Semiotico e semantico Non coincide con la distinzione saussuriana langue/parole: mette a fuoco due modalità fondamentali della funzione linguistica, quella di significare – relativa alla semiotica –, e quella di comunicare – relativa alla semantica. La nozione di comunicare introduce al campo della lingua nel suo impiego in atto. Qui si considera della lingua la sua funzione mediatrice tra uomo e uomo e tra uomo e mondo, fra la mente e le cose: la funzione della lingua di organizzare l’intera vita degli umani, la lingua come mezzo di descrizione e di ragionamento (p. 64). Semiotico Il semiotico è l’ordine di significanza del segno come unità di un sistema, tessuto di relazioni tra segni: esso va semplicemente riconosciuto (cfr. p. 20, riconoscere = percepire l’identità tra il dato e l ’ anteriore o il virtuale). È una proprietà della lingua, gli appartengono il segno e il paradigma. Chi dice semiotico dice intralinguistico (p. 63). In semiotica non ci si occupa mai della relazione del segno con le cose designate, né dei rapporti tra lingua e mondo: il potere significante della lingua supera ampiamente quello di dire qualcosa (p. 68). Semantico Il semantico è il modo di significanza della produzione di messaggi che hanno referenti: essi vanno compresi (p. 20; comprendere = percepire la significazione di una nuova enunciazione). Dipende dal locutore che mette in azione la lingua e comprende le parole e il sintagma. Ricoeur osserva che il concetto di semantica in Benveniste permette di ristabilire una serie di mediazioni fra il mondo chiuso dei segni (semiotica) e la presa che il nostro linguaggio in quanto semantica ha sul reale. La sua terminologia è diversa però da quella diffusa in linguistica e di provenienza logica, risalente a Charles Morris, Foundations of the Theory of Signs, 1938 (cfr. Caffi, p. 20). La lingua è il solo sistema che comprenda entrambe le dimensioni, quella semiotica e quella semantica (anche se nelle patologie del linguaggio questi due modi sono spesso dissociati) (relazione con la teoria dei due campi, indicativo e simbolico, di Bühler, Sprachtheorie, 1934). La lingua significa in un modo specifico che nessun altro sistema è in grado di riprodurre; è un modello di sistema semiotico nella sua struttura formale e nel suo funzionamento; è investita cioè di una doppia significanza, in quanto combina il modo semiotico e il modo semantico: È costituita da unità distinte, i segni (livello semiotico) Si manifesta attraverso l’enunciazione sempre ancorata a una situazione data (livello semantico) È prodotta e ricevuta secondo i medesimi valori condivisi da una comunità È l’unico mezzo per la comunicazione intersoggettiva Gli altri sistemi hanno o il semiotico senza il semantico (p.e. gesti di cortesia), o il semantico senza il semiotico (espressioni artistiche). Questa caratteristica conferisce al linguaggio verbale la capacità metalinguistica e ne fa perciò l’interpretante di tutti gli altri sistemi. La distinzione tra semiotico e semantico vale anche per le condizioni della traduzione: si può trasporre la semantica da una lingua all’altra, ma non la semiotica. Semantica e comunicazione “ La nozione di semantica introduce al campo della lingua nel suo impiego e in atto; della lingua consideriamo questa volta la sua funzione di mediatrice fra l’uomo e l’uomo, l’uomo e il mondo, fra la mente e le cose, cioè la funzione di trasmettere informazioni, comunicare esperienze, imporre adesioni, suscitare risposte, implorare, costringere: in breve, quella di organizzare l’intera vita degli uomini. Si tratta della lingua come mezzo di descrizione e di ragionamento. Solo il funzionamento semantico della lingua consente l’integrazione nella società e l’adeguamento al mondo, quindi l’organizzazione del pensiero e lo sviluppo della coscienza” (pp. 64-65) . Excursus Il problema del significato La nozione di significato è una delle più complesse e controverse Tre aspetti sotto i quali è stato pensato sono: - il significato come relazione tra linguaggio e mondo (approccio filosofico-linguistico): semantica referenziale o vero-condizionale - il significato come relazione interna al linguaggio, che comporta un modello componenzialista (prospettiva strutturalista) Il significato come prototipo (prospettiva psicologico-cognitiva) (cfr. Patrizia Violi, Significato ed esperienza, Bompiani, 2007) Semantica referenziale o vero-condizionale Sorge all’inizio del Novecento in ambito filosofico e si sviluppa nell’area di ricerca di indirizzo analitico, nel contesto della cosiddetta ‘svolta linguistica’. Tre fattori caratterizzano questa prospettiva: Forte attenzione per gli aspetti logici del linguaggio Focalizzazione sui rapporti tra linguaggio e mondo (referenzialismo) Una netta separazione tra semantica e processi psicologici del pensiero (antipsicologismo). Relazione lingua-mondo Diretta, senza alcuna mediazione tra i segni e la realtà extralinguistica (modalità sviluppata sia nella teoria del significato di Russell, sia in quelle più recenti di Quine e di Kripke) Indiretta, attraverso la mediazione di nozioni che collegano la prima al secondo (modalità sviluppata a partire da Frege) Senso e riferimento (Frege, Über Sinn und Bedeutung, 1892) Il segno (Zeichen), che per Frege può avere diversi formati (dal singolo termine alla espressione composta, all’enunciato), fa riferimento agli oggetti extra linguistici e agli stati di cose passando attraverso la mediazione di un’entità, il senso (Sinn), nozione che indica la maniera attraverso cui il riferimento stesso (Bedeutung) è dato. Senso e riferimento sono nozioni formali e oggettive e vanno tenute distinte da una terza nozione, di