Presentazione del corso
a.a. 2012-2013
Prof. Andò – Prof. Gianturco – Prof. Antenore
Teoria e analisi delle audience
+ Laboratorio
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Il corso
•
•
•
Obiettivo del corso è quello di ragionare sul ruolo sociale, culturale
ed economico delle audience mediali oggi, alla luce delle
trasformazioni di scenario che ci hanno introdotto nella cultura della
convergenza.
chi sono oggi le audience? che rapporto hanno con i media e come
vivono il loro essere audience? Quali competenze sono necessarie
per vivere nella cultura della convergenza? Quali sfide etiche
propone il contesto mediale attuale? Come educare alla
autoriflessività delle audience?
Questi sono solo alcuni interrogativi che il corso proporrà con l'idea di
leggere criticamente i principali approcci allo studio delle audience, in
termini di adeguatezza e di influenza, dei modelli teorici rispetto ai
comportamenti di fruizione e ricezione mediale attuali, che vedono la
loro massima espressione nelle forme più avanzate di audience
come blogger, gamers e fan.
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Il corso
• Il corso prevede 48 ore di lezione frontale più 36 di
Laboratorio (ricerca sui media)
• Il corso di Teoria e analisi delle audience (48 ore)
sarà gestito contemporaneamente al Laboratorio
(36 ore) in accordo con il quale è gestito il
calendario didattico e prevederà momenti di
approfondimento tematici e momenti di confronto e
di lavoro d'aula.
• Le lezioni si tengono il martedì e il mercoledì dalle
9 alle 11 e il venerdì dalle 11 alle 14 in B9
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Modalità di frequenza
• Sulla webcattedra questa settimana verrà
pubblicato il calendario delle lezioni, comune al
corso di Teoria e al Laboratorio.
• Per il corso, unitamente al Laboratorio abbinato, la
frequenza è fortemente raccomandata e sarà
rilevata, non a giorni fissi, attraverso foglio firme
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L’esame
• la prova d'esame sarà orale e riguarderà sia il corso
di Teoria e analisi delle audience che il Laboratorio
abbinato.
• I frequentanti che parteciperanno ai lavori del
laboratorio potranno discutere parte dell'esame
direttamente alla fine del corso.
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I testi d’esame
• Per il corso di Teoria e analisi delle audience:
• R. Andò, Audience Reader. Saggi e riflessioni
sull'esperienza di essere audience, Guerini, Milano 2008
• R. Andò, Lost. Analisi di un fenomeno (non solo)
televisivo, Bonanno 2011
• Un terzo testo che verrà indicato prossimamente
• 2 articoli in lingua inglese indicati sulla web cattedra
• Per il Laboratorio:
• 1. G. Gianturco, L'intervista qualitativa, Guerini 2005
• 2. F. Colella, Focus group. Ricerca sociale e strategie
applicative, FrancoAngeli, Milano, 2011.
• 3. Un terzo testo che verrà indicato prossimamente
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Perché studiare le audience?
Prof. Romana Andò
Teoria e analisi delle audience
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Perché studiare i media?
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Perché studiare i media?
• “ è mia intenzione sostenere che i media vanno
studiati perché sono centrali per la nostra vita
quotidiana, in quanto dimensioni sociali, culturali,
politiche ed economiche del mondo contemporaneo
e in quanto elementi che contribuiscono alla nostra
capacità variabile di dar senso al mondo, di
costruire e condividere i suoi significati” (R.
Silverstone 2002, pag.19)
Perchè studiare i media?
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I media: parte del tessuto generale dell’esperienza
• “i nostri media sono ubiqui, costituiscono la quotidianità, […]
sono una dimensione essenziale dell’esperienza
contemporanea.
• […] siamo diventati dipendenti dai mezzi di comunicazione,
sia quelli a stampa sia quelli elettronici, per svago e per
informazione, per conforto e per sicurezza, per un certo senso
della continuità dell’esperienza e di quando in quando anche
per i momenti più intensi dell’esperienza” (Silverstone, 2002,
pag. 18)
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I media partecipano alla vita sociale e culturale
• “Si tratta dunque di esaminare i media come
processo, come agenti e come oggetti dati, a tutti i
livelli, ovunque gli esseri umani si aggreghino in
uno spazio reale o virtuale, comunichino, tentino di
persuadere, informare, divertire, educare; ovunque
tentino, in una molteplicità di modi e con diversi
gradi di successo, di connettersi l’uno all’altro”
(Silverstone 2002, pag. 21)
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Lo studio dei media: partire dall’esperienza e dalla
sua normalità
• Il punto di partenza per uno studio sui media è l’esperienza e
la sua normalità.
• “i media sono in primo luogo normali, sono una presenza
costante nella nostra vita quotidiana”
• L’azione dei media si svolge nel mondo ordinario: essi sono
“parte di una realtà alla quale partecipiamo, che condividiamo
e che manteniamo, giorno per giorno, attraverso i nostri
discorsi e le nostre interazioni quotidiane” (Silverstone 2002,
pag. 24-25)
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Noi e i media
• Possiamo “pensare a noi stessi nella nostra
quotidianità e nella nostra vita con i media, come a
nomadi, girovaghi che si muovono da luogo a
luogo, da un ambiente mediale a un altro”
• “Ci muoviamo fra spazi privati e pubblici, fra spazi
locali e globali, da spazi sacri a spazi profani e da
spazi reali a spazi di finzione e virtuali e viceversa”
• “I media costituiscono il quotidiano e allo stesso
tempo forniscono alternative ad esso” (Silverstone
2002, pag. 27)
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I nostri media, le nostre storie, le nostre relazioni
• “le nostre storie, le nostre conversazioni sono
presenti sia nelle narrazioni formalizzate dei media,
nei resoconti fattuali e nelle rappresentazioni di
finzione sia nelle storie quotidiane: pettegolezzi,
dicerie e interazioni causali in cui troviamo dei modi
per fissarci nello spazio e nel tempo, e soprattutto
per fissarci nelle nostre relazioni reciproche,
connettendoci e separandoci, condividendo e
rifiutando, individualmente e collettivamente, in
amicizia e in ostilità, in pace e in guerra”
(Silverstone 2002, pag. 32)
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Media e senso comune
• Il senso comune va inteso come “espressione e allo
stesso tempo precondizione dell’esperienza, come
condiviso o per lo meno condivisibile, come misura
delle cose spesso invisibile.
• I media dipendono dal senso comune, lo
riproducono, vi fanno riferimento così come lo
sfruttano e lo fraintendono” (Silverstone 2002, pag.
25)
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Media come filatoi del mondo moderno
• Se “l’uomo è sospeso su una rete di significati che
lui stesso ha tessuto” (Geertz)
• allora i media sono i i filatoi del mondo moderno, e
utilizzandoli, gli esseri umani tessono reti di
significato per loro stessi (Thompson1998, 22).
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Media, risorse simboliche e vita sociale
• Lo sviluppo dei media va letto come una
rielaborazione del carattere simbolico della vita
sociale, una riorganizzazione dei modi in cui le
informazioni e i contenuti simbolici sono prodotti e
scambiati nel mondo sociale, e una ristrutturazione
dei modi in cui gli individui si rapportano l’uno
all’altro e a se stessi (Thompson 1998, 22).
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Media e contesti sociali
• Quando studiamo i media non dobbiamo correre il
rischio di concentrarci solo su
• i testi, analizzandoli in sé e per sé, senza relazioni
né con gli obiettivi e le risorse di chi li ha prodotti,
né con i modi in cui chi li riceve li utilizza e
comprende;
• i pubblici, analizzandone la composizione e la
quantità, gli effetti subiti, i bisogni alla base del
consumo etc.
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Media e contesti sociali
• Quando studiamo i media dobbiamo partire dal
carattere terreno dell’attività di ricezione.
• La ricezione dei prodotti dei media è un’attività
pratica e di routine che gli individui intraprendono in
quanto rappresenta un aspetto costitutivo della loro
vita quotidiana.
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La ricezione mediale
• La ricezione dei media è un’attività = un tipo di
pratica nel corso della quale gli individui si
appropriano dei materiali simbolici che ricevono e li
elaborano.
• La ricezione è un’attività collocata in un contesto: i
prodotti dei mezzi di comunicazione sono ricevuti
da individui invariabilmente situati in contesti
storico-sociali precisi (da cui distaccarsi o in cui
immergersi ancora di più)
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La ricezione mediale
• La ricezione dei media è un’attività di routine, ovvero una delle
pratiche consuete della vita quotidiana.
• La ricezione dei media è un’attività che dipende da un
ventaglio di capacità e competenze acquisite (funzione
esperta).
• La ricezione dei media è un’attività ermeneutica, nel senso
che gli individui si impegnano in genere in un processo di
interpretazione, attraverso il quale attribuiscono significato.
• Nell’interpretare le forme simboliche gli individui le
incorporano nella loro comprensione di sé e degli altri.
• Ne assimilano il messaggio e lo incorporano nella propria vita,
adattandolo alla propria esistenza e contesto di vita.
• L’appropriazione è, quindi, il processo di comprensione e
autocomprensione.
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Perché studiare le audience?
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L’importanza di essere audience
• Se i media sono il nostro tessuto dell’esperienza, essere
audience mediali è sempre più “il” tratto caratterizzante della
nostra esistenza, tanto più nell’epoca della convergenza
culturale.
• Studiare i media, quindi, oggi impone sempre più di studiare le
audience,
• non solo e non tanto in termini di rapporto mezzo di
comunicazione/suo pubblico, quanto per le implicazioni
• Individuali (il sé riflessivo)
• sociali e culturali (cultura convergente)
• economiche (audience e produttori, audience produttive)
• che l’essere audience produce.
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Il sé riflessivo e i media
• Nelle società moderne il processo di
autoformazione è sempre più riflessivo e aperto:
per costruirsi un’identità coerente, gli individui
imparano a ricorrere in misura sempre maggiore
alle loro stesse risorse.
• Ma anche alle risorse simboliche mediate, la cui
abbondanza estende le opportunità dell’individuo,
ma allenta il legame tra autoformazione e ambiente
condiviso: gli individui accedono infatti a
informazioni provenienti da fonti lontane e
attraverso reti di comunicazione mediate…
• ma l’appropriazione di questa conoscenza non
locale avviene sempre in contesti locali.
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Il sé come progetto simbolico
• “il sé è […] un progetto simbolico che l’individuo
costruisce attivamente sulla base dei materiali
simbolici a sua disposizione, materiali che
l’individuo ordina in un racconto coerente a
proposito di chi egli sia – un racconto della sua
identità” (Thompson, 293)
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L’appropriazione
• Thompson utilizza il termine di appropriazione per riferirsi
all’estensione del processo di ricezione oltre il momento
della fruizione.
• Appropriarsi significa “far proprio” qualcosa di estraneo e
sconosciuto e trovare un modo per rapportarsi ad esso e
incorporarlo nella propria vita, attraverso il proprio
bagaglio di competenze, conoscenze, inclinazioni.
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L’appropriazione
• “Perciò l’appropriazione dei messaggi deve essere
intesa come un processo continuo e socialmente
diseguale che dipende dai contenuti dei messaggi
ricevuti, dall’elaborazione discorsiva, e dagli attributi
sociali dei destinatari sia diretti sia indiretti”
(Thompson, 159).
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Un progetto simbolico diseguale
• Il carattere attivo e creativo del sé non implica che
esso non subisca condizionamenti sociali. Questi
possono essere letti nel:
• modo diseguale in cui sono distribuiti i materiali
simbolici sulla base dei quali costruiamo la nostra
identità;
• modo/i diseguali con cui gli individui utilizzano queste
risorse per costruire il proprio sé.
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Da dove vengono i materiali simbolici
• Prima dell’avvento dei media, i materiali simbolici utilizzati dai
soggetti per la costruzione della propria identità
(autoformazione) provenivano principalmente dalle interazioni
faccia a faccia (conoscenza locale).
• Oggi gli orizzonti di comprensione degli individui si allargano:
sono legati alla espansione delle reti mediate che rendono i
mezzi di comunicazione “moltiplicatori di mobilità” (Lerner):
“viaggi dell’immaginazione che aiutano gli individui a prendere
le distanze dagli ambienti più immediati del loro vivere
quotidiano” (Thompson, 295)
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Il sé come progetto riflessivo
• Materiali simbolici locali e mediati vengono incorporati dal
soggetto nel processo di autoformazione.
• “il sé si trasforma dunque in un progetto riflessivo nel corso
del quale l’individuo incorpora materiali mediati (tra le altre
cose) e li inserisce in un racconto autobiografico coerente e
continuamente rivisto” (Thompson, 295)
• Non solo: i media, e la conseguente abbondanza di
materiale simbolico, potenziano la stessa forma riflessiva del
sé.
• i materiali simbolici mediati offrono possibilità nuove al
processo di autoformazione e sottopongono il sé a richieste
senza precedenti.
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Media come provider e certificatori
• I mezzi di comunicazione forniscono continuamente
e in grande quantità materiali simbolici con cui
confrontarsi e cui riferirsi a livello di lettura e pratiche
della e nella realtà che ci circonda,
• interpretando il doppio ruolo di provider di modelli e
di certificatori di qualità degli stessi e intervenendo
con decisione, dunque, nel processo riflessivo di
costruzione dell’identità.
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La dimensione relazionale del progetto riflessivo
del sé
• L’esercizio identitario si concretizza e si esplicita a
livello relazionale, non solo nel rapporto con i
media, ma in quello che si costruisce con altri
soggetti con i quali si condivide o si condividerà il
consumo mediale.
