PROLOGO
In un foglio allegato al seguente racconto, il dottor Hesselius
ha scritto una nota piuttosto elaborata, che ha deciso di
accompagnare con un riferimento al proprio trattato sulla
strana materia illustrata nel manoscritto.
Egli affronta in quel trattato questo argomento misterioso con
il suo solito sapere ed acume, e con invidiabile schiettezza e
sintesi. Non costituirà che un volume della serie di scritti scelti
di quell'uomo straordinario.
Mentre pubblico il caso, in questo volume, semplicemente per
interessare “i profani”, non interverrò in alcun punto nel
racconto dell'intelligente signora che lo ricorda; e dopo
opportuna considerazione, ho pertanto deciso di astenermi dal
presentare alcuna precisazione del ragionamento del sapiente
dottore, o estrapolare dal suo documento su una materia che
egli definisce come “imbevuta, non improbabilmente, dei più
profondi arcani della nostra doppia esistenza, e dei suoi stati
intermedi.”
Nel fare la scoperta di questo documento, divenni ansioso di
riaprire la corrispondenza aperta molti anni prima dal dottor
Hesselius con una persona così intelligente ed attenta come
appariva il suo informatore. Purtroppo fui molto dispiaciuto
nel dover constatare che nel frattempo la Signora era morta.
Per quanto riguarda il mio limitato giudizio, probabilmente
avrebbe potuto aggiungere poco al racconto riferito nelle
seguenti pagine con molti e coscienziosi dettagli.
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I
Uno spavento precoce
In Stiria, per quanto la nostra famiglia non sia certo illustre,
abitiamo in un castello, uno schloss. Una piccola rendita, in
quella parte di mondo, può portare lontano. Otto o novecento
sterline l'anno fanno miracoli; difficilmente saremmo
annoverati tra i ricchi a casa. Mio padre è inglese, ed io porto
un nome inglese, per quanto personalmente non abbia mai visto
l'Inghilterra. Ma qui, in questo luogo solitario e primitivo,
dove ogni cosa è meravigliosamente a buon prezzo, non vedo
proprio come molto denaro in più potrebbe materialmente
aggiungere qualcosa alle nostre comodità, o perfino al nostro
lusso.
Mio padre aveva fatto parte del corpo diplomatico in Austria e
ritiratosi, con una pensione ed il suo patrimonio aveva
acquistato questa residenza feudale ed il suo piccolo
comprensorio; un affare.
Nulla può essere più pittoresco o solitario. Il castello si erge su
un piccolo colle in una foresta. La strada, molto antica e stretta,
passa davanti al ponte levatoio, mai ritirato nel mio tempo, ed
al suo fossato, pieno di pesci e attraversato da molti cigni, con
bianche flotte di ninfee galleggianti sulla superficie.
Dinanzi a tutto ciò lo schloss mostra la sua facciata dalle molte
finestre; le sue torri, e la sua cappella gotica.
La foresta si apre in una radura irregolare e molto pittoresca
davanti al cancello, e sulla destra un ripido ponte gotico
trasporta la strada oltre un ruscello che si snoda nell'ombra
profonda attraverso il bosco. Ho detto che questo è un posto
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estremamente solitario. Giudicate voi stessi se dico la verità.
Osservando dalla porta dell'ingresso in direzione della strada,
la foresta in cui si trova il nostro castello si estende per quindici
miglia sulla destra, e dodici a sinistra. Il villaggio abitato più
vicino si trova a circa sette delle vostre miglia inglesi, sulla
sinistra. Lo schloss abitato più vicino, con una qualsiasi
attinenza alla storia , è quello del vecchio Generale Spielsdorf,
ad una distanza di quasi venti miglia sulla destra.
Ho detto il “villaggio abitato più vicino” perché c'è, a solo tre
miglia verso ovest, ovvero in direzione dello schloss del
Generale Spielsdorf, un villaggio in rovina, con la sua graziosa
chiesetta, ormai priva di tetto nella navata che ospita le muffose
tombe dell'orgogliosa famiglia Karnstein, ora estinta, che un
tempo possedeva il castello ormai ugualmente desolato che,
nella profondità della foresta, sovrasta le silenziose rovine della
cittadina.
Riguardo alla causa dell'abbandono di questo luogo particolare
e melanconico, esiste una leggenda che vi racconterò in un
altro momento.
Ora devo dirvi quanto sia piccola la compagnia che costituisce
gli abitanti del nostro castello. Non includo i servitori, o i
lavoratori che occupano stanze negli edifici adiacenti allo
schloss. Ascoltate e meravigliatevi! Mio padre, che è l'uomo
più gentile e generoso della terra, ma non più giovane; ed io,
nel momento della nostra storia, di soli diciannove anni. Sono
passati otto anni da allora.
La famiglia nello schloss era costituita da me e da mio padre.
Mia madre, una signora della Stiria, era morta durante la mia
infanzia, ma avevo una governante dal carattere gentile che era
stata con me praticamente dalla mia infanzia. Non riesco a
ricordare il tempo in cui il suo volto grasso e benevolo non
fosse un'immagine familiare nella mia memoria.
3
Costei era Madame Perrodon, una nativa di Berna, la cui
attenzione ed indole gentile ora in parte sopperivano alla
mancanza di mia madre, che io persi talmente precocemente da
non ricordarla neanche. Lei era il terzo elemento della nostra
piccola compagnia al tavolo della cena. Vi era un quarto
elemento, Mademoiselle De Lafontaine, una signora che viene
definita, credo, una “governante di complemento”. Parlava
francese e tedesco, Madame Perrodon francese ed un inglese
sconnesso, al quale mio padre ed io aggiungevamo l'inglese,
che parlavamo ogni giorno, in parte per evitare che diventasse
una lingua persa per noi, in parte per motivi patriottici. La
conseguenza era una Babele, della quale gli estranei ridevano,
e che non proverò neanche a riprodurre in questo racconto.
Inoltre, vi erano due o tre ragazze mie amiche, più o meno
della mia età, che erano ospiti occasionali, per periodi più o
meno lunghi; visite che a volte contraccambiavo.
