Semiotico e semantico
Non coincide con la distinzione saussuriana langue/parole:
mette a fuoco due modalità fondamentali della funzione linguistica,
quella di significare – relativa alla semiotica –, e quella di comunicare
– relativa alla semantica.
La nozione di comunicare introduce al campo della lingua nel suo
impiego in atto. Qui si considera della lingua la sua funzione
mediatrice tra uomo e uomo e tra uomo e mondo, fra la mente e le
cose: la funzione della lingua di organizzare l’intera vita degli umani,
la lingua come mezzo di descrizione e di ragionamento (p. 64).
Semiotico

Il semiotico è l’ordine di significanza del segno come unità di un
sistema, tessuto di relazioni tra segni: esso va semplicemente
riconosciuto (cfr. p. 20, riconoscere = percepire l’identità tra il dato e
l ’ anteriore o il virtuale). È una proprietà della lingua, gli
appartengono il segno e il paradigma. Chi dice semiotico dice
intralinguistico (p. 63).

In semiotica non ci si occupa mai della relazione del segno con le
cose designate, né dei rapporti tra lingua e mondo: il potere
significante della lingua supera ampiamente quello di dire qualcosa
(p. 68).
Semantico

Il semantico è il modo di significanza della produzione di messaggi
che hanno referenti: essi vanno compresi (p. 20; comprendere =
percepire la significazione di una nuova enunciazione). Dipende dal
locutore che mette in azione la lingua e comprende le parole e il
sintagma.

Ricoeur osserva che il concetto di semantica in Benveniste permette
di ristabilire una serie di mediazioni fra il mondo chiuso dei segni
(semiotica) e la presa che il nostro linguaggio in quanto semantica
ha sul reale.

La sua terminologia è diversa però da quella diffusa in linguistica e
di provenienza logica, risalente a Charles Morris, Foundations of the
Theory of Signs, 1938 (cfr. Caffi, p. 20).
La lingua è il solo sistema che comprenda entrambe le dimensioni, quella
semiotica e quella semantica (anche se nelle patologie del linguaggio questi
due modi sono spesso dissociati) (relazione con la teoria dei due campi,
indicativo e simbolico, di Bühler, Sprachtheorie, 1934).

La lingua significa in un modo specifico che nessun altro sistema è in grado
di riprodurre; è un modello di sistema semiotico nella sua struttura formale e
nel suo funzionamento; è investita cioè di una doppia significanza, in
quanto combina il modo semiotico e il modo semantico:




È costituita da unità distinte, i segni (livello semiotico)
Si manifesta attraverso l’enunciazione sempre ancorata a una situazione data
(livello semantico)
È prodotta e ricevuta secondo i medesimi valori condivisi da una comunità
È l’unico mezzo per la comunicazione intersoggettiva

Gli altri sistemi hanno o il semiotico senza il semantico (p.e. gesti di
cortesia), o il semantico senza il semiotico (espressioni artistiche). Questa
caratteristica conferisce al linguaggio verbale la capacità metalinguistica e
ne fa perciò l’interpretante di tutti gli altri sistemi.

La distinzione tra semiotico e semantico vale anche per le condizioni della
traduzione: si può trasporre la semantica da una lingua all’altra, ma non la
semiotica.
Semantica e comunicazione
“ La nozione di semantica introduce al campo della lingua nel suo
impiego e in atto; della lingua consideriamo questa volta la sua
funzione di mediatrice fra l’uomo e l’uomo, l’uomo e il mondo, fra
la mente e le cose, cioè la funzione di trasmettere informazioni,
comunicare esperienze, imporre adesioni, suscitare risposte,
implorare, costringere: in breve, quella di organizzare l’intera vita
degli uomini. Si tratta della lingua come mezzo di descrizione e di
ragionamento. Solo il funzionamento semantico della lingua
consente l’integrazione nella società e l’adeguamento al mondo,
quindi l’organizzazione del pensiero e lo sviluppo della coscienza”
(pp. 64-65) .
Excursus
Il problema del significato


La nozione di significato è una delle più complesse e
controverse
Tre aspetti sotto i quali è stato pensato sono:



- il significato come relazione tra linguaggio e mondo (approccio
filosofico-linguistico): semantica referenziale o vero-condizionale
- il significato come relazione interna al linguaggio, che comporta
un modello componenzialista (prospettiva strutturalista)
Il significato come prototipo (prospettiva psicologico-cognitiva)
(cfr. Patrizia Violi, Significato ed esperienza, Bompiani, 2007)
Semantica referenziale
o vero-condizionale


Sorge all’inizio del Novecento in ambito filosofico e si
sviluppa nell’area di ricerca di indirizzo analitico, nel
contesto della cosiddetta ‘svolta linguistica’.
Tre fattori caratterizzano questa prospettiva:



Forte attenzione per gli aspetti logici del linguaggio
Focalizzazione sui rapporti tra linguaggio e mondo
(referenzialismo)
Una netta separazione tra semantica e processi psicologici del
pensiero (antipsicologismo).
Relazione lingua-mondo

Diretta, senza alcuna mediazione tra i segni e la
realtà extralinguistica (modalità sviluppata sia
nella teoria del significato di Russell, sia in
quelle più recenti di Quine e di Kripke)

Indiretta, attraverso la mediazione di nozioni che
collegano la prima al secondo (modalità
sviluppata a partire da Frege)
Senso e riferimento
(Frege, Über Sinn und Bedeutung,
1892)

Il segno (Zeichen), che per Frege può avere diversi
formati (dal singolo termine alla espressione composta,
all’enunciato), fa riferimento agli oggetti extra linguistici
e agli stati di cose passando attraverso la mediazione di
un’entità, il senso (Sinn), nozione che indica la maniera
attraverso cui il riferimento stesso (Bedeutung) è dato.

