Thomas Hobbes
Homo homini corpus
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1
La vita: i primi anni
Thomas Hobbes nasce a Malmesbury in
Inghilterra nel 1588. Dopo gli studi filosofici a
Oxford diventa precettore del figlio dei conti
Cavendish del Devonshire. Seguire la formazione
del giovane nobiluomo costituisce per il nostro
filosofo l’occasione di diversi viaggi: in uno di
questi in Italia, conosce i galileiani di Venezia,
mentre, tornato in Inghilterra ha la possibilità di
entrare
in
contatto
con
Bacone
e,
successivamente con Galileo stesso nel 1634 ad
Arcetri.
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2
La rivoluzione del 1640
Già dal 1629 Carlo I, re d’Inghilterra, aveva sciolto le camere
perché insofferente delle loro richieste circa l’habeas corpus
dei membri del parlamento e il diritto, da parte loro di
approvare le tasse. Nel 1640 ha tuttavia bisogno del loro
appoggio per ottenere i fondi necessari a fronteggiare
l’insurrezione calvinista in Scozia, appoggio che naturalmente
viene negato. Ciò determina lo scoppio della guerra civile
(1641-49) tra re e parlamento, capeggiato da Oliver Cromwell,
seguito dalle più convinte frange libertarie del puritanesimo
inglese (quelle che si opponevano alla centralizzazione
anglicana e presbiteriana del culto). Dopo una guerra civile
sanguinosa e numerose vittorie militari del New Model Army
cromwelliano, il re fu dagli scozzesi consegnato al parlamento
che lo condannò a morte, facendolo decapitare nel 1649.
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3
Cromwell e la restaurazione degli
Stuart
Da questo momento inizia il periodo repubblicano
caratterizzato dalla dittatura sempre più consolidata di
Cromwell, che peraltro ottiene notevoli successi militari
contro l’Olanda e la Spagna. L’ultimo periodo della vicenda
del condottiero repubblicano e calvinista inglese è
caratterizzato dal malcontento per il suo crescente
autoritarismo, sentimento che, diffuso in egual modo
presso la borghesia che lo aveva sostenuto e i nobili che lo
avevano combattuto, impedisce al figlio Richard di
succedergli, dopo la sua morte nel 1656, al governo e
favorisce nel 1660 il ritorno degli Stuart con Carlo II,
appoggiato dalla Francia (Carlo II, dal 1645 al 1649 e dal
1651 al 1660 è esule proprio a Parigi).
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4
Hobbes in Francia
Allo scoppio dei disordini nel 1640, Hobbes che ha già
manifestato in privato e in pubblico le sue simpatie
monarchiche, decide di rifugiarsi a Parigi. Egli peraltro ha
pensato un grande progetto di studi filosofico-politici, gli
Elementa philosophiae, un testo articolato in tre parti, che
avrebbe dovuto passare dai fondamenti corporei della natura
(De corpore completato nel 1655) ad un’accurata analisi
antropologica (De homine, completato nel 1658), per arrivare
ai fondamenti della filosofia politica e del governo (De cive, il
primo che, data l’urgenza politica del pensiero hobbesiano, ha
visto la luce a Parigi nel 1642). A Parigi, mentre insegna
matematica al futuro Carlo II Stuart, entra in contatto con
l’ambiente cartesiano, che lo stimolerà ad approfondire
ulteriormente i fondamenti ontologici e gnoseologici della sua
filosofia.
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5
Il ritorno in Inghilterra
Quando, nel 1651, la situazione inglese si
stabilizza, Hobbes torna in patria. Egli può
convivere con il governo cromwelliano poiché, più
che partigiano della monarchia in sé, si mostra – e
ciò è ben visibile nella sua maggiore opera di
filosofia politica, il Leviatano, pubblicata non a
caso in inglese nel 1651 – fautore di un governo
assoluto, quale, malgrado la retorica parlamentare,
si confermava essere quello del generale
repubblicano.
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6
Gli ultimi anni
Dopo il 1660, Carlo II, tornato sul trono londinese, concede
ad Hobbes numerosi riconoscimenti pubblici e una lauta
pensione. Quindi egli può dedicarsi agli studi, non
mancando di entrare in polemica con le gerarchie
ecclesiastiche, che a più riprese lo accusano di ateismo ed
eresia, probabilmente a causa del suo deciso statalismo
che auspicava la sottomissione del potere religioso a quello
statale. Dopo avere affrontato in due scritti temi relativi al
diritto consuetudinario inglese (1666) e alla storia della
guerra civile (1668) e dopo aver tradotto in inglese i poemi
omerici, muore novantunenne ad Hardwicke, ospitato dai
conti Cavendish, nel 1679.