ordine psicologico, la rappresentazione (Vorstellung) (immagine soggettiva, basata su impressioni sensibili e ricordi). Modello di Frege Senso Sinn Segno Zeichen Rappresentazione Vorstellung Riferimento Bedeutung La semantica di impostazione strutturalista La semantica è vista come una dimensione autonoma rispetto ad ogni dimensione esterna al sistema (antireferenzialismo) La semantica si distingue anche dalla dimensione introspettivo-psicologica che aveva caratterizzato l ’ impostazione pre-strutturalista del problema (antipsicologismo) Il significato di un termine non ha come contropartita un oggetto extralinguistico o un’entità psicologica, ma tutti gli altri termini del sistema, dai quali si differenzia. La componenzialità del significato Inventario di figure di contenuto, tratti semantici minimali. Ognuna delle unità della matrice deriva dall’incontro di due figure, o tratti semantici, che la compongono “maschio” “femmina” “ovino” montone pecora “suino” porco scrofa “bovino” toro vacca “equino” stallone giumenta “ape” fuco pecchia “umano” uomo donna Al centro del procedimento che permette di individuare le unità minime invarianti sta la prova di commutazione Le unità di significato così individuate sarebbero “primitivi semantici”, le componenti ultime del piano del contenuto; attraverso un numero limitato di atomi semantici sarebbe possibile analizzare qualunque concetto Obiezioni: – l’inventario dei cosiddetti primitivi semantici non appare chiuso; – se pure si riuscisse a ottenere un inventario di unità che costituiscono i termini definitori, esso sarebbe altrettanto grande quanto quello dei termini da definire, e dunque il modello perderebbe qualunque carattere di produttività – i cosiddetti primitivi semantici appaiono a loro volta scomponibili e dunque non primitivi, per esempio “ovino” può essere scomposto in “animale” e “mammifero”. In conclusione: il sistema semantico non appare riconducibile a un inventario chiuso di primitivi. Semantiche a tratti o modello delle condizioni necessarie e sufficienti Si rinuncia qui alla possibilità di trovare elementi ultimi finiti ma si conserva il principio di composizionalità: si ritiene possibile scomporre i significati delle parole in una serie di tratti semantici, che non appartengono a un insieme chiuso, pur rispondendo a condizioni necessarie e sufficienti. Campo semantico Sedili soffice un posto braccioli schienale 4 gambe sedia – + – + + poltrona + + + + + sofà + – + + + sgabello – + – – – pouf + + – – – Obiezioni: – Esistono termini che rimandano a concetti sfumati, il cui significato non è definibile per presenza o assenza di un tratto ma per una maggiore o minore partecipazione ad un concetto: Labov, 1973, sul campo semantico che include tazza, scodella, ciotola, piatto: è spesso difficile assegnare un oggetto ad una categoria o all’altra, nominandolo. Man mano che ci si allontana dalle rappresentazioni standard si entra in un terreno di vaghezza in cui un determinato oggetto può essere definito alternativamente come tazza, bicchiere, ciotola. Es. è possibile definire “vedova” una donna divorziata tre volte che uccide il terzo marito? È possibile definire “scapolo” un omosessuale che convive con il proprio compagno da molti anni? (Manetti, Comunicazione, 2011:109) Le semantiche a condizioni necessarie e sufficienti prevedono un tipo dizionariale di conoscenza: qui le componenti fondative e basilari del significato sono analitiche, e caratterizzate da relativa stabilità. Una possibile soluzione è fare riferimento al modello enciclopedico di conoscenza Semantica cognitiva Lo studio del significato appare inscindibile dallo studio dei processi mentali attraverso i quali i contenuti semantici vengono costruiti Recupero del rapporto tra semantica e comprensione La semantica non è assunta come dimensione autonoma dai processi di conoscenza Necessità di definire il rapporto tra significato e concetto Semantica del prototipo Studio dei processi di categorizzazione in cui il confine tra dimensione linguistica e non linguistica appare molto problematico Modello di Eleonor Rosch (1978): il modo in cui la lingua dà forma strutturale al mondo attraverso il lessico non è arbitrario, ma dipende in parte da come il mondo stesso si presenta strutturato e in parte dai bisogni comunicativi dei parlanti: organizzazione verticale delle categorie (livello sovraordinato, livello di base e livello subordinato): organizzazione orizzontale, interna cioè alla singola categoria (questione del prototipo); Teoria estesa del prototipo (anni Novanta): il prototipo non è più inteso come oggetto o classe di oggetti ma come costrutto mentale (concetto), caratterizzato da un insieme di proprietà astratte: l’accento è posto sulle qualità salienti di una categoria anziché sulle entità o oggetti che la rappresentano (effetti prototipici). Il linguaggio viene qui rappresentato come una rete che si proietta su un continuum non differenziato, ma all’interno del quale si danno salienze (percettive o culturali) sulla cui base operare giudizi di somiglianza (Manetti 2011:117) Pensiero e linguaggio per Benveniste Categorie di pensiero e categorie di lingua (1958) Benveniste discute la convinzione diffusa che pensare e parlare siano attività essenzialmente distinte, tenute insieme solo dalla necessità pratica del comunicare. Tesi di Benveniste: il contenuto del pensiero prende forma solo quando viene enunciato. Riceve forma dalla lingua e nella lingua, matrice di ogni espressione possibile. La forma linguistica è la condizione di trasmissibilità del pensiero, ma anche e soprattutto la sua condizione di realizzazione. Noi cogliamo il pensiero solo quando