Le opere di misericordia 1 Inno GMG Cracovia 2016 Sei sceso dalla tua immensità in nostro aiuto. Misericordia scorre da te sopra tutti noi. Persi in un mondo d’oscurità lì Tu ci trovi. Nelle tue braccia ci stringi e poi dai la vita per noi. Beato è il cuore che perdona! Misericordia riceverà da Dio in cielo! Solo il perdono riporterà pace nel mondo. Solo il perdono ci svelerà come figli tuoi. Beato è il cuore che perdona.. Col sangue in croce hai pagato Tu le nostre povertà. Se noi ci amiamo e restiamo in te il mondo crederà! Beato è il cuore che perdona.. Le nostre angosce ed ansietà gettiamo ogni attimo in te. Amore che non abbandona mai, vivi in mezzo a noi! Beato è il cuore che perdona.. 3 Preghiera di papa Francesco per il Giubileo della Misericordia Signore Gesù Cristo, tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste, e ci hai detto che chi vede te vede Lui. Mostraci il tuo volto e saremo salvi. Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro; l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura; fece piangere Pietro dopo il tradimento, e assicurò il Paradiso al ladrone pentito. Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio! Tu sei il volto visibile del Padre invisibile, del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia: fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e nella gloria. Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza per sentire giusta compassione per quelli che sono nel l’ignoranza e nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio. Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista. Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a teche vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen 4 Le opere di misericordia 1. “Un atto di amore, anche quando non può dare nulla” (Kierkegaard) “È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina” Così ha scritto Francesco nella bolla d’indizione del Giubileo che stiamo celebrando. Le opere di misericordia sono indubbiamente un tema molto bello e importante su cui riflettere. Sono però anche un tema insidioso, perché non c’è niente di più facile che ridurle a qualche forma esteriore di aiuto verso il prossimo o a qualche gesto occasionale di generosità. Per questo il celebre filosofo danese dell’Ottocento Søren Kierkegaard (1813-1855) se la prendeva con il predicatore che “passa sotto silenzio la misericordia per parlare di generosità”, finendo così per tradire anziché illustrare la logica del Vangelo. Così ragiona Kierkegaard: Dall’avere un cuore nel petto non segue che si abbia in tasca del denaro; ma per quanto concerne la misericordia, l’avere un cuore è la cosa più importante e decisiva. […] Lasciamo che a fare calcoli e conteggi siano i giornalisti, gli agenti delle tasse, gli addetti alla mendicità; ma non dobbiamo mai dimenticare che il cristianesimo parla di misericordia in modo essenziale. […] Parlando di ciò, vogliamo […] contribuire un po’ a rendere, se possibile, pudico, come è gradito a Dio, chi può essere generoso e benefico, facendolo arrossire di santo pudore, come si addice a un cristiano; rendendolo pronto a donare e tuttavia restio a prender atto che si tratta di un’elemosina, come si addice a chi nasconde la faccia per non doversi vergognare che altri debbano vedere che egli ne trae onore, o come è proprio di colui la cui sinistra realmente non sa quello che fa la destra. La misericordia non ha nulla da dare. Se il misericordioso ha qualcosa da dare, va da sé che lo darà più che volentieri. Ma non è su ciò che intendiamo portare l’attenzione, bensì sul come si possa essere misericordiosi senza avere il benché minimo da dare. Ciò è di grande importanza, poiché il poter essere misericordiosi è una perfezione molto più grande dell’avere denaro e dunque del poter dare (Gli atti dell’amore. Alcune riflessioni cristiane in forma di discorsi, Morcelliana 2009, pp. 339-354) 5 Parlare di misericordia in modo essenziale, cioè andando al cuore di quest’atteggiamento, significa rendersi conto che è necessario passare dal piano dell’avere a quello dell’essere, un piano più profondo e coinvolgente, che non riguarda soltanto qualche “bel gesto” verso i poveri o qualche atto di generosità, ma un profondo coinvolgimento personale nel destino del