Queste erano le nostre risorse sociali regolari; ma ovviamente
vi erano visite fortuite dei nostri “vicini” che abitavano a sole
cinque o sei leghe di distanza. La mia vita era comunque, vi
posso assicurare, piuttosto solitaria.
Le mie governanti avevano su di me solo il controllo che si può
immaginare che persone così sagge potessero avere nel caso di
una ragazza piuttosto viziata, il cui unico genitore le
permetteva di fare pressoché ogni cosa a modo suo.
Il primo caso della mia esistenza, che produsse un'impressione
terribile sulla mia mente e che, di fatto, non è mai stata
cancellata, fu uno dei primissimi incidenti della mia vita che
riesco a ricordare. Alcuni lo riterranno talmente da poco da non
meritare di essere qui ricordato. Vedrete tuttavia in seguito
perché ne faccio menzione. La nursery, così era definita, per
quanto la avessi tutta per me, era un'ampia stanza nel piano
superiore del castello, con un ripido tetto di quercia. Non
potevo avere più di sei anni, quando una notte mi svegliai, e
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guardandomi intorno nella stanza dal mio letto, non fui in
grado di scorgere la bambinaia. Nemmeno la mia balia era lì; e
mi reputai sola in quel luogo. Non ebbi paura, poiché io ero
uno di quei bambini felici che sono scientemente tenuti
nell'ignoranza delle storie di fantasmi, delle fiabe e di tutto
l'armamentario che ci porta a coprirci la testa quando la porta
scricchiola all'improvviso, o il tremito di una candela che si
smorza fa danzare sul muro l'ombra della testata del letto,
portandola più vicina al nostro viso. Mi sentii piuttosto
frustrata ed insultata nel trovarmi, come mi sembrava, lasciata
a me stessa, e cominciai a piagnucolare, momento preparatorio
di una sonora crisi di pianto; quando, con mia enorme sorpresa,
vidi un volto solenne ma molto bello che mi guardava dal lato
del letto. Era il volto di una giovane donna che si trovava in
ginocchio, con le mani sotto la copertina. La guardai con una
sorta di compiaciuto stupore, e smisi di piagnucolare. Mi
accarezzò con le mani, e si sdraiò giù vicino a me nel letto, e
mi attirò a sé, sorridendo; mi sentii subito meravigliosamente
calma, e mi addormentai di nuovo. Fui svegliata da una
sensazione come se due aghi venissero infilati nel mio petto,
profondamente e simultaneamente, e urlai forte. La donna
indietreggiò, con gli occhi fissi su di me, poi scivolò per terra
e, pensai, si nascose sotto al letto.
Ero ora per la prima volta spaventata, e urlai con tutte le mie
forze. Balia, bambinaia, governante, arrivarono tutte di corsa, e
nel sentire la mia storia la trattarono con leggerezza, tentando
di calmarmi nel frattempo. Ma, per quanto bambina, potevo
percepire che i loro volti erano pallidi per una non voluta
espressione di ansia, e le vidi guardare sotto al letto, ed intorno
alla stanza, e sbirciare sotto ai tavoli ed aprire gli armadi; e la
governante sussurrò alla balia: “Poggia la mano lungo
quell'infossatura del letto; qualcuno è stato qui, sicuro quanto il
fatto che non eri tu; ed il posto è ancora caldo.”
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Ricordo la bambinaia che mi accarezzava, e tutte e tre che
esaminavano il mio petto, dove avevo detto loro di aver sentito
la puntura; affermarono che non v'era alcun segno visibile che
mi fosse mai accaduto niente del genere.
La governante e gli altri due servitori che si occupavano della
nursery restarono svegli tutta la notte; e da quel momento un
servitore vegliò sempre nella nursery più o meno fino a quando
non ebbi compiuto quattordici anni.
Fui molto nervosa per molto tempo dopo questo episodio.
Venne chiamato un dottore, pallido ed anziano. Come ricordo
bene il suo lungo volto saturnino, leggermente scalfito dal
vaiolo, e la sua parrucca castana! Per un bel po', un giorno si ed
uno no, venne a portarmi una medicina, che ovviamente
detestavo.
La mattina seguente all'apparizione ero in uno stato di terrore, e
non potevo sopportare di essere lasciata da sola, per quanto
fosse giorno, neanche per un momento.
Ricordo che mio padre mi venne a trovare nella nursery; in
piedi vicino al letto, parlò allegramente, ponendo alla
bambinaia molte domande, e ridendo di gusto ad una delle
risposte. Mi diede una pacca sulla spalla, baciandomi e
dicendomi di non avere paura, che non era che un sogno e che
non poteva farmi male.
Ma io non fui confortata, perché sapevo che la visita della
strana donna non era un sogno; ed ero terribilmente spaventata.
Fui parzialmente consolata dalla bambinaia che mi assicurò di
essere stata lei ad entrare, guardandomi per poi sdraiarsi al mio
fianco, e che non avevo riconosciuto il suo volto nel
dormiveglia. Ma questa versione, per quanto supportata dalla
balia, non mi soddisfaceva del tutto.
Ricordo, sempre quel giorno, un vecchio venerabile, con una
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tonaca nera, che era entrato in camera con la balia e la
governante, parlando con loro e molto gentilmente con me; il
suo volto era molto dolce e gentile, e mi disse che avrebbero
pregato, e mi giunse le mani, e mi fece sussurrare, mentre loro
pregavano, “Signore, ascolta tutte le buone preghiere per noi,
in nome di Gesù.” Credo che queste furono le parole precise,
perché spesso le ho ripetute tra me e me, e la mia balia per anni
fu solita esortarmi a pronunciarle nelle mie preghiere.
Ricordo così bene il volto dolce e pensoso di quell'uomo
canuto, nella sua tonaca nera, mentre girava per quella
semplice, ariosa stanza bruna, con intorno a lui mobili di un
gusto vecchio di trecento anni, e la scarsa luce che penetrava
nell'atmosfera ombrosa attraverso la piccola finestrella. Si
inginocchiò, e le tre donne con lui, e pregò ad alta voce con
voce ansiosa e tremante per quello che mi apparve come un
tempo lungo. Ho dimenticato tutta la mia vita antecedente
all'evento, e per un certo periodo di tempo successivo tutto è
ugualmente oscuro, ma le scene che ho appena descritto si
stagliano vivide come le immagini isolate dell'apparizione
circondata dall'oscurità.
