Università degli Studi di Pavia Facoltà di Economia Corso di Economia e Gestione del Sistema Agroindustriale Capitolo 4: Analisi del canale distributivo Capitolo 4: Analisi del canale distributivo • L’analisi organizzativa del settore agroalimentare; • Margine distributivo in concorrenza perfetta; • Margine distributivo in situazioni non concorrenziali; • Strutture di mercato verticali non concorrenziali; • Vertical restraints. 4.1 Introduzione Le componenti principali del settore agroalimentare sono: • Le industrie fornitrici di mezzi tecnici per l’agricoltura; • Il settore agricolo; • Il settore dell’industria di trasformazione alimentare; • Il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio; • Il settore del foodservice. Perché l’intero settore agroalimentare possa funzionare è necessario un certo grado di coordinamento tra le attività svolte da tali componenti. L’analisi dell’organizzazione del settore agroalimentare studia come avviene tale coordinamento. Il coordinamento delle attività svolte nei diversi stadi della filiera agroalimentare può essere problematico in presenza di strutture di mercato non concorrenziali. 4.2 L’analisi organizzativa del settore agroalimentare Il problema organizzativo fondamentale dei sistemi economici è il coordinamento dei piani d’azione degli attori economici. Lo svolgimento delle attività economiche genera interdipendenza tra gli operatori. Per esempio, una produzione che impiega più persone richiede che ne sia coordinato il lavoro. In alcuni casi lo svolgimento delle attività economiche necessita di infrastrutture il cui uso comune deve essere regolamentato. A volte l’azione di alcuni attori influenza l’utilità di altri, come nel caso delle esternalità. Il coordinamento è dunque la regolazione efficace delle interdipendenze, dove l’efficacia si riferisce alla capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati. Distinguiamo tre principali gruppi di meccanismi di coordinamento, più un quarto. I meccanismi di coordinamento • prima tipologia: decisioni unilaterali degli attori; • seconda tipologia: comunicazione e accordo diretto; • terza tipologia: consuetudini e convenzioni; • quarta tipologia: violenza. Il primo gruppo di meccanismi di coordinamento si basa su decisioni unilaterali degli attori, senza che essi comunichino le rispettive intenzioni di scelta. Le informazioni, riguardanti le alternative disponibili e le loro caratteristiche, sono rese disponibili a tutti, invece di essere scambiate solo tra parti specifiche. Possibili esempi sono il meccanismo del prezzo e del voto. Per esemplificare questa prima modalità di coordinamento ipotizziamo che vi sia il proprietario di un mulino che acquista il grano su un mercato concorrenziale in cui: • ogni attore agisce in modo indipendente dagli altri, • e in un contesto di perfetta informazione, • e di assenza di costi legati alle procedure di scambio. In questo caso sono i segnali di prezzo legati alle offerte e controfferte di coloro che detengono i mulini (le componenti della domanda) e dei produttori di grano (le componenti dell’offerta) che determineranno: • le quantità scambiate, • e il livello di attività dei mulini e delle aziende agricole, coordinando pertanto le scelte produttive dei diversi attori economici. Il secondo gruppo di meccanismi si basa sulla comunicazione e l’accordo diretto tra le parti. Possibili esempi sono la decisione di gruppo e la negoziazione che si basano sulla decisione congiunta di tutti gli attori coinvolti nelle azioni da intraprendere. Nella decisione di gruppo il processo comunicativo è di tipo collaborativo e informativo/persuasivo e mira ad ottenere il consenso su una scelta collettiva (nella funzione di utilità possono rientrare obiettivi di benessere sociale). Nella negoziazione il processo comunicativo è di tipo competitivo, pertanto ciascuno cerca di ottenere la decisione per sé più vantaggiosa, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione fra cui le minacce e i tentativi di corruzione (l’argomento delle funzioni di utilità è il benessere individuale). In questo gruppo di meccanismi basati sulla comunicazione e l’accordo diretto rientrano le relazioni di autorità, come quelle che formano la struttura organizzativa delle imprese. Tali relazioni implicano un accordo sulle procedure con cui si prendono le decisioni e su come vanno ripartiti i diritti di decisione tra le parti. Questi diritti definiscono una relazione di autorità in cui una parte si impegna a obbedire agli ordini di una controparte e rinunciare ad alcuni dei propri diritti di decisione. Ad esempio, nel caso della relazione di autorità tipica delle