Temi emergenti e misurazioni statistiche: il caso dei beni relazionali Leonello Tronti | Scuola superiore della pubblica amministrazione Cosa sono i beni relazionali? • • • • La possibilità di considerare le relazioni umane non strumentali come beni, rientranti nel perimetro dell’analisi economica, compare alla fine dell’800 (Menger, 1871; Böhm-Bawerk, 1881) e viene poi ripresa nei primi decenni del ‘900 (Wiksteed, 1910; Robbins, 1935). Ma è nella seconda metà degli anni ‘80 che la categoria di «bene relazionale» viene introdotta nel dibattito teorico, in modo indipendente e quasi contemporaneo da quattro autori: la filosofa Martha Nussbaum (1986), il sociologo Pierpaolo Donati (1986) e gli economisti Benedetto Gui (1987) e Carole Uhlaner (1989). I beni relazionali vengono definiti come «rapporti intersoggettivi basati su componenti emozionali di carattere nobile», come l’amicizia, l’amore e le più forti relazioni di carattere affettivo (Nussbaum). Questi sono caratterizzati da vari aspetti, tra i quali: • • • • • la produzione e il consumo diretto da parte degli stessi agenti della relazione (Gui, Uhlaner), la finalità di reciproco aiuto (Nussbaum), la volontarietà (Nussbaum, Donati, Uhlaner), la reciprocità (Nussbaum, Donati), la durata nel tempo (Donati, Gui). Rilevanza per l’analisi economica • Gli economisti (Gui, Uhlaner) non escludono che i beni relazionali possano avere anche motivazioni strumentali e che comunque possano anche essere un «prodotto congiunto» delle transazioni interpersonali, anche di natura economica. • Uhlaner indica, nell’ambito della teoria dei giochi, il valore di questi beni nella loro fondamentale caratteristica di poter risolvere il dilemma del prigioniero dell’azione collettiva con un comportamento cooperativo, senza richiedere l’apprendimento attraverso la ripetizione del gioco. • Gui segnala che, oltre agli effetti tangibili, le transazioni interpersonali producono comunque fenomeni relazionali in termini di: a) beni relazionali consumati dai soggetti interagenti, b) cambiamenti del capitale umano degli stessi. • Quest’ultima notazione pone un’importante relazione tra i beni relazionali e il capitale umano degli agenti economici. Beni relazionali, capitale umano, capitale sociale • Ai fini di una corretta concettualizzazione e misurazione dei beni relazionali, emerge la necessità di distinguere chiaramente questa tipologia di relazioni interpersonali: • da un lato dal capitale umano che caratterizza l’individuo, • dall’altro dal capitale sociale che caratterizza la collettività nella quale l’individuo si colloca (famiglia, rete amicale, comunità, locale, impresa, comunità professionale ecc.). • In generale, alcuni aspetti comunemente associati al concetto di capitale sociale (civicness, fiducia, bassa criminalità, partecipazione ecc.), che caratterizzano una collettività, debbono trovare un fondamento o un corrispettivo individuale nella qualità delle relazioni interpersonali tra gli individui che la compongono (beni relazionali). • In altri termini, beni relazionali e capitale sociale non sono altro che i due lati (individuale e collettivo) dello stesso fenomeno, ovvero la determinante della qualità sociale vista da lato dell’individuo o da quello della collettività. Beni relazionali, progresso economico e felicità • Inoltre, il rapporto (che vedremo meglio più avanti) tra progresso economico, capitale umano e capitale sociale sostiene l’ipotesi che i beni relazionali costituiscano l’elemento catalizzatore che consente al capitale umano degli individui di valorizzarsi e trasformarsi in capitale sociale della collettività. • Dunque, la letteratura sui beni relazionali si incentra solitamente: a) sugli effetti di questo tipo di beni sulla felicità delle persone, o sulla soddisfazione per la qualità della propria vita, b) Oppure sugli effetti sulla produttività, la crescita economica, la soddisfazione sul lavoro. Felicità e paradosso di Easterlin • Il tema della relazione tra felicità e beni relazionali può essere inquadrato nella problematica sintetizzata dal «paradosso di Easterlin» (1974): • All’aumentare del reddito (individuale, ma anche tra i paesi, tra i territori e nel tempo), la felicità cresce fino ad un certo punto e poi comincia a diminuire, secondo una curva ad U rovesciata. • Questo risultato empirico è stato spiegato in vari modi, basati su effetti di natura psicologica: • con la teoria del tapis roulant o treadmill (satisfaction treadmill e hedonic treadmill) dallo