fratello. La questione decisiva, infatti, non è se fai o non fai un dono, ma se in quel dono ci sono solo i tuoi soldi (le tue capacità, conoscenze … ) o ci sei tu (il tuo stile di vita, il mettere a disposizione te stesso…). La qualità dei rapporti umani è l’elemento decisivo perché un dono sia tale, perché un’opera di misericordia non sia un modo per togliersi d’imbarazzo di fronte a un povero o per mettersi a posto la coscienza per un po’, ma esprima realmente uno stile di vita. Proprio per questo l’esercizio delle opere di misericordia è possibile sempre e a tutti e non si riduce alla ricerca di politiche sociali umanitarie: c’è un “tu per tu” con il fratello che nessuna politica sociale potrà mai sostituire e che costituisce la misura reale della nostra umanità. La domanda essenziale che dobbiamo porci ragionando sulle opere di misericordia, dunque, ultimamente è: i bisogni degli altri, le esigenze di chi ha di meno sul piano materiale e spirituale, che posto hanno nella mia vita (nei miei progetti per il futuro, nel mio modo di pensare il mio posto nella società e nella chiesa, nelle competenze che sto acquisendo per il futuro o nel lavoro che sto facendo)? Nella questione delle opere di misericordia, dunque, si gioca chi sono. Non è questione di ciò che occasionalmente faccio, ma di chi essenzialmente sono. E ciò che diciamo per noi, vale anzitutto e in primo luogo per Gesù. 6 2. Le “opere di misericordia”di Gesù e il volto di Dio Le opere di misericordia, infatti, prima di essere dei doveri o degli ideali della vita cristiana, sono niente meno che la grammatica attraverso cui Dio si è rivelato a noi in Gesù. Nelle opere compiute da Gesù, infatti, Dio non ha soltanto elargito all’uomo qualche aiuto occasionale, ma ben più profondamente ci ha rivelato chi Egli è, nel suo mistero più intimo e personale. Le opere buone compiute da Gesù mostrano il mistero della grazia che alimenta, sostiene, orienta la nostra libertà, e anche la cura, la protegge, la riscatta, la ripara quando essa è ferita e disorientata. Nelle opere di misericordia compiute da Gesù c’è da riconoscere Dio all’opera nella storia, la sua volontà in azione. Sembra una cosa semplice, ma in realtà è carica di conseguenze. Non è scontato, infatti, che noi ci rappresentiamo il Volto di Dio attraverso le opere di Gesù. Molte volte l’immagine di Dio che ci trasmettiamo reciprocamente, quella che abita il nostro immaginario di figli di Adamo feriti dalla colpa, è segnata da molte ambiguità e contaminata da molte distorsioni. Ci rappresentiamo il volto di Dio attraverso il prisma delle nostre idee di grandezza e di potere, proiettiamo su di Lui le nostre aspirazioni fino a sovrapporre sul suo volto la maschera delle nostre attese e delle nostre paure. Ma quando Dio stesso viene a manifestarsi pienamente nell’umanità di Gesù, egli lo fa proprio attraverso le opere di misericordia. Egli ci chiede di riconoscere la luce del suo Volto nel gesto con cui Gesù guarisce i malati, consola gli afflitti, rende dignità agli emarginati, accoglie i peccatori e benedice i bambini. Proprio per questo le opere di misericordia compiute da Gesù sono i segni – quelli veri, reali … non altri, quelli che ci inventiamo noi – del Regno di Dio. Quando Giovanni Battista manda due dei suoi discepoli a chiedere conferma a Gesù della sua identità messianica, la risposta che essi ricevono è la seguente: 7 Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo! (Lc 17,22s) La scena originaria del Vangelo, quella in cui Gesù mostra la novità inaudita che sta al centro del suo rapporto con il Padre, consiste nei gesti di cura e di liberazione dell’uomo che Dio viene a introdurre nella storia. Questi e solo questi sono i segni in cui Dio si presenta: contro qualsiasi ostacolo od obiezione. Proprio nella tenacia di questa identificazione di Dio attraverso i gesti della misericordia, senza ombre e senza residui, Gesù mostra di avere con il Padre un’intimità insuperabile, che fa di Lui l’interprete autentico, la Parola ultima e definitiva in cui Dio personalmente si dice. Una Parola che non è solo detta su Dio, ma detta da Dio. Mentre dunque gli uomini continuano a immaginarsi che l’azione di Dio possa nascondersi allo stesso modo dietro la grazia e la disgrazia, la