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7
Hobbes: un razionalista-empirista
L’idea di filosofia in Hobbes è dominata da un
concetto matematico di ragione, da un approccio
empiristico-sensistico
alla
dottrina
della
conoscenza, e da un’ontologia radicalmente
materialistica che fa da base ad entrambi. In tal
senso Hobbes si fa portatore di istanze
razionalistiche, in linea con le correnti continentali
della filosofia europea, e al tempo stesso si lega
alla tradizione empiristica tipicamente inglese.
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8
La ragione matematica
La ragione corrisponde per Hobbes ad una
razionalistica
capacità di calcolare e
prevedere gli effetti di una qualsiasi cosa
pensata. Essa è presente, pur in misura
depotenziata, anche negli animali. Il ragionare si
caratterizza formalmente come un’operazione
matematica, tanto che i giudizi possono essere
pensati come delle operazioni: dire X è Y
significa aggiungere Y a X, mentre dire X non è
Y significa sottrarre Y da X.
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9
Il corpo, la cosa animata, l’essere
pensante
Hobbes nel De corpore fa il seguente esempio: qualcuno
vede una cosa da lontano oscuramente, essa gli appare
come semplice corpo, avvicinandosi egli acquisisce una
nuova idea della cosa, ora gli appare come una cosa
animata; recandosi ancor più vicino, la cosa animata si
manifesterà come essere pensante. Nel soggetto che via
via si avvicina all’idea di corpo si aggiungerà quella di
animazione e poi il pensiero, così egli aggiungerà
avvicinandosi via via idea ad idea e si farà un concetto
completo della cosa vista. Allo stesso modo,
allontanandosi, potrà constatare che via via le idee si
sottraggono dal totale, per arrivare nuovamente alla
nozione iniziale di corpo.
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10
Ciò che distingue l’uomo
L’uomo però si distingue dagli animali per il
possesso del linguaggio di cui Hobbes dà
un’interpretazione
radicalmente
nominalistica per comprendere la quale è
però necessario affrontare la sua ontologia
e
la
conseguente
dottrina
della
conoscenza.
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11
L’essere
Tutto ciò che è, è capace di agire o di
subire. Questa definizione del Sofista
platonico, viene da Hobbes giocata in
senso materialistico, così come avevano
già fatto anticamente gli stoici. Solo i corpi
materiali, infatti, hanno la capacità di agire o
di subire un’azione, dunque solo i corpi
materiali sono. Quindi tutto ciò che è, è
materia, corpo.
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12
L’uomo
Anche l’uomo è essenzialmente un essere
corporeo. Egli è caratterizzato da un movimento
vitale finalizzato all’autoconservazione. Corpo e
movimento, che identificano l’essere dell’intera
natura, costituiscono i due concetti-base per
interpretare l’umanità, la cui struttura interna e i cui
rapporti con l’esterno sono riconducibili a
meccanismi di interazione tra le parti del proprio
corpo o tra i corpi naturali e il proprio.
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Sensazione e conoscenza
Dunque la conoscenza e il pensiero si spiegano
in base a movimenti corporei. Noi conosciamo
perché stimolati da un corpo esterno, che produce
un movimento il quale si comunica al cervello o al
cuore i quali reagiscono producendo a loro volta
un movimento nelle parti organiche, che infine
genera un’immagine (phantasma) del corpo
esterno. Quest’ultima è l’immagine prodotta dalla
sensazione e rappresenta la componente –
empiristica perché derivata dall’esperienza – di
ogni nostra conoscenza.
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14
Il resoconto non l’oggetto
È da segnalare che noi dobbiamo supporre che la sensazione
sia derivata dal contatto con un corpo esterno, ma noi non
abbiamo direttamente accesso al corpo esterno, bensì solo al
resoconto che ce ne dà la sensazione. Noi possiamo dunque
basarci sull’esperienza analizzando le nostre sensazioni, ma tale
analisi, pur essendo fondata sul dato che la sensazione ci
comunica, ossia sul fatto che essa origina da un corpo esterno,
nulla ci dice di sicuro sul corpo che l’ha prodotta. Ciò va a
determinare il problema del rapporto tra idee nate dalla
sensazione e mondo esterno e, più in generale, della
corrispondenza tra il nostro pensiero e il mondo (problema che
Cartesio aveva risolto con l’intervento di Dio).