stesso Easterlin (1974), • con la teoria del reddito relativo (positional treadmill) (Frank, 1999). La teoria relazionale della felicità • Alla spiegazione del paradosso di Easterlin offre un contributo importante la cd. Scuola italiana della teoria relazionale della felicità (ad es. Bruni e Zamagni, 2004; Bruni 2004). Questa, pur considerando il reddito un requisito importante per la felicità, ritiene che l’essere umano per essere felice necessiti di relazioni disinteressate e volte al bene reciproco, ovvero di beni relazionali: • «La felicità ha natura paradossale proprio perché è costitutivamente relazionale: una ‘vita buona’ non può essere vissuta se non con e grazie agli altri» (Bruni e Zamagni, 2004). • In estrema sintesi, la teoria relazionale ipotizza perciò che la felicità sia una funzione tanto del reddito quanto dei beni relazionali: F = f (Y, R) • Ma la teoria suppone anche che un incremento del reddito oltre una certa soglia provochi un deterioramento delle relazioni sociali e un depauperamento dei beni relazionali, che sarebbero all’origine dell’«infelicità» degli individui e dunque del paradosso di Easterlin. Relazionalità e mobilità • • • • Un’interpretazione dei possibili effetti negativi dell’aumento del reddito sui beni relazionali è stata avanzata da Gui (1995), in relazione al fatto che l’elevato grado di mobilità connesso con i moderni sistemi produttivi e di allocazione della manodopera tenderebbe a interrompere i legami interpersonali di lunga durata e a scoraggiare «l’investimento in relazioni» attraverso una caduta dei ritorni attesi, anche in termini di ‘economie di prossimità’. Gli effetti della mobilità, della durata del lavoro e della riduzione del tempo di svago sulla felicità vengono messi in risalto anche dalle analisi empiriche di Kahneman (Kahneman e altri, 2006). L’utilizzo della metodologia dell’experienced happiness, consente di evidenziare come, al crescere del reddito, aumenta nell’arco della giornata il tempo in cui i soggetti indagati si dichiarano tesi e stressati, e si registra una riduzione del tempo trascorso in uno stato di felicità. I risultati mostrano però, in generale, effetti negativi sulla felicità percepita più deboli di quelli evidenziati dalle indagini sulla life satisfaction e appaiono legati: • da un lato all’aumento delle ore di lavoro e di trasporto casa-lavoro, giudicate dagli intervistati particolarmente stressanti, • dall’altro soprattutto alla riduzione delle ore di svago passivo (guardare la televisione, leggere libri ecc.). La focusing illusion • Kahneman ha condotto studi empirici mirati a superare la focusing illusion che si registra quando si chiede alle persone se si sentono in generale poco, mediamente o molto felici sulla base di un apprezzamento globale delle proprie condizioni di benessere (life satisfaction). • Troppo spesso le misure di carattere generale dello stato di felicità o di soddisfazione per la qualità della vita presentano rilevanti oscillazioni a seconda degli aspetti su cui è focalizzata l’indagine (ad es. sul reddito, sulla salute, sul lavoro ecc.) e di come è formulata la specifica domanda sulla felicità. • L’“illusione della focalizzazione” consiste nel fatto che le valutazioni globali sulla propria soddisfazione espresse dagli intervistati mostrano di risentire in misura eccessiva di giudizi sintetici di carattere generale, attribuibili alle proprie condizioni, che emergono a partire da valutazioni astratte o dal comune modo di sentire, ad esempio con riferimento alla solitudine, all’handicap, alla discriminazione e soprattutto al livello del reddito. La measure of experienced happiness • Questionari che propongono domande sulla salute, la condizione familiare o il reddito influenzano in modo evidente le risposte perché “filtrano” la condizione di felicità o di soddisfazione espressa dal soggetto focalizzando la sua valutazione su determinati aspetti della sua condizione, rispetto ai quali il soggetto ha già elaborato o acquisito dall’esterno valutazioni strutturate. • La conseguenza è che, a seconda degli ambiti indagati dal questionario e della stessa formulazione delle domande sulla felicità, i risultati di indagine cambiano notevolmente. • Per questo Kahneman propone una metodologia di stima diversa, che definisce “misura della felicità percepita” (measure of experienced happiness), basata non su di una troppo influenzabile valutazione della propria condizione globale, bensì su di una più stabile ricostruzione della