Dal Mithos al Lògos, ovvero del lungo cammino naturale dell’Intelligenza dell’Uomo Dal Mito alla Filosofia … si può far risalire a quasi tre millenni or sono la comparsa dei primi Miti” dell’antica Grecia. Naturalmente la loro origine va annoverata alla “tradizione orale”, che si arricchiva di generazione in generazione … dèi e dèe, semidei e super eroi abitavano numerosi le cime e le pendici del Monte Olimpo, che si trova in un acrocoro tormentato ai confini tra la Macedonia e la Tessaglia … Il poeta Esiodo ne è stato il primo grande cantore. L’Olimpo e gli dèi Per Fontanelle e de Mairan, studiosi francesi del ‘700, è stata l'aurora boreale, vista incombere dai greci preomerici sulle pendici della catena montuosa dell'Olimpo, ad aver determinato la nascita del mito che ivi localizza la sede degli dèi. La luminosità a cui l'Olimpo dovrebbe il suo nome non è il consueto bagliore delle nevi inondate dal sole, o lo splendore di una cima che emerga improvvisa al di sopra delle nubi, ma la più sorprendente e fantastica luce che l'aurora boreale accende nel cuore della notte. Esiodo I Oltre alle Opere e i giorni, è possibile attribuire con certezza ad Esiodo anche la Teogonia, il primo poema religioso greco che tenta di stabilire un ordine nella genealogia delle divinità adorate in Grecia (teogonia è esattamente questo, cioè la nascita delle divinità). Quest'opera nasce dall'esigenza da parte dell'autore di "definire" e riorganizzare la fluttuante materia mitologica che, a causa delle diverse tradizioni locali dell'Ellade, presentava differenti leggende o addirittura differenti "genealogie" per il medesimo dio o dea. Esiodo II Essa, inoltre, contiene numerose informazioni sulle origini dell'universo e sulle divinità primordiali che si pensava contribuirono alla sua formazione, e proprio per tale ragione la Teogonia fu il testo che garantì la vittoria di Esiodo alle feste Calcidiche, e quindi deve essere ritenuto precedente a Le Opere e i Giorni, il più famoso scritto esiodeo. Omero e Apollodoro di Atene Omero, il grande poeta epico citò e rese protagonisti in tutte e due le sue opere, l’Iliade e l’Odissea, dèi e dèe, che di volta in volta aiutarono o si opposero alle avventure degli eroi umani o dei semidei, come Achille, figlio di Teti e di Peleo (Achille era, per Omero, il Pelìde)… Apollodoro d’Atene, vissuto nel II secolo a. C. scrisse l’opera “Sugli dèi”, nella quale egli illustrò con dovizia di particolari le tematiche e le cronologie “divine”. I poeti tragici e i poeti lirici Eschilo, Sofocle ed Euripide (VI-V secolo) sono i massimi tragèdi della letteratura greca: nelle loro opere gli dèi e le dèe vivono le vicende umane con grande partecipazione. La tragedia attica è il genere letterario dove si descrive il dramma -in un certo senso incomprensibile- della vita umana, con il suo dolore e le sue oscurità. Anche i poeti lirici, come Teocrito, Ibico, Archiloco, Stesicoro, Mimnermo, Anacreonte, Alceo, Saffo, Pindaro … e molti altri inserirono nelle loro opere storie, di eroi, dèi e semidei, come Eracle e Prometeo. I miti a Roma, Ovidio La fonte principale dei miti nella civiltà latina è Publio Ovidio Nasone (43 a. C. - 18 ca d. C.). Questo autore, soprattutto con l’opera Le Metamorfosi ha narrato 250 storie di dèi e semidei, storie di desideri, amori e trasformazioni, come quella di Narciso (in fiore), di Atteone (in cervo), di Dafne (in alloro) … auspice Artemide, la latina Diana. Altri autori del mondo classico si occuparono, attorno ai secoli II a. C. - II d. C., di “genealogie divine”, come Eratostene di Cirene, Antonino Liberale, Partenio di Nicea, e molti altri. Gli dèi greco-latini come manifestazioni di potenza Gli dèi greci, presenti sul monte Olimpo, ma anche nella vita degli uomini erano quasi manifestazioni di potenze umane portate a un livello emblematico superiore, e agenti verso gli uomini e le donne della terra; gli dèi intervenivano nella vita delle persone, manifestando di volta in volta sentimenti e comportamenti di protezione o di avversione, in questo molto simili agli uomini stessi: gli dèi e le dèe, dunque, come vere e proprie immagini antropomorfe, con tutti i pregi e difetti dei mortali. Ma non li passeremo in rassegna tutti … Le “divinità” greche e latine I Dal Caos primigenio uscirono la Notte, l’Erebo (buio assoluto), il Tartaro, Gaia, Eros, e poi Nemesi, Sonno, Destino, Vecchiaia, Inganno e Sventura (le Astrazioni); Rea, la grande madre che generò gli dèi olimpici; le Esperidi custodi del giardino; Eris, cioè la Discordia, madre di Pena, Dolore, Fame, Oblio e Giuramento; Etere, Emera, Tifone, Urano, Ponto, le Erinni o Furie, i Titani, i Ciclopi, gli Ecatonchiri (i giganti con 100 braccia e 50 teste, come Briareo …) e poi … Cronos, e finalmente Zeus, dio sommo dell’Olimpo, provvisti dei poteri massimi e della folgore: l’aquila il suo simbolo … Le “divinità” greche e latine II … e poi Atena, dea della ragione, la Minerva latina; Ares, dio della guerra, il Marte latino; Afrodite, o Venere, dea dell’amore, nata dalla schiuma marina fecondata da Urano; Efesto, o Vulcano, dio del fuoco; Ermes-Mercurio, messaggero divino, protettore dei ladri, dei viaggiatori e dei mercanti: di Ermes potremmo parlare a lungo a proposito della scienza … ermeneutica; Dioniso, il Bacco latino, dio orgiastico del vino e delle feste (il filosofo tedesco Nietzsche ne fece il suo punto di riferimento … mitologico e simbolico); … Le “divinità” greche e latine III … Poseidone, o Nettuno, dio del mare, padre di giganti e mostri tra cui Polifemo; Demetra, dea del raccolto, madre di Persefone, che andava a trovare nell’Ade; Pan (cfr. il cosiddetto “timor panico”), che insidiava le ninfe ed era pastoralmente scherzoso; e … Apollo, dio della musica, dell’armonia e della purezza, quasi il contraltare di Dioniso, come indicò chiaramente Nieztsche: ragione e sentimento, passione e logica; Artemide, la latina Diana, dea della caccia e incarnazione della natura … Le “divinità” greche e latine IV … Persèfone, regina degli inferi … e Ade, invisibile re degli inferi il cui nome non si pronunziava; Estia, dea del focolare domestico; e come dimenticare Era, o Giunone, gelosissima sposa di Zeus; e Mnemòsine, personificazione della memoria; Helios, lo splendente dio del sole, che con il suo cocchio attraversava il cielo da est e avost; Eos, l’aurora dalle rosee dita …; e Selene, la splendente argentea luna … Superuomini e semidei I Questo era, possiamo dire, un “secondo livello” del mondo soprannaturale, che dialogava con il mondo degli umani e degli dei. Spesso si trattava di figure nate dall’unione di dèi e uomini, o donne … … e allora troviamo Epimèteo, o “colui che comprende