è già conforme agli schemi della lingua. A rigore, il pensiero non è una materia alla quale la lingua fornirebbe una forma, perché in nessun istante questo contenente può essere immaginato vuoto del suo contenuto, né il contenuto sganciato dal suo contenente (pp. 76-77) (cfr. saggio sulla natura del segno). Metodo Il problema qui posto ha una storia bimillenaria. Per poterlo discutere occorre scendere nel concreto di una situazione storica e scandagliare le categorie di un pensiero e di una lingua specifici. Le categorie aristoteliche offrono l’inventario dei concetti che organizzano l’esperienza, la totalità dei predicati che si possono affermare dell’essere. Analisi delle categorie aristoteliche Aristotele (categorie di pensiero) Sostanza (ousia) Quanto (poson) Quale (poion) Relazione (pros ti) Dove (pou) Quando (poté) Fare (poiein) Subire (paskhein) Giacere (keisthai): posizione Avere (ekhein): stato Benveniste (categorie di lingua) Sostantivo Aggettivo di quantità Aggettivo di qualità Aggettivo comparativo Avverbio di luogo Avverbio di tempo Diatesi attiva Diatesi passiva Diatesi media es. “è sdraiato”, “è seduto” Perfetto greco es. “è calzato”, “è armato” Con la tavola delle categorie Aristotele intendeva passare in rassegna tutti i possibili predicati della proposizione, a condizione che ogni termine fosse un significante a sé […]. Inconsciamente il filosofo ha adottato il criterio empirico di un’espressione distinta per ciascun predicato. È arrivato dunque a ritrovare, senza volerlo le distinzioni fra le principali classi di forme che la lingua manifesta. Aristotele pensava di definire gli attributi degli oggetti, ed enuncia invece entità linguistiche: è la lingua che, grazie alle proprie categorie, permette di riconoscerli e di specificarli. Ciò che si può dire delimita e organizza ciò che si può pensare. La lingua fornisce la configurazione fondamentale delle proprietà che la mente riconosce alle cose. La tavola dei predicati istruisce, innanzitutto, sulla struttura delle classi di una lingua specifica. La proposta di Aristotele di un quadro di condizioni generali e permanenti si risolve invece nella proiezione concettuale dello stato di una determinata lingua. (p. 82) Trapezio semiotico (Stoici, cfr. A. Ancillotti) Dicibile/ Campo noetico espressione Pensiero linguisticamente non formato Realtà esterna Due opposte illusioni Che la lingua sia solo uno strumento di espressione del pensiero Che in quanto insieme ordinato, la lingua contenga in sé una logica intrinseca alla mente, cioè esterna e anteriore alla lingua. La mente va intesa come virtualità non come schema, come dinamismo più che come struttura. Nessuna lingua specifica può di per sé favorire o impedire l’attività mentale. Lo sviluppo del pensiero è legato più alle condizioni culturali della società che a una lingua specifica (cfr. Ascoli, 1872). Ma la possibilità del pensiero è legata alla facoltà di linguaggio […] pensare vuol dire elaborare i segni della lingua. Linguistica della lingua e linguistica del discorso Si tratta di due universi eterogenei, benchè attinenti alla stessa realtà e che danno luogo a due linguistiche diverse: Da un lato c’è la lingua, insieme di segni formali, rilevati da procedure rigorose, dall ’ altro la manifestazione della lingua nella comunicazione vivente” (I livelli dell’analisi linguistica, pp. 55-6). Con l’abitudine siamo diventati insensibili alla profonda differenza tra il linguaggio come sistema di segni e il linguaggio assunto come esercizio dall’individuo. Nell’appropriarsi del linguaggio l’individuo lo trasforma in istanze del discorso, caratterizzate da un sistema di referenza interna la cui chiave è l’io, e che definiscono l’individuo tramite la particolare costruzione linguistica adottata quando si enuncia come locutore (p. 141). È nel discorso che la lingua si forma e si configura: “nihil est in lingua quod non prius fuerit in oratione”. Oltre la distinzione langue/ parole La teoria della enunciazione non è una teoria della parole, benchè si fondi sulla distinzione tra entità virtuali del sistema e loro realizzazioni concrete, bensì un ampliamento della linguistica della langue, in quanto studio sistematico degli aspetti deittici (nel senso di Benveniste, come elementi che si riferiscono all’atto stesso del dire). Per Roland Barthes lo strumento con cui Benveniste rinnova l’eredità saussuriana è l’iscrizione della persona nel linguaggio attraverso l’istanza del discorso in grado di andare oltre la vecchia dicotomia langue-parole, oggettivo-soggettivo, individuo-società. La teoria dell’enunciazione è una teoria pragmatica che tematizza ciò che manca in Saussure ma anche nella pragmatica di Austin: il posto del soggetto nel discorso. Linguistica interna e linguistica esterna Mentre la nozione di semiotico copre tutti i fattori della linguistica interna (Saussure), la nozione di enunciazione apre lo spazio dell’analisi a quei fattori che prima erano stati relegati all’esterno del sistema: il soggetto, il referente, il sociale (Manetti, comunicazione, p. 122). Il sistema è chiuso rispetto al mondo, che resta esterno al linguaggio. L’enunciazione fa intervenire invece il locutore che utilizza la lingua e la possibilità del riferimento al mondo (attraverso l’unità della frase che porta con sé l’intento del locutore). Deissi “Collocazione e identificazione di persone, oggetti, eventi, processi e attività di cui si parla e a cui si fa riferimento, in relazione al contesto spazio-temporale creato e mantenuto dall’atto di enunciazione e dalla partecipazione in esso, tipicamente, di un singolo parlante e di almeno un destinatario […].Vi è molto nella struttura delle