felicità (ma anche della tensione e dello stress) quali vengono percepiti nel corso delle varie attività compiute nell’arco di un giorno (preferibilmente il giorno precedente l’intervista). Beni relazionali e soddisfazione sul lavoro • Helliwell e Huang (2008) verificano attraverso modelli di regressione, quanto influiscono sulla life satisfaction o sulla felicità “globale” il reddito da lavoro, la qualità dei rapporti di lavoro e diverse altre caratteristiche non finanziarie del luogo di lavoro. • La felicità dichiarata dai lavoratori viene posta in relazione con il reddito da lavoro (o con il reddito familiare), con l’outcome relazionale fondamentale nei luoghi di lavoro (la fiducia nei colleghi di lavoro o la fiducia nel management) e con un vettore di controlli che riguardano il lavoratore (condizioni di salute, sesso, età, stato di famiglia, livello di istruzione, iscrizione al sindacato), alcuni aspetti del lavoro svolto (livello di abilità richiesto, varietà dei compiti, disponibilità di tempo per finire il lavoro nel modo migliore, libertà da richieste in conflitto tra loro, autonomia decisionale) e altri aspetti di capitale sociale al di fuori dell’ambiente di lavoro (relazioni con parenti, amici e vicini; livello di fiducia in generale, nei vicini, nella polizia; importanza della religione e frequenza di partecipazione ai riti religiosi). Tradeoff tra aspetti monetari e relazionali • La strategia cognitiva è quella di usare l’analisi di regressione per stimare i valori relativi (in termini di soddisfazione/felicità) delle caratteristiche finanziarie e non finanziarie del lavoro svolto. Questo approccio consente di valutare come un determinato livello di felicità può essere raggiunto a partire da diverse combinazioni di reddito e aspetti non finanziari, identificando livelli di tradeoff tra il reddito monetario e singoli regressori. • I risultati mostrano valori sorprendentemente alti per le caratteristiche non finanziarie, in particolare per la caratteristica relazionale della fiducia nel luogo di lavoro (nei confronti dei colleghi o dei dirigenti): • ad esempio, un aumento del 10 per cento della fiducia nei dirigenti si dimostra equivalente, in termini di soddisfazione/felicità, ad un aumento del reddito di più del 30 per cento. • Il risultato può essere letto come evidenza del fatto che per mantenere il livello di soddisfazione dei lavoratori, sarebbe necessario compensare una perdita di fiducia nei dirigenti del 10 per cento con un aumento del reddito in proporzione più che tripla, e quindi come attestazione generale della superiorità degli aspetti relazionali rispetto a quelli monetari per il conseguimento di un determinato livello di soddisfazione/felicità. Beni relazionali e crescita • • • • Un diverso filone di studi, anch’esso sviluppato in Italia, si concentra sui legami tra le relazioni interpersonali e l’attività economica. Questi lavori sottolineano che la performance di una determinata unità produttiva, oltre a dipendere dalla quantità di capitale e lavoro impiegati (nonché dalla qualità di quest’ultimo in termini di capitale umano), va messa in relazione con gli elementi relazionali che collegano tra loro gli agenti economici. In altri termini, la crescita economica viene affrontata dalla prospettiva della funzionalità della struttura relazionale che gli agenti economici costruiscono tra loro. In particolare, questo dibattito (Brunetta e Tronti, 1994; Scandizzo, 1995; Gui, 1995; Brunetta e Tronti, 1995; Fondazione Giacomo Brodolini, 1997; Scandizzo 1997; Tronti 1997; Tronti e Toma, 1999) ripropone il concetto di beni relazionali in un’accezione significativamente diversa da quella che abbiamo visto sinora: • l’oggetto di analisi sono le relazioni interpersonali che favoriscono lo sviluppo dell’economia e l’efficienza del mercato del lavoro piuttosto che quelle che producono identità, soddisfazione o felicità. Beni relazionali e produttività • Modalità di interrelazione appropriate vengono definite “beni relazionali” in quanto permettono di conseguire livelli o tassi di crescita della produttività più elevati della media dei risultati delle singole unità. • Uno studio della Fondazione Giacomo Brodolini (1997) definisce i beni relazionali come “l’insieme di culture, valori, rapporti, interconnessioni, sinergie che consentono una produttività più diffusa e superiore a quella ottenibile da individui di uguale capitale umano, ma operanti in un diverso assetto relazionale”. • Ad ogni tipologia