La questione degli universali
Sulle possibilità conoscitive della
ragione
Porfirio e Boezio
Nel III sec. d. C. il filosofo neoplatonico Porfirio (allievo di
Plotino) pubblica un testo che vuole introdurre alla lettura
delle Categorie di Aristotele, un’ importante opera di logica
del filosofo di Stagira. L’opera si intitola Isagoge o Introduzione
alle Categorie di Aristotele (dal greco eisagoghé =
introduzione).
All’inizio del VI secolo, nell’ambito di un progetto, mai portato
a termine, di traduzione in latino di tutto il corpus aristotelico
e platonico, il filosofo romano Severino Boezio (480-526)
traduce in latino non solo l’Organon aristotelico (cioè tutte le
opere logiche dello Stagirita), ma anche l’Isagoge porfiriana
(che viene pure dallo stesso Boezio commentata).
Questi testi diventano oggetto di studio attento e
approfondito da parte dei filosofi scolastici.
L’argomento più discusso
L’argomento più discusso tra i filosofi medievali è quello relativo ai
generi e alle specie aristoteliche. Porfirio, introducendo il tema aveva
detto: "Non dirò, riguardo ai generi e alle specie,
• se siano sostanze esistenti per sé,
• o se siano semplici pensieri
e, nel caso siano sussistenti, se siano realtà
• corporee
• o incorporee
e, infine, se siano
• separate dai sensibili
• ovvero poste in essi.
Poiché questa è impresa molto ardua, che ha bisogno di più vaste
indagini."
Quale realtà hanno i generi e le
specie?
• E’ proprio questo tema che appassiona i medievali: quale
realtà possono avere quei termini, come i generi e le
specie, che si predicano di una molteplicità di individui?
Infatti genere e specie, lo ricordiamo a partire da Aristotele,
sono termini linguistici e concettuali che hanno una
estensione tale da comprendere tanti individui. Generi
sono insiemi di individui all’interno dei quali si possono
ritagliare dei sottoinsiemi che chiamiamo specie. Per
esempio uomo è genere che contiene in sé il sottoinsieme
«italiano» «svizzero» etc.: questi ultimi sono specie del
genere uomo. D’altro canto «italiano» o «svizzero» etc.
sono a loro volta generi di «lombardo» o «ticinese» etc., i
quali ultimi sono appunto specie del loro genere.
Il problema
• Ora il problema è il seguente:
• Quando io dico Socrate è un uomo, sto dicendo che appartiene alla
specie umana, la quale a sua volta appartiene al genere animale e
così via. Ma in questo caso «uomo» che cosa indica?
1) Indica che in Socrate vi è un’ «umanità» come idea platonica
REALMENTE ESISTENTE alla quale Socrate parteciperebbe,
2) oppure indica un carattere distintivo di Socrate che mi aiuta a
definirlo come un essere determinato che possiede una forma la
quale NON HA REALTÀ SE NON DENTRO la sostanza Socrate
(Aristotele),
3) o infine è solamente un modo che ho per «chiamare» Socrate,
cioè semplicemente un NOME con cui indico l’individuo Socrate,
partendo dalla mia esperienza e astraendolo da lui come da altri
individui che hanno caratteri simili.
Ante rem
• Queste alternative sottendono tre diverse prospettive.
• La prima corrisponde ad un realismo di matrice
platonico-agostiniana in cui generi come umanità,
bontà, umanità, bellezza etc., hanno una sussistenza
per sé nella mente di Dio, prima della loro esistenza
come termini linguistici che designano caratteri delle
cose. Tale impostazione pensa gli universali come
termini ante-rem, prima della cosa, cioè prima
dell’esistenza delle cose indicate dal termine (la bontà
viene prima delle cose buone).
Anselmo
• Questa posizione è stata sostenuta da Anselmo d’Aosta,
per il quale la recitutudo del linguaggio, del pensiero e delle
cose sensibili stesse è nient’altro che il loro adeguarsi
all’idea così come è presente nel pensiero di Dio, un’idea
che ha quindi un grado addirittura più elevato di realtà che
non le cose sensibili individuali stesse.
• Il problema che sorge in questo ambito è il modo in cui
l’unica essenza universale possa essere partecipe di più
individui (senza moltiplicarsi) e di come possa divenire
causa della loro identità profonda (rimanendo da loro
separata) nel caso di un universale che designi la sostanza
di una cosa (tali questioni erano alla base della critica
aristotelica alle idee di Platone).