Senso e riferimento sono nozioni formali e oggettive e
vanno tenute distinte da una terza nozione, di ordine
psicologico, la rappresentazione (Vorstellung) (immagine
soggettiva, basata su impressioni sensibili e ricordi).
Modello di Frege
Senso
Sinn
Segno
Zeichen
Rappresentazione
Vorstellung
Riferimento
Bedeutung
La semantica di impostazione
strutturalista



La semantica è vista come una dimensione autonoma
rispetto ad ogni dimensione esterna al sistema
(antireferenzialismo)
La semantica si distingue anche dalla dimensione
introspettivo-psicologica che aveva caratterizzato
l ’ impostazione pre-strutturalista del problema
(antipsicologismo)
Il significato di un termine non ha come contropartita un
oggetto extralinguistico o un’entità psicologica, ma tutti
gli altri termini del sistema, dai quali si differenzia.
La componenzialità del
significato
Inventario di figure di contenuto, tratti semantici minimali. Ognuna delle unità della
matrice deriva dall’incontro di due figure, o tratti semantici, che la compongono
“maschio”
“femmina”
“ovino”
montone
pecora
“suino”
porco
scrofa
“bovino”
toro
vacca
“equino”
stallone
giumenta
“ape”
fuco
pecchia
“umano”
uomo
donna

Al centro del procedimento che permette di individuare le unità
minime invarianti sta la prova di commutazione

Le unità di significato così individuate sarebbero “primitivi
semantici”, le componenti ultime del piano del contenuto; attraverso
un numero limitato di atomi semantici sarebbe possibile analizzare
qualunque concetto
Obiezioni:
– l’inventario dei cosiddetti primitivi semantici non appare chiuso;
– se pure si riuscisse a ottenere un inventario di unità che costituiscono
i termini definitori, esso sarebbe altrettanto grande quanto quello dei
termini da definire, e dunque il modello perderebbe qualunque
carattere di produttività
– i cosiddetti primitivi semantici appaiono a loro volta scomponibili e
dunque non primitivi, per esempio “ovino” può essere scomposto in
“animale” e “mammifero”.
 In conclusione: il sistema semantico non appare riconducibile a un
inventario chiuso di primitivi.

Semantiche a tratti o modello delle
condizioni necessarie e sufficienti
Si rinuncia qui alla possibilità di trovare elementi ultimi finiti ma si conserva il
principio di composizionalità: si ritiene possibile scomporre i significati delle parole
in una serie di tratti semantici, che non appartengono a un insieme chiuso, pur
rispondendo a condizioni necessarie e sufficienti.
Campo
semantico
Sedili
soffice
un posto
braccioli
schienale
4 gambe
sedia
–
+
–
+
+
poltrona
+
+
+
+
+
sofà
+
–
+
+
+
sgabello
–
+
–
–
–
pouf
+
+
–
–
–
Obiezioni:
– Esistono termini che rimandano a concetti sfumati, il cui significato non è
definibile per presenza o assenza di un tratto ma per una maggiore o
minore partecipazione ad un concetto: Labov, 1973, sul campo semantico
che include tazza, scodella, ciotola, piatto: è spesso difficile assegnare un
oggetto ad una categoria o all’altra, nominandolo.
Man mano che ci si allontana dalle rappresentazioni standard si entra in un
terreno di vaghezza in cui un determinato oggetto può essere definito
alternativamente come tazza, bicchiere, ciotola.
Es. è possibile definire “vedova” una donna divorziata tre volte che uccide il
terzo marito? È possibile definire “scapolo” un omosessuale che convive
con il proprio compagno da molti anni? (Manetti, Comunicazione, 2011:109)

Le semantiche a condizioni necessarie e sufficienti prevedono un tipo
dizionariale di conoscenza: qui le componenti fondative e basilari del
significato sono analitiche, e caratterizzate da relativa stabilità.
Una possibile soluzione è fare riferimento al modello enciclopedico di
conoscenza
Semantica cognitiva
Lo studio del significato appare inscindibile dallo studio dei
processi mentali attraverso i quali i contenuti semantici
vengono costruiti



Recupero del rapporto tra semantica e comprensione
La semantica non è assunta come dimensione
autonoma dai processi di conoscenza
Necessità di definire il rapporto tra significato e concetto
Semantica del prototipo

Studio dei processi di categorizzazione in cui il confine tra dimensione
linguistica e non linguistica appare molto problematico

Modello di Eleonor Rosch (1978): il modo in cui la lingua dà forma
strutturale al mondo attraverso il lessico non è arbitrario, ma dipende in
parte da come il mondo stesso si presenta strutturato e in parte dai bisogni
comunicativi dei parlanti: organizzazione verticale delle categorie (livello
sovraordinato, livello di base e livello subordinato): organizzazione
orizzontale, interna cioè alla singola categoria (questione del prototipo);

Teoria estesa del prototipo (anni Novanta): il prototipo non è più inteso
come oggetto o classe di oggetti ma come costrutto mentale (concetto),
caratterizzato da un insieme di proprietà astratte: l’accento è posto sulle
qualità salienti di una categoria anziché sulle entità o oggetti che la
rappresentano (effetti prototipici). Il linguaggio viene qui rappresentato
come una rete che si proietta su un continuum non differenziato, ma
all’interno del quale si danno salienze (percettive o culturali) sulla cui base
operare giudizi di somiglianza (Manetti 2011:117)
Pensiero e linguaggio
per Benveniste
Categorie di pensiero e categorie di lingua (1958)
Benveniste discute la convinzione diffusa che pensare e parlare siano
attività essenzialmente distinte, tenute insieme solo dalla necessità
pratica del comunicare.
Tesi di Benveniste: il contenuto del pensiero prende forma solo quando
viene enunciato. Riceve forma dalla lingua e nella lingua, matrice di
ogni espressione possibile.
La forma linguistica è la condizione di trasmissibilità del pensiero, ma
anche e soprattutto la sua condizione di realizzazione. Noi cogliamo
il pensiero solo quando è già conforme agli schemi della lingua.
A rigore, il pensiero non è una materia alla quale la lingua fornirebbe
una forma, perché in nessun istante questo contenente può essere
immaginato vuoto del suo contenuto, né il contenuto sganciato dal
suo contenente (pp. 76-77) (cfr. saggio sulla natura del segno).
Metodo



