PROLOGO In un foglio allegato al seguente racconto, il dottor Hesselius ha scritto una nota piuttosto elaborata, che ha deciso di accompagnare con un riferimento al proprio trattato sulla strana materia illustrata nel manoscritto. Egli affronta in quel trattato questo argomento misterioso con il suo solito sapere ed acume, e con invidiabile schiettezza e sintesi. Non costituirà che un volume della serie di scritti scelti di quell'uomo straordinario. Mentre pubblico il caso, in questo volume, semplicemente per interessare “i profani”, non interverrò in alcun punto nel racconto dell'intelligente signora che lo ricorda; e dopo opportuna considerazione, ho pertanto deciso di astenermi dal presentare alcuna precisazione del ragionamento del sapiente dottore, o estrapolare dal suo documento su una materia che egli definisce come “imbevuta, non improbabilmente, dei più profondi arcani della nostra doppia esistenza, e dei suoi stati intermedi.” Nel fare la scoperta di questo documento, divenni ansioso di riaprire la corrispondenza aperta molti anni prima dal dottor Hesselius con una persona così intelligente ed attenta come appariva il suo informatore. Purtroppo fui molto dispiaciuto nel dover constatare che nel frattempo la Signora era morta. Per quanto riguarda il mio limitato giudizio, probabilmente avrebbe potuto aggiungere poco al racconto riferito nelle seguenti pagine con molti e coscienziosi dettagli. 1 I Uno spavento precoce In Stiria, per quanto la nostra famiglia non sia certo illustre, abitiamo in un castello, uno schloss. Una piccola rendita, in quella parte di mondo, può portare lontano. Otto o novecento sterline l'anno fanno miracoli; difficilmente saremmo annoverati tra i ricchi a casa. Mio padre è inglese, ed io porto un nome inglese, per quanto personalmente non abbia mai visto l'Inghilterra. Ma qui, in questo luogo solitario e primitivo, dove ogni cosa è meravigliosamente a buon prezzo, non vedo proprio come molto denaro in più potrebbe materialmente aggiungere qualcosa alle nostre comodità, o perfino al nostro lusso. Mio padre aveva fatto parte del corpo diplomatico in Austria e ritiratosi, con una pensione ed il suo patrimonio aveva acquistato questa residenza feudale ed il suo piccolo comprensorio; un affare. Nulla può essere più pittoresco o solitario. Il castello si erge su un piccolo colle in una foresta. La strada, molto antica e stretta, passa davanti al ponte levatoio, mai ritirato nel mio tempo, ed al suo fossato, pieno di pesci e attraversato da molti cigni, con bianche flotte di ninfee galleggianti sulla superficie. Dinanzi a tutto ciò lo schloss mostra la sua facciata dalle molte finestre; le sue torri, e la sua cappella gotica. La foresta si apre in una radura irregolare e molto pittoresca davanti al cancello, e sulla destra un ripido ponte gotico trasporta la strada oltre un ruscello che si snoda nell'ombra profonda attraverso il bosco. Ho detto che questo è un posto 2 estremamente solitario. Giudicate voi stessi se dico la verità. Osservando dalla porta dell'ingresso in direzione della strada, la foresta in cui si trova il nostro castello si estende per quindici miglia sulla destra, e dodici a sinistra. Il villaggio abitato più vicino si trova a circa sette delle vostre miglia inglesi, sulla sinistra. Lo schloss abitato più vicino, con una qualsiasi attinenza alla storia , è quello del vecchio Generale Spielsdorf, ad una distanza di quasi venti miglia sulla destra. Ho detto il “villaggio abitato più vicino” perché c'è, a solo tre miglia verso ovest, ovvero in direzione dello schloss del Generale Spielsdorf, un villaggio in rovina, con la sua graziosa chiesetta, ormai priva di tetto nella navata che ospita le muffose tombe dell'orgogliosa famiglia Karnstein, ora estinta, che un tempo possedeva il castello ormai ugualmente desolato che, nella profondità della foresta, sovrasta le silenziose rovine della cittadina. Riguardo alla causa dell'abbandono di questo luogo particolare e melanconico, esiste una leggenda che vi racconterò in un altro momento. Ora devo dirvi quanto sia piccola la compagnia che costituisce gli abitanti del nostro castello. Non includo i servitori, o i lavoratori che occupano stanze negli edifici adiacenti allo schloss. Ascoltate e meravigliatevi! Mio padre, che è l'uomo più gentile e generoso della terra, ma non più giovane; ed io, nel momento della nostra storia, di soli diciannove anni. Sono passati otto anni da allora. La famiglia nello schloss era costituita da me e da mio padre. Mia madre, una signora della Stiria, era morta durante la mia infanzia, ma avevo una governante dal carattere gentile che era stata con me praticamente dalla mia infanzia. Non riesco a ricordare il tempo in cui il suo volto grasso e benevolo non fosse un'immagine familiare nella mia memoria. 3 Costei era Madame Perrodon, una nativa di Berna, la cui attenzione ed indole gentile ora in parte sopperivano alla mancanza di mia madre, che io persi talmente precocemente da non ricordarla neanche. Lei era il terzo elemento della nostra piccola compagnia al tavolo della cena. Vi era un quarto elemento, Mademoiselle De Lafontaine, una signora che viene definita, credo, una “governante di complemento”. Parlava francese e tedesco, Madame Perrodon francese ed un inglese sconnesso, al quale mio padre ed io aggiungevamo l'inglese, che parlavamo ogni giorno, in parte per evitare che diventasse una lingua persa per noi, in parte per motivi patriottici. La conseguenza era una Babele, della quale gli estranei ridevano, e che non proverò neanche a riprodurre in questo racconto. Inoltre, vi erano due o tre ragazze mie amiche, più o meno della mia età, che erano ospiti occasionali, per periodi più o meno lunghi; visite che a volte contraccambiavo. Queste erano le nostre risorse sociali regolari; ma ovviamente vi erano visite fortuite dei nostri “vicini” che abitavano a sole cinque o sei leghe di distanza. La mia vita era comunque, vi posso assicurare, piuttosto solitaria. Le mie governanti avevano su di me solo il controllo che si può immaginare che persone così sagge potessero avere nel caso di una ragazza piuttosto viziata, il cui unico genitore le permetteva di fare pressoché ogni cosa a modo suo. Il primo caso della mia esistenza, che produsse un'impressione terribile sulla mia mente e che, di fatto, non è mai stata cancellata, fu uno dei primissimi incidenti della mia vita che riesco a ricordare. Alcuni lo riterranno talmente da poco da non meritare di essere qui ricordato. Vedrete tuttavia in seguito perché ne faccio menzione. La nursery, così era definita, per quanto la avessi tutta per me, era un'ampia stanza nel piano superiore del castello, con un ripido tetto di quercia. Non potevo avere più di sei anni, quando una notte mi svegliai, e 4 guardandomi intorno nella stanza dal mio letto, non fui in grado di scorgere la bambinaia. Nemmeno la mia balia era lì; e mi reputai sola in quel luogo. Non ebbi paura, poiché io ero uno di quei bambini felici che sono scientemente tenuti nell'ignoranza delle storie di fantasmi, delle fiabe e di tutto l'armamentario che ci porta a coprirci la testa quando la porta scricchiola all'improvviso, o il tremito di una candela che si smorza fa danzare sul muro l'ombra della testata del letto, portandola più vicina al nostro viso. Mi sentii piuttosto frustrata ed insultata nel trovarmi, come mi sembrava, lasciata a me stessa, e cominciai a piagnucolare, momento preparatorio di una sonora crisi di pianto; quando, con mia enorme sorpresa, vidi un volto solenne ma molto bello che mi guardava dal lato del letto. Era il volto di una giovane donna che si trovava in ginocchio, con le mani sotto la copertina. La guardai con una sorta di compiaciuto stupore, e smisi di piagnucolare. Mi accarezzò con le mani, e si sdraiò giù vicino a me nel letto, e mi attirò a sé, sorridendo; mi sentii subito meravigliosamente calma, e mi addormentai di nuovo. Fui svegliata da una sensazione come se due aghi venissero infilati nel mio petto, profondamente e simultaneamente, e urlai forte. La donna indietreggiò, con gli occhi fissi su di me, poi scivolò per terra e, pensai, si nascose sotto al letto. Ero ora per la prima volta spaventata, e urlai con tutte le mie forze. Balia, bambinaia, governante, arrivarono tutte di corsa, e nel sentire la mia storia la trattarono con leggerezza, tentando di calmarmi nel frattempo. Ma, per quanto bambina, potevo percepire che i loro volti erano pallidi per una non voluta espressione di ansia, e le vidi guardare sotto al letto, ed intorno alla stanza, e sbirciare sotto ai tavoli ed aprire gli armadi; e la governante sussurrò alla balia: “Poggia la mano lungo quell'infossatura del letto; qualcuno è stato qui, sicuro quanto il fatto che non eri tu; ed il posto è ancora caldo.” 5 Ricordo la bambinaia che mi accarezzava, e tutte e tre che esaminavano il mio petto, dove avevo detto loro di aver sentito la puntura; affermarono che non v'era alcun segno visibile che mi fosse mai accaduto niente del genere. La governante e gli altri due servitori che si occupavano della nursery restarono svegli tutta la notte; e da quel momento un servitore vegliò sempre nella nursery più o meno fino a quando non ebbi compiuto quattordici anni. Fui molto nervosa per molto tempo dopo questo episodio. Venne chiamato un dottore, pallido ed anziano. Come ricordo bene il suo lungo volto saturnino, leggermente scalfito dal vaiolo, e la sua parrucca castana! Per un bel po', un giorno si ed uno no, venne a portarmi una medicina, che ovviamente detestavo. La mattina seguente all'apparizione ero in uno stato di terrore, e non potevo sopportare di essere lasciata da sola, per quanto fosse giorno, neanche per un momento. Ricordo che mio padre mi venne a trovare nella nursery; in piedi vicino al letto, parlò allegramente, ponendo alla bambinaia molte domande, e ridendo di gusto ad una delle risposte. Mi diede una pacca sulla spalla, baciandomi e dicendomi di non avere paura, che non era che un sogno e che non poteva farmi male. Ma io non fui confortata, perché sapevo che la visita della strana donna non era un sogno; ed ero terribilmente spaventata. Fui parzialmente consolata dalla bambinaia che mi assicurò di essere stata lei ad entrare, guardandomi per poi sdraiarsi al mio fianco, e che non avevo riconosciuto il suo volto nel dormiveglia. Ma questa versione, per quanto supportata dalla balia, non mi soddisfaceva del tutto. Ricordo, sempre quel giorno, un vecchio venerabile, con una 6 tonaca nera, che era entrato in camera con la balia e la governante, parlando con loro e molto gentilmente con me; il suo volto era molto dolce e gentile, e mi disse che avrebbero pregato, e mi giunse le mani, e mi fece sussurrare, mentre loro pregavano, “Signore, ascolta tutte le buone preghiere per noi, in nome di Gesù.” Credo che queste furono le parole precise, perché spesso le ho ripetute tra me e me, e la mia balia per anni fu solita esortarmi a pronunciarle nelle mie preghiere. Ricordo così bene il volto dolce e pensoso di quell'uomo canuto, nella sua tonaca nera, mentre girava per quella semplice, ariosa stanza bruna, con intorno a lui mobili di un gusto vecchio di trecento anni, e la scarsa luce che penetrava nell'atmosfera ombrosa attraverso la piccola finestrella. Si inginocchiò, e le tre donne con lui, e pregò ad alta voce con voce ansiosa e tremante per quello che mi apparve come un tempo lungo. Ho dimenticato tutta la mia vita antecedente all'evento, e per un certo periodo di tempo successivo tutto è ugualmente oscuro, ma le scene che ho appena descritto si stagliano vivide come le immagini isolate dell'apparizione circondata dall'oscurità. 7 II Un'ospite Ora vi racconterò un fatto a tal punto bizzarro da richiedere tutta la vostra fede nella mia veridicità per credere alla mia storia. Ciononostante, non solo è vera, ma una verità della quale sono stata testimone oculare. Era una dolce sera d'estate, e mio padre mi chiese, come a volte faceva, di fare una piccola camminata con lui lungo la splendida passeggiata sulla foresta che si trovava davanti allo schloss. “Il Generale Spielsdorf non può raggiungerci presto come avevo sperato” disse mio padre mentre passeggiavamo. Questi avrebbe dovuto farci una visita di alcune settimane, e aspettavamo il suo arrivo per il giorno seguente. Avrebbe dovuto portare con sé una giovane dama, sua nipote e sotto la sua tutela, Mademoiselle Rheinfeldt, che io non avevo mai visto, ma che mi era stata descritta come una ragazza molto affascinante, in compagnia della quale mi ero promessa molti giorni felici. Fui più delusa di quanto non possa immaginare una ragazza che vive in una città, o in un vicinato vivace. Questa visita, e la nuova conoscenza che prometteva, aveva costituito il mio fantasticare di molte settimane. “E quanto presto arriverà?” chiesi. “Non prima dell'autunno. Non prima di due mesi, oserei dire,” rispose. “E ora sono molto contento, mia cara, che tu non abbia mai conosciuto Mademoiselle Rheinfeldt.” “E perché?” risposi, sia mortificata che curiosa. “Perché la povera damigella è morta,” rispose “Mi ero 8 dimenticato di non avertelo detto, ma non eri presente quando ho ricevuto la lettera del Generale questa sera.” Rimasi molto colpita. Il generale aveva accennato in una sua prima lettera, sei o sette settimane prima, che la ragazza non si sentiva bene quanto avrebbe voluto, ma nulla indicava il più remoto sospetto di pericolo. “Ecco la lettera del Generale” disse, consegnandomela. “Temo che sia profondamente turbato; la lettera mi sembra essere stata scritta in uno stato molto simile alla disperazione.” Ci sedemmo su una ruvida panchina, sotto un gruppo di tigli magnifici. Il sole stava tramontando in tutto il suo malinconico splendore dietro l'orizzonte silvestre, ed il torrente che scorre dietro alla nostra casa, e passa sotto il ripido vecchio ponte cui ho accennato, si snodava attraverso diversi gruppi di nobili alberi, quasi ai nostri piedi, riflettendo nella sua corrente il cremisi del cielo, mentre sbiadiva. La lettera del Generale era così fuori dall'ordinario, così veemente, ed in alcuni punti così incoerente, che la lessi due volte – la seconda ad alta voce a mio padre – senza essere comunque in grado di spiegarmela, se non con la supposizione che il dolore avesse sconvolto la sua mente. La lettera recitava: “Ho perso la mia adorata figlia, perché come tale l'ho amata. Durante gli ultimi giorni della malattia della cara Bertha non sono stato in grado di scriverti. Prima di allora non avevo idea del pericolo che stava correndo. L'ho persa, e ora so tutto, troppo tardi. Lei è morta nella pace dell'innocenza, e nella speranza gloriosa di un futuro benedetto. Il demone che ha traditola nostra ospitalità infatuata ha fatto tutto ciò. Pensavo di ricevere nella mia casa innocenza, gaiezza, un'affascinante compagnia per la mia perduta Bertha. Cielo! Che stolto che sono stato! 9 Ringrazio Dio che la mia bambina sia morta senza un sospetto della causa delle sue sofferenze. Se ne è andata senza neanche una congettura sulla natura della sua malattia, e sulla maledetta passione dell'agente di tutto questo dolore. Dedico i giorni che mi rimangono al compito di stanare ed estinguere un mostro. Mi dicono che posso sperare di compiere il mio giusto e pietoso scopo. Al momento non ho che un bagliore di luce a guidarmi. Maledico il mio presuntuoso scetticismo, la mia vergognosa affettazione di superiorità, la mia cecità, la mia ostinazione – tutto – troppo tardi. Non posso scrivere o parlare in maniera composta ora. Sono disperato. Non appena mi sarò un po' ripreso, intendo dedicarmi per un po' di tempo ad una ricerca, che potrebbe possibilmente portarmi fino a Vienna. In autunno, tra due mesi, o prima se ancora vivo, ti vedrò – cioè, se lo permetterai; e allora ti dirò tutto ciò che adesso non oso porre su carta. Addio. Prega per me, caro amico.” Così terminava questa strana lettera. Per quanto io non avessi mai visto Bertha Rheinfeldt, i miei occhi si riempirono di lacrime per l'annuncio improvviso; ero sconvolta, oltre ad essere profondamente delusa. Il sole era ormai tramontato, e nel crepuscolo restituii la lettera del Generale a mio padre. Era una una sera tenue e chiara, e passeggiavamo, speculando sui possibili significati delle frasi violente ed incoerenti che avevo appena letto. Dovevamo camminare ancora per circa un miglio prima di raggiungere la strada che passa davanti allo schloss, e ormai la luna splendeva brillante. Al ponte levatoio incontrammo Madame Perrodon e Mademoiselle De Lafontaine, che erano uscite, senza i loro cappelli, a godere della squisita luce della luna. Sentimmo le loro voci conversare in un animato dialogo mentre ci avvicinavamo. Ci unimmo a loro sul ponte levatoio, 10 volgendoci ad ammirare insieme a loro la stupenda vista. La radura che avevamo appena attraversato si estendeva di fronte a noi. Alla nostra sinistra la stretta strada si snodava sotto mucchi di alberi signorili nel loro contegno, e si perdeva alla vista sprofondando nella foresta sempre più fitta. Sulla destra la medesima strada attraversava il ripido e pittoresco ponte, presso il quale si erge una torre in rovina che un tempo sorvegliava quel passaggio; e oltre il ponte si solleva un improvviso pendio, coperto di alberi, che mostra nelle ombre alcune grige pietre ricoperte di edera. Sopra le terre erbose e basse si alzava simile a fumo una sottile patina di nebbia, segnando le distanze come un velo trasparente; e qui e là potevamo scorgere il tenue luccichio del fiume alla luce della luna. Non è possibile immaginare una vista più tenue o più dolce. Le notizie che mi erano appena giunte la rendevano malinconica; ma nulla poteva disturbare la profonda serenità della scena, e lo splendore incantato e l'amenità della visione. Mio padre, che apprezzava il pittoresco, ed io, restammo ad ammirare in silenzio la distesa ai nostri piedi. Le due buone governanti, leggermente defilate rispetto a noi, discorrevano sulla scena, particolarmente eloquenti in merito alla luna. Madame Perrodon era grassa, di mezza età, e romantica; parlava e sospirava poeticamente. Mademoiselle De Lafointaine – in virtù del padre che era tedesco, e quindi teoricamente incline alla psicologia, alla metafisica, e forse anche al misticismo – ora dichiarava che quando la luna brillava di luce così intensa è risaputo che il fatto sia indice una particolare attività spirituale. L'effetto della luna piena in una tale stato di fulgore era palese. Agiva sui sogni, agiva sulla follia, agiva sulle persone nervose, aveva 11 straordinarie influenze fisiche connesse con la vita. Mademoiselle raccontava che suo cugino, imbarcato su una nave mercantile, dopo aver riposato sul ponte in una simile notte, sdraiato sulla schiena con il volto illuminato in pieno dalla luce della luna, si era risvegliato dopo un sogno di una vecchia che gli artigliava una guancia, con le fattezze orribilmente tirate da un lato; ed il suo aspetto non aveva più recuperato del tutto il suo equilibrio. “La luna, questa sera” disse “è piena di influenza idilliaca e magnetica – e vedete, guardando alle nostre spalle la facciata dello schloss, tutte le sue finestre lampeggiano e brillano di argenteo splendore, come se mani invisibili avessero acceso luci nelle stanze per accogliere ospiti fatati.” Vi sono momenti di indolenza dello spirito in cui, poco disposti a parlare noi stessi, la parola altrui risulta gradevole alle nostre orecchie svogliate; ed io guardavo oltre, godendo del tintinno della conversazione delle dame. “Sono scivolato in uno dei miei umori pensierosi questa sera” disse mio padre, dopo un attimo di silenzio, e citando Shakespeare, che era solito leggere ad alta voce come maniera per tener viva in noi la lingua inglese, disse: “'In verità non so perché son così triste. E questa tristezza mi stanca; e voi stessi dite d'esserne stanchi; Ma come sia accaduto – come io l'abbia trovata...' Non ricordo il resto. Ma mi sento come se una grande sciagura incombesse su di noi. Immagino che abbia qualcosa a che fare con la triste lettera del povero Generale.” In quel momento l'improbabile rumore delle ruote di una carrozza e di molti zoccoli sulla strada interruppero la nostra attenzione. 