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“Benvenuti nella cultura della
convergenza …
… dove vecchi e nuovi media si scontrano, dove
forme mediali generate dal basso e dall’alto si
incrociano, dove il potere della produzione mediale
e quello del consumo interagiscono in modi
imprevedibili.”
H. Jenkins (Cultura convergente)
Cultura convergente
La definizione di cultura convergente di Jenkins
(2007) rimanda ad uno scenario che deriva
dall’interazione tra:
Convergenza
Mediale
Cultura
Partecipativa
Intelligenza
Collettiva
Convergenza mediale
• “per ‘convergenza’ intendo il flusso dei contenuti su
più piattaforme, la cooperazione tra più settori
dell’industria dei media e il migrare del pubblico alla
ricerca continua di nuove esperienze di
intrattenimento” (Jenkins, 2007, XXV)
• “voglio contestare l’idea secondo la quale la
convergenza sarebbe essenzialmente un processo
tecnologico che unisce varie funzioni all’interno
dello stesso dispositivo. Piuttosto essa rappresenta
un cambiamenti culturale …” (ibid.)
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Pagina 38
Cultura partecipativa
• L’idea di cultura partecipativa contrasta con l’idea di
audience passiva, che si trascina fin dalle prime
elaborazione di modelli teorici della comunicazione
mediata, a favore di un’audience partecipante e
produttiva.
• Produttori e consumatori interagiscono tra di loro
continuamente, secondo dinamiche di azione e
relazione mutevoli e innovative.
• Nella cultura partecipativa non tutti devono
contribuire, ma tutti devono credere di essere liberi
di farlo, quando sono pronti
• e devono credere che il loro contributo sarà valutato
in maniera appropriata.
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Pagina 39
Definire la cultura partecipativa come:
•
•
•
•
•
1. con barriere piuttosto basse nei confronti dell’espressione artistica
e dell’impegno civico
2. con grande supporto alla creazione e scambio di opere gli uni con
gli altri
3. con qualche tipo di guida informale in base alla quale ciò che è
conosciuto dalla maggior parte attraverso l’esperienza viene passato
ai nuovi
4. dove i membri credono che il loro contributo conta
5. dove i membri sentono qualche grado di connessione sociale con
gli altri (come minimo sono attenti a ciò che gli altri pensano a
proposito delle loro creazioni).
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Intelligenza collettiva
• Nella cultura convergente, il consumo diventa un
processo collettivo.
• La convergenza non avviene tra le attrezzature dei
media, ma nei cervelli dei singoli consumatori e
nelle loro interazioni sociali, nel loro parlare dei
media, sui media e con i media.
• Avviene nella gestione, implementazione e
condivisione della conoscenza mediata al punto
che “nessuno di noi sa tutto; ognuno di noi sa
qualcosa; possiamo mettere insieme i pezzi se
uniamo le nostre conoscenze e capacità” (Jenkins,
2007, XXVI)
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Non tecnologia interattiva, ma cultura partecipativa
• “l’interattività (H. Jenkins, 2006a) è una proprietà della
tecnologia, mentre la partecipazione e una proprietà della
cultura”.
• La cultura partecipativa va emergendo nel momento in cui la
cultura assorbe e risponde alla esplosione delle nuove
tecnologie mediali, che rendono possibile per i consumatori
medi di archiviare, prendere nota, appropriarsi, e far circolare di
nuovo i contenuti media in nuove modalità ancora più potenti.
• Concentrarci solo sull’accesso alle nuove tecnologie ci porta
lontano, se non incoraggiamo allo stesso tempo le competenze
e le conoscenze culturali necessarie per sviluppare questi
strumenti per i nostri stessi obiettivi.
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Non tecnologie isolate ma sistema dei media
• Piuttosto che occuparci di ciascuna tecnologia
isolatamente, faremmo meglio ad assumere un
approccio ecologico, ragionando sulle interrelazioni
tra tutte queste differenti tecnologie di
comunicazione, sulle comunità culturali che
crescono intorno ad esse, e sulle attività che
supportano.
• Il sistema dei media è composto di tecnologie della
comunicazione e di istituzioni, pratiche e protocolli
sociali, culturali, legali, politici ed economici, che le
modellano e circondano (Gitelman, 1999).
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Cultura partecipativa e opportunità di civic engagement
• La nuova cultura partecipativa offre molte
opportunità ai giovani per prendere parte al dibattito
pubblico, partecipare alla vita di comunità, diventare
leader politico, anche se spesso solo attraverso le
“seconde vite” offerte dai giochi multiplayer o dalle
comunità online di fan.
• La sfida è come collegare le decisioni nel contesto
della vita quotidiana con le decisioni prese a livello
locale, o nazionale.
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Cultura convergente e mercato
• “le media companies [sono] obbligate a
rivalutare la natura dell’impegno degli utenti
e il valore della partecipazione dell’audience
in risposta ad un cambiamento
dell’ambiente mediale caratterizzato da una
digitalizzazione e un flusso mediale
attraverso più piattaforme, l’ulteriore
frammentazione e diversificazione del
mercato mediale, e l’aumento della forza e
della capacità degli utenti di plasmare il
flusso e la ricezione dei contenuti mediali”
(H. Jenkins 2008).
Come cambia il consumatore
Mentre i vecchi consumatori erano visti come passivi, i
nuovi consumatori sono attivi.
Mentre i vecchi consumatori erano prevedibili e stavano
dove gli ordinavi, i nuovi consumatori si spostano,
mostrando una fedeltà in declino nei confronti dei
network o dei media.
Se i vecchi consumatori erano individui isolati, i nuovi
consumatori sono maggiormente connessi tra loro.
Se il lavoro dei consumatori mediali un tempo era
silenzioso e invisibile, i nuovi utenti sono rumorosi e
pubblici” (Jenkins 2006).
I pubblici oggi
Dimensione
dell’esperienza
Figura spettatoriale
Focalizzazione delle pratiche
Identità
Pubblici performer
Sul soggetto individuale (social-oriented)
Appartenenza
Pubblici fan
Sul contenuto mediale (media-oriented)
Mobilità
Pubblici
multipiattaforma
Su piattaforme-contenuti mediali (mediaoriented)
Cittadinanza
Pubblici partecipanti
Sul soggetto collettivo (social-oriented)
Il consumatore è sempre più un fan…
• Il fandom è un fenomeno sociale dotato di
riconoscibilità e non più isolato (no subcultura)
• Il fandom è un comportamento diffuso, (almeno
nelle sue manifestazioni di base) e pervasivo
• Il fandom si appoggia alle tecnologie e alle logiche
di partecipazione, condivisione, creazione di
contenuti (web 2.0)
• Il fandom si basa sulla ridefinizione del rapporto tra
consumatore e prodotto consumato, in termini di
fedeltà e partecipazione basate sull’economia
affettiva (Jenkins 2006).
… perché il fandom è…
• “Social interaction” (Baym): interviene sulle
dimensioni individuali e sociali del soggetto
(costruzione identitaria e gestione delle relazioni
sociali)
• “Network culture” (Jenkins): ridefinisce e
implementa il rapporto tra tecnologie, contenuti e
media literacy
• “Lovemarks” (Robins): contraddistinto da impegno,
empatia e passione in grado di generare nelle
audience una “lealtà al di là della ragione”
Marinelli-Andò Perché studiare il fandom?
Milano
10/02/09
Pagina 49
Chi ha paura dei fan?
Cosa significa per aziende e creativi concedere al pubblico
un ruolo più attivo nella progettazione, distribuzione e
promozione dei contenuti mediali?
Per i creativi il timore è la
contaminazione della propria
integrità artistica, (preservazione
della reputazione all’interno della
comunità professionale, Deuze
2006).
Per i vertici aziendali la paura è
connessa all’idea che i consumatori
possano prendere ciò che hanno
fatto senza pagarli, in conformità
con le logiche del mercato.
Come si comportano le media companies
Approccio collaborativo
Posizione proibizionista
accogliere la partecipazione delle
audience, movimentare i fan come
sostenitori dal basso, guadagnare sui
contenuti generati dagli utenti.
rafforzare il controllo sulla
proprietà intellettuale, provare a
dominare il dirompente e
destabilizzante impatto dei
cambiamenti tecnologici
Fan = alleati.
Fan = pirati
Verso il lovemark
• Il successo di un contenuto mediale si basa sempre di
più sull’intimità che è capace di creare con le aspirazioni
personali dei consumatori, un senso di vicinanza
affettiva simile all’innamoramento.
• Un prodotto in grado di costruire di sé un profilo
contraddistinto da impegno, da empatia e passione
• È in grado di generare nelle audience una “lealtà al di là
della ragione”(K. Roberts 2004).
• Attraction
Retention
Il futuro dell’intrattenimento
“Un programma con un alto livello di
coinvolgimento risulterebbe un investimento
migliore rispetto ad un programma con indici di
ascolto più alti ma con un interessamento
superficiale del pubblico” (Jenkins 2008).
Il futuro dell’intrattenimento:
ratings or engagement?
I Cultural studies
Cultural Studies: un’introduzione
• I cultural studies non sono una disciplina
accademica come le altre.
• Non possiedono né una metodologia ben definita,
né un campo di indagine chiaramente delineato.
• I cultural studies riguardano, certamente, lo studio
della cultura o, più analiticamente, lo studio della
cultura contemporanea. (S. During, 2004)
Cultural Studies: impossibili da
definire perché…
• Cultural Studies oggi non vuol più dire soltanto Scuola
di Birmingham: ci sono tradizioni dei Cultural Studies
molto differenziate fra loro;
• ci sono studiosi che rientrano a pieno titolo nei
Cultural Studies pur non sapendolo (Radway);
• i Cultural Studies sono interdisciplinari (tra sociologia
e semiotica, fra sociologia e l’antropologia postcoloniale, tra criticismo letterario e pensiero marxista,
etc.).
• i Cultural Studies hanno un’anima etnometodologica e
si caratterizzano per la riflessione sui metodi qualitativi
(Researching Culture, P. Alasuutari).
Cultural studies: 2 concetti di
base
• La soggettività (subjectivity): i cultural studies studiano la
cultura in relazione alle vite individuali. “la cultura ci aiuta a
riconoscere che una qualunque pratica quotidiana (come il
leggere) non può essere separata dalla più ampia rete delle
altre pratiche quotidiana (come il lavoro, l’orientamento
sessuale, la vita familiare)”. (S. During, 2004)
• La cultura (culture): “per i cultural studies, “culture” non è
un’abbreviazione di “high culture”, considerata un oggetto a
valore costante nel tempo e nello spazio”. (S. During,
2004). La cultura è un intero stile di vita, che si compone
tanto attraverso le istituzioni e i comportamenti del
quotidiano, quanto attraverso l’arte e la letteratura.
La cultura
•
•
•
•
1) la cultura conta;
2) la cultura siamo noi;
3) la cultura è una pratica;
4) la cultura è conflitto (perché in alcuni autori è
vista come un luogo in cui si scontrano ideologie)
[dal manifesto programmatico di Ben Agger]
• Da qui, l’attenzione al decentramento dei canoni
classici della cultura, e alla produzione,
distribuzione e consumo.
• Il significato non sta nei testi, ma nemmeno nelle
persone che li producono o tanto meno in quelle
che li leggono. Il significato sta
contemporaneamente in tutte queste componenti.
Di cosa parliamo, quando
parliamo di cultura
• la cultura è “un orizzonte che recede ogni
qualvolta uno gli si approssimi” (S. Benhabib, La
rivendicazione dell’identità culturale).
• “Che sia così sfuggente non dovrebbe stupire.
Parlare della cultura implica infatti un paradosso:
• il nostro costituirla come un oggetto di discorso è
esso stesso - in quanto discorso, cioè pratica
linguistica e culturale - parte dell’oggetto che
intende descrivere” (Jedlowsky, Urbino 2007).
Non esistono fatti, se non
interpretati (Schutz)
• Per Weber la cultura è “una sezione finita
dell'infinità priva di senso del divenire del mondo,
alla quale è attribuito senso e significato dal punto
di vista dell'uomo”
• La cultura è ciò che svolge per gli esseri umani la
funzione di determinare il significato della vita e
delle azioni che in essa sono possibili.
• La cultura è ciò che dà forma alla realtà quale la
percepiamo e che inquadra le nostre condotte,
permettendo al contempo l'elaborazione della
nostra esperienza.
• La cultura è l'ambito della vita sociale deputato alla
mediazione simbolica dell’esistenza (Jedlowsky,
Urbino 2007).
Cultura e linguaggio
• “le azioni e le relazioni umane prendono
forma attraverso una duplice ermeneutica:
• identifichiamo ciò che facciamo attraverso la
descrizione che ne diamo, la parola e l’atto
sono ambedue originari, nel senso che
• pressoché ogni azione umana che […] sia
socialmente significativa, viene colta come
un certo tipo di azione attraverso le
descrizioni che gli individui agenti o gli altri
ne forniscono” (S. Benhabib)
Cultura come vita
• La cultura è indissolubilmente intrecciata con i
vissuti e le pratiche degli attori sociali.
• La cultura non esiste se non come una "forma di
vita" (secondo la celebre espressione di Wiliams, è
“a whole way of life”):
• studiarla è studiare come le persone danno senso
alla realtà e alle cose che fanno,
• studiare gli oggetti che li circondano e i modi in cui
vivono quotidianamente.
