QUANTO INNOVANO REALMENTE LE PMI? Ottobre 2014 Piccola Industria Confindustria, in collaborazione con l’Area Innovazione e Education, ha avviato un sondaggio sull’innovazione implicita con l'intento di raccogliere alcuni elementi con cui confermare la reale capacità innovativa delle PMI. L’obiettivo è dare evidenza alla forte attività innovativa che contraddistingue l’attività delle imprese e contribuisce, rimanendo comunque spesso implicita e non capitalizzata, a costruire nuovi percorsi di crescita e sviluppo. Ecco in sintesi i primi risultati. Chi sono le imprese intervistate Il sondaggio - che ha preso spunto da un’analoga rilevazione effettuata nel 2007 “Si fa ma non si dice: l’innovazione implicita nella Piccola Industria” – è stato indirizzato agli imprenditori del Sistema. Le prime 107 PMI che hanno partecipato, sono in prevalenza: piccole: il 18% ha meno di 9 addetti, il 61% ha un numero di dipendenti tra 10 e 50 e il 21% tra 50 e 250; con un fatturato prevalentemente al di sotto dei 30 milioni di euro (per tre quarti entro il limite dei dieci milioni di euro); con sede su tutto il territorio nazionale: 69% sono del Nord Italia, 16% del Centro e 15% del Sud; trasversali a tutti i settori, ma con una larga prevalenza di manifattura e con un peso delle attività di produzione meccanico-strumentali che vale circa un terzo del campione. Sono imprese ancora molto baricentrate su mercati di prossimità che hanno come “mercato più importante in assoluto” quello nazionale (47,7%) e regionale (15,9%). Tuttavia non è da trascurare la quota di coloro i quali guardano lontano e che per il 16,8% hanno come mercato di riferimento l’UE28 e per il 4,7% l’extra UE (Stati Uniti e Cina in primo luogo). Quota peraltro cresciuta rispetto all’indagine condotta nel 2007. Un warning è legato alla cronaca di queste settimane perché tutt’altro che disprezzabile è la quota di coloro i quali hanno indicato la Russia come proprio mercato d’interesse e posizionamento. Comunque vi è un’alta incidenza export sul fatturato: il 40,2% degli intervistati esporta più del 25% del fatturato e un quarto del campione esporta per oltre il 50%. La quota di spesa per investimenti in innovazione in rapporto ai ricavi dell’azienda mostra un mondo in intenso movimento, con una significativa quota di intervistati che spende oltre il 10% (più di un quarto di intervistati) e poco meno del 30% che spende tra i 5 e il 10%. Questa quota ampia di imprese dinamiche convive con una parte ancora sostanziosa, anche se inferiore alla metà degli intervistati, che limita la propria spesa e propensione fino a un limite del 5%. Nel dettaglio: Il 26,2% più del 10%; Il 28% tra il 5% e il 10%; il 19,6 tra il 2% e il 5%; il 26,2% fino al 2%. Tale propensione si riflette anche nell’organizzazione dove la quota di coloro che dichiarano di avere personale specificamente dedicato ad attività sperimentali e di innovazione in misura apprezzabile (almeno due addetti) è del 36,4%. Il 37,4% non ha addetti dediti all’innovazione o dedica al massimo una quota parte del tempo di una persona. Si tratta di attività innovative a 360 gradi. La fotografia degli ultimi tre anni sottolinea infatti un impegno: nell’innovazione di prodotto (43,8%); nell’innovazione di processo (29,6%); …. ma anche di lean management (26,7%). La conferma di un mondo in pieno movimento e mutamento culturale viene evidenziato anche dal fatto che negli ultimi tre anni la quota di coloro che dichiarano di non aver introdotto alcun significativo contributo innovativo né di prodotto, né di processo, né organizzativo, scende da quasi un terzo a poco più di un quarto del campione. La quota di coloro che invece dichiarano di avere operato significativamente su alcuni degli assi dell’innovazione aziendale supera il 72% degli intervistati ed è apprezzabile vedere una certa accelerazione in questo processo nel 2014 in confronto ai due anni precedenti. Ha introdotto significative innovazioni di prodotto, processo, organizzative/gestionali nel 2012, 2013, 2014? ANNI 2014 2013 2012 0 10 20 30 40 50 60 70 NO 2012 34.6 ANNI 2013 31.8 2014 28 SI 65.4 68.2 72 80 La forte necessità di investire in innovazione ulteriormente confermata guardando agli “innovatori”. viene L’accelerazione con cui le “PMI innovative” hanno scommesso sulla crescita (puntando sull’innovazione di prodotto, processo o gestionale) è del tutto evidente. Si passa dal: 50,6% di chi ha dichiarato una spinta innovativa “molto significativa” e “abbastanza significativa” tra il 2011 e il 2012 al 69,6% tra il 2013 e il 2014. Se ha risposto SI, qual è stata la dinamica delle attività di innovazione di prodotto processo, di processo o organizzative/gestionali tra un anno e l’altro? L’imprenditore italiano si conferma come attento particolarmente al lavoro innovativo sul prodotto, in particolare tramite attività sperimentali o di ricerca o al rinnovo degli asset strumentali dell’azienda con nuovi macchinari o alla formazione per introdurre prodotti, servizi e processi nuovi o migliorati. Importante la propensione sugli intangibles tramite acquisizione o valorizzazione di licenze e brevetti proprietari e al lean management. Restano apprezzabili ma ancora troppo deboli gli sforzi di collaborazione con entità di ricerca e innovazione esterne all’azienda e la propensione a servirsi di assessment