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II
Un'ospite
Ora vi racconterò un fatto a tal punto bizzarro da richiedere
tutta la vostra fede nella mia veridicità per credere alla mia
storia. Ciononostante, non solo è vera, ma una verità della
quale sono stata testimone oculare.
Era una dolce sera d'estate, e mio padre mi chiese, come a volte
faceva, di fare una piccola camminata con lui lungo la
splendida passeggiata sulla foresta che si trovava davanti allo
schloss.
“Il Generale Spielsdorf non può raggiungerci presto come
avevo sperato” disse mio padre mentre passeggiavamo.
Questi avrebbe dovuto farci una visita di alcune settimane, e
aspettavamo il suo arrivo per il giorno seguente. Avrebbe
dovuto portare con sé una giovane dama, sua nipote e sotto la
sua tutela, Mademoiselle Rheinfeldt, che io non avevo mai
visto, ma che mi era stata descritta come una ragazza molto
affascinante, in compagnia della quale mi ero promessa molti
giorni felici. Fui più delusa di quanto non possa immaginare
una ragazza che vive in una città, o in un vicinato vivace.
Questa visita, e la nuova conoscenza che prometteva, aveva
costituito il mio fantasticare di molte settimane.
“E quanto presto arriverà?” chiesi.
“Non prima dell'autunno. Non prima di due mesi, oserei dire,”
rispose. “E ora sono molto contento, mia cara, che tu non abbia
mai conosciuto Mademoiselle Rheinfeldt.”
“E perché?” risposi, sia mortificata che curiosa.
“Perché la povera damigella è morta,” rispose “Mi ero
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dimenticato di non avertelo detto, ma non eri presente quando
ho ricevuto la lettera del Generale questa sera.”
Rimasi molto colpita. Il generale aveva accennato in una sua
prima lettera, sei o sette settimane prima, che la ragazza non si
sentiva bene quanto avrebbe voluto, ma nulla indicava il più
remoto sospetto di pericolo.
“Ecco la lettera del Generale” disse, consegnandomela. “Temo
che sia profondamente turbato; la lettera mi sembra essere stata
scritta in uno stato molto simile alla disperazione.”
Ci sedemmo su una ruvida panchina, sotto un gruppo di tigli
magnifici. Il sole stava tramontando in tutto il suo malinconico
splendore dietro l'orizzonte silvestre, ed il torrente che scorre
dietro alla nostra casa, e passa sotto il ripido vecchio ponte cui
ho accennato, si snodava attraverso diversi gruppi di nobili
alberi, quasi ai nostri piedi, riflettendo nella sua corrente il
cremisi del cielo, mentre sbiadiva. La lettera del Generale era
così fuori dall'ordinario, così veemente, ed in alcuni punti così
incoerente, che la lessi due volte – la seconda ad alta voce a
mio padre – senza essere comunque in grado di spiegarmela, se
non con la supposizione che il dolore avesse sconvolto la sua
mente.
La lettera recitava: “Ho perso la mia adorata figlia, perché
come tale l'ho amata. Durante gli ultimi giorni della malattia
della cara Bertha non sono stato in grado di scriverti.
Prima di allora non avevo idea del pericolo che stava correndo.
L'ho persa, e ora so tutto, troppo tardi. Lei è morta nella pace
dell'innocenza, e nella speranza gloriosa di un futuro benedetto.
Il demone che ha traditola nostra ospitalità infatuata ha fatto
tutto ciò. Pensavo di ricevere nella mia casa innocenza,
gaiezza, un'affascinante compagnia per la mia perduta Bertha.
Cielo! Che stolto che sono stato!
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Ringrazio Dio che la mia bambina sia morta senza un sospetto
della causa delle sue sofferenze. Se ne è andata senza neanche
una congettura sulla natura della sua malattia, e sulla maledetta
passione dell'agente di tutto questo dolore. Dedico i giorni che
mi rimangono al compito di stanare ed estinguere un mostro.
Mi dicono che posso sperare di compiere il mio giusto e
pietoso scopo. Al momento non ho che un bagliore di luce a
guidarmi. Maledico il mio presuntuoso scetticismo, la mia
vergognosa affettazione di superiorità, la mia cecità, la mia
ostinazione – tutto – troppo tardi. Non posso scrivere o parlare
in maniera composta ora. Sono disperato. Non appena mi sarò
un po' ripreso, intendo dedicarmi per un po' di tempo ad una
ricerca, che potrebbe possibilmente portarmi fino a Vienna. In
autunno, tra due mesi, o prima se ancora vivo, ti vedrò – cioè,
se lo permetterai; e allora ti dirò tutto ciò che adesso non oso
porre su carta. Addio. Prega per me, caro amico.”
Così terminava questa strana lettera. Per quanto io non avessi
mai visto Bertha Rheinfeldt, i miei occhi si riempirono di
lacrime per l'annuncio improvviso; ero sconvolta, oltre ad
essere profondamente delusa.
Il sole era ormai tramontato, e nel crepuscolo restituii la lettera
del Generale a mio padre.
Era una una sera tenue e chiara, e passeggiavamo, speculando
sui possibili significati delle frasi violente ed incoerenti che
avevo appena letto. Dovevamo camminare ancora per circa un
miglio prima di raggiungere la strada che passa davanti allo
schloss, e ormai la luna splendeva brillante. Al ponte levatoio
incontrammo Madame Perrodon e Mademoiselle De
Lafontaine, che erano uscite, senza i loro cappelli, a godere
della squisita luce della luna.
Sentimmo le loro voci conversare in un animato dialogo
mentre ci avvicinavamo. Ci unimmo a loro sul ponte levatoio,
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volgendoci ad ammirare insieme a loro la stupenda vista.