benedizione e la maledizione, il beneficio lieto e l’imprevisto tragico, il dono e la sua sottrazione (“…tanto Dio non si può capire”), in Gesù Dio viene a mostrarsi all’opera unicamente nell’atto della cura che restituisce dignità: e su questo ci tiene a essere capito benissimo. Nell’umanità di Gesù appare con ogni evidenza, a chi vuole vedere, che la grammatica che Dio usa per rivelarsi a noi non lascia margini all’ambiguità: è la grammatica delle opere della misericordia. D’altronde fin dall’inizio i figli di Adamo avrebbero potuto intuire. Quando l’uomo e la donna peccarono, sottraendosi assurdamente all’intesa con il loro Creatore, “il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì” (Gn 3,21). In questo versetto posto alla fine del racconto del peccato di origine c’è tutta la tenerezza di Dio. La prima volta in cui fu necessaria una delle opere di misericordia – vestire gli ignudi – la fece Lui, e proprio nel momento in cui l’uomo e la donna lo rifiutavano, Egli fece per loro ciò che ogni madre fa per i suoi bambini: li rivestì. Per proteggerli e per custodirli nella di8 gnità. È questo il suo modo di regnare, che il Figlio renderà evidente in mezzo a noi. 3. “Avevo fame…”(Mt 25,31-46) Si comprende in questa logica perché intorno all’accoglienza o meno della misericordia l’uomo si giochi ultimamente l’intesa con Dio, ossia la riuscita dell’esistenza, la salvezza. È il motivo per cui le opere di misericordia costituiscono nel Vangelo il metro di misura fondamentale del giudizio finale. Conosciamo la famosa parabola di Gesù sul giudizio, presentata in Mt 25, 31-46: Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna”. Su questo testo si potrebbero fare molte osservazioni. Ci limitiamo a evidenziare tre elementi. Anzitutto l’identificazione di Gesù con coloro che egli chiama “i miei fratelli più piccoli” (v. 40b), una identificazione che arriva fino a tradursi in espressioni molto forti: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero 9 straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e avete avuto cura di me, ero in carcere e siete venuti da me”. La solidarietà che Gesù è venuto a instaurare con l’uomo è tale che toccare il povero, il bisognoso, è toccare Gesù. Egli considera ognuno di noi come parte del suo Corpo, uno spazio in cui Egli misteriosamente vive e soffre. Tale identificazione consente realmente di unire la dimensione operativa della fede con quella mistica, quella orizzontale con quella verticale. Nel servizio della misericordia esse realmente s’incontrano. In secondo luogo è significativo che in questa pagina di Vangelo vengano chiamati “giusti” non coloro che hanno esercitato una forma di giustizia umana, limitandosi a dare a ciascuno ciò che si merita, ma coloro che sono stati misericordiosi. La misericordia, dunque, fa la differenza, decide del compimento o del fallimento dell’uomo. Alla fine della storia essa appare come la verità di Gesù, il giudice divino che si è fatto solidale con i suoi fratelli più deboli, e come la misura dell’uomo, che si è conformato all’amore o l’ha tragicamente rifiutato. Infine, se il carattere decisivo della misericordia per la sorte finale dell’uomo si manifesta pienamente nella vita futura, il luogo in cui essa va pratica è però la condizione ordinaria della vita presente. L’affamato, l’assetato, il bisognoso di cui avere misericordia sono i fratelli che ora stanno al nostro fianco. Ciò è evidenziato nel testo dall’alternarsi di due avverbi che ritornano con frequenza: l’avverbio “allora”, che indica il futuro del giudizio, e l’avverbio “quando” che indica il presente della nostra vita. Il giudizio che il Figlio dell’Uomo farà di noi allora si gioca oggi. La posizione che quotidianamente assumiamo rispetto alla misericordia, scegliendola come logica di vita o escludendola dal nostro cuore, è la posizione che fin d’ora assumiamo di fronte al giudizio: a sinistra o a destra del Figlio dell’uomo. 10 4. Le sette opere “materiali” e le sette “spirituali”: un incontro con l’uomo tutto intero È chiaro che la misericordia trova un’infinità di espressioni e di manifestazioni, che non può essere in alcun modo rinchiusa in un elenco esclusivo. Fin dall’inizio del cristianesimo, però, iniziano ad apparire delle “liste” che hanno un