Il problema qui posto ha una storia bimillenaria.
Per poterlo discutere occorre scendere nel concreto di
una situazione storica e scandagliare le categorie di un
pensiero e di una lingua specifici.
Le categorie aristoteliche offrono l’inventario dei concetti
che organizzano l’esperienza, la totalità dei predicati
che si possono affermare dell’essere.
Analisi delle categorie aristoteliche
Aristotele
(categorie di pensiero)
Sostanza (ousia)
Quanto (poson)
Quale (poion)
Relazione (pros ti)
Dove (pou)
Quando (poté)
Fare (poiein)
Subire (paskhein)
Giacere (keisthai): posizione
Avere (ekhein): stato
Benveniste
(categorie di lingua)
Sostantivo
Aggettivo di quantità
Aggettivo di qualità
Aggettivo comparativo
Avverbio di luogo
Avverbio di tempo
Diatesi attiva
Diatesi passiva
Diatesi media es. “è sdraiato”, “è seduto”
Perfetto greco es. “è calzato”, “è armato”
Con la tavola delle categorie Aristotele intendeva passare in rassegna
tutti i possibili predicati della proposizione, a condizione che ogni
termine fosse un significante a sé […]. Inconsciamente il filosofo ha
adottato il criterio empirico di un’espressione distinta per ciascun
predicato. È arrivato dunque a ritrovare, senza volerlo le distinzioni
fra le principali classi di forme che la lingua manifesta.
Aristotele pensava di definire gli attributi degli oggetti, ed enuncia
invece entità linguistiche: è la lingua che, grazie alle proprie
categorie, permette di riconoscerli e di specificarli.
Ciò che si può dire delimita e organizza ciò che si può pensare. La
lingua fornisce la configurazione fondamentale delle proprietà che la
mente riconosce alle cose. La tavola dei predicati istruisce,
innanzitutto, sulla struttura delle classi di una lingua specifica. La
proposta di Aristotele di un quadro di condizioni generali e
permanenti si risolve invece nella proiezione concettuale dello stato
di una determinata lingua. (p. 82)
Trapezio semiotico
(Stoici, cfr. A. Ancillotti)
Dicibile/
Campo noetico
espressione
Pensiero linguisticamente
non formato
Realtà esterna
Due opposte illusioni


Che la lingua sia solo uno strumento di espressione del pensiero
Che in quanto insieme ordinato, la lingua contenga in sé una
logica intrinseca alla mente, cioè esterna e anteriore alla lingua.
La mente va intesa come virtualità non come schema, come
dinamismo più che come struttura.
Nessuna lingua specifica può di per sé favorire o impedire l’attività
mentale. Lo sviluppo del pensiero è legato più alle condizioni
culturali della società che a una lingua specifica (cfr. Ascoli, 1872).
Ma la possibilità del pensiero è legata alla facoltà di linguaggio […]
pensare vuol dire elaborare i segni della lingua.
Linguistica della lingua e
linguistica del discorso

Si tratta di due universi eterogenei, benchè attinenti alla stessa
realtà e che danno luogo a due linguistiche diverse: Da un lato c’è
la lingua, insieme di segni formali, rilevati da procedure rigorose,
dall ’ altro la manifestazione della lingua nella comunicazione
vivente” (I livelli dell’analisi linguistica, pp. 55-6).

Con l’abitudine siamo diventati insensibili alla profonda differenza
tra il linguaggio come sistema di segni e il linguaggio assunto come
esercizio dall’individuo. Nell’appropriarsi del linguaggio l’individuo
lo trasforma in istanze del discorso, caratterizzate da un sistema di
referenza interna la cui chiave è l’io, e che definiscono l’individuo
tramite la particolare costruzione linguistica adottata quando si
enuncia come locutore (p. 141).

È nel discorso che la lingua si forma e si configura: “nihil est in
lingua quod non prius fuerit in oratione”.
Oltre la distinzione
langue/ parole
La teoria della enunciazione non è una teoria della parole, benchè si
fondi sulla distinzione tra entità virtuali del sistema e loro
realizzazioni concrete, bensì un ampliamento della linguistica della
langue, in quanto studio sistematico degli aspetti deittici (nel senso
di Benveniste, come elementi che si riferiscono all’atto stesso del
dire).
Per Roland Barthes lo strumento con cui Benveniste rinnova l’eredità
saussuriana è l’iscrizione della persona nel linguaggio attraverso
l’istanza del discorso in grado di andare oltre la vecchia dicotomia
langue-parole, oggettivo-soggettivo, individuo-società.
La teoria dell’enunciazione è una teoria pragmatica che tematizza ciò
che manca in Saussure ma anche nella pragmatica di Austin: il
posto del soggetto nel discorso.
Linguistica interna e
linguistica esterna
Mentre la nozione di semiotico copre tutti i fattori della linguistica
interna (Saussure), la nozione di enunciazione apre lo spazio
dell’analisi a quei fattori che prima erano stati relegati all’esterno
del sistema: il soggetto, il referente, il sociale (Manetti,
comunicazione, p. 122).
Il sistema è chiuso rispetto al mondo, che resta esterno al linguaggio.
L’enunciazione fa intervenire invece il locutore che utilizza la lingua e
la possibilità del riferimento al mondo (attraverso l’unità della frase
che porta con sé l’intento del locutore).
Deissi
“Collocazione e identificazione di persone, oggetti, eventi, processi e
attività di cui si parla e a cui si fa riferimento, in relazione al contesto
spazio-temporale creato e mantenuto dall’atto di enunciazione e
dalla partecipazione in esso, tipicamente, di un singolo parlante e di
almeno un destinatario […].Vi è molto nella struttura delle lingue che
può essere spiegato solo assumendo che esse si siano sviluppate
per la comunicazione nelle interazioni faccia a faccia ” (Lyons,
Semantics, 1977, vol. II: 637-38)
La deissi appare determinata dalla posizione del locutore nella
situazione comunicativa; il campo deittico coincide con il campo
percettivo del locutore.
L’indessicalità è una dimensione fondamentale per la pragmatica, in
quanto “ricopre tutti gli aspetti che vincolano le strutture linguistiche
a dei contesti di proferimento” (Caffi 2009:122)
Teoria della enunciazione

Saggi di riferimento





L’apparato formale dell’enunciazione (1970)
La natura dei pronomi (1956)
Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946)
Della soggettività nel linguaggio (1958)
Il linguaggio e l’esperienza umana (1965)
Cos’è l’enunciazione?