imprese, se il proprietario del mulino è anche il proprietario delle aziende cerealicole (integrazione verticale) ordinerà ad esse in base alle relazioni di autorità definite nella burocrazia interna della propria impresa di produrre i quantitativi di grano che desidera. Una relazione di autorità si ha ogni volta che un attore riceve obbedienza ai propri ordini da parte di un altro attore, questa autorità è legittimata da un contratto che lega le parti su base volontaria e da diritti di proprietà definiti all’interno del sistema legale in cui si svolge l’attività economica. Sempre facendo riferimento al secondo gruppo di meccanismi di coordinamento si può avere la negoziazione. Ad esempio, nel caso in cui il proprietario del mulino che non entra in possesso delle aziende cerealicole ma decide di stipulare con gli agricoltori dei contratti di fornitura. Le clausole del contratto, che indicano il livello e le modalità di attività delle parti, sono definite attraverso un processo di negoziazione tra le parti basato sulla comunicazione. Il terzo gruppo di meccanismi si basa sulle consuetudini e sulle convenzioni e quindi non implica che gli attori interdipendenti prendano decisioni caso per caso. Applicando norme, regole e convenzioni accettate si stabilisce quali comportamenti sono da seguire e quali da eliminare. Per esemplificare si ipotizzi che in un territorio le aziende cerealicole storicamente siano servite da un mulino. La preferenza accordata a tale mulino può derivare da una serie di fattori come: • la vicinanza e l’accessibilità, • la relazione di fiducia che si è consolidata nel tempo tra gli acquirenti e i fornitori, • un particolare tipo di lavorazione che valorizza il prodotto sul mercato finale. Con il tempo sono proprio le consuetudini che portano ad un coordinamento delle attività degli agricoltori e del mulino. Quindi in presenza di norme, consuetudini o convenzioni, tutti gli attori rispettano determinate regole di comportamento, semplicemente in virtù di un tacito consenso emerso dall’interazione fra le parti ripetuta per lunghi periodi di tempo. Mentre i primi tre gruppi fanno riferimento a sistemi economici in contesti democratici, il quarto gruppo di meccanismi di coordinamento riguarda il potere esercitato da alcun attori con l’uso della violenza, tipico dei regimi autoritari. Nel caso di questa quarta tipologia il proprietario del mulino può essere un camorrista che servendosi della violenza pretende determinate quantità a determinati prezzi da parte degli agricoltori. Nel caso in cui ci si trovi in un regime non democratico come ad esempio quello feudale, può accadere che un feudatario imponga con la forza la cessione di determinati quantitativi di grano ai sudditi del proprio feudo. Le quattro tipologie di coordinamento evidenziano come gli strumenti di analisi economica, che fanno riferimento al paradigma neoclassico, sono insufficienti ad affrontare i problemi organizzativi. L’economia neoclassica considera come unica modalità organizzativa il prezzo e vuole dimostrare che i mercati concorrenziali possono risolvere efficientemente (in senso paretiano) qualsiasi problema di coordinamento. Nel secondo gruppo di forme di coordinamento sono incluse: • le burocrazie private (imprese) • e le burocrazie pubbliche. Una burocrazia è una forma organizzativa dove il coordinamento tra le diverse attività ed i diversi attori è effettuato attraverso relazioni di autorità definite da una particolare struttura gerarchica che fissa ruoli e posizioni di comando e di subordinazione. Le risorse sono allocate mediante un piano che è definito dagli attori nelle posizioni di comando. Nell’impresa (burocrazia privata) il comando è legittimato dal possesso dei diritti di proprietà privata. Nelle aziende pubbliche e amministrazioni (burocrazie pubbliche) il comando è legittimato dalle istituzioni dello stato. Le burocrazie private e pubbliche non sono oggetto dell’analisi neoclassica. Gli attori economici analizzati sono soggetti privati. La funzione dello stato in economia è quella di: • garantire il rispetto del diritto alla proprietà privata, • e l’esecutorietà dei contratti, si tratta del cosiddetto stato minimo. Delle quattro principali forme organizzative (istituzioni) dei sistemi economici capitalistici, cioè: • stato, •mercato, •contratto •e impresa, l’economia neoclassica studia solo il mercato. Gli economisti fanno riferimento a due tipologie opposte di sistemi economici: •l’economia di mercato • e l’economia pianificata. Le economie di mercato pure o le economie pianificate pure sono forme ideali di organizzazione economica. Nei sistemi economici pianificati