lingue che può essere spiegato solo assumendo che esse si siano sviluppate per la comunicazione nelle interazioni faccia a faccia ” (Lyons, Semantics, 1977, vol. II: 637-38) La deissi appare determinata dalla posizione del locutore nella situazione comunicativa; il campo deittico coincide con il campo percettivo del locutore. L’indessicalità è una dimensione fondamentale per la pragmatica, in quanto “ricopre tutti gli aspetti che vincolano le strutture linguistiche a dei contesti di proferimento” (Caffi 2009:122) Teoria della enunciazione Saggi di riferimento L’apparato formale dell’enunciazione (1970) La natura dei pronomi (1956) Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946) Della soggettività nel linguaggio (1958) Il linguaggio e l’esperienza umana (1965) Cos’è l’enunciazione? Meccanismo di attualizzazione della lingua per produrre un determinato atto di parole: “è la messa in funzionamento della lingua attraverso un atto individuale di utilizzazione” (p. 120); atto con cui un soggetto prende in carico la lingua al fine di istaurare un rapporto di comunicazione (mediazione tra uomo e uomo e tra uomo e mondo). È «a un tempo portatore di un messaggio e strumento di azione» (Note sulla funzione del linguaggio nella scoperta freudiana, 1956). In quanto «atto stesso di produrre un enunciato», l’enunciazione va distinta dal suo prodotto, cioè l ’ enunciato o parole (L ’ apparato formale dell’enunciazione, 1970, p. 120) L’enunciazione «presuppone un parlante e un destinatario, e l’intenzione del primo di influenzare in qualche modo il secondo» (Le relazioni di tempo nel verbo francese, 1959), Lo studio della enunciazione mette in evidenza che emittente e ricevente e la loro reciproca posizione sono compresi nei significati degli enunciati. La mappa della enunciazione Quadro formale entro cui l’enunciazione si realizza: Atto di appropriazione della lingua da parte di un locutore Situazione di intersoggettività propria della enunciazione Riferimento, che solo l’enunciazione rende possibile Cfr. L’apparato formale dell’enunciazione (1970), p. 120121 L’apparato formale dell’enunciazione Indici di persona: forme linguistiche che rimandano sempre a individui che fanno parte della situazione di enunciazione e non a concetti fissi Indici di ostensione: dimostrativi e avverbi di spazio e di tempo Forme della temporalità, a partire dal presente come espressione del tempo coestensivo alla situazione di enunciazione (il presente linguistico è sui-referenziale): l’unico tempo inerente al linguaggio e per natura implicito (Il linguaggio e l’esperienza umana, 1965) Forme della illocutività: verbi performativi, la cui forza specifica si realizza solo se un determinato soggetto li pronuncia alla prima persona singolare (cfr. Della soggettività nel linguaggio, 1958) Modalità, la cui problematica emerge dalla considerazione che il soggetto ha la possibiltà di marcare il proprio enunciato in vari modi per indicare il proprio atteggiamento nei confronti del contenuto. 1. I pronomi Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946) La natura dei pronomi (1956) La soggettività nel linguaggio (1958) L’apparato formale dell’enunciazione (1970) Definizione di pronomi: “classe di “individui linguistici”, forme che rinviano sempre e solo a “individui”, si tratti di persone, di tempi o di spazi, in opposizione ai termini nominali, che rinviano sempre e solamente a dei concetti” (L ’ apparato formale dell’enunciazione, p. 122) Hanno la funzione di mettere in rapporto costante e necessario il locutore con la propria enunciazione. La loro caratteristica è quella di rimandare sempre a delle entità individuali variamente facenti parte della situazione di enunciazione (e dunque a delle entità mobili e diverse da situazione a situazione). Per stabilire qual è il loro riferimento bisogna osservare qual è il soggetto che li enuncia (Manetti, p. 124). Interno/esterno mutevole/costante I pronomi innestano un processo di riferimenti interni al linguaggio (sui-referenzialità), mentre nel caso dei nomi il riferimento che viene innescato è esterno I nomi si riferiscono a nozioni costanti e in un certo senso oggettive, che nel passaggio dallo stato virtuale della lingua a quello attuale del discorso non mutano, hanno una referenza fissa (es. la parola albero) L’opposizione nomi/pronomi riecheggia la teoria dei due campi di Bühler (1934): i segni prendono significato in relazione a due grandi campi, quello simbolico (in cui si collocano i nomi) e quello d ’ indicazione (che si costituisce tutte le volte che un essere umano prende la parola per rivolgersi a un altro essere umano). Pronomi e comunicazione Come tutte le forme deittiche, anche i pronomi sono privi di referenza, cioè “vuoti” a livello di langue, ma acquisiscono una referenza piena a livello di realizzazione nella situazione del discorso (Manetti, L’enunciazione, 2008, p. 11). È questo il modo in cui il linguaggio ha risolto il problema della comunicazione. Benveniste: «L ’ importanza della loro funzione è direttamente proporzionale alla natura del problema che aiutano a risolvere, quello cioè della comunicazione intersoggettiva. Il linguaggio lo ha risolto creando una serie di “segni vuoti”, non referenziali rispetto alla realtà, sempre disponibili e che diventano “pieni” non appena il parlante li assume in una istanza qualsiasi del discorso […] il loro compito è quello di fornire lo strumento di quella che potremmo chiamare conversione del linguaggio in discorso» (p. 141). Carattere universale dei pronomi «I pronomi risultano consegnati e insegnati nelle grammatiche, offerti alla stessa stregua degli altri segni e ugualmente disponibili. Ma dal momento in cui una persona li pronuncia, li assume, ecco che il pronome io, da elemento di un paradigma, si trasforma in una designazione unica, e produce, ogni volta, una nuova persona. Si tratta dell ’ attualizzazione di un ’ esperienza essenziale; è inconcepibile che una lingua manchi di uno strumento del genere.»