Liceo Scientifico “Augusto Righi” LA GRANDE ILLUSIONE cineforum A.S. 2014-2015 a cura di: Prof.ssa Mara Udina Giacomo Rossi, Francesco Tresalti lunedì 20 ottobre 2014 – ore 14.30 I quattrocento colpi di François Truffaut, Francia 1959 François Truffaut su I quattrocento colpi «All'inizio doveva essere un cortometraggio di venti minuti dal titolo La Fugue d'Antoine. [...] Volevo girare una serie di scenette dedicate all'infanzia. Finito Les Mistons, non trovai subito i soldi necessari per girare gli altri cortometraggi e inoltre mi resi conto che erano troppo diversi dagli altri miei progetti, tutti più o meno autobiografici o tratti da esperienze diverse e che non volevo mescolare con Les Mistons. In partenza, La Fugue d'Antoine era la storia di un ragazzino che non ha il coraggio di tornare a casa dopo aver marinato la scuola e passa la notte in giro per Parigi, poi, a poco a poco, si è trasformata in una specie di cronaca dei tredici anni (l'età più interessante secondo me) tralasciando tutto un aspetto al quale tenevo molto, quello di Parigi sotto l'occupazione tedesca, della borsa nera ecc. La ricostruzione di quell'epoca mi era preclusa per motivi non solo economici, ma anche estetici, perché si cade facilmente nel ridicolo rievocando la moda di quei tempi.[...] Era da molto tempo che l'idea mi ronzava in testa. L'adolescenza è un modo di essere riconosciuto da educatori e sociologi, ma negato da famiglia e genitori. Per parlare da specialista, direi che lo svezzamento affettivo, il sopraggiungere della pubertà, il desiderio d'indipendenza e il complesso d'inferiorità sono segni caratteristici di quell'età. Basta un solo atto di ribellione e questa crisi viene giustamente chiamata "originalità giovanile". Il mondo è ingiusto, dunque dobbiamo sbrigarcela da soli: e si fanno i quattrocento colpi.» François Truffaut, intervista di Yvonne Baby, "Le Monde", 21 aprile 1959, tr. it. Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, a cura di Anne Gillain, Gremese, Roma 1990. lunedì 27 ottobre 2014 – ore 14.30 Charlot soldato di Charles Chaplin, USA 1918 Il compagno B di R.aymond McCarey e G.eorge Marshall, USA 1932 su Charlot soldato Pellicola conosciuta solo nell'edizione ridotta (3 bobine invece delle 5 originali mai proiettate), è un'invenzione grottesca, narrativamente giustificata in quanto sogno, durante la quale Charlot, aiutato dal fratello Sidney, riesce a catturare il Kaiser. La delimitazione storica è occasionale, non investe quella guerra, ma la guerra come rivelazione dei caratteri negativi della vita. Il ricorso al tema del sogno è significativo in quanto nasce a confronto con un mondo fatto di trincee allagate, di fango, di solitudine, di uno sfruttamento il cui contraltare è simbolicamente racchiuso in una celebre sovrimpressione: sulla destra dell'inquadratura il patetico e derelitto soldato sommerso dalla pioggia, sulla sinistra un grosso barman agita uno shaker sullo sfondo d'una città indaffarata.[…] Giorgio Cremonini, Charlie Chaplin, Il Castoro Cinema, La Nuova Italia, 1977 su Il compagno B Durante la guerra Laurel & Hardy promettono a un amico morente di portare la sua piccola, abbandonata da una madre snaturata, dai nonni. Dopo varie peripezie riescono a trovare la famiglia Smith. 