12 Sembravano avvicinarsi dal pendio che sovrastava il ponte, e molto presto il convoglio emerse da quel punto. Due uomini a cavallo attraversarono il ponte per primi, seguiti da una carrozza tirata da quattro cavalli, con due uomini a cavallo a seguire. Sembrava il viaggio della carrozza di una persona di rango; e fummo tutti immediatamente assorbiti dall'osservazione di quello spettacolo decisamente inusuale che divenne, in pochi istanti, molto più interessante, poiché non appena la carrozza ebbe superato il culmine del ripido ponte, uno dei cavalli davanti, impaurito, comunicò il suo panico agli altri, e dopo uno scatto o due, tutto il gruppo irruppe in un galoppo selvaggio, superando di corsa gli uomini a cavallo che si muovevano in testa e scendendo lungo la strada verso di noi con la velocità di un uragano. L'impatto della scena fu reso tanto più drammatico dal chiaro e prolungato grido di una voce femminile proveniente dalla finestra della carrozza. Avanzammo tutti con curiosità ed orrore; io piuttosto silenziosa, gli altri con varie esclamazioni di terrore. La nostra attesa non durò a lungo. Poco prima di giungere al ponte levatoio del castello, sulla strada che stavano percorrendo, si erge sul ciglio della strada un magnifico tiglio mentre sul lato opposto si trova un'antica croce di pietra, alla cui vista i cavalli, ormai ad un passo assolutamente terrificante, curvarono spingendo una ruota sulle radici sporgenti dell'albero. Sapevo cosa sarebbe successo. Mi coprii gli occhi, incapace di guardare, e voltai la testa; nello stesso istante sentii un grido proveniente dalle mie dame di compagnia, che erano andate un po' avanti. 13 La curiosità mi spinse ad aprire gli occhi, e vidi una scena di confusione totale. Due dei cavalli erano a terra, la carrozza ribaltata di lato con due ruote per aria; gli uomini si stavano occupando di rimuovere le tirelle, ed una signora dall'aria imperiosa era uscita e stava in pieni a mani giunte, ed accostava di tanto in tanto agli occhi il fazzoletto che stringeva ansiosamente nelle mani. Attraverso la porta della carrozza veniva ora sollevata una giovane dama, che appariva senza vita. Il mio caro vecchio padre era già al fianco della signora più anziana, con il cappello in mano, evidentemente in procinto di prestare il suo aiuto e le risorse del suo schloss. La dama non sembrava sentirlo, o avere occhi per altro al di fuori dell'esile fanciulla che veniva ora appoggiata sul pendio della riva del fiume. Mi avvicinai; la ragazza era apparentemente svenuta, ma certamente non era morta. Mio padre, che si considerava in un certo senso un medico, aveva posto le dita sul suo polso ed assicurato alla signora, che si definiva la madre, che il battito, per quanto fioco ed irregolare, era indubbiamente ancora palese. La dama strinse le mani e guardò verso il cielo, come in un momentaneo trasporto di gratitudine; ma immediatamente riprese a lamentarsi in quel modo teatrale che credo sia naturale in alcune persone. Era quello che solitamente si definisce una bella donna per la sua età, e deve essere stata una bellezza; era alta, ma non magra, e vestita di velluto nero, pallida a guardarsi, ma con un contegno fiero ed imperioso, per quanto ora apparisse stranamente agitata. “Chi mai nacque così incline alla calamità?” la sentii affermare, a mani giunte, mentre mi avvicinavo. “Eccomi qui, in un viaggio di vita e morte, dove perdere un'ora potenzialmente vuol dire perdere tutto. La mia bambina non si 14 sarà sufficientemente ripresa da permetterci di riprendere il cammino in chissà quanto tempo. Devo lasciarla: non posso, non oso, indugiare. Quanta manca, signore, se sapete dirlo, al prossimo villaggio? Devo lasciarla lì; e non vedrò la mia bambina, o sentire da lei, fino al mio ritorno, tra tre mesi.” Tirai mio padre per la giacca, e sussurrai ansiosamente al suo orecchio: “Oh! Papà, ti prego, chiedile di lasciarla restare con noi, sarebbe così divertente. Ti prego!” “Se Madame affiderà la sua bambina all'attenzione di mia figlia, e della sua buona governante, Madame Perrodon, consentendole di restare come nostra ospite, sotto la mia tutela, fino al suo ritorno, ci conferirà un onore ed un obbligo, e la tratteremo con tutta l'attenzione e la devozione che un affidamento così solenne merita.” “Non posso farlo, signore, sarebbe un compito troppo crudele per la vostra gentilezza e cavalleria,” rispose la signora, angustiata. “Al contrario, sarebbe per noi una grande gentilezza in un momento in cui ne abbiamo più bisogno. Mia figlia è appena stata delusa da una crudele sventura, in una visita dalla quale si aspettava da tempo molta gioia. Se affiderà questa giovane dama alla nostra cura, sarà la miglior consolazione per lei. Il villaggio più vicino sul vostro percorso è lontano, e non contiene alcun albergo nel quale potreste considerare di lasciare vostra figlia; non potete consentire che prosegua il viaggio per una distanza considerevole senza pericolo. Se, come afferma, non può sospendere il viaggio, dovrete separarvi da lei stasera, e in nessun luogo potreste far ciò con garanzie di cura e tenerezza più oneste di quante ve ne siano in questo luogo.” C'era qualcosa nell'aria e nell'aspetto di questa dama di così distinto e perfino imperioso, e di così coinvolgente nelle sue 15 maniere, da colpire chiunque, a prescindere dal tenore del convoglio, con la convinzione che fosse una persona importante. Ormai la carrozza era stata issata nuovamente nella posizione diritta ed ai cavalli, ormai trattabili, erano state rimesse le tirelle. La dama lanciò alla figlia uno sguardo che mi sembrò meno affezionato di quanto non si sarebbe immaginato all'inizio della scena; poi richiamò mio padre con un leggero gesto della mano, e si ritirò con lui a due o tre passi di distanza, fuori dalla portata d'orecchio; e parlò con lui in maniera fissa e grave, molto diversa dall'enfasi con cui aveva parlato fino a quel momento. Ero colma di stupore al fatto che mio padre non sembrasse accorgersi del cambiamento, ma anche curiosa in maniera indescrivibile di scoprire di cosa stesse parlando, quasi al suo orecchio, con tale sollecitudine e velocità. Credo che rimase occupata in questa faccenda due o tre minuti al massimo, poi si volse, e pochi passi la portarono nel luogo dove giaceva la figlia, sostenuta da Madame Perrodon. Si inginocchiò al su fianco e mormorò, come immaginò Madame, una breve benedizione al suo orecchio; poi baciandola frettolosamente rientrò nella carrozza, la porta si chiuse, i valletti nelle loro solenni livree salirono in coda, i battistrada spronarono i cavalli, i postiglioni fecero schioccare le fruste, i cavalli si slanciarono e ripresero all'improvviso un trotto furioso che rischiava di trasformarsi presto nuovamente in un galoppo, e la carrozza filò via, seguita allo stesso rapido passo dai due cavalieri in coda. 16 III Paragoniamo i nostri appunti Seguimmo il convoglio con gli occhi fino al momento in cui non svanì alla vista nella foschia del bosco; ed il suono stesso degli zoccoli e delle ruote si smorzò nel silenzio dell'aria notturna. Nulla restava ad assicurarci che l'avventura non fosse stata altro che un'illusione del momento se non la giovane dama, che proprio in quel momento aprì gli occhi. Non potevo vedere, perché il suo volto era girato nella direzione opposta a me, ma sollevò la testa, evidentemente per guardarsi in torno, e sentii una voce molto dolce chiedere querula “Dove è mamma?” La nostra buona Madame Perrodon rispose con gentilezza, e aggiunse alcune assicurazioni di conforto. Poi la sentii chiedere: “Dove sono? Che posto è questo?” e dopo disse, “Non vedo la carrozza; e Matska, dove è?” Madame rispose a tutte le sue domande per quanto poteva comprenderle; e a poco a poco la giovane si ricordò dell'incidente, e fu lieta di sentire che nessuno nella carrozza, o parte del convoglio, era rimasto ferito; e pianse nell'apprendere che la madre l'aveva lasciata qui, fino al suo ritorno a tre mesi di distanza. Stavo per aggiungere le mie parole di conforto a quelle di Madame Perrodon quando Mademoiselle De Lafontaine mi pose una mano sul braccio, dicendomi: “Non ti avvicinare, una persona alla volta è il massimo della 17 conversazione che può sostenere al momento; potrebbe essere sopraffatta anche da una una minima eccitazione, in questo momento.” Non appena sarà comodamente a letto, pensai, correrò nella sua stanza per vederla. Mio padre nel frattempo aveva inviato un servo a cavallo a cercare il medico, che viveva pressapoco a due leghe di distanza; e si stava allestendo una camera in cui ricevere la giovane dama. La forestiera ora si sollevò, e appoggiandosi al braccio di Madame, si incamminò lentamente oltre il ponte levatoio ed attraverso il cancello del castello. Nell'atrio i servitori aspettavano di accoglierla, e fu subito condotta alla sua stanza. La stanza che avevamo adibito come nostro soggiorno è lunga, con quattro finestre, rivolte al fossato ed al ponte levatoio, e sulla vista della foresta che ho appena descritto. I mobili sono di antica quercia intagliata, con grandi credenze intagliate, e le sedie sono rivestite di cuscini di velluto cremisi di Utrecht. I muri sono ricoperti da arazzi, e circondati da grandi cornici dorate, dalle figure dalle dimensioni reali, raffigurati in costumi antichi e molto bizzarri, con i soggetti rappresentati nell'atto di cacciare, o intenti nell'arte della falconeria, e generalmente ritratti in momenti gioiosi. Non è oltremodo formale a scapito della comodità; e qui prendevamo il tè, poiché mio padre con le sue usuali inclinazioni patriottiche insisteva che la bevanda nazionale dovesse comparire regolarmente nei nostri consumi insieme al caffè ed alla cioccolata. Ci sedemmo lì quella notte, e con le candele accese, parlavamo dell'avventura della sera. 18 Madame Perrodon e Mademoiselle De Lafontaine erano entrambe della nostra compagnia. La giovane forestiera si era appena adagiata nel letto che era sprofondata in un sonno profondo; e le dame l'avevano lasciata alla cura di un servitore. “Che ne pensate della nostra ospite?” chiesi, non appena Madame fece il suo ingresso nella stanza. “Ditemi tutto di lei!” “Mi piace molto”rispose Madame, “ella è, credo, quasi la creatura più bella che io abbia mai visto; più o meno della tua età, e molto gentile e carina.” “E' assolutamente bellissima,” intervenne Mademoiselle, che si era affacciata per un istante nella stanza della forestiera. “E con una voce così dolce!” aggiunse Madame Perrodon. “Avete notato una donna nella carrozza, dopo che era stata tirata nuovamente in piedi, che non era uscita,” chiese Mademoiselle, “limitandosi soltanto a guardare dalla finestra?” “No, non l'avevamo vista.” Al che descrisse un'orribile donna nera, con una specie di turbante colorato in testa, che per tutto il tempo aveva guardato fuori dalla finestra della carrozza, annuendo e sogghignando con scherno all'indirizzo delle dame, con grandi occhi brillanti e bianchi, i denti scoperti come una furia. “Avete notato che brutto gruppo di ceffi fossero i servitori?” chiese Madame. “Si,” disse mio padre, che era appena arrivato, “i tipi più truci e scalcagnati che io abbia mai visto in vita mia. Mi auguro che non derubino la povera signora nella foresta. Sono vagabondi abili, comunque; hanno sistemato tutto in un attimo.” “Oserei dire che sono stremati da un viaggio troppo lungo,” disse Madame. 19 “Oltre ad avere l'aspetto malvagio, i loro volti erano magri, scuri e lividi in maniera così strana. Sono molto curiosa, lo ammetto; ma oserei dire che la fanciulla saprà dirvi tutto al riguardo domani, se si sarà sufficientemente ripresa.” “Non credo che lo farà,” interloquì mio padre, con un sorriso misterioso, ed un piccolo gesto della testa, come se sapesse al riguardo più di quanto non avesse intenzione di dirci. Tutto ciò ci rese ancor più curiose riguardo a quanto era intercorso tra lui e la signora vestita di velluto nero, nel breve ma intenso scambio che aveva preceduto la sua partenza. Non appena fummo soli, lo esortai a rivelarmi il tutto. Non ebbe bisogno di molta opera di convincimento. “Non c'è una particolare ragione per cui non dovrei dirtelo. La signora ha espresso riluttanza nello scomodarci con la cura della figlia, dicendo che è di salute cagionevole, e nervosa, ma non soggetta ad alcun tipo di crisi – ci ha assicurato questo punto – o alcun tipo di illusione; in realtà, è perfettamente sana.” “Che strana affermazione da fare!” lo interruppi. “Non era affatto necessaria.” “In ogni caso la frase fu detta,” rise, “e se desideri sapere tutto ciò che intercorse, che è stato indubbiamente molto poco, te lo dirò. Ha aggiunto poi 'Sto facendo un lungo viaggio di importanza vitale – enfatizzò la parola – veloce e segreto; ritornerò a prendere la mia bambina tra tre mesi; nel frattempo, lei non dirà nulla su chi siamo, da dove veniamo, e dove stiamo viaggiando.' Questa è stata l'unica cosa che ha detto. Parlava un francese molto puro. Quando pronunciò la parola 'segreto', fece una pausa di qualche secondo, guardandomi con severità, gli occhi fissi sui miei. Immagino tenga molto a questo punto. Hai visto quanto è partita in fretta, e spero di non aver fatto una 20 cosa molto sciocca, nel prendermi carico della giovane.” Per quanto mi riguardava, ero deliziata. Non vedevo l'ora di vederla e parlarle; e aspettavo solo il momento in cui il dottore me ne avrebbe dato il permesso. Voi, che vivete in città, non potete avere idea della portata dell'evento che è la presentazione di una nuova amicizia, in una solitudine quale quella che ci circondava. Il dottore non arrivò se non poco prima dell'una; ma non avrei potuto tornare al mio letto e dormire più di quanto avrei potuto superare a piedi la carrozza nella quale viaggiava la principessa vestita di velluto nero. Quando il medico ci raggiunse nel soggiorno, fu per darci un bollettino molto positivo riguardo alla sua paziente. Si era alzata, il polso regolare, apparentemente in perfetta salute. Non aveva riportato danni, ed il piccolo colpo subito dai sui nervi era stato superato senza ripercussioni. Non poteva certo esserci alcun male nel mio incontrarla, se lo desideravamo entrambe; e, con questo permesso, mi informai subito per sapere se mi avrebbe concesso di andarla a trovare per qualche minuto nella sua stanza. Il servitore ritornò immediatamente per dirmi che non desiderava altro più di questo. Potete essere sicuri che non aspettai molto per avvalermi di questo permesso. La nostra ospite giaceva in una delle stanze più belle dello schloss. Era, forse, un po' formale. Vi era, sulla parete opposta al letto, un arazzo rappresentante Cleopatra che si portava le aspidi al petto; ed altre solenni scene classiche, un po' sbiadite, erano rappresentate sugli altri muri. Ma vi erano nelle altre decorazioni della stanza incisioni dorate, e ricche e sufficientemente varie nel colore, da redimere più che 21 sufficientemente la tetraggine del vecchio arazzo. Vi erano candele ai lati del letto. Lei era seduta; la sua figura esile ed aggraziata avviluppata in una morbida vestaglia di seta, ricamata con dei fiori, e ricoperta da una spessa seta trapuntata con cui la madre l'aveva coperta mentre giaceva sul terreno. Quale fu l'elemento che, mentre approcciavo il lato del letto ed avevo appena iniziato il mio discorsetto di benvenuto, mi paralizzò per un istante, e mi fece indietreggiare di uno o due passi da lei? Ve lo dirò. Vidi il volto preciso che mi aveva fatto visita di notte nella mia infanzia, e che era rimasto impresso nella mia mente, e sul quale io avevo per così tanti anni rimuginato spesso con orrore, quando nessuno sospettava cosa stessi pensando. Era grazioso, anche bello; ma quando lo vidi per la prima volta, portava la stessa espressione malinconica. Ma quasi immediatamente si accese in uno strano fisso sorriso di riconoscimento. Vi fu un silenzio che durò un minuto pieno, ed a quel punto infine lei parlò; io non potevo. “Che meraviglia!” esclamò. “Dodici anni fa, vidi il tuo volto in un sogno, e mi ha stregato da allora.” “Meraviglia invero!” ripetei, superando con uno sforzo l'orrore che per un certo tempo aveva sospeso il mio discorso. “Dodici anni fa, in una visione o nella realtà, ti ho certamente visto. Non potevo dimenticare il tuo volto. E' rimasto davanti ai miei occhi da allora.” Il suo sorriso si era ammorbidito. Qualsiasi cosa vi avessi intravisto di strano, era scomparso, ed esso e le sue guance con la fossetta erano ora deliziosamente graziose ed intelligenti. Mi sentii rassicurata, e proseguii sulla strada che l'ospitalità 22 indicava, per darle il benvenuto, e dirle quanto piacere avesse procurato a noi tutti il suo arrivo accidentale, e soprattutto quale felicità portasse a me. Presi la sua mano mentre parlavo. Ero un po' timida, come spesso sono le persone sole, ma la situazione mi rese eloquente, e anche coraggiosa. Lei mi strinse la mano, ponendo la sua al di sopra della mia, ed i suoi occhi brillarono, mentre, guardando rapidamente nei miei, sorrise di nuovo, ed arrossì. Rispose molto graziosamente al mio benvenuto. Mi sedetti vicino a lei, ancora pensosa; e lei disse: “Devo raccontarti della mia visione su di te; è così strano che tu ed io abbiamo avuto, ognuna dell'altra, un sogno così vivido; che ognuna abbia visto, io te e tu me, con l'aspetto che abbiamo ora, quando ovviamente entrambe non eravamo che bambine. Io ero una bambina, di circa sei anni, e mi svegliai da un sogno confuso ed agitato, trovandomi in una stanza, diversa dalla mia nursery, ricoperta goffamente con del legno scuro, e con armadi e testiere, e sedie, e panche disposte lungo i muri. I letti erano, credo, tutti vuoti, e anche la stanza vuota al di fuori di me; ed io, dopo essermi guardata intorno per del tempo, ammirando soprattutto un candelabro di ferro a due rami che riconoscerei di certo, scivolai sotto uno dei letti per arrivare alla finestra; ma mentre sgusciavo da sotto il letto, sentii qualcuno che piangeva; ed alzando lo sguardo, mentre mi trovavo ancora in ginocchio, ti vidi – eri sicuramente tu – come ti vedo ora; una bellissima damigella, con i capelli dorati e grandi occhi azzurri, e labbra – le tue labbra – tu come sei qui ora. Il tuo aspetto mi conquistò; mi arrampicai sul letto e misi le mie braccia intorno a te, e credo che ci addormentammo entrambe. Fui svegliata da un urlo; ti eri alzata urlando. Ebbi paura, e scivolai per terra, e, mi sembrò, persi conoscenza per un attimo; e quanto tornai in me, ero di nuovo nella mia 23 nursery a casa. Non ho dimenticato il tuo volto da allora. Non potrei essere confusa da una mera somiglianza. Tu sei la dama che io vidi allora. Toccava ora a me raccontare la mia visione corrispondente, cosa che feci, per lo stupore palese della mia nuova conoscenza. “Non so quale dovrebbe più avere paura dell'altra,” disse, sorridendo nuovamente - “Se tu fossi meno bella direi che avrei molta paura di te, ma essendo tu come sei, e sia tu che io così giovani, sento solo di averti conosciuto dodici anni fa, e di avere già diritto ad essere tua amica intima; in ogni caso sembrerebbe che fosse destino, dalla nostra primissima infanzia, che diventassimo amiche. Mi domando se tu ti senta stranamente attratta da me come io da te; non ho mai avuto un'amica – ne troverò una ora?” Sospirò, ed i suoi occhi neri ed eleganti mi fissarono appassionatamente. Ora la verità è che i miei sentimenti nei confronti della bella forestiera erano piuttosto indescrivibili. Mi sentivo, come diceva lei, “attratta nei suoi confronti”, ma vi era anche una certa repulsione. In questo sentimento ambiguo, tuttavia, il senso di attrazione prevaleva immensamente. Mi interessava e mi conquistava; era così bella e così indescrivibilmente coinvolgente. Percepivo ora che la stavano prendendo un certo languore ed una certa stanchezza, e mi affrettai ad augurarle la buona notte. “Il dottore crede,” aggiunsi, “che dovresti avere una cameriera che dorma con te stanotte; una delle nostre sta aspettando, e troverai che è una creatura molto servizievole e silenziosa.” “E' un pensiero davvero gentile da parte tua, ma non potrei dormire, non ci sono mai riuscita, con un'attendente nella stanza. Non avrò bisogno di alcuna assistenza – e, confesserò la 24 mia debolezza, sono perseguitata dal terrore dei ladri. La nostra casa è stata derubata una volta, e due servitori assassinati, quindi chiudo sempre a chiave la mia porta. E' diventata un'abitudine – e sembri così gentile che so che mi perdonerai. Vedo che c'è una chiave nella serratura.” Mi strinse vicina a sé con le sue belle braccia per un momento e mi sussurrò all'orecchio “Buona notte, cara, è molto difficile separarsi da te, ma buona notte; domani, ma non di prima mattina, ci rivedremo.” Affondò nuovamente sul cuscino con un sospiro, ed i suoi occhi eleganti mi seguirono con uno sguardo tenero e malinconico, e sussurrò di nuovo “Buona notte, cara amica.” I giovani si invaghiscono, e amano anche, di impulso. Io ero onorata dall'evidente, per quanto ancora immeritato, affetto che mi riservava. Mi piaceva la confidenza con la quale mi aveva immediatamente accolto. Era determinata a far sì che fossimo molto amiche. Il giorno seguente arrivò e ci incontrammo di nuovo. Ero deliziata della mia compagnia; almeno, per molti versi. Il suo aspetto non perdeva nulla del suo fascino con la luce del giorno – era sicuramente la creatura più bella che avessi mai visto, e lo spiacevole ricordo del volto presentatosi nel mio sogno infantile aveva perso l'effetto del primo inatteso riconoscimento. Lei confessò di aver provato un simile colpo nel vedere me, e precisamente la medesima vaga antipatia che si era poi confusa con mia ammirazione per lei. Ora ridevamo insieme dei nostri orrori momentanei. 