzionari della P.A.
• In forza di tale principio nessun potere può legittimamente essere
conferito all’amministrazione se non previsto da una norma giuridica.
• Il principio di legalità si configura un paradigma declinato in due distinti
principi: di tipicità e di innovatività dei provvedimenti amministrativi.
• Il principio di tipicità postula la necessità che ogni ad ogni
provvedimento amministrativo corrisponde una funzione tipica; deve,
cioè, avere una precisa finalità prevista da una norma.
• Il principio di innovatività stabilisce, invece, la tassatività del numero dei
provvedimenti amministrativi (dotati di imperatività)
non essendo
consentito dalla legge l’emanazione di provvedimenti non tipici, ossia
non previsti espressamente dall’ordinamento giuridico (cosa che, di
converso, può accadere nel diritto privato).
LA RISERVA DI LEGGE
• Tale principio rappresenta un rafforzamento della funzione garantista del
principio di legalità.
• La riserva di legge esclude, infatti, che una determinata materia, in
mancanza di una espressa disciplina legislativa, possa essere oggetto
di una regolamentazione attraverso atti normativi secondari
(regolamenti).
• Si tratta di una garanzia posta a tutela dei cittadini secondo la quale
determinati argomenti di particolare rilevanza i cui effetti sono suscettibili
di poter incidere in modo significativo sulla sfera giuridica soggettiva dei
singoli, debba necessariamente essere normata con legge del
Parlamento.
• Secondo l’art. 23 della Costituzione, ad esempio, l’imposizione di tasse
e tributi può essere disposta esclusivamente in forza di una norma di
legge.
• In definitiva la riserva di legge ha una funzione essenziale di garanzia in
quanto intende assicurare che in materie particolarmente delicate, come
quella dei diritti fondamentali del cittadino, le decisioni vengano assunte
dall’organo più rappresentativo del potere sovrano dello Stato: il
Parlamento.
I PRINCIPI DI IMPARZIALITA’ E BUON ANDAMENTO
• I principi di imparzialità e buon andamento della P.A. sono previsti dall’art.
97 della Carta Costituzionale.
• Buon andamento significa efficienza della P.A. che si traduce in
economicità ed efficacia dell’azione amministrativa a cui risultano affiancati
quelli di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza.
• Sulla scorta di tali principi la P.A. deve informare il proprio agire al
raggiungimento del miglior risultato costi/benefici non potendo limitarsi
all’attestazione di un risultato meramente formale.
• L’imparzialità è attuazione del principio di giustizia.
• La P.A., nell’esercizio delle proprie funzioni, è tenuta a tenere in assoluta
considerazione tutti i fatti afferenti agli interessi considerati dalla legge
secondo le regole improntate a certezza, trasparenza e democraticità.
• Esso costituisce corollario del più generale principio di uguaglianza sancito
dall’art. 3 della Costituzione.
• Costituisce tipica espressione del principio di imparzialità l’obbligo di
motivazione dei provvedimenti amministrativi, il principio di partecipazione
dei privati al procedimento amministrativo, il vizio dell’eccesso di potere.
• Ai superiori principi generali se ne affiancano di ulteriori aventi origine nella
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e,
specificamente:
• - il principio di proporzionalità e quello di non discriminazione.
LA DISCREZIONALITA’ AMMINISTRATIVA
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La discrezionalità amministrativa rappresenta un concetto fondamentale del
diritto amministrativo.
Vi sono taluni casi nei quali la funzione amministrativa si trova sostanzialmente
vincolata allorché, in presenza di determinati presupposti stabiliti da una norma
di legge, la P.A. non ha altra scelta che assumere un determinato
comportamento (provvedimento).
In tali ipotesi la P.A. si limita all’accertamento circa la sussistenza dei necessari
presupposti sanciti dalla norma per l’adozione di quel determinato
provvedimento richiesto (come accade nel permesso di costruire).
In altri casi, invece, l’attività amministrativa è discrezionale.
La discrezionalità è il metodo mediante il quale la P.A., secondo il proprio
prudente apprezzamento, stabilisce come realizzare, in concreto, l’interesse
pubblico quando ciò non sia prestabilito dalla legge.
Le norme di legge, infatti, nell’attribuire il potere all’amministrazione, indicano,
seppure raramente, l’interesse pubblico da tutelare (interesse primario) che
dovrà, tuttavia, necessariamente collidere con altri interessi, pubblici o privati
(secondari), ritenuti subordinati al primario interesse pubblico da curare.
La P.A. dovrà, pertanto, esercitare i poteri attribuiti dalla legge scegliendo di
soddisfare l’interesse primario o ritenere prevalenti gli interessi secondari.
La c.d. discrezionalità amministrativa sta proprio nella prudente ponderazione
comparativa dell’interesse primario con gli interessi secondari.
L’esito di tale valutazione sarà l’individuazione dell’interesse meritevole di tutela
da parte dell’amministrazione.
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• Tale giudizio di “prevalenza” varia a seconda dell’ambito di
discrezionalità concesso dalla norma alla P.A.
• La norma di legge può, infatti, attribuire alla P.A. la determinazione
discrezionale del contenuto del provvedimento (discrezionalità sul
quid);
• Può lascare alla P.A. solo la scelta su se emanare il provvedimento
(discrezionalità sull’an);
• Può consentire alla P.A. solo i tempi e i modi di adozione di un
provvedimento (discrezionalità sul quomodo).
• Ad esempio, nella formazione di un piano territoriale obbligatorio per
legge la P.A. ha discrezionalità nel quid, ma non anche nell’an, ben
potendo stabilire discrezionalmente i contenuti del piano , ma non
anche la necessità o meno di adottarlo (lo deve adottare).
• La discrezionalità amministrativa non va confusa con la
discrezionalità assoluta: la P.A. non gode affatto della liberta di
scelta; al contrario necessita che ogni decisione sia il frutto
dell’osservanza di precisi criteri alcuni dei quali sono espressione di
principi generali (ragionevolezza, imparzialità, uguaglianza,
trasparenza, ecc…); ciò quando tali criteri non siano già contenuti
nella norma attributiva del potere amministrativo di adozione del
provvedimento (circostanza rara).
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LA MOTIVAZIONE DELLA SCELTA
Elemento essenziale per rendere trasparente l’utilizzo dei
criteri stabiliti dalla norma ai fini dell’adozione del
provvedimento è che tali criteri, posti a fondamento del
provvedimento, siano resi noti all’esterno.
La motivazione del provvedimento è posta a giustificazione
della decisione adottata nei confronti di tutti i cittadini i quali
devono essere posti nelle condizioni di conoscere se la scelta
adottata dalla P.A. risulti o meno coerente con i criteri che
l’amministrazione ha dichiarato di porre a base della
decisione.
“vi è, pertanto, una stretta correlazione nell’attività
amministrativa fra interesse pubblico, scelta discrezionale e
motivazione della scelta, dovendo l’amministrazione
evidenziare l’attualità dell’interesse pubblico da soddisfare”.
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria n. 7/1999).
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ESEMPIO
L’Assessorato Regionale al territorio, che ha competenza sui beni paesaggistici,
viene a conoscenza della costruzione di un’abitazione privata in una zona “vincolata”
senza la necessaria autorizzazione (N.O. Soprintendenza per i BB.CC.AA.).
L’ufficio preposto può adottare tre distinte soluzioni:
1) ordinare la demolizione della costruzione;
2) autorizzare i lavori in sanatoria;
3) autorizzare i lavori “con prescrizioni”.
In tutte le ipotesi menzionate la P.A. irrogherà una sanzione amministrativa
pecuniaria (obbligatoria per legge – Codice dei bb.cc.).
Nel primo caso la sanzione coinciderà con la demolizione;
Nel secondo e terzo la sanzione pecuniari si accompagnerà al rilascio di
un’autorizzazione in sanatoria.
La P.A. dovrà, comunque, motivare la propria decisione in relazione all’interesse
primario (tutela del patrimonio paesaggistico) e agli interessi secondari (quello
privato).
Nell’ipotesi in cui decidesse per la demolizione dovrà necessariamente dimostrare la
necessità del suo abbattimento per la liberazione del panorama tutelato; laddove, in
caso contrario, la relativa decisione sarebbe ritenuta sproporzionata ed irragionevole
e, quindi, annullabile.
Nell’ipotesi in cui, viceversa, dovesse decidere per il mantenimento della costruzione
(sanatoria e prescrizioni) dovrà necessariamente giustificare il provvedimento sulla
base dell’ininfluenza della costruzione in ordine alla tutela del paesaggio, magari
disponendo l’eliminazione solo di una parte dell’edificio.
LIMITI INTERNI ED ESTERNI ALLA DISCREZIONALITA’
• La presenza di altri interessi (non primari) suscettibili di poter incidere
sfavorevolmente sulla soddisfazione dell’interesse pubblico primario ha
imposto i c.d. limiti interni alla discrezionalità della P.A..
• Qualora tali limiti dovessero essere superati si configurerebbe un “eccesso
di potere” con la conseguente invalidità del relativo provvedimento
amministrativo.
• Dai predetti limiti interni vanno distinti i c.d. limiti esterni che si indirizzano
non alla discrezionalità della decisione amministrativa quanto direttamente
al potere della P.A. che viene limitato all’origine attraverso una contrazione
dei poteri stessi.
• Es. Nei procedimenti di pianificazione urbanistica, ove è massima
l’eterogeneità degli interessi in gioco, l’interesse primario (l’ordinato e
razionale assetto del territorio) è frutto di un’articolata quanto complessa
ponderazione degli interessi da tutelare.
• L’adozione di una soluzione rispetto ad un’altra dipenderà da scelte
discrezionali a cui è assolutamente difficile apporre limiti se non
nell’organizzazione, da parte della norma, della discrezionalità
amministrativa, in articolati procedimenti che siano idonei a contemperare il
più elevato numero di interessi in campo.
La discrezionalità tecnica
• Diversa dalla discrezionalità amministrativa di cui abbiamo finora
parlato è la c.d. discrezionalità tecnica la quale consiste
nell’assunzione, all’interno del procedimento, di quelle regole
d’esperienza e/o della scienza e/o della tecnica che non implicano
ponderazione e valutazione degli interessi in gioco.
• Si tratta di una scelta “obbligata” da parte della P.A. determinata
dalla valutazione di fatti alla stregua di conoscenza extragiuridiche.
• Es. la sismicità di una zona verrà dichiarata con provvedimento
amministrativo in ragione dei rilievi geologici e delle indagini storiche
effettuate sul territorio in questione.
• Quali conseguenze sul piano operativo:
• La giurisprudenza ritiene che gli atti caratterizzati da discrezionalità
tecnica siano sindacabili solo in presenza di sintomi di “assoluta e
manifesta illogicità”.
• Ciò ha ricadute enormi nell’ambito dei procedimenti di pianificazione
urbanistica: il principio generale è che i provvedimenti amministrativi
generali (che sono diretti ad un pluralità indefinita di soggetti), di cui
i provvedimenti di piano costituiscono una species, (ad es. il PRG)
non vanno obbligatoriamente motivati. Laddove, invece, gli atti
individuali (destinati, invece, a singoli soggetti o ad una pluralità
definita di soggetti) necessita della motivazione.
IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
• Il procedimento amministrativo è un istituto finalizzato
all’assoggettamento dell’esercizio del potere amministrativo a
regole controllabili, verificabili dall’esterno, e si trova in stretta
correlazione con la discrezionalità giacché è proprio attraverso il
procedimento amministrativo che si esplica quella valutazione
degli interessi che rappresentano la manifestazione di tale
discrezionalità.
• Esso può essere definito come una sequenza di atti posti in
essere dalla P.A. fra loro correlati e volti al perseguimento di un
unico scopo. Scopo che definisce il procedimento attraverso
l’emanazione di un provvedimento.
• Va precisato come il procedimento amministrativo si distingua da
altri procedimenti (sequenza di atti finalizzati all’emanazione di
una sentenza o di una legge) poiché la successione di atti
preordinata all’emanazione di un provvedimento amministrativo
costituisce un complesso atti amministrativi volti alla
ponderazione di una pluralità, più o meno complessa, di interessi.
.
• Così, ad es., per il rilascio di una licenza di abitabilità, il
procedimento sarà determinato esclusivamente dalla verifica
circa la sussistenza di taluni semplici presupposti (la
conformità del fabbricato al progetto e l’insussistenza di cause
di insalubrità) da parte di un organo monocratico del Comune
(l’Ufficio preposto).
• Quando, invece, si parla pianificazione urbanistica la
complessità e la pluralità degli interessi pubblici e privati in
gioco oggetto della necessaria ponderazione da parte del
Comune impone l’instaurazione di un procedimento
amministrativo correlativamente complesso costituito da più
atti amministrativi strumentali al conseguimento dello scopo
(decisione
finale
rappresentata
dal
provvedimento
amministrativo), posti in essere da più uffici di varie
amministrazioni pubbliche.
LE FASI DEL PROCEDIMENTO
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Le fasi del procedimento amministrativo sono quattro:
1) la fase di iniziativa;
2) la fase istruttoria;
3) la fase decisoria;
4) la fase di integrazione dell’efficacia.
La fase d’iniziativa apre il procedimento e ne determina l’oggetto introducendo
l’interesse primario.
L’atto di iniziativa può provenire da un soggetto privato, ed allora riceverà impulso di
parte; se, invece, proviene dalla stessa amministrazione, allora si ha l’iniziativa
d’ufficio.
La concessione edificatoria è rilasciata dall’amministrazione su istanza di parte; un
piano urbanistico viene disposto dall’amministrazione d’ufficio.
La fase istruttoria serve ad introdurre gli altri interessi (quelli secondari) da
ponderare nel procedimento e a raccogliere i fatti e gli atti necessaria alla
valutazione del peso degli interessi in gioco: maggiore sarà il numero di questi, più
complessa sarà l’istruttoria.
Lo scopo di tale fase è quello di preparare il materiale necessario alla formazione
della decisione della P.A.
Vediamo i più ricorrenti.
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• L’acquisizione e la presentazione di documenti e certificazioni
(talvolta richiesti a pena di improcedibilità, come l’allegazione
dell’elaborato di progetto nell’ipotesi di richiesta di permesso di
costruire);
• L’acquisizione di attività di scienza, quali le ispezioni dei luoghi,
sovente affidati a tecnici abilitati, interni o esterni all’amministrazione,
come nel caso della progettazione di un piano urbanistico;
• L’attività di pareristica resa da altre amministrazioni, che possono
consistere in “consigli” obbligatori o facoltativi. Nel primo caso essi
devono essere richiesti dall’amministrazione decidente; in mancanza
il procedimento risulta viziato e, pertanto il relativo provvedimento
impugnabile per il relativo annullamento. Nel secondo caso il parere
può essere richiesto a discrezione dell’amministrazione procedente.
• Tali pareri non vanno confusi con i c.d. “pareri vincolanti” i quali non
sono veri e propri consigli, ma atti vincolanti la decisione
dell’amministrazione procedente sicché si avrà una “decisione
preliminare”.
• Gli atti istruttori di intervento nel procedimento (come ad esempio le
osservazioni, le proposte o le opposizioni formulate dai singoli privati
in ordine all’adozione di un piano urbanistico).
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• Nell’alveo della fase istruttoria del procedimento amministrativo
assume particolare rilievo la figura del R.U.P. (Responsabile Unico
del Procedimento) il quale ha il compito precipuo di curare ogni
aspetto dell’istruttoria e l’interfaccia diretta dell’amministrazione
rispetto a tutti i cittadini interessati al procedimento medesimo.
• C) La fase decisoria o costitutiva è quella in cui viene adottato il
provvedimento amministrativo e rappresenta l’esito del procedimento
amministrativo.
• Il soggetto decidente può essere un organo monocratico (il dirigente,
il prefetto, il sindaco) sia un organo collegiale (il consiglio comunale).
• Può accadere che all’adozione della decisione concorrano diversi
organi, monocratici e collegiali; in tal caso si ha un provvedimento
assunto “di concerto” fra più organi dell’amministrazione o di più
amministrazioni coinvolte dalla decisione (ad es. l’intesa fra il
Comune ed il Genio Civile in sede di adozione di un piano urbanistico
ricadente in zona sismica).
• D) la fase di integrazione dell’efficacia è una fase eventuale e non
necessaria poiché spesso i provvedimenti amministrativi risultano
efficaci al momento dell’esito del procedimento senza la necessità
che ciò necessiti una fase ulteriore. Si dice che il procedimento si è
“perfezionato” con la definizione del provvedimento amministrativo.
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• Talvolta, tuttavia, accade che un provvedimento amministrativo, per
acquisire efficacia, debba necessariamente essere sottoposto ad una
fase ulteriore: ciò si verifica, ad es., allorché il PRG adottato debba
essere necessariamente pubblicato sul Bollettino Regionale affinché
possa essere conoscibile alla collettività ed acquisti la relativa
efficacia.
• Subprocedimento.
• Accade spesso che, all’interno del procedimento amministrativo,
formato da una sequenza di atti amministrativi preordinati
all’adozione del provvedimento finale, si ritrovi un atto a sua volta
frutto di un’ulteriore procedimento amministrativo; si ha, in tal caso un
Subprocedimento allorché uno o più atti rappresentano il risultato di
un ulteriore procedimento amministrativo dipendente da altra
amministrazione diversa da quella procedente. L’esito del
subprocedimento è quello di un vero e proprio provvedimento o
subprovvedimento necessario alla prosecuzione dell’istruttoria e
dell’esito del procedimento.
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DIRITTI SOGGETTIVI E …
Cosa è una situazione giuridica soggettiva?
Una relazione “qualificata” fra un interesse ed un soggetto
ritenuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento
giuridico.
Quando una norma valuta favorevolmente un determinato
interesse lo eleva a situazione giuridica soggettiva.
Una situazione giuridica soggettiva implica un rapporto
giuridico, ossia una relazione fra due o più soggetti regolata
dal diritto (es. vendita, fornitura, ecc.)
Ogni situazione giuridica soggettiva può essere declinata
variamente mediante le sue plurime manifestazioni giuridiche:
• sul lato attivo del rapporto, il diritto soggettivo che si esprime
tramite poteri e facoltà;
• sul lato passivo del rapporto, il dovere, l'obbligo e la
soggezione.
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• Il diritto soggettivo è il potere di agire in base al proprio libero
apprezzamento per il soddisfacimento del proprio interesse, protetto
dall’ordinamento giuridico. E’ la pretesa che altri tenga un comportamento di
contenuto positivo (dare o fare) o negativo (non fare) (es. diritto di credito,
diritto di proprietà).
• la facoltà – situazione giuridica soggettiva attiva- è la possibilità di tenere
un determinato comportamento e, quindi, l'opposto del dovere o obbligosituazioni giuridiche soggettive passive (la facoltà di usare il bene di cui il
titolare del diritto soggettivo di proprietà è titolare e il corrispondente obbligo
di tutti i terzi di astenersi dal porre in essere condotte turbative del diritto).
• Diverso dall’obbligo o dovere l'onere che è la situazione giuridica soggettiva
caratterizzata dal fatto che il soggetto su cui grava è tenuto ad un
determinato comportamento nel proprio interesse, poiché in mancanza non
si produrrebbe un effetto giuridico a lui favorevole.
