Elisabetta Vecchia matricola 4110144 Quando rigore minimale e forme sinuose, attraverso colori, tessuti e proporzioni creano la quintessenza della bellezza allora stiamo parlando di arte della moda, e chi meglio di Giorgio Armani può essere definito l’architetto della moda? Giorgio Armani, stilista e imprenditore, è nato a Piacenza l’11 luglio 1934, dopo il liceo Scientifico intraprende gli studi di Medicina, che abbandona dopo qualche anno. Viene assunto come merchandiser a La Rinascente di Milano, allora, vera e propria fucina di talenti creativi. Dal 1965 e per sette anni è stilista per la linea Cerruti della Hitman. Successivamente, lavora come freelance per Gibò, Montedoro e Sicons. In occasione di una sfilata nella Sala Bianca di Palazzo Pitti a Firenze, il giovane Armani si fa notare con una collezione per la Tendresse. La sua prima collezione è acclamata per le sue rivoluzionare giacche "destrutturate" e per il trattamento originale degli inserti di cuoio che appaiono nei vestiti dedicati alla linea casual. La firma di Giorgio Armani è la giacca: sarà lui a rivisitare sulla donna l'abbigliamento maschile più classico. Smonta e ricrea il capo, elimina le tele di sostegno interne e l’imbottitura, sposta i bottoni, modifica le spalline. Nel 1974 rinasce prima la giacca da uomo che ha un aspetto meno contratto, e quella femminile l’anno successivo. La sua dress revolution collima con un periodo storico in cui la donna in carriera rivendica la propria emancipata femminilità, uno stile pregno di rimandi dal maschile al femminile e viceversa. Nel 1975 dà vita assieme a Sergio Galeotti alla società Giorgio Armani S.p.A., con una linea maschile e una femminile, ready-to-wear. Inizia così la grande stagione milanese dell’alta moda pronta, ovvero un prêt-à-porter disegnato da uno stilista Nel 1982, la consacrazione definitiva, quella attribuita dalla classica copertina del settimanale Time, forse il magazine più prestigioso al mondo. Più volte premiato con il Cutty Sark Award come migliore stilista internazionale di abbigliamento maschile. Nel 1983 il Council of Fashion Designers of America lo "elegge" Stilista internazionale dell'anno" Sul finire degli anni ’80, avviene un altro cambiamento nella donna Armani. Abbassata la guardia dell’androginia, ora sceglie abiti che confermino il suo essere femminile e sensuale. Nel 1986 i primi favolosi abiti da sera, accompagnati da piccole pochette come la clasp, un vero gioiello. L’eleganza Armani fine anni ‘80 e anni ‘90 richiama etnicità orientali: frange e perline, cheongsam in collezioni d'ispirazione cinese. L’alta moda Armani si ispira al Giappone con disegni e fantasie floreali che richiamano kimono reinventati nelle forme. Nel 2000, il museo Guggenheim di New York ha celebrato l’influenza culturale di Armani, anche attraverso il suo stile nel cinema e nelle arti performative: ha vestito Richard Gere in American Gigolò, Catherine Deneuve in Speriamo che sia femmina foto del film “American Gigolo” Sono suoi gli abiti ne Il tè nel deserto di Bernardo Bertolucci e i costumi disegnati per l’Elettra di Strauss e, nel 1980, per Janis Martin in Erwartung di Shonberg alla Scala di Milano. Ha realizzato gli abiti per The untouchables (1987; The untouchables ‒ Gli intoccabili) di Brian De Palma o a quelli indossati da Ving Rhames in Pulp fiction (1994) di Quentin Tarantino. Scena del film “Gli Intoccabili” Scena del film “Pulp Fiction” La Giorgio Armani S.p.a. è una delle ultime compagnie privately-owned del settore moda, che si occupa del lifestyle contemporaneo a 360 gradi, dall’abbigliamento agli accessori, dalla cosmesi all’arredamento, passando per gli hotel di lusso. Intervista a Giorgio Armani • Partiamo dalla sua infanzia, da bambino quali erano i suoi giochi, attività preferite? e queste potevano lasciar presagire qualcosa sul suo futuro lavoro? • Da piccolo giocavo coi soldatini, ma soprattutto col meccano e col traforo, mi ricordo che stavo dei pomeriggi interi perdendo la cognizione del tempo. Diventato un po’ più grande andavo al mercato di Senigallia (mercato delle Pulci milanese) dove portavo a casa qualsiasi strano oggetto, per poi lavorarci dietro delle giornate intere. Ero molto abile nei lavori manuali e per questo ero sicuro che avrei fatto un lavoro che poteva sfruttare questa mia abilità. I suoi studi l’hanno aiutata nello sviluppo della sua professionalità? Direi di si, io ho fatto il liceo scientifico, che mi ha dato un certo tipo di formazione e mi ha permesso