la burocrazia pubblica, cioè lo stato, coordina le attività economiche al posto del mercato. Le economie dei paesi del socialismo reale dell’est Europa erano economie miste dove il piano pubblico predominante (lo stato) era affiancato dal piano privato (imprese)e dal mercato. Allo stesso modo, le economie di mercato dei paesi occidentali a industrializzazione avanzata sono miste, in esse, allo stato e al mercato che sono le forme organizzative prevalenti, va aggiunta l’impresa che ha un ruolo persino superiore al mercato nel coordinare le attività economiche. Ad esempio nelle economie a capitalismo avanzato, dove domina la grande impresa capitalistica, il piano privato è la principale forma di coordinamento. L’analisi organizzativa riveste un ruolo importante nello studio del settore agroalimentare che attualmente presenta una elevata varietà di assetti produttivi e organizzativi come: • la produzione agricola scarsamente industrializzata per l’autoconsumo di molti paesi poveri; • la produzione agricola industrializzata su larga scala di commodities; • la produzione locale di prodotti differenziati. Il grado di trasformazione dei prodotti agricoli è anch’esso molto vario, un prodotto agricolo: • può essere venduto fresco (latte), • essere trasformato in molti modi (formaggio), • oppure subire trasformazioni blande che però lo differenziano in modo sostanziale rispetto al prodotto originale (latte ad alta digeribilità). Inoltre una filiera di prodotto, che rappresenta l’insieme delle attività di: • produzione agricola, •trasformazione industriale, •e distribuzione di un prodotto, può avere una dimensione: • locale, • regionale, • o internazionale. 4.3 Analisi del margine distributivo 4.3.1 Margine distributivo in concorrenza perfetta La domanda rivolta al settore agricolo è derivata dalla domanda al dettaglio per beni alimentari. I prodotti agricoli: • subiscono vari processi di trasformazione (nella forma, nel tempo e nello spazio), • e necessitano di una serie di servizi di facilitazione degli scambi (ad esempio servizi creditizi e di assicurazione), per essere resi disponibili al consumo finale. Il canale distributivo è costituito dal percorso seguito dai prodotti agricoli per incontrare la domanda finale ed è definito: • sia in base alle funzioni assolte (ossia l’insieme dei processi di trasformazione e di produzione dei servizi aggiunti al prodotto agricolo), • sia in base ai soggetti coinvolti (ossia l’insieme degli operatori dei diversi settori produttivi che gestiscono i processi di trasformazione e di offerta dei servizi). L’insieme dei costi della distribuzione dei prodotti agricoli è dato dalla spesa alimentare finale al netto dei ricavi del settore agricolo. I costi di distribuzione tendono a crescere con l’avanzare dello sviluppo economico in quanto i consumatori sono: • sempre più ricchi • sempre più impegnati in attività che rendono scarso il tempo da dedicare alla preparazione dei pasti • e richiedono una maggiore varietà di prodotti e servizi aggiuntivi. Questi servizi vanno da: • servizi assicurativi per la garanzia della qualità; • servizi di convenience per una rapida preparazione degli alimenti; • servizi di vicinanza e facilitazione degli acquisti. In uno stadio di sviluppo non molto avanzato, cioè nell’ambito di un’economia rurale primitiva, i costi di distribuzione possono riguardare solo il lavoro e il tempo impiegati dal singolo produttore nella vendita del proprio prodotto al mercato più vicino. Nei sistemi agroalimentari complessi delle economie avanzate, al contrario il prodotto agricolo viene stoccato, condizionato, trasportato e trasformato più di una volta prima di raggiungere il consumatore finale, ciò determina una aumento dei costi di distribuzione. Per margine distributivo si intende la differenza tra il prezzo del prodotto alimentare al dettaglio ed il prezzo del prodotto agricolo utilizzato per ottenere il bene alimentare. Ad esempio: Il margine per il latte fresco è dato dalla differenza tra il prezzo pagato per un litro di latte fresco acquistato in un negozio alimentare ed il prezzo del latte rilevato sui mercati agricoli. Nel confronto tra i due prezzi bisogna tener conto del fattore di conversione che permette di confrontare: il prezzo unitario del prodotto agricolo con il prezzo unitario del prodotto alimentare finale, tenendo conto del diverso contenuto di prodotto agricolo dei due beni. In generale per ottenere una unità di prodotto alimentare finale qr viene utilizzata una quantità δqa di prodotto agricolo, in cui δ rappresenta il fattore di conversione, con 0 ≤ δ ≤ 1 . Ad esempio, se per ottenere una confezione di 