(p. 37) L’universalità di queste forme induce a pensare che il problema dei pronomi sia insieme un problema di linguaggio e un problema di lingua, o meglio, che sia un problema di lingua solo in quanto è innanzitutto un problema di linguaggio (p. 138). Origine deittica dell’enunciazione L’origine deittica dell’enunciazione, il punto zero delle coordinate deittiche, è il parlante. Benveniste lo chiama “istanza enunciativa”. L’origine deittica è composta da “io, qui, ora” (Bühler, Sprachtheorie, 1934) “L’enunciato contenente io appartiene a quel tipo o livello di linguaggio che Morris chiama pragmatico e che include, con i segni, coloro che se ne servono” (La natura dei pronomi, p. 138-139) Il pronome io non ha una referenza fissa, oggettiva e costante, ma ne assume una ogni volta differente in ciascuna delle situazioni di discorso in cui un individuo si designa come io: “Io significa ‘la persona che enuncia l’attuale istanza di discorso contenente io’” (p. 139) L’ unica realtà alla quale i pronomi personali di prima e seconda persona fanno riferimento è la realtà del discorso: essi appartengono alla situazione del discorso o al “ processo di enunciazione linguistica”. La deissi è contemporanea alla situazione di discorso. La soggettività nel linguaggio “È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce in quanto soggetto, perché solo il linguaggio fonda nella realtà […] il concetto di “ego”” (Della soggettività nel linguaggio, p. 112) Nella lingua la soggettività è contenuta in modo virtuale, perché le espressioni che servono a costruirla vi sono depositate e aspettano che un locutore le faccia proprie in un atto concreto di enunciazione. “Per soggettività si intende qui “la capacità del parlante di porsi come “soggetto”, “unità psichica trascendente rispetto alla totalità delle esperienze vissute che riunisce e assicura il permanere della coscienza” (ibid.). (cfr. l’io penso di Kant) Questa soggettività “è ego che dice “ego””. Ecco il fondamento della soggettività che si determina attraverso lo status linguistico della persona. “Io” realizza l’inserzione del locutore in un momento nuovo del tempo e in un tessuto diverso di circostanze e di discorso (Il linguaggio e l’esperienza umana, 1965, p. 36) Questione È solo nelle lingue che si può trovare l’espressione formale della soggettività o anche in altri sistemi linguistici? Risposta di Benveniste: solo nelle lingue perché solo qui si trovano espressioni a referenza variabile come il pronome io. Claudine Normand (1986) mette in evidenza però che la nozione di soggettività in Benveniste va assunta con molta cautela, perché spesso somma in sé tre nozioni distinte: grammaticale, psicologica e filosofica. Secondo molti interpreti è stata data eccessiva attenzione alla nozione di soggettività in Benveniste (contesto degli anni settanta: intrecci tra psicoanalisi, linguistica e marxismo). Inoltre Benveniste smitizza la nozione filosofica di soggettività come coscienza di sé irriducibile agli altri: l’analisi della soggettività è qui al contempo un’analisi della alterità con forti sfumature pragmatiche. Costitutiva dialogicità del linguaggio La coscienza di sé avviene solo per contrasto e in relazione a un tu e questo tipo di opposizione non ha equivalenti fuori della lingua: «Io non uso io se non rivolgendomi a qualcuno, che nella mia allocuzione è un tu (Della soggettività nel linguaggio, p. 113) “Ogni uomo si pone nella sua individualità in quanto io che si rapporta a un tu e a un egli”. Ciò che può apparire come un comportamento istintivo, riflette invece una struttura di opposizioni linguistiche inerenti al discorso. Cornice figurativa L’enunciazione è caratterizzata dalla accentuazione della relazione discorsiva con il partner. Come forma di discorso, l ’ enunciazione pone due figure, ugualmente necessarie, una l ’ origine, l ’ altra l ’ esito della enunciazione. È la struttura del dialogo. (L’apparato formale della enunciazione, p. 124) Malinowski ha evidenziato in questa dimensione la comunione fàtica, come fenomeno psicosociale del funzionamento linguistico: «Ogni enunciazione è un atto volto direttamente a collegare l ’ ascoltatore al locutore, attraverso una qualche forma di sentimento, sociale o di altra natura. Ancora una volta, il linguaggio, in questa funzione, appare non come uno strumento per pensare, ma come un modo di agire» (cit. p. 126). La comunione fatica è una forma convenzionale di enunciazione ripiegata su di sé, gratificata della propria attività, senza implicazioni di oggetto, di finalità, di messaggio, pura enunciazione. Correlazione di personalità Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946) La grammatica araba mette in luce interessanti opposizioni tra le tre persone: La prima persona è al-mutakallimu = colui che parla La seconda è al-muhatabu = colui che ascolta La terza è al-ya’ibu = colui che è assente (dalla situazione di discorso definita dalle prime due persone) Persona designa soltanto le due entità io-tu che delimitano la situazione di intersoggettività comunicativa. La terza persona è una non-persona, l’assente della grammatica araba. In molte lingue la terza persona presenta un demarcatore zero o il puro tema, mentre le prime due presentano desinenze specifiche per le rispettive persone. Nell’inglese moderno è invece la terza persona ad essere