LA COLLEZIONE PALMIERI DIPINTI DEL ‘600 E ‘700 Sono napoletani quattro dipinti restaurati nell’Ottocento con scarso rispetto. Un’incauta velinatura sembra aver strappato gran parte della pellicola pittorica. La foderatura era fatta con due pezzi di tela ricucita e incollata con poca adesione. Soprattutto nel Matrimonio mistico di Santa Caterina (olio su tela, 110x165), la parte originale del dipinto era scomparsa sotto pesanti e arbitrarie integrazioni. Con identici criteri erano stati restaurati Mosè salvato dalle acque (olio su tela, 110x165) e Mosè fa scaturire l’acqua dalla rupe (olio su tela, 110x165). Attribuiti a Luca Giordano nei vecchi inventari ed elencati tra quelli non visti da O. Ferrari e G. Scavezzi, già nel 1964 Michele D’Elia le indicava dubitativamente, perché di difficile lettura a causa del precario stato di conservazione. Singolare e sorprendente è stato ritrovare sulla fodera di uno dei dipinti tracce di colore provenenti dall’altro. Entrambe le tele sono state ridotte per essere adattate in una nuova cornice. Un restauratore di nome Quintino Cazzato firma il restauro di una grande pala d’altare di estremo interesse per la storia della pittura in Terra d’Otranto. Si tratta di San Silvestro papa trai SS. Vescovi Giuliano e Basilio (olio su tela, 230x171) che già l’Infantino nel 1634 ricorda “dipinti di perfettissima mano…opera di Vincenzo Fiamengo dipintore eccellentissimo”. Era la pala d’altare nella cappella di San Giuliano che fu demolita dai francescani per ampliare la loro chiesa. Di essa si era persa notizia. Il restauro l’ha fatta ritornare nel luogo d’origine. Il restauratore aveva ben foderato il dipinto, intervenendo però con pesanti ridipinture. I colori originali erano diventati talmente scuri e piatti che non si capiva perché mai l’artista fosse stato definito fiammingo. La pulitura ha fatto riemergere, seppure molto lacunosi, quegli effetti di cangiantismo nelle vesti, tipici della pittura tardo-manieristica, ed evidenti anche in quelli espressi dai pittori fiamminghi naturalizzati italiani. Il piviale di S. Silvestro è riapparso nelle sue sfumature rosa, quello di S. Giuliano verde cangiante, e sono riemerse le tracce di uno sfondo architettonico. Vincenzo Fiamengo va identificato col pittore fiammingo Wenzel Cobergher Antonio Verrio (Lecce, 1736-1800) San Francesco Saverio che appare al Beato Mastrilli (olio su tela) Cronologia degli eventi Secolo XIII Un gruppo di frati mandato da San Francesco viene ospitato vicino alla chiesa di San Giuliano, come attesta l’iscrizione pro domo ab illustrissima Guarinorum familia divo Francisco ad primam templi fondazione donata patres grati animi monumentum. 1273 Costruzione del primo Convento. Secolo XVI Alla fine del secolo, la chiesa ed il convento medievali subiscono un rifacimento secondo modelli tardo-manieristici delle chiese dei Gesuiti e dei Teatini. Secolo XVII Ampliamento dell’area di pertinenza dei francescani che inglobano la demolita chiesetta di San Giuliano, mentre arricchiscono di decorazioni la chiesa e la sacrestia. 1807 Soppressione dell’ordine francescano e trasformazione del monastero ad opera di Giuseppe Bonaparte nel “Real Collegio di San Giuseppe”, che solo dopo l’Unità d’Italia, nel 1861, verrà intitolato a Giuseppe Palmieri. 1823-1833 Viene concessa la direzione del collegio ai Gesuiti che provvedono all’ ampliamento e sistemazione del complesso e della piazzetta antistante secondo il progetto dell’ingegnere gesuita G. Battista Iazzeolla. Marzo 1848 Espulsione dei Gesuiti. Settembre 1848 Rientro dei Gesuiti. 1854-1872 Trasformazione di tutta l’area e ampliamento dell’edificio scolastico dalla parte della chiesa che subisce l’abbattimento di sei cappelle. 1940 La chiesa viene chiusa per dissesti statici. 1964 Primo tentativo di restauri che si concludono l’anno successivo, ma l’edificio viene ugualmente chiuso perché lo stato di degrado non consente l’agibilità. 1996 La Provincia di Lecce avvia il restauro di tutto il complesso partendo dalla chiesa di San Francesco che sarà aperta al pubblico nel dicembre 2003. Dopo l’Unità d’Italia con il riordinamento del Collegio si avviano lentamente i primi interventi conservativi sui dipinti, che ancora non rispondono ai criteri di un restauro rispettoso dell’originalità dell’opera. Restauri raffazzonati, tele tagliate e adeguate a nuove dimensioni e nuove cornici. Quadri usati come telai su cui venivano rimboccate tele più grandi, ordinarie puliture con patate, cipolle, soda caustica, infine, imballaggio e spedizione a Cassano Murge e Castel del Monte per sicurezza, nel 1940, durante la guerra. Alla fine qualcuno ha ceduto, se nel verbale di consegna del 1974 quattro tele sono indicate come “Quadri scaricati dall’inventario perché fori uso”. Su molti di questi dipinti sappiamo che intervenne Giovanni Grassi, che insegnava disegno e pittura nelle scuole del convitto. Il restauro era inteso allora molto spesso come rifacimento.