e servizi di benchmark e posizionamento sulle tecnologie. Nel dettaglio, l’impegno in innovazione nel 2013 e nel 2014 è stato “molto e/o abbastanza rilevante” in particolar modo per le attività di: “ricerca e sviluppo all’interno dell’impresa” (73,9%); “acquisizione di macchinari e attrezzature” (50,4%); "formazione per introdurre prodotti, servizi e processi tecnologicamente nuovi o migliorati” (48,6%). Seguono le attività per: “valorizzare il know-how aziendale e il patrimonio intangibile” (45,8%); “lean management” (43,9%); “design e progettazione industriale” (42,1%). Incidenze percentuali inferiori riguardano “altre attività finalizzate all’innovazione di prodotto e processo” (41,1%) e “altre innovazioni relative alla commercializzazione, marketing, finanza, logistica” (41,1%). Chiudono la classifica “l’acquisizione di tecnologia” (32,7%), “l’acquisizione dall’esterno di servizi di R&S” (29,9%) e le “attività di riposizionamento tecnologico” (20,6%). Il campione di imprese, che dimostra attenzione alla leva innovativa e alla ricerca sperimentale, che esprime un dinamismo e una spinta significativa in molte sue parti, che sta cercando anche di accelerare questa sua propensione, lo fa ancora in modo empirico, sfruttando le competenze e le sensibilità interne, senza aver organizzato alcun processo formale di registro e misurazione dell’investimento e del processo innovativo sull’organizzazione e le revenues dell’impresa. Un 10-11% di PMI pioniere ha comunque strutturato sistemi di misurazione del ritorno e sarà interessante monitorare l’andamento di questo indicatore nei prossimi anni. Tra queste la quota di chi dichiara un’incidenza positiva dell’investimento in innovazione sul fatturato in una misura compresa tra il 6 e l’8% è la larga maggioranza (il 41%, con una percentuale che sale al 58,4% considerando una variazione % del fatturato tra il 4 e l’8%). E’ presente anche una correlazione positiva sulla crescita dei dipendenti dell’impresa che per il 33,3% del campione è quantificabile in una variazione % del numero di addetti compresa tra il 4 e il 10%. Il sondaggio ha voluto approfondire anche la distribuzione delle attività esplicite e di quelle implicite*, con riferimento all’innovazione di prodotto, di processo e gestionale. Complessivamente si intensifica lo sforzo in termini quantitativi e si registra una spinta positiva a rendere esplicita e in chiaro l’attività di innovazione realizzata. Da un lato però è ancora presente una quota importante di coloro che indicano che parte dell’attività di “R&S realizzata all’interno delle imprese”, “di formazione per introdurre nuovi prodotti, servizi, e processi tecnologicamente nuovi o migliorati”, di “commercializzazione di prodotti innovativi”, “di lean management” o per la “valorizzazione del know how aziendale e del patrimonio intangibile” è ancora totalmente implicita e informale (23%). Dall’altro la quota di coloro i quali rendono totalmente trasparente l’attività di R&I è robusta e apprezzabile, relativamente a tutte le azioni innovative proposte, siano di acquisto (k-H, brevetti, macchinari..) – e quindi ovviamente esplicite - o di carattere organizzativo interno (design, lean management, formazione, assessment vari..). * La differenza tra implicito ed esplicito sta nel fatto che i costi di ricerca e innovazione, di acquisizione di brevetti, macchine e attrezzature, di acquisto di servizi, di formazione del personale, di attività di progettazione, di attività di sviluppo prodotti, di attività di sperimentazione e così via sono stati o meno imputati e contabilizzati come tali e quindi risultino esplicitati o meno nelle voci di Conto Economico. Ma quali sono le ragioni principali dell’implicito ovvero quelle che spingono a non esplicitare i costi delle diverse componenti che concorrono a innovare i prodotti, i processi e i sistemi gestionali? Dall’analisi del percepito sulle ragioni principali dell’implicito risulta che: 8 aziende su 10 sottolineano che l’impegno costante realizzato per migliorare prodotti e processi diventa parte ordinaria dell’agire d’impresa ed è sostanzialmente difficile distinguere tra specifiche azioni di innovazione vere e proprie dall’attività ordinaria; 6 aziende su 10 sono frenate da ragioni connesse agli ammortamenti. In particolare dalla necessità di effettuare ammortamenti su base pluriennale anziché poter addebitare interamente le spese sostenute nell’esercizio in corso; 6 aziende su 10 sono frenate dal seguire la strada dell’esplicitazione dei costi in tutti i dettagli, perché è troppo complicato e costoso procedere alla contabilizzazione di tutte le poste che hanno a che fare con l’attività innovativa; 4 imprese su 10 non posseggono in azienda risorse umane e organizzative; 4 imprese su 10 non hanno la consapevolezza del valore del know how. E’ chiaro quindi che l’imprenditore risente ed esprime con chiarezza la difficoltà a porre un discrimine chiaro tra ciò che è rubricabile ad attività di innovazione e ricerca vera e propria e la quotidiana manutenzione innovativa sui processi e sui prodotti. Una difficoltà complessiva di carattere tassonomico-culturale a cui si assommano anche le difficoltà o la resistenza materiale a registrare in maniera esplicita l’attività di R&I aziendale a causa dei vincoli bilancistici noti e su cui occorre lavorare.