• Il potere, – situazione giuridica soggettiva attiva – è la possibilità
attribuita dall'ordinamento ad un soggetto di produrre effetti giuridici, ossia di
creare, modificare o estinguere un rapporto giuridico (il potere di agire in
giudizio a tutela di propri diritti soggettivi di credito).
• Se il soggetto attivo del rapporto è titolare di un potere, in capo al soggetto
passivo sussiste la corrispondente soggezione.
… INTERESSI LEGITTIMI
• Dal punto di vista della P.A. può dirsi che il suo potere autoritativo si esprime
mediante l’esercizio di una potestà pubblica.
• Se ci si pone nella prospettiva del singolo cittadino di fronte alla potestà
espressa dalla P.A., allora il singolo si trova in una posizione di soggezione.
Egli, di fronte all’imperatività del provvedimento, si trova costretto a subirne
gli effetti.
• Se il cittadino posto nella situazione di soggezione è titolare di un diritto
soggettivo questi può subire l’azzeramento della propria situazione giuridica
soggettiva (perdita del diritto di proprietà in caso di espropriazione per pubblica utilità)
ovvero vederla limitare (la facoltà di edificazione in conformità ai parametri ed ai
criteri stabiliti dai piani urbanistici).
• Vi sono altri casi nei quali la P.A. non manifesta una potestà incidendo sui
diritti soggettivi dei singoli, ma costituisce essa stessa diritti in capo ai singoli
(rilascio di una concessione edificatoria o l’aggiudicazione di un pubblico appalto).
• In tali ultime ipotesi ciascun singolo privato, persona fisica o giuridica, aspira
al conseguimento di un’utilità legata ad una decisione della P.A.
(provvedimento amministrativo). Va da sé che non tutte le aspettative
espresse dai singoli privati potranno risultare soddisfatte sicché l’interesse
sotteso da tale aspettativa e correlato all’esercizio del potere amministrativo
(funzione amministrativa) viene denominato interesse legittimo.
INTERESSE LEGITTIMO E DIRITTO SOGGETTIVO
• L’interesse legittimo, contrariamente al diritto soggettivo, non garantisce al
suo titolare una tutela diretta, ragione per cui si dice che, di fronte al potere
espresso dalla P.A., il titolare della situazione giuridica soggettiva
corrispondente all’interesse legittimo eserciti un diritto soggettivo, per così
dire, “affievolito” essendo privo dei relativi poteri di espressione della
decisione finale in realtà spettante alla P.A. con l’emanazione del relativo
provvedimento sul quale il soggetto destinatario può incidere soltanto
attraverso gli strumenti approntati dall’ordinamento e finalizzati
all’orientamento della P.A. in ordine alla determinazione del suo contenuto.
• Attraverso tali strumenti il soggetto amministrato può far valere l’interesse
legittimo al corretto uso del potere amministrativo in conformità al dettato
normativo (il candidato che dovesse risultare escluso da una procedura concorsuale
ovvero l’impresa che non dovesse risultare aggiudicataria di una gara d’appalto in
conformità alle prescrizioni di legge in materia).
• Nell’ipotesi, invece, di potere amministrativo esercitato in difformità alle
prescrizioni normative il soggetto amministrato può far valere (ha il potere) di
agire in giudizio al fine di ottenere un provvedimento dell’Autorità
Giurisdizionale idoneo a rendere invalido il provvedimento reso dalla P.A..
LA GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA
• Allorché un provvedimento amministrativo non risulta corrispondente
al dettato normativo esso risulta “invalido”, ossia affetto da un vizio di
legittimità o di opportunità.
• Benché esecutivo e suscettibile di esecutorietà esso può, tuttavia,
essere “annullato” in via amministrativa mediante un nuovo
provvedimento reso “in autotutela” dalla stessa P.A. che lo ha
emanato ovvero, in mancanza, attraverso un provvedimento reso
dall’autorità amministrativa gerarchicamente sovraordinata (ricorso
gerarchico) ovvero ancora tramite il ricorso al Presidente della
Repubblica; in via giudiziaria mediante la proposizione di un ricorso
in sede giurisdizionale (T.A.R. in primo grado, Consiglio di Stato in
sede di gravame).
• Ai sensi dell’art. 113 della Costituzione è sempre ammessa la tutela
giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti posti in
essere dalla P.A.. Sicché quando l’attività della P.A. dovesse essere
lesiva di un interesse legittimo è ammesso il ricorso all’Autorità
Giudiziaria in sede amministrativa; viceversa, allorché dovesse
essere leso un diritto soggettivo sarà competente a conoscere della
controversia l’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
LA GIURISDIZIONE ESCLUSIVA DEL GIUDICE AMMNISTRATIVO IN
MATERIA URBANISTICA ED EDILIZIA
• L’art. 34 del d.lgs. 31.03.1998, n. 98 stabilisce la giurisdizione
esclusiva del Giudice amministrativo per tutte le controversie aventi
per oggetto gli atti ed i provvedimenti delle amministrazioni pubbliche
in materia urbanistica ed edilizia, ricomprendendo nell’accezione di
urbanistica ogni aspetto relativo all’uso del territorio.
• Come accennato in precedenza il provvedimento amministrativo può
essere impugnato entro il termine decadenziale di sessanta giorni dal
momento della conoscenza legale del medesimo da parte del
destinatario laddove, invece, risulta quinquennale nell’ipotesi in cui
dovesse essere fatto valere un diritto soggettivo innanzi all’A.G.O..
• Contrariamente a quanto accade nel giudizio innanzi all’A.G.O. il
Giudice amministrativo non può sindacare il merito della scelta
compiuta dalla P.A. non potendo sostituirsi all’amministrazione nella
valutazione comparativa degli interessi in gioco ai fini
dell’emanazione del provvedimento impugnato, dovendosi limitare
alla verifica giudiziale della conformità, o meno, della decisione ai
principi normativi che presiedono all’esercizio della funzione
amministrativa.
• Una volta accertato il vizio che affligge il provvedimento posto in essere
dalla P.A. il Giudice amministrativo annulla lo stesso ripristinando, per
quanto possibile, la situazione giuridica anteriore all’emanazione dell’atto.
• Il nostro ordinamento giuridico prevede tre distinte, e tassative, ipotesi di
illegittimità:
• 1) la violazione di legge;
• 2) l’incompetenza;
• 3) l’eccesso di potere.
• Si ha la violazione di legge allorché il potere amministrativo risulti esercitato
in difformità rispetto al contenuto di norme contenute in leggi, regolamenti,
atti amministrativi che dispongano in ordine al contenuto, al procedimento
ed alla forma degli atti (il permesso di costruire esitato senza il previo parere della
Commissione Edilizia Comunale – C.E.C.).
• Ricorre, invece, l’incompetenza allorquando il provvedimento risulti emanato
da un organo amministrativo quando avrebbe dovuto essere emanato da
altro organo appartenente alla stessa o ad altra P.A. (il PRG adottato dal
Sindaco o dalla Giunta comunale in luogo del Consiglio comunale; si tratta di
un’ipotesi di nullità relativa che genera l’annullamento del provvedimento
posto in essere dalla P.A.)
• L’incompetenza relativa si distingue da quella assoluta nell’ipotesi in cui
l’organo emanante il provvedimento non risulti neanche astrattamente
competente a porre in essere la decisione. La relativa sanzione è, in tal
caso, la nullità-inesistenza del provvedimento amministrativo.
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• Si configura, infine, l’ipotesi dell’eccesso di potere allorché la P.A., ancorché
perseguire il fine stabilito dall’ordinamento giuridico, ne consegue uno
diverso.
• SI tratta della figura più rilevante ed articolata fra i vizi di illegittimità in cui
può incorrere l’attività amministrativa e consiste nella violazione dei limiti
interni della discrezionalità amministrativa (nell’ipotesi di dichiarazione di notevole
.
interesse di un’area di pregio paesistico ambientale laddove tale decisione non sia
determinata dall’apprezzamento dell’area sotto tale profilo, ma da un fine diverso).
• In tal caso la P.A. eccede i limiti del potere attribuitogli dalla legge deviando
la propria azione amministrativa dall’interesse primario ad altri non meritevoli
di tutela da parte dell’ordinamento (sviamento della causa tipica) ovvero
mancando del tutto di perseguire l’interesse primario (mancanza della causa
tipica).
• A tali figure la giurisprudenza ha accostato altre ipotesi, c.d. “figure
sintomatiche dell’eccesso di potere” quali la manifesta illogicità, il travisamento
dei fatti, la mancata ponderazione di un interesse ritenuto essenziale nella
valutazione comparativa, la mancanza o il vizio di motivazione, la disparità
di trattamento.
• In tutti i casi sopra evidenziati la decisione adottata dalla P.A. risulta viziata
di eccesso di potere ragione per cui l’Autorità Giurisdizionale dovrà
effettuare un vaglio giudiziario estremamente penetrante suscettibile di
produrre l’annullamento del provvedimento amministrativo.
LE FONTI DEL DIRITTO URBANISTICO
• Carta Costituzionale
• Art. 42: tutela la proprietà privata ponendo il limite della funzione
sociale
• Art. 41 comma 3°: la legge può stabilire i programmi ed i controlli
affinché l’iniziativa economica risulti finalizzata a fini sociali.
• E’ evidente la “tensione” fra libertà dei singoli privati e tutela della
collettività laddove la prima trova il limite della seconda.
• Codice Civile
• L’intero Libro III del codice civile (artt. 810-1172) recante la rubrica
“Della Proprietà”, diritto reale fondamentale del nostro ordinamento
giuridico, che disciplina l’esercizio dei c.d. diritti reali di godimento:
usufrutto, uso, abitazione, servitù, enfiteusi, superficie.
• Le fonti precipue del Diritto Urbanistico
• Sono leggi statali e regionali giacché, ai sensi dell’art. 117 della
Costituzione, come modificato dalla Legge costituzionale 3/2001,
l’urbanistica rientra fra le materie di competenza concorrente StatoRegioni ricomprese nella locuzione “governo del territorio”.
• Competenza concorrente significa che la disciplina normativa
risulterà dal “concorso” fra quella “di cornice” predisposta dallo Stato
attraverso l’enunciazione dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato,
e quella fissata dalle Regioni. Tale limite vincola, peraltro, solo le
Regioni a statuto ordinario poiché quelle a statuto speciale godono
del regime di potestà legislativa primaria sicché le relative leggi
incontrano il solo limite rappresentato dai principi generali
dell’ordinamento interno, comunitario, di diritto internazionale e di
grande riforma di natura economico-sociale.
• Fonti secondarie
• Tra le fonti secondarie del diritto urbanistico si annoverano quelle
frutto della potestà regolamentare stabilita dall’art. 117, comma 6
della Costituzione, la quale spetta allo Stato soltanto nelle materie di
esclusiva competenza legislativa statale e, in via residuale, ossia in
tutte le altre materie, alle Regioni.
• Ciò significa che in materia urbanistica (rectius “governo del
territorio”) lo Stato non ha alcuna potestà regolamentare spettando la
stessa alle Regioni e agli enti locali (Comuni, Province e Città
metropolitane).
.
LE SINGOLE FONTI DEL DIRITTO URBANISTICO
• La Legge Fondamentale 17 agosto 1942, n. 1150 (LU), che ha
introdotto nel nostro ordinamento giuridico il sistema dei “Piani
Urbanistici” costituisce il pilastro essenziale della materia.
• Poi modificata dalla Legge 6 agosto 1967, n. 765 (c.d. Legge
Ponte), poiché avrebbe dovuto rappresentare la transizione verso
una nuova legge urbanistica generale, poi mai emanata).
• Tale ultima, pur nello spirito della transizione, ha introdotto modifiche
di assoluta rilevanza fra cui i limiti all’attività edilizia in assenza di
strumenti urbanistici generali (c.d. standard generali o di salvaguardia) e
limiti urbanistici di tipo quantitativo finalizzati all’orientamento delle
decisioni urbanistiche adottate a livello locale allo scopo di garantire
la presenza di infrastrutture e servizi; le norme sulla lottizzazione
(frammentazione della proprietà in porzioni di terreno mediante frazionamento
catastale); l’obbligo della licenzia edilizia per la realizzazione di
fabbricati nel territorio comunale; la necessaria realizzazione delle
opere di urbanizzazione primaria anteriormente al rilascio della
licenza edilizia (op. urb primaria: strade, reti fognarie e idriche di distribuzione
dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione , spazi destinati a parcheggio;
op. urb. secondaria: asili, scuole, marcati, chiese, impianti sportivi, aree destinate a
verde attrezzato, centri culturali).
.
• Benché anteriormente e posteriormente alla L.P. si sia
progressivamente formata una notevole produzione legislativa che
costituisce, in buona parte, il nucleo normativo del Diritto Urbanistico
contemporaneo, tre risultano, in particolare, le fonti di attuale rilievo: il
T.U. in materia edilizia (DPR 06.06.2001, n 380), il T.U. in materia di
espropriazione per pubblica utilità (DPR 08.06.2001, 327) ed il
Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs. 22.01.2004, n. 42).
• Si tratta di corpi normativi che hanno avuto il merito di aver messo
ordine normativo nell’affastellata successione, non sempre organica
e sistematica e sovente di natura contingente, di provvedimenti
legislativi, sostituendo o abrogando precedenti disposizioni (in
particolare il T.U. edil. ha sostituito la concessione edilizia con il permesso di
costruire assorbendo le disposizioni in materia di controllo dell’attività edilizia,
salvaguardia e recupero del patrimonio edilizio; il T.U. espr. Ha disposto soprattutto
sui vincoli urbanistici e sulla disciplina dei P.U.A. – Piani Urbanistici Attuativi).
• Il comune denominatore essenziale attorno a cui ruota l’intero
“sistema” normativo (benché sia ardito denominarlo in tal modo) del
D.U. è il Piano Urbanistico variamente declinato, in ragione del
relativo contenuto tematico in:
• P.E.E.P. (Piano di Edilizia Economica e Popolare – L. 18.04.1962, n.
167);
• Piano di Lottizzazione (L.P. 06.08.1967, n. 765)
• Piano degli insediamenti produttivi (L. 27.10.1971, n. 865)
• Programma Integrati d’Intervento (L. 17.02.1992, n. 179)
• P.R.U. (Programma di Recupero Urbano - L. 04.12.1993, n. 493).
• Ciascuno di tali piani è sovente oggetto della c.d. “Variante”,
originariamente concepita come strumento di modifica del piano
regolatore generale in ragione di specifiche sopravvenute ragioni di
inattuabilità o nell’ipotesi di migliorabilità dello stesso e autorizzata
preventivamente dal Ministero LL.P.P. (oggi le Regioni) ed oggi
degradata a meccanismo “tipico” di realizzazione dell’interesse
attuale ritenuto maggiormente degno di tutela.
• A ciascuno di tali “piani” corrisponde un interesse sotteso ragione per
cui si assiste ad una frammentazione della disciplina urbanistica
quale risposta dell’ordinamento alla pluralità degli interessi da
soddisfare.
• Quale urbanistica oggi?
.
L’URBANISTICA OGGI
• Nella sua più attuale accezione l’Urbanistica non detiene, in via
esclusiva, il primato nella disciplina del territorio, essendo il territorio
oggetto di studi disciplinari trasversali.
• Ciò è emerso in modo inequivocabile a seguito dell’orientamento
palesato dalla giurisprudenza costituzionale, dapprima formalizzato
nel dualismo urbanistica-governo del territorio (culminata nella L.
Cost. 3/2001), ed ora evolutasi nell’individuazione di discipline
distinte quali il paesaggio, la protezione della natura, la difesa del
suolo.
• Ciò senza pregiudizio della nozione legale di Urbanistica che, ai
sensi dell’art. 34 d.lgs. 80/1998 (“la materia urbanistica concerne tutti
gli aspetti dell’uso del territorio”) e della giurisprudenza
amministrativa consolidata degli ultimi trent’anni, definisce il concetto
di urbanistica quale elemento potenzialmente ricomprensivo di tutte
le forme di uso del suolo.
ATTORI PUBBLICI E FUNZIONI URBANISTICHE
• L’esercizio dei poteri correlati alle finzioni urbanistiche spetta, in ragione
delle norme contenute nelle leggi statali e regionali, alle Regioni, alle
Province, alle Città Metropolitane ed ai Comuni oltre che a talune
Amministrazioni settoriali quali le Autorità di Bacino e gli Enti Parco.
• Il criterio di individuazione dei poteri spettanti a ciascuno dei superiori attori
è fondato sulla valutazione di due parametri essenziali:
• 1) il territorio;
• 2) gli interessi.
• Ciascuna amministrazione ha competenza ad un determinato livello
territoriale (esistono i piani regionali, provinciali, comunali).
• Tale criterio va, tuttavia, valutato in relazione alla dimensione degli interessi
da tutelare la cui ampiezza, in ragione delle relative rifluenze, può essere
locale, provinciale, regionale, interregionale, nazionale.
• Il menzionato criterio valutativo del binomio territorio/interessi rappresenta
l’elemento dirimente delle potenziali controversie nascenti fra i diversi attori
pubblici nell’esercizio delle rispettive funzioni urbanistiche (si pensi, ad es.,
alla destinazione d’uso fissata dal PRG di un Comune laddove questo
dovesse scontrarsi con altra successiva destinazione disposta in un piano
provinciale).
LE FUNZIONI URBANISTICHE
• L’esercizio delle funzioni urbanistiche può essere descritto come l’incontro
del valore rappresentato dagli interessi e di quello costituito dal territorio su
un sistema di assi cartesiani ortogonali:
• sull’asse delle ascisse la funzione urbanistica generale consistente
nell’attribuzione di un razionale ed ordinato assetto al territorio;
• sull’asse delle ordinate le funzioni determinate dalla “dimensione” degli
interessi emergenti dal territorio.
• Di seguito le funzioni urbanistiche:
• La funzione di salvaguardia: ha carattere transitorio e rappresenta la
misura necessaria alla “salvaguardia” del territorio nell’ipotesi in cui dovesse
mancare lo strumento pianificatorio; è volto ad evitare le trasformazioni del
territorio non pianificato in modo tale da condizionare le scelte del futuro
pianificatore.
• Nell’alveo della funzione di salvaguardia vanno annoverati i c.d. standard
ope legis i quali rispondono all’esigenza di assicurare che le prescrizioni
contenute nei PRG adottati dai Comuni, ma non ancora vigenti, risultino
vanificati dal rilascio di permessi di costruire difformi dal piano medesimo in
pendenza della relativa approvazione; nonché le misure di salvaguardia in
senso stretto, le quali sono strettamente legate al procedimento di
formazione dei piani urbanistici e risultano preordinati alla tutela dell’efficacia
dei futuri PRG in pendenza di altri vigenti strumenti urbanistici.
• La funzione di disciplina . del potere di pianificazione
urbanistica: è quella preordinata alla fissazione di criteri utili alla
guida dell’esercizio del potere di pianificazione territoriale.
• La funzione di controllo sull’uso dei suoli: ha lo scopo di
verificare che i singoli interventi sul territorio risultino conformi alle
prescrizioni urbanistiche vigenti e si esplicano con l’adozione di atti
e provvedimenti amministrativi (permessi di costruire, rilascio del
certificato di conformità urbanistica, ecc).