il ritardo”, Promèteo, che rubò agli dèi il fuoco della conoscenza per darlo agli uomini; Ermafrodito dalla doppia natura (maschile e femminile), Driope, madre di Pan; Atlante, gigante condannato da Zeus a reggere la volta celeste sulle spalle; Eracle (o “gloria di Era) … Superuomini e semidei II … Europa, una delle innumerevoli amanti di Zeus; Teti e Peleo, genitori di Achille; Leda, altra amante di Zeus, per unirsi al quale si trasformò in cigno; Perseo, che decapitò Medusa e salvò Andromeda da un mostro marino; Danae, amata da Zeus sotto forma di pioggia d’oro …; Medusa, gòrgone mortale il cui sguardo trasformava in pietra, uccisa da Perseo; … e Pandora, che custodiva il vaso contenente tutti i mali dell’umanità; Giapeto, padre di tutti gli uomini; Chirone, il più sapiente dei Centauri; Pirra e Deucalione, che si salvarono, come il biblico Noè, dal diluvio mandato da Zeus. E altri … molti altri, che qui trascuriamo, perché altra e più difficile impresa ci attende … Dal Mito alla Filosofia I Il Mito è dunque il primo sapere condiviso dell’uomo mediterraneo, che affida ad esso le proprie, paure, speranze, desideri (da “de sidera”, dagli astri del cielo). Il Mito si pone come una sapienza antica che continua a parlare nei secoli, anche dopo che l’uomo occidentale ha scoperto il metodo logico-argomentativo della filosofia e della scienza. Uno dei maggiori studiosi di ogni tempo della psiche umana, il medico zurighese Karl Gustav Jung, riteneva che al Mito, così come alle storie sacre ci si dovesse sempre riferire per comprendere i principi cardine della vita umana, gli archetipi. Dal Mito alla Filosofia II Il Mito diventa poi Filosofia quando l'uomo cerca di interpretare la sua complessa esperienza vitale, la sua vita di tutti i giorni, utilizzando lo strumento della ragione. In questo senso, ciò-che-esiste, cioè l’uomo e il mondo, deve trovare una spiegazione razionale che lo collochi nel contesto della totalità come sua parte integrante, e di cui la ragione è lo strumento privilegiato, anche se non unico, della comprensione. … cioè dal Mithos al Lògos I Si passa dunque dal mythos al lògos, con la fatica consapevole del pensiero che rende conto delle cose, superando il sapere mitico di cui si aveva conoscenza a partire da Omero ed Esiodo, smettendo quindi di scomodare gli dèi, costretti ad agire per spiegare le esperienze della vita. È un intento poderoso e audace che si servì delle conoscenze matematiche dei geometri egiziani e degli astronomi babilonesi, ma che vi aggiunse, come novità, vale a dire il bisogno di dimostrare ciò che si riconosce per vero, il lògos. … cioè dal Mithos al Lògos II Questo fu certamente il primo passo verso la cultura dell’Occidente che conosciamo noi. È una cosa che non dobbiamo nasconderci: noi abbiamo modo di ricordare questa prima peculiarità dell’Occidente, e ciò nel momento in cui la cultura e la civiltà occidentale ed europea entrano sempre più in stretto contatto con le altre grandi civilizzazioni mondiali, attraverso l’informazione e le tecnologie. I filosofi “presocratici” I La Natura fu il primo campo di indagine di questi pensatori, la natura e i princìpi, o cause dei fenomeni come la nascita, la crescita, la morte e la trasformazione delle cose: generazione e corruzione furono i punti di riferimento delle prime riflessioni sistematico-razionali di questi pensatori universali provenienti dalla Ionia (l’attuale Turchia orientale): Talete di Mileto (VII-VI sec. A C.) pensava che il principio generatore di tutto fosse l’acqua, fonte di vita per la natura ed elemento su cui galleggerebbe la Terra. I filosofi “presocratici” II Anassimandro di Mileto (610-547 a C.), allievo di Talete riteneva che il principio di tutto fosse l’àpeiron, cioè l’illimitato, da cui si svilupperebbero i quattro elementi: l’acqua, l’aria, la terra e il fuoco. Anassìmene di Mileto (586-528 a. C.), forse allievo di Anassimandro, pensava che fosse l’aria il principio responsabile della vita animale, vegetale e terracquea, mediante processi di rarefazione e condensazione. I filosofi “presocratici” III Anassàgora di Clazòmene (496-428 a. C.), portò ad Atene la filosofia naturale proponendo un principio più complesso, che già prelude all’ulteriore sviluppo del pensiero: per lui all’origine delle cose del mondo e del mondo stesso vi sarebbero stati dei semi, governati da un intelletto superiore, il nous, origine ordinatrice e di governo del tutto. Si può notare come Anassagora pose le basi di sviluppi successivi della filosofia greca, soprattutto in Platone. La Scuola Eleatica I Un passo in avanti nella ricerca sull’uomo e sulla natura delle cose viene compiuto dalla cosiddetta “Scuola eleatica”, dalla città campana di Elea (la Velia romana), i cui massimi rappresentanti furono il sommo Parmenide e Zenone. La cosiddetta "Scuola eleatica"… fu la prima a condurre gli enigmi che ostavano alla comprensione dell’uomo e della natura alla dignità del concetto. La Scuola Eleatica II "Scuola eleatica è un’espressione comune; ma in realtà siamo certi che non si trattò di una scuola, come al contrario ce la fa apparire una sintesi di una tradizione successiva di pensiero che si sviluppò nella Magna Grecia, quindi nell’Italia meridionale, e in particolare a Velia, come oggi si chiama la città in cui Parmenide scrisse il primo testo di una certa ampiezza che ci sia stato tramandato.” (Hans Georg Gadamer, Il cammino della filosofia, 1990, Rai Educational) La Scuola Eleatica III Questa “Scuola”, fatto straordinario, ci consegna per la prima volta un testo scritto, pienamente filosofico, anche se redatto in versi. Si tratta di un poema didascalico. Ma, pur essendo scritto nella lingua di Omero, pur essendo redatto con il lessico omerico, pur possedendo l’efficacia espressiva dell’epica omerica, formula argomentazioni estremamente astratte e concettuali. Fu un erudito di nome Simplicio che, alla chiusura dell’Accademia di Atene, decise di ricopiare il celebre testo del Poema di Parmenide, facendolo arrivare fino a noi. Si tratta del “Poema intorno alla Natura”, il Perì Phùseos. La Scuola Eleatica IV - Parmenide Parmenide di Elea (V secolo a. C.) è ritenuto il fondatore dell’ontologia, cioè della scienza dell’essere. Òntos-lògos è il ragionamento sull’essere. Per Parmenide “l’essere è pieno, unico, incontaminato e perfetto”. Passato e futuro appartengono al non-essere: tutto il mondo dei fenomeni appartiene al divenire e dunque al non-essere, perché mutevole e cangiante, illusorio e ingannevole. La Scuola Eleatica V - Zenone Zenone di Elea (V secolo a. C.), fu allievo di Parmenide, e utilizzò in modo paradossale una serie di narrazioni, per mostrare la possibilità