La radura che avevamo appena attraversato si estendeva di
fronte a noi. Alla nostra sinistra la stretta strada si snodava
sotto mucchi di alberi signorili nel loro contegno, e si perdeva
alla vista sprofondando nella foresta sempre più fitta. Sulla
destra la medesima strada attraversava il ripido e pittoresco
ponte, presso il quale si erge una torre in rovina che un tempo
sorvegliava quel passaggio; e oltre il ponte si solleva un
improvviso pendio, coperto di alberi, che mostra nelle ombre
alcune grige pietre ricoperte di edera.
Sopra le terre erbose e basse si alzava simile a fumo una sottile
patina di nebbia, segnando le distanze come un velo
trasparente; e qui e là potevamo scorgere il tenue luccichio del
fiume alla luce della luna.
Non è possibile immaginare una vista più tenue o più dolce. Le
notizie che mi erano appena giunte la rendevano malinconica;
ma nulla poteva disturbare la profonda serenità della scena, e lo
splendore incantato e l'amenità della visione.
Mio padre, che apprezzava il pittoresco, ed io, restammo ad
ammirare in silenzio la distesa ai nostri piedi. Le due buone
governanti, leggermente defilate rispetto a noi, discorrevano
sulla scena, particolarmente eloquenti in merito alla luna.
Madame Perrodon era grassa, di mezza età, e romantica;
parlava e sospirava poeticamente.
Mademoiselle De Lafointaine – in virtù del padre che era
tedesco, e quindi teoricamente incline alla psicologia, alla
metafisica, e forse anche al misticismo – ora dichiarava che
quando la luna brillava di luce così intensa è risaputo che il
fatto sia indice una particolare attività spirituale. L'effetto della
luna piena in una tale stato di fulgore era palese. Agiva sui
sogni, agiva sulla follia, agiva sulle persone nervose, aveva
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straordinarie influenze fisiche connesse con la vita.
Mademoiselle raccontava che suo cugino, imbarcato su una
nave mercantile, dopo aver riposato sul ponte in una simile
notte, sdraiato sulla schiena con il volto illuminato in pieno
dalla luce della luna, si era risvegliato dopo un sogno di una
vecchia che gli artigliava una guancia, con le fattezze
orribilmente tirate da un lato; ed il suo aspetto non aveva più
recuperato del tutto il suo equilibrio.
“La luna, questa sera” disse “è piena di influenza idilliaca e
magnetica – e vedete, guardando alle nostre spalle la facciata
dello schloss, tutte le sue finestre lampeggiano e brillano di
argenteo splendore, come se mani invisibili avessero acceso
luci nelle stanze per accogliere ospiti fatati.”
Vi sono momenti di indolenza dello spirito in cui, poco disposti
a parlare noi stessi, la parola altrui risulta gradevole alle nostre
orecchie svogliate; ed io guardavo oltre, godendo del tintinno
della conversazione delle dame.
“Sono scivolato in uno dei miei umori pensierosi questa sera”
disse mio padre, dopo un attimo di silenzio, e citando
Shakespeare, che era solito leggere ad alta voce come maniera
per tener viva in noi la lingua inglese, disse:
“'In verità non so perché son così triste.
E questa tristezza mi stanca; e voi stessi dite d'esserne stanchi;
Ma come sia accaduto – come io l'abbia trovata...'
Non ricordo il resto. Ma mi sento come se una grande sciagura
incombesse su di noi. Immagino che abbia qualcosa a che fare
con la triste lettera del povero Generale.”
In quel momento l'improbabile rumore delle ruote di una
carrozza e di molti zoccoli sulla strada interruppero la nostra
attenzione.
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Sembravano avvicinarsi dal pendio che sovrastava il ponte, e
molto presto il convoglio emerse da quel punto. Due uomini a
cavallo attraversarono il ponte per primi, seguiti da una
carrozza tirata da quattro cavalli, con due uomini a cavallo a
seguire.
Sembrava il viaggio della carrozza di una persona di rango; e
fummo tutti immediatamente assorbiti dall'osservazione di
quello spettacolo decisamente inusuale che divenne, in pochi
istanti, molto più interessante, poiché non appena la carrozza
ebbe superato il culmine del ripido ponte, uno dei cavalli
davanti, impaurito, comunicò il suo panico agli altri, e dopo
uno scatto o due, tutto il gruppo irruppe in un galoppo
selvaggio, superando di corsa gli uomini a cavallo che si
muovevano in testa e scendendo lungo la strada verso di noi
con la velocità di un uragano.
L'impatto della scena fu reso tanto più drammatico dal chiaro e
prolungato grido di una voce femminile proveniente dalla
finestra della carrozza.
Avanzammo tutti con curiosità ed orrore; io piuttosto
silenziosa, gli altri con varie esclamazioni di terrore.
La nostra attesa non durò a lungo. Poco prima di giungere al
ponte levatoio del castello, sulla strada che stavano
percorrendo, si erge sul ciglio della strada un magnifico tiglio
mentre sul lato opposto si trova un'antica croce di pietra, alla
cui vista i cavalli, ormai ad un passo assolutamente terrificante,
curvarono spingendo una ruota sulle radici sporgenti
dell'albero.
Sapevo cosa sarebbe successo. Mi coprii gli occhi, incapace di
guardare, e voltai la testa; nello stesso istante sentii un grido
proveniente dalle mie dame di compagnia, che erano andate un
po' avanti.
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La curiosità mi spinse ad aprire gli occhi, e vidi una scena di
confusione totale. Due dei cavalli erano a terra, la carrozza
ribaltata di lato con due ruote per aria; gli uomini si stavano
occupando di rimuovere le tirelle, ed una signora dall'aria
imperiosa era uscita e stava in pieni a mani giunte, ed
accostava di tanto in tanto agli occhi il fazzoletto che stringeva
ansiosamente nelle mani.
Attraverso la porta della carrozza veniva ora sollevata una
giovane dama, che appariva senza vita. Il mio caro vecchio
padre era già al fianco della signora più anziana, con il cappello
in mano, evidentemente in procinto di prestare il suo aiuto e le
risorse del suo schloss. La dama non sembrava sentirlo, o avere
occhi per altro al di fuori dell'esile fanciulla che veniva ora
appoggiata sul pendio della riva del fiume.