• La funzione sanzionatoria: rappresenta l’esercizio del potere
amministrativo nell’ipotesi di inosservanza delle prescrizioni
urbanistiche (ordinanza di demolizione derivante dalla realizzazione
di un’opera edilizia in assenza di permesso di costruire).
• La funzione di gestione: ha lo scopo di garantire l’attuazione di
previsioni di carattere generale sotto forma di incentivazione alla
realizzazione di quanto prescritto nel piano (ad es. nei programmi
pluriennali di attuazione esso ha il fine di orientare lo sviluppo del
territorio nella direzione di quegli usi che i singoli privati non
ritengano attualmente abbastanza remunerativi).
GLI ATTORI PUBBLICI
• Il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti
• L’amministrazione dello Stato più coinvolta nella disciplina del Diritto
Urbanistico è certamente il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ex
Ministero per i Lavori Pubblici). Prima che fosse istituito l’attuale Dicastero il
Ministero dei Lavori Pubblici aveva funzione di vigilanza e di controllo
sull’operato dei Comuni (attraverso l’emanazione dei piani territoriali di
coordinamento – mai emanati).
• Per l’esercizio di tali compiti esso era dotato di una solida struttura
territoriale: provveditorati alle opere pubbliche, sezioni urbanistiche
compartimentali e comitati tecnici amministrativi, oggi (tranne i primi) passati
alle dipendenze delle Regioni.
• Attualmente, la più parte delle funzioni urbanistiche, una volta di
competenza del M. LL.PP., risulta trasferita alle Regioni.
• Le attività oggi poste in essere dal M. II e TT. ha per oggetto l’esercizio del
potere di indirizzo e di coordinamento afferente all’identificazione delle linee
fondamentali dell’assetto del territorio nazionale “con riferimento
all’articolazione territoriale degli interventi di interesse statale ed alla tutela
ambientale ed ecologica del territorio, nonché della difesa del suolo”.
• L’esercizio della relativa funzione spetta al Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministero in parola con la conferenza Stato Regioni ed Enti Locali.
.
• I Ministeri dell’Ambiente e dei Beni ed Attività Culturali
• Tra le principali attività svolte dal M. A. in materia urbanistica si
ricordano quelle relative alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni
culturali ed ambientali parte dei quali risultano, tuttavia, già delegati
alle Regioni, nonché di promozione della cultura urbanistica ed
architettonica (v. Codice dei beni culturali).
• Il M. A. è strutturato sul territorio attraverso le sue articolazioni locali
rappresentate dalle soprintendenze operanti su scala regionale,
ciascuna in ragione di ambiti specifici di competenza (ambito storico,
paesaggistico, ecc.).
• Il Dicastero non risulta dotato di uffici periferici. Esso si occupa
principalmente di assetto del territorio, di tutela di aree protette, di
riqualificazione dell’ambiente, di V.I.A..
• La Regione
• La fonte dei poteri regionali risiede negli statuti e nelle leggi emanate
dalle singole Regioni nell’alveo dei principi stabiliti dalla Carta
Costituzionale.
• La disciplina urbanistica è presidiata dai relativi Assessorati o
Dipartimenti (a seconda dell’organizzazione di ciascuna di esse) a
capo dei quali è posto un componente della giunta regionale.
.
• Le funzioni regionali si distinguono in compiti di direzione e
controllo e funzioni precettive.
• 1) Le prime assolvono al compito istituzionale della Regione volto alla
formazione del piano territoriale regionale.
• La funzione di indirizzo di esplica sia attraverso provvedimenti
amministrativi mediante leggi regionali mirate aventi per oggetto linee
guida di carattere politico amministrativo indirizzate soprattutto ai
Comuni ai fini della formazione dei P.R.G.
• Quella di controllo afferisce ai poteri surrogatori rispetto agli obblighi
inadempiuti dai Comuni in ordine alla formazione dei P.R.G. ed al
rilascio dei permessi di costruire.
• 2) Per quanto concerne le funzioni precettive, le Regioni non
esercitano poteri di pianificazione urbanistica in senso stretto
espletando compiti di conformazione del territorio attraverso la
fissazione di prescrizioni urbanistiche (piani paesaggistici, piani
A.S.I.).
• Accanto alle predette funzioni le Regioni hanno competenza in
materia di controllo sull’uso dei suoli provvedendo ad emanare
provvedimenti in materia di tutela del paesaggio, dell’assetto
idrogeologico, forestale, antisismica.
• La Provincia
• Attraverso il T.U. EE.LL. alle Province viene attribuita competenza in materia
urbanistica della quale era in precedenza priva.
• 1) La sua più rilevante attribuzione consiste nella predisposizione e
adozione del Piano Territoriale di Coordinamento.
• Il livello di governo del territorio sul quale viene esercitato il potere relativo è
quello provinciale il quale rimane, comunque subordinato alla pianificazione
regionale (i Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali devono sottostare
alle direttive contenute nei Piani Regionali ove previsti).
• 2) la seconda attribuzione di cui la Provincia risulta investita è quella relativa
alla funzione di controllo di competenza regionale che la stessa Regione
può delegare al livello provinciale in ordine all’accertamento della conformità
dei Piani Comunali con quelli provinciali.
• La Città Metropolitana
• Ai sensi dell’art. 114 della Carta Costituzionale anche la Città Metropolitana
avrebbero competenza in materia urbanistica.
• Aree territoriali di attrazione dei comuni circostanti espressamente
individuate dalla legge (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze,
Roma, Bari e Napoli) mai istituite dovrebbero interfacciarsi con i Comuni ai
fini dell’interfaccia funzionale sulle relative attività economiche, sociali e
culturali.
.
• Il Comune
.
• E’ l’attore protagonista della scena del Diritto Urbanistico.
• Esso è titolare delle principali funzioni urbanistico-edilizie in materia di
governo del territorio.
• Esso è composto da organi di indirizzo politico (il Consiglio, la Giunta ed il
Sindaco) nonché da quelli gestori (dirigenti).
• Il Consiglio Comunale è l’organo comunale più rilevante nel governo del
relativo territorio e risulta competente all’emanazione delle prescrizioni
urbanistiche tassativamente stabilite dalla legge (T.U. EE.LL.).
• Fra questi:
• I piani territoriali ed urbanistici;
• I programmi di opere pubbliche;
• I programmi annuali e pluriennali per la relativa attuazione;
• La Giunta Comunale, nella sua qualità di organo del governo del Comune
ed espressione della maggioranza consiliare, ha competenza nell’adozione
dei piani c.d. “planovolumetrici”, particolari piani di lottizzazione derivanti da
un piano particolareggiato, nonché nell’approvazione del piano urbanistico
prima della sua presentazione al Consiglio per la relativa adozione.
• I Dirigenti, ai quali sono state attribuite le più importanti competenze un
tempo facenti capo al Sindaco esercitano i poteri legati alla funzione di
controllo sull’uso dei suoli ed all’adozione dei provvedimenti afferenti alle
trasformazioni urbanistico-edilizie.
• Lo Sportello S.U.A.P. (Sportello Unico per le Attività Produttive)
• A mente del T.U. sull’edilizia i Comuni devono dotarsi,
individualmente o in forma associata, dello S.U.A.P. allo scopo di
provvedere in ordine all’intervento edilizio oggetto della richiesta di
permesso di costruire o di denuncia di inizio d’attività.
• Ai suoi impiegati con funzioni apicali sono attribuiti compiti di
vigilanza sul territorio correlati strettamente alla funzione
sanzionatoria in concreto esercitata mediante la polizia municipale ed
il personale di appositi uffici (c.d. “antiabusivismo”).
• La C.E.C. (Commissione Edilizia Comunale) rappresenta un altro
organo collegiale comunale di natura tecnico-professionale
(composta da architetti, avvocati, ingegneri, ecc.) e ha i suoi compiti
principali in quelli consultivi consistenti nel rilascio dei permessi di
costruire.
.
LA FUNZIONE DI SALVAGUARDIA
• La funzione di salvaguardia consta di quello strumento di “supplenza”
volto ad evitare che il “territorio non pianificato” sia suscettibile di
essere trasformato in modo tale da condizionare le scelte del futuro
pianificatore.
• Quali conseguenze per l’A.C. e per i singoli privati nell’ipotesi di
assenza di uno strumento urbanistico generale.
• Successivamente alla L.P. sostanzialmente tutte le leggi regionali
impongono all’A.C. l’adozione di un siffatto Strumento.
• E’ stata proprio la L.P. ad introdurre nel nostro ordinamento la
disciplina generale ed inderogabile sull’uso dei suoli da applicarsi in
assenza di uno strumento urbanistico vigente o qualora questo sia
divenuto totalmente o parzialmente inefficace.
• Questi sono i c.d. standard ope legis.
• In virtù di tali standard minimi da osservare è stato, pertanto, posto
un limite al potere dei privati di utilizzazione dei propri beni immobili.
• In virtù, pertanto, di tali principi non risulta in alcun modo possibile
utilizzare ai fini urbanistico-edilizio alcuna porzione del territorio
nazionale al di fuori di regole prestabilite.
.
• La disciplina attuale di tali standard è la seguente:
• - fuori dal perimetro dei centri abitati l’edificazione residenziale non
può eccedere la densità fondiaria di mc 0,03 per metro quadrato;
• - per gli interventi edilizi a scopo produttivo, sempre posti al di fuori
dei centri abitati, la superficie coperta non può eccedere il 10%
dell’area di superficie della proprietà;
• - fuori e dentro i centri abitati sono consentite soltanto opere di
restauro e di risanamento conservativo oltre che di manutenzione
ordinaria e straordinaria.
• Sono fatti salvi i limiti più restrittivi previsti dalle leggi regionali.
• Qual è la nozione di “centro abitato” i fini dell’applicazione degli
standard ope legis?
• L’art. 17 della L.P. prevedeva una preliminare delibera del Consiglio
Comunale con cui individuare il centro abitato.
• La giurisprudenza ha, peraltro, stabilito come, anche in mancanza di
tale delibera ed in assenza di perimetrazione, gli standard trovano,
comunque, applicazione dovendosi ritenere quale centro abitato la
sua individuazione sulla base di un accertamento empirico e, in caso
di dubbio, la relativa identificazione sulla base della norma comunque
più restrittiva
LE MISURE DI SALVAGUARDIA
• Le misure di salvaguardia, introdotte con la l. 1902/1952 ed oggi disciplinate
nel T.U. sull’edilizia, a differenza degli standard ope legis, risultano
strettamente correlate al procedimento di formazione dei piani urbanistici.
• Attraverso l’utilizzo di tali misure il nostro ordinamento garantisce la tutela
giuridica dell’interesse pubblico cui è finalizzata la piena vigenza dello
strumento urbanistico impedendo che effetti di tale piano possano risultare
vanificati in ragione di atti o provvedimenti amministrativi incompatibili con la
future vigenza dello stesso.
• Le misure di salvaguardia in senso stretto (o ordinarie) sono quelle previste
in relazione ai piani regolatori comunali.
• La legge stabilisce come il Comune debba sospendere ogni propria
determinazione in merito alle istanze relative a permessi di costruire che si
dovessero porre in contrasto con le prescrizioni contenute nel PRG o in
quello attuativo soltanto adottato dal consiglio comunale, ma non ancora
approvato e, pertanto, ancora privo della sua efficacia giuridica.
• Le misure di salvaguardia hanno, comunque, una durata limitata nel tempo
derivante dalla loro natura cautelare: tre anni dall’adozione del piano, che
possono giungere a cinque qualora si tratti di piano suscettibile di essere
approvato da un’amministrazione diversa dal Comune e la trasmissione del
piano adottato si avvenuta entro un anno dalla scadenza del termine di
pubblicazione.
.
• Qualora
nei superiori termini i relativi piani non dovessero essere resi
definitivi, le misure di salvaguardia diventerebbero inefficaci ed il Comune
sarebbe tenuto a pronunciarsi sulla domanda secondo la disciplina
urbanistica in quel momento vigente che, al limite, potrebbe essere costituita
anche dagli standard ope legis qualora il Comune dovesse essere sfornito di
strumenti urbanistici vigenti.
• Quando i piani divengono definitivi le misure di salvaguardia perdono
automaticamente la loro efficacia; in tal caso il Comune dovrà
necessariamente pronunciarsi sulla domanda del privato senza nessun altro
impulso da parte dello stesso.
• Dalle misure sopra menzionate (ordinarie) si distinguono quelle c.d.
“eccezionali”, di competenza della Regione su proposta del Comune.
• La differenza sostanziale è data dal fatto che, in questo, caso, l’effetto di
salvaguardia riguarda i permessi di costruzione già rilasciati al fine di
“ordinare la sospensione di interventi di trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio che siano tali da compromettere o rendere più onerosa
l’attuazione degli strumenti urbanistici”.
• Mentre nel caso delle misure di salvaguardia ordinarie la P.A. è priva di
discrezionalità nell’adozione della propria decisione, in quelle eccezionali la
Regione deve invece valutare con attenzione gli interessi in gioco al fine di
verificare se l’interesse del singolo privato risulti effettivamente in contrasto
con la disciplina urbanistica in fieri.
LA PIANIFICAZIONE URBANISTICA E TERRITORIALE
• Il procedimento di pianificazione urbanistico-territoriale non risulta
dissimile dalle regole generali del procedimento amministrativo
procedimento amministrativo.
• Va, tuttavia, rilevata la peculiarità dello stesso, ma soprattutto, la
estrema complessità dei relativi provvedimenti.
• Tale complessità è data sia dall’elevato numero di prescrizioni sia
perché aventi come destinatari una pluralità indefinita di soggetti.
• Punti cardine sotto il profilo concettuale:
• 1) Le prescrizioni contenute nel piano urbanistico non sono sempre
espresse in forma letterale, ma anche in quella della
rappresentazione grafica e ciò costituisce una specificità del
procedimento (mappe, modelli iconografici, simbolici, retinature
ecc.)
• Tali segni grafici costituiscono essi stessi precetti a contenuto
giuridico prescrittivo nei confronti dei destinatari.
• Parte grafica e parte letterale rappresentano elementi fra loro
fortemente complementari che vanno interpretati in modo
sistematico ed organico.
• Nell’ipotesi, non infrequente, in cui
dovesse insorgere un contrasto
.
ermeneutico fra parte grafica e parte letterale, la giurisprudenza ha
avuto modo di stabilire come sia la parte letterale a prevalere su
quella grafica sempre che questa risulti sufficientemente chiara e
precisa.
• Va, tuttavia, rilevato come l’interprete debba ricercare la ratio della
prescrizione attraverso una valutazione sistematica di tutto il
complesso delle prescrizioni contenute nel piano, ragione per cui può
accadere che, in taluni casi, possa ritenersi prevalente la rilevanza
delle tavole grafiche.
• 2) Altra peculiarità del procedimento amministrativo afferente alla
determinazione del provvedimento costituito dal piano è quella per
cui possono configurarsi due distinte tipologie di piano:
• A) piani generali;
• B) piani settoriali.
• Il primo persegue la finalità di ordinato assetto territoriale (la
destinazione di un’area ad espansione industriale piuttosto che a
terreno incolto);
• Il secondo, invece, contiene norme finalizzate ad un preciso scopo
comunque volto al perseguimento dell’interesse pubblico che vi
presiede (tutela dell’ambiente, recupero urbanistico, ecc.)
•
•
•
•
•
.
•
•
•
•
•
I piani più frequenti nel diritto positivo sono i seguenti:
a) piani regolatori generali;
b) i piani particolareggiati;
c) i piani regolatori intercomunali;
d) i piani territoriali di coordinamento regionali, provinciali ed
intercomunali.
Risulta ormai acquisita dalla giurisprudenza in materia la tendenziale
prevalenza del piano settoriale su quello generale.
3) Alla dicotomia piano generale-piano settoriale si sovrappone
quella piano generale-piano attuativo laddove la “tensione” fra i
termini generale/attuativo attiene alla diversa ampiezza non delle
finalità perseguite quanto della maggiore astrattezza o meno dei
relativi contenuti.
4) Altra rilevante peculiarità da considerare nell’alveo del
procedimento urbanistico-territoriale è rappresentata dalla tipologia
del contenuto delle prescrizioni di piano che possono distinguersi in:
a) prescrizioni di zona;
b) prescrizioni di localizzazione.
• Le prescrizioni di zona o zoning, impiegate, soprattutto nei piani
generali,ed in particolare che piano regolatore comunale.
• Secondo tale tecnica i possibili usi del territorio vengono stabiliti
in base alla funzione “principale” assegnata dal piano ad una
determinata area spaziale (residenziale, produttiva, agricola
ecc.).
• Contestualmente vengono stabiliti gli indici di fabbricabilità
dell’area in questione (definiti in termini di indici di
“zonizzazione strutturale” o “architettonica”) oppure prescrizioni
relative ad altro tipo di trasformazione degli immobili (ad es.
riserva naturale).
• Di norma le prescrizioni relative ai parametri di edificabilità sono
contenute all’interno delle c.d. norme di attuazione (N.T.A.).
IL PROCEDIMENTO
• Il procedimento amministrativo riguardante la pianificazione
urbanistico-territoriale si divide in fasi distinte benché tra loro
funzionalmente connesse:
• LA FASE DI INIZIATIVA
• La prima fase è quella relativa all’iniziativa che, di regola, è d’ufficio.
• E’ la stessa P.A. a promuovere il procedimento sebbene, in taluni
casi, sia lo stesso singolo privato ad azionarlo, come nella proposta
di un piano di lottizzazione ed allora il procedimento ha inizio su
presentazione di un determinato progetto urbanistico.
• Per quanto riguarda gli altri piani può essere previsto uno specifico
atto di iniziativa, ma, laddove dovesse mancare, l’inaugurazione del
procedimento può aver luogo anche attraverso il conferimento
dell’incarico ad un progettista esterno all’amministrazione ovvero
allorché ad un ufficio interno qualora dovesse essere attrezzato per
l’adempimento del compito assegnatogli.
• LA FASE DI ISTRUTTORIA
.
• La fase relativa all’istruttoria rappresenta il cuore di tutto il
procedimento amministrativo nel provvedimento urbanisticoterritoriale.
• Essa contiene la ponderazione dei numerosi interessi da
contemperare, che, nella formazione di un piano, raggiunge la sua
massima complessità.
• E’, infatti, in questa fase che prende forma la decisione della P.A.,
continuamente soggetta a mutamenti e verifiche fino al
raggiungimento dell’atto giuridico formale (il provvedimento).
• Prima di tutto l’amministrazione identifica i fatti e gli interessi da
valutare attraverso la determinazione degli “indirizzi” da seguire.
• Ciò avviene attraverso la formalizzazione di un atto proveniente
dall’organo dotato del potere decisionale che rivolge le indicazioni di
indirizzo all’Uffico che seguirà l’istruttoria stessa.
• Tale atto è denominato “deliberazione programmatica”.
• L’Ufficio chiamato a condurre l’istruttoria è un ramo
dell’amministrazione stessa (un ufficio, un servizio, …) il quale è
chiamato all’acquisizione degli elementi conoscitivi finalizzati alla
decisione finale.
• Essi sono:
• 1) l’analisi delle vocazioni territoriali sotto il profilo storico,
geoeconomico, giuridico, sociale e culturale;
• 2) l’assunzione dei pareri necessari o facoltativi di altre
amministrazioni a contenuto prevalentemente tecnico.
