Baraldi Alberto
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30/10/2006
La Divina Commedia
La Farinata degli Uberti
La Vita
Farinata è l'appellativo di Manente degli Uberti, un
nobile ghibellino, ovvero sostenitore dell'impero,
appartenente a una tra le famiglie fiorentine piú antiche
e importanti, citato da Ciacco nel VI canto dell'Inferno
dantesco tra gli uomini degni del tempo passato
(verso79), ovvero i fiorentini ch’a ben far puoser li
’ngegni.
Farinata visse a Firenze all'inizio del XIII secolo, una delle
epoche peggiori per la città toscana, tormentata da discordie
interne tra guelfi, i sostenitori papali, e i ghibellini, di cui
Farinata faceva parte.
Nel 1239, Farinata è a capo della consorteria di parte
ghibellina, svolgendo un ruolo importantissimo nella cacciata dei guelfi
avvenuta pochi anni dopo, nel 1248.
In seguito alla morte dell'imperatore Federico II, i guelfi poterono
riorganizzarsi e tornarono a Firenze, pronti a sfruttare l'occasione delle
lotte di successione per la corona imperiale. Nella città si riaccesero gli
antichi contrasti, che portarono questa volta i guelfi alla vittoria e i
ghibellini all'esilio.
Farinata si stabilí a Siena, e nonostante la sconfitta venne riconosciuto
ancora come la piú autorevole guida della fazione ghibellina. Dopo aver
riorganizzato anch’egli le proprie forze, e sfruttando l'appoggio degli
armati di Manfredi, figlio naturale del defunto imperatore Federico II, fu
protagonista della celebre vittoria di Montaperti, una delle battaglie piú
importanti della storia medievale italiana, avvenuta il 4 settembre 1260.
Allo stesso tempo al congresso di Empoli riuscí a distogliere l'ala piú
radicale della propria fazione dal proposito di distruggere Firenze
evitando cosi che firenze fosse distrutta e i suoi abitanti dispersi nella
Valdelsa intorno al borgo di Empoli.
Farinata morí quattro anni dopo, nel 1264, a Firenze, poco prima della
fondamentale battaglia di Benevento (1266), che sancí la fine della
dinastia sveva in Italia e il rientro, definitivo, dei guelfi in città.
Statua di Farinata, sita agli Uffizi
Gli Uberti, come parte dell'élite ghibellina, furono
esiliati. Anche i morti, però, subirono la vendetta della
fazione rivale: nel 1283, 19 anni dopo la sua morte,
Farinata e sua moglie, Adaleta, subirono l'accusa
postuma d'eresia. I loro resti mortali, sepolti al tempo
nella chiesa di Santa Reparata, vennero riesumati,
mentre i beni lasciati in eredità vennero confiscati alla
famiglia.
La fondatezza dell'accusa d'eresia non è certa ancora
oggi: l'accusa mossa ai ghibellini, e per la quale vennero
considerati eretici, riguardava la contestazione della
supremazia religiosa della Chiesa. In realtà, la fazione
cui Farinata apparteneva ne contestava solamente
l'ingerenza politica, reclamando una suddivisone tra
potere secolare e potere temporale. La confusione venne
probabilmente aumentata dalla propaganda della
fazione rivale, pronta a sfruttare a proprio vantaggio
l'accusa d'eresia.
Gli Uberti, comunque, vennero esclusi da qualsiasi
amnistia, e l'odio dei guelfi fiorentini si focalizzò su di
loro.
Il Luogo
Dante e Virgilio, attraverso le mura della città di Dite, entrano nel
6° cerchio dell’Inferno, quello degli eretici e degli epicurei, cioè
di coloro che non hanno creduto nell’immortalità dell’anima; fra
di essi sono compresi anche le anime di quelli che si sono
politicamente ribellati al Papato: i ghibellini.
Il cerchio degli eretici appare a Dante come una grande pianura disseminata di
tombe circondate da fiamme (probabilmente per la legge del contrappasso,
perché gli eretici venivano bruciati vivi sul rogo); le tombe sono aperte e il
poeta è desideroso di conoscere le anime che lì sono dannate. Le sue parole,
dall’accento fiorentino, suscitano la nostalgia e la curiosità di un dannato,
Farinata degli Uberti, che nella voce di Dante riconosce l’amata Firenze. Il
punto centrale del Canto è proprio lo scambio di battute tra Dante e Farinata.
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