Ettore Schmitz/Italo Svevo 1878-79: frequenta l’Istituto Superiore Commericiale di Trieste, dove tornerà alcuni anni dopo come insegnante di corrispondenza commerciale; 1880-1899: Lavora come impiegato (corrispondenza con i clienti stranieri) nella Banca Union di Trieste, dove era entrato in seguito a difficoltà finanziarie del padre Alcuni anni dopo il matrimonio con Livia Veneziani (1896), Svevo lascia il lavoro in banca e (1899) inizia a lavorare nell’industria dei suoceri, che aveva sede a Ts, una filiale a Murano - e ne aprirà un’altra nei dintorni di Londra. Ettore Schmitz/Italo Svevo Svevo, Lettera a Enrico Rocca del 1927: «A 36 [in realtà a 38] anni ebbi la fortuna di entrare in un’impresa industriale della quale faccio parte tuttavia. Fino allo scoppio della guerra fui occupatissimo, specialmente dirigendo degli operai a Trieste, Murano (Venezia) e Londra. Dato l’assoluto insuccesso di Una vita e Senilità risolsi di rinunziare alla letteratura ch’evidentemente attenuava la mia capacità commerciale e le poche ore libere le dedicai al violino pur d’impedirmi il sogno letterario. La guerra distrusse finché durò i miei affari, e certo fu in seguito al lungo riposo che nel ’19 mi misi a scrivere La coscienza che pubblicai nel ‘23». Ettore Schmitz/Italo Svevo Svevo, Soggiorno londinese (1926): «L’insuccesso di Senilità che pubblicai a 37 anni mi fece risolvere di abbandonare del tutto la letteratura. M’ero sposato, avevo avuta una figlia e bisognava diventare serii. Non solo abbandonai la Banca che pur mi lasciava il tempo per pensare e scrivere e mi misi in un’industria che mi caricava di grandi responsabilità e m’imponeva un’attività illimitata, ma per non ricadere una terza volta nella letteratura, sentendo che qualche cosa in me domandava un’esplicazione artistica, dedicai le poche ore che mi restavano libere allo studio del violino». Ettore Schmitz/Italo Svevo Svevo, Profilo autobiografico: «Derivava la necessità della rinunzia. Il silenzio che aveva accolto l’opera sua era troppo eloquente. La serietà della vita incombeva su lui. Fu un proposito ferreo. Gli fu più tacile di tenerlo perché in quel torno di tempo entrò a far parte della direzione di un’industria alla quale era necessario dedicare innumerevoli ore ogni giorno. In complesso finì con l’avere una vita più felice di quanto avesse temuto. In gran parte si vide esonerato dal tedioso lavoro d’ufficio e visse coi suoi operai in fabbrica. Dapprima a Trieste, poi a Murano presso Venezia, e infine a Londra. Restavano certamente delle ore libere e lo Svevo racconta volentieri che non poteva dedicarsi al piacere di scrivere, perché bastava un solo rigo per renderlo meno adatto al lavoro pratico cui giornalmente doveva attendere. Subentrava subito la distrazione e la cattiva disposizione. Trovò il modo di occupare anche quelle ore eliminando ogni pericolo. Si dedicò con grande fervore allo studio del violino che nella giovinezza aveva suonato discretamente». Ettore Schmitz/Italo Svevo Svevo, Lettera alla moglie del 6 giugno 1900: «Sai, ad onta che io sia tutto intento a divenire nel più breve tempo possibile un buon industriale e un buon commerciante io di pratico non ho che gli scopi. Resto sempre dinanzi al nuovo oggetto l’antico sognatore […]. Deve esserci nel mio cervello quache ruota che non sa cessare di fare quei romanzi che nessuno volle leggere e si ribella e gira vertiginosamente te presente e te assente […]. Devi pensare quanta violenza mi feci per saltare a piè pari nelle nuove occupazioni. Devo esserne intimamente scosso e quando senza chiamarlo mi viene fatto il romanzo, io che amai sempre tutto quello che feci resto stupito dinanzi all’evidenza delle mie immagini e dimentico il mondo intero. Non è l’attività che mi rende tanto vivo, è il sogno». Senilità: Storia del testo Ci sono molte incertezze sulla datazione del romanzo: Non è chiaro quando Svevo abbia cominciato a scriverlo, se già dal 1892-92, dopo la pubblicazione di Una vita, o più avanti; Si sa solo che (in base alle testimonianze esistenti) il romanzo assume una forma compiuta tra l’estate 1896 (quando ne legge i primi capitoli alla moglie) e il maggio 1897, quando si pone il problema del titolo. Il titolo originario a cui aveva pensato (cfr. lettera alla moglie del 14 mag. 1897) era Il Carnevale di Emilio. Senilità: Storia del testo Il libro ha una forte radice autobiografica: La protagonista femminile, Angiolina Zarri, è ricalcata su Giuseppina Zergol, una «ragazza del popolo» che Svevo frequentò tra il 1892 e il 1894; Lo scultore Stefano Balli è ispirato a un amico di Svevo, il pittore Umberto Veruda; In generale, tutti e quattro i personaggi principali rimandano a modelli reali, persone vissute a Trieste in quegli anni Svevo, Profilo autobiografico: «Questo romanzo dapprima non fu pensato per essere pubblicato. Sei anni prima molti suoi capitoli furono scritti con l’intento di preparare l’educazione di Angiolina, quell’educazione di cui tanto spesso nel romanzo si parla. Angiolina fu la prima che conobbe il romanzo di cui ella era la protagonista. Del resto a Trieste si sanno i nomi di tutt’e quattro i protagonisti di Senilità. Qui non ci sono propositi di filosofia, né le debolezze umane, quella del Brentani in primo luogo, sono sublimate da teoremi». Senilità: Storia del testo Pubblicazione: Il romanzo esce in 79 puntate sull’«Indipendente» tra il 15 giugno e il 16 settembre 1898; Alla fine 1898 viene ripubblicato in volume, a spese dell’autore, presso l’editore Vram di Trieste, ed è un «fiasco assoluto»; Solo dopo la pubblicazione della Coscienza di Zeno (1923) e l’eplosione del cosiddetto “caso Svevo”, pensa a una seconda edizione del romanzo, che dopo mille vicissitudini editoriali vede finalmente la luce nel 1927, presso l’editore Morreale (accompagnata da una Prefazione). Innamorati o “lottatori” Svevo, Diario per la fidanzata (gennaio 1896): «Un uomo può avere solo due grandi fortune a questo mondo: Quella di amare molto oppure quella di combattere vittoriosamente nella lotta per la vita. Si è felice in un modo o nell’altro ma non avviene spesso che il destino conceda ambidue queste felicità. Mi pare perciò che dei caratteri umani, i felici son quelli che sanno rinunciare all’amore o quelli che si tolgono dalla lotta. Infelicissimi son quelli che si frazionano come desiderio o come attività nei due campi tanto opposti». La donna-infermiera Diario per la fidanzata (25 gen. 1896): «Vedrò me moribondo e tu mia buona assistente. Già sei destinata a fare da infermiera e lo farai. Io sarò pieno di pretese e di malumore e ti farò soffrire tanto che quando me la batterò ti lascerò brutta e vecchia e nessuno più ti vorrà».