ARISTOTELE (metafisica) Prof. Michele de Pasquale il principio unificatore del molteplice, ciò che costituisce l’identico tra i diversi, è l’essere ENTE possiamo conoscere l’ente in quanto determinato (come numero, come movimento …) e possiamo conoscerlo in quanto ente la filosofia prima (metafisica) si occupa dell’ente in quanto ente “ C’è una scienza che studia l’essere-in-quanto-essere e le proprietà che gli sono inerenti per la sua stessa natura. Questa scienza non si identifica con nessuna delle cosiddette scienze particolari, giacché nessuna delle altre ha come suo universale oggetto di indagine l’essere-in-quanto-essere, ma ciascuna di esse ritaglia per proprio conto una qualche parte di essere e ne studia gli attributi, come fanno, ad esempio, le scienze matematiche. E poiché noi stiamo cercando i principi e le cause supreme, non v’è dubbio che questi principi e queste cause sono propri di una certa realtà in virtù della sua stessa natura. Se, pertanto, proprio su questi principi avessero spinto la loro indagine quei filosofi che si diedero a ricercare gli elementi delle cose esistenti, allora anche gli elementi di cui essi hanno parlato sarebbero stati propri dell’essere-in-quanto-essere e non dell’essere-per-accidente; ecco perché anche noi dobbiamo riuscire a comprendere quali sono le cause prime dell’essere-inquanto-essere.” (Aristotele, Metafisica) al filosofo primo spetta l’indagine su che cosa sia un ente in quanto tale, cioè in quanto esiste, senza riguardo alla sua particolare natura (se sia un numero, un animale...): ontologia è possibile studiare la realtà secondo due prospettive: studiare le proprietà di un ente in quanto appartenente a un genere definito (ad esempio la Fisica studia gli enti in quanto sottoposti al mutamento) studiare tutti gli enti senza riguardo al genere a cui sono iscritti, in quanto esistenti, in quanto enti “ Il termine ‘essere’ è usato in molte accezioni, ma si riferisce in ogni caso ad una cosa sola e ad un’unica natura e non per omonimia; … ma anche il termine ‘essere’ viene usato in molte accezioni, però ciascuna di esse si riferisce pur sempre ad un unico principio. Alcune cose, infatti, si chiamano ‘esseri’ perché sono sostanze, altre perché sono determinazioni affettive della sostanza, altre perché aprono la via verso la sostanza e ne indicano la distruzione o la privazione o le qualità o perché sono produttrici o generatrici di una sostanza ovvero dei termini relativi alla sostanza, o anche perché sono negazioni di qualcuno di questi termini o della sostanza; ed è questo il motivo per cui noi diciamo che anche il non-essere è in-quanto-non-essere…. E’ riservato ad un’unica scienza lo studio non solo di quei termini che esprimono una nozione comune, ma anche di quei termini che sono relativi ad una sola natura, giacchè anche questi ultimi, in un certo senso, esprimono una nozione comune. Quindi è chiaro che spetta ad un’unica scienza anche lo studio degli esseri-in-quanto-esseri. In ogni caso, poi, la scienza ha come suo oggetto peculiare ciò che è primo, ossia ciò da cui le altre cose dipendono e mediante cui esse ricevono le loro denominazioni. Pertanto se questa prima cosa si identifica con la sostanza, allora il filosofo dovrà avere in suo dominio i principi e le cause, appunto, delle sostanze.” (Aristotele, Metafisica, libro gamma) la proprietà fondamentale dell’ente è la sua contrapposizione al non essere: ogni essere non è un niente ogni essere non è ogni altro essere diverso da esso principio di non contraddizione: è impossibile che per il medesimo rispetto la stessa cosa sia e non sia ” E il principio piú sicuro di tutti è quello intorno al quale è impossibile cadere in errore: questo principio deve essere il principio piú noto (infatti, tutti cadono in errore circa le cose che non sono note) e deve essere un principio non ipotetico. Infatti, quel principio che di necessità deve possedere colui che voglia conoscere qualsivoglia cosa deve già essere posseduto prima che si apprenda qualsiasi cosa. È evidente, dunque, che questo principio è il piú sicuro di tutti. Dopo quanto si è detto, dobbiamo precisare quale esso sia. È impossibile che la stessa cosa, a un tempo, appartenga e non appartenga a una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto (e si aggiungano pure anche tutte le altre determinazioni che si possono aggiungere, al fine di evitare difficoltà di indole dialettica). È questo il piú sicuro di tutti i princípi: esso, infatti, possiede quei caratteri sopra precisati. Infatti, è impossibile a chicchessia di credere che una stessa cosa sia e non sia, come, secondo alcuni, avrebbe detto Eraclito. In effetti, non è necessario che uno ammetta veramente tutto ciò che dice. E se non è possibile che i contrari sussistano insieme in un identico soggetto (e si aggiungano a questa premessa le precisazioni solite), e se un’opinione che è in contraddizione con un’altra è il contrario di questa, è evidente che è impossibile, ad un tempo, che la stessa persona ammetta veramente che una stessa cosa esista e, anche, che non esista: infatti, chi si ingannasse su questo punto, avrebbe ad un tempo opinioni contraddittorie. Pertanto, tutti coloro che dimostrano qualcosa si rifanno a questa nozione ultima, perché essa, per sua natura, costituisce il principio di tutti gli altri assiomi.” (Aristotele, Metafisica) per dire che cos’è un ente, Aristotele usa il termine SOSTANZA (ousia = esiste di per sé) con ACCIDENTE indica la proprietà di una sostanza (ciò che inerisce ad essa) per indicare il che cos’è di un ente Aristotele usa anche il termine FORMA: forma sostanziale = che cos’è di una sostanza forma accidentale = che cos’è di un accidente i tipi fondamentali di forme sono le CATEGORIE “ Di un qualsiasi oggetto si predica infatti ciò che esprime o una qualità, o una quantità, o qualcosa di consimile, oppure gli elementi costitutivi della sostanza: orbene, queste determinazioni sono in numero limitato, come pure sono limitati i generi della predicazione, dato che si tratterà o di qualità, o di quantità, o di relazione, o di attività, o di passività, o di luogo, o di tempo. … il primo posto [tra le categorie] è riservato alla sostanza, e solo dopo di questa si può parlare di qualità e poi ancora di quantità. Queste altre categorie non sono, per così dire, entità che esistano in senso assoluto, ma sono soltanto quantificazioni e movimenti..” (Aristotele, Metafisica, libro lambda) affinchè la ricerca intorno all’ente in quanto ente possa essere definita scienza, occorre individuare un criterio di unificazione del suo campo oggettuale se è vero che l’ente ha molteplici significati, è anche vero che questi sono connessi tra loro: tutti rimandano alla sostanza che rappresenta il significato centrale (l’unitario riferimento comune) perchè essa è il sostrato che sorregge ogni altra modalità di esistenza “ Sostrato è ciò di cui sono predicate le altre cose, mentre esso stesso non è mai predicato di altro; perciò noi dobbiamo, anzitutto, determinare proprio il concetto di esso, giacchè il primo sostrato è quello che sembra identificarsi in particolar modo con la sostanza. Questo primo sostrato suole essere identificato in primo luogo con la materia, in secondo luogo con la forma e in terzo luogo col composto di entrambe.” (Aristotele, Metafisica, libro zeta) nel senso più proprio, per sostanza si deve intendere la forma dato che essa è il principio di determinazione immanente a ogni sostanza individuale (= principio in virtù del quale ogni sostanza individuale è un determinato “questo”) l’esperienza ci attesta che le sostanze sensibili sono enti DIVENIENTI, passano, cioè, dalla privazione di una certa forma alla acquisizione di detta forma c’è un qualcosa che permane sia nel momento in cui è privo, sia in quello in cui è in possesso della forma: Il SOSTRATO grazie al sostrato si evita di incorrere nella violazione del principio di non-contraddizione il divenire è il passaggio dalla potenza che il sostrato possiede di ricevere la forma al possesso attuale di tale forma il sostrato è il fondamento permanente in rapporto al quale si esplica l’azione conflittuale dei contrari (è una sostanza che permane nel variare degli accidenti che le ineriscono) il mutamento viene pensato come una trasformazione del sostrato: il passaggio del sostrato da un contrario (stèresis = privazione) all’altro (eidos o morphè = forma) si supera così il divieto eleatico di pensare il movimento: il non essere non è il nulla ma la privazione - privazione non in