relazionale (tipologia di mercato, distretto, filiera, modello organizzativo, struttura dei flussi informativi, modalità di gestione della conoscenza ecc.) si associa un determinato livello di esternalità che, coeteris paribus, consentirebbe un determinato livello di produttività. Beni relazionali e valorizzazione del capitale umano • Tenuto conto dei legami tra capitale umano e produttività, e del fatto che non diversamente dal quello fisico anche il capitale umano può essere solo potenziale o invece effettivo, a seconda della sua concreta partecipazione al processo produttivo, i beni relazionali possono dunque essere definiti anche come “quell’assetto relazionale che consente a ciascun individuo di valorizzare il proprio capitale umano potenziale” (ivi) . • In sintesi, da questo dibattito si può trarre l’ipotesi di lavoro che alcuni beni relazionali (ma quali? Gli stessi ipotizzati dalla letteratura sul paradosso della felicità e/o altri?) rappresentino un elemento fondamentale per la crescita, in quanto capaci di valorizzare e rendere più produttivi, direttamente o indirettamente, i fattori produttivi classici (capitale e lavoro) e quelli “nuovi” (capitale umano e beni pubblici ). Beni relazionali e residuo di Solow • Il problema può essere posto anche a livello macroeconomico. • Nella tradizionale teoria neoclassica della funzione di produzione, la crescita viene a dipendere non solo dalla dotazione di fattori produttivi e dalla capacità del sistema economico di potenziarli attraverso il progresso tecnico, ma anche dalla capacità di coordinarli per renderli produttivi. • Questo terzo aspetto chiama in gioco l’azione di relazioni interpersonali quali l’imprenditorialità, le relazioni industriali, l’organizzazione e la cooperazione nelle imprese, il funzionamento dei mercati, i rapporti tra le imprese ecc. • Sotto questo profilo, l’andamento del “residuo di Solow” (Solow, 1956), che nel modello standard misura la crescita del prodotto non attribuibile ad un aumento degli input produttivi e viene tradizionalmente interpretato come indicatore aggregato del “progresso tecnico nella combinazione dei beni capitali con il lavoro” , rappresenterebbe la variazione della capacità del sistema di generare i beni relazionali necessari a coordinare i fattori produttivi. Residuo di Solow e capitale umano • In realtà, quando il modello di crescita di Solow viene potenziato con l’inclusione del capitale umano (Mankiw, Romer e Weil, 1992), nella comparazione internazionale della performance di crescita tra i paesi quest’ultima variabile tende ad assorbire interamente il residuo. • Questo risultato comporta la necessità di aggiornare la tradizionale visione del residuo come risultato del progresso nella capacità di coordinamento dei fattori produttivi, ponendo questo aspetto in relazione con il livello della conoscenza posseduta dai lavoratori. • L’ipotesi del rapporto tra beni relazionali e crescita andrebbe pertanto riformulata tenendo conto che differenze nel livello del capitale umano possono trovare origine in differenti dotazioni di beni relazionali nell’impresa e nel mercato. • Se questa è l’ipotesi da sottoporre a test, si può supporre che non tutti i beni relazionali abbiano effettivamente la capacità di accelerare lo sviluppo, e che le relazioni interpersonali che influiscono sulla crescita siano solo quelle connesse con il livello del capitale umano. La frontiera della crescita • La letteratura sulle trasformazioni dell’impresa e del lavoro nel contesto attuale chiarisce che l’accesso ad un sentiero di sviluppo sostenibile richiede all’impresa un aggiustamento strutturale secondo quella che, con un termine tecnico ormai diffuso, va sotto il nome di riorganizzazione o reingegnerizzazione dei luoghi di lavoro. • Diversi filoni di letteratura affrontano, sotto angolature differenti, l’uno o l’altro elemento della riorganizzazione/reingegnerizzazione: • la teoria dell’impresa evolutiva (Nelson e Winter, 1982); • il modello organizzativo della produzione snella (Womack, Jones e Roos, 1991); • la teoria della learning organization e della learning economy (Senge, 1990; Garratt, 1994; Lundvall, 2001); • la riorganizzazione dell’impresa per processi anziché per funzioni (Hammer e Champy, 1993); • l’organizzazione del lavoro ad alta performance (Leoni, 2008). Crescita e gestione della conoscenza • L’aspetto fondamentale che accomuna questi studi consiste nel ruolo centrale della conoscenza e della sua gestione all’interno del