Mi avvicinai; la ragazza era apparentemente svenuta, ma
certamente non era morta. Mio padre, che si considerava in un
certo senso un medico, aveva posto le dita sul suo polso ed
assicurato alla signora, che si definiva la madre, che il battito,
per quanto fioco ed irregolare, era indubbiamente ancora
palese. La dama strinse le mani e guardò verso il cielo, come in
un momentaneo trasporto di gratitudine; ma immediatamente
riprese a lamentarsi in quel modo teatrale che credo sia naturale
in alcune persone.
Era quello che solitamente si definisce una bella donna per la
sua età, e deve essere stata una bellezza; era alta, ma non
magra, e vestita di velluto nero, pallida a guardarsi, ma con un
contegno fiero ed imperioso, per quanto ora apparisse
stranamente agitata.
“Chi mai nacque così incline alla calamità?” la sentii
affermare, a mani giunte, mentre mi avvicinavo. “Eccomi qui,
in un viaggio di vita e morte, dove perdere un'ora
potenzialmente vuol dire perdere tutto. La mia bambina non si
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sarà sufficientemente ripresa da permetterci di riprendere il
cammino in chissà quanto tempo. Devo lasciarla: non posso,
non oso, indugiare. Quanta manca, signore, se sapete dirlo, al
prossimo villaggio? Devo lasciarla lì; e non vedrò la mia
bambina, o sentire da lei, fino al mio ritorno, tra tre mesi.”
Tirai mio padre per la giacca, e sussurrai ansiosamente al suo
orecchio: “Oh! Papà, ti prego, chiedile di lasciarla restare con
noi, sarebbe così divertente. Ti prego!”
“Se Madame affiderà la sua bambina all'attenzione di mia
figlia, e della sua buona governante, Madame Perrodon,
consentendole di restare come nostra ospite, sotto la mia tutela,
fino al suo ritorno, ci conferirà un onore ed un obbligo, e la
tratteremo con tutta l'attenzione e la devozione che un
affidamento così solenne merita.”
“Non posso farlo, signore, sarebbe un compito troppo crudele
per la vostra gentilezza e cavalleria,” rispose la signora,
angustiata.
“Al contrario, sarebbe per noi una grande gentilezza in un
momento in cui ne abbiamo più bisogno. Mia figlia è appena
stata delusa da una crudele sventura, in una visita dalla quale si
aspettava da tempo molta gioia. Se affiderà questa giovane
dama alla nostra cura, sarà la miglior consolazione per lei. Il
villaggio più vicino sul vostro percorso è lontano, e non
contiene alcun albergo nel quale potreste considerare di
lasciare vostra figlia; non potete consentire che prosegua il
viaggio per una distanza considerevole senza pericolo. Se,
come afferma, non può sospendere il viaggio, dovrete separarvi
da lei stasera, e in nessun luogo potreste far ciò con garanzie di
cura e tenerezza più oneste di quante ve ne siano in questo
luogo.”
C'era qualcosa nell'aria e nell'aspetto di questa dama di così
distinto e perfino imperioso, e di così coinvolgente nelle sue
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maniere, da colpire chiunque, a prescindere dal tenore del
convoglio, con la convinzione che fosse una persona
importante.
Ormai la carrozza era stata issata nuovamente nella posizione
diritta ed ai cavalli, ormai trattabili, erano state rimesse le
tirelle.
La dama lanciò alla figlia uno sguardo che mi sembrò meno
affezionato di quanto non si sarebbe immaginato all'inizio della
scena; poi richiamò mio padre con un leggero gesto della
mano, e si ritirò con lui a due o tre passi di distanza, fuori dalla
portata d'orecchio; e parlò con lui in maniera fissa e grave,
molto diversa dall'enfasi con cui aveva parlato fino a quel
momento.
Ero colma di stupore al fatto che mio padre non sembrasse
accorgersi del cambiamento, ma anche curiosa in maniera
indescrivibile di scoprire di cosa stesse parlando, quasi al suo
orecchio, con tale sollecitudine e velocità.
Credo che rimase occupata in questa faccenda due o tre minuti
al massimo, poi si volse, e pochi passi la portarono nel luogo
dove giaceva la figlia, sostenuta da Madame Perrodon. Si
inginocchiò al su fianco e mormorò, come immaginò Madame,
una breve benedizione al suo orecchio; poi baciandola
frettolosamente rientrò nella carrozza, la porta si chiuse, i
valletti nelle loro solenni livree salirono in coda, i battistrada
spronarono i cavalli, i postiglioni fecero schioccare le fruste, i
cavalli si slanciarono e ripresero all'improvviso un trotto
furioso che rischiava di trasformarsi presto nuovamente in un
galoppo, e la carrozza filò via, seguita allo stesso rapido passo
dai due cavalieri in coda.
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III
Paragoniamo i nostri appunti
Seguimmo il convoglio con gli occhi fino al momento in cui
non svanì alla vista nella foschia del bosco; ed il suono stesso
degli zoccoli e delle ruote si smorzò nel silenzio dell'aria
notturna.
Nulla restava ad assicurarci che l'avventura non fosse stata
altro che un'illusione del momento se non la giovane dama, che
proprio in quel momento aprì gli occhi. Non potevo vedere,
perché il suo volto era girato nella direzione opposta a me, ma
sollevò la testa, evidentemente per guardarsi in torno, e sentii
una voce molto dolce chiedere querula “Dove è mamma?”
La nostra buona Madame Perrodon rispose con gentilezza, e
aggiunse alcune assicurazioni di conforto.
Poi la sentii chiedere:
“Dove sono? Che posto è questo?” e dopo disse, “Non vedo la
carrozza; e Matska, dove è?”
Madame rispose a tutte le sue domande per quanto poteva
comprenderle; e a poco a poco la giovane si ricordò
dell'incidente, e fu lieta di sentire che nessuno nella carrozza, o
parte del convoglio, era rimasto ferito; e pianse nell'apprendere
che la madre l'aveva lasciata qui, fino al suo ritorno a tre mesi
di distanza.
