Università degli Studi di Pavia
Facoltà di Economia
Corso di Economia e
Gestione del Sistema
Agroindustriale
Capitolo 4: Analisi del canale
distributivo
Capitolo 4: Analisi del canale
distributivo
• L’analisi
organizzativa
del
settore
agroalimentare;
• Margine distributivo in concorrenza perfetta;
• Margine distributivo in situazioni non
concorrenziali;
• Strutture
di
mercato
verticali
non
concorrenziali;
• Vertical restraints.
4.1 Introduzione
Le componenti principali del settore agroalimentare sono:
• Le industrie fornitrici di mezzi tecnici per l’agricoltura;
• Il settore agricolo;
• Il settore dell’industria di trasformazione alimentare;
• Il settore del commercio all’ingrosso e al dettaglio;
• Il settore del foodservice.
Perché l’intero settore agroalimentare possa funzionare è
necessario un certo grado di coordinamento tra le attività svolte
da tali componenti.
L’analisi dell’organizzazione del settore agroalimentare studia
come avviene tale coordinamento.
Il coordinamento delle attività svolte nei diversi stadi della filiera
agroalimentare può essere problematico in presenza di strutture
di mercato non concorrenziali.
4.2 L’analisi organizzativa del settore
agroalimentare
Il problema organizzativo fondamentale dei sistemi economici è
il coordinamento dei piani d’azione degli attori economici.
Lo
svolgimento
delle
attività
economiche
genera
interdipendenza tra gli operatori.
Per esempio, una produzione che impiega più persone richiede
che ne sia coordinato il lavoro.
In alcuni casi lo svolgimento delle attività economiche necessita
di infrastrutture il cui uso comune deve essere regolamentato.
A volte l’azione di alcuni attori influenza l’utilità di altri, come nel
caso delle esternalità.
Il coordinamento è dunque la regolazione
efficace
delle
interdipendenze,
dove
l’efficacia si riferisce alla capacità di
raggiungere gli obiettivi prefissati.
Distinguiamo tre principali gruppi di
meccanismi di coordinamento, più un quarto.
I meccanismi di coordinamento
• prima tipologia: decisioni unilaterali degli
attori;
• seconda tipologia: comunicazione e accordo
diretto;
• terza tipologia: consuetudini e convenzioni;
• quarta tipologia: violenza.
Il primo gruppo di meccanismi di coordinamento si basa su
decisioni unilaterali degli attori, senza che essi comunichino le
rispettive intenzioni di scelta.
Le informazioni, riguardanti le alternative disponibili e le loro
caratteristiche, sono rese disponibili a tutti, invece di essere
scambiate solo tra parti specifiche.
Possibili esempi sono il meccanismo del prezzo e del voto.
Per esemplificare questa prima modalità di coordinamento
ipotizziamo che vi sia il proprietario di un mulino che acquista il
grano su un mercato concorrenziale in cui:
• ogni attore agisce in modo indipendente dagli altri,
• e in un contesto di perfetta informazione,
• e di assenza di costi legati alle procedure di scambio.
In questo caso sono i segnali di prezzo legati alle
offerte e controfferte di coloro che detengono i
mulini (le componenti della domanda) e dei
produttori di grano (le componenti dell’offerta) che
determineranno:
• le quantità scambiate,
• e il livello di attività dei mulini e delle aziende
agricole,
coordinando pertanto le scelte produttive dei diversi
attori economici.
Il secondo gruppo di meccanismi si basa sulla
comunicazione e l’accordo diretto tra le parti. Possibili
esempi sono la decisione di gruppo e la negoziazione che si
basano sulla decisione congiunta di tutti gli attori coinvolti
nelle azioni da intraprendere.
Nella decisione di gruppo il processo comunicativo è di tipo
collaborativo e informativo/persuasivo e mira ad ottenere il
consenso su una scelta collettiva (nella funzione di utilità
possono rientrare obiettivi di benessere sociale).
Nella negoziazione il processo comunicativo è di tipo
competitivo, pertanto ciascuno cerca di ottenere la
decisione per sé più vantaggiosa, utilizzando tutti gli
strumenti a sua disposizione fra cui le minacce e i tentativi
di corruzione (l’argomento delle funzioni di utilità è il
benessere individuale).
In questo gruppo di meccanismi basati sulla
comunicazione e l’accordo diretto rientrano le relazioni di
autorità, come quelle che formano la struttura
organizzativa delle imprese.
Tali relazioni implicano un accordo sulle procedure con
cui si prendono le decisioni e su come vanno ripartiti i
diritti di decisione tra le parti.
Questi diritti definiscono una relazione di autorità in cui
una parte si impegna a obbedire agli ordini di una
controparte e rinunciare ad alcuni dei propri diritti di
decisione.