Meccanismo di attualizzazione della lingua per produrre un determinato atto
di parole: “è la messa in funzionamento della lingua attraverso un atto
individuale di utilizzazione” (p. 120); atto con cui un soggetto prende in
carico la lingua al fine di istaurare un rapporto di comunicazione
(mediazione tra uomo e uomo e tra uomo e mondo).

È «a un tempo portatore di un messaggio e strumento di azione» (Note
sulla funzione del linguaggio nella scoperta freudiana, 1956).

In quanto «atto stesso di produrre un enunciato», l’enunciazione va distinta
dal suo prodotto, cioè l ’ enunciato o parole (L ’ apparato formale
dell’enunciazione, 1970, p. 120)

L’enunciazione «presuppone un parlante e un destinatario, e l’intenzione
del primo di influenzare in qualche modo il secondo» (Le relazioni di tempo
nel verbo francese, 1959),

Lo studio della enunciazione mette in evidenza che emittente e ricevente e
la loro reciproca posizione sono compresi nei significati degli enunciati.
La mappa della enunciazione
Quadro formale entro cui l’enunciazione si realizza:



Atto di appropriazione della lingua da parte di un locutore
Situazione di intersoggettività propria della enunciazione
Riferimento, che solo l’enunciazione rende possibile
Cfr. L’apparato formale dell’enunciazione (1970), p. 120121
L’apparato formale
dell’enunciazione





Indici di persona: forme linguistiche che rimandano sempre a
individui che fanno parte della situazione di enunciazione e non a
concetti fissi
Indici di ostensione: dimostrativi e avverbi di spazio e di tempo
Forme della temporalità, a partire dal presente come espressione
del tempo coestensivo alla situazione di enunciazione (il presente
linguistico è sui-referenziale): l’unico tempo inerente al linguaggio
e per natura implicito (Il linguaggio e l’esperienza umana, 1965)
Forme della illocutività: verbi performativi, la cui forza specifica si
realizza solo se un determinato soggetto li pronuncia alla prima
persona singolare (cfr. Della soggettività nel linguaggio, 1958)
Modalità, la cui problematica emerge dalla considerazione che il
soggetto ha la possibiltà di marcare il proprio enunciato in vari
modi per indicare il proprio atteggiamento nei confronti del
contenuto.
1. I pronomi




Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946)
La natura dei pronomi (1956)
La soggettività nel linguaggio (1958)
L’apparato formale dell’enunciazione (1970)
Definizione di pronomi:
“classe di “individui linguistici”, forme che rinviano sempre e solo a “individui”,
si tratti di persone, di tempi o di spazi, in opposizione ai termini nominali,
che rinviano sempre e solamente a dei concetti” (L ’ apparato formale
dell’enunciazione, p. 122)
Hanno la funzione di mettere in rapporto costante e necessario il locutore con
la propria enunciazione. La loro caratteristica è quella di rimandare sempre
a delle entità individuali variamente facenti parte della situazione di
enunciazione (e dunque a delle entità mobili e diverse da situazione a
situazione). Per stabilire qual è il loro riferimento bisogna osservare qual è
il soggetto che li enuncia (Manetti, p. 124).
Interno/esterno
mutevole/costante

I pronomi innestano un processo di riferimenti interni al
linguaggio (sui-referenzialità), mentre nel caso dei nomi
il riferimento che viene innescato è esterno

I nomi si riferiscono a nozioni costanti e in un certo
senso oggettive, che nel passaggio dallo stato virtuale
della lingua a quello attuale del discorso non mutano,
hanno una referenza fissa (es. la parola albero)
L’opposizione nomi/pronomi riecheggia la teoria dei due campi di Bühler
(1934): i segni prendono significato in relazione a due grandi campi, quello
simbolico (in cui si collocano i nomi) e quello d ’ indicazione (che si
costituisce tutte le volte che un essere umano prende la parola per
rivolgersi a un altro essere umano).
Pronomi e comunicazione

Come tutte le forme deittiche, anche i pronomi sono privi di
referenza, cioè “vuoti” a livello di langue, ma acquisiscono una
referenza piena a livello di realizzazione nella situazione del
discorso (Manetti, L’enunciazione, 2008, p. 11).

È questo il modo in cui il linguaggio ha risolto il problema della
comunicazione.

Benveniste: «L ’ importanza della loro funzione è direttamente
proporzionale alla natura del problema che aiutano a risolvere,
quello cioè della comunicazione intersoggettiva. Il linguaggio lo ha
risolto creando una serie di “segni vuoti”, non referenziali rispetto
alla realtà, sempre disponibili e che diventano “pieni” non appena il
parlante li assume in una istanza qualsiasi del discorso […] il loro
compito è quello di fornire lo strumento di quella che potremmo
chiamare conversione del linguaggio in discorso» (p. 141).
Carattere universale dei pronomi

«I pronomi risultano consegnati e insegnati nelle grammatiche,
offerti alla stessa stregua degli altri segni e ugualmente disponibili.
Ma dal momento in cui una persona li pronuncia, li assume, ecco
che il pronome io, da elemento di un paradigma, si trasforma in una
designazione unica, e produce, ogni volta, una nuova persona. Si
tratta dell ’ attualizzazione di un ’ esperienza essenziale; è
inconcepibile che una lingua manchi di uno strumento del
genere.»(p. 37)

L’universalità di queste forme induce a pensare che il problema dei
pronomi sia insieme un problema di linguaggio e un problema di
lingua, o meglio, che sia un problema di lingua solo in quanto è
innanzitutto un problema di linguaggio (p. 138).
Origine deittica
dell’enunciazione

L’origine deittica dell’enunciazione, il punto zero delle coordinate deittiche,
è il parlante. Benveniste lo chiama “istanza enunciativa”.

