• Definizioni e distinzioni
• Schumpeter e la democrazia procedurale
• Le condizioni politiche della democratizzazione
• Dahl e la poliarchia
• Le fasi e le ondate della democratizzazione
• Le condizioni socio-economiche della
democratizzazione
• Tipi di democrazia
• Lijphart e i modelli di democrazia
• La qualità della democrazia
• Il futuro della democrazia
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La democrazia è la forma politica che ha mostrato nel corso
del tempo le maggiori capacità di adattamento a condizioni
diverse, le maggiori capacità di apprendimento e le
maggiori potenzialità di trasformazione.
Appare utile, dunque, la distinzione tra
democrazie reali, concrete, e le tante,
utili teorizzazioni sulla democrazia
La distanza tra le teorizzazioni e la realtà, tra la
teoria e la pratica democratica, misura lo spazio che,
di volta in volta, tenendo conto dei tempi e dei sistemi
politici, si deve e, eventualmente, si può colmare.
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DEMOCRAZIA FORMALE
DEMOCRAZIA SOSTANZIALE
basata sul rispetto delle
regole e delle procedure
interessata agli esiti dei procedimenti
formali in termini di eguaglianza e di
benessere per i cittadini
Altri autori, invece, tendono a distinguere tra:
le democrazie FORMALI, caratterizzate da:
 riconoscimento e tutela dei diritti politici e civili
 rispetto del “governo della legge” (rule of law)
 indipendenza della magistratura e di molte autorità
amministrative
 presenza di una società pluralista e assenza di controllo
governativo
sui mezzi di comunicazione
 il controllo dei civili sui militari
… e le democrazie ELETTORALI, in cui certamente si vota, ma una o più delle
caratteristiche sopraelencate non sono rispettate o vengono frequentemente violate.
3
Per Schumpeter (1947), la democrazia è «quell’assetto istituzionale
per arrivare a decisioni politiche nel quale alcune persone acquistano
il potere di decidere mediante una lotta competitiva per il voto
popolare»
Il metodo democratico concepito da Schumpeter va combinato con il
principio delle REAZIONI PREVISTE individuato da Friedrich
(1963):
poiché i detentori del potere desiderano essere rieletti, la maggior
parte dei governanti si sforzerà di interpretare al meglio le
preferenze del maggior numero di elettori, innescando il meccanismo
della ACCOUNTABILITY.
I governanti cercheranno di tenere conto costantemente delle preferenze degli
elettori e saranno disponibili a rendere conto del loro operato nel momento in cui
tenterà di essere rieletto. Pertanto, in un regime democratico i cittadini-elettori
possono far conto sulla responsabilizzazione complessiva dei loro
rappresentanti.
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Le critiche più frequentemente sollevate contro la definizione di
Schumpeter riguardano:
1. la presunta riduzione della democrazia a semplice competizione
elettorale;
2. l’assegnazione di una delega a governare affidata a una squadra
di persone dotate di enorme potere non controllabile per tutta la
durata della loro carica.
I critici hanno, perciò, contrapposto alla democrazia procedurale di
Schumpeter una democrazia considerata sostanzialmente
PARTECIPATIVA, nella quale i cittadini partecipano attivamente,
intensamente, continuativamente alla produzione delle decisioni politiche
a tutti i livelli.
5
L’elenco più accurato dei requisiti per la creazione di un regime
democratico è stato formulato da Robert Dahl (1971) ed è costruito
sulle garanzie necessarie da conferire ai cittadini e sui diritti da
promuovere e proteggere, affinché le loro preferenze incidano
effettivamente sull’azione dei governanti.
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Per Dahl, i regimi democratici sono definibili “poliarchie”, poiché in questi
regimi nessun gruppo è in grado di egemonizzare il potere politico, che è
relativamente diffuso tra i detentori del potere politico.
Il pluralismo democratico è infatti considerato:
ILLIMITATO, COMPETITIVO, RESPONSABILE.
Dahl studia i processi di democratizzazione all’interno di
uno schema analitico che prevede 2 dimensioni:
quella della contestazione e quella della partecipazione
Il procedimento di allargamento
delle opportunità di
contestazione/competizione è
definibile come
LIBERALIZZAZIONE
Il procedimento di allargamento
delle attività di partecipazione è
definibile come
INCLUSIVITÀ
La DEMOCRATIZZAZIONE discende dalla congiunzione
di questi 2 processi: liberalizzazione e inclusività.