Ad esempio, nel caso della relazione di autorità tipica delle
imprese, se il proprietario del mulino è anche il proprietario
delle aziende cerealicole (integrazione verticale) ordinerà ad
esse in base alle relazioni di autorità definite nella burocrazia
interna della propria impresa di produrre i quantitativi di
grano che desidera.
Una relazione di autorità si ha ogni volta che un attore riceve
obbedienza ai propri ordini da parte di un altro attore, questa
autorità è legittimata da un contratto che lega le parti su base
volontaria e da diritti di proprietà definiti all’interno del
sistema legale in cui si svolge l’attività economica.
Sempre facendo riferimento al secondo gruppo di
meccanismi di coordinamento si può avere la
negoziazione.
Ad esempio, nel caso in cui il proprietario del mulino che
non entra in possesso delle aziende cerealicole ma decide
di stipulare con gli agricoltori dei contratti di fornitura.
Le clausole del contratto, che indicano il livello e le
modalità di attività delle parti, sono definite attraverso un
processo di negoziazione tra le parti basato sulla
comunicazione.
Il terzo gruppo di meccanismi si basa sulle consuetudini e
sulle convenzioni e quindi non implica che gli attori
interdipendenti prendano decisioni caso per caso.
Applicando norme, regole e convenzioni accettate si stabilisce
quali comportamenti sono da seguire e quali da eliminare.
Per esemplificare si ipotizzi che in un territorio le aziende
cerealicole storicamente siano servite da un mulino.
La preferenza accordata a tale mulino può derivare da una
serie di fattori come:
• la vicinanza e l’accessibilità,
• la relazione di fiducia che si è consolidata nel tempo tra gli
acquirenti e i fornitori,
• un particolare tipo di lavorazione che valorizza il prodotto
sul mercato finale.
Con il tempo sono proprio le consuetudini che portano ad un
coordinamento delle attività degli agricoltori e del mulino.
Quindi in presenza di norme, consuetudini o convenzioni,
tutti gli attori rispettano determinate regole di
comportamento, semplicemente in virtù di un tacito
consenso emerso dall’interazione fra le parti ripetuta per
lunghi periodi di tempo.
Mentre i primi tre gruppi fanno riferimento a sistemi
economici in contesti democratici, il quarto gruppo di
meccanismi di coordinamento riguarda il potere esercitato
da alcun attori con l’uso della violenza, tipico dei regimi
autoritari.
Nel caso di questa quarta tipologia il proprietario del mulino
può essere un camorrista che servendosi della violenza
pretende determinate quantità a determinati prezzi da
parte degli agricoltori.
Nel caso in cui ci si trovi in un regime non democratico come
ad esempio quello feudale, può accadere che un feudatario
imponga con la forza la cessione di determinati quantitativi
di grano ai sudditi del proprio feudo.
Le quattro tipologie di coordinamento evidenziano come gli
strumenti di analisi economica, che fanno riferimento al
paradigma neoclassico, sono insufficienti ad affrontare i
problemi organizzativi.
L’economia neoclassica considera come unica modalità
organizzativa il prezzo e vuole dimostrare che i mercati
concorrenziali possono risolvere efficientemente (in senso
paretiano) qualsiasi problema di coordinamento.
Nel secondo gruppo di forme di coordinamento sono incluse:
• le burocrazie private (imprese)
• e le burocrazie pubbliche.
Una burocrazia è una forma organizzativa
dove il coordinamento tra le diverse attività
ed i diversi attori è effettuato attraverso
relazioni di autorità definite da una
particolare struttura gerarchica che fissa ruoli
e posizioni di comando e di subordinazione.
Le risorse sono allocate mediante un piano
che è definito dagli attori nelle posizioni di
comando.
Nell’impresa (burocrazia privata) il comando è legittimato dal
possesso dei diritti di proprietà privata.
Nelle aziende pubbliche e amministrazioni (burocrazie
pubbliche) il comando è legittimato dalle istituzioni dello stato.
Le burocrazie private e pubbliche non sono oggetto dell’analisi
neoclassica.
Gli attori economici analizzati sono soggetti privati.
La funzione dello stato in economia è quella di:
• garantire il rispetto del diritto alla proprietà privata,
• e l’esecutorietà dei contratti,
si tratta del cosiddetto stato minimo.
Delle quattro principali forme organizzative (istituzioni) dei
sistemi economici capitalistici, cioè:
• stato,
•mercato,
•contratto
•e impresa,
l’economia neoclassica studia solo il mercato.
Gli economisti fanno riferimento a due tipologie opposte di
sistemi economici:
•l’economia di mercato
• e l’economia pianificata.
Le economie di mercato pure o le economie
pianificate pure sono forme ideali di
organizzazione economica.