L’origine deittica è composta da “io, qui, ora” (Bühler, Sprachtheorie, 1934)
“L’enunciato contenente io appartiene a quel tipo o livello di linguaggio
che Morris chiama pragmatico e che include, con i segni, coloro che
se ne servono” (La natura dei pronomi, p. 138-139)
Il pronome io non ha una referenza fissa, oggettiva e costante, ma ne
assume una ogni volta differente in ciascuna delle situazioni di
discorso in cui un individuo si designa come io: “Io significa ‘la
persona che enuncia l’attuale istanza di discorso contenente io’”
(p. 139)
L’ unica realtà alla quale i pronomi personali di prima e seconda
persona fanno riferimento è la realtà del discorso: essi
appartengono alla situazione del discorso o al “ processo di
enunciazione linguistica”. La deissi è contemporanea alla situazione
di discorso.
La soggettività nel linguaggio





“È nel linguaggio e mediante il linguaggio che l’uomo si costituisce
in quanto soggetto, perché solo il linguaggio fonda nella realtà […] il
concetto di “ego”” (Della soggettività nel linguaggio, p. 112)
Nella lingua la soggettività è contenuta in modo virtuale, perché le
espressioni che servono a costruirla vi sono depositate e aspettano
che un locutore le faccia proprie in un atto concreto di enunciazione.
“Per soggettività si intende qui “la capacità del parlante di porsi
come “soggetto”, “unità psichica trascendente rispetto alla totalità
delle esperienze vissute che riunisce e assicura il permanere della
coscienza” (ibid.). (cfr. l’io penso di Kant)
Questa soggettività “è ego che dice “ego””. Ecco il fondamento
della soggettività che si determina attraverso lo status linguistico
della persona.
“Io” realizza l’inserzione del locutore in un momento nuovo del
tempo e in un tessuto diverso di circostanze e di discorso (Il
linguaggio e l’esperienza umana, 1965, p. 36)
Questione

È solo nelle lingue che si può trovare l’espressione formale della
soggettività o anche in altri sistemi linguistici?

Risposta di Benveniste: solo nelle lingue perché solo qui si trovano
espressioni a referenza variabile come il pronome io.

Claudine Normand (1986) mette in evidenza però che la nozione di
soggettività in Benveniste va assunta con molta cautela, perché
spesso somma in sé tre nozioni distinte: grammaticale, psicologica e
filosofica. Secondo molti interpreti è stata data eccessiva attenzione
alla nozione di soggettività in Benveniste (contesto degli anni settanta:
intrecci tra psicoanalisi, linguistica e marxismo). Inoltre Benveniste
smitizza la nozione filosofica di soggettività come coscienza di sé
irriducibile agli altri: l’analisi della soggettività è qui al contempo
un’analisi della alterità con forti sfumature pragmatiche.
Costitutiva dialogicità del linguaggio

La coscienza di sé avviene solo per contrasto e in relazione a un tu
e questo tipo di opposizione non ha equivalenti fuori della lingua: «Io
non uso io se non rivolgendomi a qualcuno, che nella mia
allocuzione è un tu (Della soggettività nel linguaggio, p. 113)

“Ogni uomo si pone nella sua individualità in quanto io che si
rapporta a un tu e a un egli”.

Ciò che può apparire come un comportamento istintivo, riflette
invece una struttura di opposizioni linguistiche inerenti al discorso.
Cornice figurativa

L’enunciazione è caratterizzata dalla accentuazione della relazione
discorsiva con il partner.

Come forma di discorso, l ’ enunciazione pone due figure,
ugualmente necessarie, una l ’ origine, l ’ altra l ’ esito della
enunciazione. È la struttura del dialogo. (L’apparato formale della
enunciazione, p. 124)

Malinowski ha evidenziato in questa dimensione la comunione
fàtica, come fenomeno psicosociale del funzionamento linguistico:
«Ogni enunciazione è un atto volto direttamente a collegare
l ’ ascoltatore al locutore, attraverso una qualche forma di
sentimento, sociale o di altra natura. Ancora una volta, il linguaggio,
in questa funzione, appare non come uno strumento per pensare,
ma come un modo di agire» (cit. p. 126). La comunione fatica è una
forma convenzionale di enunciazione ripiegata su di sé, gratificata
della propria attività, senza implicazioni di oggetto, di finalità, di
messaggio, pura enunciazione.
Correlazione di personalità
Struttura delle relazioni di persona nel verbo (1946)
 La grammatica araba mette in luce interessanti opposizioni tra le tre
persone:
La prima persona è al-mutakallimu = colui che parla
 La seconda è al-muhatabu = colui che ascolta
 La terza è al-ya’ibu = colui che è assente (dalla situazione di discorso
definita dalle prime due persone)
Persona designa soltanto le due entità io-tu che delimitano la situazione di
intersoggettività comunicativa. La terza persona è una non-persona, l’assente
della grammatica araba.
In molte lingue la terza persona presenta un demarcatore zero o il puro tema,
mentre le prime due presentano desinenze specifiche per le rispettive persone.
Nell’inglese moderno è invece la terza persona ad essere marcata (-s) rispetto
alle prime due.
La correlazione di personalità oppone dunque le persone io-tu alla non-persona
egli.
Nelle prime due persone sono implicati sia una persona che un discorso su questa
persona […] nella terza persona invece si enuncia un predicato ma soltanto al di
fuori dell’io-tu (p. 130-131).