• Segue la “redazione” del piano ossia la prima stesura dello stesso
che costituisce atto vero e proprio del procedimento con un limitato
rilievo esterno sicché l’assenza di tale atto emanato dall’organo a ciò
deputato dalla norma determinerebbe un vizio del procedimento
impugnabile innanzi alla competente Autorità Giudiziaria
Amministrativa.
• Nei casi in cui la redazione di tale bozza non dovesse essere prevista
dalla legge tale stadio del procedimento rimane fase essenziale
dell’istruttoria e coincide con la “consegna del piano” da parte del
progettista, interno o esterno all’amministrazione.
• In quasi tutte le tipologie di piano territoriale, la legge o la prassi
prevedono che al progetto di piano risulti allegata una relazione
generale allo scopo di illustrare i punti qualificanti dello stesso
(relazione tecnica illustrativa).
.
LA FASE DI INTERVENTO DEI PRIVATI
• I procedimenti amministrativi sono, di regola, aperti all’intervento dei singoli
privati ai fini dell’instaurazione del contradditorio nell’alveo della fase
istruttoria.
• I soggetti privati, siano essi, persone fisiche, giuridiche, associazioni
riconosciute e non, altre amministrazioni, prendono normalmente parte al
procedimento amministrativo mediante l’intervento che si concretizza in
osservazioni e opposizioni sotto forma di memorie che, normalmente, si
producono dopo l’adozione del piano e prima della decisione finale
(approvazione del piano).
• Che tipo di legittimazione possono vantare i privati ai fini dell’esercizio, in
concreto, del proprio diritto di partecipazione mediante l’intervento.
• Tale partecipazione spetta sia a quei soggetti non titolari di un diritto
soggettivo o di un interesse legittimo, ma che abbiano, comunque un
apprezzabile legame con il territorio oggetto dell’emananda prescrizione
urbanistica (i frequentatori di un giardinetto che dovrebbe essere destinato a
parcheggio), ma anche a quella indefinita collettività di soggetti titolari di un
c.d. “interesse diffuso” ossia di un interesse collettivo alla salute, alla qualità
dell’ambiente, alla tutela del paesaggio (si pensi alle osservazioni o alle
opposizioni sollevate da un’associazione ambientalista sullo spianamento
delle dune costiere per la realizzazione di un lungomare).
.
• Tali tipologie di interventi
nell’ambito del procedimento
amministrativo possono assumere una duplice finalità:
• 1) di garanzia del giusto procedimento volto alla tutela della sfera
giuridica dei privati dalle conseguenze potenzialmente negative
dell’adottando provvedimento amministrativo;
• 2) di collaborazione con l’amministrazione decidente nella
valutazione degli interessi in gioco per l’assunzione della decisione
anche alla luce delle possibili soluzioni suggerite.
• Allorché l’amministrazione riceve gli inputs partecipativi dei privati
non è, tuttavia, l’obbligo della stessa di accoglierne le ragioni o di
motivare specificamente i motivi del loro mancato accoglimento
essendo sufficiente l’indicazione, anche sintetica e cumulativa, delle
ragioni del loro mancato accoglimento.
• LA FASE DECISORIA
• La fase relativa all’assunzione della decisione si presenta molto
complessa poiché alla medesima partecipano più amministrazioni.
• Nella pianificazione territoriale, a più forte ragione, nella misura in cui
il tasso di complessità risulta massimo laddove il provvedimento si
articola attraverso tutta una serie di atti e subprocedimenti
amministrativi posti in essere a distanza di tempo l’uno dagli altri.
.
• La complessità di cui si parla afferisce a diverse ipotesi concrete.
• In primo luogo la complessità del provvedimento amministrativo, in
materia di pianificazione territoriale riguarda il fatto che gli atti
amministrativi posti in essere da varie amministrazioni sembrano
fondersi in unico atto (“atto complesso”).
• Ciò avviene nel PRG laddove il diverso contenuto volitivo dei diversi
atti amministrativi che vanno a comporre la decisione finale è
comunque mosso dallo stesso fine rappresentato dal superiore
interesse pubblico.
• Nel PRG, tuttavia, tale complessità risulta “”ineguale” laddove gli che
si succedono nella fase di “adozione” non sempre coincidono la
decisione presa nella fase di “approvazione” nel senso che, posta
una serie di atti amministrativi volti al perseguimenti di uno scopo
comune (di interesse pubblico), l’atto complesso può subire in fieri
modifiche salvo il limite della conservazione dei suoi contenuti
qualificanti senza la presenza dei quali si snaturerebbe il
provvedimento finale che, in tal caso, non sarebbe più logicamente
riferibile all’atto preliminare del procedimento stesso.
• La natura “complessa” del procedimento
amministrativo che da luogo al
.
provvedimento non va confusa con la decisione assunta “d’intesa” con le
altre amministrazioni giacché in tal caso ciascuna amministrazione esprime
la propria volontà in ordine ad un diverso e specifico interesse pubblico di
cui ciascuna amministrazione è portatrice, anche se le diverse volontà
dovranno, comunque, condurre all’adozione di un’unica decisione capace di
contemperare le esigenze dei diversi attori amministrativi (si pensi a
provvedimenti emanati “d’intesa” fra i Comuni coinvolti nell’approvazione del
piano di un parco, da assumersi “d’intesa” con Regione ed Ente Parco).
• LA CONFERENZA DEI SERVIZI DECISORIA
• Negli ultimi anni la decisione assunta “d’intesa” fra le amministrazioni
coinvolte nel procedimento amministrativo viene, sempre più spesso, posta
in essere attraverso uno strumento di “semplificazione procedurale”
denominato “conferenza dei servizi”.
• Si tratta di un istituto tipico introdotto da leggi speciali (L. 241/1990
integrato e modificato dalla L. 15/2005 e dalla L. 69/2009) che dispone
l’indizione di tale “conferenza” ogni qualvolta “sia opportuno effettuare un
esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento”.
Tale conferenza è disposta obbligatoriamente qualora l’amministrazione
procedente debba ottenere N.O., assensi, o intese comunque denominate
da parte di altre amministrazioni pubbliche.
• In questo caso il provvedimento conforme alla determinazione
conclusiva favorevole della conferenza dei servizi, che viene assunta
che è il risultato delle posizioni prevalenti espresse dalle
amministrazioni convenute, tiene luogo di (rectius: sostituisce) ogni
autorizzazione, concessione, N.O. o qualunque di provvedimento
amministrativo prodotto da ciascuna amministrativa partecipante o,
comunque, invitata a partecipare e che non sia convenuta.
• La Conferenza dei Servizi, quale sede decisione “unica”, è stata
prevista, in prima battuta, per l’assunzione di provvedimenti
amministrativi finalizzati alla localizzazione di OO.PP., la cui rapida
realizzazione ha rappresentato una priorità per il legislatore.
• La decisione assunta in tale sede produce gli effetti di “variante
automatica” nei confronti di tutte le prescrizioni urbanistiche vigenti.
• Va, quindi, distinta, la conferenza convocata per legge in ragione
della necessità di velocizzare il procedimento volto alla soddisfazione
di un interesse primario (es. localizzazione delle OO.PP.) e in tal caso
l’interesse specifico individuato come primario si misura con l’assetto
del territorio vigente; da quella convocata per la formazione del piano
territoriale
necessaria per l’acquisizione dei necessari atti di
consenso delle amministrazioni cointeressati e, in tal caso, è l’assetto
del territorio in fieri (non ancora disciplinato) a doversi misurare con i
diversi interessi e valori presenti sul territorio.
.
• Si tratta certamente di un sacrificio dell’analitica e completa
ponderazione degli interessi in gioco nell’assunzione del
provvedimento rispetto all’altare dell’efficacia della decisione.
• Si tratta di un provvedimento assunto dall’Amministrazione
procedente tenuto conto delle posizioni prevalenti espresse tra quelle
presenti. Non è necessaria una determinazione condivisa, frutto del
coordinamento delle varie amministrazioni presenti; l’eventuale
dissenso espresso da una o più amministrazioni necessita di
obbligatoria motivazione e non vincola la decisione finale.
• Va, al riguardo, valutato anche l’interesse di cui l’amministrazione
dissenziente si fa portatrice: spetterebbe al Consiglio dei Ministri
assumere la decisione ove l’amministrazione dissenziente fosse
statale, alla Conferenza Stato-Regioni qualora fosse regionale e
statale, alla Conferenza unificata ove fosse un ente locale.
• In caso di inerzia la decisione spetterebbe comunque al Consiglio dei
Ministri.
• Nel project financing sono i privati aggiudicatari del pubblico appalto
ovvero le società di progetto, e non soltanto le amministrazioni
pubbliche, ad intervenire in sede di Conferenza dei Servizi, i quali
devono obbligatoriamente essere convocati senza diritto di voto.
.
.
• LA PRODUZIONE DEGLI EFFETTI
• Ogni procedimento di pianificazione territoriale è composta da un
fase procedimentale finalizzata al controllo e alla pubblicità del
decisione finale (che determinano l’efficacia del provvedimento nei
confronti dei suoi destinatari).
• La fase di controllo può essere prevista da norme generali le quali
presiedono alla verifica di tutta l’attività amministrativa posta in
essere (oggi assolutamente tramontata) (es. il DPR necessario alla
localizzazione di un’opera pubblica di interesse statale è ancora
soggetta al controllo di legittimità della Corte dei Conti).
• Può, peraltro, comprendere quei casi in cui una norma imponga
nell’integrazione dell’efficacia del piano il concorso di figure e/o
soggetti non solo con funzione decisoria , ma anche con quella di
controllo: in tal caso il controllo è assai più pregnante estendendosi
non solo ad un profilo di legittimità, ma anche a quello di merito.
• Perché il provvedimento amministrativo risulti efficace è necessario
che il relativo contenuto sia reso “pubblico” mediante la sua
conoscibilità legale da parte della collettività (es. talune leggi regionali
dispongono l’entrata in vigore del piano solo dopo il decorso del
quindicesimo giorno successivo alla relativa pubblicazione sul
Bollettino Regionale).
IL PIANO REGOLATORE GENERALE
• Tutte le vicende procedimentali affrontate in ordine alla pianificazione
territoriale trovano puntuale riscontro nella disciplina nazionale e
regionale del PRG, istituto giuridico che rappresenta l’archetipo della
nozione di “piano territoriale” poiché, essendo stato per lunghissimo
tempo l’unico strumento effettivamente utilizzato per la pianificazione
territoriale, costituisce l’elemento tecnico giuridico attorno al quale si
è costruita tutta la disciplina del diritto urbanistico.
• Fino a pochi anni fa il quadro normativo del PRG rimaneva quello
disegnato nell’art. 7 e ss. della LU come successivamente integrata e
modificata.
• Solo di recente ha assunto connotati diversi ragione per cui se si
poteva parlare di modello di PRG su scala nazionale oggi si deve
fare riferimento ai principi entro cui le singole regioni modellano i
PRG su base autonoma.
• Si tratta del risultato della riforma effettuata attraverso la L.
Costituzionale 3/2001 mediante la quale è stata stabilita una rilevante
erosione dei poteri statali in favore di quelli regionali tendenzialmente
finalizzata a far scomparire del tutto le regole contenute nella
legislazione statale per lasciare il posto ai soli principi fondamentali.
.
• In base all’art. 7 e ss. della LU il PRG deve, innanzitutto, disporre la
“divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle zone
destinate all’espansione dell’aggregato urbano” (zonizzazione funzionale) e
“la determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona”
(zonizzazione architettonica).
• Deve, poi, indicare la localizzazione di opere e impianti pubblici, fra cui le
principali reti di comunicazione stradale, ferroviaria e marittima, nonché “i
vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale, paesistico”.
• L’art. 7 citato include, fra i contenuti del PRG, anche le c.d. NTA (Norme
Tecniche di Attuazione).
• IL PROCEDIMENTO
• Il Consiglio comunale definisce con la c.d. “adozione” il subprocedimento di
competenza del Comune.
• All’adozione segue il “deposito”, con relativo avviso al pubblico di tutti i
documenti che compongono il Piano (tavole grafiche e normative) per una
durata di almeno trenta giorni, decorsi i quali i privati hanno facoltà, negli
ulteriori trenta giorni, di presentare le proprie osservazioni/opposizioni.
• Il deposito e l’approvazione segnano il passaggio formale dalla fase di
adozione a quella di approvazione che, invece, è di competenza degli
Organi regionali o provinciali a seconda degli ordinamenti di ciascuna
Regione.
• Prima dell’invio del Piano alla Regione o alla Provincia lo stesso
rimane presso gli uffici comunali al fine di raccogliere tutte le
osservazioni e opposizioni pervenute perché sulle stesse il Comune
possa esprimersi motivatamente.
• Tale pronuncia (delibera di controdeduzioni) che è sempre di
competenza del consiglio comunale, ha natura giuridica di parere
poiché la decisione sull’accoglimento o meno delle osservazioni degli
intervenienti è demandata all’amministrazione che approva, ossia alla
Regione o alla Provincia.
• Gli elaborati che rappresentano il progetto di piano adottato,
unitamente alle osservazioni e alle relative controdeduzioni, vengono
inviati agli uffici dell’amministrazione approvante i quali, a loro volta,
avviano una nuova istruttoria consistente nel riesame del materiale
prodotto.
• Non si tratta, in tale fase, tuttavia di un vero e proprio riesame nel
merito della documentazione offerta, ma di una procedura
meramente cartolare che non consiste in ulteriori attività di indagine,
ma verifica il quadro documentale già acquisito.
• L’esito della procedura è la deliberazione di approvazione che
definisce il piano.
.
I POTERI DELL’AMMINISTRAZIONE APPROVANTE
• Quale natura giuridica hanno e quali effetti sono suscettibili di spiegare i
poteri esercitati dall’amministrazione approvante nell’esercizio della sua
funzione deliberativa di PRG?
• In primo luogo l’amministrazione non può incidere sul nucleo del piano
predisposto in seno al consiglio comunale poiché ciò lederebbe il principio
dell’autonomia comunale garantito dalla Carta Costituzionale.
• I poteri di modifica risultano, infatti, tassativamente stabiliti dall’art. 10 LU
come ss. mm. e ii. dall’art 3 LP:
• Modifiche d’ufficio qualificate
• si tratta della possibilità conferita all’amministrazione approvante di adottare
le innovazioni indispensabili a garantire:
• A) il rispetto delle prescrizioni contenute nei piani territoriali di livello
sovracomunale;
• B) la razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti
d’interesse sovracomunale;
• C) la tutela del paesaggio e dei complessi di interesse storico, culturale,
ambientale;
• D) l’osservanza degli standard urbanistico edilizi.
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• Modifiche d’ufficio generiche.
• Si tratta di un vero potere di codeterminazione del contenuto del PRG
disciplinato per la prima volta nella LP che trova, tuttavia, il limite invalicabile
nell’impossibilità di “mutare le caratteristiche essenziali ed i suoi caratteri di
impostazione”.
• Appare evidente la difficoltà di definire l’ampiezza dei poteri attribuiti
all’amministrazione approvante in sede deliberativa, oggi interpretabile solo
alla luce della giurisprudenza amministrativa la quale ha avuto modo di
stabilire, caso per caso, il raggio d’azione della stessa.
• La “sostanziale innovazione” è stata, ad esempio ravvisata nel
ridimensionamento delle previsioni insediative mediante una generale
riduzione degli indici di fabbricabilità o di destinazione di larga parte del
centro urbano a zona agricola.
• L’esito del procedimento deliberativo presso l’amministrazione approvante
può non consistere necessariamente nell’emissione del provvedimento di
piano con le modifiche, ben potendosi tradurre in altre tipologie di
approvazione.
• Specificamente:
• A) mediante l’approvazione pura e semplice;
• B) attraverso la restituzione in ragione di modifiche, integrazioni o
rielaborazioni;
• C) tramite la c.d. “approvazione stralcio”, ossia mediante l’approvazione di
una parte del piano, con o senza modifiche d’ufficio finalizzata ad evitare
che talune questioni rimaste irrisolte possano inficiare l’entrata in vigore di
tutte le altre previsioni urbanistiche.
• OSSERVAZIONI DEI PRIVATI SUL PRG
• Un aspetto sicuramente rilevante del processo di formazione del PRG è
rappresentato dalle rifluenze che possono determinarsi in seguito
all’effettuazione di osservazioni da parte dei privati in seno al procedimento
stesso.
• Qualora il Comune dovesse decidere di accogliere una o più osservazioni
formulate dai privati e, pertanto, dovesse ritenere di modificare il piano
adottato, dovrà ricominciare tutto il percorso segnato dl procedimento
(rielaborazione, adozione, deposito, pubblicazione e nuovi termini per le
osservazioni).
• Occorre, tuttavia, distinguere fra applicazione del modello di cui alla LU e
quello teorizzato dai nuovi modelli regionali maturati a seguito della riforma
disposta dalla L. Cost. 3/2001.
• Nella prima delle due ipotesi risulta di difficile interpretazione l’agire del
Comune il quale, pronunciandosi sulle osservazioni, potrebbe “riadottare” il
PRG innovando i contenuti, ovvero esprimersi sulle osservazioni attraverso
il proprio parere all’amministrazione approvante: sarà verificato caso per
caso, sulla base della condotta assunta in concreto dal Comune, se
interpretarsi come riadozione o come parere (il tutto al fine di correttamente
distinguere le due fasi del procedimento – dei due subprocedimenti:
adozione e approvazione).
.
• Una diversa ricostruzione giurisprudenziale
passa, invece,
.
necessariamente, per l’attenuazione dei vincoli identitari del
procedimento esistenti fra adozione e approvazione alla luce dei
nuovi modelli regionali.
• In tal senso si renderebbe praticabile l’effettivo apprezzamento
dell’apporto partecipativo dei privati anche quando questo dovesse
profilare soluzioni molto innovative rispetto all’atto adottato.
• In tale prospettiva non si parlerebbe neanche del problema della
“riadozione” del piano, e nemmeno di modifica di un piano adottato
poiché non vi sarebbe nemmeno un pianno da modificare, ma di
attività endoprocedimentale ordinata e preordinata alla decisione
finale.
• IL REGOLAMENTO EDILIZIO COMUNALE
• Nell’ambito della disciplina comunale di regolazione delle
trasformazioni urbanistiche ed edilizie, un ruolo di particolare rilievo
assume il regolamento edilizio (art. 33 LU abrogato dal TU edilizia) il
quale ha rappresentato un pilastro di cognizione normativa
fondamentale nella disciplina d’uso dei suoli ma i cui contenuti sono
stati trasfusi nelle NTA del PRG.
• La LU prevedeva, tra i contenuti del Regolamento Edilizio, le prescrizioni
edificatorie nell’ambito del territorio comunale, i criteri di composizione e
funzionamento della CEC, ecc.
• Il TU edilizia, all’art. 4, prevede che il REC contenga la disciplina delle
modalità costruttive unitamente agli argomenti da sottoporre al parere della
CEC.
• La differenza rispetto al passato sta in ciò che il REC non si occupa più di
determinare i parametri costruttivi di cui si occupa, invece, i PRG e le NTA.
• Oggi il REC elencale prescrizioni igienico-sanitarie , di pubblica incolumità,
di decoro, di estetica degli edifici.