marcata (-s) rispetto alle prime due. La correlazione di personalità oppone dunque le persone io-tu alla non-persona egli. Nelle prime due persone sono implicati sia una persona che un discorso su questa persona […] nella terza persona invece si enuncia un predicato ma soltanto al di fuori dell’io-tu (p. 130-131). Correlazione di soggettività Entrambi interni all ’ atto del discorso, io e tu manifestano la categoria di persona ma di essi solo uno alla volta assume il linguaggio come soggetto, designandosi come io. La polarità delle persone è la condizione fondamentale del linguaggio, la soggettività si determina attraverso lo status linguistico della persona (p. 113) La correlazione di soggettività oppone la persona soggettiva io alla persona non soggettiva tu. Termini complementari e reversibili ma non simmetrici (p. 113). Io e tu si inscrivono in uno spazio che non è solo linguistico ma prima di tutto pragmatico, perché si definiscono a partire dall’atto cui essi stessi danno realizzazione. Correlazioni di personalità e di soggettività Personalità + – Soggettività – + Io Tu Egli Possibili usi della terza persona Forme di cortesia: Lei (italiano), Sie (tedesco), elevano l’interlocutore al di sopra della condizione di persona e del rapporto tra pari. Forme di disprezzo, che annientano l’individuo come persona, non rivolgendosi “personalmente” a lui. Ma anche indice di rappresentazione obiettiva, non personale: «la non-persona è l ’ unico genere di enunciazione possibile per le istanze del discorso che non rinviano a se stesse, ma predicano il processo di persone o cose fuori dalla istanza stessa, eventualmente dotate di una referenza oggettiva» (p. 142). Le forme plurali I pronomi io e tu non sottostanno ai normali procedimenti di pluralizzazione nominale: «nei pronomi personali il passaggio dal singolare al plurale non implica una semplice pluralizzazione […] “noi” non è una moltiplicazione di oggetti identici ma una giunzione tra l‘“io” e il “non-io”. Tale giunzione forma una totalità nuova e tutta particolare in cui i componenti non si equivalgono: in “noi” è sempre “io” che predomina, in quanto vi è “noi” solo a partire da “io” […]. La presenza dell’”io” è costitutiva del “noi”» (p. 135). Alcune lingue poi distinguono due forme del “noi”: una inclusiva, l’altra esclusiva. Nelle lingue europee: forma “maiestatica” del noi: “io dilatato” oppure “di modestia”. Noi inclusivo o esclusivo “ Noi ” può significare sia “ me+voi ” sia “ me+loro ” . Sono le forme inclusive ed esclusive a differenziare il plurale del pronome e del verbo di prima persona in gran parte delle lingue amerinde, australiane, in papuano, in maleopolinesiano, in dravidico, in tibetano”, ecc. “Qui il fatto essenziale è che la distinzione tra una forma inclusiva e una forma esclusiva si modella in realtà sulla relazione tra la prima e la seconda singolare e la prima e la terza singolare.” “Nel “noi” inclusivo è il “tu” a essere messo in rilievo, mentre nel “noi” esclusivo, opposto a tu, voi, risalta l ’ io. Le due correlazioni che organizzano il sistema delle persone al singolare si manifestano così nella duplice espressione del noi”(p. 136) Noi come amplificazione “Nelle lingue indoeuropee, “noi” non è un “io” quantificato o moltiplicato, ma un “io” dilatato al di là della persona in senso stretto, accresciuto e con contorni vaghi. Ne risultano […] due usi opposti, non contraddittori. Il “noi” amplia l’”io” rendendolo una persona più solida, più solenne e meno definita – è il “noi” maiestatico; il “noi” attenua l’affermazione troppo decisa di “io” in un’espressione più larga e diffusa: è il “noi dell’autore e dell’oratore” (p. 137). In generale la pluralizzazione del noi è un fatto di illimitatezza, non di moltiplicazione: la distinzione abituale tra singolare e plurale è una distinzione tra persona ristretta e persona dilatata. Possibili applicazioni Pronomi nel giornalismo Fairclough (1989:127-8) segnala la frequenza della forma inclusiva del noi negli editoriali politici. Implicazioni: il giornalista ha l’autorità di dar voce ai cittadini; rafforzamento dell’ideologia collettiva che enfatizza l’unità anziché la rappresentazione di prospettive specifiche. Loporcaro (2005): Il noi nel Tg è indicatore di complicità tra giornalista e spettatatore; il notiziario mira a presentarsi come voce della comunità, costruzione di un soggetto collettivo (noi inclusivo), manifestazione di un patto di reciproca appartenenza tra emittente e destinatario. Identificazione del giornalista con il pubblico Fusione fra l’istanza narrante e il pubblico in un tutto indistinto che è l’opposto di quanto si richiederebbe per una informazione referenziale (Loporcaro 2005:126). Discorso complice e non critico (Calabrese e Volli, I telegiornali:istruzioni per l’uso, 1995: 234-35) Obiettivo: ribadire vincoli affettivi e ideologici Nella comunicazione aziendale Il ricorso al noi può servire a enfatizzare gli sforzi degli amministratori e la positività dei risultati ottenuti (noi esclusivo), mentre i risultati meno positivi vengono presentati in modo impersonale (declinazione della responsabilità). L’uso della II pers. può servire invece a stimolare un senso di appartenenza nel destinatario. L ’ uso del passivo crea un ’ impressione di oggettività e di non responsabilità degli agenti (frequente anche nelle cronache sportive) oppure segnala un maggior distacco del narratore (cfr. Santulli, Le parole del potere, il potere delle parole, Angeli, 2005: 110) Nel discorso politico Il discorso politico non è (o almeno è solo in parte) discorso rappresentativo. Non è un insieme di enunciati in rapporto cognitivoreferenziale con il reale. Anziché