25 IV Le sue abitudini – Una passeggiata Vi ho detto che ero affascinata da lei nella maggior parte delle sue caratteristiche. Alcune non mi piacevano poi così tanto. Era più alta dell'altezza media delle donne. Comincerò a descriverla. Era esile, e meravigliosamente aggraziata. Se non fosse per il fatto che i suoi movimenti erano languidi – molto languidi – invero, nulla del suo aspetto indicava una persona invalida. Il suo incarnato era ricco e luminoso; le sue fattezze erano minute e ben disegnate; i suoi occhi grandi, scuri, e lucenti; i suoi capelli erano decisamente meravigliosi, non ho mai visto capelli folti e lunghi in maniera così magnifica come quando ricadevano sciolti sulle sue spalle; spesso ho posto le mani sotto la sua chioma, ridendo con stupore del suo peso. I suoi capelli erano squisitamente sottili e morbidi, e per quanto riguardava il colore di un ricco marrone scuro, con qualcosa di dorato. Amavo scioglierli, lasciandoli ricadere per il loro peso, mentre, nella sua stanza, sedeva reclinata su una sedia, parlando con la sua dolce voce bassa; ero solita pettinare ed intrecciare la sua chioma, sparpagliarla per giocarci. Cielo! Se avessi saputo tutto! Ho affermato che vi erano dei particolari che non mi piacevano. Vi ho detto che la sua confidenza mi conquistò dalla prima notte in cui la vidi; ma trovai che nei confronti di sé, di sua madre, della sua storia, e di fatto riguardo a qualsiasi cosa fosse legata alla sua vita, ai suoi piani, alle persone conosciute, 26 esercitava un riserbo sempre attento. Oserei dire che non ero ragionevole, forse avevo torto; oserei dire che forse avrei dovuto rispettare l'ingiunzione solenne posta su mio padre dalla formale signora vestita di velluto nero. Ma la curiosità è una passione senza pace e senza scrupoli, e non vi è ragazza che possa sopportare, con pazienza, che la sua possa essere interdetta da un'altra. Che male poteva fare dirmi quanto desideravo sapere così ardentemente? Non aveva lei alcuna fiducia nel mio buonsenso e nel mio onore? Perché non poteva credermi quando le assicuravo, così solennemente, che non avrei divulgato ad alcun mortale vivente una sola sillaba di quello che mi avrebbe rivelato? Vi era, mi sembrava, una freddezza non consona alla sua età nel suo sorridente, malinconico e persistente rifiuto di accordarmi un minimo raggio di luce. Non posso dire che litigavamo su questo punto, perché non avrebbe litigato su nulla. Pressarla era, ovviamente, molto ingiusto da parte mia, molto scortese, ma non potevo veramente farne a meno; ma avrei ugualmente potuto lasciar perdere. Quanto mi disse ammontava, nella mia esorbitante stima – a niente. Si poteva interamente riassumere in tre affermazioni molto vaghe: Primo – il suo nome era Carmilla. Secondo – la sua famiglia era molto antica e nobile. Terzo – la sua casa si trovava in direzione dell'Ovest. Non era intenzionata a rivelarmi il nome della sua famiglia, né il suo stemma, né il nome della loro tenuta, e neanche quello della nazione in cui vivevano. 27 Non dovete pensare che io la importunassi incessantemente su questi argomenti. Aspettavo il momento opportuno, e insinuavo invece di pressarla con le mie ricerche. In una o due occasioni, invero, la attaccai in maniera più diretta. Ma a prescindere dalle mie tattiche, il risultato era invariabilmente un completo fallimento. Rimproveri e blandizie erano ugualmente del tutto inutili con lei. Ma devo aggiungere questo, che la sua evasività era portata avanti con un suo schermirsi così grazioso e malinconico, con così numerose e anche appassionate dichiarazioni della sua stima per me, e della sua fiducia nel mio onore, e con così tante promesse che alla fine avrei saputo tutto, che non riuscivo a trovare nel mio cuore la capacità di restare offesa nei suoi confronti per molto tempo. Era solita piazzare le sue belle braccia intorno al mio collo, attirarmi a sé, e sussurrarmi con le labbra all'orecchio, appoggiando la guancia alla mia, “Carissima, il tuo cuoricino è ferito; non pensarmi crudele perché obbedisco alla legge irresistibile della mia forza e debolezza; se il tuo caro cuore è ferito, il mio cuore selvaggio sanguina con il tuo. Nel rapimento della mia enorme umiliazione io vivo nella tua calda vita, e tu morirai – morirai, dolcemente morirai – nella mia. Non posso farne a meno; mentre mi avvicino a te, tu, a tua volta, ti avvicinerai ad altri, ed imparerai il rapimento di quella crudeltà, che tuttavia è amore; così, per un po', non cercare di sapere di più su di me e sui miei, ma fidati di me con tutto il tuo spirito amoroso.” E dopo aver pronunciato una simile rapsodia, mi stringeva più vicina a sé nel suo abbraccio tremante, e premeva le sue labbra in morbidi baci sulla mia guancia. Le sue agitazioni e le sue parole mi erano inintelligibili. Da questi folli abbracci, che non erano di occorrenza molto frequente, devo ammettere, desideravo solitamente liberarmi; 28 ma le energie sembravano venirmi meno. Le sue parole sussurrate erano come una nenia al mio orecchio, e acquietavano la mia resistenza in una trance, dalla quale sembravo riprendermi solo quando ritraeva le braccia. Quando era di questo umore misterioso non mi piaceva. Provavo una strana tumultuosa eccitazione che era piacevole, mista, ogni tanto, ad un vago senso di paura e disgusto. Non avevo pensieri distinti su di lei mentre duravano simili scene, ma ero consapevole di un amore che cresceva verso l'adorazione, e anche di una repulsione. So che questo è un paradosso, ma non saprei fare altri tentativi di spiegazione riguardo a quella sensazione. Io ora scrivo, dopo un intervallo di più di dieci anni, con mano tremante, con il ricordo confuso ed orribile di alcuni avvenimenti e situazioni, dell'ordalia che stavo inconsciamente attraversando; anche se il ricordo del filone principale della mia storia è ancora molto vivido. Ma sospetto che nelle nostre vite vi siano alcune scene emotive, in cui le nostre passioni sono state sollecitate nel modo più selvaggio e terribile, che tra tutte le altre sono poi quelle che ricordiamo nella maniera più vaga e fioca. A volte dopo un'ora di apatia, la mia strana e bella compagnia era solita prendermi la mano e stringerla con una pressione affettuosa, rinnovata di tanto in tanto; arrossendo leggermente, fissando il mio volto con occhi languidi e accesi, respirando così velocemente che il suo vestito si alzava e ricadeva per il tumultuoso affanno. Era come l'ardore di un amante; mi imbarazzava; era odioso e ciononostante mi sopraffaceva; e con occhi trionfanti mi attirava a sé, e le sue labbra calde viaggiavano lungo la mia guancia baciandomi; ed era solita sussurrare, quasi singhiozzando, “Tu sei mia, tu sarai mia, tu ed io siamo una cosa sola per sempre.” Poi si ritirava sulla 29 sedia, coprendosi gli occhi con le sue manine, lasciandomi tremante. “Siamo parenti?” ero solita chiedere; “Cosa intendi con tutto ciò? Forse ti ricordo qualcuno che ami; ma non devi fare così, lo odio; non ti conosco – non conosco me stessa quando hai questo aspetto e parli in questo modo.” Sospirava alla mia veemenza, per poi voltarsi e lasciar cadere la mia mano. In merito a queste manifestazioni molto fuori dal comune, tentavo invano di costruire una teoria soddisfacente – non potevo ricondurle ad affettazione o ad un inganno. Era senza dubbio la momentanea fuoriuscita di un istinto represso e di un'emozione. Forse, nonostante le volontarie smentite della madre, era oggetto di momentanei momenti di insania; o c'era forse un travestimento ed una questione romantica? Avevo letto in vecchi libri storie di cose simili. Forse un amante maschile si era introdotto nella casa, e cercava di raggiungere il suo obiettivo con un travestimento, con l'assistenza di un'astuta vecchia avventuriera. Ma c'erano molte cose contro questa ipotesi, per quanto apparisse molto interessante alla mai vanità. Non potevo vantare le piccole attenzioni che la galanteria maschile si compiace di offrire. Tra questi momenti appassionati vi erano lunghi intervalli di quotidianità, allegria, pensosa malinconia, durante i quali, se non fosse per i suoi occhi che scorgevo mentre mi seguivano, pieni di fuoco malinconico, a volte sembravo non essere niente per lei. Eccettuati questi brevi periodi di misteriosa eccitazione, i suoi modi erano femminei; e c'era sempre in lei un languore piuttosto incompatibile con un sistema maschile in uno stato di salute. Per certi versi le sue abitudini erano bizzarre. Forse non così singolari nell'opinione di una dama di città come voi, di quanto 30 apparissero a noi, gente rustica. Era solita scendere molto tardi, generalmente non prima dell'una, per poi bere una tazza di cioccolata, senza mangiare alcunché; uscivamo poi per una camminata, che era una mera passeggiata, ma lei appariva quasi immediatamente esausta, e o ritornava allo schloss o si sedeva su una delle panchine sistemate qua e là tra gli alberi. Questo era un languore del tutto fisico al quale non partecipava la sua mente. Era sempre una conversatrice animata, e molto intelligente. Alludeva a volte per un istante alla propria casa, o menzionava un'avventura o una situazione, o un vecchio ricordo, che indicava un popolo dagli strani costumi, e descriveva abitudini delle quali nulla sapevamo. Da questi indizi fortuiti conclusi che il suo paese natale doveva essere molto più remoto di quanto non avessi pensato in prima battuta. Mentre sedevamo così sotto gli alberi, un pomeriggio fummo superate da un corteo funebre. Si trattava del funerale di una ragazza giovane e carina che avevo visto spesso, la figlia di uno dei guardiacaccia della foresta. Il pover'uomo camminava dietro al feretro della sua diletta; era la sua unica figlia, ed aveva l'aspetto di un uomo dal cuore spezzato. Coppie di contadini lo seguivano, cantando un inno funebre. Mi alzai per porgere i miei rispetti mentre passavano, e mi unii all'inno che stavano cantando con tanta dolcezza. La mia compagna mi scosse un po' bruscamente, e mi voltai sorpresa. Mi disse bruscamente, “Non ti accorgi di quanto sia stonato?” “Al contrario, credo sia molto dolce” risposi, interdetta dall'interruzione, e molto a disagio, timorosa che le persone che formavano la piccola processione potessero vedere e risentirsi di quanto stava accadendo. 31 Ripresi quindi istantaneamente il mio canto, e fui nuovamente interrotta. “Perfori i miei timpani,” disse Carmilla, quasi rabbiosamente, tappandosi le orecchie con le piccole dita. “Inoltre, da cosa deduci che la tua religione e la mia siano la stessa cosa; i tuoi riti mi feriscono, ed io odio i funerali. Quante storie! Perché bisogna morire – tutti devono morire; e tutti sono molto più felici quando ciò accade. Vieni a casa.” “Mio padre si è recato al cimitero insieme al prete. Pensavo sapessi che sarà sepolta oggi.” “Chi? Non preoccupo la mia testa con le sorti dei contadini. Non so chi sia,” risposi Carmilla, con un lampo nei suoi occhi eleganti. “E' la povera ragazza che pensava di aver visto un fantasma un paio di settimane fa, ed è stata sul punto di morte da allora, fino a ieri, quando è spirata.” “Non dirmi nulla di fantasmi. Non dormirò stanotte se lo farai.” “Spero non ci sia una pestilenza o una febbre in arrivo; eppure sembrerebbe che sia proprio così,” continuai. “La giovane moglie del porcaio è morta solo una settimana fa, e pensava che qualcosa l'avesse afferrata per la gola mentre giaceva a letto, quasi soffocandola. Mio papà dice che simili orribili incubi accompagnano alcune forme di febbre. Stava piuttosto bene il giorno precedente. Dopo è come affondata, ed è morta prima che passasse una settimana.” “Bene, il suo funerale è terminato, spero, ed il suo inno è stato cantato; e le nostre orecchie non saranno torturate da quella stonatura e da quel gergo. Mi ha innervosito. Siediti qui, vicino a me; siediti vicino; tieni la mia mano; stringila forte – forte – più forte.” Ci eravamo leggermente spostate indietro, ed eravamo arrivate ad un altro sedile. 32 Si sedette. Il suo volto subì un cambiamento che mi allarmò fino a terrorizzarmi per un momento. Si oscurò, e divenne orribilmente livido; le sue mani ed i suoi denti erano serrati, il volto aggrottato e le labbra contratte, mentre fissava il terreno ai suoi piedi, tremando in tutto il corpo di un brivido continuo, quasi malarico, che non poteva essere represso. Tutte le sue energie sembravano tese allo scopo di contenere una crisi, con la quale stava combattendo fino a restare senza fiato; e alla fine lanciò un basso grido convulso di dolore, prima che l'isteria cominciasse a scemare. “Ecco! Questo è quello che succede dallo strangolare le persone con gli inni!” disse infine. “Tienimi, tienimi ferma. Sta passando.” E così fu; e forse per dissipare la grave impressione che lo spettacolo aveva lasciato su di me, divenne animata e ciarliera in maniera inusuale; e così giungemmo a casa. Questa fu la prima volta in cui la vidi esibire sintomi definiti di quella delicatezza di costituzione della quale ci aveva parlato sua madre. Era anche la prima volta che la vedevo esibire qualcosa di simile ad uno scatto d'ira. Entrambe le cose passarono via come una nube estiva; e mai se non una volta dopo quell'episodio fui testimone di un momentaneo segno di rabbia da parte sua. Vi dirò come avvenne. Lei ed io eravamo affacciate ad una delle lunghe finestre del soggiorno, quando entrò nel cortile, oltre al ponte levatoio la figura di un viandante che conoscevo bene. Era solito fare visita allo schloss più o meno due volte all'anno. Era la figura di un gobbo, dalle fattezze acute e magre che generalmente si accompagnano alla deformità. Portava un pizzetto nero, e sorrideva da un orecchio all'altro, mostrando i suoi denti bianchi. Era vestito di camoscio, nero e scarlatto, e sul suo corpo si incrociavano più cinghie e cinture di quante 33 riuscissi a contare, dalle quali pendevano gli oggetti più vari. Dietro, trasportava una lanterna magica, e due scatole, che conoscevo bene, che contenevano l'una una salamandra, l'altra una mandragora. Questi mostri erano soliti suscitare il riso di mio padre. Erano composti di parti di scimmie, pappagalli, scoiattoli, pesci e ricci, seccati e ricuciti con molta arte per generare un effetto sorprendente. Aveva un piffero, una scatola da prestigiatore, un paio di fioretti e maschere attaccati alla cintura, molti scrigni piccoli e misteriosi che gli penzolavano intorno, ed in mano un bastone nero con borchie di rame. Suo compagno era un ruvido cane meticcio, che lo seguiva passo passo, ma che si fermò improvvisamente e sospettoso al ponte levatoio, per poi cominciare poco dopo ad ululare in maniera agghiacciante. Nel frattempo il saltimbanco, dal centro del cortile, sollevò il suo grottesco cappello e ci rivolse un inchino molto cerimonioso, porgendoci loquacemente i suoi complimenti in un francese esecrabile, ed in un tedesco appena migliore. Poi, slacciando il suo flauto, cominciò ad arrangiare un'aria vivace che accompagnava cantando con allegra stonatura, con atteggiamenti e gesti ridicoli, che mi fecero ridere nonostante gli ululati del cane. Avanzò poi in direzione della finestra con molti sorrisi e saluti, il cappello nella mano sinistra ed il piffero sotto braccio, e con una scioltezza che non prendeva mai respiro, sproloquiò una lunga pubblicità delle sue imprese, e le risorse delle varie arti che poneva al nostro servizio, e le curiosità ed i divertimenti che era nel suo potere inscenare su nostra richiesta. “Vogliono le signore compiacersi di acquistare un amuleto contro l'upiro, che a quanto dicono, sta attraversando come un lupo questi boschi,” disse, lasciando cadere il cappello sul pavimento. “Muoiono di questa malattia a destra ed a manca, e 34 qui v'è un amuleto che non fallisce mai; anche solo cucito al cuscino, e potrete ridergli in faccia.” Questi amuleti consistevano in strisce ovali di pelle, ornate con cifre e diagrammi cabalistici. Carmilla ne acquistò subito uno, e così feci io. Egli guardava verso l'alto, e noi sorridevamo verso il basso nella sua direzione, divertite; almeno, per quanto mi riguarda. Il suo penetrante occhio nero, mentre guardava su verso i nostri volti, sembrò scorgere qualcosa che fissò la sua curiosità per un istante. In un istante srotolò una custodia di pelle, ripiena di ogni tipo di bizzarri piccoli strumenti di acciaio. “Guardate qui, mia signora,” disse, mostrandola e rivolgendosi a me, “Tra le altre arti meno utili, pratico l'arte del dentista. Peste colga quel cane!” interpolò. “Silenzio, bestia! Ulula a tal punto che sua signoria può appena sentire una parola. La vostra nobile amica, la giovane dama alla vostra destra, ha denti davvero aguzzi – lunghi, sottili, a punta, come punteruoli, come aghi; ha, ha! Con la mia vista lunga ed acuta, guardando verso l'alto, li ho visti bene; ora se dolgono alla giovane dama, come credo facciano, eccomi qui, ecco la mia lima, il mio trapano, le mie pinze; li renderò tondi e smussi, se piace a sua signoria; non più denti da pesce, ma quelli di una splendida fanciulla quale è. Ehi? La damigella è dispiaciuta? Sono stato troppo ardito? L'ho forse offesa?” La ragazza, invero, appariva molto irata mentre si allontanava dalla finestra. “Come osa quel saltimbanco insultarci così? Dove è tuo padre? Gli chiederò un risarcimento. Mio padre avrebbe legato questo sciagurato alla pompa dell'acqua e dopo averlo fustigato con una frusta da calesse lo avrebbe bruciato fino all'osso con il 35 marchio del castello!” Si ritrasse dalla finestra di uno o due passi, si sedette, e aveva appena perso di vista colui che l'aveva offesa che la sua furia scemò all'improvviso come era montata, e gradualmente riprese il suo solito tono e apparve dimenticarsi del piccolo gobbo e delle sue follie. Mio padre era giù di corda quella sera. Nel rientrare ci raccontò che vi era stato un altro caso molto simile ai due casi fatali che erano occorsi di recente. La sorella di un giovane contadino della sua tenuta, a solo un miglio di distanza, era molto ammalata, ed era stata attaccata, come descriveva, praticamente nello stesso modo, e stava ora lentamente ma inesorabilmente affondando. “Tutto ciò” disse mio padre, “è strettamente riconducibile a cause naturali. Questa povera gente si infetta a vicenda con le loro stesse superstizioni, e così ripete nell'immaginazione le immagini del terrore che ha provocato nei loro vicini.” “Ma questo stesso fatto è di per sé terrificante,” disse Carmilla. “In che modo?” chiese mi padre. “Ho così tanta paura di immaginare di vedere simili cose; credo che sarebbe altrettanto terribile della realtà.” “Siamo nelle mani di Dio: niente può accadere senza il suo consenso, e tutto finirà bene per coloro che lo amano. Egli è il nostro fedele creatore; Egli ha fatto tutti noi, e si prenderà cura di noi.” “Creatore! Natura!” disse la giovane in risposta al mio padre gentile. “E questa malattia che invade la regione è naturale. La Natura. Ogni cosa viene dalla Natura – non è così? Tutte le cose in cielo, in terra, e sotto la terra, agiscono e vivono come Natura ordina? Io lo credo.” 36 “Il medico ha detto che verrà qui oggi,” disse mio padre, dopo un po' di silenzio. “Voglio conoscere la sua opinione a riguardo, e cosa crede che sia la cosa migliore da fare.” “I medici non mi hanno mai aiutato” disse Camilla. “Quindi sei stata malata?” chiesi. “Più malata di quanto tu non sia mai stata,” rispose. “Molto tempo fa?” “Si, molto tempo fa. Ho sofferto di questa stessa malattia; ma dimentico ogni cosa salvo il mio dolore e la mia debolezza, e non erano pesanti quanto quelle di altre malattie.” “Eri molto giovane all'epoca allora?” “Oserei dire, non parliamone più. Non vorrai ferire un'amica?” Mi guardò languidamente negli occhi, e passò amorevolmente un braccio intorno alla mia vita, conducendomi fuori dalla stanza. Mio padre era chino su alcune carte vicino alla finestra. “Perché a tuo padre piace spaventarci?” chiese la bella ragazza con un sospiro ed un piccolo brivido. “Non è così, cara Carmilla, è l'ultima cosa che gli passa per la mente.” “Non hai paura, carissima?” “Lo sarei molto se sospettassi che ci fosse il pericolo reale di essere attaccata come è accaduto a quelle povere persone.” “Hai paura di morire?” “Si, tutti hanno paura di morire.” “Ma morire come possono farlo gli amanti – morire insieme, per poter vivere insieme. Le fanciulle sono millepiedi mentre vivono nel mondo, per 37 essere finalmente farfalle quando arriva l'estate; ma nel frattempo vi sono bruchi e larve, non vedi – ognuno con le sue peculiari inclinazioni, necessità e struttura. Così dice Monsieur Buffon, nel suo grande libro, nella stanza accanto. Più avanti quel giorno arrivò il medico, e rimase chiuso con mio padre per del tempo. Era un uomo abile, di sessant'anni o più, si profumava di talco e si rasava il volto pallido in modo da renderlo liscio come una zucca. Lui e papà emersero dalla stanza insieme, e sentii mio padre ridere, e dire mentre uscivano: “Devo dire, mi stupisco di un uomo saggio come voi. Cosa ne pensate degli ippogrifi e dei draghi?” Il medico sorrideva, e rispose, scuotendo la testa “Ciononostante, la vita e la morte sono condizioni misteriose, e sappiamo ben poco delle risorse di entrambe.” E così discorrendo proseguirono oltre, e non sentii altro. Non sapevo all'epoca cosa avesse menzionato il medico, ma ora credo di poterlo indovinare. 