del pensiero apparentemente logico, ma realmente assurdo. Il più conosciuto dei suoi paradossi è quello del piè veloce Achille e della tartaruga, che non sarebbe mai raggiunta da Achille. A mettere in discussione le affermazioni di Zenone, intervenne Aristotele, dicendo che Zenone si sbagliava, poiché il movimento è un insieme di punti distinti soltanto in "potenza", e non in "atto". In atto, il tempo e lo spazio sono un tutt'uno, di punti non distinti tra loro. Nella matematica e nella fisica contemporanee, (Gödel, Russell, Planck) Zenone ha trovato nuova audience. Senofane il Rapsodo In realtà si può dire che la “Scuola eleatica” si deve far iniziare con Senofane … un rapsodo greco. I rapsodi erano cantori, che erano soliti declamare, cantando, le grandi storie di eroi e le antiche leggende della tradizione, nei nuovi centri della cultura greca. Sappiamo che dopo Omero ci fu un’intera letteratura cosiddetta "ciclica", i kìkloi, una gran quantità di saghe e racconti epici, di cui non sappiamo più nulla. Il Poema di Parmenide I Vediamo un po’ più da vicino questo testo poetico. Esso comincia con versi di grande potenza descrittiva, in cui si narra di un uomo di notevole esperienza (che evidentemente deve essere l’autore stesso), il quale, in un viaggio favoloso su un carro solare guidato dalle figlie di Hèlios, è condotto fuori dalle città verso il palazzo della dea, che, in segno di particolare favore, gli darà chiarimenti sulla verità dell’essere. Il Poema di Parmenide II "Verità" si dice in greco alétheia: questa parola, se vogliamo spiegarne esattamente l’uso linguistico, significa in realtà il "non occultamento", nel senso, ad esempio, di non nascondere niente in ciò che si dice e si pensa. Ma attualmente, e per buoni motivi, traduciamo di solito "sve-la-men-to". L’importante, in questa espressione, è appunto il modo in cui vi traspare l’immensa curiosità dei Greci per il mondo, lo sforzo di scoprire che cosa c’è sotto, di portare allo scoperto ciò che si nasconde e di collocarlo in nuova luce. La Questione del Nulla I La conoscenza del mondo che si aveva in questo secolo che ora affrontiamo, tra il 600 e il 500 avanti Cristo, si è certo ampliata enormemente. Ma la filosofia non è semplice conoscenza del mondo, filosofia è interrogarsi sugli enigmi che appaiono sullo sfondo di questo mondo che ci si apre davanti. Come è nato quest’ordine cosmico? Da che cosa si è generato? E che cosa c’era prima? La Questione del Nulla II Se esso è generato, allora prima non c’era nulla.… Davvero? … Si può davvero pensare che nulla … ci fosse?… Proprio questo è il grande interrogativo con il quale il pensiero si incammina a interrogarsi sull’essere. Esiste il nulla? Possiamo evitare questa domanda? Che cosa c’era prima? Donde è venuto? E così via … tutte questioni poste in seguito da Aristotele nella sua fisica e nella sua cosmologia. La Questione del Nulla III In ogni caso, qui il pensiero è ormai diventato pensiero critico. Un filosofo ha rivolto ai saggi di Mileto la seguente questione: "Che cosa ne pensate, dunque, della genesi … dell’ordine cosmico? È dal nulla che è venuto all’essere? Che cosa vuol dire questo?". In effetti Parmenide ritiene che tale domanda sia il frutto di una vera e propria ispirazione divina. E mette in bocca alla dea ciò che avrebbe dovuto apprendere da lei. Come si può imparare a capire la nostra conoscenza del mondo? Come si può imparare a intendere il mondo come ordine, senza pensare un concetto inimmaginabile quale è il nulla? La Questione del Nulla IV Il testo dice infatti con parole assai chiare: "Se volete pensare secondo ragione, dovete tenervi lontani dalla via nella quale bisognerebbe pensare il nulla". È chiaro: divenire, nascere, movimento, alterazione … implicano sempre un nulla. Dal nulla nasce qualcosa. Come possiamo evitarlo? Bisogna imparare a pensare che cosa significhi essere, senza volerlo spiegare a partire dal nulla. Il Pensiero dell’Essere I Che cos’è "essere"? Ecco, la dea insegna: "Segui il noûs!" – Questo è il termine greco per dire "ragione", o "spirito", o pensiero; ma questa parola noûs ha una peculiarità tutta sua … come vedremo. Il noûs è, per così dire, l’immediatezza del cogliere il vero interiormente, come quando si dice, per esempio: "me ne avvedo", vale a dire: "lo vedo con i miei stessi occhi"; "penso a ciò che vedo con i miei occhi". Naturalmente non è qualcosa che vedo davanti a me, ma che intuisco visivamente. Come si potrebbe concepire, altrimenti, l’inizio di tutto l’essere? Non ha alcun inizio, l’essere. Soltanto un ente può esserci o non esserci. Il Pensiero dell’Essere II "Questa è la prima cosa che devi imparare, mio diletto: quando dici che qualcosa è presente, oppure è assente, ciò non significa che l’una cosa è, e l’altra non è. Entrambe sono. Devi imparare che ciò che è presente e ciò che è assente sono entrambi. L’essere è Uno, tutt’intero, ed è ovunque uniformemente adesso. Non può essere generato, perché altrimenti un tempo non sarebbe stato … Non può muoversi, perché altrimenti in un luogo non sarebbe". Il movimento, la kìnesis, la ghènesis, richiamano in fondo il problema del divenire, del nascere dal nulla, di fronte al quale il pensiero si trova come davanti a un enigma. Il Pensiero dell’Essere III Ma nel Poema di Parmenide c’è tutto un insieme di argomentazioni, una specie di sentiero della verità su cui la dea vuole condurre il suo allievo, indicandogli, per così dire, dei segnavia: "Non deviare da questa strada e non ricadere in un impensabile come il nulla". E così la dea cerca di introdurre questo giovane (non è detto però che sia giovane)… questo suo allievo, a ciò che intendiamo propriamente per "essere". L’essere è ovunque, c’è sempre, non può mutare, non si dà alcun divenire, nessun trapassare in altro: tutto ciò infatti non è essere. E qui arriviamo al punto particolare che ha fatto storia: infatti, sotto il segno dell’essere sta anche l’inscindibilità di essere e noûs, noèin, che si traduce con "pensiero". Il Pensiero dell’Essere IV Come si dovrebbe rendere, altrimenti? Sarebbe meglio dire, come ho proposto, "avvedersi di qualcosa", "intuire", con la stessa immediatezza che si ha nel vedere. Noèin è, per così dire, l’esperienza immediata … "ecco!", "è qui!". Già dire "qualcosa", è dire troppo: si tratta soltanto di un "c’è!". Noi non possiamo fare nient’altro che dire "c’è qualcosa", ma questa è già una proposizione assai complessa. "C’è qualcosa": in seguito avremo modo di apprendere quanti problemi si nascondano dietro questo "qualcosa" che dobbiamo adoperare ogni volta che pensiamo. L’Equilibrio degli Opposti I Dunque, il colloquio procede per strade faticose, e viene