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15
Memoria e pensiero
Quando l’oggetto, presupposto nella sensazione,
scompare dalla nostra facoltà percettiva, il movimento da
esso prodotto, tuttavia, per legge d’inerzia rimane,
sebbene depotenziato. Quindi si può conservare la
corrispondente immagine e parimenti la connessione tra
le immagini. Riferire un’immagine al suo oggetto,
presupposto come esterno nella sensazione, vuol dire
individuarne la causa, così come riferire l’ordine in cui si
producono le diverse immagini, significa individuare i
rapporti di causa-effetto tra i diversi oggetti. Pensare
significa appunto ricercare i nessi causali tra i vari
fenomeni con cui entriamo in contatto nella
percezione.
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Causa ed effetto
La causa non è l’essenza di un fenomeno o
la sua forma, bensì coincide con le
condizioni, poste le quali, un determinato
fenomeno può essere pensato come
esistente e in assenza delle quali un
determinato fenomeno non può essere
pensato come esistente.
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Dalla sensazione al ragionamento attraverso
il linguaggio
Una volta stabilito che le immagini che noi
abbiamo nella mente provengono dalla
sensazione di oggetti considerati come
esterni, possiamo passare a vedere come la
mente gestisce queste immagini attraverso il
linguaggio e la capacità, che si realizza
pienamente attraverso il linguaggio, di
calcolare.
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Particolare ed universale
Nella dottrina hobbesiana, le immagini prodotte
dalla sensazione si riferiscono sempre ad oggetti
particolari; sono, diremmo, individualizzate.
Universali sono solo i nomi, i quali costituiscono
dei segni convenzionali attraverso i quali noi
indichiamo una molteplicità di oggetti affini tra loro.
Questo è il nominalismo hobbesiano. I nomi sono
convenzioni nati arbitrariamente per indicare classi
di immagini che riferiamo ad oggetti affini. Noi
possiamo connettere nomi in un discorso, ma la
verità in senso stretto è attribuibile solo ai discorsi.
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Il linguaggio
Inteso in senso nominalistico, cioè come produzione di
nomi ad indicare classi arbitrarie di immagini, il linguaggio
ci serve per evitare che i nostri pensieri-immagini ci
sfuggano dalla memoria, per registrare le connessioni tra le
immagini, per comunicare con gli altri e per generalizzare e
prevedere a lunga scadenza la condotta nostra e del
mondo. Se non generalizzassi infatti potrei capire che la
somma degli angoli interni di un triangolo è uguale a due
angoli retti, ma non potrei applicare tale conoscenza a tutti i
triangoli. Insomma il linguaggio, nato dalla libera
convenzione dei parlanti, ci libera dalla nostra
dipendenza dalla singola immagine sensibile della
cosa.
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Verità e falsità del ragionamento
Noi dunque connettiamo nomi che con cui abbiamo
chiamato classi di immagini generate per sensazione:
“Quando due nomi si congiungono insieme in una
conseguenza o affermazione come questa: ‘Un uomo è
una creatura vivente’, o come quest’altra: ‘Se egli è un
uomo, è una creatura vivente’, se il secondo nome
(creatura vivente) significa tutto quello che significa il
primo nome (uomo), allora l’affermazione o conseguenza
è vera, altrimenti è falsa. Perché vero e falso sono
attributi della parola, non delle cose, e dove non vi è
parola non vi è nemmeno vero e falso” (T. Hobbes,
Leviatano I, 4)
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21
Geometria, logica e fisica
Ovviamente se abbiamo a che fare con
connessioni di nomi di cui si valuta esclusivamente
la non contraddittorietà, la disciplina così
costruita sarà certissima e vera come accade nella
geometria e nella logica. Qui infatti da assiomi
posti da noi deduciamo conseguenze, come se
avessimo noi determinato la causa e poi dedotto
l’effetto. Nella fisica si tratta invece di risalire dagli
effetti dei corpi su di noi alle cause, per poi
costruire un sistema deduttivo con un grado di
attendibilità quindi minore.