38 V Una straordinaria somiglianza Quel pomeriggio arrivò da Gratz il figlio del restauratore di dipinti, grave e scuro in faccia, con il cavallo ed il carretto ingombro di due grandi bauli da viaggio, ciascuno contenente molti dipinti. Era un viaggio di dieci leghe, e ogni volta che arrivava allo schloss un messaggero dalla nostra piccola capitale di Gratz eravamo soliti affollarci intorno a lui nell'ingresso, per sentire le novità. Il suo arrivo creò un bel vociare nei nostri quartieri privati. I bauli restarono nell'ingresso, ed i servitori si occuparono del messaggero fino a quando non ebbe cenato. Allora con degli assistenti, e armato di martello, cesello e cacciavite, si incontrò con noi nell'ingresso, dove ci eravamo riuniti per essere presenti all'apertura dei bauli. Carmilla sedeva guardando davanti a sé svogliatamente, mentre uno dopo l'altro i vecchi quadri, quasi tutti ritratti, che erano stati restaurati, venivano portati alla luce. Mia madre apparteneva ad un'antica famiglia ungherese, e la maggior parte di questi quadri, che stavano per essere riportati nel loro luogo di origine, erano arrivati a noi tramite lei. Mio padre aveva in mano una lista, dalla quale leggeva, mentre l'artista frugava per tirar fuori i numeri corrispondenti. Non so se i dipinti fossero di buona fattura, ma erano, indubbiamente, molto antichi, ed alcuni anche piuttosto bizzarri. La maggior parte di essi aveva, soprattutto, il vantaggio di essere visti da me per la prima volta; poiché il fumo e la polvere del tempo li aveva quasi del tutto cancellati. “Vi è un quadro che ancora non ho visto,” disse mio padre. “In 39 un angolo, in alto, si trova il nome, per come potevo leggerlo, 'Marcia Karnstein' e la data '1698'; e sono curioso di vedere come è diventato.” Lo ricordavo; era un quadro molto piccolo, alto circa un piede e poco più, e quasi quadrato, senza una cornice; ma era così annerito dal tempo che non riuscivo a distinguerne il disegno. L'artista lo tirò fuori ora, con evidente orgoglio. Era davvero molto bello; era sorprendente; sembrava animato. Era il ritratto di Carmilla! “Carmilla, cara, questo è un vero miracolo. Eccoti qua, vivente, sorridente, pronta a parlare, in questo quadro. Non è bellissimo, papà? E guarda, anche il piccolo neo sulla gola.” Mio padre rise, e disse “Certamente è una straordinaria somiglianza,” ma distolse lo sguardo, e con mia grande sorpresa apparve piuttosto colpito da questo fatto, e continuò a conversare con il restauratore, che era anche un artista, e discorreva con competenza dei ritratti e di altri lavori, che la sua arte aveva appena riportato alla luce ed al colore, mentre io era sempre più persa nello stupore mentre continuavo a guardare il dipinto. “Mi lascerai appendere questo quadro nella mia stanza, papà?” chiesi. “Certo, cara,” mi disse, sorridendo, “Sono molto contento che tu lo trovi così somigliante. Deve essere più bello di quanto non pensassi, se è così.” La fanciulla non fece cenno di aver inteso, o anche sentito, il complimento. Sedeva reclinata sulla sedia, con gli occhi eleganti che mi fissavano in contemplazione sotto le lunghe ciglia, e sorrise come in una specie di torpore. “E ora si legge piuttosto chiaramente il nome scritto 40 nell'angolo. Non è Marcia; sembra come se fosse stato scritto in oro. Il nome è Mircalla, Contessa Karnstein, e vi è una coroncina sopra e sotto la data AD 1698. Io discendo dai Karnstein; ovvero, mamma discendeva da loro.” “Ah!” disse la fanciulla, languidamente, “anche io, credo, una discendenza molto lunga, molto antica. Ci sono Karnstain viventi al momento?” “Nessuno che rechi quel nome, credo. La famiglia cadde in disgrazia, credo, in qualche guerra civile, molto tempo fa, ma le rovine del castello si trovano a sole tre miglia di distanza.” “Interessante!” disse, languidamente. “Ma guarda che bella luna!” Lanciò uno sguardo attraverso la porta d'ingresso, che era socchiusa. “Vogliamo fare una piccola passeggiata intorno al cortile, e guardar giù verso la strada ed il fiume?” “E' molto simile alla notte in cui arrivasti a noi,” dissi. Sospirò, sorridendo. Si alzò in piedi, e ognuna con un braccio intorno alla vita dell'altra, uscimmo fuori sul selciato. In silenzio, lentamente passeggiammo per il ponte levatoio, dove lo splendido paesaggio si apriva davanti a noi occhi. “E così stavi pensando alla notte in cui sono giunta qui?” quasi sussurrò. “Sei contenta che io sia venuta?” “Deliziata, cara Carmilla,” risposi. “E hai chiesto di appendere nella tua stanza il quadro che ti sembra mi assomigli,” mormorò con un sospiro, mentre stringeva il braccio intorno alla mia vita e lasciava che la sua bella testa si appoggiasse alla mia spalla. “Come sei romantica, 41 Carmilla,” dissi. “Ogni volta che mi racconti la tua storia, sembra composta dalle vicende di un qualche romanzo.” Mi baciò in silenzio. “Sono sicura, Carmilla, che tu sia stata innamorata; che c'è, in questo momento, una questione di cuore in corso.” “Non sono mai stata innamorata di nessuno, e non lo sarò mai,” sussurrò, “se non dovesse essere di te.” Come appariva bella nella luce della luna! Fu timido e strano lo sguardo con cui nascose rapidamente il volto nel mio collo e nei miei capelli, con sospiri tumultuosi, quasi singhiozzanti, e premette nella mia una mano che tremava. La sua morbida guancia bruciava contro la mia. “Cara, cara,”sussurrava, “Io vivo in te; e tu moriresti per me, ti amo così tanto.” Mi allontanai da lei. Mi fissava con occhi dai quali era volato via ogni fuoco, ogni intenzione, il volto incolore ed apatico. “C'è un vento freddo nell'aria, cara?” mi disse, parlando come nel sonno. “Ho quasi i brividi; stavo forse sognando? Rientriamo. Vieni; vieni; entra.” “Sembri ammalata, Carmilla; un po' pallida. Dovresti indubbiamente bere un po' di vino,” dissi. “Si, lo farò. Mi sento meglio ora. Starò bene tra qualche minuto. Si, ti prego, versami un po' di vino,” rispose Carmilla, mentre ci avvicinavamo alla porta. “Voltiamoci nuovamente per un momento; forse, questa è l'ultima volta che vedrò la luce della luna insieme a te.” 42 “Come ti senti ora, cara Carmilla? Ti senti davvero meglio?” chiesi. Stavo cominciando ad allarmarmi, temendo che potesse essere stata colpita dalla strana epidemia che dicevano aver invaso la campagna intorno a noi. “Mio padre sarebbe addolorato oltre misura,” aggiunsi, “se dovesse pensare che tu sia anche solo indisposta, senza comunicarcelo immediatamente. Vicino a noi c'è un dottore molto bravo, il medico che si trovava con mio padre oggi.” “Sono sicura che egli sia molto bravo. So quanto voi tutti siate gentili; ma, cara ragazza, sto nuovamente benissimo. Non c'è niente che non vada in me, se non un po' di debolezza. Le persone mi definiscono languida; non sono capace di alcuno sforzo; posso appena camminare la distanza che fiaccherebbe un bambino di tre anni: e ogni tanto la poca forza che ho viene meno, e divento come mi hai appena visto. Ma tutto sommato è facile rimettermi in piedi; in un momento sono nuovamente me stessa. Guarda come mi sono ripresa.” Ed effettivamente così era; e lei ed io parlammo molto, ed era molto animata; e quanto restava della sera trascorse senza che tornassero quelle che io chiamavo le sue infatuazioni. Intendo cioè i suoi discorsi e le sue occhiate folli, che mi imbarazzavano e spaventavano anche. Ma avvenne quella notte un evento che diede una nuova piega ai miei pensieri, e sembrò scuotere anche la natura languida di Carmilla in una momentanea energia. 43 VI Un'agonia molto strana Quando arrivammo nel soggiorno, e ci sedemmo per bere le nostre tazze di caffè e cioccolata, e nonostante Carmilla non ne volesse, sembrava nuovamente in sé, e Madame e Mademoiselle De Lafointaine si unirono a noi, per una piccola partita a carte, ed a quel punto sopraggiunse naturalmente anche papà per quello che chiamava “il suo sorso di tè”. Quando la partita terminò si sedette accanto a Carmilla sul divano, chiedendole, un po' ansiosamente, se avesse avuto notizie della madre dal suo arrivo. Lei rispose “No.” Allora egli chiese se sapesse dove potesse essere raggiunta al momento con una lettera. “Non saprei dirlo,” rispose lei ambiguamente, “ma stavo considerando di lasciarvi; siete già stati fin troppo ospitali e gentili nei miei confronti. Vi ho portato un'infinità di guai, e potrei considerare di prendere una carrozza domani, e lanciarmi al suo inseguimento; so dove la troverò infine, per quanto io non osi dirvelo.” “Ma non devi neanche pensare una cosa del genere,” esclamò mio padre, con mio grande sollievo. “Non possiamo permetterci di perderti in questo modo, e non acconsentirò alla tua partenza, se non sotto la cura di tua madre, che è stata tanto gentile da acconsentire alla tua permanenza fino al suo ritorno. Sarei più contento se sapessi che hai avuto notizie da lei; ma questa sera le notizie dell'avanzamento della misteriosa malattia che ha invaso i paraggi diventano ancor più allarmanti; e mia bellissima ospite, io sento molto la responsabilità del 44 caso, senza l'aiuto di un consiglio da parte di tua madre. Ma farò del mio meglio; e una cosa è certa, che non devi pensare di lasciarci senza una sua precisa indicazione in merito. Soffriremmo troppo della tua partenza per consentirtela così facilmente.” “Mille volte grazie, signore, per l'ospitalità,” rispose, sorridendo timidamente. “Siete stati tutti troppo gentili con me, e raramente sono stata così felice in vita mia prima d'ora, come nel vostro bellissimo castello, sotto la vostra cura, ed in compagnia della vostra cara figlia.” Così lui galantemente, nella sua maniera antiquata, le baciò la mano, sorridente e compiaciuto del suo discorsetto. Come al solito accompagnai Carmilla alla sua stanza, e mi sedetti a parlare con lei mentre si preparava a coricarsi. “Credi,” dissi ad un certo punto, “che confiderai mai pienamente in me?” Lei si voltò sorridendo, ma non rispose, continuò soltanto a sorridermi. “Non risponderai a questo?” dissi. “Non puoi rispondere garbatamente; non avrei dovuto chiedertelo.” “Avevi tutte le ragioni per chiedermi questo, o qualsiasi cosa. Non sai quanto mi sei cara, o non crederesti alcuna confidenza troppo grande da chiedere. Ma ho fatto dei voti, due volte più atroci di quelli di una suora, e non oso ancora raccontarti la mia storia, neanche a te. Il tempo in cui saprai tutto è molto vicino. Mi penserai crudele, molto egoista, ma l'amore è sempre egoista; tanto più bruciante quanto più egoista. Quanto io sia gelosa non puoi saperlo. Devi venire con me, amandomi, alla morte; o odiarmi e comunque venire con me, e odiandomi attraverso la morte e oltre. Non 45 esiste la parola indifferenza nella mia natura apatica.” “Adesso, Carmilla, stai nuovamente cominciando a fare i tuoi selvaggi discorsi senza senso,” dissi frettolosamente. “Non io, per quanto io sia una sciocchina ridicola, piena di capricci e desideri; per il tuo bene parlerò come un saggio. Sei mai stata ad un ballo?” “No; come cambi argomento. Come è? Deve essere molto affascinante.” “Quasi lo dimentico, sono passati degli anni.” Risi. “Non sei così vecchia. Non puoi aver già dimenticato il tuo primo ballo.” “Ricordo tutto al riguardo – con uno sforzo. Lo vedo tutto, come i tuffatori vedono quanto accade sopra di loro, attraverso un mezzo, denso, movimentato, ma trasparente. Accadde quella notte quanto ha confuso il disegno, e reso sbiaditi i suoi colori. Sono quasi stata assassinata nel mio letto, ferita qui,” si toccò il petto, “e non sono più stata la stessa da allora.” “Sei stata per morire?” “Si, quasi – un amore crudele – un amore strano, che avrebbe preso la mia vita. L'amore richiede i suoi sacrifici. Nessun sacrificio è senza sangue. Andiamo a letto ora; mi sento così pigra. Come faccio ad alzarmi proprio ora e chiudere la porta a chiave?” Giaceva con le manine sepolte sotto la sua folta capigliatura ondulata, sotto le guance, la piccola testa sul cucino; i suoi occhi luccicanti mi seguivano ovunque mi spostassi, con una specie di sorriso timido che non riuscivo a decifrare. Le augurai la buona notte e sgattaiolai fuori dalla stanza con 46 una sensazione di disagio. Mi ero spesso chiesta se la nostra avvenente ospite dicesse mai le sue preghiere. Di certo non l'avevo mai vista in ginocchio. La mattina non scendeva mai prima che le nostre preghiere di famiglia fossero finite, e la sera non lasciava mai il soggiorno per partecipare alle nostre brevi preghiere serali nell'ingresso. Se non fosse venuto fuori casualmente in una delle nostre conversazioni disimpegnate che era stata battezzata, avrei dubitato del suo essere cristiana. La religione era un argomento sul quale non l'avevo mai sentita dire una parola. Se avessi conosciuto meglio il mondo, questa particolare negligenza o antipatia non mi avrebbe sorpreso così tanto. Le precauzioni delle persone nervose sono contagiose, e gli individui dal temperamento simile prima poi, dopo un po' di tempo, le imiteranno. Avevo adottato l'abitudine di Carmilla di chiudere a chiave la porta della camera da letto, avendo assorbito nella mia testa tutte le sue capricciose preoccupazioni su invasori della mezzanotte e assassini striscianti. Avevo anche adottato la sua precauzione di fare una breve ricerca nella sua stanza, per soddisfarla che nessun sicario o ladro nascosto si fosse “comodamente sistemato”. Prese queste sagge misure, entrai nel mio letto e mi addormentai. Una luce ardeva nella mia stanza. Una vecchia abitudine questa, molto precoce, e nulla avrebbe potuto convincermi a farne a meno. Così protetta, potevo prendermi il mio riposo in pace. Ma i sogni arrivano anche attraverso muri di pietra, illuminano stanze buie, o ne oscurano di illuminate, e le loro figure escono ed entrano come loro aggrada, e ridono dei fabbri. Quella notte feci un sogno che fu l'inizio di un'agonia molto strana. 47 Non posso definirlo un incubo, poiché ero decisamente cosciente del fatto di dormire. Ma ero altrettanto cosciente di un essere nella mia stanza, sdraiato nel letto, esattamente come me. Vidi, o pensai di vedere, la stanza ed i suoi mobili esattamente come li avevo visti l'ultima volta, solo che era molto buio, e vidi qualcosa, che inizialmente non riuscivo a distinguere accuratamente, muoversi intorno ai piedi del letto. Ma presto vidi che si trattava di un animale di un nero fuligginoso che assomigliava ad un gatto mostruoso. Mi apparve lungo più o meno quattro o cinque piedi poiché copriva l'intera misura dello scendiletto quando ci passò sopra; e continuò a passeggiare avanti ed indietro con l'inquietudine leggiadra e sinistra di una bestia in gabbia. Non potevo urlare, per quanto come potrete supporre, ero terrorizzata. Il passo dell'animale diventava sempre più veloce, e la stanza rapidamente sempre più oscura, e dopo un po' così scura che non potevo più veder nulla della creatura a parte gli occhi. Lo sentii saltare agilmente sul letto. I due grandi occhi larghi si avvicinarono al mio volto, ed improvvisamente sentii un dolore pungente come se due grandi aghi avessero profondamente trafitto, distanti tra loro un pollice o due, il mio petto. Mi svegliai con un grido. La stanza era illuminata dalla candela che aveva bruciato al suo posto tutta la notte, ed io vidi una figura femminile in piedi in fondo al letto, leggermente spostata sul lato destro. Indossava un vestito scuro e largo, i capelli sciolti a coprire le spalle. Un blocco di pietra non avrebbe potuto essere più immobile. Non vi era il minimo movimento di respirazione. Mentre la fissavo, la figura sembrò cambiare posizione, ed era ora più vicina alla porta; poi accanto ad essa, la porta si aprì, e la figura uscì. Mi sentii sollevata, ed in grado di respirare e muovermi. Il mio primo pensiero fu che Carmilla mi avesse fatto uno scherzo, e che mi fossi dimenticata di chiudere a chiave. Mi affrettai alla 48 porta, e la trovai come al solito chiusa a chiave dall'interno. Ebbi paura ad aprirla – ero orripilata. Saltai sul letto e mi ricoprii la testa con le coperte, giacendo lì più morta che viva fino al mattino. 49 VII Discesa Sarebbe futile da parte mia tentare di raccontarvi l'orrore con cui, anche ora, ricordo l'avvenimento di quella notte. Non fu il terrore passeggero che un sogno si lascia alle spalle. Sembrava approfondirsi con il passare del tempo, e si trasferiva alla stanza e persino ai mobili che erano stati teatro dell'apparizione. Il giorno seguente non sopportai di restare sola un istante. Avrei dovuto avvertire mio padre, se non per due motivazioni contrastanti. Da un lato credevo che avrebbe riso del mio racconto, e non potevo sopportare che la cosa fosse trattata come uno scherzo; d'altro canto poteva credere che fossi stata attaccata dal misterioso disturbo che aveva invaso il nostro vicinato. Personalmente non avevo alcuna presentimento del genere, e poiché egli era stato piuttosto male per un po' di tempo, avevo paura ad allarmarlo. Mi trovavo abbastanza bene con le mie benevole amiche, Madame Perrodon, e la vivace Mademoiselle De Lafontaine. Entrambe percepivano che ero di malumore e nervosa, ed infine raccontai loro cosa giaceva così pesantemente sul mio cuore. Mademoiselle rise, ma mi sembrò che Madame Perrodon acquistasse un aspetto ansioso. “Visto che ci siamo”, disse Mademoiselle, ridendo, “la lunga camminata sotto i tigli, dietro la finestra della stanza da letto di Carmilla, è stregata!” “Sciocchezze!” esclamò Madame, che probabilmente trovava l'argomento piuttosto inopportuno, “e chi racconterebbe questa 50 storia, mia cara?” “Martin sostiene di averla percorsa due volte, mentre stava riparando il vecchio cancello dell'orto, prima dell'alba, e di aver visto per due volte la stessa figura femminile camminare lungo il sentiero dei tigli.” “Possibilissimo, considerando che vi sono mucche da mungere nei campi ai lati del fiume,” disse Madame. “Oserei dir lo stesso; ma Martin sceglie di spaventarsi, e mai ho visto uno sciocco più spaventato.” “Non dovete dire una parola al riguardo a Carmilla, perché può vedere quella passeggiata dalla finestra della sua camera da letto” interloquii, “e lei è, se possibile, ancor più vigliacca di me.” Carmilla quel giorno scese un po' più tardi del solito. “Ho avuto una tale paura la scorsa notte,” disse, non appena fummo insieme, “e sono sicura che avrei visto qualcosa di terribile se non fosse stato per l'amuleto che avevo comprato dal povero piccolo gobbo che ho insultato in maniera così dura. Ho sognato una cosa nera che girava intorno al mio letto, e mi sono svegliata in uno stato di puro orrore, ed ho davvero pensato, per qualche secondo, di aver visto una figura scura vicino alla canna fumaria, ma ho allungato la mano sotto al cuscino a prendere l'amuleto, e nel momento in cui le mie dita lo hanno toccato, la figura è scomparsa, e mi sono sentita piuttosto certa, che se solo fosse arrivata al mio fianco, qualcosa di spaventoso sarebbe comparso e mi avrebbe forse strangolato, come ha fatto con quella povera gente di cui abbiamo sentito.” “Ebbene, senti me,” cominciai, e raccontai la mia avventura, dalla quale apparve orripilata. 51 “E avevi l'amuleto vicino a te?” chiese preoccupata. “No, l'avevo lasciato cadere in un vaso di porcellana in soggiorno, ma lo porterò senz'altro con me stanotte, visto che riponi in esso così tanta fiducia.” Dopo il tempo che è passato non so dirvi, o anche capire, come superai l'orrore in maniera così efficace da riuscire a giacere da sola in camera quella notte. Ricordo distintamente di aver attaccato l'amuleto al cuscino. Mi addormentai quasi subito, e dormii ancor più profondamente del solito per tutta la notte. La notte seguente trascorse altrettanto bene. Il mio sonno era deliziosamente profondo e privo di sogni. Ma mi svegliavo con un senso di prostrazione e malinconia, che tuttavia non superava mai un livello che era quasi piacevole. “Bene, te l'avevo detto,” disse Carmilla, quando descrissi il mio sogno quieto, “anche io ho dormito in maniera così piacevole la scorsa notte; ho attaccato l'amuleto sul petto della mia camicia da notte. Era troppo lontano la notte precedente. Sono abbastanza sicura che sia stato tutta un'impressione, a parte i sogni. Ero solita pensare che gli spiriti maligni costruissero i sogni, ma il nostro medico mi disse che non è nulla del genere. Solo una febbre passeggera, o qualche altra indisposizione, bussa alla porta, come spesso accade” disse, “e non riuscendo ad entrare, prosegue, suonando quell'allarme.” “E cosa credi che sia l'amuleto?” dissi io. “E' stato affumicato o immerso in qualche medicina, ed è un antidoto contro la malaria,” rispose. “Quindi agisce unicamente sul corpo?” “Certo; non immaginerai che gli spiriti maligni siano spaventati da pezzi di nastro, o dai profumi del negozio di un farmacista? 