detto anche che noèin ed èinai – pensare ed essere – sono inscindibili, si co-appartengono; "Senza l’essere … non potrai mai trovare … questo intuire, questo avvedersi. Il nulla non è; questo pensiero, in cui ognora ci si smarrisce come mortali disorientati, deve essere del tutto abbandonato". Certo, questo ammonimento a evitare l’assurdo pensiero del nulla è, per così dire, una lezione divina. Ma gli uomini, possono far questo? L’Equilibrio degli Opposti II Non devono forse pensare la pluralità di ciò che accade, che si altera, si organizza, è presente o assente – non è lecito che si pensi magari anche a queste cose? "Sì" – risponde la dea – "e voglio anche mostrarti come lo si può fare secondo ragione, senza pensare l’assurdità del nulla". E con ciò prende avvio la parte più ampia del poema, quella perduta, in cui Parmenide ripercorre le conoscenze dei pensatori di Mileto, sotto una nuova luce critica. Unità e Molteplicità Insomma, non era così semplice spiegarsi come mai il giorno e la notte … si avvicendino. Ma questo era appunto il nuovo tipo di conoscenza che in fondo già i pensatori di Mileto possedevano, senza averne ancora colto il significato; vale cioè a dire: non si tratta affatto di un’opposizione, giorno e notte sono una cosa sola. In altri termini: c’è una via per spiegare le differenze e la molteplicità, la varietà dell’esperienza, senza dover pensare il nulla. Essa consiste nel concepire le cose come presenti nella luce e come dileguantisi da essa. Così come il giorno e la notte si succedono perché sono la stessa cosa, così la luce e il buio sono in verità forme nelle quali le cose scompaiono, sì, alla vista, ma non per questo cadono nel nulla. Democrito e l’Atomismo I Ora, però, qualcuno potrebbe facilmente dire: "Ma come puoi tu, così, spiegare davvero l’ordine del mondo? Se l’essere è ovunque uniforme, non si deve in qualche modo pensare qualcosa come una mescolanza delle molte cose che sono? Che sono, appunto: non è necessario il nulla, ma almeno ci dovrebbe già essere la molteplicità". E di fatto c’è: è la grande intuizione degli atomi, con cui, in seguito, in diretto riferimento al pensiero eleatico, i Greci hanno sviluppato la teoria atomistica: pensiamo a Democrito (Abdera, 470-370 ca a. C.) e ai suoi predecessori, dei quali sappiamo veramente poco. Democrito e l’Atomismo II Gli atomisti non hanno segnato la storia universale del sapere, come è avvenuto invece per la teoria atomica della scienza moderna, che dal XVIII secolo a oggi ha diretto la nostra immagine del mondo. In ogni caso, essi ebbero un certo ruolo – Democrito fu comunque uno studioso importante, anche se, per motivi di cui diremo, le sue dottrine non ci sono pervenute in forma dettagliata. Democrito e l’Atomismo III Eppure ha lasciato più di cento manoscritti. Gli Alessandrini ne avevano ancora conoscenza, e la tarda antichità – in particolare Epicuro – ha ricavato molte delle sue nozioni proprio dall’indagine democritea. Ma, come si è già detto, questa è solo una tarda conseguenza di quella sfida per il pensiero che Parmenide mette in bocca alla dea: ". Voi dovete pensare soltanto l’essere, uno, immutabile e vero, e nient’altro”. … e ancora Parmenide “Questo soltanto è propriamente vero. Tutto il resto … è luce mutevole e … buio che avanza, e così tutte le altre variazioni, in cui gli opposti si separano a vicenda, come il caldo e il freddo, il secco e l’umido e così via". Questo è dunque il Poema di Parmenide, la cui parte teoretica, cioè la dottrina dell’essere, ci è tuttora conservata nei suoi versi. Eraclito, l’Essere e il Divenire I Seguendo i manuali e le divulgazioni, di solito troviamo un accostamento, o meglio una contrapposizione, fra questo eleatico che immobilizza il cosmo, negando ogni movimento e ogni alterazione e – come sua controparte – la dottrina di Eraclito (Efeso, 550-480 ca a. C.). È un’idea facile da pensare, e c’è poi un famoso frammento di Eraclito che dice: "Tutto è divenire. Tutto scorre". Eraclito, l’Essere e il Divenire II Se si confronta questa affermazione con quel concetto di conoscenza dell’essere, ne ricaviamo una dissoluzione sconsolata della possibilità di sapere in quanto tale. Se fosse vero questo che "tutto scorre", allora ci sarebbe solo quella estrema disperazione del sapere che chiamiamo scepsi (scetticismo). E in effetti, nel seguito della tradizione eleatica, si è supposto anche questo, che in realtà noi non possiamo sapere nulla. Eraclito, l’Essere e il Divenire III Veniamo così a un problema teoreticamente importante per la nostra conoscenza degli inizi della filosofia: il fatto, cioè, che possediamo solo citazioni. Il Poema di Parmenide è ben di più che una citazione, è una trascrizione molto diligente. Ma nel caso di Eraclito … abbiamo soltanto singole frasi, anche se di una pregnanza, di una incisività, di una concisione estreme. Faccio solo un esempio: "La via in salita e in discesa è una e medesima …“. È possibile darne una lettura aristotelica, che rimedita la visione della natura che c’era a Mileto. Eraclito, l’Essere e il Divenire IV Potrebbe essere questa: "Ah, gli eventi naturali sono sempre un ciclo. Dall’alto vengono il fuoco, il calore e la luce, e poi ancora le nuvole e l’acqua, e … in mezzo … l’aria e alla fine la terraferma". Con questa visione retrospettiva viene individuata in questo frammento di Eraclito la ciclicità dei processi della natura, e in effetti, poi, molti hanno inteso così. Però, se consideriamo l’insieme dei molti frammenti eraclitei conservati, allora vediamo che questo non è certo il modo più avveduto di comprendere questa proposizione. L’Unità nella Diversità I "La via in salita e la via in discesa" – un’osservazione grandiosa! – "è la medesima". È proprio necessario che qualcuno ce lo dica, che sono la stessa cosa: sono così diverse! La salita è faticosa; anche la discesa è gravosa per le ginocchia, ma è più facile. Ma si potrebbe anche tradurre "l’andata e il ritorno sono la stessa strada" – in greco le parole sono uguali – ed ecco un’altra esperienza, anche chi non è alpinista: può farla … All’andata la strada è più lunga; ma al ritorno per noi è più corta, perché la conosciamo già. Perciò, forse … anzi ne sono addirittura certo, Eraclito non ha voluto dire nient’altro che questo: ciò che ci appare così diverso, in realtà, invece, è il medesimo. L’Unità nella Diversità II E questo vale anche per il famoso fiume. "Tutto scorre". "Non possiamo scendere due volte nello stesso fiume: è acqua sempre nuova che ci lambisce". Piano! Non nello stesso fiume! È infatti lo stesso fiume quello in cui scorre l’acqua! E allora il "tutto scorre" non esclude affatto che vi sia un’uguaglianza. E