• La cultura si riproduce nella vita dei soggetti
concreti e da questi viene costantemente
riformulata e innovata.
Le origini: l’approccio culturalista
Le origini: la “great tradition” di
Leavis
• I Cultural Studies nascono come campo di
studi negli anni ’50, sulla base delle
riflessioni di Frank Raymond Leavis nella
rivista “Scrutiny”.
• Leavis puntava ad utilizzare il sistema
educativo inglese per diffondere la
conoscenza e l’apprezzamento della grande
tradizione letteraria inglese, contro la
minaccia proveniente dalla cultura di massa
commercializzata.
• Cultura alta
educazione.
Cultural studies: tra cultura alta e
cultura popolare
• L’opposizione alla cultura di massa da parte di
Leavis presupponeva la necessità di dimostrare la
superiorità (estetica) del canone classico.
• Tale dimostrazione passava attraverso l’analisi
letteraria dei testi sia della cultura “alta” che di quelli
della “cultura popolare”.
• Il confronto tra i testi, condotto attraverso il close
reading (ovvero l’interpretazione empatica dei testi,
sulla base di conoscenze letterarie pregresse),
• rappresenta il primo spazio di discussione
intellettuale sulla cultura popolare.
Cultura alta
Cultura popolare
Da Leavis ai Cultural Studies
• Richard Hoggart e Raymond Williams
sono considerati i primi esponenti dei
Cultural studies.
• Entrambi provenienti dalla classe operaia
e entrambi insegnanti interpretarono
l’approccio di Leavis in modo ambivalente:
• da una parte riconoscevano che i testi
letterari inglesi erano più ricchi di quelli
della cultura di massa;
• dall’altra l’insegnamento di Leavis non
trovava punti di contatto con le forme
comuni di vita della classe operaia.
Richard Hoggart: The Uses of
Literacy (1958)
• Questa ambivalenza si trova nel testo di Hoggart
(“a schizophrenic book”):
• la prima parte è un’esaltazione sentita e
sentimentale delle tradizionali comunità industriali
degli operai, ancora relativamente non toccate dalla
cultura di massa,
• la seconda parte è un attacco critico e pratico alla
moderna cultura di massa.
Richard Hoggart: The Uses of
Literacy (1958)
• The Uses of Literacy si concentra sul quotidiano
“come categoria culturale della cultura operaia
britannica”.
• Questa viene descritta come “vita piena e ricca” di
rituali del lavoro e del tempo libero, studiata e
conosciuta attraverso l’esperienza personale:
• il vissuto come base dell’analisi scientifica.
• Ad essa si contrappone la cultura di massa
americana, accusata di far perdere il carattere di
classe e la coscienza comune del proletariato.
Il CCCS di Birmingham
• Nel 1964 Hoggart fonda il Birmingham Centre for
Contemporary Cultural Studies.
• La direzione di Hoggart durerà fino al 1968.
• L’interesse per le forme della cultura popolare e per
la loro componente politica caratterizza altri due
studiosi: R. Williams e E.P. Thompson, anche essi
provenienti dall’insegnamento per gli adulti.
Raymond Williams: Culture and Society
(1958), The Long Revolution (1961)
• Dalla sua prima definizione di cultura come “intero
stile di vita […] come modalità di interpretazione
delle nostre esperienze comuni”, Williams arriva a
concepire la cultura come modo di vivere, che si
esprime tanto attraverso le istituzioni e i
comportamenti del quotidiano, quanto attraverso
l’arte e la letteratura.
• I vari elementi della cultura, in relazione tra loro,
vengono interpretati come espressioni di una
struttura di sentimenti, come valori di un gruppo, una
classe, una società …
• da leggere come forme culturali.
E. P. Thompson: The Making of the
English Working Class (1963)



Alla base del pensiero di Thompson c’è l’idea del
conflitto (“whole way of struggle”) tra forme di
cultura diverse.
Egli parla di una cultura popolare, attiva in senso
anti-egemonico, che deve confrontarsi
positivamente con la cultura dominante.
La cultura di massa viene, qui, demonizzata in
quanto accusata di eliminare lo spirito di
opposizione- ribellione della classe operaia.
Le parole chiave dell’approccio
culturalista
La great tradition:
la cultura alta
Il close reading:
l’analisi letteraria
Il vissuto come
base dell’analisi
scientifica
La cultura come
stile di vita
La cultura come
luogo di conflitto
La tradizione strutturalista: la
funzione politica della cultura
La politica in crisi di identità
• Thompson aveva indicato che l’identità della
classe operaia in quanto classe operaia
aveva sempre avuto una forte componente
politica e conflittuale, non essendo un
prodotto di particolari interessi o valori
culturali.
• Ma la frammentazione della tradizionale e
più antica cultura operaia, tra gli anni ’50 e
’70, mostrava come la gente non si
identificava più in quanto soggetti lavoratori
e che la dimensione politica dell’identità
diveniva sempre meno significativa.
Il ruolo politico della cultura
• Negli anni ’70 la cultura comincia, dunque, ad
essere indagata dal punto di vista della sua
funzione politica.
• La cultura viene letta come “ideologia” e come
“egemonia”, intendendo con questo concetto una
relazione di dominio che non viene vista (e vissuta)
come tale da chi la subisce.
L’ideologia nel pensiero di
Althusser
• Gli individui sono costrutti dell’ideologia.
• L’ideologia è l’insieme dei discorsi e delle
immagini che costituiscono la conoscenza
diffusa degli uomini: il senso comune.
• L’ideologia serve allo stato (e al capitalismo)
a riprodurre se stesso, senza la minaccia di
una rivoluzione.
• L’ideologia “cambia ciò che era politico,
parziale e aperto al cambiamento in
qualcosa che sembri “naturale”, universale
ed eterno” (S. During 2004)
L’ideologia dominante
• Il ruolo primario dell’ideologia è quello di
costruire un ritratto “immaginario” della vita
civile all’interno della quale i soggetti sono
rappresentati come liberi e unici.
• Gli individui accolgono l’ideologia così
facilmente perché essa li aiuta a “dare senso”
al mondo,
• e perché in essa si vedono indipendenti e forti.
• Sia nel privato (si veda Lacan e la funzione
dell’ideologia in quanto produttrice di false
soluzioni alle tensioni private e familiari)
• che nella vita politica.
Il senso comune
• “sono proprio la sua qualità “spontanea”, la sua
trasparenza, la sua “naturalità”, il rifiuto che oppone
a far esaminare i principi su cui è fondato, la sua
resistenza ai cambiamenti o alle correzioni, il suo
effetto di riconoscimento immediato, e il circolo
chiuso in cui si muove, che rendono il senso
comune simultaneamente “spontaneo” ideologico e
inconscio.
• tramite il senso comune non si può apprendere
come stanno le cose: si può solo scoprire qual è il
loro posto nello schema esistente delle cose” (Hall
in Hebdige p. 14)
Ideologia: da Marx …
• Nell’Ideologia tedesca Marx evidenzia come la
struttura economica del capitalismo sia nascosta
alla coscienza degli agenti della produzione.
• Marx parla in proposito di falsa coscienza.
… ad Althusser
• Il concetto di ideologia riguarda
• “il rapporto vissuto dagli uomini col loro mondo.
• Questo rapporto non si rivela “cosciente” se non a
condizione di essere inconscio […]. Nell’ideologia, infatti,
gli uomini esprimono non i loro rapporti con le loro
condizioni di esistenza, ma il modo in cui vivono i loro
rapporti con le loro condizioni di esistenza, la qual cosa
suppone al tempo stesso, un rapporto reale e un rapporto
“vissuto”, “immaginario”.
• L’ideologia è allora l’espressione del rapporto degli uomini
col loro “mondo”, ossia l’unità (surdeterminata) del loro
rapporto reale e del loro rapporto immaginario con le
loro reali condizioni di esistenza” (Althusser 1965)
L’atmosfera della vita umana
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 81
L’ideologia in Althusser
• “l’ideologia ha ben poco a che vedere con la
“coscienza” […]. Essa è profondamente inconscia
[…].
• Per lo più sono immagini, a volte anche concetti,
ma soprattutto sono strutture e come tali si
impongono alla stragrande maggioranza degli
uomini senza passare attraverso la loro
“coscienza”.
• Sono oggetti culturali percepiti-accettati-subiti che
agiscono sugli uomini attraverso un processo che
sfugge loro” (Althusser in Hebdige, p. 14)
La consapevolezza dell’ideologia
• Non si può scegliere di uscire dall’ideologia,
ma si può scegliere di
• “conoscerla il più approfonditamente
possibile, riconoscerla il più in fretta
possibile e, attraverso il proprio lavoro
interpretativo, sempre e necessariamente
incompleto, lavorare per trasformarla”
(Spivak 1988, tr. it. p.38)
Dall’ideologia all’egemonia
• Il concetto di egemonia, nell’accezione di
ideologia dominante (Gramsci 1977), appare
in grado di spiegare come la cultura (anche
mediale) concorra a perpetuare la società
classista dominata da una classe.
• Per egemonia si intende un insieme di idee
dominanti che permeano una società,ma in
modo tale da far sembrare sensato, pacifico e
naturale l’assetto vigente di potere. (McQuail
1983)
• L’egemonia tende a liquidare l’opposizione
allo status quo come dissidenza o devianza
L’egemonia in Gramsci
• Secondo Gramsci non è lo Stato a essere
responsabile dell’egemonia, ma la società civile,
con le sue istituzioni, i sistemi educativi, la famiglia,
la chiesa, i mass media e la cultura popolare.
• Il consenso è un processo in continuo divenire,
frutto di un patteggiamento e non un
indottrinamento guidato.
Potere ed egemonia
• “il potere, chiaramente, è qualcosa di infinitamente
complesso e contraddittorio, non è mai condensato
in un unico luogo, circola dappertutto, è diffuso
lungo tutto il tessuto sociale.
• Come ci ha insegnato Gramsci, un potere che sia
capace di inquadrare la società all’interno di un
nuovo progetto storico deve operare
egemonicamente, deve necessariamente
intrecciare i modi di pensare, i media, la cultura, la
lingua, la filosofia, l’economia, la cultura popolare,
la Chiesa ecc.” (Hall, Mellino, 2007, p.41)
Cultura popolare
ed egemonia
• La cultura popolare viene intesa come il campo
di battaglia su cui i punti di vista dominanti si
assicurano la propria egemonia: “un campo di
battaglia permanente, i cui parametri sono definiti
solo parzialmente dalle condizioni economiche;
[…] al fine di raggiungere la leadership culturale il
gruppo
dominante
deve
impegnarsi
in
negoziazioni con i gruppi, le classi e valori in
opposizione - e queste negoziazioni devono dar
luogo a mediazioni autentiche” (Turner 1990)
Gramsci nei Cultural Studies
• I CS ritrovano in Gramsci la possibilità di appoggiarsi ad
un marxismo non determinista e non economicista,
attento al ruolo di istituzioni popolari come la chiesa e a
quello degli intellettuali,
• capace di tematizzare la cultura come il campo di lotte
per l'egemonia fra le classi.
• Una prospettiva insomma che riesce a vedere come le
classi subalterne siano contemporaneamente influenzate
da quelle superiori ma anche capaci di resistere a questa
influenza, e come la cultura sia un campo di orientamenti
in divenire costante, dove al venir meno di certe
"sottoculture" (come quella della classe operaia)
corrisponde il sorgere di altre (come quelle giovanili)
La resistenza e l’inglobamento
• “L’egemonia non esiste in maniera passiva come
forma di dominio. Deve essere costantemente
rinnovata, ricreata, difesa e modificata” (Williams
1977).
• “La cultura popolare non è la cultura imposta dai
teorici della cultura di massa, né un emergere dal
basso, spontaneo di una qualche cultura di
opposizione […] Piuttosto è un terreno di
scambio delle due forze: un terreno […] marcato
dalla resistenza e dall’inglobamento”. (Storey
1993, in Grandi 1999)
Il potere: Foucault
• L’idea di egemonia non come data a priori dall’alto,
ma come terreno di scontro
• è vicina al concetto di “potere” di Michel Foucault.
• Non esiste un potere unico, dall’alto, ma reti di
rapporti di potere.
• “come sarebbe indubbiamente facile smantellare il
potere, se esso si limitasse a sorvegliare, spiare,
sorprendere, proibire e punire. Ma esso incita,
suscita, produce; non è semplicemente occhio e
orecchio, ma fa agire e parlare” (La vita degli
uomini infami, in Archivio Foucault pag. 259)
Il potere: Foucault
• Il dominio è stabile e violento.
• Il potere è fluido e ribaltabile.
• Le azioni degli uomini avvengono all’interno di una
rete di poteri e sono esse stesse un modo per
ribaltare i rapporti e crearne di nuovi.
• Il discorso è il luogo dell’articolazione produttiva del
potere e del sapere.
Il discorso: Foucault
• Per Foucault il discorso è un insieme di
performance verbali, di sequenze di enunciati
cui si possono attribuire delle particolari
modalità di esistenza.
• “così concepito il discorso non è la
manifestazione, maestosamente sviluppata di
un soggetto che pensa, conosce e dice: si
tratta, invece, di un insieme in cui si possono
determinare la dispersione del soggetto e la
sua discontinuità con se stesso”
(L’archeologia del sapere 1971).