Correlazione di soggettività


Entrambi interni all ’ atto del discorso, io e tu manifestano la
categoria di persona ma di essi solo uno alla volta assume il
linguaggio come soggetto, designandosi come io.
La polarità delle persone è la condizione fondamentale del
linguaggio, la soggettività si determina attraverso lo status
linguistico della persona (p. 113)

La correlazione di soggettività oppone la persona soggettiva io alla
persona non soggettiva tu. Termini complementari e reversibili ma
non simmetrici (p. 113).

Io e tu si inscrivono in uno spazio che non è solo linguistico ma
prima di tutto pragmatico, perché si definiscono a partire dall’atto
cui essi stessi danno realizzazione.
Correlazioni di personalità e di soggettività
Personalità
+
–
Soggettività
–
+
Io
Tu
Egli
Possibili usi della terza persona

Forme di cortesia: Lei (italiano), Sie (tedesco), elevano
l’interlocutore al di sopra della condizione di persona e del rapporto
tra pari.

Forme di disprezzo, che annientano l’individuo come persona, non
rivolgendosi “personalmente” a lui.

Ma anche indice di rappresentazione obiettiva, non personale: «la
non-persona è l ’ unico genere di enunciazione possibile per le
istanze del discorso che non rinviano a se stesse, ma predicano il
processo di persone o cose fuori dalla istanza stessa,
eventualmente dotate di una referenza oggettiva» (p. 142).
Le forme plurali



I pronomi io e tu non sottostanno ai normali procedimenti di
pluralizzazione nominale: «nei pronomi personali il passaggio dal
singolare al plurale non implica una semplice pluralizzazione […]
“noi” non è una moltiplicazione di oggetti identici ma una giunzione
tra l‘“io” e il “non-io”. Tale giunzione forma una totalità nuova e
tutta particolare in cui i componenti non si equivalgono: in “noi” è
sempre “io” che predomina, in quanto vi è “noi” solo a partire da
“io” […]. La presenza dell’”io” è costitutiva del “noi”» (p. 135).
Alcune lingue poi distinguono due forme del “noi”: una inclusiva,
l’altra esclusiva.
Nelle lingue europee: forma “maiestatica” del noi: “io dilatato”
oppure “di modestia”.
Noi inclusivo o esclusivo
“ Noi ” può significare sia “ me+voi ” sia “ me+loro ” . Sono le forme
inclusive ed esclusive a differenziare il plurale del pronome e del verbo
di prima persona in gran parte delle lingue amerinde, australiane, in
papuano, in maleopolinesiano, in dravidico, in tibetano”, ecc.
“Qui il fatto essenziale è che la distinzione tra una forma inclusiva e una
forma esclusiva si modella in realtà sulla relazione tra la prima e la
seconda singolare e la prima e la terza singolare.”
“Nel “noi” inclusivo è il “tu” a essere messo in rilievo, mentre nel “noi”
esclusivo, opposto a tu, voi, risalta l ’ io. Le due correlazioni che
organizzano il sistema delle persone al singolare si manifestano così
nella duplice espressione del noi”(p. 136)
Noi come amplificazione
“Nelle lingue indoeuropee, “noi” non è un “io” quantificato o moltiplicato, ma
un “io” dilatato al di là della persona in senso stretto, accresciuto e con
contorni vaghi. Ne risultano […] due usi opposti, non contraddittori. Il “noi”
amplia l’”io” rendendolo una persona più solida, più solenne e meno
definita – è il “noi” maiestatico; il “noi” attenua l’affermazione troppo
decisa di “io” in un’espressione più larga e diffusa: è il “noi dell’autore e
dell’oratore” (p. 137).

In generale la pluralizzazione del noi è un fatto di illimitatezza, non
di moltiplicazione: la distinzione abituale tra singolare e plurale è
una distinzione tra persona ristretta e persona dilatata.
Possibili applicazioni
Pronomi nel giornalismo

Fairclough (1989:127-8) segnala la frequenza della forma inclusiva del noi
negli editoriali politici. Implicazioni: il giornalista ha l’autorità di dar voce ai
cittadini; rafforzamento dell’ideologia collettiva che enfatizza l’unità anziché
la rappresentazione di prospettive specifiche.

Loporcaro (2005): Il noi nel Tg è indicatore di complicità tra giornalista e
spettatatore; il notiziario mira a presentarsi come voce della comunità,
costruzione di un soggetto collettivo (noi inclusivo), manifestazione di un
patto di reciproca appartenenza tra emittente e destinatario.
Identificazione del giornalista
con il pubblico

Fusione fra l’istanza narrante e il pubblico in un tutto
indistinto che è l’opposto di quanto si richiederebbe per
una informazione referenziale (Loporcaro 2005:126).

Discorso complice e non critico
(Calabrese e Volli, I telegiornali:istruzioni per l’uso,
1995: 234-35)

Obiettivo: ribadire vincoli affettivi e ideologici
Nella comunicazione aziendale

Il ricorso al noi può servire a enfatizzare gli sforzi degli amministratori e la
positività dei risultati ottenuti (noi esclusivo), mentre i risultati meno positivi
vengono presentati in modo impersonale (declinazione della
responsabilità). L’uso della II pers. può servire invece a stimolare un senso
di appartenenza nel destinatario.

L ’ uso del passivo crea un ’ impressione di oggettività e di non
responsabilità degli agenti (frequente anche nelle cronache sportive)
oppure segnala un maggior distacco del narratore (cfr. Santulli, Le parole
del potere, il potere delle parole, Angeli, 2005: 110)
Nel discorso politico

Il discorso politico non è (o almeno è solo in parte) discorso
rappresentativo. Non è un insieme di enunciati in rapporto cognitivoreferenziale con il reale.