senso assoluto perchè all’origine del processo c’è il sostrato Aristotele (secondo libro) usa due sistemi di concetti per spiegare il movimento e la struttura delle sostanze naturali: la teoria delle quattro cause (aitiai) i concetti di potenza e atto “ Definiti questi punti, bisogna prendere in esame le cause, allo scopo di sapere quali e quante esse sono di numero. Poiché, infatti, il presente trattato si propone per scopo la conoscenza, e noi non presumiamo di conoscere ciascuna cosa prima di averne colto ogni volta il perché (e questo significa cogliere la causa prima), è chiaro che anche noi dobbiamo far ciò intorno alla generazione, alla corruzione e ad ogni mutamento naturale, affinché, conoscendone i princípi, ci studiamo di far risalire ad essi ciascuna delle nostre ricerche… In un modo, dunque, si dice causa ciò da cui una cosa deriva essendo in essa immanente: ad esempio, il bronzo è causa della statua, l’argento della coppa, e i loro generi. In altro modo si dice causa la forma [eîdos] e il modello [parádeigma], cioè la definizione del concetto e i generi di essa (come nell’ottava il rapporto di uno a due e, in generale, il numero) e le parti inerenti alla definizione. Inoltre si dice causa ciò da cui deriva il principio primo del mutamento o della quiete: ad esempio, è causa chi dà un consiglio, il padre è causa del figlio, e, in generale, l’agente è causa di ciò che è fatto e ciò che muta è causa di ciò che vien mutato. Ed ancora, si dice causa il fine, cioè la causa finale: ad esempio, la sanità è causa del camminare; alla domanda infatti: perché cammina? rispondiamo: perché stia bene; e, dicendo cosí, crediamo di aver ammessa la causa. Pertanto son pure da considerarsi cause tutte le cose che coll’intervento di altro movente divengono intermedie del fine: ad esempio, della sanità la magrezza o la purgazione o le medicine o gli strumenti; tutte queste cose, infatti, si ammettono in vista del fine e differiscono fra loro in quanto sono azioni le une, strumenti le altre … % E poiché le cause sono quattro, è compito del fisico l’aver conoscenza di tutte; ed egli, riferendo il perché a tutte, lo assegnerà fisicamente ad esse, ossia alla materia, alla forma, al motore, alla causa finale.” (Aristotele, Fisica) causa materiale (hyle = materia): ciò di cui una cosa è fatta causa formale (eidos, morphè = forma): l’essenza di una sostanza causa efficiente (archè tes metaboles): ciò che determina l’inizio del cambiamento causa finale (tèlos): ciò in vista di cui avviene il mutamento ogni sostanza è pensabile come unione di materia e forma (sinolo: syn con olon tutto = tutt’insieme): Aristotele considera spesso equivalenti causa finale e formale secondo Aristotele i naturalisti (ionici e atomisti) hanno riconosciuto solo la causa materiale, Platone anche quella formale (le idee) e finale (il bene), Anassagora ed Empedocle la causa efficiente (nous; amore-odio) Atto: Potenza (dynamis): possibilità di qualcosa di trasformarsi in qualcos’altro condizione di qualcosa che ha raggiunto il proprio fine realizzando la completa attuazione delle proprie potenzialità (entelècheia = en in telos fine ècho avere = compiuto); processo dell’attuarsi dell’entelècheia, esplicarsi delle funzioni di un ente che ha attuato la propria entelecheia (enèrgheia = en in ergon opera = attività) “ Si dice potenza il principio di un movimento o di un cangiamento o di un compimento…Si ha l'atto quando c'è l'esistenza reale dell'oggetto.” ( Aristotele, Metafisica) “ Il movimento è l'atto di ciò che è in potenza in quanto è in potenza. (Aristotele, Fisica) non sempre Aristotele distingue tra entelècheia ed enèrgheia: ad es. il seme è la pianta in potenza (dynamis); la pianta adulta è il seme in atto (entelècheia); compiuto il processo la pianta è in grado di svolgere le funzioni che le sono proprie, cioè la sua propria attività (enèrgheia) esiste una corrispondenza tra materia potenza forma atto ma mentre la coppia materia-forma rende ragione della struttura del reale in un’ottica prevalentemente statica, la coppia potenza-atto è più idonea a spiegare dinamicamente i processi di trasformazione come i concetti di materia e forma anche quelli di potenza e atto (dynamis ed entelechìa) servono a definire l'essere nella sua concreta