• E’ il PRG a dettare le regole afferenti ai parametri edilizi, alle distanze legali
fra edifici definendo gli indici fondiari, edilizi e tecnici.
• Solo all’esito favorevole e, pertanto, al riscontro di tutte le predette
prescrizioni potrà essere rilasciato il certificato di agibilità (all’esito del
collaudo dell’opera, del rilascio del certificato di conformità urbanistica
dell’opera rispetto all’elaborato di progetto approvato il dirigente dell’uffici
comunale competente, previa eventuale ispezione, rilascia il certificato nei
trenta gg. successivi alla richiesta; in caso di inutile decorso del termine dei
trenta gg. l’agibilità si intende rilasciata qualora sia stato rilasciato il parere
dell’ASP in sede di procedimento per il rilascio del permesso di costruire. In
tal caso il rilasci si ha per avvenuto decorsi sessanta gg.
dall’autocertificazione di avvenuta espressione di detto parere).
.
.
• IL NUOVO MODELLO DI PRG NELLA LEGISLAZIONE
REGIONALE
• La legislazione regionale ha profondamente modificato l’originario
modello di PRG elaborato nella LU del 1942.
• Oggi il PRG si presenta come atto complesso costituito da due
provvedimenti temporalmente autonomi:
• 1) il piano strutturale, quale cornice strategica fissante le linee guida
del piano;
• 2) e il piano operativo, volto a stabilire le regole attuative di tali linee.
• Mentre il piano strutturale tende a fissare le “invarianti” del territorio
(parametri geomorfologici, ambientali, paesaggistici, ecc.) i contenuti
del piano operativo, che ha durata limitata nel tempo, determinano i
l’effettiva conformazione urbanistica dei suoli anche tramite piani
attuativi negoziati con i privati.
• In definitiva, dalla pianificazione imperativa del PRG così come
prevista nella LU, si è passati alla flessibilità operativa della
conformazione dei suoli mediante il ricorso continuo all’urbanistica
consensuale sulla base di una pianificazione per accordi nell’ambito
del piano operativo.
•
•
•
•
LA FUNZIONE DI GESTIONE
Accanto alla funzione di conformazione del territorio, e a
completamento di questa, va esaminata la funzione di gestione
che rappresenta il momento dinamico della pianificazione
urbanistica, ossia la fase operativa, scandita dalle modalità e termini
di applicazione delle prescrizioni urbanistiche contenute nel PRG.
Perché la trasformazione del territorio possa, tuttavia, avvenire, è
necessario che questa sia realizzabile, sia sotto il profilo funzionale
sia sotto l’aspetto economico-finanziario, sicché si dice che accanto
all’obiettivo tipico di dare ordinato e regolare assetto al territorio via
sia quello realizzarlo in modo “flessibile”, ossia in coerenza con la
disponibilità dei privati coinvolti e compatibilmente con le risorse
finanziarie disponibili.
IL PROGRAMMA PLURIENNALE DI ATTUAZIONE DEL PRG
Il primo degli strumenti volti all’attuazione delle prescrizioni
urbanistiche contenute nel PRG è il Programma Pluriennale di
Attuazione il quale scandisce i momenti delle trasformazioni
urbanistiche contenute nel PRG.
• I programmi pluriennali di attuazione sono di esclusiva competenza
comunale, e si prefiggono lo scopo di determinare le aree e le zone nelle
quali realizzarsi, anche a mezzo di comparti, le previsioni urbanistiche con
riferimento ad un periodo di tempo non inferiore a tre e non superiore a
cinque anni.
• Trattandosi di un atto di programmazione con contenuti precettivi indirizzati
ai proprietari degli immobili interessati il PPA implica la perimetrazione
grafica delle aree comunali incluse nel programma.
• La normativa vigente impone ai singoli proprietari di beni immobili inclusi nel
PPA di richiedere il permesso di costruire nei tempi ivi stabiliti, disponendo,
in caso contrario, l’esproprio delle aree da parte del Comune che agisce
surrogandosi ai privati nell’attuazione delle previsioni di piano (circostanza
assai rara in concreto).
• Oltre all’efficacia diretta nei confronti dei privati il PPA esercita un effetto
indiretto, molto più pregnante, nei confronti del territorio:
• 1) dispone l’inedificabilità dei suoli;
• 2) individua gli interventi diretti al recupero del patrimonio edilizio esistente;
• 3) determina gli interventi da realizzare su aree di completamento dotate di
opere di urbanizzazione primaria collegate con quelle comunali;
• 4) fissa gli interventi ricompresi nei piani di zona.
.
• Quale operatività per il PPA?
• Praticamente nessuna.
• Il PPA non ha mai assunto i connotati di vero e proprio strumento di
pianificazione non essendo stati i Comuni in grado di darvi concreta
attuazione in ragione della cronica carenza di fondi.
• Con la riforma effettuata con la L. 136/1999 il legislatore nazionale ha
tentato di “tonificare” tale strumento, ma inutilmente visto che le legislazioni
regionali di recepimento delle nuove indicazioni stabilite nella predetta legge
hanno, di fatto, del tutto ignorato l’istituto del PPA non considerandolo
principio fondamentale della materia.
• IL COMPARTO EDIFICATORIO E LA PEREQUAZIONE
• Il più risalente fra gli istituti finalizzati alla gestione della funzione urbanistica
è quello del comparto.
• Originariamente previsto in seno alla LU, oggi abrogato dal TU edilizia esso
aveva un raggio d’azione limitato alle “norme riguardanti l’espropriazione”.
• La residua normativa rimasta tuttora vigente si preoccupa di stabilire come il
Comune debba procedere, in sede di approvazione di un piano
particolareggiato, o anche successivamente, alla “formazione di comparti
costituenti unità fabbricabili, comprendendo aree inedificate e costruzioni da
trasformare secondo speciali prescrizioni”.
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• Una volta definito il perimetro del comparto spetta al Comune invitare
i proprietari a dichiarare, entro un determinato termine, la propria
intenzione, o meno, di procedere all’edificazione da soli, se titolari del
diritto di proprietà sull’intero territorio considerato, ovvero in consorzio
o in comunione ordinaria.
• Il connotato peculiare di tale strumento è dato dal fatto che, ai fini
della costituzione del consorzio, è sufficiente la partecipazione di tanti
proprietari che rappresentino catastalmente almeno i tre quarti dei
diritti di proprietà sul fondo considerato.
• In tal caso il comparto conseguirebbe la proprietà dell’intero (il
condizionale è d’obbligo giacché si tratta di norma abrogata dal TU
edilizia) mediante l’esproprio, a cura del Comune, delle porzioni
immobiliari facenti capo ai proprietari non aderenti al consorzio.
• Nell’ipotesi, invece, di mancata associazione fra i proprietari dei
fondi, sarebbe il Comune a procedere all’esproprio di tutte le aree
contenute nel comparto per poi indire una gara fra i proprietari
medesimi per la realizzazione delle prescrizioni urbanistiche
contenute nel piano particolareggiato.
• Le superiori previsioni normative, benché abrogate dal TU, sono
state riprese dalle legislazioni regionali e successivamente adattate
alle specificità presenti in ciascun territorio.
.
.
• L’istituto giuridico del comparto, a lungo dimenticato, ha solo di
recente, acquisito nuovo vigore sotto il profilo della perequazione
urbanistica.
• Il ricorso al comparto non si giustifica più con l’esigenza di attuare
previsioni urbanistiche, ma con la necessità che tali previsioni
realizzino un effettivo contemperamento delle posizioni dei singoli
proprietari dei fondi.
• Il risultato della perequazione nel comparto è rinvenibile ove si
consideri che nei PRG ai comparti viene assegnato un unico
parametro quantitativo (c.d. indice territoriale) da quale emerge il
rapporto fra superfici edificabili e volumi realizzabili.
• In parole più semplici a ciascun proprietario di una porzione di fondo
incluso nel comparto viene riconosciuta una quota di edificabilità
realizzabile all’interno del comparto stesso a prescindere dal fatto
che sul suo terreno sorgerà un edificio destinato al libero mercato
(abitazioni private, uffici, ecc,) ovvero un pubblico servizio (verde
pubblico, piazze, ecc.).
• Nello stesso solco si collocano i trasferimenti di volumetria o
cubatura.
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• Il modello del comparto, che trova la sua ratio giuridica nella convenzione di
lottizzazione, rappresenta, in definitiva, un disegno pianificatorio rimesso alla
volontà dei privati proprietari del comparto perequativo, nei limiti degli
accordi siglati con il Comune in ragione delle indicazioni di piano circa la
riserva di aree a pubblici servizi o a opere di urbanizzazione primaria ovvero
ancora di esigenze di concentrazione dell’edificabilità in un’area piuttosto
che in un’altra.
• Tali “vincoli” disposti dal comune non assumono, tuttavia, la forma
dell’esproprio, ma un limite ai compartisti nell’esecuzione degli accordi
perequativi.
• D’altronde il rispetto di tali limiti risulta garantito dall’azione di controllo
effettata dal Comune in sede di rilascio dei titoli concessori.
• Si può, dunque, affermare che l’attuazione delle previsioni urbanistiche
fissate all’interno del comparto risulti basata sulle relazioni contrattuali che si
instaurano con i destinatari delle stesse.
• Sono gli stessi proprietari a contrattare il trasferimento e la distribuzione
delle quote di edificabilità assegnate al comparto nelle aree a ciò destinate.
• E’ a carico dei compartisti la cessione gratuita delle aree al Comune e di
tutte le opere di urbanizzazione primaria e secondaria previste nel comparto
in ossequio alle previsioni di PRG.
.
• Le esperienze comunali in corso pongono il problema della
compatibilità dei sistemi perequativi con il sistema di pianificazione
comunale vigente sulla zonizzazione.
• Il punto è che non può in alcun modo rinunciarsi alla zonizzazione
sancita dalla LU. La pianificazione perequativa non può che attuare e
non derogare all’irrinunciabile principio della zonizzazione consacrata
nel PRG.
• Ciò premesso va osservato come in molte legislazioni regionali si
siano orientate nel senso di configurare la perequazione come “equa
distribuzione tra i proprietari degli immobili interessati dei diritti
edificatori riconosciuti dalla pianificazione urbanistica e degli oneri
derivanti dalla realizzazione delle dotazioni territoriali”.
• Espressione condivisibile, ma insufficiente a porre al riparo da abusi
posti in essere da molti Comuni nei propri piani urbanistici dai quali
emerge una perequazione strumentale alla richiesta di oneri di
urbanizzazione esorbitanti al solo scopo di “far cassa” o di eccessi in
termini di cessione di aree ovvero in quelli di edificazione di opere di
edilizia sociale.
.
• LE SOCIETA’ DI TRASFORMAZIONE URBANA
• Alla funzione precettiva va ricondotta anche quella afferente alla facoltà
delle Città metropolitane e dei Comuni di costituire “società di
trasformazione urbana” il cui obiettivo è quello di progettare, realizzare e
commercializzare interventi di trasformazione urbanistica in attuazione degli
strumenti urbanistici vigenti.
• Si tratta di uno strumento giuridico mediante il quale attori pubblici e privati
si prefiggono lo scopo di promuovere interventi di ristrutturazione urbanistica
all’interno di una determinata area territoriale.
• L’elemento di novità sta proprio nella previsione legislativa espressamente
finalizzata alla disciplina della trasformazione urbana a mezzo di appositi tipi
sociali, la società per azioni delimitando non solo gli scopi, ma anche
modalità operative delle medesime.
• La scelta del tipo sociale è demandata alle amministrazioni primarie
(Comuni e Città metropolitane) a mezzo deliberazione consiliare.
• La detenzione del capitale sociale è rimessa alla libera determinazione
contrattuale dei soci sicché si esclude che la P.A. possa o debba possedere
più del 50% delle azioni..
• E’, tuttavia, necessario che i soci vengano selezionati sulla base di una gara
ad evidenza pubblica.
.
• Lo scopo sociale è limitato alle aree di intervento preventivamente
individuate dall’amministrazione: in linea generale l’oggetto sociale si
articola negli interventi di trasformazione urbana in aree specifiche
che, per ciò stesso, assumono i connotati di pubblica utilità.
• Si tratta di uno strumento assimilabile al Piano Pluriennale di
Attuazione che, come visto, risulta volto all’armonica ed effettiva
attuazione delle destinazioni d’uso prescritte dallo strumento
urbanistico vigente.
• Differisce, invece, dai PEEP (Programmi di Edilizia Economica e
Popolare) poiché in tali ultimi l’interesse pubblico è legato alla
realizzazione di alloggi destinati a ceti meno abbienti laddove la STU
tale interesse è in se e per se rilevante.
• Come si individuano i soci nella STU.
• 3 casi:
• A) la Provincia e la Regione o altri enti pubblici possono conferire i
beni in proprietà o mediante concessione di diritti di superficie;
• B) i proprietari delle aree possono conferire il valore delle aree
cedute;
• C) attori privati, scelti sulla base di una gara ad evidenza pubblica.
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• LA PIANIFICAZIONE ATTUATIVA
• Muovendo dalla LU il PRG risulta attuato attraverso i “Piani
Particolareggiati di Esecuzione” che, in origine, avrebbero dovuto
limitarsi alla materiale attuazione delle previsioni contenute nei piani
urbanistici generali.
• Il PPE non era in grado, pertanto, di contraddire la disciplina sancita
nel PRG.
• Si è trattato, in passato, di uno strumento (PPE) di scarsa
applicazione in ragione della capacità dei PRG di contenere norme
attuative delle sue stesse prescrizioni.
• A partire dagli Anni ‘60 al PPE si sono affiancate altre figure
giuridiche aventi fini attuativi degli strumenti urbanistici vigenti:
• 1) il Piano di Zona per l’Edilizia Economica e Popolare;
• 2) il Piano per gli Insediamenti Produttivi;
• 3) il Piano per il Recupero del Patrimonio Edilizio Esistente;
• 4) il Programma Integrato d’Intervento;
• 5) altre fattispecie regionali.
• In ragione della precipua natura di tali piani, volti prevalentemente al
perseguimento delle finalità loro proprie, piuttosto che alla materiale
attuazione di quanto stabilito negli strumenti urbanistici vigenti, si è imposta
la necessità di allentare i vincoli di gerarchia fissati fra questi e gli strumenti
di PRG (questo è il caso dei Piani di Zona per l’Edilizia Economica e
Popolare ex L. 167/1962 configurati alla stregua dei Programmi di
Fabbricazione, ossia sostanzialmente svincolati e autonomi rispetto al
PRG).
• In tale quadro è risultata essenziale la disciplina introdotta dalla L. 47/1985 a
mezzo della quale, eliminandosi il principio di gerarchia fra piani attuativi e
PRG, si è attribuita piena legittimazione normativa a quel modello di
pianificazione urbanistica comunale fondato su un ordine discendente di atti
amministrativi fra loro concatenati non in una relazione di causa-effetto, ma
su una continua attualizzazione di interessi in gioco e, pertanto, delle
relativa previsioni normative.
• L’art. 25 della L. 47/1985 dispone, infatti, espressamente la possibilità di
modificare il PRG mediante l’utilizzo dei piani attuativi stabilendo che le
relative “varianti” debbano seguire “procedure semplificate” disciplinate con
legge regionale e, comunque, fissando un termine di 120 gg. entro il quale
l’amministrazione approvante deve comunicare al Comune le proprie
determinazioni decorso inutilmente il quale la variante si intende approvata.
.
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Più di recente la L. 136/1999 rubricato “Piani Attuativi degli Strumenti
Urbanistici”, contiene, invece, una disciplina dettagliata dei piani
attuativi dei PRG (stavolta in senso stretto).
Due aspetti rilevanti:
- La previsione che demanda alla Regione l’emanazione di norme che
definiscano contenuti e limiti delle c.d. “varianti non essenziali”. Si
tratta invero di fattispecie, in presenza delle quali, il piano attuativo
può porsi in contrasto con il PRG senza la necessità di ricorrere allo
strumento della variante (non è necessario, ad es., una procedura di
variante se, in luogo della piazza, viene realizzato un parco giochi).
- Il secondo aspetto rilevante riguarda il riconoscimento da parte del
legislatore regionale della totale assimilazione dell’iniziativa d’ufficio a
quella di parte privata, ossia dei proprietari degli immobili oggetto
della pianificazione (si pensi, ad es. alle convenzioni urbanistiche).
- Ancor più di recente rileva la L 166/2002 a mezzo della quale si
prevede una disciplina delle modalità di attuazione degli stessi piani
attuativi.
- Aspetti peculiari:
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• Primo:
• I piani attuativi vengono eseguiti in virtù della costituzione di un
consorzio per costituire il quale risulta sufficiente il concorso dei
proprietari che rappresentino la maggioranza assoluta del valore
degli immobili sulla base dei parametri catastali (e non i tre quarti
come nei comparti);
• Secondo:
• Il consorzio si propone di presentare al Comune progetti di
realizzazione dell’intervento e non proposte di esecuzione delle
prescrizioni di dettaglio;
• Terzo:
• Solo dopo che si è formato il consorzio il Sindaco invia una diffida
volta a convincere i proprietari degli immobili coinvolti ad aderire alla
progetto formulato dei proponenti nell’attuazione degli interventi.
Decorso inutilmente il termine della diffida il consorzio acquisisce la
disponibilità dell’area di superficie ed è abilitato a procedere
nell’intervento pianificatorio.
• IL RECUPERO DEL PATRIMONIO EDILIZIO E URBANISTICO
• La cronica scarsità di risorse finanziarie ha imposto una concezione dello
sviluppo del territorio improntato al “recupero” dell’esistente piuttosto che
all’espansione dell’aggregato urbano, causativo di consumo di suolo.
• Il nostro ordinamento prevede diversi istituti giuridici volti al conseguimento
del fine rappresentato dalla riqualificazione urbanistica di parti più o meno
estese del territorio.
• 1) gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
• 2) gli interventi su singoli manufatti effettuati direttamente dai privati
mediante la presentazione al Comune di di un progetto di recupero edilizio;
• 3) i programmi di recupero urbano.
• La ristrutturazione urbanistica è finalizzata alla “sostituzione dell’esistente
tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme
sistematico di interventi edilizi anche con la modificazione del disegno dei
lotti, degli isolati e della rete stradale”.
• Ciò può avvenire:
• A) attraverso l’adozione, da parte del Comune, di un Piano di Recupero;
• B) attraverso l’adozione, da parte del Comune o di altri soggetti giuridici di
diritto pubblico o privato, dei PRINT (Programmi Integrati di Intervento).
• Il Piano di recupero ha origine normativa nella L.457/1978
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• Il Piano di Recupero ha origine normativa nella L.457/1978.
• Essa si propone di individuare le zone di degrado con apposito atto emanato
dal consiglio comunale che costituisce il prius procedimentale di un ulteriore
atto amministrativo con il quale si esegue la perimetrazione degli immobili o
di complessi di beni immobili o di intere aree oggetto del recupero.
• Il procedimento consta, pertanto, di tre subprocedimenti amministrativi di cui
solo il terzo si conclude con un atto pianificatorio consistendo i due
precedenti in un accertamento tecnico (individuazione degli immobili da
sottoporre al recupero, accertamento del degrado del patrimonio edilizio
sottoposto all’intervento, ecc.).