mirare ad una rappresentazione fedele degli eventi, il discorso politico costruisce il suo soggetto in forma attanziale (Greimas 1966), cioè come un sistema di ruoli in correlazione al suo antisoggetto (la figura del rivale, dell’antagonista). (Desideri 1999:394) Embrayage attanziale: identificazione dell’enunciatario con il soggetto enunciatore (adesione del parlante al contenuto dell’enunciazione): ricorso alle citazioni, repliche, negazioni, confutazioni Discorso polemico, e in generale propagandistico Ma anche ricerca di coesione e di identificazione Débrayage attanziale: cancellazione dell’enunciatore attraverso i tratti formali del discorso descrittivo e oggettivo (prevalenza della III persona e della forma impersonale o passiva) Discorso didattico Effetto di distanziamento che si raggiunge anche quando in un discorso politico il parlante fa riferimento a se stesso in quanto ruolo istituzionale (descrizioni definite / non-io). Risultato: enfatizzazione dell’importanza e della sacralità del ruolo e deresponsabilizzazione del soggetto Embrayage: Il noi nel modello del contatto: Mussolini, Il primo anniversario della marcia su Roma, 28 ottobre 1923: Camicie Nere! Noi ci conosciamo; fra me e voi non si perderà mai il contatto uso pletorico del noi inclusivo e aggregante Mussolini, Al popolo di Mantova, 25 ottobre 1925: I miei non sono discorsi, nel senso tradizionale della parola: sono allocuzioni, prese di contatto tra la mia anima e la vostra, tra il mio cuore e i vostri cuori. I miei discorsi non hanno quindi nulla di comune con i discorsi ufficiali e compassati pronunciati in altri tempi da uomini in troppo funeree uniformi, uomini che non potevano parlare direttamente al popolo perché il popolo non li comprendeva e non li amava Ricorso privilegiato al campo semantico del sentimento (anima, cuore, spirito, fede) Esaltazione del rapporto immediato e quasi corporeo tra il capo del governo e la comunità (processo di rispecchiamento). La comunità preesiste all ’ individuo che le appartiene in modo necessario (evocazione dell’identità collettiva). Questo è il principio organizzatore dello stile di Mussolini: espressione di una identificazione sentimentalizzata (non argomentata) tra oratore e uditorio Svilimento della parola come strumento di mediazione e di rappresentazione e esaltazione di una immediatezza irriflessa, istintiva e emozionale che trascina all’azione Molteplicità di atti linguistici esercitivi Fedel, Il linguaggio politico nel Novecento: il caso di Benito Mussolini, in Id., Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Giuffrè, 1999: Elementi del discorso agitatorio di Mussolini Andamento paratattico della retorica mussoliniana: Componente ritmica (asemantica) stimolo all’azione espressione di una appartenenza naturale Perentorietà, sottrazione al dialogo (Mussolini si presenta come l’unico portatore della verità e dei valori) Assenza di problematicità, certezza, che intensifica l’adesione dell’uditorio e l’orientamento all’azione Obiettivo: far sentire l’esistenza della comunità Spinta emotiva Drammatizzazione: rappresentazione scenica dell’azione, del gesto, della parola Presenza abbondante di tropi: Metafore religiose Metafore belliche Metafore medico-chirurgiche Modello del contratto Campagne socialiste dal 1979 in poi (Craxi): manifesta enunciazione di contratti programmatici ed esplicita richiesta di mandati fiduciari: abbiamo proposto agli elettori un contratto. Se ci daranno forza, promettiamo in cambio di lavorare per garantire al paese cinque anni di stabilità e governabilità (Craxi, intervista al Messaggero, 13 maggio 1979) Noi esclusivo Insistenza sull’atto commissivo (tipico della propaganda politica) cfr. Desideri, La comunicazione politica: dinamiche linguistiche e processi discorsivi, in Gensini 1999 Embrayage+débrayage Prodi 1996 Sento, parlando oggi in quest’aula, nella veste di presidente del consiglio, tutto il peso della mia personale responsabilità. È il grande peso della nostra storia, di cui questo parlamento conserva la memoria più preziosa e di cui è l’espressione più alta. Di fronte a questo parlamento, che è il punto di riferimento di tutte le nostre istituzioni, il governo sente forte l ’ esigenza di rinnovamento espressa dal popolo italiano. Esso, per la prima volta nella storia unitaria, ha indicato in una grande inedita coalizione popolare lo strumento per dare avvio a una nuova fase della vita della repubblica. Embrayage Berlusconi 2001 Sette anni fa presentammo in quest’aula il programma del nostro primo governo. Da allora molte cose sono cambiate e ciascuno di noi ha imparato molto dai dati della vita e della politica. Ma consentitemi di cominciare con una frase schietta, diretta, semplice: noi siamo qui per lo stesso motivo di allora, vogliamo cambiare l ’ Italia. Lo faremo pacificamente, nell’ordine, nel libero dibattito democratico, guardando ai valori fondamentali della persona scolpiti nella costituzione della nostra repubblica, nel rispetto intransigente dei diritti civili di tutti e di ciascuno, ma lo faremo. Lo faremo nella legalità, in piena integrazione nel sistema istituzionale vigente e nel rispetto di tutti i poteri costituzionali dello stato, ma lo faremo. Lo faremo nell’ottimismo, che non c’è mai mancato, nello spirito di fiducia e di cooperazione con tutti coloro che mostrano buona volontà, e anche in un clima sereno, ma lo faremo. Perché il paese che noi tutti amiamo ha il diritto di compiere e completare al meglio la lunga e difficile transizione che ha investito il suo sistema politico e costituzionale. C’è un capitolo da chiudere definitivamente: ed è quello della vecchia politica. E c’è