1000 grammi di pomodori pelati sono necessari 1400 grammi di pomodori freschi, allora il coefficiente di conversione è pari a 0,71. δ = 1000/1400 = 0,71 L’ampiezza del margine dipende: • dal costo dei servizi aggiunti al prodotto agricolo durante i processi di trasformazione e distribuzione; • e nel caso di mercati non concorrenziali, anche dai profitti di cui le imprese si appropriano lungo il canale distributivo. Quando tutti i mercati collegati verticalmente lungo la filiera agroalimentare sono concorrenziali, allora il margine distributivo è pari al costo marginale di produzione dei diversi servizi aggiunti al prodotto agricolo. Per dimostrare quest’ultima affermazione si considera un modello con una serie di ipotesi semplificatrici: • assenza di ritardi temporali tra produzione agricola e produzione del bene finale; • assenza di incertezza lungo il canale distributivo; • esistenza di un unico settore lungo il canale distributivo; • mercati di concorrenza perfetta. Si consideri la seguente funzione del profitto per un’impresa che opera nel settore distributivo: k pr qr vi xi pq CFT i 1 Pr = prezzo al dettaglio; Qr = output venduto al dettaglio; Vi = prezzo dell’input i, i = 1, 2, …, k; Xi = quantità dell’input i; P = prezzo all’azienda agricola; Q = output venduto dall’azienda agricola. Tra qr e q esiste una relazione qr = δq , dove δ è il fattore di conversione che misura il tasso di trasformazione del prodotto agricolo in prodotto finale, con 0 ≤ δ ≤ 1. Per semplicità si assume δ = 1. La precedente funzione del profitto può allora essere riscritta come: k ( pr p ) q vi xi CFT i 1 La differenza pr – p rappresenta il margine distributivo che altro non è che il prezzo che il settore distributivo riceve per i servizi offerti: • raccolta; • pulizia e selezione; • trasformazione; • trasporto; • commercio al dettaglio. CFT rappresenta i costi fissi per l’offerta di tali servizi; Mentre i costi variabili sono rappresentati da: k v x i 1 i i Derivando la funzione del profitto rispetto alla quantità offerta q, ed uguagliando tale derivata a zero si ottiene la condizione di primo ordine per la massimizzazione del profitto: (pr – p) = CM In tal modo è dimostrata l’uguaglianza tra margine distributivo e costi marginali del servizio distributivo. Partendo dalla precedente relazione è possibile derivare la domanda rivolta all’agricoltura (detta domanda derivata) dalla domanda al dettaglio (detta domanda primaria) sottraendo a quest’ultima il costo marginale dei servizi distributivi. Allo stesso modo è possibile ricavare la curva di offerta al dettaglio (detta derivata) dalla curva di offerta agricola (detta primaria) aggiungendo a quest’ultima il costo marginale dei servizi distributivi. Nel caso di costi marginali costanti del servizio distributivo le curve di domanda e di offerta, primarie e derivate, sono: • parallele, • e distanti verticalmente di un ammontare pari al costo marginale costante. La dimensione del cambiamento del prezzo finale e agricolo, data una modifica del margine, dipende dall’inclinazione delle curve di domanda e di offerta. Per funzioni lineari, se l’inclinazione è la medesima, l’aumento del prezzo al dettaglio è pari alla diminuzione di quello agricolo. Se la domanda è più inclinata il cambiamento del prezzo sul mercato finale è maggiore di quello agricolo. Se l’offerta è più inclinata è maggiore il cambiamento del prezzo agricolo. Per molti prodotti agricoli l’offerta ha una debole elasticità al prezzo, di solito inferiore rispetto a quella della domanda finale. Quindi il settore agricolo ammortizza gli aumenti del margine distributivo (con la diminuzione del prezzo agricolo) ma con ripercussioni negative per gli agricoltori. Variazioni dei margini distributivi possono derivare da: • cambiamenti nei prezzi dei fattori produttivi, • cambiamenti dei servizi distributivi, • modifiche tecnologiche che fanno cambiare la produttività dei fattori. Nel lungo periodo i margini: • tendono a ridursi a causa del miglioramento tecnologico (efficienza), • aumentano a causa della sempre maggiore richiesta di valore aggiunto al bene agricolo di base. Nel breve e medio periodo, nei margini si possono avere oscillazioni dovute a: • instabilità dei mercati dei fattori, • instabilità della domanda finale, • instabilità dell’offerta agricola. 