così possiamo imparare dalle citazioni di Eraclito molte cose interessanti. L’Unità nella Diversità III C’è un passo, riportato da Platone, che è indubitabilmente di Eraclito,: "L’uno che si sdoppia, torna a richiudersi in se stesso". Qui si riassume già tutto: lo sdoppiarsi, l’essere-differente, che non è però il distacco … come condizione irreversibile. Sempre, in ogni distacco, c’è – improvviso – il ritrovarsi insieme. È un’esperienza che si fa. Ecco un altro esempio, evidente a ciascuno, anch’esso sicuramente di Eraclito: "la fame e la sazietà …". L’Unità nella Diversità IV Sembra che non ci sia un passaggio tra le due: conosco persone che dicono drasticamente e con grande sicurezza: "grazie, sono sazio", e non mangiano più. Oppure prendiamo altri casi: la guerra e la pace. Che impatto improvviso, quando la vita ordinata della pace da un giorno all’altro – letteralmente – si trasforma in un mondo completamente diverso! Eraclito, evidentemente, quando ha cercato questa unità nella differenza, l’unità nella diversità, aveva di mira una cosa di importanza decisiva: l’unità che, in tutte le differenze, torna sempre a prorompere. L’Unità nella Diversità V E a questo proposito ci sono delle esperienze – sulle quali dovremo un po’ intrattenerci prossimamente – che tutti conosciamo. Forse, una delle forme più impressionanti di questo passaggio istantaneo è quella fra il sonno e la veglia. Diciamo di addormentarci con piacere, mentre nel nostro mondo civilizzato troviamo sempre assai sgradevole il risveglio. E magari sarà anche vero. L’Unità nella Diversità VI Ma, in fondo, come sappiamo benissimo: è un istante, e si è di nuovo "in sé"; è questo che diciamo, quando ci ritroviamo svegli. Così come è un istante … quello in cui ci si addormenta e non si sente più nulla, "come un morto". Eraclito ha riflettuto proprio su questi fenomeni e con ciò ha posto alla filosofia – accanto alla concezione parmenidea dell’essere – una nuova grande sfida. Verso Platone Platone ha fatto proprie queste due grandi potenze del pensiero, manifestatesi e operanti intorno al 500 avanti Cristo – prima ancora che la tragedia, come è noto a tutti, producesse la grande stagione della cultura greca di Atene. In questo preciso momento, dunque, erano già state gettate le basi di quella che sarà la strada del pensiero e dell’insegnamento nelle prime scuole filosofiche, quella di Platone per i socratici, e quella di Aristotele per i platonici. Pitagora Pitagora di Samo (570-497 a. C.) individuò la dualità tra corpo e anima, come riflesso del contrasto tra bene e male. L’anima è immortale e dunque semplice e perfetta (come spiegherà Platone), mentre il corpo è generato e corruttibile. Ma vi è un principio ordinatore di tutto l’universo, ed è il Numero, con il quale si può spiegare la norma della natura,e il suo alternarsi con il caos. I Sofisti Sofisti erano detti i filosofi che davano un’importanza assoluta all’arte della persuasione, soprattutto nell’Atene della grande stagione politica del V e del IV secolo. A loro si oppose decisamente Platone, che non li considerava “filosofi”, cioè “amanti della sapienza alla ricerca della verità”, ma “filodossi”, cioè amanti della mera opinione soggettiva. I più famosi di costoro furono Gorgia, Prodico, Ippia e Antifonte, ma soprattutto Protagora. Protagora Protagora di Abdèra (V secolo a. C.) fu esiliato per il suo scetticismo circa l’esistenza degli dèi; rappresenta senz’altro l’iniziatore del filone relativista della filosofia, di matrice retorica e scettica. In ogni caso il suo relativismo non lo portò mai a porre in dubbio che si possano definire come “buone” o “male”, “giuste” o “ingiuste” le azioni umane libere. “L'uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono” ( Protagora, fr.1, in Platone, Teeteto, 152a). Socrate I Socrate (469-399 a. C.) è il grande maestro di tutti noi. Si potrebbe anche dire … poco meno di Gesù di Nazaret, per certi aspetti. Nulla scrisse e la sua figura conobbe onori e rifiuti, e una morte per condanna dello Stato ateniese. Platone gli diede gloria immortale facendolo protagonista di quasi tutti i suoi dialoghi. Il suo maggiore interesse era etico, come osservatore acutissimo dei comportamenti umani. Socrate II Ma il suo motto più famoso e fondamentale “So di non sapere”, è l’inizio di ogni sapere, di ogni epistemologia fondata sul ragionamento e sulla logica argomentativa. Riteneva che ogni uomo dovesse vivere virtuosamente e che il fine della vita di ognuno fosse di dedicarsi al “sommo bene”. Lo troveremo successivamente, parlando di Platone. Platone I Platone (Atene 427-347 ca a. C.) è il padre e fondatore della filosofia occidentale. La sua importanza è imparagonabile a quella di alcun altro pensatore, forse escluso il suo supremo allievo Aristotele. Mente eccelsa e dialettica, Platone impegnò la sua vita nella ricerca e nell’uso del sapere a vantaggio dell’uomo, il quale ha la possibilità di comprendere come funziona la natura delle cose e come egli stesso è strutturato (antropologia filosofica), e in ragione di quali sue caratteristiche agisce. Platone II Per il grande Maestro le “idee” sono il principio di ogni cosa del mondo, a partire dall’idea fondamentale del “bene”. Platone, si può dire, utilizza il meglio delle intuizioni dei grandi predecessori, il solenne Parmenide e l’oscuro Eraclito: per Platone il divenire delle cose del mondo non sono “non-essere”, bensì copia imperfetta delle idee delle cose stesse. Parmenide e Eraclito, dunque, per Platone hanno entrambi ragione. Attorno al mondo delle idee Platone costruisce la sua gnoseologia, cioè la sua teoria della conoscenza. Platone III Nella vita umana come nella vita pubblica, nella politica, per Platone si può operare tenendo conto dell’imperfezione di ciò che viene compiuto, ma della possibilità di migliorarsi, somigliando sempre di più all’idea di bene, che tutto governa e ispira, essendo la somma virtù. La “città ideale” (vita politica collettiva), da un lato, e l’anima “razionale” (vita individuale) dall’altro, che governa le passioni dell’irascibile e del concupiscibile, mostrano come l’uomo abbia in se stesso la possibilità di compiere atti virtuosi alla ricerca del bene. L’anima è come il guidatore di un cocchio trainato da due focosi cavalli, che impetuosamente incedono, ma che ubbidiscono al comando delle redini … Platone IV Anche se Platone ha scritto molte opere, sulle tracce del suo maestro Socrate, sostenne sempre la superiorità del discorso orale sullo scritto. E così, nonostante scrisse moltissimo, si può dire che molte delle sue posizioni teoriche furono lasciate al libero fluire del pensiero narrante e dialogante, tra lui e i