52 No, questi disturbi, girando nell'aria, cominciano mettendo alla prova i nervi, e così infettano il cervello, ma prima che possano aggredire, l'antidoto li respinge. Sono sicura che è questo che l'amuleto ha fatto per noi. Non è nulla di magico, è semplicemente naturale.” Sarei stata più contenta se avessi potuto trovarmi interamente d'accordo con Carmilla, ma mi impegnai al massimo in tal senso, e l'impressione stava perdendo un po' della sua forza. Per alcune notti dormii profondamente; ma ciononostante ogni mattina sentivo la stessa prostrazione, ed un languore che pesava su di me per tutto il giorno. Mi sentivo una ragazza cambiata. Una strana malinconia strisciava su di me, una malinconia che non volevo interrompere. Cominciarono a prospettarsi vaghi pensieri di morte, e un'idea verso la quale stavo affondando prese possesso di me, gentilmente e quasi la benvenuta. Per quanto triste, lo stato mentale che induceva aveva anche una sua dolcezza. Qualsiasi cosa fosse, la mia anima non si ribellava. Non avrei ammesso di stare male, non avrei acconsentito a dirlo a mio padre, o a chiamare un medico. Carmilla divenne più devota che mai nei miei confronti, ed i suoi momenti di strano parossismo di languida adorazione più frequenti. Era solita compiacersi di me con ardore tanto crescente quanto calavano le mie forze ed i miei umori. Questo continuava a colpirmi come una fiammata momentanea di pazzia. Senza saperlo, ero ormai in una stadio piuttosto avanzato della malattia più strana della quale un mortale abbia mai sofferto. Vi era un'inenarrabile fascinazione nei suoi primi sintomi che mi riconciliava ampiamente con l'effetto incapacitante di quello stadio del disturbo. Questa fascinazione aumentò per un certo 53 periodo di tempo, fino a raggiungere un punto in cui si confuse con una sensazione di orrore, che diveniva sempre più profonda, come sentire, fino a rendere sbiadita e distorta tutta la condizione della mia esistenza. Il primo cambiamento che provai fu piuttosto piacevole. Fu molto vicino al punto di svolta che segnò la discesa verso l'Averno. Alcune sensazioni vaghe mi visitavano nel sonno. L'impressione prevalente era di quel freddo brivido piacevole e particolare che proviamo nel fare il bagno, quando ci spostiamo contro la corrente di un fiume. Ciò fu presto accompagnato da sogni che sembravano interminabili, ed erano così vaghi che non riuscivo mai a ricordare paesaggi e personaggi, o una sequenza connessa della loro trama. Ma lasciavano un'impressione terribile, ed un senso di spossatezza, come se avessi attraversato un lungo periodo di grande sforzo mentale e pericolo. Dopo tutti questi sogni permaneva nella veglia il ricordo di essermi trovata in luogo quasi del tutto oscuro, e di aver parlato con persone che non riuscivo a vedere; e specialmente il ricordo di una voce chiara, femminile, molto profonda, che parlava come a distanza, lentamente, e generando sempre la medesima sensazione di solennità e paura indescrivibili. A volte arrivava la sensazione simile ad una mano che scorresse dolcemente lungo la mia guancia e lungo il collo. Altre era come se calde labbra mi baciassero, sempre più a lungo e più amorevolmente mentre raggiungevano la mia gola, ma lì la carezza si fissava. Il mio cuore batteva più velocemente, il mio respiro si alzava e ricadeva rapido e profondo; sopravveniva a quel punto un singhiozzare, che proveniva dal mio senso di soffocamento, che si trasformava poi in un atroce convulsione, nella quale i sensi mi abbandonavano e perdevo conoscenza. 54 Erano passate ormai tre settimane dall'inizio di questo stato inenarrabile. Le mie sofferenze, durante l'ultima settimana, erano ricadute sul mio aspetto. Ero diventata pallida, gli occhi erano sgranati e segnati da occhiaie, ed il languore che avevo sentito a lungo cominciava ora a manifestarsi nel mio portamento. Mio padre mi chiedeva spesso se ero malata; ma con un'ostinazione che ora mi sembra inconcepibile, persistevo nel rassicurarlo che stavo bene. In un certo senso era vero. Non provavo dolore, non potevo lamentarmi di disturbi corporei. Il mio problema sembrava esserlo nell'immaginazione, nei nervi, e, per quanto orribili fossero le mie sofferenze, le tenevo, con morboso riserbo, quasi completamente per me. Non poteva trattarsi di quel terribile disturbo che i contadini chiamavano l'upiro, poiché ormai ne soffrivo da tre settimane, e le persone colpite raramente stavano male per più di tre giorni, quando la morte poneva fine alle loro sofferenze. Carmilla lamentava sogni e sensazioni febbrili, ma in nessun modo di una qualità allarmante come i miei. Dico che i miei erano estremamente allarmanti. Se solo fossi stata in grado di comprendere la mia condizione, avrei invocato aiuto e consiglio in ginocchio. Il narcotico di un'influenza insospettata agiva su di me, e le mie percezioni erano come attenuate. Vi racconterò ora di un sogno che condusse immediatamente ad una scoperta bizzarra. Una notte, al posto della voce che ero abituata a sentire al buio, ne sentii una, dolce e tenera, ed allo stesso tempo terribile, che diceva, “Tua madre ti avverte di guardarti dall'assassino.” Allo stesso 55 tempo una luce si accese all'improvviso e vidi Carmilla, in piedi, vicino ai piedi del letto, nella sua vestaglia bianca, ricoperta, dal mento fino ai piedi, in un'unica macchia di sangue. Mi svegliai con un urlo, posseduta dall'idea precisa che stessero assassinando Carmilla. Ricordo di essermi precipitata dal letto, ed il mio ricordo seguente è di essermi trovata sul pianerottolo, gridando per cercare aiuto. Madame e Mademoiselle uscirono di corsa dalle loro stanze, allarmate; una lampada bruciava sempre nel pianerottolo, e vedendomi, appresero presto la causa del mio terrore. Insistetti per bussare alla porta di Carmilla. Nessuno rispose al nostro bussare. Divenne presto una sequela di colpi ed un frastuono. Urlammo il suo nome, ma tutto invano. Ci spaventammo tutti, poiché la porta era chiusa a chiave. Ci affrettammo a tornare, nel panico, alla mia stanza. Lì suonammo la campanella a lungo e furiosamente. Se la stanza di mio padre si fosse trovata su quel lato della casa, l'avremmo chiamato immediatamente ad aiutarci. Ma ahimè! Era piuttosto fuori dalla portata d'orecchio, e per raggiungerlo avremmo dovuto ricorrere ad una spedizione per la quale nessuno di noi aveva il coraggio. I servitori, tuttavia, si erano precipitati presto su per le scale; io nel frattempo mi ero tirata addosso una vestaglia e delle pantofole, e la mia compagnia era già similmente equipaggiata. Riconoscendo le voci dei servitori sul pianerottolo, uscimmo insieme; ed avendo rinnovato, sempre infruttuosamente, i nostri richiami alla porta di Carmilla, ordinai agli uomini di forzare la serratura. Così fecero, e ci ritrovammo così, con le nostre lampade tenute in alto, all'ingresso, fissando la stanza. 56 La chiamammo per nome; ma ancora non ci fu risposta. Guardammo intorno per la stanza. Tutto giaceva indisturbato. Si trovava esattamente nello stato in cui l'avevo lasciato nell'augurarle la buona notte. Ma Carmilla era sparita. 57 VIII Ricerca Alla vista della stanza, perfettamente indisturbata se non per il nostro violento ingresso, cominciammo a calmarci un po', e presto riguadagnammo lucidità a sufficienza da congedare gli uomini. Mademoiselle era stata colta dalla possibilità che Carmilla fosse stata svegliata dal frastuono alla sua porta, e fosse saltata giù dal letto nel panico per nascondersi in un armadio, o dietro ad una tenda, dai quali non poteva emergere finché il maggiordomo ed i suoi mirmidoni non si fossero ritirati. Riprendemmo quindi la nostra ricerca, e cominciammo a chiamar nuovamente il suo nome. Fu tutto per nulla. La nostra perplessità ed agitazione aumentarono. Esaminammo le finestre, ma erano chiuse. Implorai Carmilla, se si era nascosta, di non insistere in questo crudele scherzo – ed uscire per porre fine alle nostre ansie. Fu tutto inutile. Ormai mi ero convinta che non si trovava nella stanza, né nello stanzino, la cui porta era ancora chiusa a chiave da questo lato. Non poteva averla superata. Ero del tutto confusa. Aveva forse Carmilla scoperto uno di quei passaggi segreti la cui esistenza nello schloss veniva raccontata dalla vecchia governante, per quanto la tradizione della loro precisa posizione si fosse persa? Un po' di tempo, senza dubbio, avrebbe spiegato ogni cosa – per quanto fossimo tutti, al presente, del tutto perplessi. Erano passate le quattro, e scelsi di trascorrere le rimanenti ore di buio nella stanza di Madame. La luce del giorno non portò soluzione al problema. Il mattino seguente tutta la casa, mio padre in testa, si trovava in uno stato di agitazione. Ogni luogo del castello veniva ora 58 perlustrato, i terreni esplorati. Non si scoprì traccia alcuna della damigella scomparsa. Eravamo in procinto di far dragare il ruscello; mio padre era alle strette; che storia avrebbe dovuto raccontare alla madre della povera ragazza al suo ritorno. Io pure ero quasi fuori di me, per quanto il mio dolore fosse di una specie affatto diversa. Il mattino trascorse nell'allarme e nella frenesia. Era ormai l'una, e ancora non avevamo notizie. Corsi nella stanza di Carmilla, e la trovai in piedi davanti al comò. Ero stupefatta, non potevo credere ai miei occhi. Con il suo bel dito mi fece segno di avvicinarmi a lei, in silenzio. Il suo volto esprimeva una paura estrema. Corsi da lei in un'estasi di gioia; la baciai ed abbracciai più e più volte. Corsi alla campanella suonandola con veemenza, per portare gli altri a scorgere quanto poteva immediatamente sollevare l'ansia di mio padre. “Cara Carmilla, cosa ne è stato di te per tutto questo tempo? Ci siamo rivoltati nelle sofferenze dell'ansia per te,” esclamai. “Dove sei stata? Come sei tornata?” “La scorsa notte è stata una notte di meraviglie,” disse. “Per pietà, spiegaci tutto quello che puoi.” “Erano passate le due la notte scorsa,” disse, “quando andai a dormire come al solito nel mio letto, con le porte chiuse a chiave, quella sul corridoio e quella dello stanzino. Il mio sonno fu ininterrotto, e, per quanto ne so, senza sogni; ma mi sono svegliata proprio ora sul divano dello stanzino lì, ed ho trovato la porta tra le due stanze aperta, e l'altra porta forzata. Come poteva essere successo tutto ciò senza il mio risveglio? Deve essere stato accompagnato da molto rumore, ed io mi sveglio particolarmente in fretta; e come potrei essere stata trasportata fuori dal mio letto senza che il mio sonno fosse 59 interrotto, io che vengo risvegliata dal minimo movimento?” Ormai Madame, Mademoiselle, mio padre ed un gruppetto di servitori erano entrati nella stanza. Carmilla fu, ovviamente, sommersa di domande, felicitazioni, e benvenuti. Non aveva che una storia da raccontare, e sembrava del gruppo la persona meno in grado di suggerire alcun modo per spiegare l'accaduto. Mio padre passeggiava per la stanza, pensando. Vidi lo sguardo di Carmilla seguirlo per un momento con un'occhiata furbesca, scura. Quando mio padre ebbe mandato via i servi, con Mademoiselle che era andata alla ricerca di una boccetta di valeriana e di sali, e non essendoci ormai nella stanza di Carmilla nessuno al di fuori di mio padre, Madame e me, si avvicinò a lei pensosamente, le prese la mano molto gentilmente, la condusse al divano e si sedette al suo fianco. “Mi perdonerai, cara, se azzardo una congettura, e ti faccio una domanda?” “Chi può avere più diritti in merito?” chiese. “Domandate quello che desiderate, e vi dirò tutto. Ma la mia storia è semplicemente un racconto di stupore e di oscurità. Non so nulla. Ponetemi qualsiasi domanda, ma conoscete, ovviamente, i limiti che mia madre mi ha imposto.” “Perfettamente, bambina mia cara. Non ho bisogno di avvicinarmi agli argomenti sui quali desidera il nostro silenzio. Ora, la meraviglia della notte scorsa risiede nel tuo spostamento dal tuo letto e dalla tua stanza, senza essere stata svegliata, e dall'avvenire di questo spostamento apparentemente con le finestre ancora chiuse, e le due porte chiuse dall'interno. Ti esporrò la mia teoria e ti farò una domanda.” Carmilla stava appoggiata alla sua mano con fare dimesso; io e 60 Madame ascoltavamo senza fiato. “Ora, la mia domanda è questa. C'è mai stato il sospetto che tu fossi sonnambula?” “Mai, da quando non ero davvero molto giovane.” “Ma ti è capitato di essere sonnambula da piccola?” “Si; so che è accaduto. Mi è stato detto di tanto in tanto dalla mia vecchia bambinaia.” Mio padre sorrise ed annuì. “Bene, questo è quanto è accaduto. Ti sei alzata nel sonno, hai aperto la porta, non lasciando la chiave, come al solito, nella serratura, ma portandola con te e chiudendola da fuori; poi hai ripreso la chiave, portandola con te in una delle venticinque stanze di questo piano, o forse sopra o sotto. Ci sono così tante stanze e sgabuzzini, così tanti mobili pesanti, e tali cumuli di legna, che ci vorrebbe una settimane per perquisire a fondo questa vecchia casa. Capisci, ora, cosa intendo?” “Si, ma non tutto,” rispose. “E papà, come spieghi il suo essersi ritrovata nel divano dello stanzino, che avevamo perquisito così a fondo?” “E' tornata lì dopo che lo avevate perquisito, sempre nel sonno, per poi svegliarsi infine spontaneamente, e sorpresa come chiunque altro di ritrovarsi in quel luogo. Vorrei che tutti i misteri potessero spiegarsi facilmente ed innocentemente come il tuo, Carmilla,” disse ridendo. “E così possiamo congratularci per la certezza che la spiegazione più naturale dell'accaduto non coinvolge droghe, serrature scassinate, ladri, avvelenatori o streghe – niente che debba allarmare Carmilla, o chiunque, riguardo alla nostra sicurezza.” Carmilla aveva un aspetto incantevole. Nulla avrebbe potuto essere più bello dei suoi colori. La sua bellezza era, io credo, 61 rafforzata da quell'aggraziato languore che le era peculiare. Credo che mio padre stesse confrontando in silenzio il suo aspetto con i mio, perché disse: “Vorrei che la mia povera Laura avesse il suo solito aspetto”; e sospirò. Così il nostro allarme terminò felicemente, e Carmilla fu restituita ai suoi amici. 62 IX Il dottore Poiché Carmilla non voleva sentirne di avere un attendente che dormisse nella sua stanza, mio padre arrangiò che un servitore dormisse fuori dalla sua porta, in modo che non potesse tentare un'altra simile escursione senza essere fermata sulla porta. Quella notte trascorse tranquillamente; ed il mattino seguente, il dottore, che mi padre aveva chiamato senza dirmi una parola al riguardo, giunse per visitarmi. Madame mi accompagnò in biblioteca; lì il serio dottorino, dai capelli bianchi e gli occhiali, che ho descritto in precedenza, mi aspettava per ricevermi. Gli raccontai la mia storia, mentre procedevo nel racconto egli diventava sempre più serio. Ci trovavamo, lui ed io, nella rientranza di una delle finestre, uno di fronte l'altra. Quando terminai la mia descrizione, si appoggiò con le spalle contro il muro, gli occhi preoccupati fissi su di me, con un interesse che recava un tratto di orrore. Dopo un minuto di riflessione, chiese a Madame di poter vedere mio padre. Fu chiamato di conseguenza, e mentre entrava, egli disse sorridendo: “Oserei dire, dottore, che mi direte che sono un vecchio sciocco ad avervi portato qui; spero di esserlo.” Ma il suo sorriso sbiadì nell'ombra mentre il dottore, con volto molto grave, gli fece segno di avvicinarsi. Lui ed il dottore parlarono per un po' di tempo nella stessa nicchia nella quale avevo appena conferito con il medico. 63 Sembrò una conversazione preoccupata ed animata. La stanza era molto grande, ed io e Madame stavamo insieme, bruciando di curiosità, sul lato più distante. Non potevamo udire una parola, tuttavia, perché parlavano con un tono di voce molto basso, e la profonda nicchia della finestra nascondeva il dottore alla vista, e quasi del tutto mio padre, di cui riuscivamo a scorgere giusto un piede, un braccio ed una spalla; e le voci erano, suppongo, ancor meno udibili per via della specie di stanzino che risultava formato dallo spessore del muro e dalla finestra. Dopo un po' il volto di mio padre si affacciò sulla stanza; era pallido, pensieroso, e, pensai, agitato. “Laura, cara, vieni un attimo qui. Madame, il dottore dice che per il momento non le daremo problemi.” Mi avvicinai di conseguenza, per la prima volta un po' allarmata; perché per quanto mi sentissi molto debole, non mi sentivo malata; e crediamo spesso che la forza sia una di quelle cose che si possono raccogliere quando vogliamo. Mio padre mi tese la mano, ed io mi avvicinai, ma egli guardava il dottore, e disse: “Certamente è molto strano; e non lo capisco in pieno. Laura, vieni qui, cara; ora dai retta al Dottor Spielsberg, e cerca di ricordare.” “Hai parlato di una sensazione come di due aghi che bucassero la pelle, da qualche parte vicino al tuo collo, quella notte in cui hai fatto il tuo primo orribile sogno. Provi ancora alcun tipo di dolore?” “Affatto,” risposi. “Potresti indicarmi con il dito più o meno il punto in cui credi che sia avvenuto?” 64 “Poco al di sotto della gola – qui,” risposi. Indossavo un vestito da giorno, che copriva il punto che avevo indicato. “Ora potrete avere soddisfazione,” disse il dottore. “Non ti dispiacerà se tuo papà abbasserà di un poco il tuo vestito. E' necessario per scorgere un sintomo del disturbo per il quale stai soffrendo. Mi trovai d'accordo. Il punto si trovava soltanto uno o due pollici al di sotto dello scollo. “Dio mi benedica! - è così!” esclamò mio padre, impallidendo. “Ora potete vederlo con i vostri occhi,” disse il dottore, con tetro trionfo. “Cosa c'è?” esclamai, cominciando ad avere paura. “Nulla, mia cara fanciulla, solo un piccolo segno livido, più o meno delle dimensioni della punta del vostro mignolo; e ora,” continuò, girandosi verso papà, “la questione è: qual è la cosa migliore la fare?” “E' pericoloso?” mi precipitai a chiedere, con grande trepidazione. “Confido di no, mia cara,” rispose il dottore. “Non vedo perché non dovresti riprenderti. Non vedo perché non dovresti cominciare a sentirti subito meglio. Quello è il punto dal quale comincia la sensazione di soffocamento?” “Si,” risposi. “E – cerca di ricordare il più attentamente possibile – il medesimo punto è come il centro di quel brivido che hai descritto poc'anzi, come la corrente di un ruscello freddo che ti scorresse intorno?” “Potrebbe essere; credo di si.” 65 “Esatto, vedi?” aggiunse, rivolgendosi a mio padre. “Posso conferire con Madame?” “Certamente,” disse mio padre. Il medico quindi chiamò a sé Madame, e disse: “Trovo che la nostra giovane amica qui sia ben lontana dall'essere in buona salute. Non sarà una faccenda che avrà conseguenze, spero; ma sarà necessario prendere delle misure, che spiegherò poco alla volta; ma intanto, Madame, sarete così buona da non lasciare Miss Laura da sola per un momento. Questa è l'unica indicazione che ho bisogno di darvi per il momento. E' indispensabile.” “So che possiamo contare sulla vostra gentilezza, Madame” aggiunse mio padre. Madame si affrettò a tranquillizzarlo. “E tu, cara Laura, so che ti atterrai alle indicazioni del dottore.” “Dovrò poi chiedere la vostra opinione su un'altra paziente, i cui sintomi assomigliano leggermente a quelli di mia figlia, che vi sono appena stati descritti – su scala molto più mite, ma che credo a questo punto della stessa natura. E' una giovane dama – nostra ospite; ma poiché come dite passerete nuovamente da qui questa sera, non potreste far meglio che cenare qui, e poi vederla. Non scende prima del pomeriggio.” “Vi ringrazio,” disse il dottore. “Sarò con voi, allora, intorno alle sette questa sera.” E poi ripeterono le loro istruzioni a me ed a Madame, e con questo incarico ci separammo e mio padre ci lasciò, per uscire insieme al dottore; ed io li vidi passeggiare insieme su e giù tra la strada ed il fossato, sulla piattaforma erbosa davanti al castello, evidentemente assorti in una fitta conversazione. Il dottore non rientrò, lo vidi salire a cavallo lì, salutare e 66 cavalcare via verso est attraverso la foresta. Quasi in contemporanea vidi un uomo arrivare da Dranfield con la posta, smontare e consegnare la sacca a mio padre. Nel frattempo, sia io che Madame eravamo impegnate, perse in congetture riguardo alle motivazioni dietro alle singolari ed ansiose indicazioni che il dottore e mio padre avevano concordato di stabilire. Madame, come mi disse in seguito, temeva che il dottore si aspettasse una crisi improvvisa e che, senza un'assistenza immediata, io potessi o perdere la vita in preda alle convulsioni, o come minimo restare gravemente ferita. Questa interpretazione non mi colpiva; credevo, forse fortunatamente per i miei nervi, che la disposizione fosse stata prescritta semplicemente per assicurarmi una compagnia, che mi avrebbe trattenuto dal fare troppi sforzi, o dal mangiare frutta acerba, o dal fare alcuna delle cinquanta cosa sciocche alle quali si suppone che i giovani siano inclini. Dopo circa mezz'ora mio padre entrò – aveva in mano una lettera – e disse: “Questa lettera è arrivata in ritardo; è del Generale Spielsdorf. Per quanto egli non sia arrivato ieri, potrebbe non arrivare prima di domani, ma anche essere qui oggi.” Posò la lettera aperta nella mia mano; ma non sembrava contento, come era abitualmente quando un ospite, soprattutto un ospite così benvoluto come il Generale, era in arrivo. Al contrario, sembrava augurargli di trovarsi sul fondo del Mar Rosso. Aveva chiaramente in mente qualcosa che preferiva non divulgare. “Papà carissimo, mi risponderai?” dissi, ponendo improvvisamente una mano sul suo braccio, e guardandolo in 67 volto, sono sicura, con aria implorante. “Forse,” rispose, scostandomi con una carezza i capelli che mi ricadevano davanti agli occhi. “Il dottore mi crede molto ammalata?” “No, cara; crede che, prendendo le giuste contromisure, presto starai bene, o perlomeno sulla via di una completa guarigione, in uno o due giorni,” rispose, un po' seccamente. “Vorrei che il nostro buon amico, il Generale, avesse scelto un qualsiasi altro momento; ovvero, avrei preferito averti perfettamente in salute nel riceverlo.” “Ma dimmi papà” mi trovai ad insistere, “cosa crede che mi stia succedendo?” “Niente; non devi ammorbarmi di domande,” rispose, con più irritazione di quanta non ne avesse mai dimostrata in precedenza; e scorgendo che avevo l'aria ferita, immagino, mi baciò, e aggiunse, “Saprai tutto in un giorno o due; cioè, tutto quello che so io. Intanto non devi preoccupartene. Si voltò e lasciò la stanza, ma rientrò prima che potessi finire di stupirmi e meravigliarmi della stranezza della situazione; fu solamente per dire che si recava a Karnstein, e di aver ordinato di preparare la carrozza per le dodici, in modo che io e Madame potessimo accompagnarlo; aveva intenzione di recarsi dal prete che viveva vicino a quei terreni pittoreschi, per discutere di una questione, e poiché Carmilla non aveva mai visto quei luoghi, poteva seguirci, una volta scesa, con Mademoiselle, che avrebbe portato l'occorrente per quel che si definisce un pic-nic, da organizzare per noi vicino al castello in rovina. Alle dodici in punto, quindi, ero pronta, e dopo non molto mio padre, Madame ed io partimmo per il nostro viaggio programmato. 