4.3.2 Margine distributivo in situazioni non concorrenziali Spesso il settore distributivo non è un settore concorrenziale, pertanto vi è una debole reattività del prezzo al dettaglio a modifiche dei prezzi agricoli: • se diminuisce il prezzo del prodotto agricolo il settore distributivo può non ridurre proporzionalmente il prezzo al dettaglio, aumentando il proprio margine e gli extraprofitti; • se aumenta il prezzo del prodotto agricolo il settore distributivo può non aumentare proporzionalmente il prezzo al dettaglio, riducendo il margine e i profitti, pur di perseguire una politica di stabilità dei prezzi al dettaglio che difenda la quota di mercato. Tale debole reattività dipende inoltre da una possibile carenza di flussi informativi lungo il canale e dalla distanza temporale che separa l’acquisto della materia prima agricola dalla riscossione del prezzo al dettaglio. Nei mercati non concorrenziali il margine distributivo non dipende solo dai costi del servizio distributivo. Se il settore distributivo è in condizioni di monopolio e il settore agricolo di concorrenza perfetta, il margine sarà pari al margine di concorrenza più la differenza tra il prezzo al dettaglio di monopolio e di concorrenza: MM m MM c (p m r p ) c r A parità di condizioni il monopolio aumenta il margine e riduce il prezzo agricolo, tale riduzione aumenta se il settore distributivo possiede anche un potere di monopsonio. I produttori agricoli si avvantaggiano di un settore distributivo concorrenziale ed efficiente e per primi risentono di eventuali aumenti dei prezzi degli input del settore distributivo. Tale risultato conduce a due considerazioni: •i rischi di monopolio dei processi di concentrazione dell’industria e del dettaglio alimentare nei paesi avanzati vanno valutati in termini di effetti negativi sui ricavi agricoli che possono superare gli effetti negativi sul benessere del consumatore; • i ritardi del settore distributivo sono una causa dei bassi redditi dei produttori agricoli nelle economie arretrate. I programmi di assistenza e sviluppo rurale dovrebbero promuovere l’efficienza del settore distributivo oltre che della produzione agricola. Cambiamenti istituzionali che modificano i costi della distribuzione vanno bilanciati con misure di sostegno che compensino gli effetti negativi sui redditi agricoli, come una normativa per la garanzia della qualità. I maggiori costi di controllo per l’attuazione di normative, come quella sulla tracciabilità degli alimenti, possono portare ad un aumento del margine distributivo sopportato per lo più dal settore agricolo. I margini tendono a cambiare a causa di: •cambiamenti della curva di domanda al dettaglio, della curva di offerta dei servizi distributivi e della curva di offerta dei prodotti agricoli; •cambiamenti di fattori istituzionali; •modifiche nella struttura dei mercati (potere di mercato); •cambiamenti organizzativi lungo la filiera agroalimentare. Cambiamenti istituzionali possono riguardare: •la normativa per la sicurezza alimentare; •la legge sulle cooperative e le organizzazioni dei produttori; • la legislazione per la certificazione dei prodotti. Cambiamenti organizzativi Quando il livello di integrazione lungo il canale distributivo aumenta si verifica il passaggio da una gestione degli scambi basata esclusivamente sull’uso del mercato ad una gestione degli scambi che: • utilizza contratti di vario tipo, • e forme di collaborazione tra gli operatori più o meno formali. Cambiamenti organizzativi che possono incidere sui margini distributivi sono: • contratti di lungo periodo per l’acquisto della materia prima agricola con ordini e pagamenti della merce differiti anche di molti mesi rispetto alla campagna di commercializzazione effettiva; • la costituzione di cooperative per la trasformazione e la vendita dei prodotti agricoli; • la formazione di consorzi e gruppi di acquisto ai vari livelli della filiera; • la costituzione di joint venture per la gestione comune di attività di comunicazione o di ricerca e sviluppo. I margini Il margine tende a ridursi quando vi è una integrazione contrattuale tra agricoltura e settore distributivo in quanto si realizza una gestione più efficiente degli scambi. Il margine tende a ridursi quando si ha la costituzione di cooperative di trasformazione, in quanto a parità di costi di trasformazione e di prezzi al dettaglio il margine contributivo degli agricoltori risulta più elevato del prezzo di mercato. Altre forme di collaborazione tra imprese lungo il canale tendono ad aumentare o ridurre il margine a seconda che siano il potere di mercato o l’efficienza e l’innovazione tecnologica ad essere sviluppati. 