I VIZI CAPITALI Il processo di deformazione dell'uomo Cosa sono i vizi capitali? I vizi capitali sono desideri non ordinati verso il Bene sommo, cioè Dio, all'origine di tutti i peccati. Il "vizio" è infatti una abitudine o propensione: quando si trasforma in "atto" diventa peccato capitale. Pur essendoci evidentemente all'origine una certa propensione, prima del vizio vi è l'atto peccaminoso: è la ripetizione a creare l'abitudine e quindi il vizio. Il vizio infatti è un "habitus" dell'anima, come anche la virtù, acquisita però attraverso la ripetizione di atti buoni (S. Tommaso). Un circolo … vizioso ATTO PECCAMINOSO DESIDERIO, PROPENSIONE DESIDERIO, PROPENSIONE RIPETIZIONE DELL'ATTO Il termine "vizio" Il latino traduce con "vitium" un vocabolo ebraico (hatat) che significa "peccato", ma con una sfumatura. Mentre "peccato" mette soprattutto in luce la libera decisione del soggetto ("materia grave, piena avvertenza, deliberato consenso"), "vizio" mette in rilievo l'impotenza del soggetto di fronte alle sue azioni, delle quali, più che autore, se ne sente schiavo. Chi ha un vizio si trova a fare quello che non vorrebbe fare e si sente umiliato e mortificato per quello che fa. Il vizio è potenza negativa che impedisce all'io la libertà e l'autenticità, imprigionandolo in un mondo di tenebra e di male. La descrizione paolina di "vizio" Io sono carnale, venduto come schiavo del peccato. Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la Legge è buona; quindi non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me. Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me. Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle mie membra. Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mia ragione, servo la legge di Dio, con la mia carne invece la legge del peccato. (Romani 7,14-25) Cosa vuol dire "capitale"? Questi vizi sono detti "capitali" non perché siano i più gravi (alcuni di essi non superano la colpa veniale) ma perché sono origine di molti peccati (da "capo": colui che presiede e guida). San Tommaso d'Aquino afferma che colui che è dominato da qualche vizio capitale è capace di commettere qualunque peccato o delitto per soddisfare la sua passione viziosa (Summa Th. I-II, q. 84). Gli "elenchi" dei vizi Marco 7,20-23: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo». Galati 5,19-21: «Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere». La classificazione "settenaria" occidentale L'elenco dei vizi capitali cui facciamo riferimento deriva da San Gregorio Magno (+ 604): Superbia: il desiderio disordinato di essere superiori agli altri, fino al disprezzo degli ordini e delle leggi. Avarizia: il desiderio disordinato dei beni temporali. Lussuria: la dedizione al piacere e al sesso. Invidia: la tristezza per il bene altrui, percepito come male proprio. Gola: l'abbandono ed esagerazione nei piaceri della tavola. Ira: il desiderio disordinato di vendicare un torto subito. Accidia: il lasciarsi andare al torpore dell'animo, fino a provare fastidio per le cose spirituali, e in particolare l'abbandono della preghiera e dell'amicizia verso Dio perché faticosa. La classificazione orientale Gli orientali (Evagrio Pontico, Massimo il Confessore) elencano otto vizi e sostengono l'esistenza di un vizio comune, radice degli altri, la philautía ("amor proprio"). gastrimarghía ("gola") porneía ("lussuria") philargyría ("avarizia") lýpe ("tristezza") orghé ("ira") achedía ("pigrizia", "accidia") chenodoxía ("vanagloria") hyperephanía ("superbia"). Rispetto all'elenco occidentale si notano subito varie differenze: • i peccati o vizi sono disposti in ordine diverso; • sono presenti la vanagloria e la tristezza, assenti nella tradizione occidentale; • la superbia e la vanagloria appaiono uno sdoppiamento rispetto all'elenco occidentale; • non è inclusa l'invidia, anche se essa è certamente inclusa, secondo i diversi autori, a volte nell'ira, altre nell'accidia. La sintesi di S. Tommaso d'Aquino L'uomo desidera disordinatamente quattro specie di beni, e rifugge da tre altri beni, perché a questi è congiunto il male. 1. Il primo bene desiderato è di ordine spirituale, ed è la propria eccellenza, l'onore e la gloria, che, desiderati disordinatamente, causano la superbia e la vana gloria. 2. Altro bene è quello del corpo, che è duplice: la conservazione dell'individuo; il disordinato uso dei cibi e delle bevande è causa del vizio della gola (secondo bene); 3. e la conservazione della specie; il disordinato uso della sessualità è causa della lussuria (terzo bene). 