Palomar guarda il cielo A cura di: Venerato Clara, Sigismondo Vittoria, De Leonardis Chiara, Trisi Elena. A.S. 2014/2015 Gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia: mentre da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli altri astri, o i problemi riguardanti la generazione dell'intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; ed è per questo che anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo: il mito, infatti, è costituito da un insieme di cose che destano meraviglia. Così, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall'ignoranza, è evidente che ricercano il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica. E il modo stesso in cui si sono svolti i fatti lo dimostra: quando già c'era tutto ciò che necessitava alla vita ed anche all'agiatezza ed al benessere, allora si incominciò a ricercare questa forma di conoscenza. E' evidente, dunque, che noi non la ricerchiamo per nessun vantaggio che sia estraneo ad essa; e, anzi, è evidente che, come diciamo uomo libero colui che è fine a se stesso e non è asservito ad altri, così questa sola, tra tutte le altre scienze, la diciamo libera: essa sola, infatti, è fine a se stessa. (Aristotele, Metafisica I,2,982b) Per chi non conosce Palomar Il protagonista dell’opera di Calvino che abbiamo trattato è un personaggio stravagante e vulnerabile. Il suo nome è Palomar. Egli, dapprima in vacanza, poi in città ed infine immerso nei suoi silenzi, conduce per mano il lettore illustrandogli un nuovo metodo di approccio al mondo. Calvino dà a Palomar, non la capacità di parlare, bensì la voglia di farlo. Attraverso le sue osservazioni forzate fino al più piccolo particolare, l’autore conduce i lettori verso aspetti diversi dell’esistenza: dalla più banale delle cose, come il riflesso del sole e della luna sul mare, sino ai più affascinanti misteri. E’ un uomo molto taciturno e solitario, più portato alla riflessione che allo scambio. 1.3.1. Luna di pomeriggio (1.3. Palomar guarda il cielo) • «Luna di pomeriggio» inaugura il capitolo «Palomar guarda il cielo» appartenente al romanzo Palomar di Italo Calvino. • Infatti, Palomar elabora attente riflessioni riguardo all'apparente fragilità della Luna e, con un accentuato egocentrismo, crede di poter farla sorgere. • Considera la Luna molto particolare e quando essa è totalmente sorta egli, estremamente soddisfatto, decide di andarsene pensando che la Luna non abbia più bisogno di lui. • Qui Palomar sembra quasi sentire il peso della sua impotenza verso l'universo e va alla ricerca di qualcosa di importante in cui il suo stesso contributo sia importante ,cercando sicurezza. Analisi delle figure retoriche: - «è così fragile, pallida e sottile» ,con questa affermazione comprendiamo che Palomar considera la Luna una persona e si rivolge a essa utilizzando questi aggettivi e ricorrendo ,quindi, alla tecnica della personificazione; - « … come un arco di falce», «… come una spugna» sono due similitudini con cui Palomar descrive la Luna; - « è un'ostia trasparente o una pastiglia mezzo dissolta», « è una smagliatura della cupola, una breccia che si apre sul nulla retrostante.», così definisce Palomar la sua amata Luna,regalandole un posto d’onore nel cielo in mezzo agli altri astri, da lui lasciati in secondo piano; - «è un grande specchio abbagliante che vola», così il signor Palomar conclude la descrizione della Luna. «La Luna di pomeriggio nessuno la guarda» Secondo la psicologia del signor Palomar , di notte ,è spontaneo vedere la Luna. Mentre , di pomeriggio, passa inosservata e pare quasi che non ci sia , abituandosi alla sua assenza , proprio come quelle persone importanti (come la Luna per Palomar) che ci sono sempre anche se apparentemente non le vediamo. «Chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza?» • Sempre secondo il pensiero critico del protagonista , se da noi la Luna* dovesse essere trascurata ( come avviene quando noi stessi trascuriamo gli altri ) , forse non brillerebbe più come prima e non ci accompagnerebbe durante il lungo tratto della nostra vita , non facendo più da sfondo ai momenti più belli della nostra esistenza. *Il termine «Luna» deriva dal latino lūna