R. Ceserani, Guida allo studio della Letteratura, Roma-Bari, Laterza, 1999 “[il mito è una] grande narrazione, appartenente al patrimonio culturale delle società arcaiche, proiezione dei desideri e delle angosce dell’uomo, memoria di una realtà molto antica sopravvissuta alle scomparsa delle religioni primitive, che ha fornito immagini e storie a tutta la tradizione letteraria e ha dimostrato una forte capacità di ritrasformarsi e rivivere, a volte nostalgicamente, nelle letterature moderne”. W. Burkert, Mito e rituale in Grecia. Struttura e storia [1979], Roma-Bari, Laterza, 1987. “Il carattere specifico del mito non sembra risiedere né nella struttura né nel contenuto di un racconto, ma nell’uso al quale è destinato [...]: il mito è un racconto tradizionale con un riferimento secondario, parziale, a qualcosa che ha importanza collettiva. Il mito è un racconto tradizionale applicato; e la sua importanza e serietà derivano chiaramente da questa applicazione”. W. Burkert, Mito e rituale in Grecia. Struttura e storia [1979], Roma-Bari, Laterza, 1987. I fenomeni di importanza collettiva che sono verbalizzati con l’applicazione di racconti tradizionali sono da ricercare, in primo luogo, nella vita sociale: • speranze e paure • passaggi cruciali della vita di gruppo • organizzazione della natura e dell’universo La matrice arcaica del racconto mitico Il racconto mitico conserva particolarmente evidenti i segni della sua origine arcaica e dei modi originari della sua trasmissione, che era decisamente orale -> è fluido nei contenuti, ammette spostamenti e sovrapposizioni, come pure la persistenza ‘in parallelo’ di versioni alternative. Il racconto mitico si fissa quando si ‘coagula’ in racconto letterario. Un esempio: programmi di azione nel mito di Orfeo cfr. anche A. RODIGHIERO, Orfeo: variazioni sul mito, Venezia, Marsilio, 2004 • potere suasorio e civilizzatore del canto • catabasi (superamento del confine vitamorte) • amore e perdita • sacrificio pericolosità del femminino? rivolta contro una società omo-sessuale? Riscatto dell’elemento edonistico? diffida dalla divulgazione dei misteri? sacrificio dell’inverno? Due ipotesi sulla funzione del racconto mitico Burkert -> i racconti mitici (in quanto ‘programmi d’azione’) servono a tramandare alcune fondamentali «sequenze di esperienza psichica» e quindi integrare il singolo nella comunità. Hillman (psicanalista di formazione junghiana) -> poiché il mito rappresenta un prezioso «archivio delle immagini archetipiche», esplorarlo può servire a curare i disturbi che vengono dalla «supremazia soggettivistica», dalla moderna fissazione sulla soggettività. Due approcci antropologici ottocenteschi al problema del rito INTELLETTUALISTA: le azioni rituali sono la traduzione, e a livello dell’azione, di credenze che dipendono da processi e preoccupazioni intellettuali. Le credenze magiche e religiose hanno lo scopo di spiegare i fenomeni naturali, i riti quello di controllarli = scienza erronea -> illusione FUNZIONALISTA: le credenze sono forse illusorie, ma rispondono comunque a un bisogno pratico, morale o sociale. Es. del totemismo animale = mangiando abitualmente in gruppo le carni di uno stesso animale i membri di un gruppo credono di assorbire una sostanza identica, che il gruppo si attribuisce. Il pasto totemico non risponde a un bisogno di controllare la natura, ma di “riprodurre nel gruppo la credenza che gli permette di costituire un’unità organica”. L’approccio etologico al tema della ritualità (Burkert) “L’esempio standard di Lorenz è la cerimonia di esultanza di una coppia di oche selvatiche, che consiste in una comune aggressione contro un inesistente intruso; con gridi di esultanza queste oche si assicurano reciprocamente della loro amicizia e solidarietà. In altre parole, il rituale è azione ri-diretta a scopo dimostrativo. In questa prospettiva gli elementi caratteristici del rituale sono: il modulo stereotipo di azione, che non dipende da situazione ed emozione attuali; ripetizione ed esagerazione, per produrre una specie di effetto teatrale; e la funzione comunicativa” (Mito e rituale, p. 63) La funzione della ritualità secondo Burkert (schematizzando) 1. Il rituale è qualcosa che la gente esegue, dròmena nel termine di Plutarco e Pausania. 2. Il rituale è un atto comunicativo (sempre uguale e ripetuto regolarmente) in cui il messaggio sembra avere per oggetto soprattutto l’identità del gruppo, la sua coesione e la capacità dei suoi membri di proteggersi a vicenda. Analogie funzionali fra mito e rituale Fra mito e rito non c’è necessariamente dipendenza, ma una forte analogia, che coinvolge diversi aspetti. • sono entrambi fenomeni comunicativi • sono avulsi dalla realtà fattuale • promuovono una comprensione e una solidarietà reciproca fra i membri di un gruppo Il rito allora si può anche definire come un insieme di azioni che ha il potere di suscitare, o almeno di confermare, il mito. Il rito è il mito in azione. Il mito rammemora, il rito commemora. Azione rituale e discorso letterario FUNZIONE COMUNICATIVA anche attraverso RIPETIZIONE / RIUSO ... Il discorso letterario è una forma di ritualità?