suoi interlocutori, i molti allievi che frequentavano la scuola da lui stesso fondata, l’Accademia. Tanti “non-scritti”, gli agraphà dògmata, persistono nella tradizione e sono ritenuti (anche da Aristotele stesso) forse la parte più elevata dell’insegnamento platonico. Platone V Le idee sono per Platone il fondamento, non solo del pensare, ma dello stesso essere-delle-cose, sono un fondamento ontologico, oltre che conoscitivo. L’uomo conosce attraverso il riconoscimento di ciò che sta già dentro la propria anima, operando con la reminiscenza che proviene dal mondo delle idee immortali. La verità comunque rimane sempre al di là delle possibilità conoscitive dell’uomo, il quale può solo intuirne i contorni attraverso la riflessione e il dialogo. Platone VI Lo schema conoscitivo platonico è dunque il seguente: - conoscenza sensibile o opinione (δόξα) - immaginazione (ει̉κασία) - credenza (πίστις) - conoscenza intelligibile o scienza (ε̉πιστήμη) - pensiero discorsivo (διάνοια) - intellezione (νόησις) Platone VII In nessuno come in Platone vive e suggerisce conoscenza il Mito, tutti i miti della tradizione, e uno in particolare, quello di Eros, che tutto muove, muove il mondo e muove l’uomo, muove il desiderio e la collera, muove la paura e il coraggio, muove la viltà e il sacrificio, muove … Figlio di Pòros e di Penìa, cioè di Risorsa e Povertà, Eros opera come principio unificante del molteplice e del contraddittorio … Platone VIII Per Platone vale l'ideale della kalokagathìa (dal greco kalòs kài agathòs), ossia «bellezza e bontà». Tutto ciò che è bello (kalòs) è anche vero e buono (agathòs), e viceversa. La bellezza delle idee che attira l'amore intellettuale del filosofo perciò è anche il bene dell'uomo. Il fine della vita umana diventa la visione delle idee e la contemplazione di Dio. Tale contemplazione è sempre imperfetta nella dimensione del mondo sensibile, dominata dalla materia che, in quanto priva di essere, è un semplice non-essere. L'uomo si trova a metà strada tra questi due estremi: mentre le idee sono in sé e per sé, come realtà indipendente e assoluta (ab-soluta), appunto perché "sciolta da" ogni altra, non essendo relative ad altro da sé, l'uomo invece è calato nell’esistenza (da ex-sistentia, "essere fuori"). Platone IX Nel mondo delle idee dunque si trova la “dimora dell’essere”, poiché all’esistenza appartiene solamente il fluire imperfetto delle cose del mondo e della vita. Così come l’uomo ha l’idea del triangolo e delle altre figure geometriche, così le idee rappresentano la perfezione dell’essere, che si riflette nelle cose del mondo sensibile. Platone configura così una visione dualista della realtà, che avrà grandi sviluppi e anche grandi critiche, a partire dal grande allievo Aristotele. Platone X Forse la presenza di Aristotele nella scuola platonica indurranno il Maestro a correggere parzialmente al sua visione del mondo, con l’introduzione del concetto di partecipazione (metèxis) delle cose ai vari gradi dell’essere e soprattutto con l’introduzione del principio dialettico, come “processo di unificazione e moltiplicazione”. La dialettica si presta dunque alla ricerca della verità tramite l’esercizio continuo dell’interrogazione dubitante, la maieutica. Platone XI Per quanto riguarda la Politica, per Platone una sana organizzazione dello Stato è dunque il riflesso dell'organicità dell'anima umana, a cui i filosofi sono preposti. L'anima irascibile o volitiva, simboleggiata dal cavallo bianco, diventa virtuosa quando è caratterizzata da coraggio e audacia: essa trova il suo corrispettivo nella classe dei guerrieri, che hanno il compito di difendere la città. L'anima concupiscibile, simboleggiata dal cavallo nero, è rappresentata infine dagli artigiani e i commercianti, che devono sapere sviluppare la virtù della temperanza; costoro sono più portati al lavoro produttivo. Platone XII Per Platone, dunque, l’Anima e lo Stato devono avere riferimenti rispondenti razionalmente alle virtù preposte: Governanti-filosofi: testa, razionalità, sapienza, giustizia; Guerrieri: torace, volitività, coraggio; Artigiani e commercianti: addome, concupiscibilità, temperanza. Platone XIII I Dialoghi e gli scritti sicuramente attribuibili a Platone, secondo un ordinamento successivo (I sec. D. C.) sono i seguenti: Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico, Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro, Carmide, Lachete, Liside, Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone, Ippia Maggiore, Ippia Minore, Ione, Menesseno, La Repubblica, Timeo, Crizia, Leggi, e le Lettere. Aristotele I Aristotele (Stagira 383 – Calcide 322 a. C.) ha influenzato la filosofia e la scienza successive forse al pari di Platone, di cui fu il più brillante allievo, anche se a volte non riconosciuto come tale. Può essere che il suo progressivo distaccarsi dalle dottrine del Maestro, fecero preferire Speusippo, come successore di Platone stesso, alla morte di questi, alla direzione dell’Accademia filosofica, che il grande ateniese aveva fondato decenni prima. Aristotele II La biografia del grande stagirita è complessa, così come la sua eredità teoretica e morale. Egli si mosse, dopo avere condiviso la vicenda accademica per ben 18 anni, a partire dal compimento del 17mo anno di età, anche se i primi anni, in assenza di Platone, l’Accademia era retta da Eudosso di Cnido. Dopo avere condiviso con alcuni colleghi esperienze di ricerca ad Atarneo, Asso e Mitilene, fu chiamato a Pella, da re Filippo II di Macedonia, che gli chiese di istruire suo figlio Alessandro. Aristotele ivi rimase per tre anni e istruì il futuro grande nei fondamenti della storia e della sapienza greca. Aristotele III Tornato ad Atene verso il 335, Aristotele fonda, con l’aiuto di Alessandro, nel Liceo dedicato ad Apollo Licio, la sua scuola il Peripato, così detta per l’abitudine del Maestro di insegnare passeggiando. Vi insegna soprattutto materie scientifiche, quali zoologia, botanica, mineralogia, ma nei pomeriggi e nelle serate tiene, oggi potremmo dire, conferenze aperte a tutti i cittadini. Resta ad Atene fino alla morte di Alessandro, per rifugiarsi fino alla morte a Calcide, inviso agli ateniesi. Destino comune a molti grandi. Aristotele IV Il suo testamento è molto interessante: «Andrà senz'altro bene, ma qualora capitasse qualcosa, Aristotele ha steso le seguenti disposizioni: tutore di tutti, sotto ogni aspetto, dev'essere Antipatro; però, Aristomene, Timarco, Ipparco, Diotele e Teofrasto, se è possibile, si prendano cura dei figli, di Erpillide [la sua convivente] e delle cose da me lasciate, fino all'arrivo di Nicanore. E al momento giusto, mia figlia [Piziade] sia