Anziché mirare ad una rappresentazione fedele degli eventi, il
discorso politico costruisce il suo soggetto in forma attanziale
(Greimas 1966), cioè come un sistema di ruoli in correlazione al suo
antisoggetto (la figura del rivale, dell’antagonista).
(Desideri 1999:394)

Embrayage attanziale: identificazione dell’enunciatario
con il soggetto enunciatore (adesione del parlante al
contenuto dell’enunciazione): ricorso alle citazioni,
repliche, negazioni, confutazioni
Discorso polemico,
e in generale
propagandistico
Ma anche ricerca di
coesione e di
identificazione

Débrayage attanziale: cancellazione dell’enunciatore
attraverso i tratti formali del discorso descrittivo e
oggettivo
(prevalenza della III persona e della forma impersonale o
passiva)
Discorso didattico
Effetto di distanziamento che si raggiunge anche quando in un discorso
politico il parlante fa riferimento a se stesso in quanto ruolo
istituzionale (descrizioni definite / non-io).
Risultato: enfatizzazione dell’importanza e della sacralità del ruolo e
deresponsabilizzazione del soggetto
Embrayage:

Il noi nel modello del contatto:
Mussolini, Il primo anniversario della marcia su Roma, 28 ottobre
1923:
Camicie Nere! Noi ci conosciamo; fra me e voi non si perderà mai
il contatto
uso pletorico del noi inclusivo e aggregante

Mussolini, Al popolo di Mantova, 25 ottobre 1925:
I miei non sono discorsi, nel senso tradizionale della parola: sono
allocuzioni, prese di contatto tra la mia anima e la vostra, tra il
mio cuore e i vostri cuori. I miei discorsi non hanno quindi nulla di
comune con i discorsi ufficiali e compassati pronunciati in altri
tempi da uomini in troppo funeree uniformi, uomini che non
potevano parlare direttamente al popolo perché il popolo non li
comprendeva e non li amava
Ricorso privilegiato al campo semantico del sentimento (anima,
cuore, spirito, fede)

Esaltazione del rapporto immediato e quasi corporeo tra il capo del
governo e la comunità (processo di rispecchiamento). La comunità
preesiste all ’ individuo che le appartiene in modo necessario
(evocazione dell’identità collettiva).
Questo è il principio organizzatore dello stile di Mussolini:
espressione di una identificazione sentimentalizzata (non
argomentata) tra oratore e uditorio

Svilimento della parola come strumento di mediazione e di
rappresentazione e esaltazione di una immediatezza irriflessa,
istintiva e emozionale che trascina all’azione

Molteplicità di atti linguistici esercitivi
Fedel, Il linguaggio politico nel Novecento: il caso di Benito Mussolini, in Id.,
Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Giuffrè, 1999:
Elementi del discorso agitatorio di Mussolini

Andamento paratattico della retorica mussoliniana:





Componente ritmica (asemantica)




stimolo all’azione
espressione di una appartenenza naturale
Perentorietà, sottrazione al dialogo (Mussolini si presenta come l’unico portatore
della verità e dei valori)
Assenza di problematicità, certezza, che intensifica l’adesione dell’uditorio e
l’orientamento all’azione
Obiettivo: far sentire l’esistenza della comunità
Spinta emotiva
Drammatizzazione: rappresentazione scenica dell’azione, del gesto, della parola
Presenza abbondante di tropi:



Metafore religiose
Metafore belliche
Metafore medico-chirurgiche

Modello del contratto
Campagne socialiste dal 1979 in poi (Craxi): manifesta enunciazione di
contratti programmatici ed esplicita richiesta di mandati fiduciari:
abbiamo proposto agli elettori un contratto. Se ci daranno forza,
promettiamo in cambio di lavorare per garantire al paese cinque
anni di stabilità e governabilità (Craxi, intervista al Messaggero,
13 maggio 1979)

Noi esclusivo

Insistenza sull’atto commissivo (tipico della propaganda politica)
cfr. Desideri, La comunicazione politica: dinamiche linguistiche e
processi discorsivi, in Gensini 1999
Embrayage+débrayage
Prodi 1996

Sento, parlando oggi in quest’aula, nella veste di presidente del
consiglio, tutto il peso della mia personale responsabilità. È il grande
peso della nostra storia, di cui questo parlamento conserva la
memoria più preziosa e di cui è l’espressione più alta. Di fronte a
questo parlamento, che è il punto di riferimento di tutte le nostre
istituzioni, il governo sente forte l ’ esigenza di rinnovamento
espressa dal popolo italiano. Esso, per la prima volta nella storia
unitaria, ha indicato in una grande inedita coalizione popolare lo
strumento per dare avvio a una nuova fase della vita della
repubblica.
Embrayage
Berlusconi 2001

Sette anni fa presentammo in quest’aula il programma del nostro
primo governo. Da allora molte cose sono cambiate e ciascuno di noi
ha imparato molto dai dati della vita e della politica. Ma consentitemi di
cominciare con una frase schietta, diretta, semplice: noi siamo qui per
lo stesso motivo di allora, vogliamo cambiare l ’ Italia. Lo faremo
pacificamente, nell’ordine, nel libero dibattito democratico, guardando
ai valori fondamentali della persona scolpiti nella costituzione della
nostra repubblica, nel rispetto intransigente dei diritti civili di tutti e di
ciascuno, ma lo faremo. Lo faremo nella legalità, in piena integrazione
nel sistema istituzionale vigente e nel rispetto di tutti i poteri
costituzionali dello stato, ma lo faremo. Lo faremo nell’ottimismo, che
non c’è mai mancato, nello spirito di fiducia e di cooperazione con
tutti coloro che mostrano buona volontà, e anche in un clima sereno,
ma lo faremo. Perché il paese che noi tutti amiamo ha il diritto di
compiere e completare al meglio la lunga e difficile transizione che ha
investito il suo sistema politico e costituzionale. C’è un capitolo da
chiudere definitivamente: ed è quello della vecchia politica. E c’è un
capitolo tutto da scrivere: quello di un nuovo modo di far politica.
Caratteri dei discorsi didattici