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Le difficoltà della fisica
Infatti la fisica riguarda il mondo esterno, della cui
esistenza noi possiamo solo legittimamente avanzare
una supposizione, giacché i dati ad esso relativi ci
giungono sempre dalla sensibilità e noi possiamo
avvalerci solo dei suoi resoconti. Proprio in virtù del
fatto che la fisica aspira a determinare proprio le leggi
di questo mondo esterno, e proprio poiché altro
riscontro non è possibile avere oltre al resoconto
degli stessi sensi, essa ha un carattere
SUPPOSITORIO e non certissimo. Possiamo solo
scommettere sulla validità della nostra conoscenza.
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23
La scommessa della conoscenza
La scommessa della conoscenza è che la
connessione dei nomi, cioè l’ordine artificiale
che abbiamo così creato, serva per
prevedere future sensazioni cioè futuri
movimenti delle nostra parti organiche,
secondo cioè una connessione riproducibile
mediante gli stessi nomi. In questo senso il
discorso sarà utile e le connessioni
individuate corrette.
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La scienza
Quindi scienza come calcolo significa poter comporre
tramite nomi delle proposizioni, e poter comporre tramite
proposizioni dei ragionamenti che ci permettano di stabilire
delle relazioni di causa effetto. Questo ci deve permettere
di prevedere l’andamento della realtà al fine di dominarla
cioè di influire su di essa: “Il fine della scienza è la
potenza; il fine dei teoremi sono i problemi, cioè l’arte
del costruire: ogni speculazione, insomma, è stata
istituita per l’azione o per un lavoro concreto” (De
corpore I, 6). In sostanza la nostra mente costruisce una
scienza in quanto il movimento-connessione dei suoi nomi
appaia in grado di diventare un modello che riproduca i
movimenti-connessioni reali per poter influire sui movimenti
reali.
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La classificazione delle scienze
Vi può essere una scienza dei corpi in generale
(de corpore), di quel corpo specifico che è l’uomo
(de homine) e del corpo politico (de cive), cioè
delle relazioni tra quei corpi specifici che sono gli
uomini. La disciplina che connette la scienza
dell’uomo e quella politica è necessariamente
l’etica, poiché per capire in che modo vanno
stabilite le relazioni fra gli uomini bisogna sapere
qual è effettivamente il comportamento umano.
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26
Etica descrittiva e non prescrittiva
L’etica, cioè la scienza del comportamento
umano è per Hobbes eminentemente
descrittiva, cioè stabilisce qual è il
comportamento umano e non quale
dovrebbe essere, il lato prescrittivo è
affidato
principalmente
alla
politica
(vedremo successivamente come).
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27
Conservare la vita
Ciò che fa l’uomo, il suo comportamento
fondamentale, è preservare la propria vita. Bene e
male per l’uomo non sono altro che nomi per i
comportamenti che nella nostra mente sono reazioni
a stimoli che sono in contrasto o in accordo con il
movimento di autoconservazione dell’organismo. Se
lo stimolo percepito è in accordo la reazione sarà di
desiderio, in caso contrario sarà di fuga, l’oggetto
che provoca lo stimolo sarà di conseguenza
considerato rispettivamente bene o male.
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28
La libertà
La volontà umana risulta necessitata da
moventi corporei, dunque strutturalmente
non è libera. Tuttavia in senso lato si può
chiamare libero tutto ciò che non è
ostacolato da elementi esterni. Io non
sono libero di volere o non volere del cibo se
ho fame, posso essere libero di accedere o
meno al cibo. In questo secondo senso ci
può essere libertà se vi è assenza di
costrizioni esterne.
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29
Relativismo
Siccome ognuno cerca ciò che soddisfa il
proprio istinto vitale, e l’oggetto varia a
seconda degli individui e delle circostanze in
cui sono inseriti, l’etica di Hobbes si
caratterizza
come
radicalmente
individualista
e
relativista.
Tale
impostazione ha importanti conseguenze
politiche.
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30
Politica e stato di natura
Per Hobbes l’uomo, puntando esclusivamente al
mantenimento di se stesso, è tendenzialmente
aggressivo ed egoista. Se lo consideriamo al di fuori di
ogni regola civile, che limita tale sua aggressività, il suo
carattere emerge in tutta la sua drammatica realtà. È
quanto accade nello stato di natura, una condizione
prepolitica postulata da Hobbes proprio per far
comprendere la reale dimensione aggressiva dell’umanità.
In sostanza Hobbes prova, con un esperimento mentale, a
pensare come sarebbe l’uomo se fossero eliminate le
condizioni del vivere comune stabilite dalle leggi elaborate
in sede politica e di governo, e se nessuno avesse
l’autorità per farle rispettare. Tale situazione ipotetica e
non storica è da lui chiamata stato di natura.