Nei sistemi economici pianificati la burocrazia
pubblica, cioè lo stato, coordina le attività
economiche al posto del mercato.
Le economie dei paesi del socialismo reale dell’est
Europa erano economie miste dove il piano
pubblico predominante (lo stato) era affiancato
dal piano privato (imprese)e dal mercato.
Allo stesso modo, le economie di mercato dei paesi
occidentali a industrializzazione avanzata sono
miste, in esse, allo stato e al mercato che sono le
forme organizzative prevalenti, va aggiunta
l’impresa che ha un ruolo persino superiore al
mercato nel coordinare le attività economiche.
Ad esempio nelle economie a capitalismo avanzato,
dove domina la grande impresa capitalistica, il
piano privato è la principale forma di
coordinamento.
L’analisi organizzativa riveste un ruolo importante
nello studio del settore agroalimentare che
attualmente presenta una elevata varietà di assetti
produttivi e organizzativi come:
• la produzione agricola scarsamente industrializzata
per l’autoconsumo di molti paesi poveri;
• la produzione agricola industrializzata su larga
scala di commodities;
• la produzione locale di prodotti differenziati.
Il grado di trasformazione dei prodotti agricoli è
anch’esso molto vario, un prodotto agricolo:
• può essere venduto fresco (latte),
• essere trasformato in molti modi (formaggio),
• oppure subire trasformazioni blande che però lo
differenziano in modo sostanziale rispetto al
prodotto originale (latte ad alta digeribilità).
Inoltre una filiera di prodotto, che rappresenta
l’insieme delle attività di:
• produzione agricola,
•trasformazione industriale,
•e distribuzione di un prodotto,
può avere una dimensione:
• locale,
• regionale,
• o internazionale.
4.3 Analisi del margine distributivo
4.3.1 Margine distributivo in concorrenza perfetta
La domanda rivolta al settore agricolo è derivata dalla domanda
al dettaglio per beni alimentari.
I prodotti agricoli:
• subiscono vari processi di trasformazione (nella forma, nel
tempo e nello spazio),
• e necessitano di una serie di servizi di facilitazione degli scambi
(ad esempio servizi creditizi e di assicurazione),
per essere resi disponibili al consumo finale.
Il canale distributivo è costituito dal percorso
seguito dai prodotti agricoli per incontrare la
domanda finale ed è definito:
• sia in base alle funzioni assolte (ossia l’insieme
dei processi di trasformazione e di produzione
dei servizi aggiunti al prodotto agricolo),
• sia in base ai soggetti coinvolti (ossia l’insieme
degli operatori dei diversi settori produttivi che
gestiscono i processi di trasformazione e di
offerta dei servizi).
L’insieme dei costi della distribuzione dei prodotti agricoli è dato
dalla spesa alimentare finale al netto dei ricavi del settore
agricolo.
I costi di distribuzione tendono a crescere con l’avanzare dello
sviluppo economico in quanto i consumatori sono:
• sempre più ricchi
• sempre più impegnati in attività che rendono scarso il tempo da
dedicare alla preparazione dei pasti
• e richiedono una maggiore varietà di prodotti e servizi
aggiuntivi.
Questi servizi vanno da:
• servizi assicurativi per la garanzia della qualità;
• servizi di convenience per una rapida preparazione degli
alimenti;
• servizi di vicinanza e facilitazione degli acquisti.
In uno stadio di sviluppo non molto avanzato, cioè nell’ambito di
un’economia rurale primitiva, i costi di distribuzione possono
riguardare solo il lavoro e il tempo impiegati dal singolo
produttore nella vendita del proprio prodotto al mercato più
vicino.
Nei sistemi agroalimentari complessi delle economie avanzate,
al contrario il prodotto agricolo viene stoccato, condizionato,
trasportato e trasformato più di una volta prima di raggiungere il
consumatore finale, ciò determina una aumento dei costi di
distribuzione.
Per margine distributivo si intende la differenza tra il prezzo del
prodotto alimentare al dettaglio ed il prezzo del prodotto
agricolo utilizzato per ottenere il bene alimentare.
Ad esempio:
Il margine per il latte fresco è dato dalla differenza tra il prezzo
pagato per un litro di latte fresco acquistato in un negozio
alimentare ed il prezzo del latte rilevato sui mercati agricoli.
Nel confronto tra i due prezzi bisogna tener conto del fattore di
conversione che permette di confrontare:
il prezzo unitario del prodotto agricolo
con il prezzo unitario del prodotto alimentare finale,
tenendo conto del diverso contenuto di prodotto agricolo dei
due beni.
In generale per ottenere una unità di prodotto alimentare finale
qr viene utilizzata una quantità δqa di prodotto agricolo,
in cui δ rappresenta il fattore di conversione,
con 0 ≤ δ ≤ 1 .