4.6 Vertical restraints Quando due imprese collocate in stadi successivi di una struttura verticale, instaurano fra loro un rapporto di compravendita, una delle due parti può imporre schemi di pagamento più complessi rispetto al pagamento di un prezzo unitario per la merce scambiata. Questi schemi possono vincolare il prezzo pagato a determinati impegni da parte di uno dei contraenti, come ad esempio: • l’impegno dell’acquirente a fornire determinati servizi promozionali; • l’impegno ad acquistare un determinato volume minimo di merce; • l’impegno a comprare esclusivamente da quel particolare venditore. Sebbene gli accordi che implicano restrizioni verticali possano riguardare qualsiasi momento di scambio all’interno di una struttura verticale, il caso più tipico è quello del rapporto tra impresa produttrice del bene finale e impresa distributrice. Il rapporto tra produttore e distributore può essere descritto come una tipica relazione principale-agente. Il distributore (l’agente) svolge una funzione per conto del produttore (il principale) da cui dipende la realizzazione della funzione obiettivo di quest’ultimo. In questo caso la restrizione verticale può essere vista come lo schema di incentivi scelto dal principale che induce l’agente ad attuare le scelte (in termini di prezzo di rivendita e volumi di vendita) che massimizzino la funzione obiettivo (il profitto) del principale. Le esternalità Con il termine di esternalità si indicano tutte quelle situazioni in cui le decisioni di un agente economico, sia esso consumatore o impresa, producono effetti diretti sull’obiettivo di qualche altro agente, effetti che non sono mediati dal sistema dei prezzi. Si parla di esternalità negative quando tali decisioni determinano di fatto un costo per qualche altro agente; di esternalità positive quando invece determinano un beneficio. In generale, nel caso di esternalità negative l’agente che le determina non sopporta per intero il costo che la decisione infligge a qualche altro agente, consumatore o impresa. Nel caso di esternalità positive, l’agente che le determina non è in grado di appropriarsi interamente del beneficio arrecato a qualche altro agente. Le restrizioni verticali possono anche essere viste come meccanismi di coordinamento verticale che servono a correggere alcune distorsioni del mercato in presenza in presenza di: 1) problemi informativi; 2) esternalità verticali; 3) comportamenti di free-riding associati alla presenza di beni pubblici. 1) Un esempio di problema informativo è dato dal caso in cui nel contratto di compravendita siano previsti alcuni servizi di vendita a carico del compratore (il distributore), la cui effettiva offerta non può essere controllata dal venditore (il produttore). Ad esempio il venditore può difficilmente controllare l’adeguatezza dei servizi di assistenza pre e post vendita forniti dal distributore alla clientela relativamente al proprio prodotto; 2) un esempio di esternalità verticale negativa è data dal caso di doppio monopolio (detto anche catena di monopoli) che implica che sia l’impresa che produce il fattore produttivo che quella che lo acquista abbiano un potere di monopolio. In questo caso l’acquisizione delle attività di una delle due imprese da parte dell’altra determina un miglioramento dell’efficienza complessiva dello scambio, con un aumento sia del surplus del consumatore che del livello dei profitti del settore; 3) Un esempio di free-riding è dato dalle caratteristiche di bene pubblico di molti servizi promozionali offerti dal distributore. Un’attraente showroom e del personale qualificato nella presentazione del prodotto sono tipici beni pubblici in quanto una volta offerti (da un distributore) i benefici ad essi associati possono essere appropriati da un altro distributore (che si comporta da free-rider) che senza offrire tali servizi può vendere gli stessi prodotti a prezzi più bassi (in quanto non sostiene le spese di promozione) ai clienti attratti dagli sforzi promozionali dell’altro distributore. Sia data una struttura verticale composta da una o più imprese industriali che si servono di una o più imprese commerciali al dettaglio per la distribuzione dei propri prodotti. In generale si può affermare che l’utilizzo del prezzo lineare, vale a dire una formula di pagamento del tipo T(q) = pw q, (in cui pw è il prezzo imposto da produttore e q è la quantità acquistata dal dettagliante) può non assicurare i migliori risultati in presenza di particolari condizioni di imperfezione del mercato e dalle caratteristiche della risorsa informazione. All’interno della struttura verticale una serie di variabili decisionali: • prezzo all’ingrosso, •localizzazione dei punti vendita, • sforzo promozionale, influenzano in modo diretto e indiretto i profitti dei distributori e dei dettaglianti, nonché il benessere dei consumatori. In sostanza i vertical restraints possono avere sia effetti positivi che negativi: • effetti positivi: quando gli