4. Il quarto bene sono le ricchezze, l'attaccamento alle quali e l'uso non secondo la retta ragione è causa dell'avarizia. Vi sono poi i tre beni da cui l'uomo rifugge disordinatamente: 1. il proprio bene spirituale, che si trascura a causa della fatica, e in ciò consiste l'accidia; 2. il bene altrui, che si rifugge in quanto menoma la nostra eccellenza, da cui l'invidia; 3. ancora il bene altrui, che si fugge e spinge alla vendetta; ciò causa l'ira. Vizi e virtù Catechismo della Chiesa cattolica 1866: "I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono …". Vizi e virtù costituiscono due sistemi in qualche modo speculari: entrambi vengono compresi meglio se inquadrati nella tematica biblica delle "due vie": "Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, oggi io vi dichiaro che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso, attraversando il Giordano. Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe». (Deuteronomio 30,15-20) Le virtù cardinali e le virtù teologali Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica 377-385 Che cos'è la virtù? La virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. «Il fine di una vita virtuosa consiste nel divenire simile a Dio» (san Gregorio di Nissa). Vi sono virtù umane (o "cardinali") e virtù teologali. (1803, 1833) Che cosa sono le virtù umane? Le virtù umane sono perfezioni abituali e stabili dell'intelligenza e della volontà, che regolano i nostri atti, ordinano le nostre passioni e indirizzano la nostra condotta in conformità alla ragione e alla fede. Acquisite e rafforzate per mezzo di atti moralmente buoni e ripetuti, sono purificate ed elevate dalla grazia divina. (1804, 1810-1811, 1834, 1839) Quali sono le virtù umane principali? Sono le virtù denominate cardinali, che raggruppano tutte le altre e che costituiscono i cardini della vita virtuosa. Esse sono: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. (1805, 1834) Che cosa sono le virtù teologali? Sono le virtù che hanno come origine, motivo e oggetto immediato Dio stesso. Infuse nell'uomo con la grazia santificante, esse rendono capaci di vivere in relazione con la Trinità e fondano e animano l'agire morale del cristiano, vivificando le virtù umane. Sono il pegno della presenza e dell'azione dello Spirito Santo nelle facoltà dell'essere umano. (1812-1813, 18401841) Quali sono le virtù teologali? Le virtù teologali sono la fede, la speranza e la carità. (1813) Conoscere per crescere Indagare il mondo complesso dei vizi aiuta a discernere il proprio personale "campo di battaglia": "Se prima non verranno dichiarate le varie forme delle malattie e non saranno indicate le loro origini e le loro cause, non sarà possibile suggerire ai malati la cura adatta con opportune medicine e, a chi è sano, un sicuro tenore di vita per conservarsi in salute" (S. Giovanni Cassiano, Institutiones coenobiticae 7,13) L'educazione alla carità resta la guida sicura ad un corretto uso della libertà: "Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri". (Galati 5,13) LA SUPERBIA Il rapporto deformato con l'origine Cosa è la superbia? Dal latino "super", che indica ciò che si trova "al di sopra" e "bia" (dalla radice sanscrita bhu" = essere?). E' il contrario di "pro"-"bo", chi si pone "di fronte", "a favore". Il corrispondente greco è yperéphanía (composta con la preposizione "yper", con lo stesso significato di super, e il verbo "phaino", mostrarsi), utilizzato innanzi tutto per esprimere il carattere eminente e insigne dell'animo umano e della sapienza. In seguito acquista anche il significato peggiorativo e riprovevole di arroganza e alterigia. • S. Tommaso: la superbia è il «desiderio disordinato di eccellenza», al di là del legittimo desiderio di realizzare pienamente se stesso. «Insuperbirsi è un andare al di là», è «oltrepassare la propria misura nel desiderio di eccellenza». • S. Isidoro di Siviglia: (+ 636) «Vuole sembrare di più di quello che è; chi infatti vuole andare al di sopra della sua natura è superbo». • S. Gregorio Magno: la superbia, "gonfiore" degli arroganti (tumor arrogantium), è la "regina dei vizi": «I vizi che ci tentano e combattono contro di noi la loro battaglia, militano al servizio della superbia che li domina». •S. Agostino: «Cosa poté essere l'inizio di una cattiva volontà, se non la superbia? Infatti, principio della superbia è il peccato; ma che altro è la superbia, se non l'ambizione di una perversa superiorità? E la perversa superiorità è possibile, una volta abbandonato quel principio al quale l'anima si deve unire, per diventare ed essere principio a se stessa. Ciò accade quando ci si compiace smisuratamente di sé; e ciò accade quando ci si allontana da quel bene immutabile che si dovrebbe preferire a se stessi» . La superbia è peccato Genesi 2,16-17. 