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31
L’uomo nello stato di natura
In tale situazione l’uomo sarebbe un lupo per l’uomo (homo
homini lupus) perché l’essere posto nell’assoluto diritto su
tutto, lo condurrebbe a ricercare liberamente la soddisfazione
delle proprie inclinazioni, senza alcun riguardo per l’altro. Così
si arriverebbe a un conflitto generalizzato, perché nessuno
potrebbe negare ad un altro la prerogativa di cercare il proprio
bene, anche qualora tale bene fosse stato da acquisito da un
soggetto che ne vuole godere in modo esclusivo. Infatti nello
stato di natura vige una condizione di generale uguaglianza
fra gli uomini: nessuno può fare qualcosa che qualcun altro
non abbia il diritto di fare. Mettendo insieme detta uguaglianza
e la volontà di godere in modo esclusivo di beni che altri
intenderebbero pure godere allo stesso modo, si produce una
conflittualità insanabile: un bellum omnium contra omnes
(guerra di tutti contro tutti).
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32
La guerra civile
Ecco allora descritta quella situazione di difficoltà
estrema e di crudeltà diffusa in cui ciascun uomo è
posto in conflitto con altri, la situazione che lo
stesso Hobbes aveva potuto sperimentare
osservando le degenerazioni della guerra civile
inglese del 1640, in un contesto di lotta fra poteri,
anarchia, e ricorso continuo alle armi. Si tratta di
una guerra particolarmente crudele, perché
sregolata, senza altra possibilità di conclusione se
non l’eliminazione totale dell’avversario.
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33
Le leggi di natura
Ciò malgrado esiste anche nello stato di natura ciò che
può essere indicata come una sorta di legge, anche
se il termine non è pienamente corretto, giacché si
tratta di una legge che non ha coattività, non essendo
riconosciuta alcuna autorità in grado di farla rispettare.
Tale legge è data dal fatto che, pur nello stato di
natura, l’uomo possiede la ragione e comprende che
la condizione di conflitto generalizzato rende il suo
diritto su tutto assolutamente aleatorio, giacché,
avendo altri il medesimo diritto, nessuno può godere in
sicurezza dei beni cui legittimamente aspira.
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34
Il contenuto delle leggi di natura
Le leggi di natura indicano agli individui quel
comportamento razionale che presuppone la
valutazione dei propri atti in relazione alle
conseguenza vantaggiose o svantaggiose cui
possono dare luogo. Il primo di tali precetti
indica la necessità di ricercare la pace ove
possibile e, in alternativa, di ricercare aiuti per la
guerra. Insomma si tratta di rendersi conto che la
pace è la condizione migliore e più vantaggiosa,
mentre, in seconda istanza, se non è possibile
evitare una guerra, è necessario vincerla.
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35
La rinuncia al diritto su tutto
Se la pace è da ricercare, è ovvio che ciascuno
non può mantenere il diritto su tutto, perché
bisogna concedere che colui con il quale si fa la
pace abbia a disposizione dei vantaggi e dei beni
di cui godere. Se così è necessario addivenire ad
un accordo. È poi necessario che tale accordo sia
rispettato dalle parti contraenti. Di qui un’altra
legge di natura: pacta sunt servanda (i patti
vanno rispettati).
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36
Le prime tre leggi di natura
In questo modo si determinano le prime tre leggi
di natura:
- Ricerca la pace
- Rinuncia al diritto su tutto
- Rispetta i patti
A siffatte indicazioni, Hobbes, per deduzione
aggiunge altre sedici regole razionali, che
garantirebbero,
attraverso
una
pacifica
convivenza, la possibilità, pur limitata, di godere
di alcuni beni fondamentali, in alternativa
all’astratto e ingodibile diritto di tutti su tutto.
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37
Non coattività delle leggi di natura
Il problema però rimane, poiché non essendovi
un’autorità che garantisca l’osservanza delle
leggi, chiunque, per ottenere un vantaggio
immediato, po’ decidere di trasgredirle, riportando
la situazione indietro alla condizione di generale
conflitto. Infatti la trasgressione di un individuo
comporterebbe un effetto domino e genererebbe
ulteriori reciproci atti di trasgressione in un
processo inarrestabile.