maniera di esserci, e come i concetti di materia e forma, anche quelli di potenza e atto possono essere distinti ma non separati un bambino è "in potenza" l'adulto che diventerà domani "in atto“, ma contemporaneamente un bambino è già "in atto", perchè ha già una sua forma costituita e reale che lo determina appunto come bambino e non, per esempio, come cucciolo di un altro animale; è "in atto", inoltre, rispetto al seme che l'ha generato e che a sua volta era "in potenza" quel bambino ogni cosa è dunque un "sinolo" non solo di materia e forma, ma anche di potenza e atto anzi, materia e forma possono essere definite anche potenza e atto: se si definisce la casa dicendo che è pietre e mattoni, la si definisce in potenza, perchè pietre e mattoni sono appunto la materia della casa ecco perchè si può dire allora che “ la materia e la forma sono la sola e medesima cosa, una in potenza e l'altra in atto... mentre la potenza e l'atto costituiscono in qualche modo un'unità la cui causa non è nient'altro che ciò che ha prodotto il passaggio dalla potenza all'atto.” (Aristotele, Metafisica) se ogni cosa è materia e forma, e potenza e atto rappresentano le strutture necessarie del suo essere e del suo cambiare, il fatto importante è che c'è sempre - nell'essere e nel divenire una priorità sostanziale e temporale dell'atto rispetto alla potenza l'atto precede la potenza perchè ciò che e in potenza è tale proprio perchè può essere in atto: la conoscenza e la definizione dell'atto sono dunque precedenti alla conoscenza e alla definizione della potenza anche da un punto di vista temporale - nel processo del divenire - c'è precedenza: ciò che è in atto deriva sempre da ciò che è in potenza ad opera di qualche cosa che è gia in atto l'uomo diventa l'atto del bambino proprio perchè c'è stato un altro uomo a generare il bambino “ L'atto è anteriore alla potenza anche relativamente alla sostanza, in primo luogo perchè le cose che sono posteriori secondo la generazione sono anteriori secondo la forma e la sostanza (come, ad esempio, l'adulto è anteriore al fanciullo e l'uomo è anteriore al seme, perchè l'uno ha già la forma e l'altro no), e in secondo luogo perchè tutto ciò che è generato procede verso il proprio principio, ossia verso il fine (giacchè la causa finale è principio, e in vista del fine si va attuando il divenire), e l'atto è un fine. Infatti gli animali vedono non allo scopo di avere la vista, ma hanno la vista allo scopo di vedere... Inoltre la materia esiste in potenza, soltanto perchè possa pervenire alla forma; e sta nella forma soltanto quando è in atto.” (Aristotele, Metafisica) se dal “nulla non si genera nulla”, la forma che deve essere generata, deve essere già prima, non nel senso che preesiste al sostrato, ma nel senso che esiste in un altro sostrato che produce il movimento dalla privazione alla forma, cioè una sorta di MOTORE (= causa efficiente) nella scala dei motori, all’inizio deve esserci un motore che muove ma non si muove (motore immobile) per attrazione (= causa finale) Aristotele indaga due aspetti della sostanza immobile: il suo rapporto con ciò che è mosso: il motore immobile è la causa finale del movimento nel senso che muove le cose come l’oggetto d’amore muove l’amante le sue proprietà: sostanza immateriale, pura forma, puro atto, pensiero in atto “È dunque necessario che ci sia un Principio, la cui sostanza sia l’atto stesso. Pertanto, è anche necessario che queste sostanze siano scevre di materia, perché devono essere eterne, se mai esiste qualcosa di eterno. Dunque, devono essere atto. [...] È evidente, dunque, da quello che è stato detto, che esiste una sostanza immobile, eterna e separata dalle cose sensibili. E risulta pure che questa sostanza non può avere alcuna grandezza, ma che è senza parti ed indivisibile. (Essa muove, infatti, per un tempo infinito, e nulla di ciò che è finito possiede una potenza infinita; e, poiché ogni grandezza o è infinita o è finita, per la ragione che s’è detta, essa non può avere grandezza finita, ma nemmeno una grandezza infinita, perché non esiste una grandezza infinita). Risulta, inoltre, che essa è impassibile ed inalterabile: infatti tutti gli altri movimenti sono posteriori al movimento locale.” (Aristotele, Metafisica 1071)