Ad esempio,
se per ottenere una confezione di 1000 grammi di pomodori
pelati sono necessari 1400 grammi di pomodori freschi,
allora il coefficiente di conversione è pari a 0,71.
δ = 1000/1400 = 0,71
L’ampiezza del margine dipende:
• dal costo dei servizi aggiunti al prodotto agricolo durante i
processi di trasformazione e distribuzione;
• e nel caso di mercati non concorrenziali, anche dai profitti di cui
le imprese si appropriano lungo il canale distributivo.
Quando tutti i mercati collegati verticalmente lungo la filiera
agroalimentare sono concorrenziali, allora il margine distributivo
è pari al costo marginale di produzione dei diversi servizi aggiunti
al prodotto agricolo.
Per dimostrare quest’ultima affermazione si considera un
modello con una serie di ipotesi semplificatrici:
• assenza di ritardi temporali tra produzione agricola e
produzione del bene finale;
• assenza di incertezza lungo il canale distributivo;
• esistenza di un unico settore lungo il canale distributivo;
• mercati di concorrenza perfetta.
Si consideri la seguente funzione del profitto per un’impresa che
opera nel settore distributivo:
k
  pr qr   vi xi  pq  CFT
i 1
Pr = prezzo al dettaglio;
Qr = output venduto al dettaglio;
Vi = prezzo dell’input i, i = 1, 2, …, k;
Xi = quantità dell’input i;
P = prezzo all’azienda agricola;
Q = output venduto dall’azienda agricola.
Tra qr e q esiste una relazione qr = δq ,
dove δ è il fattore di conversione che misura il tasso di
trasformazione del prodotto agricolo in prodotto finale,
con 0 ≤ δ ≤ 1.
Per semplicità si assume δ = 1.
La precedente funzione del profitto può allora essere riscritta
come:
k
  ( pr  p ) q   vi xi  CFT
i 1
La differenza pr – p rappresenta il margine distributivo che altro
non è che il prezzo che il settore distributivo riceve per i servizi
offerti:
• raccolta;
• pulizia e selezione;
• trasformazione;
• trasporto;
• commercio al dettaglio.
CFT rappresenta i costi fissi per l’offerta di tali servizi;
Mentre i costi variabili sono rappresentati da:
k
v x
i 1
i i
Derivando la funzione del profitto rispetto alla quantità
offerta q, ed uguagliando tale derivata a zero si ottiene la
condizione di primo ordine per la massimizzazione del
profitto:
(pr – p) = CM
In tal modo è dimostrata l’uguaglianza tra margine
distributivo e costi marginali del servizio distributivo.
Partendo dalla precedente relazione è possibile derivare
la domanda rivolta all’agricoltura (detta domanda
derivata) dalla domanda al dettaglio (detta domanda
primaria) sottraendo a quest’ultima il costo marginale dei
servizi distributivi.
Allo stesso modo è possibile ricavare la curva di offerta al
dettaglio (detta derivata) dalla curva di offerta agricola
(detta primaria) aggiungendo a quest’ultima il costo
marginale dei servizi distributivi.
Nel caso di costi marginali costanti del servizio
distributivo le curve di domanda e di offerta, primarie e
derivate, sono:
• parallele,
• e distanti verticalmente di un ammontare pari al costo
marginale costante.
La dimensione del cambiamento del prezzo finale e
agricolo, data una modifica del margine, dipende
dall’inclinazione delle curve di domanda e di offerta.
Per funzioni lineari, se l’inclinazione è la medesima,
l’aumento del prezzo al dettaglio è pari alla diminuzione di
quello agricolo.
Se la domanda è più inclinata il cambiamento del prezzo sul
mercato finale è maggiore di quello agricolo.
Se l’offerta è più inclinata è maggiore il cambiamento del
prezzo agricolo.
Per molti prodotti agricoli l’offerta ha una debole elasticità
al prezzo, di solito inferiore rispetto a quella della domanda
finale.
Quindi il settore agricolo ammortizza gli aumenti del
margine distributivo (con la diminuzione del prezzo
agricolo) ma con ripercussioni negative per gli agricoltori.
Variazioni dei margini distributivi possono derivare da:
• cambiamenti nei prezzi dei fattori produttivi,
• cambiamenti dei servizi distributivi,
• modifiche tecnologiche che fanno cambiare la produttività
dei fattori.
Nel lungo periodo i margini:
• tendono a ridursi a causa del miglioramento tecnologico
(efficienza),
• aumentano a causa della sempre maggiore richiesta di
valore aggiunto al bene agricolo di base.
Nel breve e medio periodo, nei margini si possono avere
oscillazioni dovute a:
• instabilità dei mercati dei fattori,
• instabilità della domanda finale,
• instabilità dell’offerta agricola.