data in sposa a Nicanore [...] Se invece Teofrasto vorrà prendersi cura di mia figlia, allora sia padrone lui [...] I tutori e Nicanore, ricordandosi di me, si prendano cura anche di Erpillide, sotto ogni aspetto e anche se vorrà risposarsi, in modo che non sia data in sposa indegnamente, visto che è stata premurosa con me. In particolare, le vengano dati, oltre a quello che ha già ottenuto, anche un tallero d'argento e tre schiave, quelle che vuole, la schiava che già ha e lo schiavo Pirro. E se vorrà abitare a Calcide, le sia data la casa per gli ospiti vicino al giardino; se invece vorrà stare a Stagira, le sia data la mia casa paterna [...] Sia libera Ambracide e le si diano, alle nozze di mia figlia, cinquecento dracme e la giovane serva che già possiede [...] Sia liberato Ticone quando mi figlia si dovesse sposare, e così anche Filone, Olimpione e il suo ragazzino. Non vendano nessuno dei giovani schiavi che attualmente mi servono, ma siano impiegati; una volta dell'età giusta, siano liberati, se lo meritano [...] Ovunque sia costruita la mia tomba, là siano portate e deposte le ossa di Piziade, come lei stessa ordinò; dedichino poi anche da parte di Nicanore, se sarà ancora vivo - come ho pregato a suo favore statue di pietra alte quattro cubiti a Zeus Salvatore e ad Atena Salvatrice a Stagira».[ Aristotele V Il pensiero di Aristotele è vasto e complesso: prende le mosse dal platonismo, ma va molto oltre, come vedremo. Innanzitutto egli cerca di superare il fortissimo dualismo gnoseologico del Maestro ateniese, proponendo … di considerare come la realtà tutta potesse essere compresa a partire dal concetto di “essere”. I trattati giovanili sull’Anima (De anima) e sulla Filosofia (Protrectico), già manifestano la sua fortissima tensione morale, per cui la filosofia stessa, essendo disinteressata all’utile, è la strada maestra verso la conoscenza e la bontà (cioè il bene). Aristotele VI A seguito della chiusura dell’Accademia e delle altre scuole filosofica classiche voluta dall’imperatore Giustinano nel 529 d. C., anche le opere di Aristotele rischiarono di andare perdute. Si può dire che le salvò nell’84 a. C. Lucio Cornelio Silla che le fece portare a Roma, dove furono riordinata da Andronico di Rodi. Le grandi opere di Aristotele, a differenza di Platone che preferì la struttura dialogica, si configurano come “trattati”. Aristotele VII L'insieme di queste opere può essere ordinato per argomenti omogenei: Logica, scritti raccolti nel titolo complessivo di Organon - in greco, "strumento" - comprendenti: - Le categorie (un libro) - Sull'interpretazione (un libro) - Analitici primi (due libri) - Analitici secondi (due libri) - Topici (otto libri) - Elenchi sofistici (un libro) Aristotele VIII Metafisica (quattordici libri) Fisica (otto libri) con scritti correlati: - Sul cielo (quattro libri) - Sulla generazione e corruzione (due libri) - Sulle meteore (quattro libri) - Storia degli animali (un libro) - Sulle parti degli animali (un libro) - Sulla generazione degli animali (un libro) - Sulle migrazioni degli animali (un libro) - Sul movimento degli animali (un libro) Aristotele IX Sull’anima (tre libri) con scritti correlati: - Sensazione e sensibile (un libro) - Memoria e reminiscenza (un libro) - Il sonno (un libro) - I sogni (un libro) - La divinazione mediante i sogni (un libro) - Lunghezza e brevità della vita (un libro) - Giovinezza e vecchiaia (un libro) - La respirazione (un libro) Aristotele X Etica, comprendente - Etica Nicomachea (dieci libri) - Etica Eudemia (sei libri) - Grande etica (due libri) Politica (otto libri) correlata alla Costituzione degli Ateniesi Retorica (tre libri) Poetica, incompiuta, oltre a numerosi altri scritti ritenuti apocrifi, come “I problemi e “Le audizioni meravigliose”. Aristotele XI Per Aristotele la filosofia è la scienza dell’essere e delle cause dell’esistere: l’ontologia, o metafisica (dizione attribuita ad Andronico di Rodi), poiché il Maestro la chiamava “teologia”, è la scienza dei fondamenti, cioè dell’essere costituito secondo potenza e atto: in tale modo Aristotele supera la dicotomia tra “essere” e “divenire”, proponendo una sorta di unificazione concettuale, il “sinolo”, cioè il sun-olon, il “con il tutto”. Tutto può diventare (atto) ciò che è in potenza. Diverso è il discorso del “possibile” e dell’”attuale”, come nel caso dell’embrione umano vs. essere-umano-nato. Aristotele XII Le Cause: causa formale: consiste nelle qualità specifiche dell'oggetto stesso, nella sua essenza; causa materiale: la materia è il sostrato senza cui l'oggetto non esisterebbe; causa efficiente: è l'agente che determina operativamente il mutamento; causa finale: la più importante di tutte, in virtù della quale esiste un'intenzionalità nella natura; è lo scopo per cui una certa realtà esiste. Aristotele XIII Per Aristotele il processo conoscitivo (Logica) avviene solamente tramite la deduzione e la struttura del sillogismo, là dove valgono i principi di identità e di non contraddizione: a) l’uomo è razionale, b) il “razionale” è libero, c) l’uomo è libero, siccome a due premesse necessarie (a e b), segue una conclusione incontrovertibile (c). Aristotele XIV L’Etica è l’altro grande centro della speculazione aristotelica, per cui l’etimologia del termine stesso diventa oggetto di riflessione morale intorno al “bene” e alla virtù, a partire dalla condizione umana, che è rappresentata dalla sua antropologia: Le tre modalità etiche di condotta (edonismo, politica, teoretica) vanno comunque integrate fra loro, senza privilegiare l'una a discapito dell'altra. L'uomo infatti deve saper sviluppare e assecondare armonicamente tutte e tre le potenzialità dell'anima che contraddistinguono il proprio essere o entelechia, e da Aristotele identificate con: - l'anima vegetativa, comune anche alle piante e agli animali, che attiene ai processi nutritivi e riproduttivi; - l'anima sensitiva, comune agli animali, che attiene alle passioni e ai desideri; - l'anima razionale, che appartiene soltanto all'uomo, e consiste nell'esercizio dell'intelletto. Aristotele XV Per Aristotele esistono le Virtù etiche: - Giustizia, - Coraggio - Temperanza - Liberalità - Magnificenza - Magnanimità - Mansuetudine Virtù dianoetiche-calcolative - Arte - Prudenza Virtù dianoetiche-scientifiche - Sapienza - Scienza - Intelligenza Aristotele XVI Aristotele, il “filosofo” per eccellenza, così come lo chiamava Tommaso d’Aquino, si interessò profondamente anche delle scienze della terra e della vita umana, creando il primo completo sistema scientifico classificatorio della cultura occidentale. Molto del suo pensiero scientifico con il tempo è stato superato dalle scoperte successive, a partire dall’astronomia e dalle scienze della natura. La sua importanza resta però somma, per le vie conoscitive che ha aperto il suo metodo (dal greco metà-odon, per la via) alla ricerca successiva. Lo Stoicismo I Dopo la stagione dei Maestri Platone e Aristotele, la storia della filosofia annovera alcuni filoni di pensiero che si sono soffermati su particolari questioni etiche e conoscitive. Tra queste lo Stoicismo, scuola di pensiero fondata da Zenone di Cizio (365-263 a. C.) e Crisippo (281-204 a.C.). Per gli Stoici l’anima umana ospita una scintilla di divino, cioè del Lògos o ragione universale, per cui l’uomo deve rinunciare, se può, o almeno governare rigorosamente le sue passioni naturali. Lo Stoicismo II Epittèto (50-138 d. C.) si rifà a Crisippo, accentuando, nel suo celeberrimo “Manuale”, le ragioni per cui l’uomo deve curarsi unicamente delle virtù morali, trascurando glorie e onori (ahi ahi!). Seneca (4 a. C.