“VEDERE COME” E MATEMATICA LAURA CATASTINI Corso di Perfezionamento 2006/07 Dipartimento di Matematica Università di Roma“Tor Vergata” Per tutta la prima meta’ del ‘900 le teorie psicologiche o filosofiche sulla percezione e sul pensiero hanno coinvolto numerose personalita’ in campo umanistico e scientifico. Einstein si e’ prestato, ad esempio, a interviste sul modo di funzionamento del proprio pensiero indicandolo come preminentemente non verbale e il matematico Hadamard - che coglieva l’occasione delle visite parigine di Einstein per cimentarsi con lui nel violino - ha scritto il libro “La psicologia dell’invenzione in campo matematico” (1945) mettendo l’accento sul ruolo del pensiero immaginativo. • IN CAMPO FILOSOFICO WITTGENSTEIN SVILUPPA NEI SUOI FAMOSI AFORISMI LO STUDIO DEGLI USI CONCRETI E PARTICOLARI DELLA COMUNICAZIONE UMANA, IN PARTE CONTRAPPOSTO ALLA DEFINIZIONE DI UN LINGUAGGIO IDEALE LOGICO DATA NEL TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS (1916), UNICO SUO LIBRO PUBBLICATO IN VITA • NELLE RICERCHE FILOSOFICHE (~1949), IL LINGUAGGIO NON È PIÙ INTESO COME IL PROTOCOLLO DELLE PROPOSIZIONI ELEMENTARI LOGICAMENTE ORDINATE MA UN INSIEME DI ESPRESSIONI CHE SVOLGONO FUNZIONI DIVERSE, NELL'AMBITO DI PRATICHE E REGOLE DISCORSIVE DIFFERENTI - (TEORIA DEI GIOCHI LINGUISTICI) • Wittgenstein si può considerare, per la sua vita, per il suo pensiero e per l'approccio con cui li condusse, uno dei più anomali pensatori mai esistiti, la cui opera è fonte di continue ed essenziali scoperte quanto mai vive e presenti nella visione logica, linguistica, etica e filosofica attuale del mondo. La traversata aforistica della sua vita raccolta nei Pensieri diversi rimane forse una delle testimonianze più avvincenti del suo pensiero, tanto stringente e conciso quanto intenso. • Presentiamo, tra i suoi concetti, il “vedere come”, a cavallo tra percezione e pensiero. «Vedere come» e forme fluide • Che la percezione visiva, così come le altre percezioni, implichi un processo decisionale di tipo intellettivo è un paradigma introdotto da uno scienziato poliedrico, Hermann von Helmholtz (1821-1894), filosofo, fisico e psicologo. Tra filosofia e psicologia si muove anche Wittgenstein quando indaga gli aspetti del vedere. Davanti alla famosa figura bistabile dell’anatra-lepre egli riflette su come essa non sia solo una semplice bizzarria, divertente e marginale • “Il ‘vedere come…’ non fa parte della percezione. E perciò è come un vedere e non è come un vedere… il balenare improvviso dell’aspetto ci appare metà come un’esperienza vissuta del vedere, metà come un pensiero” (Ricerche Filosofiche) Tra il semplice fenomeno della percezione e il percepito finale sta ogni forma di cultura della persona che guarda. Il vedere è un processo, e come tale è funzione delle condizioni al contorno, quelle che lo accompagnano. Ecco come curiosamente cambia la visione di uno stesso insieme di segni se appena si cambia il verso di percorrenza dello sguardo: • In ogni riga, facendo scorrere l’occhio dall’angolo in lato a sinistra a quello in alto a destra, la faccia maschile rimane tale fino a quando si incontra il secondo ramo della cuspide. La faccia diventa allora il corpo di donna, ma se si inverte il cammino e si comincia dal corpo di donna si continua a vedere quest’ultimo oltre il punto di catastrofe precedente fino a quando si taglierà il ramo di sinistra della cuspide. (Da Poston e Stewart, 1978, pg 419) Le forme del vedere sono forme a volte mutevoli, strettamente legate a leggi primarie gestaltiche, all’esperienza sensoriale e al grado di conoscenza di segni culturali. Questa configurazione si può vedere come il numero 13 o come la lettera B. La possibilità di «leggere» la configurazione come un numero o come una lettera non la trasforma visivamente ma la rende quella che io chiamerò una possibile “ forma fluida”, ed è funzione della cultura dell’individuo Basta poco a togliere fluidità a una forma visiva, l’aggiungere un contorno, ad esempio: • in questa seconda situazione si stabilizza la sola lettera B, ma, una volta individuate, le due configurazioni sono ormai sempre richiamabili, con un piccolo sforzo gestaltico. Queste variazioni del vedere non sono solo statiche perché, come ogni pensiero, il vedere è anche dinamicamente agganciato al contesto. Le forme si creano ma possono anche mutare: ciò che appare in un quadro “a prima vista”, in presenza di altre forme può ristrutturarsi e offrirsi attivamente allo sguardo in modo diverso. Se viene mostrato il seguente disegno la percezione media risulta essere quella di un anello sopra un quadrato, ma se lo stesso disegno viene affiancato da un secondo: allora la percezione cambia: quanto si vede viene spesso descritto in termini di un cerchio piccolo e un quadrato che sono, a turno, dentro un cerchio più grande che li contiene. Il cerchio grande “si sposta” dall’alto in basso. La percezione della forma è strettamente legata al