valore indicativo. Esse esprimono l’incontro tra il movimento perenne della carità di Dio, in cui l’uomo è coinvolto, e le situazioni contingenti dei suoi bisogni, che si manifestano in modo diverso nelle varie epoche. Non si tratta dunque soltanto di elenchi di cose da “fare” o “applicare”, ma piuttosto di esemplificazioni da cui lasciarsi ispirare per compiere gesti che non siano solo “buoni”, ma anche “profetici”, gesti cioè che parlano di Dio all’uomo del proprio tempo. Troviamo così ad esempio in uno scritto del II secolo d. C., intitolato Il pastore di Erma, questo elenco di attitudini buone da abitare: Assistere le vedove, visitare gli orfani e i bisognosi, liberare dalle necessità i servi di Dio, praticare l’ospitalità, non ostacolare nessuno, essere tranquillo, divenire il più umile di tutti gli uomini, rispettare gli anziani, praticare la giustizia, osservare la fratellanza, tollerare la tracotanza, essere longanime, non avere rancore, consolare chi è afflitto, non respingere coloro che sono scandalizzati ma convertirli e renderli gioiosi, ammonire i peccatori, non opprimere i debitori e i bisognosi Di simili elenchi, si trova un’ampia attestazione nei secoli successivi, con varietà di sottolineatura e una graduale tendenza alla sistematizzazione. È nel Medioevo, intorno al XII secolo, che le “opere di misericordia” assumono la fisionomia della lista divenuta tradizionale, che qui sotto riportiamo: Opere di misericordia corporali 1. Dare da mangiare agli affamati 2. Dare da bere agli assetati 3. Vestire gli ignudi 4. Alloggiare i pellegrini 5. Visitare gli infermi 6. Visitare i carcerati 7. Seppellire i morti. 11 Opere di misericordia spirituali 1. Consigliare i dubbiosi 2. Insegnare agli ignoranti 3. Ammonire i peccatori 4. Consolare gli afflitti 5. Perdonare le offese 6. Sopportare pazientemente le persone moleste 7. Pregare Dio per i vivi e per i morti. È interessante che questi elenchi si compongano di due “settenari”. Il numero 7 è raggiunto prendendo le 6 opere di cui parla il testo di Mt 25 e aggiungendo la sepoltura dei morti, attestata dal libro di Tobia. Nel numero 7 c’è, secondo la concezione antica che in parte è viva anche per noi, l’idea di una pienezza, di una totalità. In effetti in questi elenchi di azioni buone c’è un orientamento ad abbracciare tutto l’uomo, venendo incontro a tutte le sue esigenze, perché si guarda all’uomo nella sua dimensione corporea e in quella spirituale. Questa complementarietà ci ricorda qualcosa di molto importante, ossia che l’uomo non ha bisogno solo di pane, ma anche di verità; non bisogno solo di cose, ma anche di affetto e di amore; non cerca solo di sopravvivere, ma realmente di vivere. L’equilibrio tra queste dimensioni è importante, perché aiuta ad evitare tanto uno spiritualismo disincarnato, che non raggiunge mai la concretezza del fratello, le esigenze del suo corpo, quanto un orizzontalismo disumanizzante, che riduce la salvezza della persona alla soddisfazione dei bisogni immediati. 5. Che cosa posso fare? Penso che a questo punto sia importante che ciascuno di noi s’interroghi concretamente su ciò che è chiamato a fare, sul piano dell’azione concreta e degli atteggiamenti profondi. Non è difficile: basta guardarsi attorno, a partire dalla propria famiglia, dall’ambiente in cui si vive quotidianamente (università, lavoro, amici, conoscenti), dalla comunità in cui si è inseriti, dalle persone che si incontrano… fino ad allargare lo sguardo a ciò che spesso non si ha coraggio né 12 voglia di vedere. Don Primo Mazzolari diceva, con la sua solita chiarezza evangelica: “Chi ha poca carità vede pochi poveri”. Iniziamo dalla famiglia, dagli anziani che sono intorno a noi, a cui spesso dedichiamo un tempo frettoloso, perché abbiamo in mente mille altre cose da fare. L’anziano invece ha bisogno di tempo, di sentirsi ascoltato, anche se magari ripete qualcosa che ci ha già raccontato tante volte. Se ci è possibile, facciamo il proposito di prenderci cura di qualche malato, di assicurargli la nostra vicinanza, che è il conforto reale di cui ha bisogno. Pensiamo ai ragazzi che vengono nei nostri oratori, a cui ci impegniamo a dare un pallone, un campo da calcio, ma che ci chiedono soprattutto di essere aiutati a scoprire il segreto della