I discorsi del potere
• “L’analisi del discorso […] può divenire il mezzo
attraverso il quale le posizioni ideologiche dei
singoli si mostrano e si inseriscono in un contesto
sociale, favorendo l’analisi del modo in cui il
multiforme uso del linguaggio si interseca con il
potere”.
• Seguendo Foucault le “relazioni di potere sono
mantenute dall’infinita catena di espressioni che
“mobilitano” significati nel mondo sociale; […] al
modo in cui la storia è prodotta e la società si
riproduce” (Bianchi, Demaria, Nergaard, 2002, 16)
Un terreno di scontro
• “L’ideologia è così divenuta non solo una ‘forza
materiale’ – reale perché è ‘reale’ nei suoi effetti –
• ma anche un terreno di scontro (tra definizioni in
concorrenza) una scommessa – un premio da
vincere – nella attuazione di particolari strategie di
lotta” (Hall 1982)
Le parole chiave dell’approccio
strutturalista
La funzione
politica della
cultura
L’ideologia e
l’egemonia
Il discorso come luogo
dell’articolazione del potere
La cultura popolare
come campo di battaglia
La dimensione
ideologica dei media
I testi mediali
come segni
Stuart Hall e l’ideologia nei media
• Con la direzione di Hall del CCCS dal 1968 al
1979, i Cultural studies si arricchiscono del
contributo della filosofia post-strutturalista e
della psicanalisi post- freudiana, dell’approccio
semiotico e dell’antropologia strutturale
• contemporaneamente ad una nuova
interpretazione del concetto marxista di
ideologia.
• La cultura, e in particolare i testi mediali,
vengono letti come campo di confronto per la
definizione dei significati e analizzati in termini di
effetti dell’ideologia.
L’ideologia nei media e gli effetti
di realtà
• La presenza dell'ideologia nei mass media ha come
effetto il suo eclissarsi all'interno di messaggi che
appaiono come naturali descrizioni della realtà:
• 'Vero' significa credibile, o almeno capace di conquistare
credibilità in quanto affermazione basata su fatti
• Hall parla, in questo caso, di "effetto di realtà“ da cui
derivano alcune conseguenze:
• la "naturalizzazione" delle rappresentazioni ideologiche
del mondo, la polisemicità del linguaggio e il processo di
significazione inteso come risultato di un conflitto non
riducibile alla lotta di classe, in quanto le forme culturali
sono considerate relativamente autonome dalle
condizioni economiche.
Gli effetti dell’ideologia
• Secondo Hall, l’attività ideologica si
presenta come la possibilità dei mass media
di definire la linea di demarcazione
• “tra spiegazioni preferite ed escluse,
• tra comportamenti ammessi e devianti,
• tra ‘ciò che è privo di senso’ e ‘ciò che è
pieno di senso’
• tra pratiche, significati e valori integrati e di
opposizione” (Hall 1979)
L’egemonia e i media
• I mass media non definiscono di per sé la
realtà, ma danno spazio alle definizioni dei
detentori del potere.
• I media agiscono per il mantenimento del
potere non attraverso “la trasmissione
diretta di istruzioni[…] ma grazie alla messa
in forma dell’intero ambiente ideologico, un
modo di rappresentare l’ordine delle cose
[…]” (Hall 1982)
L’egemonia e i media
• Il ruolo “consensuale” dei media non è più
individuato nel loro riflettere un consenso già
presente a livello sociale, ma nel partecipare alla
costruzione stessa di tale consenso che si articola
“liberamente” attorno a definizioni della situazione
interne alla “cornice di ciò su cui ciascuno
concorda”.(Hall 1982)
Il processo di comunicazione
Programma come
discorso “significato”
Codifica
Decodifica
Strutture di significato 1
Strutture di significato 2
Quadri di conoscenza
Quadri di conoscenza
Relazioni di produzione
Relazioni di produzione
Infrastrutture tecniche
Infrastrutture tecniche
Il processo di comunicazione
• Il processo comunicativo può essere, a grandi
linee, spiegato in questo senso:
• alle strutture istituzionali televisive “con le loro
pratiche e network produttivi, relazioni
organizzate e infrastrutture tecniche, è
richiesto di produrre un programma”.
• “La produzione, in questo contesto, costruisce
il messaggio. Da un certo punto di vista,
quindi, il circuito comincia qui” (Hall, Televisioni pag. 69)
La forma discorsiva
• Un evento grezzo “non può essere trasmesso nella
sua forma originaria da un notiziario televisivo. Gli
eventi possono essere comunicati solo dentro le
forme audiovisive del discorso televisivo”.
• Le strutture televisive devono produrre messaggi
codificati, nella forma di un discorso dotato di
senso” (Hall, Tele-visioni pag. 69-70)
La forma discorsiva
nel processo comunicativo
• “Il processo produttivo ha un suo aspetto
“discorsivo” in quanto è, a sua volta inserito
in una struttura di significati e di idee”
• “è nella forma discorsiva che avviene sia la
circolazione del prodotto che la sua
distribuzione a diversi tipi di pubblico”
• “affinché il circuito sia completo ed efficace,
il discorso una volta realizzato, deve essere
tradotto – cioè nuovamente trasformato – in
pratiche sociali” (Hall, Tele-visioni pag. 6870)
La mancanza di equivalenza
• “i codici di codifica e decodifica possono non
essere perfettamente simmetrici.
• Il grado di simmetria – cioè i gradi di
“comprensione” e di “fraintendimento” nello
scambio comunicativo – dipende dal livello
di simmetria/asimmetria (relazioni di
equivalenza) stabilitosi tra le posizioni delle
“personificazioni”, codificatore-produttore e
decodificatore-ricettore”
• Lo squilibrio può dipendere da differenze
strutturali (di relazione e posizione) o da
differenze di codici. (Hall, Tele-visioni pag.
72)
Denotazione e connotazione
• Il termine “denotazione” indica il significato
letterale del testo: “poiché questo significato
letterale è riconosciuto in maniera quasi
universale […] la “denotazione” è stata
spesso confusa con una trascrizione
letterale della “realtà” nel linguaggio, e
quindi con un “segno naturale”, prodotto
senza l’intervento di un codice”
• “La “connotazione” è utilizzata per indicare
significati associativi meno fissi e quindi più
convenzionali e trasformabili” (Hall, Televisioni pag. 75)
Il maglione
L’ideologia nel discorso
• Nel discorso i segni mescolano sia gli aspetti
denotativi che connotativi.
• “I segni sembrano acquisire il loro pieno valore
ideologico, ovvero sembrano aprirsi all’articolazione
con discorsi e significati più ampi,
• al livello dei significati “associativi” (cioè al livello
connotativo),
• perché qui i “significati” apparentemente non sono
fissati dalla percezione naturale (cioè non sono
completamente naturalizzati) e la fluidità di
significati e di associazioni può essere sfruttata e
trasformata più pienamente”.
• “A questo livello, possiamo vedere più chiaramente
l’intervento attivo delle ideologie nel discorso e su di
esso” (Hall, Tele-visioni pag. 75-76)
L’ideologia nei media
• La polisemia del segno connotativo non
deve essere scambiata per pluralismo.
• I significati connotativi non sono tutti uguali
tra loro. “qualunque società/cultura tende,
con diversi livelli di chiusura, ad imporre le
sue classificazioni del mondo sociale e
culturale e politico.
• Queste costituiscono un ordine culturale
dominante, che tuttavia non è né univoco né
incontrastato”. (Hall, Tele-visioni pag. 77)
L’ideologia nei media
• Qualunque società (struttura produttiva)
tende ad imporre le proprie “mappe di
significato” e a comporre la dimensione
connotativa in un “ordine culturale
dominante”
• I significati dominanti/preferiti non sono né
univoci, né incontrastati. Tuttavia, all’interno
del processo comunicativo, sono
perfettamente riconoscibili alcune “regole
performative” che cercano attivamente di
“imporre” o “promuovere” una mappa di
significato, o di rendere compatibili elementi
differenti all’interno della mappe dominanti.
La comunicazione
sistematicamente distorta
• “Dal momento che non esiste alcuna
corrispondenza necessaria fra la codifica e
la decodifica, la prima può cercare di
“indirizzare”, ma non può prescrivere o
garantire la seconda, che ha le sue proprie
condizioni di esistenza”
• L’ipotesi Encoding/Decoding è formulata a
partire dal fatto che non esistendo una
“corrispondenza necessaria” occorre
costruire una teoria della “comunicazione
sistematicamente distorta”
Codice professionale e
codice dominante
• “la produzione dei media di massa ricopre […] la funzione
di provvedere al mantenimento dell’ordine sociale
egemonico, legittimando le definizioni sociali esistenti […]
attraverso un processo di codifica che investe i prodotti
massmediatici di una lettura preferita”.
• Il professionista dei media, dunque, codifica un
messaggio che è già stato dotato di senso in modo
egemonico.
• “il codice professionale è “relativamente indipendente” dal
codice dominante, perché applica modifiche e criteri
propri, soprattutto di natura tecnico-pratica. Il codice
professionale, comunque, opera dentro l’ “egemonia” del
codice dominante”. (Hall, Tele-visioni, pag.81)
Stuart Hall: Encoding and decoding
in television discourse (1980)
• Se l’attività di codifica consiste dunque nel definire i
limiti e i parametri che racchiudono la libertà del
processo di decodifica
• dalla relazione tra lettore e questi limiti discendono
tre differenti modalità di decodifica :
la posizione dominante egemonica (lettura preferita)
• la posizione negoziata
• la posizione “di opposizione”
La lettura preferita
• Si attua una lettura “preferita” quando il
telespettatore “prende il significato connotato
da, diciamo, un telegiornale o una rubrica di
attualità direttamente e nella sua interezza e
decodifica il messaggio nei termini del codice
attraverso il quale è stato codificato” (Hall
1980)
 Il telespettatore opera all’interno del codice
dominante/egemonico mediato
professionalmente.
Le definizioni dominanti
• Le definizioni dominanti collegano implicitamente o
esplicitamente gli eventi con le grandi
generalizzazioni …
• Propongono “vedute ampie”.
• “la definizione di un punto di vista egemonico è
• A) che definisca, entro i propri termini, l’orizzonte
mentale o l’universo dei significati possibili, di un
intero settore di relazioni in una società o cultura e
• B) che abbia il crisma della legittimità, che sembri in
sintonia con ciò che è “naturale”, “inevitabile” e
“scontato” sull’ordine sociale”. (Hall, Tele-visioni,
pag.83)
Modello Encoding/Decoding
• L’uso del codice negoziato sottende un
atteggiamento duplice:
“accordare la posizione privilegiata alle
definizioni dominanti degli eventi, pur
riservando il diritto di attuarne un uso più
negoziato legato a condizioni locali” (Hall
1980)
La posizione negoziata



L’uso del codice negoziato sottende una
combinazione di elementi adattivi e
opposizionali:
lo spettatore è in grado di rintracciare la
definizione egemonica e pur riconoscendone la
legittimità nel contesto istituzionale opera la
decodifica attraverso una “versione negoziata”,
legata a “logiche particolari o situate”
Questo è l’ambito che professionalmente può
essere considerato in termini di “insuccesso
comunicativo” o di distorsione della
comunicazione.
La posizione di opposizione
• Nella posizione di opposizione il telespettatore
comprende la lettura preferita costruita e
proposta, ma ridefinisce “il messaggio all’interno di
una qualche cornice di riferimento alternativa”
• Nel caso precedente avevamo fenomeni di
distorsione della comunicazione, mentre qui non
si crea distorsione, ma si attiva la volontà di porre
in rilievo le contraddizioni che una lettura contro le
regole del codice egemonico comporta. (Hall
1980)
La decodifica differenziale
• Il processo di decoding avviene in maniera
differenziata:
• il conflitto culturale riguarda gruppi che si
identificano in, e attraverso, particolari pratiche
sociali e gruppi dominanti che tendono ad un
loro inglobamento.
• Il conflitto viene letto non più tra classe
egemone e classi subalterne
• ma come conflitto centrato su variabili come il
gender, l’età, la razza, le preferenze sessuali.
La mappa culturale dell’audience
David Morley
“Cultural Transformations: the politics
of resistance” in H. Davis, P. Wilson,
Language, image, Media, 1983
Dalla comunità all’audience
• La ricca ricerca sviluppata all’interno del
CCCS negli anni ’70 e ’80 è
emblematicamente rappresentata dallo
studio di David Morley, “The Nationwide”
Audience.
• È uno dei primi studi etnografici a
concentrarsi non più su una comunità
(intesa in senso locale e di classe) ma su
un’audience (definita come gruppo di
spettatori o lettori).
La struttura dell’audience: la
decodifica nel contesto culturale
• “Dovremmo utilmente pensare all’audience dei
media non tanto come una massa indifferenziata di
individui
• ma come una complessa struttura di individui
socialmente organizzati in un numero indefinito di
sottogruppi e subculture,
• ciascuna delle quali ha la sua storia e le sue
tradizioni culturali” (Morley, 1983)
L’orientamento culturale delle
audience
• La competenza culturale delle audience non è
automaticamente determinata o generata dalla
posizione sociale dei soggetti.
• “I singoli membri [delle subculture e dei gruppi]
condivideranno un orientamento culturale verso una
decodifica dei messaggi secondo differenti modalità.
• Le singole letture dei soggetti saranno incorniciate
(framed) dalle formazioni e dalle pratiche culturali.