4.3.2 Margine distributivo in situazioni non concorrenziali
Spesso il settore distributivo non è un settore concorrenziale,
pertanto vi è una debole reattività del prezzo al dettaglio a
modifiche dei prezzi agricoli:
• se diminuisce il prezzo del prodotto agricolo il settore
distributivo può non ridurre proporzionalmente il prezzo al
dettaglio, aumentando il proprio margine e gli extraprofitti;
• se aumenta il prezzo del prodotto agricolo il settore
distributivo può non aumentare proporzionalmente il prezzo al
dettaglio, riducendo il margine e i profitti, pur di perseguire una
politica di stabilità dei prezzi al dettaglio che difenda la quota di
mercato.
Tale debole reattività dipende inoltre da una possibile carenza di
flussi informativi lungo il canale e dalla distanza temporale che
separa l’acquisto della materia prima agricola dalla riscossione
del prezzo al dettaglio.
Nei mercati non concorrenziali il margine distributivo non
dipende solo dai costi del servizio distributivo.
Se il settore distributivo è in condizioni di monopolio e il settore
agricolo di concorrenza perfetta, il margine sarà pari al margine
di concorrenza più la differenza tra il prezzo al dettaglio di
monopolio e di concorrenza:
MM
m
 MM
c
(p
m
r
p )
c
r
A parità di condizioni il monopolio aumenta il margine e riduce il
prezzo agricolo, tale riduzione aumenta se il settore distributivo
possiede anche un potere di monopsonio.
I produttori agricoli si avvantaggiano di un settore distributivo
concorrenziale ed efficiente e per primi risentono di eventuali
aumenti dei prezzi degli input del settore distributivo.
Tale risultato conduce a due considerazioni:
•i rischi di monopolio dei processi di concentrazione
dell’industria e del dettaglio alimentare nei paesi
avanzati vanno valutati in termini di effetti negativi sui
ricavi agricoli che possono superare gli effetti negativi
sul benessere del consumatore;
• i ritardi del settore distributivo sono una causa dei
bassi redditi dei produttori agricoli nelle economie
arretrate. I programmi di assistenza e sviluppo rurale
dovrebbero promuovere l’efficienza del settore
distributivo oltre che della produzione agricola.
Cambiamenti istituzionali che modificano i costi
della distribuzione vanno bilanciati con misure di
sostegno che compensino gli effetti negativi sui
redditi agricoli, come una normativa per la
garanzia della qualità.
I maggiori costi di controllo per l’attuazione di
normative, come quella sulla tracciabilità degli
alimenti, possono portare ad un aumento del
margine distributivo sopportato per lo più dal
settore agricolo.
I margini tendono a cambiare a causa di:
•cambiamenti della curva di domanda al dettaglio, della curva di
offerta dei servizi distributivi e della curva di offerta dei prodotti
agricoli;
•cambiamenti di fattori istituzionali;
•modifiche nella struttura dei mercati (potere di mercato);
•cambiamenti organizzativi lungo la filiera agroalimentare.
Cambiamenti istituzionali possono riguardare:
•la normativa per la sicurezza alimentare;
•la legge sulle cooperative e le organizzazioni dei produttori;
• la legislazione per la certificazione dei prodotti.
Cambiamenti organizzativi
Quando il livello di integrazione lungo il canale
distributivo aumenta si verifica il passaggio da una
gestione degli scambi basata esclusivamente sull’uso del
mercato ad una gestione degli scambi che:
• utilizza contratti di vario tipo,
• e forme di collaborazione tra gli operatori più o meno
formali.
Cambiamenti organizzativi che possono incidere sui margini
distributivi sono:
• contratti di lungo periodo per l’acquisto della materia
prima agricola con ordini e pagamenti della merce differiti
anche di molti mesi rispetto alla campagna di
commercializzazione effettiva;
• la costituzione di cooperative per la trasformazione e la
vendita dei prodotti agricoli;
• la formazione di consorzi e gruppi di acquisto ai vari livelli
della filiera;
• la costituzione di joint venture per la gestione comune di
attività di comunicazione o di ricerca e sviluppo.
I margini
Il margine tende a ridursi quando vi è una integrazione
contrattuale tra agricoltura e settore distributivo in quanto si
realizza una gestione più efficiente degli scambi.
Il margine tende a ridursi quando si ha la costituzione di
cooperative di trasformazione, in quanto a parità di costi di
trasformazione e di prezzi al dettaglio il margine contributivo
degli agricoltori risulta più elevato del prezzo di mercato.
Altre forme di collaborazione tra imprese lungo il canale tendono
ad aumentare o ridurre il margine a seconda che siano il potere
di mercato o l’efficienza e l’innovazione tecnologica ad essere
sviluppati.