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Poliarchie
LIBERALIZZAZIONE
CONTESTAZIONE
Oligarchie
competitive
Egemonie
chiuse
INCLUSIVITÀ
PARTECIPAZIONE
8
Egemonie
includenti
Rustow (1970) ha individuato una serie di condizioni politiche e di
fasi che conducono concretamente all’emergere dei regimi
democratici:

appartenenza a una comunità politica: gli individui che partecipano
alla costruzione di un regime democratico devono concordare sulla loro
appartenenza a una specifica comunità politica. È’ una fase preliminare e
propedeutica alla democratizzazione;
1.
PREPARAZIONE: la prima fase prevede una lotta prolungata fra gruppi di
élite, che si conclude senza la vittoria di un gruppo sugli altri, ma con un
compromesso;
2.
DECISIONE: il compromesso raggiunto implica una decisione
consapevole di riconoscere non soltanto le diversità, ma anche di creare
strutture e procedure che preservino queste diversità;
3.
ASSUEFAZIONE (habituation): in questa fase, gli artefici del
compromesso democratico convincono i politici di professione, gli attivisti
e i cittadini dell’importanza e dell’efficacia di conciliazione e di
accomodamento.
9
Huntington (1993) ha individuato 3 ondate di democratizzazione
e 2 ondate di riflusso:
Periodo
Stati democratici
Cause
socio-economiche
1° ondata di democratizzazione
1828-1926
29
1° ondata di riflusso
1922-1942
12
2° ondata di democratizzazione
1943-1962
36
2° ondata di riflusso
1958-1975
30
1974
58
3° ondata di democratizzazione
politiche e militari
apprendimento
Per Huntington, la terza ondata di democratizzazione si fonda su un fattore generale definito
“apprendimento”, cioè il fatto che molti paesi giunti alla democrazia dopo il 1974
avevano già avuto in passato esperienze con la democrazia.
Inoltre Huntington indica 5 mutamenti responsabili della terza ondata:
1.
la crisi di legittimazione dei regimi autoritari;
2.
una crescita economica senza precedenti;
3.
il nuovo ruolo della Chiesa cattolica dopo il Concilio vaticano II;
4.
l’impatto della Comunità europea e le decisioni di Gorbaciov;
5.
l’effetto contagio o “domino” dei processi di democratizzazione.
10
La tesi di Lipset (1981) costituisce il punto di riferimento e di
partenza di tutte le riflessioni riguardanti il rapporto,
esistente o inesistente, tra democratizzazione e sviluppo
socio-economico:
i sistemi socio-economici più sviluppati sono quelli che
riescono a creare e mantenere un regime democratico.
C’è, però, un elemento di incertezza e ambiguità nella tesi e nella
ricerca di Lipset: non è chiaro se egli intendesse unicamente mettere in
rilievo delle correlazioni, per quanto significative, fra un determinato
livello di modernizzazione socio-economica e l’esistenza di un regime
democratico oppure se intendesse stabilire fra loro una relazione di
causa ed effetto.
11
Secondo alcuni studiosi, non sono tanto le caratteristiche aggregate del
sistema socio-economico che contano per l’affermazione della
democrazia, come pensava Lipset, quanto piuttosto l’assenza di
squilibri e di disuguaglianze di grande portata fra i vari gruppi sociali.
CONTROTESI
Un regime democratico si afferma quando le disuguaglianze
fra i gruppi sociali sono relativamente contenute e gli
squilibri ridotti.
Altri studiosi hanno sostenuto che non conta tanto il livello specifico di
sviluppo socio-economico, quanto le modalità con le quali è stato
perseguito e conseguito.
CONTROTESI
Il tentativo di ottenere sviluppo socio-economico in
maniera accelerata impone di fare leva su metodi
autoritari e, di conseguenza, è destinato ad avere
effetti tanto destabilizzanti sul sistema politico da
non riuscire a condurre a un regime democratico.
12
Huntington (1993), collegando lo sviluppo economico (misurato in base
al Pil pro capite) con i processi di democratizzazione, ha messo in risalto
un’effettiva correlazione, ovvero una spinta positiva delle condizioni
socio-economiche a favore dell’instaurazione dei regimi democratici.