68 Passando il ponte levatoio volgemmo a destra, seguendo la strada oltre il ripido ponte gotico, verso ovest, per raggiungere il villaggio abbandonato e le rovine del castello di Karnstein. Non si può immaginare una cavalcata silvestre più bella. Il terreno si movimenta in gentili colline e discese, tutte abbigliate di splendidi boschi, completamente privi dell'assetto formale imposto dalla coltura artificiale, da un'immediata attenzione dell'uomo e dalla potatura. Le irregolarità del terreno spesso conducevano la strada a deviazioni, portandola a snodarsi magnificamente intorno ai fianchi di pendii scoscesi e dei versanti più ripidi delle colline, percorrendo una varietà quasi infinita di tipologie di terreno. Svoltando in uno di questi punti, incontrammo improvvisamente il nostro vecchio amico, il Generale, che cavalcava verso di noi, con la scorta di un servitore a cavallo. Il suo seguito muoveva dietro di lui su un vagone preso in affitto, ovvero un carro. Il Generale smontò da cavallo mentre accostavamo, e, dopo i consueti saluti, fu facilmente persuaso ad accettare il sedile vacante nella carrozza ed inviare il suo cavallo allo schloss insieme al suo servitore. 69 X In lutto Erano passati circa dieci mesi da quando l'avevamo visto l'ultima volta: ma il tempo trascorso si era rivelato sufficiente a portare un cambiamento di anni nel suo aspetto. Era dimagrito; una certa tetraggine ed ansia avevano preso il posto della cordiale serenità che generalmente caratterizzava i suoi tratti. I suoi occhi di un azzurro scuro, penetranti come sempre, luccicavano ora di una luce più severa da sotto le sopracciglia grigie ed arruffate. Non era un cambiamento come quello solitamente indotto semplicemente dal dolore, e passioni più rabbiose sembravano aver contribuito al mutamento. Avevamo da poco ripreso il nostro cammino, quando il Generale incominciò il suo discorso, con la sua solita schiettezza militare, sulla luttuosa perdita, come la chiamò, che aveva sostenuto con la morte della sua adorata nipote e pupilla; e scoppiò poi a parlare in un tono di intensa amarezza e furia, inveendo contro le “arti infernali” delle quali era caduta vittima, ed esprimendo, con più esasperazione che devozione, il suo stupore che il Cielo tollerasse una così mostruosa manifestazione degli appetiti e della malignità dell'inferno. Mio padre, che si rese subito conto che qualcosa di sicuramente straordinario era accaduto, gli chiese, se non era troppo doloroso per lui, di raccontare le circostanze che a suo avviso giustificavano i termini forti con cui si era espresso. “Ti racconterei tutto con piacere,” disse il Generale, “ma non mi crederesti.” “Perché non dovrei?” chiese. “Perché” rispose piccato, “non credi in nulla se non in quanto 70 risulta coerente con i tuoi pregiudizi e le tue illusioni. Ricordo un tempo in cui ero come te, ma ho imparato la lezione.” “Mettimi alla prova,” disse mio padre; “non sono così dogmatico come puoi pensare. Senza contare che so molto bene che generalmente richiedi una prova a quanto credi, e sono, perciò, fortemente incline a rispettare le tue conclusioni.” “Hai ragione nell'immaginare che non sono stato indotto con leggerezza a credere nel meraviglioso – perché ciò che ho sperimentato è meraviglioso – e sono stato forzato da un'evidenza straordinaria a dar credito a quanto risultava diametralmente opposto a tutte le mie teorie. Sono stato lo zimbello di una cospirazione soprannaturale.” Nonostante le sue dichiarazioni di fiducia nell'acume del Generale, vidi mio padre, a questo punto, osservare di sfuggita il Generale con, così pensai, una netta messa in discussione della sua sanità mentale. Fortunatamente, il Generale non se ne accorse. Osservava tetramente e con curiosità le radure ed il panorama del bosco che si apriva di fronte a noi. “Vi state recando alle Rovine di Karnstein?” disse. “Si, è una coincidenza fortunata; sapete che avevo intenzione di chiedervi di portarmi lì per ispezionarle? Ho uno scopo particolare in questa esplorazione. C'è una cappella in rovina, non è così, con molte tombe di quella famiglia ormai estinta?” “Si, ci sono – e molto interessanti,” aggiunse mio padre. “Spero che tu stia pensando di reclamare il titolo ed i terreni?” Mio padre aveva parlato con allegria, ma il Generale non raccolse la risata, senza neanche produrre il sorriso che la cortesia prevede allo scherzo di un amico; al contrario, il suo 71 aspetto appariva grave e persino feroce, mentre rimuginava su quanto aveva scatenato la sua rabbia ed il suo orrore. “Qualcosa di molto diverso,” disse in modo burbero. “Intendo disseppellire alcune di quelle brave persone. Spero, per grazia di Dio, di compiere un pio sacrilegio in questo posto, in modo da liberare la nostra terra da determinati mostri, e permettere alle persone oneste di dormire nei loro letti senza essere assaliti da assassini. Ho strane cose da riferirti, mio caro amico, cose che io stesso avrei segnalato come incredibili anche solo pochi mesi fa.” Mio padre lo guardò di nuovo, ma questa volta non con un accenno di sospetto – piuttosto, con un occhio di acuta comprensione e di allarme. “La casa di Karnstein,” disse “è estinta da lungo tempo: almeno cento anni. La mia cara moglie discendeva per via materna dai Karnstein. Ma il nome ed il titolo hanno cessato di esistere da molto tempo. Il castello è una rovina; persino il villaggio è abbandonato; saranno passati cinquanta anni da quando fu visto in quella zona il fumo di camino; nessun tetto è rimasto.” “Piuttosto vero. Ne ho molto sentito parlare da quando ci siamo visti per l'ultima volta; ho ricevuto una mole di informazioni che vi stupirà. Ma farò bene a raccontare ogni cosa nell'ordine in cui avvenne,” disse il Generale. “Hai conosciuto la mia cara pupilla – la mia bambina, potrei definirla. Nessuna creatura avrebbe potuto essere più bella, e più in salute, soli tre mesi fa.” “Si, poverina! Quando la vidi l'ultima volta era certamente davvero incantevole,” disse mio padre “rimasi addolorato e sconvolto più di quanto non possa riferirti, mio caro amico; so che colpo che deve essere stato per te.” 72 Prese la mano del Generale, e si scambiarono una stretta gentile. Si formarono lacrime negli occhi del vecchio soldato, ed egli non cercò di nasconderle. Piuttosto disse: “Siamo amici di vecchia data; sapevo che avresti percepito il mio dolore, per quanto io sia senza figli. Lei era diventato l'oggetto di un affetto molto caro, e ripagava la mia cura con un sentimento che rallegrava la mia casa e rendeva felice la mia vita. Tutto ciò è andato. Potrebbero non essere molti gli anni che mi rimangono sulla terra; ma per la misericordia di Dio spero di rendere un servizio all'umanità prima di morire, e portare la vendetta del Cielo sui demoni che hanno assassinato la mia povera bambina nella primavera delle sue speranze e della sua bellezza!” “Dicevi, or ora, che era tua intenzione raccontare ogni cosa come avvenne,” disse mio padre. “Ti prego, prosegui; posso assicurarti che non è la mera curiosità a spingermi.” Ormai avevamo raggiunto il punto in cui la strada per Drunstall, dalla quale era sopraggiunto il Generale, devia dalla strada che stavamo percorrendo per Karnstein. “Quanto distano le rovine?” chiese il Generale, sporgendosi ansiosamente in avanti. “Circa mezza lega,” rispose mio padre. “Ma ora ti prego, sentiamo il racconto che ci hai così gentilmente promesso.” 73 XI Il racconto “Con tutto il mio cuore” disse il Generale, con uno sforzo; e dopo una breve pausa per ordinare gli avvenimenti, iniziò uno dei racconti più strani che io abbia mai sentito. “La mia cara bambina aspettava con molto piacere la visita che eravate stati così gentili da organizzare per lei in compagnia della tua affascinante figlia.” Qui mi rivolse un galante ma malinconico inchino. “Nel frattempo avevamo ricevuto un invito dal mio vecchio amico il Conte Carlsfeld, il cui schloss si trova a meno di sei leghe dall'altro lato di Karnstein. Si trattava di partecipare ad una serie di feste che, come ricorderai, erano state organizzate in onore del suo illustre ospite, il Granduca Carlo.” “Si; e furono invero, credo, davvero splendide,” disse mio padre. “Principesche! Ma del resto i suoi ospiti erano invero regali. Possiede la lampada di Aladino. La notte in cui ebbe inizio il mio calvario era dedicata ad una magnifica festa in maschera. Il parco era stato aperto, gli alberi addobbati con lampade colorate. Vi era un tale sfoggio di fuochi d'artificio da far impallidire la stessa Parigi. E la musica – la musica che, come sai, è la mia debolezza – così incantevole! La migliore orchestra strumentale del mondo, forse, ed i migliori cantanti reclutati da tutti i teatri dell'opera più illustri d'Europa. Nel vagare per i terreni illuminati in maniera così fiabesca, con il castello investito dalla luce della luna che splendeva di luce rosata dalle sue lunghe file di finestre, si sentivano all'improvviso quelle voci incantevoli emergere dal silenzio di un boschetto, o alzarsi dalle barche del lago. Mi sentivo, 74 mentre osservavo ed ascoltavo, trasportato indietro in un racconto o in una poesia della mia prima giovinezza. Quando terminarono i fuochi, e stava iniziando il ballo, tornammo nella nobile serie di stanze dedicate alle danze. Un ballo in maschera, come sai, è una vista splendida; ma mai avevo scorto un così brillante spettacolo di quel tipo. Si trattava di un consesso molto aristocratico. Personalmente, ero l'unico 'signor nessuno' presente. La mia cara bambina era bellissima. Non indossava una maschera. La sua emozione e la sua gioia aggiungevano alle sue fattezze, sempre deliziose, un fascino ineffabile. Notai una giovane dama, magnificamente abbigliata, ma recante una maschera, che mi sembrò osservare la mia pupilla con interesse straordinario. L'avevo vista in precedenza, quella sera, nel salone, e nuovamente, per qualche minuto, camminare accanto a noi, sul terrazzo sotto le finestre del castello, similmente impegnata. Una dama, sempre in maschera, vestita riccamente e severamente, e dall'aspetto imponente, da persona di rango, la accompagnava come chaperon. Se la damigella non avesse indossato una maschera, avrei potuto, ovviamente, essere molto più sicuro riguardo al fatto che stesse realmente osservando la mia povera cara. Ora sono ben certo di ciò. Ci trovavamo ora in una delle sale. La mia povera bambina aveva danzato, e si stava ora riposando un poco in una delle sedie vicine alla porta; io mi trovavo lì accanto. Le due signore di cui ho parlato si erano avvicinate e la più giovane aveva occupato la sedia accanto alla mia pupilla; mentre la sua accompagnatrice si avvicinò a me, parlando per un breve tempo, a bassa voce, con la sua protetta. Avvalendosi del privilegio della maschera, si voltò verso di me, 75 e parlando come una vecchia conoscenza, e chiamandomi per nome, iniziò una conversazione con me, che sollecitò di gran lungs la mia curiosità. Fece riferimento a molte circostanze in cui mi aveva incontrato – a corte, e presso case illustri, facendo allusioni a piccoli avvenimenti ai quali avevo cessato di pensare da molto tempo, ma che, trovai, giacevano semplicemente in sospeso nella mia memoria, poiché ripresero istantaneamente vita al suo tocco. “Divenni sempre più curioso di scoprire chi fosse, con ogni momento che passava. Parava i miei tentativi di scoperta molto abilmente e con garbo. La conoscenza che dimostrava di molti passaggi della mia vita mi sembrava praticamente inspiegabile; e sembrava trarre un piacere non innaturale nel frustrare la mia curiosità, e nel vedere come mi dibattevo nella mia ansiosa perplessità, fra una congettura e l'altra. Intanto la dama più giovane, che la madre aveva chiamato con lo strano nome di Millarca, quando si era rivolta una o due volte a lei, aveva iniziato con la medesima facilità e grazia una conversazione con la mia pupilla. Si era presentata dicendo che sua madre era una mia conoscenza molto antica. Parlava della piacevole audacia che una maschera rendeva praticabile; parlava come un'amica; ammirava il suo vestito, ed insinuava molto graziosamente la sua ammirazione per la sua bellezza. La divertiva con ridenti critiche sulle persone che affollavano la sala da ballo, e rideva del divertimento della mia povera bambina. Era molto arguta e vivace quando voleva, e dopo poco erano diventate buone amiche, e la giovane sconosciuta abbassò la sua maschera, mostrando un volto straordinariamente bello. Non l'avevo mai visto prima, e nemmeno la mia cara bambina. Ma per quanto ci fosse nuovo, le fattezze erano così coinvolgenti, oltre ad essere deliziose, che era impossibile non sentire una potente attrazione. Così accadde alla mia povera ragazza. Non ho mai 76 visto nessuno più preso da un altro a prima vista, a meno che, invero, non fosse la sconosciuta in persona, che sembrava proprio aver perso a sua volta il cuore per lei. Intanto, avvalendomi della licenza di un ballo in maschera, ponevo ora non poche domande alla dama più anziana. 'Mi avete del tutto confuso,' dissi, ridendo. 'Non è forse sufficiente? Non acconsentirete, ora, ad affrontarci ad armi pari, e farmi la cortesia di rimuovere la vostra maschera?' 'Può esserci richiesta più irragionevole?' rispose, 'Chiedere ad una dama di cedere un vantaggio! Oltretutto, come sapete che mi riconoscereste? Gli anni portano cambiamenti.' 'Come vedete' dissi, con un inchino, e, immagino, una risatina piuttosto malinconica. 'Come ci dicono i filosofi' disse; 'e come sapete che un'occhiata al mio volto vi aiuterebbe?' 'Su questo, correrò il rischio' risposi. 'E' inutile che tentiate di raffigurarvi come una donna anziana; la vostra linea vi tradisce.' 'Ciononostante, gli anni sono trascorsi da quando vi ho visto, o meglio da quando voi vedeste me, poiché questo è quanto sto considerando. Millarca, laggiù, è mia figlia; perciò non posso essere così giovane, anche nell'opinione di persone cui il tempo ha insegnato ad essere indulgenti, ed a me potrebbe non piacere l'esser paragonata a come mi ricordate. Voi non avete maschera da rimuovere. Non potete offrirmi nulla in cambio.' 'La mia richiesta è alla vostra pietà, di rimuoverla.' 'E la mia alla vostra, di lasciarla dove si trova,' rispose. 'Bene, allora, almeno mi direte se siete francese o tedesca; 77 parlate entrambe le lingue alla perfezione.' 'Non credo che ve lo dirò, Generale; avete intenzione di sferrare un attacco a sorpresa, e state considerando il punto dal quale attaccare.' 'In ogni caso, non negherete questo,' dissi 'che essendo onorato dal vostro consenso alla conversazione, dovrei sapere come rivolgermi a voi. Dovrò dire Madame la Comtesse?' Rise, e senza dubbio mi avrebbe risposto con un'altra risposta evasiva – se, invero, posso pensare che potesse essere modificata da una contingenza, qualsiasi piega di una conversazione che come io ora credo, era stata arrangiata da tempo con l'astuzia più profonda. 'Riguardo a ciò iniziò; ma fu interrotta, quasi mentre schiudeva le labbra, da un gentiluomo vestito di nero, dall'aspetto particolarmente elegante e distinto, con questo inconveniente, che il suo volto era del pallore più mortale che avessi mai visto, se non nella morte. Non indossava una maschera – solo un semplice vestito da sera da gentiluomo; e disse, senza un sorriso, ma con un inchino cortese ed insolitamente profondo 'Mi permetterà Madame la Comtesse di pronunciare poche parole che potrebbero interessarla?' La dama si voltò rapidamente verso di lui, e si toccò il labbro in un gesto di silenzio; poi mi disse, 'Tenetemi il posto, Generale; ritornerò quando avrò scambiato qualche parola.' E con questo ordine, scherzosamente impartito, si allontanò un poco con il gentiluomo in nero, e parlò per alcuni minuti, apparentemente con molta ansia. Si allontanarono poi lentamente insieme tra la folla, e li persi di vista per alcuni minuti. Trascorsi l'intervallo randellandomi il cervello per una 78 congettura riguardo all'identità della dama che sembrava ricordarmi con tanta gentilezza, ed ero sul punto di voltarmi per unirmi alla conversazione tra la mia graziosa pupilla e la figlia della Contessa, meditando se, per il momento del suo ritorno, non potessi avere una sorpresa in serbo per lei, avendo il suo nome, titolo, castello e terreni sulla punta delle mie dita. Ma in quell'istante fece ritorno, accompagnata dal pallido uomo in nero, che disse: 'Ritornerò per informare Madame la Comtesse quando la sua carrozza sarà alla porta.' E si ritirò con un inchino.” 79 XII Una richiesta “'E quindi perderemo Madame la Comtesse, ma spero solo per qualche ora,' dissi, con un profondo inchino. 'Potrebbe essere solo così, o potrebbero essere settimane. Il suo avermi parlato come ha fatto poco fa è stato molto infausto. Ora sapete chi sono?' Le assicurai di no. 