di sviluppare un certo modus operandi fatto di ordine, rigore e precisione. Al liceo ho appreso inoltre nozioni basilari di prospettiva, massa, volume che mi hanno aiutato nella creazione dei miei bozzetti. Certo non ho frequentato le scuole d’arte e gli atelier, ho imparato molto sulla moda lavorando all’ufficio “stile-moda” della Rinascente, e dà lì fui poi assunto come assistente di Cerruti: iniziò così il mio vero apprendistato da stilista. • Mi parli un po’ della decisione di creare giacche destrutturate? • Da buyer presso Rinascente dovevo accontentare un certo tipo di clientela, ma gli abiti erano troppo rigidi e rendevano gli uomini tutti uguali. Quando mi sono messo in proprio ho potuto liberarmi di tutte quelle “strutture” nelle giacche e creare un tipo di giacca che esaltasse il corpo. • Come riuscì a realizzare questa destrutturazione della giacca? • Cominciai facendo degli esperimenti e lasciando cadere il tessuto sul corpo di un uomo, per vedere quelli che potevano essere chiamati i “difetti”. La decostruzione permetteva più libertà di movimento. Si trattava di scomporre una giacca e ricrearla in base ad alcuni nuovi concetti base, le proporzioni ed i volumi cambiavano così come la struttura interna era stata modificata. • Cosa ne pensa di chi dice che fare lo stilista è un po’ come essere un architetto? • Penso che non abbia tutti i torti, nel senso che per fare questo lavoro bisogna avere un senso delle proporzioni: in fondo l’abito per essere un buon abito deve seguire le forme del corpo senza mascherarle, ma esaltandole e deve inoltre essere proporzionato al corpo ed alla statura della persona. • Qualche anno fa ha preso la decisione di allargare il suo campo di affari arrivando a progettare anche cose per la casa, perché? • Perché volevo dimostrare a me stesso che potevo riuscire in campi diversi dalla moda. Infatti ho deciso di intraprendere questa strada nella convinzione che potevo essere bravo come e più di un architetto e designer di oggetti e mobili per la casa. Partivo dall’idea di progettare la mia linea Casa rispettando il concetto di intimità della casa stessa. Mi sono quindi messo a progettare accessori e mobili per la casa secondo uno stile concreto e con un concetto modulare che rappresenta il mio stile . • Quali pensa siano i tratti caratteriali che la contraddistinguono e che la aiutano ad essere un architetto della moda? • Sicuramente il fatto di fidarmi solo di me stesso, di non essere indulgente sul lavoro verso chi commette errori: pretendo il massimo da me e dagli altri, e non sono contento finchè non l’ho raggiunto. Per me il lavoro viene prima di tutto, in questo posso definirmi uno stakanovista. Nel lavoro amo molto provocare, perché solo nella provocazione mi vengono le mie migliori idee. • Come percepisce lo spazio? Lo spazio è la cornice che da riverbero ai miei abiti: essi, per essere rappresentati al meglio hanno bisogno di stanze ampie, pulite e moderne. Non è vero che che una collezione può stare ovunque. Per capire a fondo il mio stile occorre anche un ambiente creato ad hoc. Anche se per me al di là dello spazio delle sfilate, lo spazio è qualcosa di privato, intimo, proprio come quello di casa. La casa infatti è il mio spazio privato, l’unico veramente mio.Dovunque vada vorrei avere un casa piuttosto che vivere in albergo perché essa rappresenta un rifugio, con le sue atmosfere giuste: un posto dove posso sentirmi sereno. La mia casa di Milano è stata concepita come uno spazio molto grande quasi non vi fosse niente da metterci, dove niente è definitivo o certo. Amo molto gli spazi vuoti, dove posso aggiungere sempre qualcosa, per questo le mie pareti sono spesso disadorne. • So che lei non lascia niente al caso nelle sue sfilate, anche lo spazio si sottomette alla sua logica, infatti so che ha creato l’Armani teatro…. • Si, infatti nel 2001 ho ristrutturato l’ex fabbrica Nestlè, nella zona di porta Genova, e l’ho trasformata per diventare una protagonista delle mie sfilate. Questo spazio è stato progettato da Tadao Ando secondo quelle che erano le mie esigenze in termini di funzionalità e linearità. Si tratta di una struttura scarna, monumentale al tempo stesso, con grandi quinte fisse che si alternano a leggere aperture che producono tagli di luce ed interrompono il cemento grigio. Tutto è crudo ed austero in attesa che la presenza umana lo ravvivi. Bibliografia • Renata Mohlto, “Essere Armani”, ed Baldini Dalai, Milano, 2006 Siti: • www.vogue.it • www.wikipedia.it