• Questi orientamenti condivisi saranno a loro volta
determinati dalla posizione oggettiva del singolo
lettore nella struttura sociale” (Morley 1983)
Contro il rischio di convertire le
categorie sociali in significati
• Nella teoria sociologica di Parkin, si rileva la tendenza a
convertire direttamente le categorie sociali (per es. la
classe) in significati (per es. le posizioni ideologiche).
• in questa ipotesi, le strutture di classe rappresentano la
base di differenti sistemi di significato:
• “è semplicemente inadeguata l’idea di presentare i fattori
demografici e sociali, come l’età, il sesso, la razza o la
posizione sociale, come oggettivamente correlati o
determinanti diverse posizioni di decodifica, senza alcun
tentativo di specificare come essi intervengono nel
processo di comunicazione.
• […] questi fattori possono avere effetto solo attraverso
l’azione (possibilmente contraddittoria) dei discorsi nei
quali sono articolati” (Morley, 1983).
Non solo analisi del testo
• Secondo Morley, “il significato prodotto dall’incontro tra
testo e soggetto non può essere letto una volta per tutte
a partire dalle caratteristiche del testo stesso.
• Il testo non può essere considerato come isolato dalle
sue storiche condizioni di produzione e di consumo.
• Un’analisi dell’ideologia dei media non può risolversi
nella sola analisi della produzione e del testo.” (Morley
1983)
Il significato nei discorsi del testo
e delle audience
• “Il significato del testo verrà costruito
differentemente sulla base dei discorsi
(conoscenze, pregiudizi, resistenze) messi in gioco
dal lettore, e il fattore cruciale nell’incontro tra
soggetto e testo sarà il range di discorsi a
disposizione dell’audience” (Morley 1983)
Il modello encoding decoding in
Morley
• Nella codifica i broadcaster mirano a stabilire una
relazione di complicità con le audience.
• L’obiettivo è quello di “raggiungere l’identificazione
con le audience attraverso meccanismi che
conquistino la complicità delle audience e
suggeriscano letture preferite” (Morley 1983)
The Nationwide audience: il
metodo
• La ricerca aveva l’obiettivo di fornire un’analisi delle
forme discorsive del programma e di scoprire quali
segmenti di audience decodificavano in linea con i
codici preferiti/dominanti, e quali, invece, si
muovevano su letture negoziate o oppositive.
• Due puntate videoregistrate del programma furono
presentate a 29 gruppi (composti da 5-10 soggetti),
selezionati all’interno di diversi ambienti sociali e
culturali e diversi livelli del sistema educativo.
• I gruppi erano composti da: giovani apprendisti
ingegneri e metallurgici, sindacalisti, commessi e
studenti di colore.
The Nationwide audience: il
metodo
• La discussione, avviata dopo la visione del
programma, aveva la durata di circa 40
minuti e veniva registrata per poter essere
trascritta successivamente ed utilizzata per
l’analisi.
• La metodologia era l’intervista focalizzata.
• La prima parte dell’intervista, non direttiva,
aveva l’obiettivo di stabilire un “working
vocabulary” e una cornice interpretativa di
riferimento dei gruppi, e l’ordine di priorità
attribuito dai gruppi stessi ai temi in oggetto.
Il sistema lessico-referenziale dei
gruppi
• L’obiettivo del lavoro era quello di identificare la
natura dei sistemi “lessico-referenziali” dei
gruppi e indagare come questi si correlassero
con quelli usati dai broadcaster. I quesiti
dell’indagine:
• Le audience usano le stesse parole, negli stessi
modi dei broadcaster nel discutere i temi del
programma?
• I gruppi attribuiscono ai temi lo stesso ordine di
priorità presentato nel discorso televisivo?
• Dalla discussione emergono temi non discussi
dal programma, specificamente menzionati dai
gruppi?
Codici e repertori culturali
• “the question is which cultural repertoires and codes
are available to which groups, and how do they
utilize these symbolic resources in their attempt to
make sense of messages coming from the media?”
(Morley 1983)
Gli apprendisti e la lettura
dominante
• Il gruppo più vicino ai codici dominanti era quello
degli apprendisti.
• Sebbene il tono dominante delle risposte del
gruppo fosse di cinismo o resistenza (“damn all
politicians – they’re all as bad as each other”)
• essi tendevano ad accettare la prospettiva
offerta da e attraverso il programma.
• l’interpretazione di senso comune (“common
sense”) offerta dal programma era la stessa del
gruppo che riteneva i temi di Nationwide
“naturali”, ovvi e non problematici.
I sindacalisti e la lettura
negoziata
• All’interno di questo gruppo venivano prodotte letture
negoziate o oppositive: la risposta non era frutto della
posizione di classe “ but rather the result of differential
involvement and positioning in discourse formation”
(Morley 1983).
• In generale i sindacalisti erano spettatori regolari di
Nationwide e approvavano i temi e i modi del
programma, identificandosi nel “we” del programma
stesso (“it seems to be a programme acceptable to the
vast majority of people”)
• Sui temi più concreti, locali – per esempio quelli
riguardanti la posizione del sindacato – emergevano,
tuttavia, letture oppositive o negoziate.
I commessi e la lettura oppositiva
• Furono i commessi ad offrire spontaneamente la
lettura oppositiva più articolata e radicale.
• Essi rifiutavano il tentativo del programma di
costruire un “noi” nazionale, coerentemente con
quanto fatto da altri media e programmi.
Gli studenti di colore e la critica
del silenzio
• Questo gruppo era completamente distante dal
discorso di Nationwide (noioso e affatto
interessante).
• I temi e la cornice culturale del programma non
erano i loro temi e la loro cornice.
• Essi chiaramente indicavano che quello non era
un programma per loro, ma per “older people,
middle-class people”.
• Non rientrava nei loro interessi (“why didn’t they
never interview Bob Marley?”).
• La distanza dal programma era il riflesso di una
distanza marcata dalla “tv seria” e dalla politica.
Una mappa culturale delle
audience
• È possibile dire che tutti i gruppi coinvolti
condividevano, al loro interno, una comune
posizione di classe, ma le loro decodifiche del
programma erano orientate differentemente
sulla base dei discorsi e delle istituzioni in cui
erano inserite.
• “Per capire i significati potenziali di un
messaggio dato abbiamo bisogno di una mappa
culturale dell’audience alla quale il messaggio si
rivolge – una mappa che mostri i differenti
repertori culturali e le risorse simboliche
disponibili a sottogruppi posizionati
differentemente all’interno dell’audience” (Morley
1983).
“Una valida, anche se limitata, protesta”
Janice Radway: Reading the romance 1987
Movimento femminista e ricerca
femminista
• Dal punto di vista storico è possibile distinguere
due diverse ondate del movimento femminista:
• la prima (seconda metà del XIX secolo) si
caratterizza per un movimento politico, liberale
per la partecipazione politica paritaria (diritto di
voto, accesso alle cariche pubbliche, accesso a
livelli di studio superiori etc);
• la seconda (a partire dagli anni ’60) si poneva
l’obiettivo di tradurre nella pratica sociale i diritti
conquistati dai primi movimenti femministi.
Obiettivi del movimento
femminista
• È nella vita quotidiana che diventa manifesta
l’azione duratura dei rapporti sessuali e dei
rapporti di potere, sia nella sfera privata che nel
pubblico.
• L’obiettivo è, quindi, quello di arrivare
all’affermazione delle donne in tutti i settori in cui
erano in posizione marginale e prendere, al
contempo, coscienza delle gerarchie sessiste
all’interno della società, che mantengono le
donne intrappolate entro i ruoli (e i discorsi) del
sistema patriarcale.
Il femminismo e l’accademia
• Sulla scorta delle riflessioni teoriche di Foucault
(analisi del discorso) e di Lacan (psicanalisi) sul
soggetto, il movimento accademico “ha
contribuito in maniera fondamentale a evitare
che la differenza sessuale fosse ritenuta
determinata dalla natura, bensì scaturente
all’interno di processi psichici e corsi storici
specifici, e che quindi i ruoli assegnati alle
donne, come agli uomini, siano determinati
culturalmente e dunque non determinabili
biologicamente” (Lutter, Reisenleitner 2002)
La ricerca femminista e i cultural
studies
• Partendo, come gran parte degli studi culturologici,
dall’idea di classe, i primi studi femministi in seno ai
Cultural Studies (Women’s Studies Group del CCCS), si
concentrarono sulla condizione della donne e delle
giovani appartenenti alla classe operaia, in ambito
familiare, scolastico, lavorativo e del tempo libero.
• Queste donne erano considerate come soggetti in
posizione subordinata, dal punto di vista sociale e
sessuale, ma in grado di conquistare spazi per lo
sviluppo di pratiche autonome, di autodeterminazione
oltre che di opposizione.
• Coerentemente con l’approccio di Fiske, le studiose
femministe ritengono che i gruppi subordinati utilizzino i
media “for pleasure”, ed è questo piacere che consente
l’identificazione di gruppo, classe o gender.
Il significato della lettura e il
significato del testo
• Osservando il fenomeno della lettura di un
romanzo, secondo la Radway è possibile
distinguere analiticamente tra il significato
dell’azione (del leggere) e il significato del testo
letto.
Leggere: un’attività combattiva e
compensatoria
• L’analisi etnografica condotta su un gruppo di
donne che leggevano storie sentimentali ha
mostrato che la lettura è un’attività
• combattiva, nel senso che leggere consente
alle donne di rifiutare temporaneamente la
propria posizione all’interno della famiglia, e le
richieste costanti della famiglia stessa, per fare
qualcosa per il proprio piacere personale.
• compensatoria, in quanto la lettura risponde a
bisogni femminili non riconosciuti all’interno
della famiglia, dove la donna è vista come una
risorsa pubblica a disposizione delle esigenze
familiari.
Un rituale collettivamente
elaborato
• “La lettura e la scrittura di storie sentimentali
potrebbe essere vista come un rituale
femminile collettivamente elaborato, attraverso
il quale le donne esplorano le conseguenze
della loro comune posizione sociale, come
appendice degli uomini, e provano ad
immaginare una situazione migliore in cui tutti i
bisogni, sentiti così intensamente e accettati
come tali, possano essere adeguatamente
soddisfatti” (Janice Radway 1987)
Il bisogno nel reale e nel
fantastico
• Se la lettura rappresenta, dunque, una tacita
ricognizione sul fatto che l’attuale posizione
della donna all’interno del sistema patriarcale
non sia soddisfacente in termini di benessere
emotivo
• è pur vero che la lettura non fa niente per
cambiare questa situazione.
• La lettura, cioè, può sviare il bisogno/desiderio
di chiedere soddisfazione nel mondo reale, dal
momento che tale soddisfazione viene trovata
nel mondo della fantasia.
Una comunità separata
• Sebbene scrivere e leggere romanzi
sentimentali aiuti a creare una sorta di comunità
femminile,
• questa comunità è mediata dalla distanza che
caratterizza l’organizzazione capitalista e la
produzione di massa delle storie.
• Poiché la lettura di un libro è un atto privato,
isolato,
• le donne “non si trovano mai insieme a
condividere l’esperienza di una immaginazione
oppositiva o, cosa ancora più importante,
l’insoddisfazione che, in primo luogo, da origine
al loro bisogno del romanzo sentimentale”
(Radway 1987)
Una dichiarazione di
indipendenza
• Quando l’atto di leggere storie romantiche è visto come
tale da chi legge, può essere considerato un’attività di
tenue protesta e attesa per un cambiamento
dell’istituzione patriarcale, incapace di soddisfare i
bisogni emotivi delle donne.
• Leggere funziona come atto di riconoscimento e
contestazione, per mezzo del quale il fallimento
dell’istituzione patriarcale è prima ammesso e, poi,
rovesciato.
• Reading is “a declaration of independence”,
“This is my time, my space. Now leave me
alone”
… ma anche una protesta
disarmata
• Tuttavia,osservando la lettura di storie
romantiche dal punto di vista del femminismo,
cui piacerebbe vedere l’impulso oppositivo
tradotto in cambiamenti reali, questa attività può
essere vista come potenzialmente disarmante.
• Questo in quanto la lettura può supplire
vicariamente a bisogni reali, che potrebbero
altrimenti essere formulati come istanze e
richieste nel mondo reale, spingendo per un
cambiamento delle relazioni tra i sessi.
Consapevolezza della storia e di
sé
• Il discorso narrativo del romanzo
sentimentale è strutturato in modo da
essere piegato dalle più familiari strategie
della lettrice, in termini di inferenze sempre
immediatamente confermate.
• D’altra parte, mentre la lettrice ricostruisce
la storia essa non solo percepisce ciò che
verrà dopo, ma riconosce anche la sua
capacità di attribuire senso al testo e alle
azioni umane.
L’inganno del romanzo
• Tuttavia, il mondo finzionale ricostruito dalla
lettrice, se riconosce la capacità e il potere
delle donne che lo interpretano, allo stesso
tempo ne rinforza le tradizionali limitazioni,
validando il dominio dei temi domestici e
delle relazioni personali (rappresentati nel
romanzo) nella loro vita.
• “La lettrice si trova coinvolta in un processo
che rafforza il senso delle proprie capacità
e, contemporaneamente, crea un simulacro
del suo limitato mondo sociale all’interno di
una più glamourosa fiction” (Radway 1987)
Dentro al romanzo
• Osservando il consapevole coinvolgimento delle lettrici
nel romanzo, appare evidente che esse credono di
essere coinvolte in una storia in cui il trionfo della donna
corrisponde alla trasformazione di un inadeguato
corteggiatore in un “protettore del perfetto amore”.