vita, dove si incontra la vera gioia, la capacità di amare, il gusto della verità. Pensiamo ai poveri che bussano alle porte delle nostre parrocchie, agli immigrati che chiedono accoglienza e dignità. Sappiamo che non possiamo risolvere tutti i problemi e non possiamo fare tutto; quanta differenza c’è, però, tra una comunità in cui l’attenzione ai poveri è un fatto occasionale, che costringe a risposte deboli e insignificanti, e una comunità in cui ci si organizza insieme, per trovare tempi e modi dignitosi per dare volto alla carità del Vangelo. Guardiamo ai nostri compagni di studio e di lavoro: quanta delicatezza si può avere nel sostenere un amico che fa fatica a preparare un esame, senza farglielo pesare; nel condividere con lui la fatica di una decisione, aiutandolo a trovare la strada giusta; nell’aiutare qualcuno che ha un carattere un po’ difficile a sentirsi accolto in un gruppo che spontaneamente rischia di lasciarlo un po’ ai margini. Una delle forme più alte della misericordia, poi, è la correzione fraterna, che ci aiuta a riconoscere i nostri sbagli e anche i nostri peccati, raggiungendoci così come un gesto di amore squisito. Naturalmente questa opera di misericordia richiede molta preghiera e molta umiltà, ma può segnare profondamente la storia di una persona: quante vite sono cambiate, per una parola coraggiosa detta al momento giusto da un vero amico! 13 Concludiamo con due celebri preghiere di Madre Teresa di Calcutta, che ci aiutano a tradurre in preghiera e in vita la riflessione che fin qui abbiamo fatto Vuoi le mie mani? Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno? Signore, oggi ti do le mie mani. Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico? Signore, oggi ti do i miei piedi. Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole d’amore? Signore, oggi ti do la mia voce. Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo solo perché è un uomo? Signore, oggi ti do il mio cuore. Mandami qualcuno da amare Signore, quando ho fame, dammi qualcuno che ha bisogno di cibo; quando ho sete, mandami qualcuno che ha bisogno di una bevanda; quando ho freddo, mandami qualcuno da scaldare; quando ho un dispiacere, offrimi qualcuno da consolare; quando la mia croce diventa pesante, fammi condividere la croce di un altro; quando sono povero, guidami da qualcuno nel bisogno; quando non ho tempo, dammi qualcuno che io possa aiutare per qualche momento; quando sono umiliato, fa’ che io abbia qualcuno da lodare; quando sono scoraggiato, mandami qualcuno da incoraggiare; quando ho bisogno della comprensione degli altri, dammi qualcuno che ha bisogno della mia; quando ho bisogno che ci si occupi di me, mandami qualcuno di cui occuparmi; quando penso solo a me stesso, attira la mia attenzione su un’altra persona. 14 Spazio per te __________________________________________ __________________________________________ _________________________________________ _________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ __________________________________________ 15 Adorazione Eucaristica Il Signore è la luce Misericordias domini Misericordias Domini in aeternum cantabo Il Signore è la luce che vince la notte! Gloria, Gloria, Cantiamo il Signore! Il Signore è l’amore che vince il peccato! Il Signore è la gioia che vince l’angoscia! Il Signore è la pace che vince la guerra! Il Signore è speranza di un nuovo futuro! Il Signore è la vita che vince la morte! Dal Vangelo Secondo Luca 10,25-37 “In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.” Jesus Remember me Silenzio Jesus, remember me when you come into your kingdom. Jesus, remember me when you come into your kingdom. 16 Croce di Cristo noi ti adoriamo Croce di Cristo noi ti adoriamo Pasqua di Cristo noi ti acclamiamo Croce di Cristo, Pasqua di Cristo Preghiamo Padre Nostro O Padre, che nella morte e risurrezione del tuo Figlio hai redento tutti gli uomini, custodisci in noi l’opera della tua misericordia, perché nell’assidua celebrazione del mistero pasquale riceviamo i frutti della nostra salvezza. Per Cristo nostro Signore. Litanie Benedizione Eucaristica Dio sia benedetto Benedetto il Suo santo Nome. Benedetto Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. Benedetto il Nome di Gesù. Benedetto il Suo sacratissimo Cuore. Benedetto il Suo preziosissimo Sangue. Benedetto Gesù nel SS. Sacramento dell’altare. Benedetto lo Spirito Santo Paraclito. Benedetta la gran Madre di Dio, Maria Santissima. Benedetta la Sua santa e Immacolata Concezione. Benedetta la Sua gloriosa Assunzione. Benedetto il Nome di Maria, Vergine e Madre. Benedetto S. Giuseppe, suo castissimo Sposo. Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi. 17 Ave Maria Affidamento a Maria Ave Maria, Ave. Ave Maria, Ave. Donna dell’attesa e madre di speranza Ora pro nobis. Donna del sorriso e madre del silenzio Ora pro nobis. Donna di frontiera e madre dell’ardore Ora pro nobis. Donna del riposo e madre del sentiero Ora pro nobis. Ave Maria, Ave. Ave Maria, Ave. Donna del deserto e madre del respiro Ora pro nobis. Donna della sera e madre del ricordo Ora pro nobis. Donna del presente e madre del ritorno Ora pro nobis. Donna della terra e madre dell’amore Ora pro nobis. Ave Maria, Ave. Ave Maria, Ave. 18 FILM Uomini di Dio (2010) di X. Beauvois Testimoni della misericordia 1996. Algeria. Una comunità di monaci benedettini opera in un piccolo monastero in favore della popolazione locale aderendo all’antica regola dell’”Ora et Labora”. Il rispetto reciproco tra loro, che prestano anche assistenza medica, e la popolazione locale di fede musulmana è palpabile. Fino a quando la minaccia del terrorismo fondamentalista comincia a farsi pressante. Christian, l’abate eletto dalla comunità, decide di rifiutare la presenza dell’esercito a difesa del monastero non senza trovare qualche voce discorde tra i confratelli. Una notte un gruppo armato fa irruzione nel convento chiedendo che si vada ad assistere due terroristi feriti. Dinanzi al diniego vengono chieste medicine che vengono rifiutate perché scarse e necessarie per l’assistenza ai più deboli. Il gruppo abbandona il convento ma da quel momento il rischio per i monaci si fa evidente. Xavier Beauvois porta sullo schermo il sacrificio di sette monaci francesi che nel marzo 1996 vennero sequestrati da un gruppo armato della Jihad islamica e le cui teste vennero ritrovate il 30 maggio di quello stesso anno. Documenti ritrovati di recente coinvolgono le forze armate algerine nel tragico esito finale del sequestro. Non era facile trovare la cifra stilistica giusta per raccontare la vita e il progressivo avvicinarsi alla morte di questi religiosi facendoli restare degli uomini e non trasformandoli agiograficamente in martiri quali poi sarebbero divenuti. Beauvois, pur con una certa piattezza per quanto attiene al linguaggio cinematografico, ci è riuscito sul piano della sceneggiatura che ritma lo scorrere del tempo grazie al succedersi delle celebrazioni e delle preghiere e canti comunitari. A questi 19 si alternano le vicende esterne e interne al luogo sacro con la messa in luce di tutte le convinzioni ma anche di tutte le incertezze e debolezze dei monaci. Il film riesce a far emergere al contempo le singole individualità così come la tenuta complessiva di un gruppo animato da una fede che non si trasforma in esclusione ma che vuole, fino all’ultimo, tradursi in atti di condivisione sia all’interno che all’esterno. In un mondo distratto dal succedersi di eccidi e manipolato da una propaganda che vuole assimilare Islam e terrorismo fondamentalista, ricordare questo sacrificio non significa riaccendere la polemica ma piuttosto il contrario. Uomini e dei possono incontrarsi, conoscersi e rispettarsi a vicenda. Nonostante tutto. La prima neve (2013) di Andrea Segre Alloggiare i pellegrini «Cari fratelli e sorelle migranti e rifugiati! Alla radice del Vangelo della misericordia l’incontro e l’accoglienza dell’altro si intrecciano con l’incontro e l’accoglienza di Dio: accogliere l’altro è accogliere Dio in persona! Non lasciatevi rubare la speranza e la gioia di vivere che scaturiscono dall’esperienza della misericordia di Dio, che si manifesta nelle persone che incontrate lungo i vostri sentieri! Vi affido alla Vergine Maria, Madre dei migranti e dei rifugiati, e a san Giuseppe, che hanno vissuto l’amarezza dell’emigrazione in Egitto». È il messaggio di papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2016, un invito a non lasciarsi privare della gioia di vivere, di un’esistenza migliore lontana da guerre e violenza. Tra le numerose proposte cinematografiche sul tema dei migranti... 