4.6 Vertical restraints
Quando due imprese collocate in stadi successivi di una struttura
verticale, instaurano fra loro un rapporto di compravendita, una
delle due parti può imporre schemi di pagamento più complessi
rispetto al pagamento di un prezzo unitario per la merce
scambiata.
Questi schemi possono vincolare il prezzo pagato a determinati
impegni da parte di uno dei contraenti, come ad esempio:
• l’impegno dell’acquirente a fornire determinati servizi
promozionali;
• l’impegno ad acquistare un determinato volume minimo di
merce;
• l’impegno a comprare esclusivamente da quel particolare
venditore.
Sebbene gli accordi che implicano restrizioni verticali possano
riguardare qualsiasi momento di scambio all’interno di una
struttura verticale, il caso più tipico è quello del rapporto tra
impresa produttrice del bene finale e impresa distributrice.
Il rapporto tra produttore e distributore può essere descritto
come una tipica relazione principale-agente.
Il distributore (l’agente) svolge una funzione per conto del
produttore (il principale) da cui dipende la realizzazione della
funzione obiettivo di quest’ultimo.
In questo caso la restrizione verticale può essere vista come lo
schema di incentivi scelto dal principale che induce l’agente ad
attuare le scelte (in termini di prezzo di rivendita e volumi di
vendita) che massimizzino la funzione obiettivo (il profitto) del
principale.
Le esternalità
Con il termine di esternalità si indicano tutte quelle situazioni in
cui le decisioni di un agente economico, sia esso consumatore o
impresa, producono effetti diretti sull’obiettivo di qualche altro
agente, effetti che non sono mediati dal sistema dei prezzi.
Si parla di esternalità negative quando tali decisioni
determinano di fatto un costo per qualche altro agente; di
esternalità positive quando invece determinano un beneficio.
In generale, nel caso di esternalità negative l’agente che le
determina non sopporta per intero il costo che la decisione
infligge a qualche altro agente, consumatore o impresa.
Nel caso di esternalità positive, l’agente che le determina non è
in grado di appropriarsi interamente del beneficio arrecato a
qualche altro agente.
Le restrizioni verticali possono anche essere viste come
meccanismi di coordinamento verticale che servono a
correggere alcune distorsioni del mercato in presenza in
presenza di:
1) problemi informativi;
2) esternalità verticali;
3) comportamenti di free-riding associati alla presenza di beni
pubblici.
1) Un esempio di problema informativo è dato dal caso in cui nel
contratto di compravendita siano previsti alcuni servizi di vendita
a carico del compratore (il distributore), la cui effettiva offerta
non può essere controllata dal venditore (il produttore). Ad
esempio il venditore può difficilmente controllare l’adeguatezza
dei servizi di assistenza pre e post vendita forniti dal distributore
alla clientela relativamente al proprio prodotto;
2) un esempio di esternalità verticale negativa è data dal caso di
doppio monopolio (detto anche catena di monopoli) che implica
che sia l’impresa che produce il fattore produttivo che quella che
lo acquista abbiano un potere di monopolio. In questo caso
l’acquisizione delle attività di una delle due imprese da parte
dell’altra determina un miglioramento dell’efficienza complessiva
dello scambio, con un aumento sia del surplus del consumatore
che del livello dei profitti del settore;
3) Un esempio di free-riding è dato dalle caratteristiche di bene
pubblico di molti servizi promozionali offerti dal distributore.
Un’attraente showroom e del personale qualificato nella
presentazione del prodotto sono tipici beni pubblici in quanto
una volta offerti (da un distributore) i benefici ad essi associati
possono essere appropriati da un altro distributore (che si
comporta da free-rider) che senza offrire tali servizi può vendere
gli stessi prodotti a prezzi più bassi (in quanto non sostiene le
spese di promozione) ai clienti attratti dagli sforzi promozionali
dell’altro distributore.
Sia data una struttura verticale composta da una o più imprese
industriali che si servono di una o più imprese commerciali al
dettaglio per la distribuzione dei propri prodotti.
In generale si può affermare che l’utilizzo del prezzo lineare, vale
a dire una formula di pagamento del tipo T(q) = pw q, (in cui pw
è il prezzo imposto da produttore e q è la quantità acquistata dal
dettagliante) può non assicurare i migliori risultati in presenza di
particolari condizioni di imperfezione del mercato e dalle
caratteristiche della risorsa informazione.
All’interno della struttura verticale una serie di variabili
decisionali:
• prezzo all’ingrosso,
•localizzazione dei punti vendita,
• sforzo promozionale,
influenzano in modo diretto e indiretto i profitti dei distributori e
dei dettaglianti, nonché il benessere dei consumatori.