pensiero creativo. In effetti l’individuare analogie, regolarità, rapporti tra gli elementi di un pattern, mostra l’intelligenza all’opera nella percezione stessa. In linea del tutto generale, l’intelligenza si esprime spesso nella capacità di individuare in un contesto avverso un elemento nascosto o una relazione mascherata. Come dice ancora Wittgenstein: “quello che percepisco nell’improvviso balenare dell’aspetto non è una proprietà dell’oggetto, ma una relazione interna tra l’oggetto e altri oggetti. È quasi come se il ‘vedere il segno in questo contesto’ fosse l’eco di un pensiero. «Un pensiero che echeggia nel vedere» - si vorrebbe dire.” L.Wittgenstein, Ricerche Filosofiche, Einaudi, Torino, 1974, pg 278 “Possono immagine e applicazione entrare in collisione? Ebbene, lo possono nella misura in cui l’immagine fa prevedere un impiego diverso…” (Ricerche) Il pensiero che echeggia nel vedere, a volte, si scontra con lo sviluppo del modello stesso. Ecco alcune immagini del “contare”: “Il contar parti in I è la stessa cosa che contar punti in IV?” “Il contar parti in I è la stessa cosa che contar parti in IV? E in cosa consiste la differenza? […] C’inquieta l’analogia tra il contar punti e il contar parti, e il fallimento di questa analogia • In questo, nel contar come «una» la parte indivisa, c’è qualcosa di strano; invece, non incontriamo nessuna difficoltà nel veder come immagine del 2 la superficie bipartita. Qui si sarebbe molto più propensi a contare 0, 2,3, ecc. e questo corrisponde alla successione delle proposizioni: «Il quadrato è indiviso», «il quadrato è diviso in due parti», ecc.” L.Wittgenstein, Grammatica Filosofica • io sollevo tutti quei problemi che forse un bambino, quando impara l’aritmetica, ecc, percepisce come difficoltà e che l’addestramento reprime senza risolvere. Io dico dunque a questi dubbi repressi: avete perfettamente ragione; continuate a chiedere, esigete chiarimenti I modelli sintetici degli oggetti matematici costruiti attraverso indicazioni linguistiche rischiano di nascere didattcamente approssimativi, se non addirittura sbagliati. Di solito quando i chiarimenti non arrivano, il pensiero immaginativo, non assistito da interventi didattici appropriati, cede sotto il peso delle contraddizioni che sorgono e lascia molta parte dell’elaborazione ai processi algoritmici, con l’effetto, quando va bene, di creare quello che in gergo chiamiamo “apprendimento scolastico” e quando va male di provocare addirittura l’abbandono dello studio. Il pensiero algebrico Chi ha a che fare con studenti alle prese con lo studio dell’algebra (fine scuola media inferiore, biennio superiore) sa bene come la tensione didattica oscilli drammaticamente tra l’esigenza di “far capire” il perché delle procedure e quella di far imparare bene le regole di calcolo attraverso una ripetitiva serie di esercizi meccanici che si sentono intimamente come l’unico modo efficace di impadronirsi della tecnica ma che nello stesso tempo mettono a disagio la coscienza docente. Mettere mano ai quadrati e ai rettangoli euclidei per spiegare perché (a + b)(a – b) = a2 – b2 sembra doveroso ma perché invece non mostrarlo applicando semplicemente la proprietà distributiva nel calcolo? … i termini ab e – ab che si annullano, a2 e – b2 che restano… non è più semplice e intuitivo? Difficile dire cos’è semplice e cos’è intuitivo, cos’è meglio e cos’è peggio, perché l’algebra è una cosa, e il pensiero algebrico è altro. L’algebra è un sistema simbolico, formale, sostanzialmente un sistema per calcolare, nel quale le operazioni e i termini sono ben definiti e non ambigui, tanto da essere eseguibili anche da una macchina, ma chi insegna algebra deve insegnare molto di più di essa, deve educare il pensiero non solo allo strumento ma anche al suo uso, alle sue applicazioni. Il pensiero algebrico ben formato deve essere capace non solo di interpretare e sviluppare correttamente le frasi del linguaggio tecnico ma anche di usarlo per algebrizzare un contesto problematico, in altre parole di “formalizzare attivamente” situazioni eterogenee, individuando e generalizzando forme e significati nel problema, traducendole simbolicamente nel modo opportuno e intuendo strade che portino all’utilizzo di algoritmi noti. «Solo colui che conosce a fondo le forme di quei due animali, “vede gli aspetti anatra e lepre”.» Wittgenstein, Anatra-lepre Ricerche Filosofiche, Einaudi Si tratta di un cambio di relazione strutturale tra elementi di una stessa forma Alternanza figura-sfondo L’aspetto delle doppie colonne si impone invece “naturalmente” e dipende dal rapporto sfondo-figura, non tra elementi strutturali di una forma che rimane sullo stesso sfondo GIBSON E AFFORFANCES “Il ‘vedere come…’ non fa parte della percezione. E perciò è come un vedere e non è come un vedere… il balenare improvviso dell’aspetto ci appare metà come un’esperienza vissuta del vedere, metà come un pensiero” (Ricerche) ..psichico e non psichico…