Stavo per aggiungere le mie parole di conforto a quelle di
Madame Perrodon quando Mademoiselle De Lafontaine mi
pose una mano sul braccio, dicendomi:
“Non ti avvicinare, una persona alla volta è il massimo della
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conversazione che può sostenere al momento; potrebbe essere
sopraffatta anche da una una minima eccitazione, in questo
momento.”
Non appena sarà comodamente a letto, pensai, correrò nella sua
stanza per vederla.
Mio padre nel frattempo aveva inviato un servo a cavallo a
cercare il medico, che viveva pressapoco a due leghe di
distanza; e si stava allestendo una camera in cui ricevere la
giovane dama.
La forestiera ora si sollevò, e appoggiandosi al braccio di
Madame, si incamminò lentamente oltre il ponte levatoio ed
attraverso il cancello del castello.
Nell'atrio i servitori aspettavano di accoglierla, e fu subito
condotta alla sua stanza. La stanza che avevamo adibito come
nostro soggiorno è lunga, con quattro finestre, rivolte al fossato
ed al ponte levatoio, e sulla vista della foresta che ho appena
descritto.
I mobili sono di antica quercia intagliata, con grandi credenze
intagliate, e le sedie sono rivestite di cuscini di velluto cremisi
di Utrecht. I muri sono ricoperti da arazzi, e circondati da
grandi cornici dorate, dalle figure dalle dimensioni reali,
raffigurati in costumi antichi e molto bizzarri, con i soggetti
rappresentati nell'atto di cacciare, o intenti nell'arte della
falconeria, e generalmente ritratti in momenti gioiosi. Non è
oltremodo formale a scapito della comodità; e qui prendevamo
il tè, poiché mio padre con le sue usuali inclinazioni
patriottiche insisteva che la bevanda nazionale dovesse
comparire regolarmente nei nostri consumi insieme al caffè ed
alla cioccolata.
Ci sedemmo lì quella notte, e con le candele accese, parlavamo
dell'avventura della sera.
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Madame Perrodon e Mademoiselle De Lafontaine erano
entrambe della nostra compagnia. La giovane forestiera si era
appena adagiata nel letto che era sprofondata in un sonno
profondo; e le dame l'avevano lasciata alla cura di un servitore.
“Che ne pensate della nostra ospite?” chiesi, non appena
Madame fece il suo ingresso nella stanza. “Ditemi tutto di lei!”
“Mi piace molto”rispose Madame, “ella è, credo, quasi la
creatura più bella che io abbia mai visto; più o meno della tua
età, e molto gentile e carina.”
“E' assolutamente bellissima,” intervenne Mademoiselle, che si
era affacciata per un istante nella stanza della forestiera.
“E con una voce così dolce!” aggiunse Madame Perrodon.
“Avete notato una donna nella carrozza, dopo che era stata
tirata nuovamente in piedi, che non era uscita,” chiese
Mademoiselle, “limitandosi soltanto a guardare dalla finestra?”
“No, non l'avevamo vista.”
Al che descrisse un'orribile donna nera, con una specie di
turbante colorato in testa, che per tutto il tempo aveva guardato
fuori dalla finestra della carrozza, annuendo e sogghignando
con scherno all'indirizzo delle dame, con grandi occhi brillanti
e bianchi, i denti scoperti come una furia.
“Avete notato che brutto gruppo di ceffi fossero i servitori?”
chiese Madame.
“Si,” disse mio padre, che era appena arrivato, “i tipi più truci e
scalcagnati che io abbia mai visto in vita mia. Mi auguro che
non derubino la povera signora nella foresta. Sono vagabondi
abili, comunque; hanno sistemato tutto in un attimo.”
“Oserei dire che sono stremati da un viaggio troppo lungo,”
disse Madame.
19
“Oltre ad avere l'aspetto malvagio, i loro volti erano magri,
scuri e lividi in maniera così strana. Sono molto curiosa, lo
ammetto; ma oserei dire che la fanciulla saprà dirvi tutto al
riguardo domani, se si sarà sufficientemente ripresa.”
“Non credo che lo farà,” interloquì mio padre, con un sorriso
misterioso, ed un piccolo gesto della testa, come se sapesse al
riguardo più di quanto non avesse intenzione di dirci.
Tutto ciò ci rese ancor più curiose riguardo a quanto era
intercorso tra lui e la signora vestita di velluto nero, nel breve
ma intenso scambio che aveva preceduto la sua partenza.
Non appena fummo soli, lo esortai a rivelarmi il tutto. Non
ebbe bisogno di molta opera di convincimento.
“Non c'è una particolare ragione per cui non dovrei dirtelo. La
signora ha espresso riluttanza nello scomodarci con la cura
della figlia, dicendo che è di salute cagionevole, e nervosa, ma
non soggetta ad alcun tipo di crisi – ci ha assicurato questo
punto – o alcun tipo di illusione; in realtà, è perfettamente
sana.”
“Che strana affermazione da fare!” lo interruppi. “Non era
affatto necessaria.”
“In ogni caso la frase fu detta,” rise, “e se desideri sapere tutto
ciò che intercorse, che è stato indubbiamente molto poco, te lo
dirò. Ha aggiunto poi 'Sto facendo un lungo viaggio di
importanza vitale – enfatizzò la parola – veloce e segreto;
ritornerò a prendere la mia bambina tra tre mesi; nel frattempo,
lei non dirà nulla su chi siamo, da dove veniamo, e dove stiamo
viaggiando.' Questa è stata l'unica cosa che ha detto. Parlava un
francese molto puro. Quando pronunciò la parola 'segreto', fece
una pausa di qualche secondo, guardandomi con severità, gli
occhi fissi sui miei. Immagino tenga molto a questo punto. Hai
visto quanto è partita in fretta, e spero di non aver fatto una
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cosa molto sciocca, nel prendermi carico della giovane.”
Per quanto mi riguardava, ero deliziata. Non vedevo l'ora di
vederla e parlarle; e aspettavo solo il momento in cui il dottore
me ne avrebbe dato il permesso. Voi, che vivete in città, non
potete avere idea della portata dell'evento che è la
presentazione di una nuova amicizia, in una solitudine quale
quella che ci circondava.