accordi di restrizione verticale offrono quegli incentivi che servono a correggere le imperfezioni del mercato e a guidare le scelte degli operatori relativamente alle diverse variabili decisionali; • effetti negativi: quando i vertical restraints sono utilizzati per erigere barriere all’entrata e rafforzare posizioni monopolistiche, divenendo pratiche sleali nei confronti della concorrenza. Carlton e Perloff (1989) individuano alcune definizioni relative alle principali politiche di controllo verticale e ne analizzano l’uso in diversi contesti strutturali e istituzionali. I tipi più diffusi di vertical restraints sono: • imposizione di una tassa di franchising (franchisee fee o twopart tariff): sia pw il prezzo imposto dal produttore e q la quantità acquistata dal dettagliante, il costo sopportato dal dettagliante sarà dato da T(q) = A + pw q, dove A è la tassa di concessione imposta dal produttore; • fissazione del prezzo di rivendita o prezzo imposto (resale price maintenance): sia p il prezzo di vendita applicato dal dettagliante, la misura consiste nella fissazione da parte del produttore di un prezzo di vendita fisso (p = p*) o alternativamente di un prezzo minimo (p ≥ p*) o un prezzo massimo (p ≤ p*); • quantità imposta (quantity fixing): il produttore indica un volume di vendite fisso (q = q*) , o alternativamente un volume minimo (q ≥ q*) o massimo (q ≤ q*), che il dettagliante si impegna a rispettare; • esclusive di territorio (exclusive territories): il produttore offre al dettagliante l’esclusiva di vendita del proprio prodotto in un territorio; • royalty: il produttore a monte impone all’impresa acquirente un pagamento (royalty) proporzionale al numero di unità di prodotto vendute; il costo marginale dell’impresa a valle per ogni unità acquistata diviene c = pw + r, dove pw è il prezzo pagato dal produttore e r il saggio di royalty; • accordi di esclusiva (exclusive dealing): il produttore impone al dettagliante di non vedere prodotti che siano stretti sostituti del proprio; • vendite collegate (tie-in): l’impresa a monte vincola la vendita di un suo prodotto all’acquisto da parte dell’acquirente di altri suoi prodotti. Le vendite collegate sono considerate anche come uno strumento di discriminazione di prezzo in quanto il prodotto “collegato” può essere venduto ad un prezzo maggiore a quei consumatori che dimostrano una preferenza per il prodotto primario dell’impresa. Si parla di package tie-in o bundling quando viene offerto un pacchetto di prodotti in proporzioni fisse. Si parla di requirements tie-in quando il venditore richiede al compratore che insieme al prodotto primario egli acquisti presso di sé in modo esclusivo anche un altro prodotto (ad esempio se x vende una stampante a y, y si impegna ad acquistare tutte le cartucce che utilizzerà con tale stampante da x). Si possono attuare diverse politiche di controllo verticale in rapporto al cattivo funzionamento del mercato lungo il canale distributivo. Nel caso della doppia marginalizzazione il produttore ha interesse che il distributore aumenti le vendite e diminuisca il prezzo al dettaglio fino al punto che massimizza i profitti della struttura integrata. L’obiettivo è indurre un comportamento concorrenziale nella distribuzione, ma ciò non è sempre possibile. Se anche l’integrazione verticale viene esclusa, perché troppo costosa o perché vi sono vincoli istituzionali, altre politiche di controllo verticale possono risultare utili. La fissazione da parte del produttore di un prezzo all’ingrosso pari al proprio costo marginale e la contemporanea imposizione di una tassa di franchising pari ai profitti della struttura integrata, costringono il dettagliante a praticare il prezzo che assicura che il produttore ottenga il profitto della struttura integrata. Quando il potere contrattuale del produttore non è tale da poter imporre una tassa di franchising, il produttore può comunque aumentare i propri profitti imponendo un prezzo massimo di vendita al dettaglio o una quota di vendita minima. Il tipico problema di free-riding a livello della distribuzione riguarda il carattere di bene pubblico dei servizi promozionali offerti al dettaglio. Se un dettagliante non è il solo rivenditore di un prodotto alcuni investimenti per promuoverlo possono andare a vantaggio dei distributori concorrenti. In pratica, una volta ispezionato e confrontato il prodotto con altre alternative di acquisto presso un negozio che offre un elevato servizio di esposizione e assortimento, un consumatore può acquistare lo stesso prodotto presso un negozio a ridotto servizio e che pratica prezzi inferiori. Tale situazione può indurre il