• Tali subprocedimenti possono anche svolgersi contestualmente con il
risultato di fare emergere nei confronti di tutti i terzi un unicum
provvedimentale rappresentato da una sola delibera consiliare che identifichi
le zone e adotti il piano urbanistico di recupero.
• Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa il
PdR va adottato nel rispetto dello strumento urbanistico generale e dei
volumi esistenti nell’area di intervento a meno che norme regionali non
dispongano diversamente attraverso i c.d. premi di cubatura.
• Il rilievo pratico di questo strumento risulta molto limitato essendo stato
utilizzato quasi esclusivamente per recuperi di tipo edilizio.
• Passando al Programma di Recupero Urbano (PRU), esso risulta normato
dalla L. 493/1993 al cui art. 11 dispone, quale finalità dell’istituto giuridico,
quella di ammodernare e completare le urbanizzazioni primarie e
secondarie, integrare l’edificazione di complessi urbanistici esistenti,
realizzare interventi di arredo urbano nonché di manutenzione, restauro e
ristrutturazione edilizia, soprattutto al servizio del patrimonio di edilizia
residenziale pubblica.
• Il PRU viene proposto al Comune da soggetti giuridici sia pubblici sia privati
secondo un progetto comune che prevede l’investimento di risorse sia
pubbliche sia private.
• L’adozione del programma avviene attraverso la promozione e la
conclusione di un “accordo di programma”.
• IL PIANO DI RECUPERO DEGLI INSEDIAMENTI ABUSIVI
• La L. 47/1985 prevede espressamente una disciplina generale, ora integrata
dalla legislazione regionale concorrente, volta al recupero urbanistico degli
insediamenti abusivi esistenti al 1° ottobre 1983, mediante la formazione,
adozione e approvazione di varianti adottate dai Comuni sulla base dei
criteri indicati dalle Regioni.
• Si tratta di uno strumento giuridico la cui finalità va individuata nella
reinserimento organico di ampi insediamenti abusivi nell’alveo del territorio
comunale in modo tale da conseguire il risultato dell’ordinato e armonico
assetto territoriale sia sotto il profilo strutturale sia sotto quello
socioecnomico.
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• Non si tratta, pertanto, di uno strumento finalizzato al recupero di
fenomeni isolati di abusivismo edilizio, bensì di piani urbanistici volti a
risanare interi complessi edilizi per renderli nuovamente funzionali a
fini sociali.
• Identifichiamo i momenti formativi del piano di recupero mediante la
loro scansione temporale e funzionale.
• 1) perimetrazione delle aree mediante criteri variamente interpretati
dai legislatori regionali (continuità insediativa, omogeneità funzionale
per relativa destinazione d’uso, ecc);
• 2) realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria
strettamente correlate all’insediamento oggetto del piano;
• 3) recupero dell’insediamento abitativo attraverso demolizioni o
ricostruzioni, manutenzioni straordinarie.
• Il tutto risulta regolato da un programma finanziario, anche
pluriennale, che funge da cronoprogramma che segna ogni momento
del percorso esecutivo del piano.
• GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI
• Altro strumento urbanistico comunale è rappresentato dal Piano per
gli insediamenti Produttivi funzionale all’infrastrutturazione di aree
specificamente destinate all’attività produttiva.
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In origine la disciplina dei piani degli insediamenti produttivi era disciplinata (e
in parte lo è ancora oggi) dalla L. 865/1971 a mente della quale nell’ambito
delle aree destinate da PRG ad insediamenti produttivi (c.d. zona D) il Comune
poteva formare il piano dei relativi insediamenti produttivi con la conseguenza
che solo le aree così contrassegnate avrebbero potuto essere oggetto di piano
e non necessariamente tutte le aree così indicate nel PRG.
Nella versione legislativa oggi abrogata era prevista una preventiva
autorizzazione regionale alla formazione del piano e una certificazione di
conformità dello stesso alle previsione dello strumento urbanistico regionale
(oggi non esistono più).
Analogamente a quanto previsto nella L. 47/1985 in relazione ai Piani attuativi
“in variante”, anche nei Piani degli Insediamenti Produttivi risulta possibile
includere nel piano aree non necessariamente a ciò destinate dal PRG. Si tratta
di una disciplina, questa, espressamente ribadita nel DPR 47/1998 il quale
prevede, fra l’altro, l’ipotesi della realizzazione di singoli progetti di impianti
produttivi in contrato con gli strumenti urbanistici comunali vigenti attraverso
una forma particolare di conferenza di servizi che il Comune è legittimato a
convocare su istanza dell’interessato a condizione che il progetto sia conforme
alla normativa vigente in materia sanitaria, ambientale, di sicurezza sul lavoro
qualora gli strumenti urbanistici vigenti non individuino aree destinate
all’insediamento di impianti produttivi o risultino insufficienti in base al progetto
presentato.
In tali casi il Comune deve dare adeguata pubblicità-notizia del piano e si
esprime solo a valle della determinazione assunta dalla Conferenza dei Servizi
a seguito dell’esito favorevole della quale viene disposta la “variante”.
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• Perché la destrutturazione del piano degli insediamenti produttivi rispetto
alla normativa originaria?
• Risposta: la necessità di attualizzare gli interessi in gioco dovuta alle
lungaggini amministrative determinate dai tempi lunghi intercorrenti fra la
redazione del PRG e quella dei piani attuativi (in definitiva è risultato non più
opportuno identificare le aree di sviluppo produttivo nello strumento generale
in ragione della sua anacronistica e incoerente funzione rispetto al mutato
assetto urbanistico dell’area prescelta).
• Concetto di insediamento produttivo: ogni impianto di carattere industriale,
artigianale, commerciale e turistico come da definizione normativa espressa
dalla L. 865/1971:
• Durata del piano: dieci anni con connotati pianificatori analoghi al piano
particolareggiato.
• Attuazione: all’entrata in vigore mediante esproprio delle aree in esso
ricadenti
• Utilizzo: mediante cessione in proprietà o concessione del diritto di
superficie per durata non inferiore a 60 anni e non superiore a 99 – a tempo
indeterminato se utilizzato da enti pubblici per impianti o servizi pubblici.
• Logica di assegnazione delle aree: preferenza per enti pubblici o a
partecipazione pubblica; per i privati non è prevista alcuna procedura
concorsuale anche se di fatto molti comuni la utilizzano.
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• La fase più operativa del piano degli insediamenti produttivi consta
dell’assegnazione dei lotti di terreno sui quali esercitare l’attività produttiva
prevista dal piano.
• Si stipula una convenzione con il Comune in cui vengono indicati gli oneri a
carico dei privati (urbanizzazione, tipologia costruttiva dei capannoni,
scarichi industriali, collegamenti infrastrutturali, ecc.).
• Nella realtà operativa all’esproprio generale delle aree di proprietà dei
singoli è normalmente corrisposto di fatto la stipulazione diretta della
convenzione con in privati acquirenti delle aree direttamente dai proprietari
solo fittiziamente cessionari delle aree stesse da parte dell’amministrazione
comunale.
• Tra gli strumenti urbanistici finalizzati alla localizzazione di attività produttive
va senz’altro annoverato il Piano regolatore di Aree di Sviluppo Industriale
(ASI) (DPR 218/1978).
• Si tratta di piani regolatori di stampo sovracomunale che si prefiggono
l’obiettivo di industrializzare le regioni meridionali attraverso la
canalizzazione dei finanziamenti pubblici per l’infrastrutturazione delle aree
destinate a sviluppo industriale.
• Le aree ricomprese nell’ASI sono gestite da organismi su base associativa
dotati di personalità di diritto pubblico (normalmente da Comuni, Province,
Regioni, Camere di Commercio, ecc.) aventi il compito di redigere e rendere
vigente il Piano relativo avente la medesima dignità del Piano di
coordinamento provinciale.
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• I piani per l’edilizia residenziale pubblica
• Il piano delle aree destinate alla realizzazione di alloggi a carattere
economico o popolare previsto dalla l. 167/1982 rappresenta lo
strumento di pianificazione urbanistica volto al soddisfacimento di un
interesse ritenuto primario dal nostro ordinamento giuridico: il “diritto
alla casa”.
• L’art. 3 della medesima legge prevede, infatti, come siffatto tipo di
piano possa essere approvato in variante rispetto al PRG ove fosse
necessario reperire aree poste al di fuori di quelle destinate dallo
strumento urbanistico generale all’edilizia residenziale.
• Laddove, peraltro, il Comune risultasse sprovvisto di PRG il piano di
zona assumerebbe la dignità di programma di fabbricazione
connotandosi, di fatto, quale tessera del futuro mosaico urbanistico
generale.
• La disciplina dell’edilizia economica e popolare, avvalendosi del
piano di zona nell’ambito dei comuni aventi popolazione superiore ai
cinquantamila abitanti o che siano capoluoghi Provincia (ove non
diversamente disposto dalla legislazione regionale), si prefigge lo
scopo fondamentale di attribuire ai quartieri destinati all’edilizia
residenziale pubblica disaggregati dal tessuto urbanistico
un’adeguato ordine strutturale e funzionale.
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• Nello specifico, il piano di zona, parificato al piano particolareggiato,
determina la dichiarazione di pubblica utilità delle opere da realizzare
nell’area in considerazione e ha durata corrispondente a diciotto anni.
• La l. 167/1962 prevedeva, in origine, l’obbligo di esecuzione delle opere di
urbanizzazione in via preventiva rispetto alla cessione delle aree ai privati a
carico dei quali erano posti i relativi costi.
• Con l’entrata in vigore della l. 865/1971 l’attuazione del piano di zona è stata
prevista mediante l’espropriazione, da parte del Comune, di tutte le aree
contenute nel perimetro del piano e la partecipazione di altri soggetti pubblici
e privati nella realizzazione delle opere di urbanizzazione.
• Nonostante la predetta previsione normativa, nella prassi il Comune non
procede mai al preventivo esproprio delle aree disegnate dal PEEP,
disponendo l’assegnazione delle aree prima della relativa acquisizione
mediante esproprio secondo il medesimo meccanismo osservato nell’ambito
dell’attuazione dei piani di insediamento produttivo.
• Ai fini dell’esecuzione del piano di zona è necessario procedere alla stipula
di una convenzione fra l’amministrazione e gli attori privati nella quale
vengono stabiliti il prezzo delle opere di urbanizzazione qualora poste a
carico dell’amministrazione, ovvero le garanzie finanziarie più idonee
qualora queste fossero poste a carico dei privati.
• Una peculiarità.
• Con la normativa recata dalla l. 167/1962 si era sostenuto il principio
a mente del quale era necessario reperire le aree necessarie alla
realizzazione del PEEP all’interno del piano di zona; con la
successiva legislazione contenuta nella l. 865/1971 si è disposto
come, nei Comuni sprovvisti di piani di zona, i programmi costruttivi
potessero (e possono tuttora) essere localizzati in aree individuate
con delibera consiliare nell’alveo delle zone residenziali dei PRG con
ciò facendo assumere al deliberato consiliare i connotati propri della
pianificazione urbanistica.
• Quanto al procedimento di formazione dei piani zona esso viene
adottato e poi depositato per la durata di dieci giorni decorsi i quali è
consentita la produzione di osservazioni dei soggetti interessati per la
durata di venti giorni decorrenti dalla data di pubblicazione del
deposito presso l’albo pretorio del Comune o il Foglio degli annunzi
legali della Provincia.
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I PRINT
• Nell’ambito della riqualificazione urbana assumono un particolare
rilievo i Programmi Integrati d’Intervento (c.d. PRINT), introdotti dalla
l. n. 179/1992.
• Lo scopo del programma è quello di attribuire ai Comuni, soprattutto
di grandi dimensioni, la possibilità di disporre di uno strumento
urbanistico destinato a incidere, in misura assai rilevante, su intere
porzioni di territorio comunale, edificate totalmente o parzialmente
ovvero destinate a nuova edificazione, necessitate di una
riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale.
• La notevole innovatività del programma risiede proprio nella
possibilità, per i Comuni, di localizzare il PRINT in qualunque zona
omogenea del PRG vigente, bypassando, di fatto, la zonizzazione ivi
prevista.
• Sicché il programma potrebbe avere per oggetto le più diverse
tipologie d’intervento, dalla nuova edificazione di manufatti alla
demolizione e ricostruzione di interi fabbricati o di interi edifici, alla
completa ristrutturazione degli stessi, fino alla realizzazione di nuove
opere viarie e/o di centri commerciali e al completamento delle opere
di urbanizzazione sia primaria sia secondaria.
• Il PRINT è promosso d’ufficio, da parte del Comune e, si ritiene, anche su
iniziativa da parte dei probabili ulteriori attori territoriali pubblici e privati
coinvolti in un programma di dimensioni normalmente rilevanti.
• Ciò rappresenta un connotato essenziale del PRINT: la significativa natura
negoziale
dell’intervento
urbanistico
determinato
dal
consenso
pubblico/privato sia nella realizzazione sia nello stanziamento delle risorse
finanziarie per la sua concreta attuazione.
• Si tratta dell’esempio più convinto di pianificazione consensuale e integrata:
non si tratta di una “variante” del piano attuativo, ma di uno strumento
urbanistico avente capacità sia programmatica sia attuativa.
• Esso è adottato dal consiglio comunale e, rispetto al PRG, si pone come
variante allo stesso, salve le disposizioni specificamente stabilite dalla
legislazione regionale.
• I PRINT rappresentano, peraltro, uno strumento estremamente rilevante
nell’ambito delle politiche volte allo sviluppo dell’edilizia residenziale
pubblica che, per il tramite di tali strumenti, ha subito un notevole impulso in
chiave di integrazione con la riqualificazione urbana.
• Questo strumento, che ha decisamente orientato la pianificazione verso
l’adozione di d’interventi più duttili, perequativi e negoziali, ha sancito
l’inevitabile riduzione funzionale del PRG a “carta costituzionale” della
pianificazione dovendosi evitare il costante contrasto delle prescrizioni ivi
previste con la pianificazione attuativa.
• Che il PRG si limiti a disegnare le linee strategiche della pianificazione
evitando di assumere un ruolo conformativo del suolo inadatto a interpretare
le esigenze continuamente mutevoli del territorio.
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• IL PIANO CASA
• Di recente formulazione il c.d. “Piano Casa” rappresenta un quadro
normativo mediante il quale il legislatore ha inteso stimolare
l’economia nazionale attraverso il rilancio della domanda nel settore
edilizio dando indicazioni alle Regioni per la relativa normazione.
• Si tratta, nello specifico, della possibilità di:
• 1) incrementare, nei limiti del 20% della volumetria esistente, edifici
residenziali di cubatura non superiore a 1000 mc, anche al fine di
migliorare la qualità architettonica e/o energetica degli stessi;
• 2) demolire e ricostruire, con ampliamento degli edifici a destinazione
residenziale, entro il limite del 35% della volumetria esistente per
ragioni legate al miglioramento architettonico degli edifici o della
relativa efficienza energetica, salva, comunque, l’autonomia
regionale per altre tipologie d’intervento;
• 3) derogare, in presenza dei relativi presupposti di legge, alle
previsione del PRG quanto ad altezza degli edifici, distanze fra gli
stessi e densità edilizia.
• Regioni come Marche, Toscana, Liguria, Lazio e Lombardia hanno,
seppur in modo distinto quanto a modalità e termini, dato seguito al
Piano Casa normando mediante apposita disciplina legislativa
regionale.
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LE CONVENZIONI URBANISTICHE
Risulta ormai acquisito il concetto in virtù del quale la pianificazione
di carattere funzionale e operativo si esprima, in modo rilevante,
anche sulla base di atti di natura contrattuale intrattenuti fra pubblica
amministrazione e i privati.
SI tratta di istituti che vengono ricompresi nell’alveo delle c.d.
“convenzioni urbanistiche” che hanno origine nelle convenzioni di
lottizzazione.
Ai sensi dell’art. 28 LU, come sostituito dall’art. 8 della LP la
convenzione di lottizzazione è così traducibile:
1) i privati (normalmente imprenditori) predispongono un piano di
assetto urbanistico di una certa area di superficie e lo sottopongono
al vaglio dell’amministrazione competente. Di solito, all’esito della
valutazione si perviene a un’ipotesi organizzativa capace di
contemperare le diverse esigenze delle parti.
2) Sulla scorta di tale accordo i privati assumono obblighi verso
l’amministrazione con particolare riferimento alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione.
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• Quanto alla natura giuridica dell’atto proveniente dall’amministrazione
non si tratta di “autorizzazione” alla lottizzazione di fondi a scopo
edificatorio, come acriticamente si è ritenuto in passato in relazione al
tenore letterale della norma prevista nell’art. 28 LU, bensì di atto di
pianificazione urbanistica.
• Si tratta di un atto pianificatorio strettamente correlato con la
convenzione.
• Il Consiglio comunale approva, infatti, il piano di lottizzazione
recependo, di fatto, il disegno urbanistico stabilito nella convenzione,
che, pertanto, ne diventa parte integrante ed essenziale.
• Sicché appare assai complesso poter distinguere fra l’atto
pianificatorio dell’amministrazione e la fase negoziale intervenuta con
in privati giacché l’una risulta contestualizzata nell’altra e viceversa.
• Ciò premesso va ora indagato il contenuto della convenzione e,
specificamente, delle obbligazioni assunte dai privati nei confronti
dell’amministrazione.
• Il nodo centrale è rappresentato dall’ipotesi di assetto territoriale che
definisce cubatura edificabile, altezze, tipologie costruttive, aree di
uso pubblico, ecc.
.
• Va rilevato come, rientrando il piano di lottizzazione nella categoria
della pianificazione attuativa, essa risulta suscettibile di derogare
all’assetto territoriale disegnato dal piano regolatore e, pertanto, di
modificare o abrogare i suoi contenuti.
• In forza dell’atto pianificatorio frutto dell’incontro negoziale concluso
con i privati l’amministrazione si obbliga a rilasciare i permessi di
costruire richiesti dagli stessi in conformità alle prescrizioni
urbanistiche contenute nell’atto pianificatorio concertato.
• L’amministrazione dovrà, pertanto, astenersi da comportamenti
idonei a frustrare la ratio della pianificazione negoziata e, quindi, a
modificare l’assetto territoriale convenuto.
• Quid potest nell’ipotesi in cui, ad esempio, per ragioni sopravvenute,
l’amministrazione dovesse ricorrere all’esercizio del potere
conformativo del territorio?
• Sarebbe costretta a rinunciarvi a priori?
• La risposta è negativa. L’amministrazione può, per esigenze
sopravvenute ovvero al fine di adottare criteri più idonei al
perseguimento dell’interesse pubblico, ricorrere alla c.d. potestas
variandi
.
• Ciò può avvenite solo in casi di gravi e comprovate ragioni correlate
al pubblico interesse e previa adeguata e ponderata valutazione circa
la necessità di frustrare le legittime aspettative vantate dai privati in
virtù dell’intervenuta convenzione.
• Allorché, pertanto, l’amministrazione dovesse far ricorso a siffatto
strumento e, quindi, dovesse ricorrere alla variante del piano
regolatore sovvertendo le prescrizioni urbanistiche contenute nella
convenzione, la situazione giuridica soggettiva del privato contraente
degrada da diritto soggettivo acquisito mediante la convenzione a
interesse legittimo.