dal significato di "luce riflessa e nel greco σελήνη (da σέλας sélas, "brillio", "splendore"). • Il processo che compie la Luna ( durante le fasi lunari ) corrisponde secondo il signor Palomar alla storia e al processo di evoluzione di ogni individuo che ha permesso di diventare ciò che adesso è. • Come descrive il protagonista, la Luna presenta sulla sua superficie macchie e sfumature chiaroscure che simboleggiano lividi e ferite rimaste impresse nel cratere cosi come le cicatrici lasciano un segno in ognuno di noi, non potendo mai abbandonarci • “Perché ognuno di noi ha una storia,un bagaglio di emozioni ed esperienze che porterà sempre con se. E’ una valigia dei ricordi,del passato,ma proiettata anche verso il futuro perché ci fa capire che,dai nostri piccoli e umani sbagli,si sedimentano le basi per un domani migliore,non dimenticandoci mai del nostro passato.” • La Luna,quindi,grazie al suo processo di evoluzione,come spiega anche Palomar ,si può per questo definire una persona,con mille sfaccettature e inaspettate caratteristiche,che possono cambiare da un momento all’altro • Il protagonista la ammira perché anche lui si rispecchia un po’ in essa. Anch’egli,dopotutto, è un individuo dalle mille sfaccettature, caratterizzato da tante qualità positive quanto negative. Ma,soprattutto, come la Luna,muta continuamente ed è questa,probabilmente, ciò che lo rende più speciale. Grande e bello spettacolo veder l'uomo uscir quasi dal nulla per mezzo dei suoi propri sforzi; disperdere, con i lumi della ragione, le tenebre in cui la natura l' aveva avviluppato; innalzarsi al di sopra di se stesso; lanciarsi con lo spirito fino alle regioni celesti: percorrere a passi di gigante, al pari del sole, la vasta distesa dell'universo e ammirare l’affascinante Luna; e, ciò che é ancor più grande e difficile, rientrare in se stesso per studiarvi l'uomo e conoscerne la natura, i doveri e il fine. (Rousseau) 1.3.2. L’occhio e i pianeti (1.3. Palomar guarda il cielo) • In questo capitolo Palomar si mette alla prova con la scienza e, così, scopre l’amore per l’astronomia. • È un ottimo osservatore che dimostra grande interesse circa tutto ciò che riguarda la scienza del cielo. Prende dunque l’iniziativa di osservare i pianeti esterni (Marte, Giove e Saturno), per scrutarne le singole particolarità. Da una prima visione a occhio nudo ha una ben determinata percezione dei corpi celesti che crede di essere riuscito ad analizzare minuziosamente. In seguito però, dopo averli osservati utilizzando un piccolo ma efficace telescopio, riesce ad averne un’ immagine completamente differente. • Quella del signor Palomar si tratta della ricerca del fascino che desta la consapevolezza di osservare qualcosa che è tanto al di fuori della dimensione umana Inoltre , Palomar continua questa sua imperterrita ricerca, basata anche e soprattutto sull’emozione che si prova quando si ripete un’operazione storica che ha proiettato l’uomo per la prima volta oltre gli stretti confini del suo cielo primitivo , spingendo i suoi occhi verso un irraggiungibile senso di realizzazione del proprio io. Giunti a questo punto, si ritorna sempre al concetto iniziale che ha messo in moto le sorprendenti vicende del signor Palomar: egli fa tutto questo per colmare i suoi famosi vuoti e la sua continua ed inspiegabile insoddisfazione interiore. • Così , concludendo , in queste cinque pagine del capitolo si susseguono l’una dopo l’altra un’annotazione colorata di sentimento, una riflessione analitico-scientifico e per di più considerazioni da parte del protagonista. • Da questa molteplicità di punti di vista e di osservazioni disparate , contraddittorie e ambigue , scaturisce lo straniamento , il tentativo di conoscere una realtà continuamente sfuggente , ricorrendo ad accostamenti , similitudini e richiami. Analisi delle figure retoriche: • « Marte si fa avanti imperiosa con il suo fulgore ostinato, con il suo giallo concentrato e denso(…), al punto che si finisce per convenire di chiamarlo rosso e nei momenti ispirati per vederlo rosso davvero» utilizzando queste parole Palomar descrive il pianeta Marte mediante la figura retorica della personificazione; • « Marte al