1° lungometraggio (dopo Muraglie del '31 che dura 55') per la coppia Laurel & Hardy, con il conseguente problema di reggere un tema - qui quello piagnucoloso dell'orfanella - con momenti d'eccezionale comicità. da Laura, Luisa e Morando Morandini, Il Morandini 2014, Zanichelli editore 2013 lunedì 10 novembre 2014 – ore 14.30 La grande illusione di Jean Renoir, Francia 1937 Jean Renoir su La grande illusione «Siamo sull'orlo di un'altra "grande illusione". L'atmosfera terrificante della guerra pesa virtualmente su di noi. […]Se Hitler sapesse quale malessere ci procura, andrebbe in visibilio. Personalmente, rifiuto di dargli questa soddisfazione. Chi può dimenticare il Führer? Ma non permetterò che la mia ostilità nei suoi confronti influenzi le mie azioni o i miei pensieri. È dunque una questione personale tra me e Hitler. Se migliaia di uomini considerassero in tal modo questa minaccia, il flagello della guerra non si abbatterebbe ancora una volta sull'umanità. Ho realizzato La Grande illusion perché sono pacifista. Per me, un vero pacifista è un francese, un americano, un tedesco autentico. Verrà il giorno in cui gli uomini di buona volontà troveranno un terreno d'intesa. I cinici diranno che, in questo momento, le mie parole rivelano una fiducia puerile, ma perché no? Per quante preoccupazioni susciti, Hitler non modifica per nulla la mia opinione sui tedeschi. […] Ne La Grande illusion mi sono sforzato di mostrare che in Francia non si odiano i tedeschi. […] Perché ero ufficiale durante la guerra e ho conservato un vivo ricordo dei miei compagni. Non eravamo animati da alcun odio contro i nostri avversari. Erano dei buoni tedeschi come noi eravamo dei buoni francesi... Sono convinto di lavorare a un'ideale di progresso umano presentando sullo schermo la verità non mascherata. Attraverso il ritratto di uomini che compiono il loro dovere, secondo le leggi della società, nel quadro delle istituzioni stabilite, credo di aver portato il mio umile contributo alla pace nel mondo. Avrei voluto che un tedesco, dopo lo spettacolo, si dicesse: "Questi francesi sono brava gente. Mangiano e bevono esattamente come noi. Come noi hanno bisogno d'amore e, soprattutto di amicizia". » Jean Renoir (1938) in in La mia vita i miei film, Marsilio, Venezia 1992 lunedì 24 novembre 2014 – ore 14.30 The Sinking of the Lusitania di Winsor McCay, USA 1918 La guerra lampo dei fratelli Marx di Leo MacCarey, USA 1933 The Sinking of the Lusitania In The Sinking of the Lusitania (L'affondamento del Lusitania, 1918) in una decina di minuti McCay ricostruisce l'affondamento di un transatlantico inglese da parte di un sottomarino tedesco avvenuto nel 1915, nel quale persero la vita quasi 2000 persone, tra cui 124 americani. La pellicola ripercorre in modo drammatico questo doloroso fatto di cronaca, con uno stile grafico molto realistico, degno di un cinegiornale. Per portare a termine questo film l'illustratore lavorò ininterrottamente per quasi tre anni, coadiuvato solo da due assistenti. Il modo di operare di McCay è del tutto artigianale, in netta opposizione ai primi studios di animazione degli anni '10 e '20. McCay infatti dichiarò che l'animazione dovrebbe essere un'arte e non un commercio. La guerra lampo dei fratelli Marx Nella piccola nazione di Freedonia Rufus T. Firefly (Groucho) assume i poteri di un dittatore, ma deve fare i conti con due spie nemiche (Chico e Harpo), un tenore (Zeppo) e un astuto "cattivo" (Calhern). Considerato da molti, ma dopo gli anni '60, il capolavoro dei fratelli Marx. È il loro unico film diretto da un regista di talento, e fa storia a sé per la miscela tra satira e operetta europea. 