'Lo saprete,' disse, 'ma non ora. Siamo amici più antichi e stretti di quanto, forse, voi sospettiate. Ancora non posso dichiararmi. Tra tre settimane passerò nel vostro bellissimo schloss, sul quale ho fatto alcune ricerche. A quel punto vi farò visita per un'ora o due, per rinnovare un'amicizia che non ricordo mai se non con mille ricordi piacevoli. In questo momento una notizia mi ha raggiunto come un fulmine. Devo partire adesso, e percorrere una strada tortuosa, quasi cento miglia in lunghezza, con tutta la prontezza che riesco a racimolare. I miei dubbi si moltiplicano. Ho come unico deterrente l'obbligatorio riserbo che pratico nei confronti del mio nome, dal farvi una richiesta molto singolare. La mia povera bambina non ha ancora recuperato del tutto le forze. E' caduta insieme al suo cavallo, durante una battuta di caccia cui assisteva, ed i suoi nervi non si sono ancora ripresi del tutto dal colpo, ed il nostro medico sostiene che non deve assolutamente sforzarsi per un po' di tempo a venire. Siamo arrivati qui, pertanto, facendo tappe molto semplici – appena sei leghe al giorno. Ora invece io ho bisogno di viaggiare giorno e notte, in una missione di vita o di morte – una missione la cui natura cruciale e di enorme importanza sarò in grado di spiegarvi quando ci incontreremo, come spero, tra poche settimane, senza la necessità di alcuna 80 dissimulazione.' Proseguì con la sua supplica, e fu con il tono di una persona che considera di conferire un onore, e non chiedere un favore, con la propria richiesta. Tutto ciò solo nella forma, e, come sembrava, piuttosto inavvertitamente. Nulla avrebbe potuto essere più umile dei termini in cui fui espressa la richiesta. Era semplicemente che io acconsentissi ad occuparmi della figlia durante la sua assenza. Ciò era, tutto considerato, una richiesta strana, per non dire audace. In qualche modo mi disarmò, asserendo ed ammettendo tutte le motivazioni che esortavano a non prendere una simile decisione, ed affidandosi completamente alla mia cavalleria. Nello stesso istante, per una fatalità che sembra aver predeterminato tutto ciò che accadde, la mia povera bambina si avvicinò al mio fianco, e, sottovoce, mi pregò di invitare la sua nuova amica, Millarca, a farci visita. L'aveva appena sondata, e pensava che, se la madre lo avesse permesso, sarebbe stata molto contenta. In un altro momento le avrei detto di aspettare un po', fino a quando, almeno, non avremmo saputo chi fossero. Ma non ebbi un attimo per pensare. Le due signore mi assalirono insieme, e devo confessare che il volto raffinato e bellissimo della giovane dama, intorno alla quale aleggiava qualcosa di estremamente coinvolgente, oltre all'eleganza ed al fuoco di alti natali, mi condizionarono; e piuttosto sopraffatto, mi arresi, e mi impegnai, con troppa facilità, nella tutela della damigella, che la madre chiamava Millarca. La Contessa chiamò con un gesto la figlia, che ascoltò con grave attenzione mentre le riferiva, in termini generici, come era stata richiamata all'improvviso e perentoriamente, e anche dell'accordo che aveva stipulato per lei sotto la mia tutela, 81 aggiungendo che io ero uno dei suoi primi e più stimati amici. Io, ovviamente, feci i discorsi che la situazione richiedeva, e mi ritrovai, riflettendoci, in una posizione che non mi piaceva affatto. Il gentiluomo in nero aveva fatto ritorno, e molto cerimoniosamente condusse via con sé la dama dalla sala. Il contegno di questo gentiluomo fu tale da infondermi la convinzione che la Contessa fosse una dama dall'importanza superiore a quella che il suo modesto titolo poteva indurmi a considerare. Il suo ultimo affidamento per me fu che prima del suo ritorno non doveva essere fatto alcun tentativo di apprendere su di lei più di quanto non potessi aver già indovinato. Il nostro illustre ospite, che aveva invitato anche lei, come noi, per la festa, era a conoscenza delle sue ragioni. 'Ma in questo luogo,” disse 'né io né mia figlia potremmo restare al sicuro per più di un giorno. Per un istante ho imprudentemente sollevato la mia maschera, circa un'ora fa, e, troppo tardi, mi sembrò che mi aveste visto. Così decisi di cercare un modo per parlare un po' con voi. Qualora avessi scoperto che mi avevate visto, mi sarei affidata al vostro alto senso dell'onore per mantenere il mio segreto per qualche settimana. Ma come invece è, sono soddisfatta che non mi abbiate visto; ma se ora sospettate, o, dopo una riflessione, doveste sospettare chi io sia, mi affido similmente e del tutto al vostro onore. Mia figlia osserverà la stessa segretezza, e so bene che voi, di tanto in tanto, gliela ricorderete, dovesse abbandonarla senza pensarci.' Sussurrò qualche parola alla figlia, la baciò frettolosamente due volte, e se ne andò, accompagnata dal pallido gentiluomo in nero, e scomparve nella folla. 82 'Nella stanza accanto,' disse Millarca, 'si trova una finestra che guarda sulla porta dell'ingresso. Mi piacerebbe seguire mamma con lo sguardo, e lanciarle un bacio con la mano.' Assentimmo, ovviamente, e la accompagnammo alla finestra. Guardammo fuori, e vedemmo una bella carrozza antiquata, con un battaglione di corrieri e valletti. Scorgemmo la figura magra del pallido gentiluomo in nero, mentre sorreggeva uno spesso mantello di velluto e lo poneva sulle spalle della dama, tirando il cappuccio sulla sua testa. Lei gli annuì, sfiorandogli la mano con la sua. Lui si inchinò profondamente e ripetutamente mentre la porta si chiudeva, e la carrozza cominciò a muoversi. 'Se ne è andata,” disse Millarca, con un sospiro. 'Se ne è andata,' mi ripetei, per la prima volta – nei frettolosi momenti trascorsi da quando avevo acconsentito – riflettendo sulla follia del mio gesto. 'Non ha guardato lamentosamente. verso l'alto,' disse la damigella, 'Forse la Contessa si era tolta la maschera, e non desiderava mostrare il volto' dissi; 'e non poteva sapere che vi trovavate alla finestra.' Lei sospirò e mi guardò in faccia. Era così bella che venni a più miti consigli. Mi dispiacque di essermi pentito per un istante della mia ospitalità, e mi promisi di fare ammenda con lei per l'inconfessata scortesia della mia accoglienza. La damigella, riponendo la maschera, si unì alla mia pupilla nel persuadermi a tornare nel parco, dove il concerto sarebbe presto ripreso. Così facemmo, e passeggiamo su e giù per il terrazzo che si trova sotto le finestre del castello. Millarca prese molta confidenza con noi, e ci divertì con vivaci 83 descrizioni di racconti sulla maggior parte delle persone illustri che vedevamo sul terrazzo. Mi piaceva sempre di più ogni minuto che passava. I suoi pettegolezzi, mai di natura malevola, erano estremamente divertenti per me che avevo vissuto così a lungo al di fuori della società. Pensavo a quale vitalità avrebbe potuto portare nelle nostre serate a casa, spesso solitarie. Il ballo non terminò prima che il sole del mattino avesse quasi raggiunto l'orizzonte. Piaceva al Granduca danzare fino a quell'ora, e quindi le persone fedeli non potevano andarsene, o pensare al giaciglio. Avevamo appena attraversato una sala affollata, quando la mia pupille mi chiese cosa ne fosse stato di Millarca. Avevo pensato che si trovasse al suo fianco, e lei aveva immaginato che fosse al mio. Il fatto era, l'avevamo persa. Tutti i miei sforzi per trovarla furono vani. Temevo che avesse confuso, nella confusione di una momentanea separazione da noi, altre persone con i suoi nuovi amici, ed avesse, forse, seguito e perso loro negli estesi terreni che erano stati aperti per la festa. Ora, con tutta la sua intensità, riconobbi una nuova forma di follia nell'essermi impegnato nella tutela di una damigella senza conoscere neanche il suo nome; ed incatenato come ero da promesse, imposte per ragioni delle quali non sapevo nulla, non potevo nemmeno indirizzare le mie ricerche affermando che la damigella scomparsa era la figlia della Contessa che era partita poche ore innanzi. Arrivò il mattino. Era giorno pieno quando abbandonai la mia ricerca. Non fu prima delle due del giorno seguente che avemmo notizie della mia protetta scomparsa. Intorno a quell'ora un servitore bussò alla porta di mia nipote, 84 per dire di essere stato ansiosamente sollecitato da una damigella, che appariva afflitta da una profonda angoscia, a rivelare dove avrebbe potuto trovare il Generale e Barone Spielsdorf e la signorina sua figlia, ai quali era stata affidata da sua madre. Non potevano esserci dubbi che, nonostante la lieve inesattezza, la nostra giovane amica si era fatta viva; e così era. Avesse voluto il cielo che l'avessimo persa! Raccontò alla mia povera bambina una storia che spiegasse per quale motivo non fosse riuscita a ritrovarci per così tanto tempo. Molto tardi, disse, era entrata nella stanza da letto della governante, disperando di trovarci, ed era quindi caduta in un sonno profondo che, per quanto lungo, era stato appena sufficiente a rimetterla in piedi dopo le fatiche del ballo. Quel giorno Millarca venne a casa con noi. Ero più che contento, dopo tutto, di aver assicurato alla mia cara ragazza una compagnia così affascinante. 85 XIII Il boscaiolo Tuttavia, apparvero presto degli inconvenienti. In primo luogo, Millarca lamentava un estremo languore – la debolezza residua della sua recente malattia – e non emergeva mai dalla sua stanza prima che il pomeriggio fosse piuttosto inoltrato. In secondo luogo, si scoprì accidentalmente, nonostante chiudesse sempre a chiave la porta della sua stanza dall'interno, e non disturbasse mai la chiave dal suo posto fino a quando non consentiva alla cameriera di assisterla durante la sua toeletta, che a volte era indubbiamente assente dalla sua stanza molto presto al mattino, ed in diversi momenti seguenti della giornata, prima che desiderasse che si sapesse che si stava svegliando. Fu ripetutamente vista dalle finestre dello schloss, nel primo tenue grigiore del mattino, mentre camminava tra gli alberi, rivolta verso est, con l'aspetto di una persona in trance. Questo mi convinse che fosse sonnambula. Ma questa ipotesi non risolveva l'enigma. Come usciva dalla stanza, lasciando la porta chiusa dall'interno? Come evadeva dalla casa senza aprire porte o finestre? Nel mezzo delle mie perplessità, si presentò un'ansia dalla natura ben più urgente. La mia povera bambina cominciò a perdere il suo aspetto e la sua salute, ed in quella maniera così misteriosa, e persino orribile, che divenni profondamente spaventato. Fu in primo luogo visitata da sogni sconvolgenti; poi, come le sembrava, da uno spettro, a volte simile a Millarca, a volte della forma di una bestia, vista indistintamente, che camminava intorno ai piedi del letto, da un lato all'altro. Infine arrivarono le sensazioni. Una, non sgradevole, ma molto 86 strana, disse, ricordava il flusso di un ruscello gelido che scorresse accanto al suo petto. Più avanti, sentiva di essere perforata, poco sotto alla gola, da qualcosa di simile a due grandi aghi, con un dolore molto acuto. Poche notti dopo, seguì un graduale e convulso senso di soffocamento; poi sopravveniva uno svenimento.” Riuscivo a sentire distintamente ogni parola pronunciata dal vecchio Generale gentile, perché a questo punto stavamo viaggiando sulla corta erbetta che si estende su entrambi i lati della strada, mentre ci si avvicina al villaggio senza tetti che non aveva dato segni del fumo di un camino da più di mezzo secolo. Potrete indovinare come mi sentissi strana nel sentire i miei stessi sintomi descritti in maniera così esatta in quelli che erano stati sperimentati dalla povera ragazza che, se non fosse stato per la catastrofe sopraggiunta, sarebbe stata in quel momento ospite presso il castello di mio padre. Potrete anche supporre come mi sentissi nel sentire il Generale descrivere dettagliatamente le abitudini e misteriose peculiarità che erano, di fatto, le stesse della nostra bellissima ospite, Carmilla! Si aprì uno scenario nella foresta; eravamo all'improvviso sotto ai camini ed ai frontoni del villaggio in rovina, e da una leggera altura incombevano le torri ed i parapetti del castello diroccato, intorno al quale si raccolgono alberi giganteschi. In un sogno spaventato scesi dalla carrozza, ed in silenzio, perché avevamo molte cose cui pensare; presto montammo a cavallo per la salita, e ci trovammo nelle spaziose camere, sulle scale tortuose e per gli oscuri corridoi del castello. “E questa era un tempo la sontuosa residenza dei Karnstein!” disse il vecchio Generale dopo un po', mentre guardava in direzione del villaggio da una grande finestra, scorgendo l'ampia e ondulata distesa della foresta. “Era una famiglia 87 malvagia, e qui furono scritti i loro annali macchiati di sangue,” continuò. “E' pesante che debbano, dopo la morte, continuare ad affliggere la razza umana con i loro atroci appetiti. Quella è la cappella dei Karnstein, laggiù.” Indicò verso il basso i muri grigi di una costruzione gotica parzialmente visibile attraverso il fogliame, poco oltre la salita. “E sento l'ascia di un boscaiolo,” aggiunse, “a lavoro tra gli alberi che la circondano; egli forse potrà darci le informazioni che sto ricercando, ed indicare la tomba di Mircalla, Contessa di Karnstein. Questi villici mantengono le tradizioni locali delle grande famiglie, le cui storie muoiono tra i ricchi ed i nobili non appena le famiglie stesse si estinguono.” “Abbiamo un quadro, a casa, di Mircalla, la Contessa Karnstein; vorresti vederlo?” chiese mio padre. “A tempo debito, mio caro amico,” rispose il Generale. “Credo di aver visto l'originale; ed una motivazione che mi ha spinto da te prima di quanto non intendessi in primo luogo, è di esplorare la cappella alla quale ci stiamo ora avvicinando.” “Cosa! Vedere la Contessa Mircalla,” esclamò mio padre; “perché, è morta da più di un secolo!” “Non così morta come credi, mi dicono” rispose il Generale. “Ti confesso, Generale, che mi confondi completamente” replicò mio padre, guardandolo, mi sembrò, per un istante con un ritorno del sospetto che avevo individuato in precedenza. Ma per quanto vi fosse rabbia ed a volte odio, nel comportamento del Generale, non vi era nulla di incostante. “Non mi resta,” disse, mentre passavamo sotto il pesante arco della chiesa gotica – perché le dimensioni avrebbero giustificato il suo stile - “che uno scopo che possa interessarmi nei pochi anni che mi restano sulla terra, e ciò è per portare su di lei la vendetta che, grazie a Dio, può ancora essere compiuta 88 da un braccio mortale.” “Che vendetta puoi intendere?” chiese mio padre, con stupore crescente. “Intendo, decapitare il mostro,” rispose, arrossendo ferocemente e con un battito del piede sul terreno che echeggiò lugubremente per la vuota rovina, con il pugno, quel momento sollevato, chiuso come se afferrasse in manico di un'ascia, mentre lo scuoteva con ferocia. “Cosa?” esclamò mio padre, più sconcertato che mai. “Staccarle la testa.” “Tagliarle la testa!” “Si, con un'accetta, un badile, o qualsiasi cosa che possa passare attraverso la sua gola assassina. Sentirete,” rispose, tremante di rabbia. E correndo avanti disse: “Quella trave andrà bene come sedile; la tua cara bambina è affaticata; lascia che si sieda, ed io, con poche frasi, chiuderò il mio terribile racconto.” Un blocco di legno squadrato, che giaceva sul pavimento ricoperto d'erba della cappella, formava una panca sulla quale fui molto lieta di sedermi, mentre il Generale chiamava il boscaiolo, che stava rimuovendo alcuni rami che si appoggiavano alle vecchie mura; e, ascia alla mano, il resistente vecchio ci raggiunse. Non sapeva dirci nulla dei monumenti; ma c'era un vecchio, disse, un guardiacaccia di questa foresta, che in questo momento risiedeva nella casa del prete, a circa due miglia di distanza, in grado di indicare qualsiasi monumento della vecchia famiglia Karnstein; e, in cambio di un'inezia, si impegnò a riportarlo indietro con sé, se gli avessimo prestato uno dei nostri cavalli, in meno di mezz'ora. 89 “Per quanto tempo avete lavorato in questa foresta?” chiese mio padre al vecchio. “Sono stato boscaiolo qui” rispose nel suo provenzale, “sotto la guardia forestale, tutta la vita; così mio padre prima di me, e così per tutte le generazioni cui posso risalire. Potrei mostrarvi la casa precisa in cui i miei antenati vivevano qui.” “Come avvenne che il villaggio venisse abbandonato?”rispose il Generale. “Era infestato dai revenants, signore; molti sono stati rintracciati fin nelle loro tombe, riconosciuti dai consueti esami, ed estinti nel modo usuale, con la decapitazione, con un paletto, o con il fuoco; ma non prima che molti abitanti del villaggio fossero stati uccisi. Ma dopo tutti questi procedimenti secondo la legge,” continuò, - “nonostante così tante tombe aperte, ed un numero tale di vampiri privato della loro orribile animazione – il villaggio non ebbe pace. Ma un nobile della Moravia, di passaggio da queste parti, sentita la situazione, ed essendo esperto – come molti nella sua terra – di simili questioni, si offrì di liberare il villaggio dal suo tormentatore. Fece così: poiché c'era una luna brillante quella notte, salì, poco dopo il tramonto, sulle torri della cappella laggiù, da dove poteva vedere distintamente il cimitero sotto di lui; potete vederlo da quella finestra. Da quel punto rimase in osservazione finché non vide il vampiro uscire dalla sua tomba, e piazzare lì accanto le lenzuola di lino in cui era stato sepolto, e poi scivolare via verso il villaggio per tormentare i suoi abitanti. Lo straniero, avendo visto tutto ciò, discese dal campanile, prese le lenzuola di lino del vampiro, e le portò in cima alla torre, sulla quale salì nuovamente. Quando il vampiro fece ritorno dalle sue incursioni e notò la mancanza delle sue lenzuola, urlò ferocemente all'indirizzo del Moravo, che vide 90 sulla sommità della torre e che, in risposta, gli fece segno di salire a prenderle. Motivo per cui il vampiro, accettando la sua sfida, cominciò ad arrampicarsi su per il campanile; ma non appena ebbe raggiunto i parapetti, il Moravo, con un colpo di spada, gli spaccò il suo cranio in due, scagliandolo giù nel cimitero dove, scendendo per le scale tortuose, il forestiero lo seguì e gli tagliò la testa, per consegnarla il giorno dopo insieme al corpo agli abitanti del villaggio, che lo impalarono e bruciarono come indicato. Questo nobile Moravo vanne autorizzato dal capofamiglia dell'epoca a rimuovere la tomba di Mircalla, Contessa di Karnstein, cosa che egli fece con successo, e così in poco tempo la sua locazione fu quasi dimenticata. “Potreste indicare dove si trovava?”chiese il Generale, ansiosamente. Il boscaiolo scosse la testa, e sorrise. “Non c'è anima vivente che potrebbe dirvelo, ora,” disse; “inoltre, dicono che il suo corpo è stato spostato; ma nessuno è sicuro neanche di questo.” Avendo parlato così, poiché il tempo stringeva, lasciò la sua ascia e partì, lasciandoci ad ascoltare ciò che restava dello strano racconto del Generale. 91 XIV L'incontro “La mia cara bambina,” continuò, “ormai peggiorava di giorno in giorno. Il medico che la seguiva aveva fallito nell'ottenere un qualsiasi effetto sulla sua malattia, perché all'epoca tale consideravo il suo male. Si rese conto della mia preoccupazione, e suggerì un consulto. Convocai per lei un medico più esperto, da Gratz. Passarono diversi giorni prima che arrivasse. Era buono e devoto, oltre ad essere un uomo colto. Dopo aver visitato insieme la mia povera pupilla, si ritirarono nella mia biblioteca per parlare e discutere. Dalla stanza accanto, dove aspettavo di essere chiamato, sentivo i due gentiluomini che alzavano la voce in un tono più aspro di quanto si potesse aspettare da una discussione strettamente filosofica. Bussai alla porta ed entrai. Trovai l'anziano medico di Gratz che insisteva sulla sua teoria. Il suo rivale la contrastava con aperta derisione, accompagnata da scoppi di risa. Al mio ingresso questa incresciosa manifestazione cessò e l'alterco finì. 'Signore' disse il mio primo medico, 'il mio acculturato fratello sembra pensare che voi vogliate un mago, e non un dottore.' 'Perdonatemi,' disse l'anziano medico di Gratz, contrariato, 'Asserirò il mio punto di vista sul caso a modo mio in un altro momento. Mi rincresce, Monsieur le General, di non potervi aiutare con le mie abilità e con la mia scienza. Prima di andar via mi prenderò l'onore di darvi un suggerimento.' Apparve pensieroso, e si sedette ad un tavolo cominciando a scrivere. 92 Profondamente deluso, mi inchinai, e mentre mi voltavo per andarmene, l'altro medico indicò alle sue spalle il suo collega che stava scrivendo, e poi, con un'alzata di spalle, si toccò eloquentemente la fronte. Questa consultazione, dunque, mi lasciò precisamente al punto di partenza. Uscii nel parco, praticamente disperato. Il medico di Gratz mi raggiunse in dieci o quindici minuti. Si scusò di avermi seguito, ma disse di non poter partire in coscienza senza aver scambiato qualche parola in più. Mi disse che non poteva esserci errore; nessuna malattia naturale manifestava gli stessi sintomi; e che la morte era già molto vicina. Restavano, tuttavia, un giorno, forse due, di vita. Se si arrestava subito la crisi fatale, con grande attenzione e abilità avrebbe forse potuto riprendere le forze. Ma tutto ormai dipendeva dai confini del irrevocabile. Un altro assalto avrebbe potuto estinguere l'ultima scintilla di una vitalità che è, ogni momento, pronta a morire. 'E quale sarebbe la natura della crisi di cui parlate?' supplicai. 