• In definitiva, se da un lato l’amministrazione non può rinunciare alla
funzione conformativa del territorio anche in presenza di una
convenzione di lottizzazione (la relativa clausola sarebbe
radicalmente nulla ove prevista nella convenzione) risulta altrettanto
vero come, la decisione di “variare” il piano urbanistico deve
rispondere alla effettiva necessità di mutare l’assetto territoriale
risultato incompatibile con il mantenimento in vita della convenzione;
sicché, ove tale circostanza non fosse provata rigorosamente il
privato può far valere il proprio interesse legittimo ricorrendo
all’autorità giudiziaria nella sede amministrativa richiedendo
l’annullamento della sopravvenuta prescrizione di piano regolatore.
• Quanto agli obblighi facenti capo ai privati l’art. 28 LU impone ai
medesimi quanto segue:
• 1) la cessione gratuita, in favore del Comune, delle aree destinate
alle opere di urbanizzazione primaria e, per quanto di ragione, a
quelle di urbanizzazione secondaria;
• 2) l’assunzione, in capo ai privati lottizzanti, degli oneri di
urbanizzazione (normalmente si traduce nella diretta realizzazione, a
carico dei privati lottizzanti, delle opere di urbanizzazione primaria, e
per quanto di ragione, di quelle di urbanizzazione secondaria);
• 3) la fissazione di un dies ad quem di esecuzione dei lavori dedotti
nella convenzione non superiore alla durata decennale;
• 4) la prestazione di idonee garanzie a tutela della concreta
realizzazione, da parte dei privati lottizzanti, di quanto stabilito nella
convenzione.
• A tali obblighi imprescindibili possono aggiungersi ulteriori impegni
che l’amministrazione può convenire a carico dei privati (clausole di
decadenza, termini finali essenziali nella conclusione delle opere, la
permuta di immobili fra PA e Privati al fine di consentire la
destinazione di determinate aree all’uso pubblico, ecc.)
.
.
• Le opere di urbanizzazione sono poste a carico della PA e dei privati
in ragione di quanto stabilito nell’ambito nell’ambito della
convenzione:
• Specificamente si definiscono opere di urbanizzazione primaria “le
strade residenziali, gli spazi destinati a parcheggio, le fognature, la
rete idrica, la rete di distribuzione del gas e dell’energia elettrica, la
pubblica illuminazione, gli spazi destinati al verde attrezzato (art. 16,
comma 7, TU) unitamente alle opere cimiteriali (art. 26, L. 38/1990) e
alle infrastrutture di reti pubbliche di telecomunicazioni (art. 86, D.lgs.
259/2003).
• Quanto alle opere di urbanizzazione secondaria si definiscono tali gli
asili nido e le scuole materne, le scuole dell’obbligo e di istruzione
superiore all’obbligo, i mercati rionali, le delegazioni comunali, le
chiese e gli edifici religiosi, gli impianti sportivi di quartiere, le aree
destinate al verde di quartiere, i centri sociali, culturali e sanitari (art.
16, comma 8 TU).
• Quid potest nell’ipotesi di inadempimento degli obblighi sanciti dalle
parti nell’alveo della convenzione?
.
• Nell’ipotesi
di
inadempimento degli
obblighi
posti
a
carico
dell’amministrazione comunale va distinto il caso di violazione determinata
dall’adozione di una variante da quello in cui la funzione urbanistica dovesse
essere esercitata senza l’adozione di una variante.
• Nel primo caso si verificherebbe la conseguenza dello “sbiadimento” della
situazione giuridica soggettiva facente capo al privato il quale non potrebbe
più vantare un diritto soggettivo derivante dalla convenzione bensì un
interesse legittimo da poter far valere innanzi all’autorità giudiziaria nella
sede amministrativa.
• Ricorrendo la seconda ipotesi, invece, non essendosi l’amministrazione
comunale svincolata dagli obblighi contrattuali sanciti nella convenzione
attraverso l’adozione della variante il privato sarà legittimato ad agire
direttamente innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria al fine di far valere un
diritto soggettivo scaturente dal contratto stipulato con la pubblica
amministrazione.
• Si tratta, quindi, di far valere un diritto in via diretta che, tuttavia, in
considerazione del rapporto giuspubblicistico instaurato fra i privati e la PA,
non può dar luogo alla scelta civilistica fra la richiesta di adempimento e la
risoluzione del contratto per inadempimento con contestuale richiesta di
risarcimento danni, potendosi richiedere soltanto una sentenza dichiarativa
di condanna al risarcimento dei danni procurati al privato.
.
• Qualora ci si dovesse imbattere in un inadempimento dei privati
l’amministrazione comunale si surrogherebbe al privato inadempiente
nell’esecuzione delle opere previste e farebbe valere le garanzie
fideiussorie prestate in seno alla convenzione.
• Si tratta di un’azione civilistica che l’amministrazione comunale
dovrebbe esercitare innanzi all’autorità giudiziaria ordinaria anche
nell’ipotesi in cui il privato
dovesse disattendere l’obbligo
convenzionale di cessione delle aree (in tal caso la PA potrà adire
l’AGO al fine di ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo
assunto avvalendosi dell’art. 2932 del codice civile).
• L’ESECUZIONE DELLE OPERE DI URBANIZZAZIONE
• L’esecuzione delle opere di urbanizzazione può essere effettuata
dalla PA mediante l’utilizzo degli oneri posti a carico dei privati
lottizzanti ovvero, come sovente accade, mediante la diretta
realizzazione delle stesse da parte dei privati medesimi.
• Ciò si verifica attraverso la concreta realizzazione delle strade, dei
parcheggi, delle aree destinate a verde pubblico, ecc, con fondi e
mezzi dei privati; sennonché, solo alla conclusione delle opere
stesse, realizzate in luogo della corresponsione del relativo costo
all’amministrazione comunale, tali opere potranno essere cedute alla
stessa PA.
.
• Affinché le opere di urbanizzazione, che, successivamente alla
relativa cessione, saranno poste al servizio della collettività, siano
realizzate in modo corretto è d’uopo prevedere nelle convenzioni di
lottizzazione clausole contrattuali volte a subordinare, ad esempio, il
rilascio del certificato di abitabilità o lo svincolo delle fideiussioni
offerte a garanzia della regolare esecuzione delle opere al momento
del collaudo con esito favorevole delle opere stesse.
• Sennonché, dovendosi ritenere che le opere di urbanizzazione non
siano altro che veri e propri lavori pubblici realizzati da privati, la
connotazione prettamente pubblicistica assunta dal privato ha
imposto la necessità di regolare l’affidamento di tali lavori nel rispetto
della Direttiva comunitaria 93/37 ragione per cui, con l’emanazione
della Legge quadro sui lavori pubblici n. 109/1994, pubblicata sulla
scorta della giurisprudenza comunitaria e amministrativa, si è stabilito
che le opere di urbanizzazione che i privati si obbligano ad eseguire
per un importo superiore alla c.d. soglia comunitaria (euro cinque
milioni) dovranno essere affidate a terzi imprenditori nel rispetto delle
procedure previste nella menzionata direttiva comunitaria.
• Per le opere sotto soglia le oo.uu. potranno essere eseguite
direttamente dai privati a scomputo dei contributi connessi ad atti
abilitanti l’attività edilizia o conseguenti agli obblighi di cui alla LU.
.
In definitiva per le oo.urb. che dovessero superare la soglia
comunitaria non è vietato che esse possano essere previste nella
convenzione di lottizzazione e che siano realizzate “a scomputo” e “a
cura” del proprietario lottizzante; esse potranno comunque essere
realizzate a deconto dei relativi oneri finanziari “a propria cura” ossia
mediante affidamento della relativa esecuzione mediante esperimento
di una gara finalizzata all’aggiudicazione dei lavori al miglior offerente.
Di recente, a seguito delle censure mosse dalla Commissione europea
e dall’Autorità di Vigilanza per i Contratti Pubblici, l’art. 122 del D.lgs.
163/2006, che ha integralmente sostituito la L. 109/1994, anche negli
affidamenti dei lavori pubblici “sotto soglia” comunitaria, da realizzarsi
da parte di soggetti privati titolari di permesso di costruire e assumenti
direttamente l’onere della realizzazione delle oo. di urb. A scomputo
totale o parziale delle stesse, si applica la c.d. procedura negoziata
senza previa pubblicazione di un bando di gara.
Come funziona.
Il privato lottizzante, assunte le vesti di committente dei lavori inerenti
le oo. di urb., dovrà individuare gli operatori in grado di eseguire
l’appalto mediante una ricerca sul mercato di quegli attori economici
dotati di requisiti di capacità tecnico-organizzativa, economicofinanziaria e di trasparenza rivolgendo a essi il relativo invito alla
partecipazione (invito rivolto ad almeno operatori).
.
Gli invitati saranno chiamati dalla stazione appaltante a presentare
contemporaneamente le relative offerte mediante presentazione di una
lettera contenente gli elementi essenziali della prestazione richiesta.
Gli operatori saranno scelti sulla base del prezzo più basso o
dell’offerta economicamente più vantaggiosa previa verifica del
possesso dei requisiti di qualificazione previsti per l’affidamento dei
contratti di uguale importo in una procedura con previa pubblicazione
del bando.
Ciò che, pertanto, fa scattare la possibilità della procedura negoziata è
l’affidamento diretto delle oo. di urb. ai titolari dei permessi di costruire.
In tal caso lo schema negoziale è quello del “mandato al privato”
conferito dalla PA per l’esecuzione di oo.pp. In ossequio al contenuto
della convenzione urbanistica intervenuta fra l’amministrazione
comunale e il proprietario lottizzante
Va, infine, precisato come per tutte le tipologie di oo. di urb., siano esse
sopra o sotto soglia comunitaria è previsto che il ruolo di stazione
appaltante sia svolto direttamente dall’amministrazione comunale
sicché, in tal caso, è consentito al privato titolare del permesso di
costruire di presentare il progetto preliminare delle opere e la
possibilità, per lo stesso, di partecipare anche alla gara per la
progettazione e l’esecuzione delle opere.
.
• LE CONVENZIONI DI RECUPERO
• L’urbanistica consensuale trova la sua dimensione ideale nell’ambito
della riorganizzazione del tessuto urbano esistente.
• La legislazione nazionale e regionale ha prodotto una serie di tipi
(convenzioni fra P.A. e proprietari) idonei a disciplinare il recupero del
patrimonio urbanistico ed edilizio esistente.
• Per quanto attiene le convenzioni volte all’attuazione delle
prescrizioni contenute nel piano di recupero le ipotesi convenzionali
sono previste nella L. 457/1978 e riguardano casi in cui la P.A. ricorre
alla collaborazione di soggetti pubblici o privati in luogo
dell’esecuzione diretta delle opere previste nel piano di recupero.
• La legge, all’art. 28, prevede la possibilità di stipulare convenzioni fra
il Comune e determinati soggetti specificamente individuati allorché
tali ultimi vogliano attuare spontaneamente gli interventi di recupero
in presenza di un rilevante interesse pubblico, adeguare le opere di
urbanizzazione, intervenire mediante la cessione volontaria,
espropriazione od occupazione temporanea nell’ipotesi di inerzia
manifestata dai proprietari qualora tali interventi siano assistiti da
contributo pubblico.
.
• Altra ipotesi è prevista dalla medesima normativa all’art. 32 allorché i
Comuni con popolazione superiore ai 50.000 abitanti, per interventi di
rilevante entità, il permesso di costruire può essere rilasciato a
condizione della stipula di una convenzione a mezzo della quale i
proprietari assumono, anche per i loro aventi causa, l’impegno a
concedere in locazione una quota delle abitazioni recuperate a
categorie di soggetti indicati dal Comune a canoni concordati.
• Differente natura hanno i piani di recupero di iniziativa privata che,
nell’ambito delle aree di recupero, assumono la funzione sostitutiva
dei piani di iniziativa pubblica.
• L’art. 30 della L. 457/1978 prevede, al riguardo, la possibilità che i
proprietari di beni immobili e di aree comprese nelle aree di recupero
che rappresentino i ¾ del valore catastale degli immobili interessati
dal recupero, possano presentare proposte di piano.
• Nell’ipotesi in cui non dovesse raggiungersi la totalità degli immobili
compresi nel piano si procederebbe all’esproprio delle aree e degli
edifici compresi nel piano per averne la totale disponibilità.
• Le vicende giuridiche successive alla proposta pianificatoria ricalcano
fedelmente il percorso normativo previsto dalla convenzioni di
lottizzazione.
.
• LE CONVENZIONI PER GLI INSEDIAMENTI PRODUTTIVI
• Nell’attuazione del piano per gli insediamenti produttivi il fulcro è
rappresentato dall’atto pubblico di convenzione stipulato fra il
Comune e il soggetto privato nell’ambito del quale vengono previsti
diritti e obblighi posti a carico delle parti.
• I contenuti della convenzione riguardano specificamente:
• 1) la formalità della cessione in proprietà o della concessione del
diritto di superficie;
• 2) il corrispettivo e le modalità di pagamento;
• 3) la realizzazione delle opere di urbanizzazione;
• 4) la costruzione degli immobili;
• 5) le modalità di utilizzo degli immobili;
• 6) le sanzioni correlate all’inosservanza degli obblighi di
realizzazione;
• 7) la composizione delle controversie;
• 8) la trascrizione degli atti;
• 9) le imposte e le tasse.
.
• Il legislatore statale ha, di recente, previsto nuovi strumenti negoziali
finalizzati allo sviluppo economico e all’incremento dell’occupazione in
relazione
al
disegno
della
programmazione
negoziata
quale
regolamentazione concordata fra soggetti pubblici ovvero fra soggetti
pubblici e privati volti al perseguimento di un’unica finalità di sviluppo.
• Si tratta di tre tipi contrattuali e, specificamente:
• 1) i patti territoriali che rappresentano gli accordi promossi dagli enti locali,
parti sociali o da altri soggetti pubblici o privati riguardanti l’attuazione di un
programma d’intervento caratterizzato da specifici obiettivi di promozione
dello sviluppo locale;
• 2) i contratti di programma ossia i contratti stipulati fra amministrazione
statale competente, grandi impresse, consorzi di medie e piccole imprese e
rappresentanze di distretti industriali per la realizzazione di interventi oggetto
di programmazione negoziata;
• 3) i contratti d’area che costituiscono lo strumento operativo , convenuto fra
le amministrazioni , anche locali, rappresentanze dei lavoratori e dei datori di
lavoro oltre che da altri soggetti interessati, per la realizzazione delle azioni
volte all’accelerazione dello sviluppo e alla creazione di nuova occupazione
in determinate aree territoriali.
• In tale ultima tipologia negoziale le determinazioni congiunte assunte dai
soggetti pubblici interessati territorialmente e sotto il profilo della
competenza urbanistica sono suscettibili di “variare” allo strumento
urbanistico vigente
.
• LE CONVENZIONI NELL’EDILIZIA RESIDENZIALE
PUBBLICA
• I tipi negoziali vigenti nell’ambito dell’edilizia residenziale pubblica sono
finalizzati
alla realizzazione di programmi costruttivi e si collocano
temporalmente in un momento successivo rispetto a quello dell’emanazione
del piano di zona.
• La relativa disciplina normativa, contenuta nell’art. 35 L. 865/1971, evidenzia
tre elementi essenziali:
• 1) l’esproprio obbligatorio;
• 2) l’assegnazione delle aree;
• 3) la stipula delle convenzioni.
• Nella sua originaria formulazione l’art. 35 regolava in modo
significativamente differente l’ipotesi in cui le aree fossero concesse in diritto
di superficie o cedute in proprietà.
• La sua attuale formulazione non da adito a distinzioni.
• A) Nel caso di concessione del diritto di superficie a privati questa deve
avere necessariamente una durata complessiva compresa fra sessanta
novantanove anni, salvo rinnovo.
• E’, invece, a tempo indeterminato la concessione del diritto di superficie nei
confronti di enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici.
La convenzione deve prevedere:
1) la realizzazione delle opere di urbanizzazione;
2) l’accollo ai concessionari dei costi delle opere di urbanizzazione,
3) i termini di inaugurazione e di completamento degli edifici e delle opere di
urbanizzazione,
4) le tipologie costruttive degli edifici,
5) i criteri di quantificazione e di aggiornamento del canone periodico,
6) i criteri disciplinanti l’eventuale facoltà di alienazione dell’immobile e la
relativa quantificazione del prezzo,
7) i criteri di determinazione del prezzo nell’ipotesi di rinnovo della concessione
del diritto di superficie.
8) le sanzioni da comminarsi nell’ipotesi di inosservanza degli obblighi stabiliti
nella convenzione.
B) Nel caso, invece, di cessione del diritto di proprietà sulle aree interessate la
convenzione deve contenere:
1) la quantificazione del prezzo di cessione degli alloggi in ragione dei criteri
determinati dalla Regione,
2) la quantificazione dei prezzi dei canoni locativi determinati in proporzione a
quelli stabiliti per la cessione della proprietà,
3) la previsione degli elementi progettuali delle edificande costruzioni
unitamente alle tipologie costruttive, alle modalità di controllo delle stesse, ai
termini di inaugurazione e conclusione dei lavori, alle sanzioni in caso di
inadempimento degli obblighi ivi fissati.
.
• LE CONVENZIONI EDILIZIE
• Le convenzioni edilizie trovano la loro ratio nella finalità di ottenere
agevolazioni nella edificazione dei realizzandi edifici mediante l’espressa
pattuizione, convenuta con l’Amministrazione competente, di praticare
determinate condizioni sul mercato immobiliare.
• L’art. 17 TU dispone, infatti, la possibilità, per i privati, di stipulare
un’apposita convenzione con il Comune, secondo schemi tipo predisposti
dalla Regione, in forza dei quali i privati assumono l’obbligo di praticare
prezzi di vendita e/o di locazione “calmierati” per far fronte a interessi di
carattere sociale (similmente a quanto accade nell’edilizia residenziale
pubblica o a quanto disposto dalla L. 392/1978 sull’equo canone).
• La convenzione deve contenere:
• 1) le tipologie costruttive degli alloggi,
• 2) la quantificazione dei prezzi di cessione degli alloggi determinato in
proporzione al costo delle aree, della costruzione, delle opere di
urbanizzazione, delle spese generali, di progettazione, di preammortamento
e di finanziamento,
• 3) la fissazione dell’ammontare dei canoni locativi in ragione dei prezzi
determinati per la cessione della proprietà degli alloggi,
• 4) determinazione della durata della convenzione ( 20 anni <x< 30 anni)
.
• La convenzione può, peraltro, prevedere l’esecuzione diretta delle opere di
urbanizzazione in luogo del pagamento dei relativi oneri e l’adeguamento
dei prezzi di cessione della proprietà e della misura del canone locativo con
cadenza almeno biennale in ragione della variazione degli indici ISTAT dei
costi di costruzione intervenuti successivamente alla stipula della
convenzione.
• LE CESSIONI DI CUBATURA
• Le cessioni di cubatura hanno per oggetto il trasferimento della volumetria,
ossia del proprio diritto di edificare, da uno o più soggetti privati ad altri
soggetti privati.
• Si tratta di un’ipotesi non normata dal diritto vigente, frutto della prassi
consolidata nei piani regolatori e della giurisprudenza amministrativa che ha
trovato largo consenso nella sua concreta applicazione.