70 minuti di buffoneria non stop senza interventi musicali né romantici. Fu un fiasco quando uscì. da Laura, Luisa e Morando Morandini, Il Morandini 2014, Zanichelli editore 2013 lunedì 1 dicembre 2014 – ore 14.30 Oh! What a Lovely War (Oh! Che bella guerra!) di Richard Attenborough, Gran Bretagna 1969 proiezione in lingua originale con sottotitoli in inglese su Oh! What a Lovely War (Oh! Che bella guerra!) It's a mistake to review "Oh! What a Lovely War" as a movie. It isn't one, but it is an elaborately staged tableau, a dazzling use of the camera to achieve essentially theatrical effects. And judged on that basis, Richard Attenborough has given us a breathtaking evening. […] Like most people, I know World War I at second or third hand, through such sources as Robert Graves' "Goodbye to All That." The most dramatic point Graves makes is that the war almost literally exterminated the generation that would have ruled Britain in the 1930s and 1940s. Something like 90 per cent of the field officers were killed on some fronts. Joseph Losey's film "King and Country" shows us Tom Courtenay as the lone survivor of his original unit; every other man had been killed, and many of their replacements had died as well. This was apparently fairly common. And so this tragic event sank into the bones of the British memory. America, which came into the war rather late and sustained much lighter casualties, could afford the luxury of a "lost generation" in the 1920s. England literally lost her generation; it was dead and buried, and we seem to see it beneath the countless crosses stretching out behind John Mills in the last, stunning graveyard shot in "Oh! What a Lovely War." And yet war films and books have usually not recorded this loss, or the enormity of the stupidity which caused it. Those which have (like "King and Country") have done it in microcosm; we care for the Courtenay character, but we do not reflect on the total war. "Oh! What a Lovely War" does recreate this time, in a bitter mixture of history, satire, detail, panorama and music. Especially music. There is something paradoxical in the thought of singing about a war, and yet cheap popular songs often capture the spirit of a time better than any collection of speeches and histories. Miss Littlewood, and Attenborough after her, present the war as a British music hall review; there's a lot of smiling up front, but backstage you can see the greasepaint and smell the sweat, and the smiles become desperate, and there begins to be blood. da Roger Ebert, Oh! What a Lovely War, in «Chicago Sun-Times», October 30, 1969 Allo scoppio della prima guerra mondiale l'entusiasmo delle alte sfere militari inglesi sale alle stelle: la propaganda bellica esalta l'eroismo e il patriottismo. I cinque fratelli Smith, sull'onda dell' entusiasmo, si arruolano, ma al fronte troveranno la morte. Tratto da un famoso spettacolo teatrale (1963) di Joan Littlewood, è una fantasia musicale sulla guerra 1914-18 in chiave di irridente satira antimilitarista. Dietro il divertimento però si intravede l'orrore della guerra. Cast eccellente. lunedì 15 dicembre 2014 – ore 14.30 Joyeux Noël di Christian Carion, Francia, Belgio, Germania, Gran Bretagna 2005 su Joyeux Noël Ispirato a fatti realmente accaduti nelle trincee dell'Artois durante la prima guerra mondiale. Alla vigilia di Natale del 1914 soldati francesi, scozzesi e prussiani interrompono le ostilità per qualche ora e brindano all'anno nuovo tutti insieme. Quella notte cambia la vita di 4 personaggi: un prete anglicano, un tenente francese, un grande tenore tedesco e la donna che ama, un soprano. Nato e cresciuto da famiglia contadina di uno dei 10 dipartimenti territoriali francesi occupati dai tedeschi tra il 1914 e il 1918, Carion, dopo aver fatto una panoramica sulla vita in trincea - qualunque sia il fronte - fatta di polvere da sparo, sudore, fango, paura (e si era solo all'inizio), riesce a raccontare un fatto commovente romanzandolo ma evitando la trappola del buonismo banale e dando il suo contributo morale e pacifista. da Laura, Luisa e Morando Morandini, Il Morandini 2014, Zanichelli editore 2013 lunedì 19 gennaio 2015 – ore 14.30 All’Ovest niente di nuovo di Lewis