• La ricostruzione del senso del romanzo porta, quindi, le
lettrici a:
• In primo luogo, protestare, in modo vicario, contro
l’incapacità iniziale dell’uomo a comprendere una donna
• In secondo luogo, acquisire il dominio della propria
paura nei confronti della violenza fisica da parte
dell’uomo.
• Infine, esprimere la propria opposizione nei confronti dei
valori del capitalismo, attraverso la capacità dell’eroina di
portar via l’eroe da un mondo di denaro e status verso la
supremazia dei suoi valori (femminili).
La lettura come catarsi
• Sebbene, dunque, la storia consenta, in
principio, alla lettrice di indulgere nella rabbia nei
confronti dell’uomo, tale rabbia appare alla fine
ingiustificata nei confronti di un uomo, la cui
indifferenza o crudeltà si trasforma in sentimenti
d’amore.
• La lettura diventa, dunque, catartica perché
consente di esprimere rabbia verso gli uomini
nell’immaginario e, allo stesso tempo,
suggerisce che questa rabbia non è giustificata,
in quanto dipende dall’incapacità
dell’eroina/donna di leggere correttamente un
uomo.
L’ideologia conservatrice del
romanzo romantico
• Pur sottolineando la linea di separazione tra sfera
pubblica, degli uomini, e sfera privata, delle donne, la
storia romantica continua a giustificare quella posizione
sociale delle donne, che da origine a quella
insoddisfazione, da cui nasce il desiderio di leggere il
romanzo stesso.
• Il romanzo è “un agente attivo nel mantenimento dello
status quo ideologico perché in definitiva esso riconcilia
le donne con la società patriarcale e le reintegra
all’interno delle sue istituzioni.
• [spostando tutto sul piano dell’immaginario, il romanzo
così] protegge la più importante arena della cultura da
una collettiva elaborazione al femminile della
insoddisfazione verso gli effetti della società patriarcale
sulla vita delle donne” (Radway 1987).
Il ruolo delle femministe
• “se le donne cominceranno a comprendere
che il loro bisogno dei romanzi è il prodotto
del loro status di dipendenza come donne e
della loro accettazione del matrimonio come
unica strada per la realizzazione femminile,
io penso che noi, come femministe,
dovremmo aiutare questo cambiamento,
imparando in primo luogo che la lettura del
romanzo nasce da una reale
insoddisfazione e racchiude in sé una
valida, anche se limitata, protesta” (Radway
1987)
Momenti di televisione:
nè testo nè audience
John Fiske 1989
In E. Seiter, H. Borchers, G. Kreutzner and E. –M Worth,
Remote control: television, audiences and cultural power
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 155
L’audience come moltitudine di differenze
• L’ “audience televisiva” non è una categoria sociale
come la classe, la razza o il genere – ognuno si
muove dentro o fuori di essa in modo da rendere
senza senso qualunque definizione categorica.
• Peraltro, le persone si autodefiniscono membri
dell’audience ogni volta in modo diverso e per
prodotti diversi.
• “Le categorie si basano sulle similarità: l’audience è
più vicina ad una moltitudine di differenze” (Fiske
1989).
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 156
Dal testo alla testualità
• Per riferirci al potenziale di costruzione di significato
della televisione è più opportuno riferirsi al concetto
di testualità che a quello di testo.
• La testualità segnala la potenzialità di significati
piuttosto che la loro concreta esistenza.
• La testualità del processo di produzione di senso e
di piacere si realizza quando la gente porta le
proprie differenti storie e soggettività nel processo
di visione della tv.
• Non c’è testo, non c’è audience, c’è solo il guardare
la tv .
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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L’eterogeneità sociale e la soggettività nomade
• Le società del tardo capitalismo “sono
caratterizzate dalla eterogeneità – una vasta
gamma mutevole di sottoculture e gruppi che sono
in definitiva strutturati dalle loro relazioni con il
sistema, che distribuisce il potere in modo ineguale
all’interno di esse” (Fiske 1989).
• Ogni persona, o spettatore televisivo, costruisce
una serie di alleanze mutevoli all’interno di questa
eterogeneità, entrando nel sistema sociale
attraverso formazioni sociali differentemente
costituite e mutevoli (la metafora della soggettività
nomade).
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 158
Soggettività e testualità
• Guardare la tv è un processo di produzione di
significati (meanings) e piaceri (pleasures)
determinato da due insiemi di forze: il sociale che
agisce sulla soggettività dello spettatore e il testuale
che opera sulla testualità della televisione.
• “Ogni spettatore può essere in diversi momenti
soggetto di una differente visione, in quanto
costituito dal suo determinante sociale, così come
differenti alleanze possono essere mobilitate per
differenti momenti di visione” (Fiske 1989).
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 159
The viewing subject
• “lo spettatore/soggetto che guarda, costituito
socialmente, può occupare diversi spazi, all'interno
del territorio determinato, sulla base delle alleanze
sociali adatte allo specifico momento di costruzione
del significato e di raggiungimento del piacere
nell'esperienza televisiva.
• Hall si riferisce ad un simile processo in termini di
'articolazione‘”
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 160
L’articolazione
• Hall usa il termine in entrambi i sensi,
• sia come discorso, cioè un sistema simbolico usato
per dare senso a sé stessi e all'esperienza,
• sia come connessione modulabile.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 161
Identità e articolazione
• “Uso “identità” per riferirmi al punto di incontro, al
punto di sutura tra i discorsi e le pratiche che
cercano di “interpellarci”, parlarci o richiamarci in un
contesto come soggetti di un particolare discorso
da una parte, e, dall’altra, i processi che producono
soggettività che ci costruiscono come soggetti di cui
si può “parlare”.
• Le identità sono quindi punti di approdo
temporaneo per le posizioni del soggetto, costruiti
per noi dalle pratiche discorsive.
• Sono il risultato di una ben riuscita articolazione o
“concatenazione” del soggetto nel flusso del
discorso” (Hall 1996, tr. it. p.136)
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 162
L’interpellazione
• Per illustrare come il potere dell’ideologia formi i
soggetti, Althusser si riferisce all’esempio della
voce divina che dà il nome, e nominando, porta i
soggetti all’esistenza. L’interpellazione sociale può
essere letta come l’atto divino performativo.
• “l’autorità della “voce” dell’ideologia, la “voce”
dell’interpellazione, è immaginata come una voce
che è quasi impossibile rifiutare” (Butler1997, tr. it.
P105)
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Il piacere popolare
• Trarre senso dalla televisione popolare è allora il
processo di attivazione di significati a partire da
essa, e questa dinamica è controllata dallo
spettatore socialmente situato all'interno di confini
più o meno determinati.
• Il testo sarà una fonte di piacere popolare, quando
questi significati diventeranno parte di quel
processo culturale più ampio attraverso il quale il
soggetto dà senso alla propria esistenza materiale.
• Dunque l'esperienza sociale è come un testo: può
essere resa significativa solo quando un soggetto
sociale porta le proprie competenze discorsive a
relazionarsi con essa.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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L’intertestualità
• L'esperienza sociale è come l'intertestualità.
• E' un considerevole potenziale di interconnessioni tra
elementi che possono essere combinati in un'
imprevedibile quantità di modi. Ogni sistema sociale ha
bisogno di un sistema di significati sul quale sorreggersi,
e tali significati sono determinati solo in parte dal sistema
stesso.
• Questa determinazione concede a differenti soggetti uno
spazio adeguato per creare differenti significati, sebbene
i soggetti stessi possano usare, nel processo di
costruzione del senso, un repertorio discorsivo condiviso
• Il soggetto non è completamente assoggettato - il senso
che traiamo dalle nostre relazioni sociali è in parte sotto
il nostro controllo- e trarre senso dall'esperienza sociale
necessariamente implica il dare senso a noi stessi
all'interno di quella esperienza
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Guardare la tv:un’esperienza semiotica
• Dare senso all’esperienza sociale è un processo
quasi identico al dare senso a un testo.
• Quello che la televisione consegna non sono
programmi ma un’esperienza semiotica. Questa
esperienza è caratterizzata dalla sua apertura e
polisemia.
• La televisione non è affatto simile a un kit fai da te
di significati, né è una scatola di significati pronti per
la vendita.
• Sebbene lavori sulle determinazioni culturali, essa
offre anche libertà e potere per evadere o sfidare
queste limitazioni e forme di controllo.
• Tutti i testi sono polisemici, ma la polisemia è
assolutamente centrale per la testualità televisiva.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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A cultural commodity
• La televisione è una merce/prodotto culturale che opera all’interno di
un’economia capitalista determinata.
• È possibile distinguere tra una economia finanziaria, all’interno della
quale circolano le risorse economiche e un’economia culturale,
all’interno della quale circolano significati e piaceri.
• Nella economia finanziaria la televisione è programmi e pubblicità,
non testualità.
• Un programma è una merce prodotta e poi venduta ai distributori.
Nella distribuzione il suo ruolo cambia e diventa, non più quello di
merce, ma di produttore.
• E ciò che produce è una nuova merce, l’audience che viene poi, a
sua volta, venduta come merce ai pubblicitari
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 167
A cultural commodity
• Ma nell'economia culturale l'audience rifiuta il suo
ruolo di merce e diventa un produttore, un
produttore di significati e piaceri,
• e in questo momento cessa di essere un' 'audience'
e si trasforma nelle diverse materializzazioni del
processo che chiamiamo 'guardare la televisione'
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Il capitale culturale popolare
• La differenza fondamentale tra la merce televisiva e e altri beni
materiali che circolano nel mercato è la considerevole libertà vinta
dallo spettatore nel passaggio da consumatore nella economia
finanziaria a produttore nell’economia culturale.
• Significati e piaceri non possono essere posseduti, comprati o
venduti.
• Rispetto all’idea di Bourdieu di capitale culturale nelle mani della
borghesia (sia in termini di economia finanziaria che culturale), è
necessario aggiungere quella di capitale culturale popolare che
tiene sotto pressione la cultura borghese.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 169
Alcuni esempi di capitale culturale popolare
• Le donne che vedevano Crossroads, studiate dalla Hobson, avevano
fatto proprio il programma, e lo avevano costituito come proprio
capitale culturale.
• Solo ragionando sull’abilità ad essere produttori della propria cultura,
dei propri significati e piaceri è possibile comprendere la scelta degli
aborigeni australiani di vedere film western.
• Allo stesso modo gli spettatori arabi di Dallas “riscrivono” il testo nelle
loro conversazioni per adattarlo al proprio capitale culturale.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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I limiti interpretativi dell’economia politica
• Il modello dell’economia politica, che si basa sulla
separazione tra economia culturale e finanziaria (cui
attribuisce grande potere di determinazione), non può
concepire le audience televisive come socialmente differenti e
capaci di produrre differenti significati e piaceri dalla stessa
merce.
• Non può concepire la merce culturale come un testo che
richiede lettura. Non può concepire il testo come un campo di
battaglia per il potere di attribuire senso.
• Non può concepire che ciò che determina significati e piaceri
di un testo è la situazione sociale dello spettatore, non gli
interessi dei produttori e i loro ideologici investimenti nel
capitalismo.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Cercasi audience disperatamente
• Le emittenti hanno costante necessità di conoscere
quali pubblici sono “alla loro portata”.
• Per le routine produttive e per la sopravvivenza
organizzativa di un mezzo è necessario poter
contare su un pubblico, definibile come “corpo fisico
di spettatori assidui ed identificabili” (Ien Ang)
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Difficoltà nella definizione delle audience
• “ Quando si raggruppano meccanismi di risposta individuale
[…] necessariamente si devono restringere, se non addirittura
eliminare, le condizioni contestuali esterne e puntuali che
potrebbero delucidare la prospettiva di ciascun individuo.
Aggregare è un processo di totalizzazione che pone in
secondo piano la riflessione sul modo in cui i contesti puntuali
e le risposte individuali contribuiscono a formare un’immagine
più completa della situazione in esame” (Ien Ang)
Perchè studiare i media?
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Pagina 173
Difficoltà nella definizione delle audience
• Se è vero che le cifre delle statistiche forniscono
stime sull’ampiezza dell’audience, compensandone
la mancanza di visibilità immediata,
• È anche vero che “concepire l’audience televisiva
come collettività classificabile significa negare il
disordinato mondo sociale delle audience effettive”
(Ien Ang)
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Le rilevazioni audiometriche
• Consentono agli operatori di poter contare su numeri,
percentuali che fotografano con immediatezza le dimensioni
della platea e ne delineano le scelte di consumo.
• Questi strumenti offrono agli operatori la certezza illusoria di
avere il polso della situazione, celando, dietro la forza
convincente dei numeri, l’insicurezza derivante da
comportamenti di consumo sempre meno spiegabili e
giustificabili quantitativamente.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 175
Osservare per controllare?
• Riprendendo il discorso di Foucault sul Panopticon, che entra
in funzione “ogniqualvolta l’imperativo è quello di collocare gli
individui o le popolazioni entro una griglia in cui possono
essere resi produttivi e osservabili”
• Ien Ang spiega lo sviluppo delle pratiche di rilevazione sulle
audience e ne segnala le forti debolezze implicite:
• la natura del consumatore, non essendo la stessa indirizzabile
nel comportamento, come prevede, invece, il panopticon, è
l’elemento che fa sì che l’osservazione e, quindi, la
conseguente visibilità, possano essere solo uno strumento
indiretto di controllo sulle audience.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Il limite dell’osservazione
• Se l’esigenza delle industrie che commissionano le ricerche sulla
audience è proprio quella di conoscere per controllare, osservare,
acquisire casistiche, numeri che possano legittimare previsioni
attendibili sui comportamenti delle audience, essa si scontra con il
suo stesso limite:
• infatti, per quanto gli strumenti di misurazione e monitoraggio
possano portare a rappresentazioni minuziose e accurate, il loro
realismo descrittivo può non essere sufficiente per il controllo,
perché non prescrive un comportamento.