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38
L’uscita dallo stato di natura
Data l’insufficienza della sola legge naturale, si
rende necessario uscire dallo stato di natura. Ma
come? Attraverso un accordo che dia origine ad
una condizione diversa. Tra i vari individui si
stipula un contratto che elimina l’insicurezza e
procura a tutti la tranquillità. Ciascun individuo
decide di rinunciare al proprio originario diritto
su tutto per formare una società e
contemporaneamente trasferisce ad un terzo
soggetto, il sovrano che non partecipa al patto,
ogni diritto per consentirgli di emanare e far
rispettare le leggi.
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39
Lo Stato
Hobbes chiama il reciproco accordo di cessione
dei diritti al sovrano, pactum unionis, il quale
implica un pactum societatis, cioè il patto che
fonda la società, e il pactum subjectionis, poiché
nel momento stesso in cui si fonda la società, ci si
sottomette ad un sovrano, esterno al patto,
quindi non obbligato da nessuno, detentore di
tutti i diritti, libero e incondizionato nell’agire, il cui
unico obbligo sta nell’efficacia della sua azione
pacificatrice.
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40
Il Leviatano
Per simboleggiare la sovranità assoluta dello
Stato, Hobbes utilizza l’immagine biblica del
Leviatano, il mostro marino dalla potenza
invincibile, che nella copertina del testo omonimo è
rappresentato come un grande uomo formato da
un gran numero di uomini piccoli, da cui esso trae
la forza di governare sia da un punto di vista
strettamente politico sia da un punto di vista
religioso (infatti il Leviatano tiene nelle sue mani lo
scettro del comando e la pastorale del potere
religioso).
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41
La sovranità decide
Il sovrano deve mantenere la pace per permettere ai cittadini
della società civile di vivere e prosperare. I cittadini tuttavia
non hanno alcun diritto di fronte allo Stato, il cui potere è
assoluto. Infatti il potere sta propriamente nella facoltà di
decidere su ogni argomento. Ogni concetto, ogni questione
che può divenire motivo di contrasto deve essere risolta dallo
Stato. Quindi se i cittadini devono avere proprietà, lo Stato
non solo determina in quale misura e secondo quali regole,
ma esso stabilisce anche che cosa vada inteso per proprietà.
Allo stesso modo vale per le leggi, il diritto, la guerra, la
religione. Solo infatti se la decisione è del sovrano l’ordine
può essere garantito. Ogni diritto a decidere tolto al sovrano
rappresenta una limitazione e cessione della sua sovranità,
dunque una contro sovranità che degenera in conflitto,
distruggendo il corpo sociale e riproponendo la condizione di
guerra civile.
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42
La sovranità è irrevocabile e sciolta
dalle leggi
Nessuno può stabilire limiti di tempo e di
spazio alla sovranità, poiché se qualcuno
decidesse questo per il sovrano il sovrano
non sarebbe più tale. Nessuna legge,
nemmeno quella promulgata dal sovrano
stesso, può limitarne l’agire, poiché vi
dovrebbe essere qualcuno che la renda
coattiva nei confronti del sovrano, e dunque
quest’ultimo sarebbe il vero sovrano.
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43
L’unico dovere del sovrano:
l’efficacia
L’unico dovere del sovrano è quello di
essere “succesful”, cioè di avere successo
e di essere efficace nel suo compito,
preservando la pace nello Stato, il che è
condizione essenziale perché la vita dei
cittadini possa essere difesa. Per contro i
cittadini non hanno alcun diritto, se non
quello di non rinunciare alla propria vita.
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44
Ci si può ribellare al sovrano?
Nessuna ribellione è ammessa, poiché se
il sovrano non ha successo, lo Stato si
dissolve nei fatti e quindi nessuna ribellione
è necessaria, se invece ha un minimo di
successo e mantiene un minimo di
condizioni di vivibilità, la sua sovranità è
vigente e lo Stato mantiene ogni diritto.
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45
La forma di governo
Per Hobbes la forma di governo è indifferente. A
governare può essere un singolo o un assemblea.
L’importante è che gli organi dello Stato mantengano
intatta la sovranità. Tuttavia nel De cive, citando Aristotele,
Hobbes dice che comunque è meglio che uno solo
governi. Il governo di uno solo prende decisioni più in
fretta e in modo più efficiente, inoltre, ammettendo un certo
livello di clientelismo e corruzione, data la fallibilità della
natura umana, la corte dell’unico sovrano è certamente più
ristretta che le molteplici corti dei numerosi membri
dell’assemblea, grazie ai quali le clientele aumentano
smisuratamente a detrimento del funzionamento generale
dello Stato.