«Uno scienziato sociale che a metà degli
anni ’70 avesse voluto predire il futuro della
democratizzazione avrebbe avuto successo
indicando semplicemente i paesi compresi
nella fascia di transizione fra i 1.000 e 3.000
dollari».
La tesi di Lipset è stata poi significativamente riformulata anche da Przeworski e
Limongi (2000), in particolare per ciò che riguarda la nascita dei regimi
democratici: «le democrazie compaiono casualmente rispetto ai livello di
sviluppo, ma muoiono nei paesi più poveri e sopravvivono nei paesi più
ricchi».
In sintesi, TUTTI i sistemi politici hanno la possibilità di diventare democratici.
Tra i paesi già democratici, invece, quelli che hanno maggiori probabilità
di rimanere tali sono quelli più ricchi, a prescindere dalla distribuzione
più o meno egualitaria della ricchezza.
13
I regimi democratici esibiscono notevoli diversità:
- STRUTTURALI, legate ai loro sistemi istituzionali: presidenziali,
semi-presidenziali, parlamentari, direttoriali;
- POLITICHE, che riguardano i loro sistemi partiti: bipartitici o
multipartitici;
- FUNZIONALI, che concernono il loro funzionamento e il loro
rendimento.
Per spiegare le differenze di funzionamento
e di rendimento dei regimi democratici e la
natura dei loro problemi sono stati utilizzati
numerosi criteri.
Le spiegazioni più note e diffuse sono quelle
di
Gabriel Almond e di Arend Lijphart.
14
Considerata la stabilità/instabilità dei regimi democratici come variabile dipendente, la
variabile indipendente venne individuata da Almond nella cultura politica.
Sistemi politici
Cultura politica
Struttura dei ruoli
Anglo-americani
Omogenea,
secolarizzata.
Differenziata, organizzata
burocraticamente,
con diffusione di potere.
Europei continentali
Eterogenea,
frammentata,
alienata.
Innestata in contesti
ideologici ad alta
sostituibilità, esposta a
interventi cesaristici.
Pre-industriali
Tradizionale,
carismatica
Scarsa differenziazione, alta
sovrapposizione di ruoli.
Totalitari
Sintetica/ideologica,
conformità/apatia
Dominio dei ruoli coercitivi,
instabilità funzionale.
Questa tipologia non è in grado di rendere conto dei sistemi
politici scandinavi: questi sistemi possiedono una cultura politica
eterogenea, talvolta persino frammentata, eppure hanno sempre
esibito evidenti caratteristiche di stabilità politica.
15
Senza abbandonare il criterio della cultura politica, il politologo
olandese Lijphart vi accostò quello relativo al comportamento delle
élite e pervenne a una tipologia dei regimi democratici alquanto più
ricca di quella di Almond.
Cultura politica
Comportamento
dell’élite
Omogenea
Frammentata
Coesivo
Democrazia spoliticizzata
Democrazia consociativa
Competitivo
Democrazia centripeta
Democrazia centrifuga
Le democrazie consociative presentano culture politiche non frammentate,
ma, come ha rilevato Sartori, segmentate, nelle quali le culture politiche sono
effettivamente diverse, ma la distanza ideologica è relativamente contenuta.
Nelle democrazie spoliticizzate (es. Svizzera, Spagna 1979-1982) è centrale
il ruolo delle élite nel decidere, entro certi limiti, se e quanto politicizzare i loro
comportamenti e quelli dei loro sostenitori.
16
Rivedendo e parzialmente superando la sua precedente
tipologia, Lijphart giunge alla elaborazione di due distinti
modelli di regimi democratico. Questi 2 modelli si
differenziano seguendo 2 dimensioni:
DIMENSIONE ESECUTIVO-PARTITI
DIMENSIONE UNITARIA-FEDERALE
1. Concentrazione del potere esecutivo
1. Grado di unitarietà e
centralizzazione del governo
2. Relazioni tra governi e Parlamento
2. Concentrazione del potere esecutivo
3. Sistema dei partiti
3. Formato della costituzione
4. Sistema elettorale
4. Controllo giurisdizionale di
costituzionalità
5. Sistema degli interessi
5. Dipendenza delle Banche centrali
dal potere esecutivo
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MODELLO WESTMINSTER
1.