• In un circolo vizioso, allora, l’incertezza che ne deriva tormenta
l’industria fino alla messa a punto di un sistema ancora più analitico.
• Salvo poi “capitare che, più si fa microscopico lo sguardo sullo
spettatore, più ci si accorga di quanto sia sfuggente il
<<comportamento di consumo [mediale]>>
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 177
L’audience come collettività classificabile
• Le “tecnologie per i feedback di mercato” (Auditel, sondaggi
telefonici, etc.),
• assumono una funzione strategica in una situazione
strutturale di lotta per la conquista delle posizioni sul mercato;
• hanno l'obiettivo di costruire l’audience televisiva “come una
categoria che oggettiva il pubblico in modo da poterlo
controllare, nell’interesse di uno scopo istituzionale
prestabilito” (Ien Ang): consegnare target agli inserzionisti
pubblicitari.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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L’audience come strategia discorsiva
• Raggruppare il pubblico in un’unica categoria capace di discriminare
tra chi è e chi non è effettivamente parte dell’audience è, d’altra
parte, una strategia discorsiva che trova radice
• nei tratti dominanti del broadcast e
• nell’esigenza di legittimare l’obiettivo di controllare e conquistare e ,
allo stesso tempo, la presenza di un oggetto da controllare e
conquistare
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 179
La discriminazione popolare
• L’economia politica, poi, non è in grado di considerare la
discriminazione popolare.
• “La gente sceglie di rendere alcuni testi popolari, e altri
no, e questo processo di scelta è essenzialmente
popolare”(Fiske 1989),
• per quanto l’industria possa cercare di influenzare la
scelta popolare, attraverso ricerche di mercato,
promozioni e pubblicità.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Cultura popolare
• Accanto al termine “cultura di massa” si affianca
sempre più quello di “cultura popolare” intesa come
“cultura che è popolare”, cioè gradita ai più.
• Una merce culturale per diventare popolare deve
appagare i desideri dei suoi consumatori,
contemperando gli interessi del suo pubblico con
quelli dei suoi produttori.
• Il testo mediale è un prodotto culturale popolare.
• Portare i jeans, giocare con i videogames, ascoltare
dischi di musica rock sono, secondo Fiske
(Understanding popular culture), esempi di
consumo di cultura popolare.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 181
L’attività delle audience
• L’economia finanziaria è interessata a produrre e riprodurre merci di
successo.
• I bisogni culturali, espressi da alleanze in costante mutamento
all’interno delle audience, forzano le industrie a produrre merci
sufficientemente originali da incontrare questi cambiamenti e
sufficientemente familiari da rispondere alle aspettative delle
audience e corrispondere alle pratiche e alle routine produttive.
• La spinta maggiore all’innovazione proviene dall’attività delle
audience nella economia culturale.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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La televisione nella vita delle audience
• “la testualità non è delimitata dai titoli e dai credits
di un programma, la soggettività non può essere
confinata nella pelle o nella storia di un individuo, e
similmente il vedere la televisione non può essere
confinato nei periodi in cui la televisione è accesa.
La televisione […] è anche parte della nostra vita
culturale, quando la sua presenza è meno
diretta,meno ovvia” (Fiske 1989)
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Il senso delle differenze
• È necessario, dunque, ragionare sul come la gente trasforma i
prodotti dell’industria nella loro cultura popolare e li rende servibili
per i suoi interessi.
• Le differenze sociali sono prodotte dal sistema sociale, ma i
significati di queste differenze sono prodotti dalla cultura. Il senso
di queste differenze viene costantemente prodotto e riprodotto
come parte dell’esperienza di queste differenze da parte del
soggetto.
• I significati che originano dallo spettatore attribuiti al testo e quelli
che originano dalle subculture nei confronti dell’esperienza
sociale attivano il piacere di produrre significati, piuttosto che
sottolineare la posizione di sudditanza di essere prodotti da loro e
rende possibile mantenere una consapevolezza di queste
differenze sociali scomode e abrasive, che il senso comune
egemonico tenta faticosamente di attenuare.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
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Il consumo e l’uso
• “l’analisi delle immagini diffuse dalla televisione
(rappresentazioni) e della quantità di tempo passata
davanti allo schermo (comportamento) deve essere
completata dallo studio di ciò che il consumatore
culturale “fabbrica” durante queste ore e con queste
immagini.[…]
• Questa “fabbricazione” da svelare è una produzione, una
poietica, - ma nascosta, perché si dissemina negli spazi
definiti e occupati dai sistemi della “produzione” e perché
l’estensione sempre più totalitaria di tali sistemi non
lascia più ai “consumatori” un luogo in cui rivelare cio
che fanno dei prodotti” (De Certeau 1990)
Perchè studiare i media?
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L’obiettivo del critico
• Secondo Fiske, l’obiettivo del critico è quello di comprendere i
piaceri popolari e la discriminazione popolare, non
esaminando i testi, le letture delle audience o i processi di
produzione,
• Ma attraverso lo studio dei casi (“investigation of instances”),
dei “momenti di televisione” all’interno dei quali la varietà di
attività culturali che si realizza davanti allo schermo può
essere intravista.
Perchè studiare i media?
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Lo spectacle/performance
paradigm
• Gli studi di Abercrombie e Longhurst
prendono le mosse dal limite intrinseco al
paradigma dell’incorporazione/resistenza
nel considerare le audience come costrette
tra una posizione di accettazione
dell’ideologia o di resistenza.
• L’attenzione si sposta dalla lettura delle
audience in chiave oppositiva, a audience
che definiscono la propria identità all’interno
delle relazioni che stabiliscono con le forme
mediali.
L’identità delle audience
• Il paradigma mira a studiare l’identità delle
audience e il loro statuto all’interno della società,
immaginando che l’identità si costruisca all’interno
non tanto dei testi mediali ma del cosiddetto
mediascape, il mondo globale dei media.
Lo studio delle audience: dove siamo arrivati
• Secondo Abercrombie e Longhurst (1998) esistono
tre tipi di audience, che si sono sviluppate
storicamente e che oggi tendono alla compresenza:
• Simple audience
• Mass audience
• Diffused audience
La simple audience
• La simple audience, nata in età premoderna e
tuttora presente, si basa sul rapporto diretto e
immediato tra emittente e ricevente.
• La comunicazione si svolge in uno spazio
socialmente definito (spazio pubblico)
• La figura dell’emittente-performer è distante da
quella del ricevente (che assiste allo spettacolo).
• Al ricevente è richiesto un elevato grado di
attenzione.
La simple audience
La mass audience
• È tipica di forme di fruizione despazializzate.
• La comunicazione è mediata dai mezzi di
comunicazione.
• Emittente-performer e ricevente sono molto distanti.
• L’attenzione richiesta al ricevente può variare sulla
base delle caratteristiche contestuali della fruizione.
La mass audience
La diffused audience
• Abercrombie e Longhurst intendono per
audience diffusa la situazione in cui il soggetto
è sempre parte di un pubblico a prescindere dal
singolo atto di fruizione e da singoli eventi.
• “The essential feature of this audienceexperience is that, in contemporary society,
everyone becomes an audience all the time.
Being a member of an audience is no longer an
exceptional event, nor even an everyday event.
Rather it is constitutive of everyday life”
(Abercrombie e Longhurst)
I tratti della diffused audience
• La nozione di audience diffuse si riferisce a diversi
processi che operano a differenti livelli.
• 1) Le persone trascorrono una grande quantità di tempo
nel consumo di mass media in casa e in pubblico.
• 2) i media sono realmente costitutivi della vita quotidiana.
• 3) le audience vivono nella “performative society”
(Kershaw). Uno degli effetti della intrusione dei media
nella vita quotidiana è che in questo modo qualsiasi
evento può essere trasformato in performance e chi vi
partecipa vede se stesso come performer.
• 4) le audience diffuse sono il risultato dell’incontro tra
spettacolo e narcisismo
Le audience diffuse…
• «il vedere la televisione [consumare media
nda] non può essere confinato nei periodi in
cui la televisione è accesa. La televisione
[…] è anche parte della nostra vita
culturale, quando la sua presenza è meno
diretta, meno ovvia» (Fiske, 1989)
• «essere un membro di un’audience non è
più tanto un evento eccezionale, e neanche
un evento quotidiano. Piuttosto è parte della
vita quotidiana» (Abercrombie, Longhurst,
1998)
Audience diffusa
Le audience diffuse
• L’esperienza di consumo non è più legata ad un
particolare evento, spettacolo o canale mediale, ma
è un’esperienza quotidiana.
• L’audience diffusa nasce dall’intersezione di 4
fattori
•
•
•
•
Quantità di tempo investito nel consumo mediale
Pervasività dei media nella vita moderna
Società performativa
Spettacolarizazione della vita e del mondo +
atteggiamento narcisista
Quantità di tempo, ma soprattutto
pervasività dei media
• “i nostri media sono ubiqui, costituiscono la
quotidianità, […] sono una dimensione
essenziale dell’esperienza contemporanea.
• […] siamo diventati dipendenti dai mezzi di
comunicazione, sia quelli a stampa sia quelli
elettronici, per svago e per informazione,
per conforto e per sicurezza, per un certo
senso della continuità dell’esperienza e di
quando in quando anche per i momenti più
intensi dell’esperienza” (Silverstone, 2002,
pag. 18)
Performatività
• Per performatività si intendono, nelle parole
della Butler, quegli atti e gesti, generalmente
costruiti, che regolano i principi di
organizzazione dell’identità,
• nel senso che “l’essenza o identità che essi
dichiarano di esprimere sono fabbricazioni
prodotte e mantenute attraverso segni
corporei e altri mezzi discorsivi” (Butler
1990).
Performatività
• La performatività è «una serie di pratiche che
segnano i corpi, in accordo ad una griglia di
intelligibilità, in modo tale che il corpo stesso diventi
una fiction familiare» (Mc Robbie 2005).
• Allargando il ragionamento al soggetto nella sua
interezza, per performatività intendiamo quindi le
pratiche che segnano il sé in accordo ad una griglia
di intelligibilità sociale,
• in modo tale che il sé diventi una fiction
(rappresentazione) familiare (cioè condivisa e
condivisibile all’interno dei legami sociali).
Audience performative
• È performativa l’audience che per una spinta narcisistica
cerca di entrare nel mondo dei media in cerca di visibilità, in
cerca di audience.
• È performativa l’audience che si immedesima nel programma
televisivo o nel personaggio, attraverso meccanismi di
identificazione e proiezione, ovvero abbandonando per un
momento la propria identità per vestirne un’altra, o proiettando
piuttosto la propria coscienza in quella di diversi personaggi
(Di Fraia).
• È performativa l’audience che condivide con gli altri i racconti
delle storie mediali, per come le ha vissute rispetto al proprio
contesto sociale e culturale, per come utilizzerà queste
narrazioni per creare relazioni con altri.
Il mondo come spettacolo
• “Nel portare tesi a sostegno dell’importanza dello
spettacolo, la nostra proposta è che il mondo, e
tutto ciò che è al suo interno, viene trattato sempre
più come qualcosa a cui si assiste (Chaney, 1993).
• Nel mondo le persone, gli oggetti, gli eventi non
possono essere dati per scontati, ma devono
essere inseriti in cornici, guardati, osservati,
registrati e controllati. Ciò, a sua volta, suggerisce
che il mondo si costituisce come un evento, come
una performance; gli oggetti: le persone e gli eventi
che fanno parte del mondo sono fatti per mettere in
scena performance per coloro che li guardano o
osservano intensamente. (Abercrombie, Longhurst)
Vedere ed essere visti
• Più in generale, la vita contemporanea è una
questione di spettacolo e lo scopo della vita
moderna è quello di vedere e essere visti. Questo
perché:
• 1) il mondo come merce richiede attenzione;
inscena performance;
• 2) la pervasività dei mezzi di comunicazione di
massa contribuisce alla presentazione del mondo
come uno spettacolo, come una serie di
performance. Il landscape diventa mediascape.
Il narcisismo
• La nozione di società narcisista include
l’idea che le persone si comportino come se
fossero guardate, come se fossero al centro
dell’attenzione di un’audience reale o
immaginata.
• Il narcisista incontra difficoltà nel distinguere
i confini del sé, nel separare se stesso dagli
altri. Il sé narcisista è costruito e mantenuto
solo nei riflessi ricevuti dagli altri.
Il narcisista
• “Malgrado le occasionali illusioni di
onnipotenza, il narcisismo attende da altri la
conferma della sua autostima. Non può
vivere senza un pubblico di
ammiratori”(Lasch 1979)
• “Il narcisista non è in grado di recepire nulla
di nuovo dal momento che tutto è visto nei
termini del sé già esistente”. (Sennet 1977)
Performance narcisistica e audience immaginata
• Il fatto che il sé sia centrale, non significa
che tutto il resto venga cancellato.
• Per le funzioni proprie del narcisismo, infatti,
l’audience deve essere immaginata come
qualcosa che contribuisce alla propria
immagine narcisista.