3,1-7: Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire». […] Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi. Siracide 10,9.12: Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere? […] Principio della superbia è allontanarsi dal Signore; il superbo distoglie il cuore dal suo creatore. La grande illusione diabolica che attrae Adamo e lo conquista è quella di sostituirsi a Dio, come è appunto suggerito dalla tentazione del serpente che descrive la vera natura di quel peccato "originale", radicale, principio e causa di ogni altro peccato. […] Il capitolo terzo della Genesi e la sequenza narrativa successiva (l'assassinio di Abele, il peccato dei giganti, il diluvio, il delitto di Cam-Canaan, la torre di Babele) hanno lo scopo di illustrare i risultati deleteri di questa assunzione orgogliosa di responsabilità da parte dell'uomo. [... è] un'autonomia che si eleva sopra se stessa sfidando Dio, rompendo il limite creaturale, violando ogni confine morale ed è appunto la superbia. (CARD. G. RAVASI, Le porte del peccato, pp. 64-65) Una parabola evangelica "classica" Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato». (Luca 18,9-14) La superbia è vizio capitale "La superbia, pur collocandosi all'ultimo posto nell'ordine dei combattimenti, è al primo posto in rapporto all'origine, ed è il principio di tutti i peccati e di tutte le colpe". (S. Giovanni Cassiano, Le istituzioni cenobitiche, 295) La superbia è un vizio assai insidioso, perché non ha un oggetto preciso, ma riguarda ogni possibile tipo di bene e di virtù, presentati tuttavia non come un dono da chiedere a Dio ma piuttosto per vivere indipendentemente da lui (Isidoro di Siviglia, Sentenze). Forme di superbia Il primo genere di superbia si verifica quando uno considera un niente il fratello, quando lo disprezza come se fosse un nulla e ritiene se stesso superiore a lui. Costui, se non vigila subito seriamente, piano piano giunge al secondo genere di superbia: insuperbisce contro Dio stesso e ascrive i propri successi a se stesso e non a Dio (Doroteo di Gaza – VI sec.) La superbia si manifesta in quattro modi: «Credere di possedere questo bene da se stessi; credere di averlo ottenuto per meriti propri pur sapendo di averlo ricevuto dall'alto; vantarsi di avere ciò che non si ha; illudersi di possedere in modo esclusivo ciò che si ha, disprezzando gli altri». (S. Gregorio Magno) • Parente stretto della superbia è il potere nella sua forma più oscura di dominio, di padronanza, di signoria nei confronti di chi si vuol tenere in propria balia, alla mercè dei gusti e dei voleri personali. In questo caso [...] non si incontrano solo i tiranni, ma anche le più semplici e circoscritte sopraffazioni quotidiane nella vita sociale, nel lavoro, nelle istituzioni e nelle stesse famiglie (Ravasi, Le porte del peccato, p. 61). • Dalla superbia nasce la vanagloria ("kenodoxia", da "kenos", vuoto): «Ci fa imbaldanzire per i nostri successi umani» e «ci esalta per il desiderio di vane lodi, dovute alle nostre vittorie spirituali e segrete» (San Giovanni Cassiano) (cf. Qoelet 1,2: «Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità»). La cura della superbia: l'umiltà Siracide 3,18: «Quanto più sei grande, tanto più fatti umile, e troverai grazia davanti al Signore». Romani 12,3: Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. 1 Pietro 5,5: Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Alcuni esercizi pratici di umiltà Praticare la terapia dei gesti semplici della cortesia: chiedere "per favore", ringraziare … Cercare di capire a fondo la posizione dell'altro prima di emettere giudizi. Imparare a riconoscere, apprezzare e usare bene le proprie qualità e facoltà, riconoscendole come talenti donati da Dio. Impratichirsi nel discernimento delle proprie intenzioni, del proprio agire, della direzione a cui è orientato il cuore. Verificare la capacità di accoglienza delle pubbliche umiliazioni: chi è guarito dalla superbia non soffre se umiliato pubblicamente, non ha rancore se incontra chi l'ha offeso, anzi lo ringrazia come se fosse un medico e un benefattore. Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre. (Filippesi 2,5-10) Appuntamento a SABATO 7 DICEMBRE L'avarizia