Milestone, USA 1930 su All’Ovest niente di nuovo Tratto dal celebre romanzo di Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale (Im Westen nichts Neues, pubblicato nel 1929) racconta gli orrori nelle trincee del fronte francotedesco durante la prima guerra mondiale. La violenza e la morte sono viste attraverso gli occhi di alcuni giovani soldati tedeschi, arruolatisi anche per i discorsi esaltati di un loro professore. Uno dei film hollywoodiani che ha saputo esprimere con maggior forza ed efficacia un messaggio pacifista e antimilitarista: gli anni non hanno tolto forza all'opera e anche i tagli imposti dalla produzione […] non fanno che accrescere l'impatto visivo delle violentissime e molto realistiche scene di battaglia - riprese con bellissime carrellate laterali […]. Vietato sotto il fascismo, fu proiettato in Italia solo negli anni Cinquanta. […] Vinse due Oscar, come miglior film e per la regia. Il Mereghetti. Dizionario dei film, di Paolo Mereghetti, Baldini Castoldi Dalai, 2014 lunedì 26 gennaio 2015 – ore 14.30 Porco rosso di Hayao Miyazaki, Giappone1992 su Porco rosso Fin dal suo titolo è il più bizzarro, misterioso e sorprendente film di Miyazaki. Pilota militare nella prima guerra mondiale, che per una maledizione ha la testa di un maiale, Marco Pagot vive solitario sulla costa dalmata e campa come cacciatore di taglie sul suo idrovolante rosso. Ricercato dalla Polizia Segreta Fascista, deve vedersela anche con i pirati del gruppo Mamma mia. La concorrenza di un pilota gradasso USA, al soldo dei pirati, turba i suoi rapporti con la bella Gina, già vedova di tre piloti, e con Fio, ingegnosa e audace ragazzetta che gli ripara l'aereo scassato. Con toni che vanno dallo slapstick al dramma, il 6° film di animazione di Miyazaki è un gioiello dove è centrale il volo, motivo sempre presente nei suoi film (non a caso la sua casa di produzione si chiama Ghibli). Oltre all'animazione di alta qualità dinamico-grafica, la parte più ghiotta è il lungo intermezzo pacifico per la riparazione dell'idrovolante cui provvede una squadra di donne tra cui 3 vispe nonnine. Paesaggi lagunari fantasiosamente venezianeggianti. Il cognome dell'eroe è un omaggio a Nino Pagot, uno dei pionieri dell'animazione italiana. Distribuito da noi solo nel novembre 2010. da Laura, Luisa e Morando Morandini, Il Morandini 2014, Zanichelli editore 2013 lunedì 9 febbraio 2015 – ore 14.30 Uomini contro di Francesco Rosi, Italia 1970 su Uomini contro Quando l'hanno dato in televisione, qualche tempo fa, Uomini contro è stato apprezzato anche da coloro che alla sua uscita non l'avevano amato. E' uno dei miei film che amo di più. C'era il libro di Emilio Lussu, bellissimo, di cui mi aveva attratto la scoperta che lui faceva della guerra come un fatto di classe: dentro la stessa trincea c'erano i contadini e i borghesi, e i contadini seguivano le vicende della guerra come se fosse una calamità naturale. La guerra che Lussu descriveva non era una guerra di popolo, era una guerra con delle logiche di classe molto forti. Così abbiamo costruito questa sceneggiatura mettendo in rilievo personaggi che dovevano rappresentare una diversa ottica di cinse, in fin dei conti tre: Volontè, Frechette, Cuny. Il generale Leone di Cuny é un personaggio che crede ciecamente nel potere e nel fatto di rappresentarlo, ed in questo ha una sua grandezza, perché è come costretto a essere coerente in fondo con la sua immagine. Tutti i personaggi finiscono per rappresentare un certo livello di coscienza politica: il socialista, il monarchico, il giovane borghese interventista. In questo mi sono spinto molto più avanti di Lussu, ho accentuato delle cose che nel suo libro c'erano, ma non così chiare, perché