• Il narcisismo coinvolge una performance
immaginata di fronte agli altri, che
costituiscono un’audience focalizzata sul sé
narcisista.
Società dello spettacolo,
narcisismo e performance
• Il narcisismo, dunque, fornisce il lato motivazionale e
individuale dello spettacolo.
• Per rendere il mondo sociale uno spettacolo, le persone
devono essere viste come oggetti di spettacolo. Devono
essere incitate, motivate, per mettere in atto
performance. Lo spettacolo e il narcisismo sono
realmente i due lati della stessa medaglia.
• Entrambi sono effettivamente le conseguenze della
diffusione della performance al di fuori dei suoi ambiti
originariamente relativamente ristretti.
• La maggior parte degli eventi che costituiscono la vita
quotidiana sono performance per le quali esiste
un’audience. Allo stesso tempo, sempre più persone si
vedono come performer osservati da altri; il narcisismo è
la cura del sé come spettacolo.
Audience diffusa e
immaginazione
• Un mondo di spettacolo, narcisismo e performance
richiede il potere dell’immaginazione.
• L’audience diffusa richiede che i propri membri
mettano in campo una mole considerevole di
risorse immaginative
Fantasticare …
• Una fondamentale caratteristica dell’esperienza
moderna è l’uso da parte degli individui ‘dei loro
poteri inventivi e creativi, per costruire immagini
mentali da poter consumare grazie al piacere
intrinseco che esse forniscono, una pratica meglio
descritta come sogno ad occhi aperti o fantasticare’
Sogno ad occhi aperti e
performance
• Chiaramente, le trasformazioni del sé che si
sviluppano a partire dalla fantasia,
stimoleranno maggiormente il giudizio degli
altri - l’audience reale e immaginata che
assiste alla performance.
• L’attitudine moderna del sogno ad occhi
aperti significa che le persone sono in grado
di immaginarsi mentre mettono in scena
performance di fronte ad altre persone e di
immaginare, inoltre, le reazioni che gli altri
avranno
Media, immagini e
immaginazione
• Le performance quotidiane che costituiscono una
società spettacolare e narcisistica sono organizzate
frequentemente intorno alle immagini che
provengono dai media sullo stile, la personalità,
l’abbigliamento, la musica e così via.
• Oltre ad essere regolatori o costitutivi della vita
quotidiana, i media forniscono anche immagini,
modelli di performance, o quadri di azione e di
pensiero che diventano risorse di routine del
quotidiano. Le persone, in altre parole, usano nella
vita quotidiana quello che i media forniscono loro.
Media e potenziali di
immaginazione
• Paradossalmente, mentre il cinema, la pubblicità e
le riviste forniscono potenti immagini visuali, che
sono più rilevanti nel comunicare significati e nel
dare piacere alle audience, la televisione, nei fatti,
dipende piuttosto dal discorso per raggiungere i
suoi effetti. Come medium consiste, realmente, in
un discorso illustrato visivamente
La tv come risorsa immaginativa
• La televisione si rivolge in modo
particolarmente diretto alla sua audience,
come se stesse avendo luogo una
conversazione tra le persone che appaiono
nello schermo e quelle che lo guardano. […]
• La televisione. non è solo composta di
parola, ma promuove la parola
• È soprattutto nei discorsi referenziali che le
audience usano effettivamente la televisione
come una risorsa immaginativa
Il circuito S-N-S
(spectacle-narcisismspectacle)
• I media forniscono una risorsa per vedere il mondo
in modo spettacolare;
• creano sistematicamente il mondo come spettacolo.
• Simultaneamente, forniscono alcuni materiali grezzi
per il narcisismo,
• così che le persone replicano nelle loro vite la
relazione performance-audience che ha luogo nei
media.
Audience come comunità
immaginata
• Nei sogni ad occhi aperti, le persone
immaginano la presenza di altri, che
costituiscono l’audience per le loro performance
quotidiane.
• Non c’è bisogno di ripetere che questi altri non
sono altri qualsiasi. Essi sono altri significativi,
menti con attitudini e gusti simili. Un modo per
concettualizzare la relazione tra le persone che
formano parte di questa presenza immaginata è
descriverle come una comunità.
• La nostra pretesa è sostenere che l’audience
diffusa sia una comunità immaginata
La comunità immaginata di
Anderson
• L’espressione ‘comunità immaginata’ fu coniata da Anderson
(1991), interessato alla studio della formazione e della natura
dello stato-nazione e dei modi in cui esso può essere definito
una comunità, anche se immaginata.
• L’idea della nazione è molto potente e può mobilitare l’energia
di una popolazione, così come la fiducia e la lealtà, in un
modo in cui solo poche istituzioni riescono.
• La nazione è anche una comunità, nel senso che c’è un forte
sentimento di appartenenza alla comunità e una condivisione
di sentimenti, scopi e storia.
• Per quanto potente, il senso di comunità all’interno della
nazione non si fonda sulle relazioni personali come una
normale comunità.
• Non c’è necessità di conoscere tutte le persone che vivono
nella nazione e non ci deve essere neppure la possibilità di
questa conoscenza. Ogni membro della comunità-nazione
deve essere semplicemente in grado di immaginare ogni altro
membro
L’audience diffusa come
comunità immaginata
• L’audience diffusa, intesa come comunità
immaginata, viene, in larga misura, se non
interamente, liberata dalle restrizioni di spazio e
tempo; i membri dell’audience diffusa possono
essere immaginati in ogni momento temporale,
ma soprattutto, in ogni luogo spaziale.
• La struttura della comunità può essere pensata
come una serie di anelli concentrici intorno
all’individuo, che si estendono nello spazio e nel
tempo.
Una rete di significati da
condividere
• La società è una rete di significati sostenibile “finché
quei significati sono mantenuti in comune, finché sono
ripetuti, condivisi, comunicati e, naturalmente, imposti.
• L’esperienza si costruisce attraverso queste reti di
significati, testi e discorsi quotidiani, e l’esperienza a
sua volta dipende dalla nostra partecipazione, forzata o
meno, alla rappresentazione” (Silverstone, 2002: 117).
• I media non fanno che enfatizzare questa possibilità
fornendo ai soggetti/audience gli strumenti espressivi e
la piattaforma condivisa per la gestione delle forme
culturali.
Come si forma un’audience diffusa
• Accettando la proposta di Abercrombie e Longhurst
le audience diffuse sono il punto di arrivo di un
processo come il seguente:
• media pervasivi → società dello spettacolo →
narcisismo → performatività → audience diffuse.
Una performatività più visibile
• Tuttavia “parlare di società performativa è
assolutamente tautologico: non esiste società in cui
non vengono esercitate, quotidianamente,
performance da parte dei soggetti che la abitano,
allo scopo di essere dentro la società stessa e di
rendersi visibili e intelligibili agli altri.
• Semmai nella società contemporanea questa
performatività assume forme di visibilità, per sé e
per gli altri, più diffuse (alla portata di quasi tutti),
più intense, enfatizzate dalla presenza dei media”
(Andò, Marinelli, 2008)
Narcisismo non vuol dire Youtube …
• Così come leggere il narcisismo come semplice
ricerca di visibilità, ci porterebbe a leggere le
audience come trasformate nella caricatura di sé
offerta dalla reality television o da fenomeni come
quello di YouTube.
• Porre attenzione alla personalità narcisistica non
significa affermare che siamo tutti narcisisti in modo
più o meno patologico, ma che la caratterizzazione
narcisista è quella che è maturata e si è potenziata
nella nostra società, rendendoci più consapevoli
dell’esercizio di stile e di immagine che la
performance quotidiana richiede.
Rileggere il concetto di audience diffusa
• Piuttosto “è lo status e il ruolo di audience
ad essere diffuso, ovvero distribuito e
condiviso socialmente;
• e questo significa che alle audience
dovrebbe finalmente essere riconosciuta la
capacità di sentirsi audience, di viversi come
audience e di leggere il proprio essere
audience in relazione e senza soluzione di
continuità rispetto al fluire della propria vita
quotidiana (Silverstone 1999)” (Andò,
Marinelli, 2008).
L’audience diffusa e i contenuti mediali
• L’attività delle audience somiglia, quindi, ad
una quasi naturale appropriazione delle
merci-spettacolo
• “che finiscono per diventare il fondale
ordinario, oltre che gli abiti di scena, delle
diverse rappresentazioni di sé. Il modello
ideale di un’audience diffusa, dunque,
agisce nella direzione di sottolineare la
normalizzazione di un processo di consumo,
uso e produzione di senso” (Andò, Marinelli,
2008)
Esercitarsi nel riconoscersi tra audience
• più estesa è diventata la penetrazione dei
media nella nostra vita quotidiana, più
strumenti sono resi disponibili,
• più ampia è diventata la possibilità per le
audience di esercitarsi nello stile e provare
la riconoscibilità di questo stile, per così dire
mediato, presso le altre componenti delle
audience con cui entrano in contatto
attraverso le pratiche (on e off line) di
consumo mediale.
La serializzazione delle audience
• L’audience oggi esercita la sua performance
(non solo quella sugli schermi televisivi, ma
anche quella della vita di tutti i giorni),
• immaginando di essere parte di
un’audience-comunità e di esprimersi per
un’audience-comunità,
• e alimentando quel processo di
serializzazione dell’audience di cui parla
Matt Hills (2002) riferendosi alla presenza
attiva delle audience nelle comunità on line
Media literacy
•
1.
2.
3.
4.
Per media literacy si intende la capacità di
accedere,
analizzare,
valutare e
creare messaggi in diverse forme. (S.
Livingstone, “The Changing Nature and Uses of
Media Literacy”,2003)
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 227
1) Accedere
• L’accesso non deve essere inteso solo come la
risultante del possesso.
• ma, piuttosto, come capacità di domesticazione
delle tecnologie, ovvero come quella capacità del
soggetto di rendere familiare un mezzo e i suoi
linguaggi attraverso la sua assimilazione all’interno
della vita quotidiana e degli ambienti domestici.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 228
Competenze stratificate
• La storia ci ha insegnato a non credere alla logica
della sostituzione mediale, quanto a quella della
complementarità:
• le nuove tecnologie non prendono il posto di quelle
vecchie, ma tendono a cercare elementi di sinergia
e convergenza, che si sedimentano, poi, nelle
pratiche e nelle competenze dei soggetti attraverso
continui processi di updating.
• Le competenze richieste per affrontare il digital
divide, dunque, aumentano piuttosto che diminuire
e il problema dell’accesso si ammanta di
interpretazioni decisamente più complesse.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 229
Le competenze dell’accesso
• Rispetto all’accesso/domesticazione si rilevano tre
tipi di competenze:
1. le competenze di base o di navigazione (basic
functional or navigational competence), come per
esempio la conoscenza delle modalità di uso degli
sms o la capacità di ritrovare messaggi sui telefoni
cellulari.
2. Le competenze di controllo della tecnologia
(controlling the technology), che implicano attività
avanzate, come gestire una ricerca online o una
transazione economica;
3. Le competenze nel regolare le tecnologie
(regulating the technology), che includono la
capacità di proteggere la privacy e di filtrare
condotte inappropriate.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 230
2) Analizzare e 3) valutare i testi
• Un soggetto, oggi, per relazionarsi in modo
funzionale ai media deve poggiare l’attività di
fruizione-consumo sulla comprensione, nella doppia
accezione
• di decodifica interpretativa dei testi e dei linguaggi
e
• di utilizzo dei media per l’attribuzione di senso alla
realtà
• Oltre che sulla capacità di critica e lettura dei
messaggi in termini di riconoscimento dei livelli di
oggettività e verità.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 231
4) Creare messaggi
• Nella cultura della convergenza al consumatore
mediale è richiesto di possedere le capacità per
creare contenuti mediali, attitudine che, nelle sue
molteplici forme, dal produrre storie digitali (si pensi
alle fanfiction) al curare un blog, porta di fatto ad
annullare qualunque residua distanza nel processo
comunicativo tra fonte e ricevente.
• Inoltre, le ricerche sul coinvolgimento di minori nella
produzione di contenuti mediali dimostrano che una
simile esperienza incoraggia tra l’altro lo sviluppo di
una propensione alla lettura critica dei media, meno
passiva e più decisamente orientata alla
performatività
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 232
Creare nuovi contenuti, partendo dalla capacità di leggerli
• L’abilità nell’accostamento di contenuti di diverso
genere e livello, apparentemente volubile,
superficiale e alternativo ai canoni classici, va letta
come il sintomo di un utilizzo pronto e talentuoso
della vasta enciclopedia comunicativa controllata
dalle audience.
• La capacità di valutare i contenuti, allora, è tanto più
cruciale alla luce della complessa configurazione
dell’offerta mediale attuale, all’interno della quale le
abilità investite nell’orientamento e nella selezione
dei materiali diventano strategiche per la
costruzione di percorsi di consumo dotati di senso
da e per il soggetto stesso.
Perchè studiare i media?
22/12/2015
Pagina 233
Opporsi all’ideologia dominante
• “Sebbene il potere ideologico delle
contemporanee forme culturali sia enorme,
anzi talvolta persino spaventoso, questo
potere non è del tutto pervasivo, totalmente
vigilante o completo. Ancora esistono
interstizi all’interno del tessuto sociale dove
l’’opposizione è portata avanti da persone
che non sono soddisfatte dal loro posto al
suo interno, o dalle ricompense emotive che
lo accompagnano”(Radway 1987)
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