Sequenze referenziali e veridittive: trasmissione del sapere e del far-credere

Uso della terza persona e della forma impersonale: il soggetto dell’enunciazione
è occultato all’interno del proprio enunciato: debrayage attanziale

Forme discorsive descrittive, scientifiche, storiche

Assenza di confronti con altri enunciati

Il fine è spingere il ricevente a identificarsi con i contenuti dei messaggi

L’adesione dell’uditorio è presupposta

Gli oggetti di accordo restano impliciti
Un discorso oggettivo con stile neutro in terza persona può essere altrettanto
manipolativo di un discorso soggettivo
Esempio di discorso didattico
Enrico Berlinguer: prosa austera di tono quasi scientifico, sequenze argomentative centrate
sui rapporti di causa-effetto, mezzo-scopo
Discorso del 20 settembre 1981: struttura di tipo elencativo, forma della enumerazione:
I guasti profondi che tensione e guerra fredda producono nel mondo di oggi:
limitano e soffocano l’autonomia, l’indipendenza e la sovranità di un numero
grande di popoli e stati;
Portano, nelle forme più varie, a restringere e a coartare in tutti i sistemi sociali
la libertà e i diritti democratici
Complicano la soluzione dei problemi economici e sociali all’interno di tutti i
paesi, da quelli più poveri a quelli più ricchi
Avvelenano gli animi, generano paura e odi tra gli uomini e fra i popoli,
alimentano sfiducia, spengono la ragione e sfibrano le energie;
……….
Pace e sviluppo, dunque: due obiettivi che possono e debbono essere comuni
a tutte le forze, le istituzioni, le organizzazioni che hanno a cuore le sorti
dell’uomo.(cit. in Desideri, p.181)
Discorso polemico




Molto frequente, in linea con la natura competitiva della politica
Esplicitazione degli oggetti di accordo
Confronto con la parola degli avversari (spesso manipolata):
 Strategie
della citazione: allusione, replica, negazione,
confutazione, obiezione
Strategie di embrayage attanziale finalizzati alla identificazione
dell’enunciatario con il soggetto enunciatore
Esempi del discorso
polemico
Alcide De Gasperi (discorso al Senato, 22 luglio 1948, polemico con il
socialista Giua): polemica garbata con l ’ avversario politico, tono
interlocutorio:
L’onorevole Giua ha accennato alla concezione originaria cristiana, che
renderebbe facile la collaborazione con i comunisti, paragonati da lui ai
cristiani e specialmente a quella frazione di cristiani del tempo di Tertulliano.
Egli ha detto che il Cristo storico è un liberatore di schiavi. No! È una
concezione errata…. (cit. in Desideri, La comunicazione politica: dinamiche
linguistiche e processi discorsivi, p. 174)
Più aspro il tono del discorso alla Camera del 28 luglio 1953 (presentazione del
suo VIII e ultimo governo)
…ma voi opposizioni, siete forse d’accordo tra voi? Voi vi unite in un atto
negativo; ma siete capaci di unirvi in un atto positivo?
Aldo Moro; forti accenti polemici nei confronti degli avversari interni alla Dc
(dorotei); uso frequente del paradosso, dell’antitesi e dell’ossimoro
Discorso del 18 gennaio 1969
Non credo che occorra aggiungere altro, per dire che significato io intendo dare
alla sollecitazione al Congresso, all’invito pressante ad aprire finalmente le
finestre di questo castello nel quale siamo arroccati, per farvi entrare il
vento che soffia nella vita, intorno a noi. Non è un fatto di politica interna di
partito, di distribuzione o redistribuzione del potere. Io non so che fare di
queste cose (cit. in Desideri, p. 178)
Discorso del 29 giugno 1969, XI Congresso della Dc
Sarebbe un grave errore, un errore fatale, restare in superficie e non andare
nel profondo; pensare in contingenza, invece che di sviluppo storico. Tocca
alle forze politiche e allo Stato creare in modo intelligente e rispettoso i
canali attraverso i quali la domanda sociale e anche la protesta possano
giungere a uno sbocco positivo, ad una società rinnovata, ad un più alto
equilibrio sociale e politico (cit. in Desideri, p. 177)
Linguaggio della provocazione

Contesta le regole del gioco politico

Es. i discorsi di Pannella:




toni di voce acuti, ritmo martellante; particolari modalità espressive
e riformulazione semantica; parole chiave: sfascio, ammucchiata,
silenziamento (per parlamento), scippare, imbavagliare, sgovernare.
Ricorso all’iperbole e al paradosso
Teatralizzazione della propria immagine
Bossi:




semplificazione semantico-grammaticale, invettiva verbale
centralità del dialetto nella duplice funzione di collante etnico per
l’autoriconoscimento delle genti lombarde e di rottura con la lingua
italiana standard come codice ufficiale dello statalismo.
Fallacie: “stia bene attento il presidente Scalfaro...noi facciamo lo
sciopero fiscale” (argumentum ad baculum)
Formule: “uomo avvisato mezzo salvato”
Il linguaggio della semplificazione

Berlusconi (1994, in Galli de’ Paratesi, La lingua di Berlusconi):
Nel 1993 c ’ era una gran voglia di cambiamento, una voglia di
rinnovamento del modo stesso di far politica, una voglia di
rinnovamento morale, una voglia anche del modo di esprimersi della
politica in maniera diversa. Non più quel linguaggio da templari che
nessuno capiva: si sentiva il bisogno di un linguaggio semplice,
comprensibile, concreto.

Il linguaggio diviene un esplicito elemento di propaganda:
semplificazione semantica e sintattica; scarso il ragionamento
dialettico e la riflessione politica

Appello enfatico all’affetto, sentimentalismo, pietismo, condivisioni
emotive; metafore religiose

Fallacie: “ Prodi ha la faccia larga e pastosa di un dottor
Balanzone” (attacco alla persona dell’avversario: argumentum ad
hominem)
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Slide 13-14 marzo 2013 - Dipartimento di Comunicazione e Ricerca