20 The Judge (2014) di David Dobkin Riscoprire il rapporto padre-figlio. Vestire gli ignudi «Il rapporto tra genitori e figli deve essere di una saggezza, di un equilibrio tanto grande. Figli, obbedite ai genitori, ciò piace a Dio. E voi genitori, non esasperate i figli, chiedendogli cose che non possono fare. E questo bisogna fare perché i figli crescano nella responsabilità di sé e degli altri» (Udienza Generale, 20 maggio 2015). Papa Francesco offre continue suggestioni e richiami sulla famiglia, sui rapporti tra genitori e figli. Un richiamo, nello specifico, che cade sulla figura del padre, chiamato a essere presente in maniera significativa nella vita del proprio figlio. The Judge (2014) di David Dobkin, è un film che offre anche occasione per riflettere sull’opera di misericordia corporale “Vestire gli ignudi”.... Tracks. Attraverso il deserto (2014) di John Curran Dar da bere agli assetati «Il deserto è il luogo dove si può ascoltare la voce di Dio e la voce del tentatore. Nel rumore, nella confusione questo non si può fare; si sentono solo le voci superficiali. Invece nel deserto possiamo scendere in profondità, dove si gioca veramente il nostro destino, la vita o la morte. E come sentiamo la voce di Dio? La sentiamo nella sua Parola» (Angelus, 22 febbraio 2015). Così papa Francesco affronta il tema del deserto, luogo sì della tentazione del male, ma anche luogo dove cogliere la voce, la grazia, del Signore. Il tema del deserto, dell’itinerario fisico-spirituale verso il riscatto, così come il richiamo all’opera di misericordia corporale “Dar da bere agli assetati”, è il tema proposto con il film Tracks. Attraverso il deserto (Tracks, 2014) di John Curran. 21 In grazia di Dio (2014) di Edoardo Winspeare Dar da mangiare agli affamati «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza». Nella bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia Misericordiae Vultus (11 aprile 2015), papa Francesco ricorda alla comunità tutta l’importanza della misericordia, speranza di pace e salvezza. Sul tema della misericordia, nello specifico sulle opere di misericordia corporale “Dar da mangiare agli affamati”, è il film In grazia di Dio (2014) di Edoardo Winspeare. 22 LIBRI Le opere di misericordia spirituale e corporale (ed. San Paolo) di Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione «La Sacra Scrittura è lo specchio di come la misericordia si esprima nella sua concretezza. Prima ancora di essere una dimensione affettiva, le pagine della Bibbia evidenziano la concretezza della misericordia nella sua dimensione tangibile e visibile. Il “grande fiume della misericordia- non si esaurisce mai perché trova sempre persone che ne danno concreta testimonianza nella vita di ogni giorno. Si scopre che esiste un sentimento che lega uomini e donne solo perché si appartiene tutti alla stessa umanità. Le opere di misericordia corporale e spirituale si inseriscono all’interno di questo processo di solidarietà umana e ne specificano, comunque, una caratteristica essenziale. “Lo avete fatto a me- (Mt 25,40) è il tocco peculiare che permette di esprimere la testimonianza cristiana». Rino Fisichella La fatica della carità Le opere di misericordia (ed. Qiqajon) di Manicardi Luciano La rilettura delle opere di misericordia, che questo testo propone, trova oggi una rinnovata attualità. Richiamare la tradizione delle opere di misericordia significa cogliere la carità come arte dell’incontro, della relazione, come prassi di umanità che travalica le fedi e che può unire ogni persona. È nell’oggi della storia che possiamo manifestare la differenza cristiana con la pratica dell’urgente carità. 