Il dottore non arrivò se non poco prima dell'una; ma non avrei
potuto tornare al mio letto e dormire più di quanto avrei potuto
superare a piedi la carrozza nella quale viaggiava la principessa
vestita di velluto nero.
Quando il medico ci raggiunse nel soggiorno, fu per darci un
bollettino molto positivo riguardo alla sua paziente. Si era
alzata, il polso regolare, apparentemente in perfetta salute. Non
aveva riportato danni, ed il piccolo colpo subito dai sui nervi
era stato superato senza ripercussioni. Non poteva certo esserci
alcun male nel mio incontrarla, se lo desideravamo entrambe;
e, con questo permesso, mi informai subito per sapere se mi
avrebbe concesso di andarla a trovare per qualche minuto nella
sua stanza.
Il servitore ritornò immediatamente per dirmi che non
desiderava altro più di questo.
Potete essere sicuri che non aspettai molto per avvalermi di
questo permesso.
La nostra ospite giaceva in una delle stanze più belle dello
schloss. Era, forse, un po' formale. Vi era, sulla parete opposta
al letto, un arazzo rappresentante Cleopatra che si portava le
aspidi al petto; ed altre solenni scene classiche, un po' sbiadite,
erano rappresentate sugli altri muri. Ma vi erano nelle altre
decorazioni della stanza incisioni dorate, e ricche e
sufficientemente varie nel colore, da redimere più che
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sufficientemente la tetraggine del vecchio arazzo.
Vi erano candele ai lati del letto. Lei era seduta; la sua figura
esile ed aggraziata avviluppata in una morbida vestaglia di seta,
ricamata con dei fiori, e ricoperta da una spessa seta trapuntata
con cui la madre l'aveva coperta mentre giaceva sul terreno.
Quale fu l'elemento che, mentre approcciavo il lato del letto ed
avevo appena iniziato il mio discorsetto di benvenuto, mi
paralizzò per un istante, e mi fece indietreggiare di uno o due
passi da lei? Ve lo dirò.
Vidi il volto preciso che mi aveva fatto visita di notte nella mia
infanzia, e che era rimasto impresso nella mia mente, e sul
quale io avevo per così tanti anni rimuginato spesso con orrore,
quando nessuno sospettava cosa stessi pensando.
Era grazioso, anche bello; ma quando lo vidi per la prima volta,
portava la stessa espressione malinconica.
Ma quasi immediatamente si accese in uno strano fisso sorriso
di riconoscimento.
Vi fu un silenzio che durò un minuto pieno, ed a quel punto
infine lei parlò; io non potevo.
“Che meraviglia!” esclamò. “Dodici anni fa, vidi il tuo volto in
un sogno, e mi ha stregato da allora.”
“Meraviglia invero!” ripetei, superando con uno sforzo l'orrore
che per un certo tempo aveva sospeso il mio discorso. “Dodici
anni fa, in una visione o nella realtà, ti ho certamente visto.
Non potevo dimenticare il tuo volto. E' rimasto davanti ai miei
occhi da allora.”
Il suo sorriso si era ammorbidito. Qualsiasi cosa vi avessi
intravisto di strano, era scomparso, ed esso e le sue guance con
la fossetta erano ora deliziosamente graziose ed intelligenti.
Mi sentii rassicurata, e proseguii sulla strada che l'ospitalità
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indicava, per darle il benvenuto, e dirle quanto piacere avesse
procurato a noi tutti il suo arrivo accidentale, e soprattutto
quale felicità portasse a me.
Presi la sua mano mentre parlavo. Ero un po' timida, come
spesso sono le persone sole, ma la situazione mi rese eloquente,
e anche coraggiosa. Lei mi strinse la mano, ponendo la sua al
di sopra della mia, ed i suoi occhi brillarono, mentre,
guardando rapidamente nei miei, sorrise di nuovo, ed arrossì.
Rispose molto graziosamente al mio benvenuto. Mi sedetti
vicino a lei, ancora pensosa; e lei disse:
“Devo raccontarti della mia visione su di te; è così strano che
tu ed io abbiamo avuto, ognuna dell'altra, un sogno così vivido;
che ognuna abbia visto, io te e tu me, con l'aspetto che abbiamo
ora, quando ovviamente entrambe non eravamo che bambine.
Io ero una bambina, di circa sei anni, e mi svegliai da un sogno
confuso ed agitato, trovandomi in una stanza, diversa dalla mia
nursery, ricoperta goffamente con del legno scuro, e con armadi
e testiere, e sedie, e panche disposte lungo i muri. I letti erano,
credo, tutti vuoti, e anche la stanza vuota al di fuori di me; ed
io, dopo essermi guardata intorno per del tempo, ammirando
soprattutto un candelabro di ferro a due rami che riconoscerei
di certo, scivolai sotto uno dei letti per arrivare alla finestra; ma
mentre sgusciavo da sotto il letto, sentii qualcuno che
piangeva; ed alzando lo sguardo, mentre mi trovavo ancora in
ginocchio, ti vidi – eri sicuramente tu – come ti vedo ora; una
bellissima damigella, con i capelli dorati e grandi occhi azzurri,
e labbra – le tue labbra – tu come sei qui ora.
Il tuo aspetto mi conquistò; mi arrampicai sul letto e misi le
mie braccia intorno a te, e credo che ci addormentammo
entrambe. Fui svegliata da un urlo; ti eri alzata urlando. Ebbi
paura, e scivolai per terra, e, mi sembrò, persi conoscenza per
un attimo; e quanto tornai in me, ero di nuovo nella mia
23
nursery a casa. Non ho dimenticato il tuo volto da allora. Non
potrei essere confusa da una mera somiglianza. Tu sei la dama
che io vidi allora.
Toccava ora a me raccontare la mia visione corrispondente,
cosa che feci, per lo stupore palese della mia nuova
conoscenza.