'Ho scritto tutto pienamente in questa nota, che metto nelle vostre mani con la precisa condizione che manderete a chiamare il prete più vicino, e aprirete la mia lettera in sua presenza, e per nessun motivo la leggerete fino a quando egli si troverà con voi; altrimenti la disprezzerete, ed è una questione di vita o di morte. Dovesse il prete deludervi, allora invero potrete leggerla.' Mi chiese, prima di congedarsi definitivamente, se era mio desiderio incontrare un uomo curiosamente erudito sulla precisa questione che, dopo aver letto la sua lettera, mi avrebbe probabilmente interessato più di ogni altra cosa, e mi esortò con ansia ad invitarlo a fargli visita; e così prese congedo. L'ecclesiastico non c'era, e quindi lessi da solo la lettera. In un altro momento, o in un'altra circostanza, avrebbe provocato la mia derisione. Ma in quali fandonie non si lancia la gente per 93 un'ultima possibilità, quando tutti i mezzi consueti hanno fallito, e la posta in gioco è la vita di una persona amata? Nulla, direte, poteva essere più assurdo della lettera di quell'uomo erudito. Era sufficientemente mostruosa da rinchiuderlo in manicomio. Diceva che la paziente soffriva delle visite di un vampiro! Le punture che aveva descritto di aver sentito presso la gola, erano, insisteva, l'inserimento dei due lunghi, sottili ed aguzzi denti che, come è noto, sono specifici di tutti i vampiri; e non poteva esserci alcun dubbio, aggiungeva, riguardo alla presenza ben chiara del piccolo segno livido che tutto concordava ad indicare come il segno delle labbra del demone, e ogni sintomo descritto dalla vittima era precisamente conforme a quelli descritti in ogni caso di simili apparizioni. Poiché personalmente ero del tutto scettico riguardo all'esistenza di un qualsiasi portento simile al vampiro, la teoria soprannaturale del buon dottore forniva, nella mia opinione, semplicemente un altro esempio di come la cultura e l'intelligenza possano associarsi in maniera bizzarra con le allucinazioni. Ero talmente disperato, tuttavia, che piuttosto che non tentar nulla, agii secondo le istruzioni della lettera. Mi nascosi nell'oscurità dello stanzino, che si apriva sulla stanza della povera paziente, dove bruciava una candela, e restai di guardia in quel luogo finché non si addormentò profondamente. Restai in piedi sulla porta, sbirciando attraverso una piccola fessura, la spada poggiata sul tavolo accanto a me, come descrivevano le mie istruzioni, finché, poco dopo l'una, non vidi un enorme oggetto nero, molto mal definito, strisciare, come mi sembrò, fino ai piedi del letto, per poi estendersi rapidamente fino alla gola della povera ragazza, dove si gonfiò, in un momento, in una grande massa palpitante. Per qualche istante ero rimasto impietrito. Ora scattai in avanti, 94 la spada in mano. La creatura nera si contrasse all'improvviso verso i piedi del letto, scivolando oltre, e in piedi sul pavimento appena una iarda oltre i piedi del letto, vidi Millarca, che mi guardava con uno sguardo acceso di furtiva ferocia e di orrore. Pensando non so cosa, la colpii istantaneamente con la spada; ma la vidi in piedi accanto alla porta, indenne. Orripilato, la seguii, e colpii nuovamente. Se ne era andata; e la mia spada volò in pezzi accanto alla porta. Non posso descriverti tutto quello che accadde quell'orribile notte. L'intera casa era in piedi ed in agitazione. Lo spettro di Millarca se ne era andato. Ma la sua vittima affondava in fretta, e prima che albeggiasse, morì.” Il vecchio Generale era agitato. Non gli parlammo. Mio padre si allontanò un poco, e cominciò a leggere le iscrizioni sulle lapidi; e così impegnato, passeggiò fino alla porta di una cappella laterale per continuare le sue ricerche. Il Generale si appoggiò ad un muro, si asciugò gli occhi, e sospirò profondamente. Fui sollevata dal sentire le voci di Carmilla e di Madame, che si avvicinavano in quel momento. Le voci svanirono in lontananza. In quel deserto, dopo aver appena ascoltato un racconto così strano, collegato, come era, con gli illustri e nobili defunti i cui monumenti ammuffivano tra la polvere e l'edera che ci circondava, e di cui ogni avvenimento si rifletteva così atrocemente nel mio specifico caso misterioso – in quel punto infestato, oscurato dal fogliame imponente che si sollevava su ogni lato, denso e alto sui suoi muri silenziosi – sentii l'orrore cominciare a strisciare verso di me, ed il mio cuore affondò nel petto mentre pensavo che i miei amici, dopo tutto, non avevano intenzione di entrare e disturbare questa scena minacciosa e mesta. Gli occhi del vecchio Generale erano fissi a terra, mentre 95 appoggiava la mano al basamento di un monumento infranto. Sotto l'arco di una stretta porta d'ingresso, sormontata da una di quelle grottesche demoniache con cui si diletta la fantasia cinica e spettrale delle antiche incisioni gotiche, vidi con molto piacere il bellissimo volto e la figura di Carmilla fare il loro ingresso nell'ombrosa cappella. Ero sul punto di alzarmi e parlare, e annuii sorridente in risposta al suo tipico sorriso coinvolgente; quando con un grido, il vecchio al mio fianco prese al volo l'accetta del boscaiolo e si scagliò in avanti. Nel vederlo un cambiamento brutale sopravvenne nelle fattezze di Carmilla. Si trattò di una trasformazione istantanea ed orribile, mentre indietreggiava quasi accovacciandosi. Prima che io potessi urlare, egli la colpì con tutta la sua forza, ma lei schivò passando al di sotto del suo fendente, ed indenne, gli strinse in polso nella sua piccola stretta. Egli lottò per qualche momento per liberare il braccio, ma la sua mano si era aperta, l'ascia cadde a terra, e la fanciulla era scomparsa. Barcollò verso il muro. I capelli grigi erano dritti sulla sua testa, ed un velo di sudore luccicava sul suo volto, come se fosse in punto di morte. La spaventosa scena era passata in un momento. La prima cosa che ricordo dopo, è Madame in piedi di fronte a me, che ripeteva impazientemente più volte la domanda, “Dove è Mademoiselle Carmilla?” Dopo un po' le risposi, “Non lo so – non saprei dirlo – è andata di là,” ed indicai la porta dalla quale Madame era appena entrata “solo uno o due minuti fa.” “Ma io mi trovavo là, nel passaggio, da quando Mademoiselle Carmilla ha fatto il suo ingresso; e non è tornata indietro.” Al quel punto cominciò a chiamare “Carmilla,” attraverso ogni 96 porta e passaggio e dalle finestre, ma non arrivò alcuna risposta. “Si faceva chiamare Carmilla?” chiese il Generale, ancora agitato. “Si, Carmilla,” risposi. “Si,” disse; “quella è Millarca. E' la stessa persona che molto tempo fa veniva chiamata Mircalla, Contessa di Karnestein. Lascia questo terreno maledetto, mia povera bambina, il più velocemente possibile. Cavalca fino alla casa del prete, e resta lì fino al nostro arrivo. Va'! Che tu possa non vedere mai più Carmilla; non la troverai qui.” 97 XV Ordalia ed esecuzione Mentre parlava entrò nella cappella attraverso la porta dalla quale Carmilla aveva fatto il suo ingresso ed era poi uscita uno degli uomini più strani che io abbia mai visto. Era alto, dal torace stretto, chino, dalle spalle alte, e completamente vestito di nero. Il suo volto era scuro e secco, con profonde rughe; indossava un cappello a tesa larga dalla forma strana. I suoi capelli, lunghi e striati di grigio, gli ricadevano sulle spalle. Indossava un paio di occhiali dalla montatura d'oro, e camminava lentamente, con una strana andatura zoppicante, il volto a volte rivolto al cielo, e altre chino verso il terreno, sorridente di uno strano sorriso perpetuo; le lunghe braccia oscillavano, e le sue magre mani, nei guanti neri fin troppo grandi per lui, si agitavano e gesticolavano in totale astrazione. “L'uomo in persona!” esclamò il Generale, facendo un passo in avanti con palese gioia. “Mio caro Barone, come sono contento di vederti, non avevo speranza di incontrarti così presto.” Fece un gesto per chiamare mio padre, che nel frattempo aveva fatto ritorno, portando con sé l'illustre anziano gentiluomo che aveva chiamato il Barone. Li presentò formalmente, ed intrapresero subito un'ansiosa conversazione. Lo sconosciuto estrasse un rotolo di carta dalla tasca, e lo distese sulla superficie consunta di una tomba che si trovava lì vicino. Teneva in mano un portamatite, con cui tracciava linee immaginarie da un punto all'altro sulla carta che, in base alle occhiate che spesso insieme lanciavano a determinati punti dell'edificio, prima di ritornare all'osservazione, conclusi dovesse essere una pianta della cappella. Accompagnava quella che potrei definire la sua lezione leggendo occasionalmente dei passaggi da un libretto sporco, le cui pagine ingiallite erano piene di fitti appunti. 98 Passeggiarono insieme lungo la navata laterale, dall'altra parte rispetto a dove mi trovavo, conversando durante il cammino; a quel punto cominciarono a prendere le distanze misurando i passi, e finalmente si trovarono tutti insieme, fronteggiando una parte del muro laterale, che cominciarono ad esaminare con grande attenzione; strappando via l'edera che vi cresceva e bussando sull'intonaco con le estremità dei loro bastoni, raspando qua, bussando di là. Infine appurarono l'esistenza di un'ampia lastra di marmo, recante delle lettere intagliate in rilievo. Con l'aiuto del boscaiolo, che aveva presto fatto ritorno, furono presto svelate un'iscrizione monumentale ed un blasone scolpito. Si rivelarono come parte del dimenticato monumento funebre di Mircalla, Contessa di Karnstein. Il vecchio Generale, per quanto fosse, come temo, poco incline alla preghiera, sollevò le mani e gli occhi al cielo, in un muto ringraziamento della durata di qualche istante. “Domani,” lo sentii dire; “il notaio sarà qui, e si terrà l'inquisizione secondo la legge.” Rivolgendosi poi all'uomo con gli occhiali d'oro, che ho descritto, gli strinse caldamente la mano a mani giunte e disse: “Barone, come posso ringraziarti? Come possiamo tutti noi ringraziarti? Hai liberato questa regione da un male che ha flagellato i suoi abitanti per più di un secolo. L'orribile nemico, grazie a Dio, è finalmente stato rintracciato.” Mio padre condusse da parte lo sconosciuto, ed il Generale lo seguì. So che li aveva portati fuori dalla mia portata d'orecchio, in modo da riferire il mio caso, e li vidi lanciarmi numerose occhiate furtive, nel corso della conversazione. Poi mio padre ritornò da me, mi baciò più e più volte, e conducendomi via dalla cappella, disse: 99 “E' ora di fare ritorno, ma prima di andare a casa, dobbiamo aggiungere alla nostra compagnia il buon prete, che vive a poca distanza da qui; e convincerlo ad accompagnarci allo schloss.” Portammo a termine questa missione con successo: e ne fui contenta, trovandomi inspiegabilmente affaticata quando arrivammo a casa. Ma la mia soddisfazione si tramutò in sgomento, scoprendo che non vi erano notizie di Carmilla. Non mi venne offerta alcuna spiegazione della scena che aveva avuto luogo nella cappella in rovina, e fu chiaro che si trattava di un segreto che per il momento mio padre aveva deciso di non rivelarmi. La sinistra assenza di Carmilla rendeva il ricordo della scena ancora più orribile per me. Le disposizioni per quella notte erano singolari. Due servitori e Madame dovevano restare svegli nella mia stanza quella notte; e l'ecclesiastico con mio padre montava di guardia nello stanzino adiacente. Il prete aveva recitato determinati riti solenni, il cui scopo non capivo più di quanto non comprendessi la ragione di questa precauzione straordinaria per la mia sicurezza durante il sonno. Ebbi una chiara visione di tutto pochi giorni dopo. La scomparsa di Carmilla fu seguita da un venir meno delle mie sofferenze notturne. Avrete sentito, senza dubbio, dell'allucinante superstizione che prevale nell'Alta e Bassa Stiria, in Moravia, nella Slesia, nella Serbia turca, in Polonia, persino in Russia; la superstizione, così dobbiamo definirla, del Vampiro. Se la testimonianza umana, presa con la dovuta attenzione e solennità, in sede di giudizio, di fronte ad innumerevoli commissioni, ognuna composta da molti membri, tutti scelti per integrità ed intelligenza, e comprendente resoconti forse più voluminosi di quanti non ne esistano su qualsiasi altro 100 genere di casi, ha un qualche valore, è difficile negare o anche dubitare dell'esistenza di un fenomeno come quello del Vampiro. Personalmente non ho udito alcuna teoria che spiegasse ciò che io stessa ho visto e sperimentato, se non quella fornita dall'antica e ben attestata credenza del paese. Il giorno seguente le procedure formali ebbero luogo nella cappella di Karnstein. La tomba della Contessa Mircalla fu aperta; e sia il Generale che mio padre riconobbero ognuno la propria perfida e bellissima ospite, nel volto ora svelato alla vista. Le fattezze, per quanto fossero passati centocinquanta anni dal suo funerale, avevano le tinte del calore della vita. Gli occhi erano aperti; nessun odore cadaverico esalava dalla bara. I due periti medici, uno presente in veste ufficiale, l'altro su richiesta del promotore dell'inchiesta, verificarono il fatto straordinario di una debole ma apprezzabile respirazione, ed una corrispondente azione del cuore. Le membra erano perfettamente flessibili, la carne elastica; e la bara piombata era inondata di sangue, in cui il corpo giaceva immerso, ad una profondità di sette pollici. Si trovavano qui dunque tutti i segni e le prove riconosciute del vampirismo. Il corpo, quindi, in accordo con l'antica pratica, venne sollevato, ed un paletto acuminato venne piantato nel cuore del vampiro, che in quell'istante emise un urlo penetrante, del tutto simile a quello che potrebbe sfuggire ad un vivente durante l'ultima agonia. Si tagliò poi la testa, ed un torrente di sangue fluì dal collo reciso. Il corpo e la testa furono poi piazzati su una pila di legna, e ridotti in cenere; la cenere fu poi sparsa nel fiume e portata via, e quel territorio da allora non è mai più stato colpito dalle visite di un vampiro. Mio padre possiede una copia del rapporto della Commissione 101 Imperiale, recante le firme di tutti i presenti a questi procedimenti, allegate come verifica di quanto affermato. Proprio da questo documento ufficiale ho sintetizzato il racconto di questa ultima sconvolgente scena. 102 XVI Conclusione Immaginate che io vi scriva tutto ciò con sangue freddo. Ma non è affatto così; non posso ripensarci senza agitazione. Nulla se non il vostro ansioso desiderio così tanto volte espresso potrebbe avermi indotto ad affrontare un compito che ha logorato i miei nervi per mesi a venire, e riportato in vita l'ombra dell'orrore indicibile che anni dopo la mia liberazione continuava a rendere pieni di angoscia i miei giorni e le mie notti, e la solitudine a tal punto terribile da essere insopportabile. Permettetemi di aggiungere una parola o due riguardo a quel pittoresco Barone Vordenburg, al cui curioso sapere dovemmo la scoperta della tomba della Contessa Mircalla. Aveva posto la sua dimora a Gratz, dove, vivendo di un mero sussidio, che era tutto ciò che gli restava dei terreni principeschi dell'Alta Stiria un tempo appartenuti alla sua famiglia, si era dedicato alla minuziosa e laboriosa ricerca della tradizione straordinariamente documentata sul vampirismo. Conosceva a menadito tutte i lavori grandi e piccoli pubblicati sulla materia. “Magia Posthuma," "Phlegon de Mirabilibus," "Augustinus de cura pro Mortuis," "Philosophicae et Christianae Cogitationes de Vampiris," di John Christofer Herenberg; e mille altri, dei quali ricordo unicamente i pochi che lasciò in prestito a mio padre. Possedeva un voluminoso compendio di tutti i casi giudicati, dai quali aveva estrapolato un sistema di principi che sembrano governare – alcuni sempre, altri solo occasionalmente – la condizione del vampiro. Incidentalmente, farò notare che il pallore mortale attribuito a questo tipo di 103 revenants è una mera invenzione melodrammatica. Essi manifestano nella tomba e quando si fanno vedere in compagnia umana l'apparenza di una vita in salute. Quando svelati alla luce nelle loro bare, esibiscono tutti i sintomi annoverati tra quelli che dimostrarono l'esistenza vampirica della Contessa di Karnstein, morta da tempo. Come possano uscire dalle loro tombe per farci poi ritorno in determinati orari ogni giorno senza spostare l'argilla o lasciar traccia di un qualsiasi disturbo nella condizione della bara o del sudario, è sempre stato riconosciuto come un fatto del tutto inspiegabile. L'esistenza anfibia del vampiro è sostenuta dal rinnovato e giornaliero riposo nella tomba. Il suo orribile appetito per il sangue dei vivi fornisce il vigore della sua esistenza da sveglio. Il vampiro è incline all'essere affascinato con una veemenza avvincente, che assomiglia alla passione dell'amore, da determinate persone. Nel braccare costoro, eserciterà un'inesausta pazienza e ricorrerà a qualsiasi stratagemma, perché l'accesso ad un individuo specifico può essere ostruito in mille modi. Non desisterà mai prima di aver saziato il proprio impulso, ed aver prosciugato la stessa vita della sua bramata vittima. Ma in questi casi, amministrerà e protrarrà il suo divertimento omicida con la raffinatezza di un epicureo, e lo rafforzerà attraverso gli approcci graduali di un abile corteggiamento. In questi casi sembra struggersi alla ricerca di qualcosa di affine alla comprensione ed al consenso. Ordinariamente persegue direttamente l'oggetto del suo desiderio, sopraffà con violenza, e spesso strangola ed esaurisce in un solo banchetto. Il vampiro è inoltre, apparentemente soggetto, in determinate situazioni, a condizioni particolari. Nel caso specifico che vi ho raccontato, Mircalla sembrava essere limitata ad un nome che, per quanto diverso dalla sua vera identità, lo riproducesse sotto la forma di anagramma, senza alcuna omissione o aggiunta 104 delle lettere che lo compongono. Carmilla rispondeva a questi requisiti; ugualmente Millarca. Mio padre raccontò al Barone Vordenburg, che rimase con noi per due o tre settimane dopo l'espulsione di Carmilla, la storia riguardante il nobiluomo Moravo ed il vampiro nel cimitero di Karnstein, e chiese quindi al Barone come avesse scoperto la posizione esatta della tomba della Contessa Mircalla, così a lungo celata. Le fattezze grottesche del Barone si arricciarono in un sorriso misterioso; guardò in basso, sempre sorridendo al suo consunto astuccio per gli occhiali, giocherellandoci. Poi sollevando lo sguardo, disse: “Possiedo molto diari, ed altri documenti, scritte da quell'uomo notevole; il più curioso tra tutti tratta della visita di cui parlate, qui a Karnstein. La tradizione, ovviamente, scolorisce e distorce un po'. Egli potrebbe essere stato definito un nobiluomo Moravo perché aveva cambiato residenza per vivere in quel territorio, ed era, per di più, un nobile. Ma in realtà egli era originario dell'Alta Stiria. Sarà sufficiente affermare che quando era molto giovane era stato l'appassionato e ricambiato amante della bellissima Mircalla, Contessa di Karnstein. La sua morte precoce lo gettò in un lutto inconsolabile. Crescere e moltiplicarsi è nella natura dei vampiri, ma secondo una legge assodata e spettrale. Considerate, come punto di partenza, un territorio del tutto libero da un simile parassita. Come ha inizio, e come si moltiplica? Ve lo dirò. Una persona, più o meno malvagia, pone fine alla propria vita. Un suicida, sotto determinate circostanze, diventa un vampiro. Quello spettro visita i vivi nel sonno; essi muoiono, e quasi invariabilmente, nella tomba, si tramutano in vampiri. Ciò accadde nel caso della bellissima Mircalla, che fu perseguitata da uno di questi demoni. Il mio antenato, Vordenburg, di cui porto ancora il titolo, scoprì ben 105 presto la cosa, e nel corso degli studi cui si dedicò apprese molto di più. Tra le altre cose, arrivò alla conclusione che il sospetto di vampirismo sarebbe probabilmente ricaduto, prima o poi, sulla defunta Contessa, che in vita era stata il suo idolo. Pensava con orrore, qualsiasi cosa essa fosse diventata, ai suoi resti profanati dallo scandalo di un'esecuzione postuma. Lasciò un documento bizzarro per dimostrare che il vampiro, dopo essere stato espulso dalla sua esistenza anfibia, è proiettato in una vita ben più orribile; e decise di salvare la sua un tempo amata Mircalla da ciò. Adottò lo stratagemma di un viaggio in queste terre, un finto spostamento dei suoi resti, ed una reale rimozione del suo monumento. Quando l'età lo ebbe raggiunto, e dalla valle degli anni, guardò indietro in direzione delle scene che stava lasciando, considerò con spirito diverso quanto aveva fatto, e fu preso dall'orrore. Fece disegni ed appunti che mi hanno guidato fino al punto preciso, e scrisse una confessione dell'inganno che aveva praticato. La morte prevenne qualsiasi altra azione in merito, qualora l'avesse intesa; e la mano di un remoto discendente ha diretto, troppo tardi per molti, la ricerca fino alla tana della bestia.” Parlammo un altro po', e tra le altre cose che disse vi fu questa affermazione: “Uno dei segni del vampiro è il potere della mano. L'esile mano di Mircalla si chiuse come morsa d'acciaio sul polso del Generale quando egli sollevò l'accetta per colpire. Ma la sua forza non è confinata solo nella stretta; lascia nell'arto che afferra un'insensibilità che guarisce lentamente, se mai del tutto.” La primavera seguente mio padre mi portò in viaggio in Italia. Restammo fuori più di un anno. Ci volle molto tempo prima 106 che il terrore dei recenti eventi venisse meno; e ancora oggi l'immagine di Carmilla torna alla mia memoria con alternanza ambigua – a volte la bellissima ragazza giocosa, languida; altre volte il demone che vidi contorcersi nella chiesa in rovina; e spesso mi sono riscossa da una fantasticheria, immaginando di aver sentito il passo leggero di Carmilla alla porta del soggiorno. 107