un capitolo tutto da scrivere: quello di un nuovo modo di far politica. Caratteri dei discorsi didattici Sequenze referenziali e veridittive: trasmissione del sapere e del far-credere Uso della terza persona e della forma impersonale: il soggetto dell’enunciazione è occultato all’interno del proprio enunciato: debrayage attanziale Forme discorsive descrittive, scientifiche, storiche Assenza di confronti con altri enunciati Il fine è spingere il ricevente a identificarsi con i contenuti dei messaggi L’adesione dell’uditorio è presupposta Gli oggetti di accordo restano impliciti Un discorso oggettivo con stile neutro in terza persona può essere altrettanto manipolativo di un discorso soggettivo Esempio di discorso didattico Enrico Berlinguer: prosa austera di tono quasi scientifico, sequenze argomentative centrate sui rapporti di causa-effetto, mezzo-scopo Discorso del 20 settembre 1981: struttura di tipo elencativo, forma della enumerazione: I guasti profondi che tensione e guerra fredda producono nel mondo di oggi: limitano e soffocano l’autonomia, l’indipendenza e la sovranità di un numero grande di popoli e stati; Portano, nelle forme più varie, a restringere e a coartare in tutti i sistemi sociali la libertà e i diritti democratici Complicano la soluzione dei problemi economici e sociali all’interno di tutti i paesi, da quelli più poveri a quelli più ricchi Avvelenano gli animi, generano paura e odi tra gli uomini e fra i popoli, alimentano sfiducia, spengono la ragione e sfibrano le energie; ………. Pace e sviluppo, dunque: due obiettivi che possono e debbono essere comuni a tutte le forze, le istituzioni, le organizzazioni che hanno a cuore le sorti dell’uomo.(cit. in Desideri, p.181) Discorso polemico Molto frequente, in linea con la natura competitiva della politica Esplicitazione degli oggetti di accordo Confronto con la parola degli avversari (spesso manipolata): Strategie della citazione: allusione, replica, negazione, confutazione, obiezione Strategie di embrayage attanziale finalizzati alla identificazione dell’enunciatario con il soggetto enunciatore Esempi del discorso polemico Alcide De Gasperi (discorso al Senato, 22 luglio 1948, polemico con il socialista Giua): polemica garbata con l ’ avversario politico, tono interlocutorio: L’onorevole Giua ha accennato alla concezione originaria cristiana, che renderebbe facile la collaborazione con i comunisti, paragonati da lui ai cristiani e specialmente a quella frazione di cristiani del tempo di Tertulliano. Egli ha detto che il Cristo storico è un liberatore di schiavi. No! È una concezione errata…. (cit. in Desideri, La comunicazione politica: dinamiche linguistiche e processi discorsivi, p. 174) Più aspro il tono del discorso alla Camera del 28 luglio 1953 (presentazione del suo VIII e ultimo governo) …ma voi opposizioni, siete forse d’accordo tra voi? Voi vi unite in un atto negativo; ma siete capaci di unirvi in un atto positivo? Aldo Moro; forti accenti polemici nei confronti degli avversari interni alla Dc (dorotei); uso frequente del paradosso, dell’antitesi e dell’ossimoro Discorso del 18 gennaio 1969 Non credo che occorra aggiungere altro, per dire che significato io intendo dare alla sollecitazione al Congresso, all’invito pressante ad aprire finalmente le finestre di questo castello nel quale siamo arroccati, per farvi entrare il vento che soffia nella vita, intorno a noi. Non è un fatto di politica interna di partito, di distribuzione o redistribuzione del potere. Io non so che fare di queste cose (cit. in Desideri, p. 178) Discorso del 29 giugno 1969, XI Congresso della Dc Sarebbe un grave errore, un errore fatale, restare in superficie e non andare nel profondo; pensare in contingenza, invece che di sviluppo storico. Tocca alle forze politiche e allo Stato creare in modo intelligente e rispettoso i canali attraverso i quali la domanda sociale e anche la protesta possano giungere a uno sbocco positivo, ad una società rinnovata, ad un più alto equilibrio sociale e politico (cit. in Desideri, p. 177) Linguaggio della provocazione Contesta le regole del gioco politico Es. i discorsi di Pannella: toni di voce acuti, ritmo martellante; particolari modalità espressive e riformulazione semantica; parole chiave: sfascio, ammucchiata, silenziamento (per parlamento), scippare, imbavagliare, sgovernare. Ricorso all’iperbole e al paradosso Teatralizzazione della propria immagine Bossi: semplificazione semantico-grammaticale, invettiva verbale centralità del dialetto nella duplice funzione di collante etnico per l’autoriconoscimento delle genti lombarde e di rottura con la lingua italiana standard come codice ufficiale dello statalismo. Fallacie: “stia bene attento il presidente Scalfaro...noi facciamo lo sciopero fiscale” (argumentum ad baculum) Formule: “uomo avvisato mezzo salvato” Il linguaggio della semplificazione Berlusconi (1994, in Galli de’ Paratesi, La lingua di Berlusconi): Nel 1993 c ’ era una gran voglia di cambiamento, una voglia di rinnovamento del modo stesso di far politica, una voglia di rinnovamento morale, una voglia anche del modo di esprimersi della politica in maniera diversa. Non più quel linguaggio da templari che nessuno capiva: si sentiva il bisogno di un linguaggio semplice, comprensibile, concreto. Il linguaggio diviene un esplicito elemento di propaganda: semplificazione semantica e sintattica; scarso il ragionamento dialettico e la riflessione politica Appello enfatico all’affetto, sentimentalismo, pietismo, condivisioni emotive; metafore religiose Fallacie: “ Prodi ha la faccia larga e pastosa di un dottor Balanzone” (attacco alla persona dell’avversario: argumentum ad hominem)