In sostanza
i vertical restraints possono avere sia effetti positivi che negativi:
• effetti positivi: quando gli accordi di restrizione verticale
offrono quegli incentivi che servono a correggere le imperfezioni
del mercato e a guidare le scelte degli operatori relativamente
alle diverse variabili decisionali;
• effetti negativi: quando i vertical restraints sono utilizzati per
erigere barriere all’entrata e rafforzare posizioni monopolistiche,
divenendo pratiche sleali nei confronti della concorrenza.
Carlton e Perloff (1989) individuano alcune definizioni relative
alle principali politiche di controllo verticale e ne analizzano l’uso
in diversi contesti strutturali e istituzionali.
I tipi più diffusi di vertical restraints sono:
• imposizione di una tassa di franchising (franchisee fee o twopart tariff): sia pw il prezzo imposto dal produttore e q la quantità
acquistata dal dettagliante, il costo sopportato dal dettagliante
sarà dato da T(q) = A + pw q, dove A è la tassa di concessione
imposta dal produttore;
• fissazione del prezzo di rivendita o prezzo imposto (resale
price maintenance): sia p il prezzo di vendita applicato dal
dettagliante, la misura consiste nella fissazione da parte del
produttore di un prezzo di vendita fisso (p = p*) o
alternativamente di un prezzo minimo (p ≥ p*) o un prezzo
massimo (p ≤ p*);
• quantità imposta (quantity fixing): il produttore indica un
volume di vendite fisso (q = q*) , o alternativamente un volume
minimo (q ≥ q*) o massimo (q ≤ q*), che il dettagliante si
impegna a rispettare;
• esclusive di territorio (exclusive territories): il produttore offre
al dettagliante l’esclusiva di vendita del proprio prodotto in un
territorio;
• royalty: il produttore a monte impone all’impresa acquirente
un pagamento (royalty) proporzionale al numero di unità di
prodotto vendute; il costo marginale dell’impresa a valle per ogni
unità acquistata diviene c = pw + r, dove pw è il prezzo pagato dal
produttore e r il saggio di royalty;
• accordi di esclusiva (exclusive dealing): il produttore impone al
dettagliante di non vedere prodotti che siano stretti sostituti del
proprio;
• vendite collegate (tie-in): l’impresa a monte vincola la vendita
di un suo prodotto all’acquisto da parte dell’acquirente di altri
suoi prodotti. Le vendite collegate sono considerate anche come
uno strumento di discriminazione di prezzo in quanto il prodotto
“collegato” può essere venduto ad un prezzo maggiore a quei
consumatori che dimostrano una preferenza per il prodotto
primario dell’impresa. Si parla di package tie-in o bundling
quando viene offerto un pacchetto di prodotti in proporzioni
fisse. Si parla di requirements tie-in quando il venditore richiede
al compratore che insieme al prodotto primario egli acquisti
presso di sé in modo esclusivo anche un altro prodotto (ad
esempio se x vende una stampante a y, y si impegna ad
acquistare tutte le cartucce che utilizzerà con tale stampante da
x).
Si possono attuare diverse politiche di controllo verticale in
rapporto al cattivo funzionamento del mercato lungo il canale
distributivo.
Nel caso della doppia marginalizzazione il produttore ha
interesse che il distributore aumenti le vendite e diminuisca il
prezzo al dettaglio fino al punto che massimizza i profitti della
struttura integrata.
L’obiettivo è indurre un comportamento concorrenziale nella
distribuzione, ma ciò non è sempre possibile.
Se anche l’integrazione verticale viene esclusa, perché troppo
costosa o perché vi sono vincoli istituzionali, altre politiche di
controllo verticale possono risultare utili.
La fissazione da parte del produttore di un prezzo all’ingrosso
pari al proprio costo marginale e la contemporanea imposizione
di una tassa di franchising pari ai profitti della struttura integrata,
costringono il dettagliante a praticare il prezzo che assicura che il
produttore ottenga il profitto della struttura integrata.
Quando il potere contrattuale del produttore non è tale da poter
imporre una tassa di franchising, il produttore può comunque
aumentare i propri profitti imponendo un prezzo massimo di
vendita al dettaglio o una quota di vendita minima.
Il tipico problema di free-riding a livello della distribuzione
riguarda il carattere di bene pubblico dei servizi promozionali
offerti al dettaglio.
Se un dettagliante non è il solo rivenditore di un prodotto alcuni
investimenti per promuoverlo possono andare a vantaggio dei
distributori concorrenti.
In pratica, una volta ispezionato e confrontato il prodotto con
altre alternative di acquisto presso un negozio che offre un
elevato servizio di esposizione e assortimento, un consumatore
può acquistare lo stesso prodotto presso un negozio a ridotto
servizio e che pratica prezzi inferiori.