il film è fatto dopo tanti anni dal libro con una coscienza diversa degli avvenimenti. E poi, io non volevo fare l'illustrazione cinematografica del libro. Per Uomini contro venni denunciato per vilipendio dell'esercito, ma sono stato assolto in istruttoria. Il film venne boicottato, per ammissione esplicita di chi lo fece: fu tolto dai cinema in cui passava con la scusa che arrivavano telefonate minatorie. Ebbe l'onore di essere oggetto dei comizi del generale De Lorenzo, abbondantemente riprodotti attraverso la televisione italiana, che a quell'epoca non si fece certo scrupolo di fare pubblicità a un film in questo modo. Francesco Rosi, www.geocities.com lunedì 23 febbraio 2015 – ore 14.30 Una lunga domenica di passioni di Jean-Pierre Jeunet, Francia 2004 su Una lunga domenica di passioni Nel piombo del cielo e nei marroni della terra intrisa di pioggia, la macchina da presa scende lenta verso una trincea. Prima, però, appeso per la mano a uno spuntone che si confonde tra i cavalli di Frisia, scopre qualcosa che somiglia a un braccio. […] A penzolare in mezzo all’inferno è il moncone spezzato di un Cristo in croce, immagine delle centinaia di migliaia di poveri cristi inchiodati alla follia omicida di Verdun e della Somme. […] Non c’è più vita, sui due lati della terra di nessuno. Non c’è più futuro. Non c’è più passato. Non ci sono più storie […]. Inutilmente la regia e la sceneggiatura - di Jean-Pierre Jeunet e GuillameLaurant, da un romanzo di Sébastien Japrisot - ce ne mostrano i colori, l’unicità irripetibile. La guerra le ha spazzate via, le ha disperse come un colpo di vento ha fatto con il fieno del contadino, il giorno che fu costretto a partire per il fronte. Eppure, almeno per Manech (Gaspard Ulliel), quei colori e quell'unicità non sono del tutto perduti. Li custodisce nella memoria e nella speranza la sua tenera, fortissima Mathilde (Audrey Tautou). Roberto Escobar, «Il Sole-24 Ore», 20 febbraio 2005 lunedì 9 marzo 2015 – ore 14.30 La Grande Guerra di Mario Monicelli, Italia 1959 su La Grande Guerra La grande guerra è, da un lato, il frutto della maturazione di uno dei più proficui artigiani che il cinema italiano abbia conosciuto dalla fine della guerra, Mario Monicelli; dall'altro, nasce dall'intraprendenza del produttore italiano di maggiori ambizioni dell'epoca, Dino De Laurentiis. Il film realizza la fusione, per certi versi insuperata, tra la critica di costume della commedia e una prospettiva di riflessione storica non edulcorata; quest'ultima si dimostra capace di affrontare il passato con la stessa lucidità e lo stesso anticonformismo con il quale il cinema seguiva l'evoluzione della società italiana contemporanea. Il carattere antiretorico del film non mancò di suscitare reazioni sulla stampa sin dalla fase delle riprese, ma il suo successo di pubblico contribuì più di qualsiasi saggio alla demitizzazione della storiografia patriottica e romantica che aveva da sempre occultato il massacro della Prima guerra mondiale, sotto l'oratoria dell'ardimento e del sacrificio. La 'grande guerra' non era mai stata affrontata dal cinema italiano, se si eccettuano alcuni mediocri tentativi durante il fascismo e sporadiche produzioni minori negli anni successivi. Il fatto che il primo film che si prendesse la responsabilità di farlo scegliendo un indirizzo decisamente antieroico finisse per turbare anche un intellettuale tradizionalmente ostile alla retorica come Gadda ("Nessun pubblico francese o tedesco riderebbe a quel modo se i sacrificati, se i nomi in gioco, fossero di Francia o Germania", scrisse all'uscita del film), dà la misura dell'autentico tabù culturale che esso osò abbattere. da Enciclopedia del Cinema (2004), Treccani.it