Governi monopartitici o risicati
2.
Predominio dell’esecutivo
3.
Sistema bipartitico
4.
Sistema elett. maggioritario
5.
Pluralismo dei gruppi di interesse
6.
Sistema di governo accentrato e
unitario
7.
Bicameralismo asimmetrico
8.
Flessibilità della costituzione
9.
Assenza di judicial review
10. Banca centrale controllata
MODELLO CONSENSUALE
1.
Governi di grande coalizione
2.
Equilibrio tra legislativo/esecutivo
3.
Sistema multipartitico
4.
Rappresentanza proporzionale
5.
Neocorporativismo dei gruppi di
interesse
6.
Federalismo e governo accentrato
7.
Bicameralismo forte
8.
Costituzione rigida
9.
Judicial review
10. Banca centrale indipendente
18
Molte delle critiche rivolte allo studio di Lijphart si sono soffermate sulla validità e
sulla utilità del concetto di democrazia “consensuale”
Sartori ha giustamente rilevato che la connotazione
“consensuale” non può essere contrapposta alla
connotazione “maggioritario”, poiché tutte le
democrazie maggioritarie si reggono sul consenso.
Appare molto più utile distinguere in linea di principio le democrazie con
riferimento a due criteri: il criterio “strutturale” (maggioritarie vs.
proporzionali) e il criterio “comportamentale” (consensuali vs. conflittuali).
Comportamento dell’élite
Strutture
comportamentali
Consensuali
Conflittuali
Proporzionali
Scandinavia, Paesi Bassi,
Germania, Austria
Francia IV Rep.,
Italia 1947-1993
Maggioritarie
Gran Bretagna 19451979, India 1947
Gran Bretagna 1979 -, Usa
1992-2008, Italia 1993 -
19
La selezione dei criteri per valutare le democrazie costituisce di per sé già
un processo molto problematico.
Lijphart, ad esempio, non chiarisce quali sono gli indicatori
di qualità delle democrazie: il suo obiettivo è quello di
dimostrare che le democrazie consensuali non sono di
qualità inferiore alle democrazie maggioritarie.
Anzi Lijphart giunge alla conclusione che le democrazie consensuali
siano, nel loro rendimento, superiori rispetto a quelle maggioritarie,
perché “più miti e serene”.
Tuttavia è opportuno notare che la qualità di una democrazia merita di
essere valutata con riferimento a una pluralità di indicatori che
attengono al rapporto fra cittadini e autorità pubbliche, piuttosto che
alla produzione delle politiche pubbliche.
20
Riconoscendo l’inevitabile dialettica fra teoria e pratica democratica,
Bobbio (1984) indica 6 PROMESSE NON MANTENUTE della
democrazia e che dovrà quantomeno affrontare nel suo futuro:
1. diventare una società di eguali, senza corpi intermedi;
2. eliminare gli interessi organizzati e particolaristici che contrastino la
rappresentanza politica generale;
3. porre fine alla persistenza delle oligarchie;
4. diffondersi negli apparati burocratico-amministrativo-militari dello Stato
e nelle imprese;
5. distruggere i poteri invisibili;
6. elevare il livello di educazione politica dei cittadini.
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Dahl (1989) delinea 3 possibili cambiamenti nel futuro
delle democrazie:
1. un aumento significativo del loro numero;
2. una trasformazione profonda dei limiti e delle potenzialità
del processo democratico;
3. una più equa distribuzione delle risorse e delle possibilità
tra i cittadini e un allargamento del processo democratico
a istituzioni governate in precedenza da un processo non
democratico.
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Alcuni studiosi (Fishkin, Ackerman, Elster, Habermas) sono di recente
giunti all’elaborazione di una alternativa democratica alla democrazia
rappresentativa, definita democrazia deliberativa.
Principali elementi caratteristici della democrazia
deliberativa:
 presenza estesa e diffusa di arene di discussione
partecipata;
 pubblicità della deliberazione;
 le informazioni e le preferenze dei partecipanti vengono
formate
e mutano durante il processo deliberativo;
 le decisioni finali sono il prodotto di un processo di
discussione aperta, argomentata, informata e condivisa.
LA DEMOCRAZIA DELIBERATIVA INTEGRA O SUPERA LA
DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA?
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