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46
Il potere religioso
Lo Stato è una sorta di Dio mortale, che
sopra di sé ha solo il Dio immortale. Lo
Stato ben formato è lo Stato cristiano. È
vero che in fondo la signoria di Cristo è
esempio e modello di ogni signoria e la
religione cristiana è il fondamento di ogni
convivenza civile, col suo precetto della
carità. Nondimeno la domanda che si pone
è “Chi interpreta il messaggio di Cristo
tramandatoci dalle Scritture?”
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47
Quis judicabit? Quis
interpretabitur?
Chi giudicherà? Chi interpreterà? È chiaro che se
l’assemblea dei cristiani, intesa come Chiesa distinta
dal potere politico, si arroga il diritto di interpretare le
Scritture e di guidare i cristiani decidendo che cosa sia
giusto per loro, si genera una sfera in cui la sovranità
dello Stato viene limitata. Una sfera molto vasta, data
la religiosità del popolo. Al suo interno sarà inoltre
possibile il disaccordo e il conflitto, come dimostrano le
guerre di religione che hanno insanguinato l’Europa
e l’Inghilterra nel XVII secolo. Quindi la pace non potrà
essere preservata.
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48
La soluzione … lo Stato
Dati i rischi della presenza di un contropotere che
possa impedire allo Stato di svolgere il suo
compito, ogni potestà religiosa va affidata al
potere politico, che decide che cosa debba
essere inteso per religione, per devozione, e come
debbano essere interpretati tutti i concetti religiosi
e morali. La gerarchia ecclesiastica deve essere,
come tutto il resto, sottomessa allo Stato e
mantiene una funzione importante soltanto per
quanto riguarda l’insegnamento.
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49
Un contrattualismo assolutista
La dottrina politica di Hobbes, a differenza di quelle
classiche di derivazione aristotelica, ritengono l’ambito
della politica una sfera artificiale: l’uomo non è per natura
animale politico, per natura l’uomo è un animale non
socievole e portato alla sopraffazione. Lo Stato, quindi,
risulta essere un artificio, un prodotto della volontà umana
che in ogni individuo genera la possibilità di un accordo,
cioè di un contratto. Lo Stato è il prodotto di un contratto,
ma non solo lo Stato, anche la società. Senza sovranità vi
è conflitto e non è possibile convivenza sociale. Dunque
senza Stato non vi è società, ma solo un accostamento di
individui in conflitto fra loro. Tutto ciò ha il presupposto
dell’intoccabilità e pienezza della sovranità statale
(plenitudo potestatis): qualunque elemento che la limiti,
perciò stesso la distrugge.
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50
Lo stato di natura internazionale
Se nello Stato la questione della pace e della
sovranità è definitivamente risolta, che cosa
avviene fra gli Stati? Nei rapporti internazionali
non si può evidentemente pretendere che vi siano
delle leggi che regolino l’azione dei vari Stati,
infatti la presenza di tali leggi, limiterebbe la libera
sovranità di ciascuno. Quindi il rapporto fra gli
Stati è lasciato nella condizione dello stato di
natura, in cui il conflitto è sempre possibile.
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La pace fra le nazioni? Non vi si può sperare se
non in virtù dell’obbedienza al proprio Stato
“Non potete sperare in una pace di questo tipo fra due
nazioni, poiché non esiste in questo mondo un’autorità
comune, capace di punire le ingiustizie che quelle
commettono. Il timore reciproco potrà per un certo periodo di
tempo tenere tranquille le nazioni, ma appena una di esse si
sentirà più forte aggredirà l’altra; evidentemente il momento
più favorevole per aggredire è quello in cui una obbedisce al
proprio re e l’altra no. E allora è lecito ritenere che la pace
interna sia durevole, quando l’uomo comune viene persuaso
dell’utilità di obbedire e di seguire il suo sovrano e del danno
che gliene verrà se ascolterà coloro i quali lo ingannano con
le loro promesse di riforme o di mutazioni di governo” (T.
Hobbes, Dialogo fra un filosofo e una studioso del diritto
comune d’Inghilterra, in Opere politiche di Thomas Hobbes,
tr. it. di N. Bobbio, Utet, Torino, 1971, pp. 403-404).
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HOBBES: homo homini corpus