Tale situazione può indurre il dettagliante che pratica politiche di
promozione a ridurle notevolmente, in quanto gli causano una
perdita di competitività nei confronti della concorrenza.
Di conseguenza, il produttore soffrirà della minore offerta di
promozione a livello del dettaglio in quanto vedrà diminuire il
proprio volume di vendite.
Per correggere tale distorsione il produttore può servirsi
soluzioni come:
• cedere in esclusiva il proprio prodotto a uno o pochi
dettaglianti che saranno così protetti dai concorrenti free-rider;
• sopportare del tutto o in parte i costi di promozione a livello del
dettaglio, per non causare distorsioni nel gioco competitivo tra i
dettaglianti;
• imporre a tutti i rivenditori un prezzo di rivendita minimo, così
da impedire una sleale concorrenza di prezzo da parte dei free
riders.
I problemi di free riding a livello della produzione sono analoghi
a quelli della distribuzione.
Un produttore impegnato in un grosso sforzo di marketing per il
proprio prodotto determina un elevato afflusso di clienti presso i
punti vendita che lo distribuiscono.
Se in tali punti vendita vi sono prodotti sostitutivi di altre
marche, il dettagliante può incentivarne l’acquisto praticando
prezzi inferiori rispetto al prodotto reclamizzato e che di fatto ha
determinato l’elevato afflusso di clienti.
Il modo di risolvere questa distorsione, quando praticabile, è
quello di imporre accordi di esclusiva.
Vale a dire che il produttore che investe in marketing offre il
prodotto a un distributore a condizione che non venda eventuali
marche dei concorrenti.
Nel settore alimentare tali accordi sono frequenti per quel che
riguarda il mercato dei gelati.
Le scelte dei distributori in termini di:
• prezzo,
• servizi promozionali,
• localizzazione,
possono essere diverse in base agli obiettivi del produttore e del
distributore.
Ad esempio una eccessiva riduzione del prezzo a scapito dei
servizi di assistenza da parte di un distributore per attrarre clienti
dalla concorrenza può danneggiare l’immagine del produttore.
In assenza di adeguati incentivi all’integrazione verticale il
produttore può usare le politiche di controllo verticale, in varie
combinazioni e in diverse varianti al fine di allineare i propri
obiettivi con quelli dei distributori.
I tipi di restrizioni verticali fin qui considerati fanno riferimento a
richieste/imposizioni contrattuali effettuate dai venditori
(produttori)
nei
confronti
dei
propri
acquirenti
(dettaglianti/distributori).
Esiste anche la possibilità che sia il distributore a imporre
particolari clausole contrattuali e pagamenti al produttore.
Le imprese di distribuzione che possiedono un certo potere sui
mercati di acquisto (buyer power), possono praticare politiche
anticoncorrenziali che vadano oltre la semplice pressione sul
presso di acquisto.
In altri termini acquirenti forti possono imporre alla controparte
restrizioni verticali dai possibili effetti anticoncorrenziali.
I tipi più comuni di restrizioni verticali imposte dalle grandi
catene distributive ai produttori in Europa e negli Usa sono:
• listing fee, pagamenti richiesti dalle catene distributive al
produttore per metterne in catalogo il prodotto;
• slotting allowances, pagamenti richiesti per esporre il prodotto
in una particolare posizione sugli scaffali;
• retrospective payments, pagamenti richiesti alla fine dell’anno
in proporzione al volume delle vendite effettuate;
• special payments, pagamenti una tantum richiesti al produttore
a titolo di partecipazione alle spese di apertura di un nuovo
negozio o di spese di ristrutturazione;
• long payment terms, dilazioni di pagamento ottenute dal
distributore nei confronti del produttore;
• product boycotts, rifiuto di mettere in catalogo il prodotto di un
particolare produttore.
Quando queste politiche di restrizione verticale sono praticate
verso grandi produttori, dotati di un certo potere di
contrattazione, non tendono a produrre effetti anticoncorrenziali
e fanno parte del normale processo di contrattazione.
Quando il potere del distributore è molto elevato si possono
avere degli abusi con possibili effetti anticoncorrenziali. Le
restrizioni imposte ai produttori più deboli possono causarne
l’uscita dal mercato con effetti anticoncorrenziali a livello del
settore produttivo.
Talvolta il distributore può stipulare accordi preferenziali con
alcuni produttori nell’ambito di una politica verticale collusiva (le
due parti si accordano per dividersi il profitto di monopolio della
struttura verticale integrata) ed utilizzare le politiche di
restrizione verticale verso gli altri produttori al fine di aumentare
il potere relativo dei produttori coi quali collude.
Scarica

Università degli Studi di Pavia Facoltà di Economia