In re
• La seconda prospettiva, più vicina ad
Aristotele, considera l’universale come un
termine che indica una realtà esclusivamente
inerente alle cose, dentro le cose. L’universale
è un’essenza reale presente nella cosa (in re)
come una sua caratteristica distintiva –
sostanziale o accidentale. Questa posizione
viene valorizzata, insieme ad altri, da S.
Tommaso.
Post rem
• La terza soluzione considera l’universale come un concetto
astratto dalle cose, quindi senza un’ esistenza reale, bensì
con un’esistenza esclusivamente logica.
• Prima esiste la cosa e poi il concetto la pensa. Il concetto
viene dunque dopo la cosa (post rem). Questa
impostazione, nella forma in cui è stata qui esposta, viene
sostenuta da Pietro Abelardo (1079-1142), grande mente
filosofica del XII secolo. Egli ritiene che l’universale sia
sermo (concetto, discorso, logos) che significa una data
condizione, uno determinato stato degli individui,
consentendo così di conoscerli e di distinguerli, senza
presupporre l’esistenza reale della medesima essenza per
molteplici singoli enti, con tutti i problemi che ne derivano.
L’estremismo di Roscellino (1050-1120)
• All’interno della terza prospettiva si colloca la posizione
estremistica di Roscellino, il quale ritiene che reale sia solo
l’individuo e che l’individuo solo possa esistere: Nihil est
praeter individuum. La realtà dei nomi universali consiste
solamente nel fatto che essi sono reali emissioni di fiato
(flatus vocis) o reali segni scritti su un foglio. Questa solo è
la loro realtà, fuori di essa nulla corrisponde a loro: il
linguaggio degli universali pare essere una sorta di gioco
con delle cose che non danno alcun aiuto nel descrivere la
realtà. Unico elemento che nel linguaggio ha una funzione
utile alla comprensione del mondo è il nome proprio della
singola cosa reale (per esempio Socrate per l’individuo
Socrate).
Nominalismo
• L’idea di Roscellino, per cui l’universale è esclusivamente un nome
senza che vi sia una sua corrispondenza con la realtà, viene
chiamata nominalismo. Il nominalismo ha come conseguenza
gnoseologica un distacco tra linguaggio-pensiero e realtà, perché i
concetti – che noi indichiamo sempre con termini universali – e le
operazioni che enunciano leggi generali del mondo, sono destinati a
rimanere confinati in un ambito linguistico senza possibilità di
definire stati di cose reali.
• Dal punto di vista teologico il nominalismo di Roscellino porta a
considerare le tre Persone della Trinità come tre dei distinti –
questa è almeno l’accusa di Anselmo – perché la parola Dio/Trinità,
che indicherebbe l’unità della sostanza divina nelle tre Persone non
avrebbe significato alcuno nella realtà. Quindi esisterebbero Padre,
Figlio e Spirito con un’assoluta unità di pensiero e volontà, ma non
l’unica Trinità divina. Tale tesi viene condannata al concilio di
Soissons nel 1092.
Il senso gnoseologico della disputa
• Il senso gnoseologico della disputa sta tutto nella fiducia che si è disposti
ad accordare alla ragione e alla sua capacità di restituirci un’immagine
fedele della realtà.
• Se l’universale è reale, i concetti che designano la realtà profonda di una
cosa, la sua essenza, sono una realtà effettiva, di cui la cosa sensibile ed
esistente è un epifenomeno conoscibile proprio in virtù della possibilità di
individuarne l’essenza platonica ante rem o la sostanza aristotelica in re.
• Se l’universale è nome significativo, secondo l’impostazione di Abelardo, le
definizioni, pur non corrispondendo a realtà sussistenti, aiutano a
conoscerne le condizioni reali .
• Se l’universale è flatus vocis, la ragione gira a vuoto, perché le parole che
esprimono i concetti non si riferiscono ad alcuna realtà effettiva: la
scienza è una costruzione del tutto aleatoria. Aleatoria sembra anche
essere lo stesso principio roscelliniano per cui nihil est praeter individuum,
visto che in questa frase sembra designare l’individuo in generale, parola
che notoriamente non ha alcun senso.
La conciliazione tomista
• S. Tommaso, riprendendo la questione, opera una
conciliazione tra le tre posizioni in campo.
• Per lui gli universali sussistono nella mente di Dio
prima della creazione (ante rem), vengono da Dio posti
nelle cose all’atto della creazione (in re), e così
possono essere conosciuti dall’uomo (post rem). Tale
posizione, conciliando le tre precedenti, salva in ogni
caso la conoscibilità del reale e le prerogative della
ragione. Faccenda che risulterà più complessa con
l’ultima scolastica nominalista del francescano
Guglielmo di Occam (1280-1349 circa).
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