• Esso consta di tre distinti atti:
• 1) una convenzione stipulata fra i proprietari riguardante la cessione a titolo
oneroso del diritto di edificare su uno o più determinati fondi;
• 2) un atto d’impegno unilaterale mediante il quale il proprietario del fondo
cedente si obbliga, nei confronti del Comune, a non edificare sul fondo o sui
fondi oggetto della convenzione;
• 3) il permesso di costruire che, preso atto dell’obbligo assunto dal privato di
asservimento dell’area di cui vuole cedersi la cubatura, autorizza la
maggiorazione della volumetria.
I PIANI SOVRACOMUNALI E DI TUTELA
DEGLI INTERESSI DIFFERENZIATI
• I PIANI TERRITORIALI DI COORDINAMENTO PROV.LE
• Introdotto dalla L. 142/1990 ed oggi trasfuso nell’art. 20 TU EE.LL. il
piano territoriale di coordinamento provinciale risponde all’esigenza
di fissare direttive e indirizzi generali sull’assetto del territorio in
ragione delle relative vocazioni, della difesa del suolo, del regime
della acque, delle infrastrutture presenti e della protezione
naturalistica.
• Ciò in relazione alla necessità di coordinamento territoriale
intercomunale allo scopo di superare i problemi derivanti dalla
eccessiva frammentazione amministrativa
scaturente dalla
presenza, nel territorio provinciale, di numerosi Comuni di piccole e
piccolissime dimensioni.
• Si tratta di una competenza spettante alla Provincia che integra una
vera e propria funzione urbanistica.
.
• La rilevanza assunta dal PTCP risulta confermata dalla previsione legislativa
contenuta nel D.lgs. 112/1998 al cui art. 57 configura tale piano quale punto
di convergenza di tutta la pianificazione territoriale essendo concepito quale
collettore dei piani territoriali in materia di tutela della natura, dell’ambiente,
delle acque, di tutela del suolo e delle bellezze naturali.
• Esso è adottato con legge regionale a meno che le relative disposizioni non
vengano stabilite d’intesa fra la Provincia e le amministrazioni, anche statali,
competenti.
• LA TUTELA DEL PAESAGGIO, DEL PATRIMONIO STORICO; ARTISTICO
E AMBIENTALE
• La tutela del paesaggio, del patrimonio storico, artistico e ambientale della
nazione ha rango costituzionale (art. 9, comma 2 Cost.).
• Sebbene l’urbanistica sia ritenuta la disciplina avente per oggetto anche la
tutela del paesaggio comprendente tutti gli aspetti della relativa normazione
e gestione (L.1187/1968 e DPR 616/1977) rimane, a livello costituzionale,
una diatriba che separerebbe la disciplina della tutela del paesaggio
dall’urbanistica (per tutte risulta emblematica la sentenza 180/2008).
• LA TUTELA DEI BENI PAESSAGISTICI
• Il c.d. “Codice dei Beni Culturali” (D.lgs. 42/2004) all’art. 134, elenca tre
diverse tipologie di beni paesaggistici:
• 1) beni dichiarati di notevole interesse pubblico;
• 2) beni identificati direttamente dalla legge;
• 3) beni immobili e aree sottoposte a tutela dai piani paesaggistici.
.
• I beni come sopra individuati non possono essere suscettibili di
alcuna materiale modifica essendo sottoposti a un preciso vincolo.
• Sarà necessario, infatti, che un progetto di modifica venga sottoposto
al vaglio tecnico-valutativo della competente Soprintendenza per i
Beni Culturali e Ambientali (S. BB. CC. AA.)
• 1) I beni dichiarati di notevole interesse pubblico sono quei beni
rappresentati quegli elementi paesaggistici le cui particolari
caratteristiche di bellezza sono dichiarate da provvedimenti di cd
“certazione”;
• 2) i beni individuati espressamente dalla legge sono rappresentati dai
cd “beni ambientali ope legis” ossia introdotti con legge (L.431/1985,
poi trasfusa nell’art. 142 del Codice dei beni culturali). Si tratta di
intere categorie di beni immobili che, per il loro pregio ambientale,
vengono direttamente sottoposti a tutela bypassando il relativo
procedimento amministrativo;
• 3) la terza tipologia di beni paesaggistici non è disciplinata da leggi
ne risultano sottoposti a dichiarazione di certazione.
• Si tratta di beni ricompresi all’interno dei piani paesaggistici affinché il
relativo utilizzo risulti compatibile con i valori paesaggistici presenti
nel territorio in cui essi insistono.
.
Quanto alla natura giuridica del piano paesaggistico trattasi di strumento
contenente sia prescrizioni a carattere conformativo non solo della proprietà,
ma anche dell’azione pubblica in ordine all’osservanza delle previsioni
contenute nei piani paesaggistici a cui devo soggiacere le previsioni dei piani
territoriali e urbanistici. Ciò con l’evidente conseguenza della capacità, per i
piani paesaggistici di superare, prevalendo su di esse, le prescrizioni contenute
nella pianificazione urbanistica comunale.
I BENI CULTURALI
Nell’alveo concettuale dei cd “beni culturali” sono ricompresi tanto quei beni la
cui esigenza di protezione risulti dall’intrinseco valore storico-culturale dei
medesimi, quanto quelli capaci di esprimere valori naturalistico-culturali
meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
Le normative di settore, risalenti al periodo prebellico (L. 1089/1939 e L.
1497/1939) distinguono fra beni di interesse artistico, storico, archeologico ed
etnografico, da una parte, e bellezze naturali, dall’altra. Differenziazione che
permane, in forma anche accentuata, nel Codice dei beni culturali.
La competenza sui beni culturali è devoluta al dicastero dei beni e delle attività
culturali la cui funzione viene esercitata con l’ausilio della struttura
amministrativa periferica costituita dalle competenti Soprintendenze. Il
procedimento di riconoscimento è identico a quello previsto per i beni
paesaggistici
.
• IL PIANO DEL PARCO
• Il Parco rappresenta un’istituzione caratterizzata dallo speciale
regime al quale risultano sottoposti i beni e le attività ivi insistenti.
• L’Autorità preposta al Parco detiene, infatti, il potere amministrativo di
impedire o prevenire che qualsivoglia attività svolta in contrasto con
le esigenze di conservazione e di valorizzazione dell’ambiente del
parco possa essere esercitata, nonché il potere pianificatorio volto a
favorire lo sviluppo dell’area ricadente nei limiti del parco stesso.
• I capisaldi fondamentali della tutela dei parchi e delle riserve naturali
risulta contenuta nella legge quadro n. 394/1991 la quale stabilisce
gli obiettivi perseguiti dalle aree protette, modalità e termini di
istituzione delle stesse, definendo le relative prescrizioni di tutela e
distinguendo fra le differenti categorie di area (parchi nazionali e
regionali, riserve statali e regionali, aree protette marine).
• Il piano del parco è qualcosa di più di uno strumento urbanisticoterritoriale essendo il relativo Ente Parco, che presiede all’esercizio
delle funzioni di tutela, un soggetto giuridico di diritto pubblico dotato
dei più ampi poteri di regolazione e gestione di ogni attività idonea a
svolgersi in modo incompatibile con l’ambiente ricompreso nell’area
geografica circoscritta dal parco.
.
• La legge quadro richiede la presenza di taluni elementi essenziali
perché il piano del parco possa esser ritenuto tale.
• Specificamente:
• 1) l’organizzazione del territorio mediante la sua articolazione in aree
caratterizzate da usi e forme di tutela differenziate (divisione in zone);
• 2) enunciazione dei vincoli con relative destinazioni delle aree
individuate in base al differente grado di tutela approntato dal piano;
• 3) viabilità del parco;
• 4) attrezzature e servizi in dotazione al parco;
• 5) programmi di tutela della fauna e della flora insistenti all’interno del
parco.
• Le aree in cui vengono suddivise le porzioni di territorio insistenti
all’intero del perimetro del parco, cd. Zone, vengono distinte in:
• A) riserve integrali, che implica la totale immodificabilità dell’area in
ragione della tutela della sua integrità;
• B) riserve generali, nelle quali è consentita la realizzazione di attività
infrastrutturale e di interventi edilizi tassativamente individuati e
strettamente necessarie alla gestione delle attività della zona;
.
C) zone nelle quali risulta consentito l’esercizio di talune attività economicoproduttivo-artigianali purché preesistenti all’istituzione del Parco, oltre agli
interventi edilizi su manufatti preesistenti;
D) zone nelle quali il grado di tutela risulta meno pregnante giacché interessate
dal processo di antropizzazione (in tal caso la zonizzazione costituisce il frutto
della concertazione con gli enti locali).
Il procedimento di formazione del piano del parco è articolato attraverso la
partecipazione di tre soggetti principali: ente parco, Regione e Comune.
Esso si compone di una serie di subprocedimenti aventi origine nella
predisposizione del piano del parco da parte dell’ente parco e la sua
successiva adozione da parte della Regione; prosegue con il deposito del
piano presso i Comuni, le comunità montane e le sedi regionali coinvolti
territorialmente per la durata di quaranta giorni durante i quali i soggetti
interessati possono formulare ogni osservazione scritta; continua con la
l’apertura di un nuovo arco temporale della durata di centoventi giorni
decorrenti dalla scadenza dei precedenti quaranta nell’ambito dei quali la
Regione di pronuncia sulle eventuali osservazioni effettuate in precedenza e,
successivamente, di concerto con i Comuni coinvolti territorialmente, ma
limitatamente alle prime tre zone del parco, dispone sui contenuti del piano e lo
approva. Ogni intervento modificativo dell’assetto territoriale delle zone
ricomprese nel piano del parco è soggetto al previo N. O. da parte dell’Ente
.
L’istituzione dell’Ente Parco prevede, altresì, la formalizzazione di un
Regolamento del Parco i cui contenuti risultano prevalenti su ogni
vigente regolamento edilizio comunale.
Il Piano del Parco assume, pertanto, i connotati di vero e proprio
strumento principe della conformazione del territorio sottoposto alla sua
tutela dovendosi ritenere, di converso, del tutto residuale l’efficacia
degli strumenti urbanistici dei Comuni insistenti nel relativo perimetro.
I VINCOLI IDROGEOLOGICI
I vincoli idrogeologici sono disciplinati dal TU 3267/1923, dal DPR
616/1977, dalla L. 183/1989 e dal D.lgs. 152/2006 (cd. Codice
dell’Ambiente).
Tale vincolo, che risponde all’esigenza di tutela del territorio e del
relativo regime delle acque attraverso la limitazione delle attività di
utilizzo della aree boschive, può essere imposto come segue:
1) attraverso un provvedimento amministrativo di certazione;
2) mediante la prescrizione di vincoli contenuti nei cd. Piani di Bacino
idrografico;
3) quale effetto derivato dell’approvazione del progetto di riassetto
idraulico-forestale di un bacino montano in ordine ai territori ivi
ricompresi.
.
L PIANO DI BACINO
Il cd Piano di Bacino è disciplinato dall’art. 64 del “Codice dell’Ambiente”
(D.Lgs. 152/2006).
Il testo normativo attualmente vigente, prendendo le mosse dalla previgente
normativa (L. 183/1989) avente per oggetto la difesa dei bacini fluviali su scala
nazionale, regionale e interregionale, nel recepire l’orientamento comunitario
contenuto nella Direttiva 2000/60 in materia di acque, ha introdotto il concetto
di “distretto idrografico” la cui accezione ricomprende la nozione di bacino
fluviale unitamente alla necessità di contestualizzazione dello stesso su
un’area vasta di uso delle acque.
Ogni Distretto Idrografico è strutturato sulla presenza dell’Autorità di Bacino i
cui organi sono la Conferenza istituzionale permanente presieduta dal Ministro
dell’Ambiente e composto dagli altri ministri aventi competenze territoriali oltre
che dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessati
territorialmente, il Segretario Generale, la Segreteria operativa e la Conferenza
operativa dei Servizi.
Obiettivo dell’Autorità di Bacino è quello di predisporre il relativo piano il quale
assume valore di piano territoriale contenente prescrizioni urbanistiche vere e
proprie circa l’assetto territoriale idoneo alla conservazione, alla difesa e alla
valorizzazione del suolo ed al corretto uso delle acque in ragione delle
connotazioni geomorfologiche del territorio ricompreso nel perimetro del Parco.
.
Il procedimento di formazione del Piano di Bacino risulta alquanto complesso
anche in ragione della molteplice e articolata tutela degli interessi cui esso è
finalizzato.
L’Autorità di Bacino predispone, in sede di Conferenza operativa dei Servizi, il
Piano, adottandolo a maggioranza in sede di Conferenza istituzionale
permanente.
Così adottato il Piano viene pubblicato e reso disponibile al pubblico per la
durata di almeno sei mesi durante i quali tutti i soggetti interessati potranno
effettuare ogni osservazione in forma scritta.
Decorso il predetto arco temporale, e formulati i pareri sulle osservazioni
pervenute il Piano è definitivamente adottato dall’Autorità di Bacino a mezzo di
deliberazione della Conferenza istituzionale permanente e, quindi, trasmesso
al Consiglio dei Ministri per la definitiva approvazione successivamente alla
valutazione ambientale strategica (VAS), da effettuarsi in sede statale, e al
giudizio di compatibilità ambientale espresso dall’autorità competente.
Il Piano di Bacino, caratterizzato dalla sua duplice funzione, conservativa, da
un lato, e promotrice di sviluppo economico-sociale del distretto idrografico,
dall’altro, presenta una forza estremamente pregnante, incidendo, in modo
significativo su tutta la pianificazione territoriale e urbanistica.
Le disposizioni del Piano hanno, infatti, “carattere immediatamente vincolante
per le amministrazioni e gli enti pubblici, nonché per i soggetti privati , ove
trattasi di prescrizioni dichiarate di tale efficacia dallo stesso piano di bacino”
(art. 17 L. 183/1989 trasfuso nel Codice dell’Ambiente all’art. 65, co. 4 D.lgs.
• Nelle more dell’approvazione dei piani di bacino le Autorità assumono
misure di salvaguardia volte a evitare che le adottande misure di tutela del
distretto idrografico possano risultare frustrate da interventi incompatibili con
le esigenze in essi manifestate.
• In particolare le Autorità possono adottare i cd. Piani stralcio di distretto per
l’Assetto Idrogeologico (PAI) idonei a individuare le aree a rischio
idrogeologico disponendone la perimetrazione e sottoponendoli alle predette
misure di salvaguardia.
• I BENI PUBBLICI E QUELLI CIVICI
• I beni pubblici sono quei beni che appartengono allo Stato o ad altri enti
pubblici.
• Il loro regime è previsto dall’art. 822 del codice civile che distingue tre
diverse categorie:
• 1) beni demaniali
• 2) i beni patrimoniali indisponibili
• 3) i beni patrimoniali disponibili
• E’ controverso se siano annoverabili fra i beni pubblici anche quei beni
destinati all’uso e al godimento di una comunità di abitanti (cd. usi civici:
beni agrari e forestali in proprietà collettiva di diritto pubblico la cui
destinazione una parte della dottrina riterrebbe immodificabile in assenza di
una speciale procedura, e altra parte vorrebbe suscettibile di modifica da
parte degli strumenti urbanistici comunali)
.
.
• L’insistenza, nell’ambito territoriale comunale, di tali beni implica una
serie di limiti alla pianificazione comunale.
• Sebbene in passato si riteneva che tali categorie di beni fossero del
tutto sottratti al potere pianificatorio comunale, la disciplina
attualmente vigente (art. 8 TU edilizia) attribuisce agli strumenti
urbanistici di incidere sul regime giuridico dei medesimi limitandosi a
stabilire che le costruzioni private su aree demaniali necessitano del
permesso di costruire. Per le opere pubbliche da realizzarsi sul
pubblico demanio compete, invece, al Ministero delle infrastrutture e
dei trasporti, d’intesa con la Regione, verificare che le relative opere
siano compatibili con i contenuti dello strumento urbanistico
comunale vigente.
• (la giurisprudenza amministrativa ha rilevato, tuttavia, la possibilità,
per gli strumenti urbanistici comunali, di modificare la destinazione
d’uso dei beni pubblici nell’ipotesi dell’intervenuta “intesa” con
l’amministrazione statale competente).
• Fanno eccezione i beni pubblici destinati alla difesa militare, del tutto
svincolati dalle prescrizioni urbanistiche contenute negli strumenti
comunali.
.
Il PATRIMONIO EDILIZIO ESISTENTE E I CENTRI STORICI
E’ controverso se fra gli interessi differenziati suscettibili di limitare il
potere pianificatorio comunale possano essere annoverati il patrimonio
edilizio esistente e i centri storici.
In realtà non sussiste alcuna norma che imponga, nel nostro diritto
positivo, un divieto all’amministrazione comunale di ridefinire l’assetto
urbanistico di aree già edificate.
Certo è che, sebbene si tratti di situazioni di mero fatto e non diritto va,
comunque, tenuto in considerazione il principio generale secondo cui lo
stato di fatto debba costituire un limite interno alla discrezionalità
comunale le cui scelte devono essere informate a ragionevolezza e
congruamente motivate, pena la censura di legittimità da parte
dell’Autorità giurisdizionale in sede amministrativa. Sicché appare
necessario conciliare l’esigenza del recupero del patrimonio edilizio
esistente e la sua trasformabilità con la necessità di dare voce alla
funzione sociale ed economica dell’area in cui esso insiste.
Uno degli strumenti predisposti dal nostro legislatore capace di
contemperare tali esigenze è rappresentato dal programma integrato
d’intervento, istituto dalla enorme potenzialità, in grado di produrre una
ristrutturazione urbanistica equilibrata, ma non adeguatamente
utilizzato.
.
• LE ZONE AGRICOLE
• Sebbene non possa ritenersi che il cd. verde agricolo possa essere
ricompreso fra le ipotesi di interessi differenziati può, tuttavia,
sostenersi
come
esso,
per
consolidato
orientamento
giurisprudenziale, possa essere inteso come limite all’edificazione
privata, non già in ragione della tutela degli interessi correlati alle
colture ivi (eventualmente) insistenti, quanto in funzione delle
esigenze di carattere urbanistico (limite fra edificato e non edificato).
• In questa ottica la previsione di zone destinate a verde agricolo
assume una valenza meramente strumentale che prescinde dalla
destinazione agricola del suolo.
• Ne consegue la rilevanza del ruolo giocato dall’amministrazione
comunale nell’attività discrezionale di identificazione e gestione delle
zone destinate a verde agricolo essendo il relativo regime
determinato dalle prescrizioni di PRG.
• Il profilo più rilevante afferisce, invero, alla possibilità di edificazione
nelle aree destinate a verde agricolo.
• In linea di principio l’edificazione risulta consentita solo qualora
l’intervento edificatorio dovesse essere correlato con conduzione del
fondo ovvero nell’ipotesi in cui dovesse trattarsi di attività non
incompatibile con la destinazione dello stesso.
.
• Sarà, pertanto, assentibile la realizzazione di un fabbricato funzionale
all’economia dell’area servita e non un manufatto a destinazione
abitativa.
• In concreto sarà necessario ricorrere all’osservanza delle disposizioni
di legge regionali e degli strumenti urbanistici comunali al fine di
verificare quali trasformazioni del suolo risultino o meno assentibili.
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IL DIRITTO URBANISTICO - Dipartimento di Architettura