-65 d. C.), precettore e ministro di Nerone, fu da questi condannato a morte, teorizzo l’equilibrio e la riconoscenza reciproca tra gli uomini. Si leggano le celeberrime “Lettere a Lucilio” e i dialoghi, come il “De senectute” e il “De vita beata”. Marco Aurelio (121-180 d. C.), imperatore, fu grande filosofo stoico, seguace di Seneca, si definì “primo servitore dello stato” (cfr. “I Pensieri”). Il Cinismo e lo Scetticismo Del “Cinismo” possiamo ricordare Diogene di Sinope, detto il Cinico (IV a. C.), che portò alle conseguenze estreme il rigorismo socratico, teorizzando un ritorno radicale alla natura e la rinuncia a ogni comodità, per recuperare l’umanità perduta. Lo “Scetticismo”, scuola filosofica perenne, mostra come suo fondatore Pirrone di Elide (360-270 a. C.), il quale teorizzò un dubbio metodico circa la possibilità di conoscere le cose del mondo, per cui l’atteggiamento più saggio sarebbe l’afasìa, cioè il non dire nulla in termini di giudizio conoscitivo, e l’atarassìa, cioè l’imperturbabilità, sotto il profilo del giudizio etico. Grande mentore di questa linea di pensiero si può considerare l’inglese David Hume (XVIII sec.), che studieremo l’anno prossimo. Plotino Plotino (205-270) è considerato il maggiore esponente del neo-platonismo. La sua interpretazione di Platone servì sia ad Agostino, sia a Tommaso d’Aquino a tentare collegamenti positivi tra la dottrina cristiana e la tradizione filosofica classica. Tra i principali punti della sua teoria: l’Uno (Dio) è il punto di inizio, cui accede, ma non completamente l’Intelletto (detto Nous) e l’Anima umana, divisa tra una parte superiore (oggi diremmo cosciente) e una parte inferiore (diremmo inconscio). Jung, suo attento studioso, lo considera un predecessore nell’analisi dell’interiorità dell’uomo. Epicuro Epicuro di Samo (341-271 a. C.) teorizzò una vita equilibrata , partendo dall’atomismo di Democrito, nella quale la ricerca del piacere fosse sostanzialmente rifuggire il dolore, e quindi dominare le passioni eccessive, come illustra bene il frammento sottostante … Dalla “Lettera a Meneceo” Tὸ φρικωδέστατον οὖν τῶν κακῶν ὁ θάνατος οὐθὲν πρὸς ἡμᾶς, ἐπειδήεπερ ὅταν μὲν ἡμεῖς ὦμεν, ὁ θάνατος oὐ πάρεστιν, ὅταν δὲ ὁ θάνατος παρῇ, τόθ' ἡμεῖς οὐκ ἐσμέν. » cioè « Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è lei, e quando c'è lei non ci siamo più noi. » Lucrezio Lucrezio (99-55 a. C.) fondò il suo pensiero sulla tradizione epicurea, e sul “materialismo democriteo”. Nel suo famoso poema “De rerum natura” sostenne l’esigenza di vivere una vita armoniosa secondo la natura, alla ricerca di un equilibrio tra la vita dei singoli e quella della comunità politica. La filosofia cristiana Abbiamo visto l’evoluzione del pensiero antico fino all’avvento del Cristianesimo e oltre. In un ambito di studio limitato, non possiamo sviluppare gli approfondimenti che un punto così focale meriterebbe, ma possiamo dire che la nuova “religione” che si riferisce alla “Persona di Gesù Cristo” rivoluziona tutto il pensiero antico, proponendo come codice di riferimento, insieme alla Bibbia, come Primo Testamento, la Buona Novella dei Vangeli e della prima letteratura cristiana, nella quale le Lettere di Paolo e l’Apocalisse di Giovanni sono di importanza decisiva. Nasce una filosofia cristiana? Sì e no, perché il Cristianesimo, più che una filosofia, è un’esperienza che si rifà alla Persona di Cristo … cosicché più avanti, allora, si potrà parlare di una filosofia cristiana, a partire dal grande alessandrino Origene e da sant’Agostino. Lo Gnosticismo Una dottrina importante caratterizzò i primi tre secoli dell’era cristiana, permeando anche la stessa dottrina dei seguaci di Cristo, lo Gnosticismo, i cui principali esponenti furono Valentino e Carpocrate. Qualcuno sostiene che ne fosse in qualche modo coinvolto anche “Giovanni” con il suo Vangelo, le sue Lettere e l’Apocalisse, ma il tema è controverso. Lo Gnosticismo era essenzialmente un dualismo teoretico, che, come il manicheismo (da Mani, sacerdote iranico del III secolo d. C.), ipotizzava una divisione netta tra “bene” e “male”, e una possibilità di comprensione differenziata tra gli uomini, che si dividerebbero in incipientes (allievi), proficientes (in cammino) e perfecti. Eredi successivi degli gnostici e dei manichei furono i “bogomili”, i “pauliciani” e i “catari” diffusi e perseguitati nel Medioevo. Verso sant’Agostino I Dobbiamo incamminarci celermente verso Agostino che, con la sua imponente figura di pensatore, sta quasi sulla soglia della fine dell’antichità e dell’inizio di ciò che chiamiamo Medioevo. La sua morte, nel 430 d. C. si colloca con le invasioni vandaliche dell’Africa settentrionale e con gli ultimi decenni dell’Impero Romano (data simbolica il 476, deposizione di Romolo Augustolo). Sappiamo peraltro che l’Impero Romano d’Oriente durerà fino al 1453, con la conquista di Costantinopoli da parte del sultano turco Mehmet II … Verso sant’Agostino II Il pensiero cristiano, nel frattempo, si irrobustisce con la tradizione dei “Padri apostolici” (Policarpo di Smirne, Ignazio di Antiochia, Clemente Romano, etc.), e dei “Padri apologisti” (Giustino, Taziano, Aristide, Atenagora, etc.) che scrivevano agli imperatori romani (Marco Aurelio, Antonino il Pio, …) del “cristianesimo” come religione che non si poneva contro l’Impero … E poi i grandi Padri, orientali (Atanasio, Cirillo di Gerusalemme, Basilio di Cesarea, Gregorio Nisseno e Gregorio di Nazianzo, i padri cappadoci come Teodoro di Mopsuestia …) e occidentali, come Ireneo di Lione, Giovanni Cassiano, Evagrio Pontico, Tertulliano, Cipriano di Cartagine, Ambrogio di Milano, Gerolamo, e Agostino di Ippona, che ci attende … per il prossimo Anno Accademico.