dettagliante che pratica politiche di promozione a ridurle notevolmente, in quanto gli causano una perdita di competitività nei confronti della concorrenza. Di conseguenza, il produttore soffrirà della minore offerta di promozione a livello del dettaglio in quanto vedrà diminuire il proprio volume di vendite. Per correggere tale distorsione il produttore può servirsi soluzioni come: • cedere in esclusiva il proprio prodotto a uno o pochi dettaglianti che saranno così protetti dai concorrenti free-rider; • sopportare del tutto o in parte i costi di promozione a livello del dettaglio, per non causare distorsioni nel gioco competitivo tra i dettaglianti; • imporre a tutti i rivenditori un prezzo di rivendita minimo, così da impedire una sleale concorrenza di prezzo da parte dei free riders. I problemi di free riding a livello della produzione sono analoghi a quelli della distribuzione. Un produttore impegnato in un grosso sforzo di marketing per il proprio prodotto determina un elevato afflusso di clienti presso i punti vendita che lo distribuiscono. Se in tali punti vendita vi sono prodotti sostitutivi di altre marche, il dettagliante può incentivarne l’acquisto praticando prezzi inferiori rispetto al prodotto reclamizzato e che di fatto ha determinato l’elevato afflusso di clienti. Il modo di risolvere questa distorsione, quando praticabile, è quello di imporre accordi di esclusiva. Vale a dire che il produttore che investe in marketing offre il prodotto a un distributore a condizione che non venda eventuali marche dei concorrenti. Nel settore alimentare tali accordi sono frequenti per quel che riguarda il mercato dei gelati. Le scelte dei distributori in termini di: • prezzo, • servizi promozionali, • localizzazione, possono essere diverse in base agli obiettivi del produttore e del distributore. Ad esempio una eccessiva riduzione del prezzo a scapito dei servizi di assistenza da parte di un distributore per attrarre clienti dalla concorrenza può danneggiare l’immagine del produttore. In assenza di adeguati incentivi all’integrazione verticale il produttore può usare le politiche di controllo verticale, in varie combinazioni e in diverse varianti al fine di allineare i propri obiettivi con quelli dei distributori. I tipi di restrizioni verticali fin qui considerati fanno riferimento a richieste/imposizioni contrattuali effettuate dai venditori (produttori) nei confronti dei propri acquirenti (dettaglianti/distributori). Esiste anche la possibilità che sia il distributore a imporre particolari clausole contrattuali e pagamenti al produttore. Le imprese di distribuzione che possiedono un certo potere sui mercati di acquisto (buyer power), possono praticare politiche anticoncorrenziali che vadano oltre la semplice pressione sul presso di acquisto. In altri termini acquirenti forti possono imporre alla controparte restrizioni verticali dai possibili effetti anticoncorrenziali. I tipi più comuni di restrizioni verticali imposte dalle grandi catene distributive ai produttori in Europa e negli Usa sono: • listing fee, pagamenti richiesti dalle catene distributive al produttore per metterne in catalogo il prodotto; • slotting allowances, pagamenti richiesti per esporre il prodotto in una particolare posizione sugli scaffali; • retrospective payments, pagamenti richiesti alla fine dell’anno in proporzione al volume delle vendite effettuate; • special payments, pagamenti una tantum richiesti al produttore a titolo di partecipazione alle spese di apertura di un nuovo negozio o di spese di ristrutturazione; • long payment terms, dilazioni di pagamento ottenute dal distributore nei confronti del produttore; • product boycotts, rifiuto di mettere in catalogo il prodotto di un particolare produttore. Quando queste politiche di restrizione verticale sono praticate verso grandi produttori, dotati di un certo potere di contrattazione, non tendono a produrre effetti anticoncorrenziali e fanno parte del normale processo di contrattazione. Quando il potere del distributore è molto elevato si possono avere degli abusi con possibili effetti anticoncorrenziali. Le restrizioni imposte ai produttori più deboli possono causarne l’uscita dal mercato con effetti anticoncorrenziali a livello del settore produttivo. Talvolta il distributore può stipulare accordi preferenziali con alcuni produttori nell’ambito di una politica verticale collusiva (le due parti si accordano per dividersi il profitto di monopolio della struttura verticale integrata) ed utilizzare le politiche di restrizione verticale verso gli altri produttori al fine di aumentare il potere relativo dei produttori coi quali collude.