23 Gesti e parole d’amore I ragazzi alla scoperta delle opere di misericordia (ed. Paoline) di Tonino Lasconi, Fausto Negri, Mariangela Tassielli Il testo è costruito grazie all’apporto di cinque autori, conosciuti e apprezzati nell’ambito della catechesi per ragazzi e adolescenti: Tonino Lasconi, Fausto Negri, Tassielli Mariangela, Cecilia Salizzoni e Maria Teresa Panico. Ognuno di essi affronterà le opere di misericordia sotto differenti angolature, offrendo a catechisti e animatori input di riflessione, attualizzazioni, percorsi ed esperienze da vivere con i ragazzi, idee da concretizzare in gruppo e preghiere.Le dimensioni all’interno delle quali le opere di misericordia vengono presentate e approfondite sono cinque: la Bibbia, l’attualità, la musica, il cinema, il test.Le tappe del percorso proposto nel testo sono otto e, partendo dall’icona biblica del buon Samaritano, attraversano tutte le opere di misericordia, corporali e spirituali; nello specifico: dar da mangiare agli affamati e da bere assetati, vestire gli ignudi e accogliere i pellegrini, sopportare pazientemente le persone moleste, visitare gli infermi e i carcerati, perdonare le offese, consolare afflitti e dubbiosi, pregare per tutti. «Lo avete fatto a me». Una rivisitazione delle opere di misericordia (ed. EDB) di Aimone Gelardi I testi dei vangeli e gli scritti degli apostoli invitano i primi cristiani a non limitarsi all’ascolto del Signore, ma li sollecitano a mettere in pratica. Le riflessioni dell’autore propongono una rilettura delle opere di misericordia corporale (dar da mangiare agli affamati, da bene agli assetati, vestire gli ignudi, alloggiare i pellegrini, visitare gli infermi, visitare i carcerati, seppellire i morti) e 24 spirituale (consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti). Esse attingono anche all’esempio di figure illuminate della tradizione della Chiesa, che sanno ispirare linguaggio e impegno adeguati ad accostare le necessità dell’uomo moderno. Io sono fango (ed. San Paolo) di Allegri Roberto Una rilettura della parabola evangelica del padre buono e dei due fratelli: del figlio prodigo e del figlio devoto. Un’analisi profonda della fede, di quel mistero complesso e meraviglioso che è il cuore umano, della profondità del peccato e della scoperta del perdono. Io sono fango porta il lettore a misurarsi con la terra da cui è tratto, terra che diventa fango quando si cede ai compromessi della vita e agli istinti promossi dall’egoismo più bieco. Ma è proprio in quel fango che l’uomo ritrova Dio, quel Dio che si fa carne, lasciandosi plasmare di quella stessa terra da cui il primo uomo è stato tratto. Misericordia (ed. Faligi) Di Pérez Galdós Benito La storia è ambientata a Madrid, alla fine del XIX secolo. Benina è l’anziana cameriera di Doña Paca, vedova di un alto funzionario governativo caduta nella miseria più nera. Per sfamare Doña Paca e i figli di quest’ultima, Antoñito e Obdulia, Benina si mette a mendicare, fingendo con la padrona che le sue entrate provengano dal mezzo servizio che compie in casa di un prete immaginario, don Romualdo. Benina estende la sua attività benefica anche a Frasquito Ponte, 25 un vecchio dandy caduto in miseria, e ad Almudena, un marocchino cieco suo collega di mendicità. Benina sopporta pazientemente anche le bizze di Doña Paca, ignara dei sacrifici compiuti dalla sua domestica, e la gelosia di Almudena il quale vorrebbe che Benina diventi sua moglie. Doña Paca, i suoi figli e Frasquito Ponte ricevono una ricca eredità da un lontano parente; latore della buona notizia è don Romualdo, un prete con lo stesso nome di quello inventato da Benigna. La famiglia di Doña Paca è nuovamente ricca, il sacrificio di Benina viene conosciuto, ma la ricompensa per la vecchia domestica è l’ingratitudine: cacciata dalla casa di Doña Paca, Benina andrà a vivere dal cieco Almudena, bisognoso di assistenza. Verso la fine del romanzo si accenna a un certo ravvedimento da parte dei vecchi padroni: don Frasquito ha un ictus e, nel delirio che precede la morte, rimprovera a Doña Paca l’ingratitudine. Juliana, moglie di Antoñito, crede che i propri figli siano ammalati e che solo Benigna, sicuramente santa per la propria bontà, possa guarirli: Juliana si reca pertanto dalla vecchia domestica accusandosi di ingratitudine («io ho peccato, io sono cattiva») e invitandola a tornare; ma Benigna non vuole abbandonare il povero Almudena e rivolge a Juliana parole di perdono con cui il romanzo si chiude: «Io non sono una santa. Ma i tuoi bambini stanno bene e non hanno alcun male... Non piangere... E adesso torna a casa, e non peccare più.» 26 27 Scarica il video e i contenuti dell’incontro sul sito www.pastorale.salesianipiemonte.it Iscriviti al Gruppo FB Prossimo appuntamento 7 Aprile 2016 28 Buona Quaresima!