telescopio si rivela un pianeta perplesso di quanto non sembri a occhio nudo: pare abbia tante cose da comunicare di cui si riesce a mettere a fuoco solo una piccola parte, come in un discorso farfugliato e tossicchiante» sempre per mezzo della tecnica della personificazione il protagonista parla del pianeta considerandolo come essere pensante e dotato di sentimenti « coincide con la difficoltà di stabilire un rapporto con lui, come una persona dal carattere difficile» • « macchie affiorano e spariscono sulla sua superficie COME nuvole o squarci tra le nuvole» in questo caso Palomar nel paragonare le sfumature della superficie del pianeta alle nuvole utilizza la figura retorica della similitudine. • «le divisioni tra gli anelli sono solchi in cui ruotano i satelliti spaziando la materia e addensandola ai lati, COME cani da Pastore che corrono intorno al gregge per tenerlo compatto» con questa similitudine Palomar rivolge ora l’attenzione all’anello di Saturno che rapisce la sua attenzione. RIFLESSIONI SUL SEGUENTE CAPITOLO: Attraverso l’indagine dei pianeti Palomar giunge alla conclusione che proprio il dubbio sulla veridicità dei fenomeni circostanti e, di conseguenza, la diffidenza verso i nostri cinque sensi impediscono di far sentire l’uomo a proprio agio nell’universo. La prima regola da imporre all’essere umano è, dunque, attenersi a ciò che si vede dettagliatamente dal punto di vista oggettivo in modo tale da riuscire a convivere tranquillamente e senza troppi dubbi e preoccupazioni in una società confusa e oppressa dalla nevrastenia. Il signor Palomar sostiene, non a caso, che se l’uomo è in grado di basare la propria esistenza sulla precisa osservazione degli elementi circostanti (dal punto di vista oggettivo) può anche essere l’effettivo padrone della sua stessa vita e appropriarsi, perciò, di tutto ciò di cui ha bisogno, come l’occhio che si appropria dell’immagine impeccabilmente analizzata di un pianeta. 1.3.3. La contemplazione delle stelle (1.3. Palomar guarda il cielo) In questo capitolo Palomar concentra la sua attenzione sulle stelle della volta celeste. Quando c’è una bella notte stellata il signor Palomar dice: « Devo andare a guardare le stelle». Finito questo discorso ne apre un altro: « Devo perché odio gli sprechi e penso che non sia giusto sprecare tutta questa parte di stelle che mi viene messa a disposizione». Palomar sostiene di dover contemplare le stelle perché tante volte ha sentito il bisogno di rivolgersi, per staccarsi dalla Terra, luogo delle complicazioni superflue e delle approssimazioni confuse. Trovandosi davvero in presenza del cielo stellato, tutto sembra che gli sfugga anche ciò a cui lui si credeva più sensibile. La prima difficoltà che incontra Palomar in questa parte è quella di trovare un posto dal quale il suo sguardo possa spaziare per tutta la cupola del cielo senza ostacoli e senza invadenza dell’illuminazione elettrica. Infatti l’esperienza del cielo che a lui interessa è quella a occhio nudo, proprio come gli antichi navigatori e i pastori erranti facevano una volta. Isolandosi in una spiaggia, armato di svariate carte del cielo, proietta la sua attenzione alla volta celeste e vi fissa lo sguardo. Se i corpi luminosi sono carichi di incertezza, non resta che affidarsi al buio, alle regioni deserte del cielo. Cosa può esserci di più stabile del nulla? Eppure anche del nulla non si può essere sicuri al cento per cento. Il protagonista tenta di evadere dalla normale quotidianità attraverso la contemplazione delle stelle. Spera di ottenere una risposta per porre rimedio al suo comportamento influenzato dalla società convulsa e congestionata in cui vive ma questa osservazione delle stelle gli trasmette un sapere instabile e contraddittorio tutto il contrario di quello che sapevano trarne gli antichi. Sarà perché il suo rapporto con il cielo e intermittente e concitato, anziché una serena abitudine? Infatti se lui si obbligasse a contemplare le stelle forse alla fine conquisterebbe anche lui la prospettiva di un tempo immutabile separato dal tempo frammentario degli accadimenti terrestri. Di ciò che sa diffida; ciò che ignora tiene il suo animo sospeso, soverchiato e insicuro.