processo produttivo come fattore essenziale di modernizzazione dell’impresa. • Siamo quindi di fronte ad un problema di costruzione di strutture relazionali che agevolino i lavoratori e le imprese nella valorizzazione del capitale umano, attraverso la creazione, diffusione e utilizzo della conoscenza a fini produttivi. • Il premio Nobel per l’Economia Elinor Ostrom chiarisce che il bene conoscenza esercita in massimo grado i suoi effetti positivi quando viene considerato e gestito come un bene comune, e ne indica alcuni esempi concreti di gestione efficiente (Ostrom e Hess, 2009). La centralità della conoscenza come fattore di produzione esige che il lavoratore ampli la propria sfera relazionale – grazie all’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione – assumendo una nuova attitudine cruciale, una competenza che è stata definita (Tronti, 2011) con il temine di “partecipazione cognitiva”, indicandone il contenuto con “la volontà di acquisire, condividere e utilizzare la conoscenza propria e dell’impresa per migliorare i prodotti e i processi produttivi”. • Indicazioni per la misurazione - 1 A conclusione è possibile fissare alcuni punti fermi in tema di misurazione di questa particolare tipologia di beni. 1. Al fine di evitare la confusione dei beni relazionali con i loro effetti, appare necessario anzitutto cercare di definire prima e misurare poi i beni relazionali in sé, cercando di evitare lo stato di fuzziness concettuale che deriva dalla pratica di classificare come bene relazionale una relazione interpersonale a partire dai suoi effetti con riferimento alle sfere della felicità, della socialità e dell’economia. • Se la categoria dei beni relazionali non è che un sottoinsieme di ciò che viene prodotto e consumato (contestualmente o meno) attraverso le relazioni interpersonali (dirette o indirette, disinteressate o meno), è necessario anzitutto definire di quali beni si tratta (ad. es., amicizia, amore, simpatia, solidarietà, fiducia, disponibilità all’aiuto, colleganza, cooperazione, corresponsabilità per il bene comune nel contesto sociale, ecc.), in relazione all’ambito in cui vengono creati e consumati (in rapporti di coppia, familiari, amicali, di lavoro, associativi, di comunità ecc.). Indicazioni per la misurazione - 2 2. Una volta che questi siano identificati in modo preciso è possibile misurarne la quantità (o frequenza) e la qualità (ad es. in termini di intensità e/o di soddisfazione specifica), avendo chiara la necessità di procedere solo in un secondo momento a porli in rapporto con i risultati che ci si attende essi producano, in modo da poter controllare, per ciascuna tipologia di beni, l’effettiva relazione funzionale con la felicità, la soddisfazione per la vita o per il lavoro, il capitale umano, il reddito o la produttività ecc. 3. I problemi di instabilità delle stime della “felicità globale” evidenziati da Kahneman (2006) in relazione alla focusing illusion suggeriscono che l’approccio metodologico più promettente sia quello di costruire questionari retrospettivi, o meglio ancora diari sull’uso del tempo, che identifichino le emozioni, positive e negative, provate nel compimento di diverse attività, tra cui la produzione/fruizione di ben identificati beni relazionali (di coppia, familiari, sociali, di lavoro, di comunità…). Indicazioni per la misurazione - 3 4. Ben diversi possono essere i beni relazionali da cui dipendono la felicità o la life satisfaction da quelli che contribuiscono alla valorizzazione del capitale umano e alla diffusione della conoscenza nelle imprese, o ancora da quelli che consentono un più elevato reddito da lavoro o una più intensa work satisfaction. Si tratta, in modo evidente, di una frontiera della ricerca ancora da esplorare, sulla quale la letteratura recente getta luci interessanti. 5. Un’area di indagine molto promettente è quella dell’analisi della qualità dei luoghi di lavoro in termini di capacità di gestire la conoscenza. Si tratta di verificare le caratteristiche dei “modelli relazionali” adottati dalle imprese in relazione agli assetti organizzativi, agli strumenti di gestione del lavoro e dei flussi di comunicazione, alle tecnologie di informazione e comunicazione adottate in modo da identificare la creazione di una più o meno efficace knowledge community interna all’impresa o tra le imprese. In questa direzione risultati significativi potrebbero venire dalla costruzione di questionari di tipo leed (linked employer-employees database).