“Non so quale dovrebbe più avere paura dell'altra,” disse,
sorridendo nuovamente - “Se tu fossi meno bella direi che avrei
molta paura di te, ma essendo tu come sei, e sia tu che io così
giovani, sento solo di averti conosciuto dodici anni fa, e di
avere già diritto ad essere tua amica intima; in ogni caso
sembrerebbe che fosse destino, dalla nostra primissima
infanzia, che diventassimo amiche. Mi domando se tu ti senta
stranamente attratta da me come io da te; non ho mai avuto
un'amica – ne troverò una ora?” Sospirò, ed i suoi occhi neri ed
eleganti mi fissarono appassionatamente.
Ora la verità è che i miei sentimenti nei confronti della bella
forestiera erano piuttosto indescrivibili. Mi sentivo, come
diceva lei, “attratta nei suoi confronti”, ma vi era anche una
certa repulsione. In questo sentimento ambiguo, tuttavia, il
senso di attrazione prevaleva immensamente. Mi interessava e
mi conquistava; era così bella e così indescrivibilmente
coinvolgente.
Percepivo ora che la stavano prendendo un certo languore ed
una certa stanchezza, e mi affrettai ad augurarle la buona notte.
“Il dottore crede,” aggiunsi, “che dovresti avere una cameriera
che dorma con te stanotte; una delle nostre sta aspettando, e
troverai che è una creatura molto servizievole e silenziosa.”
“E' un pensiero davvero gentile da parte tua, ma non potrei
dormire, non ci sono mai riuscita, con un'attendente nella
stanza. Non avrò bisogno di alcuna assistenza – e, confesserò la
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mia debolezza, sono perseguitata dal terrore dei ladri. La nostra
casa è stata derubata una volta, e due servitori assassinati,
quindi chiudo sempre a chiave la mia porta. E' diventata
un'abitudine – e sembri così gentile che so che mi perdonerai.
Vedo che c'è una chiave nella serratura.”
Mi strinse vicina a sé con le sue belle braccia per un momento
e mi sussurrò all'orecchio “Buona notte, cara, è molto difficile
separarsi da te, ma buona notte; domani, ma non di prima
mattina, ci rivedremo.”
Affondò nuovamente sul cuscino con un sospiro, ed i suoi
occhi eleganti mi seguirono con uno sguardo tenero e
malinconico, e sussurrò di nuovo “Buona notte, cara amica.”
I giovani si invaghiscono, e amano anche, di impulso. Io ero
onorata dall'evidente, per quanto ancora immeritato, affetto che
mi riservava. Mi piaceva la confidenza con la quale mi aveva
immediatamente accolto. Era determinata a far sì che fossimo
molto amiche.
Il giorno seguente arrivò e ci incontrammo di nuovo. Ero
deliziata della mia compagnia; almeno, per molti versi.
Il suo aspetto non perdeva nulla del suo fascino con la luce del
giorno – era sicuramente la creatura più bella che avessi mai
visto, e lo spiacevole ricordo del volto presentatosi nel mio
sogno infantile aveva perso l'effetto del primo inatteso
riconoscimento.
Lei confessò di aver provato un simile colpo nel vedere me, e
precisamente la medesima vaga antipatia che si era poi confusa
con mia ammirazione per lei. Ora ridevamo insieme dei nostri
orrori momentanei.
25
IV
Le sue abitudini – Una passeggiata
Vi ho detto che ero affascinata da lei nella maggior parte delle
sue caratteristiche.
Alcune non mi piacevano poi così tanto.
Era più alta dell'altezza media delle donne. Comincerò a
descriverla.
Era esile, e meravigliosamente aggraziata. Se non fosse per il
fatto che i suoi movimenti erano languidi – molto languidi –
invero, nulla del suo aspetto indicava una persona invalida. Il
suo incarnato era ricco e luminoso; le sue fattezze erano minute
e ben disegnate; i suoi occhi grandi, scuri, e lucenti; i suoi
capelli erano decisamente meravigliosi, non ho mai visto
capelli folti e lunghi in maniera così magnifica come quando
ricadevano sciolti sulle sue spalle; spesso ho posto le mani
sotto la sua chioma, ridendo con stupore del suo peso. I suoi
capelli erano squisitamente sottili e morbidi, e per quanto
riguardava il colore di un ricco marrone scuro, con qualcosa di
dorato. Amavo scioglierli, lasciandoli ricadere per il loro peso,
mentre, nella sua stanza, sedeva reclinata su una sedia,
parlando con la sua dolce voce bassa; ero solita pettinare ed
intrecciare la sua chioma, sparpagliarla per giocarci. Cielo! Se
avessi saputo tutto!
Ho affermato che vi erano dei particolari che non mi
piacevano. Vi ho detto che la sua confidenza mi conquistò dalla
prima notte in cui la vidi; ma trovai che nei confronti di sé, di
sua madre, della sua storia, e di fatto riguardo a qualsiasi cosa
fosse legata alla sua vita, ai suoi piani, alle persone conosciute,
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esercitava un riserbo sempre attento. Oserei dire che non ero
ragionevole, forse avevo torto; oserei dire che forse avrei
dovuto rispettare l'ingiunzione solenne posta su mio padre dalla
formale signora vestita di velluto nero. Ma la curiosità è una
passione senza pace e senza scrupoli, e non vi è ragazza che
possa sopportare, con pazienza, che la sua possa essere
interdetta da un'altra. Che male poteva fare dirmi quanto
desideravo sapere così ardentemente? Non aveva lei alcuna
fiducia nel mio buonsenso e nel mio onore? Perché non poteva
credermi quando le assicuravo, così solennemente, che non
avrei divulgato ad alcun mortale vivente una sola sillaba di
quello che mi avrebbe rivelato?
Vi era, mi sembrava, una freddezza non consona alla sua età
nel suo sorridente, malinconico e persistente rifiuto di
accordarmi un minimo raggio di luce.
Non posso dire che litigavamo su questo punto, perché non
avrebbe litigato su nulla. Pressarla era, ovviamente, molto
ingiusto da parte mia, molto scortese, ma non potevo
veramente farne a meno; ma avrei ugualmente potuto lasciar
perdere.
Quanto mi disse ammontava, nella mia esorbitante stima – a
niente.
Si poteva interamente riassumere in tre affermazioni molto
vaghe:
Primo – il suo nome era Carmilla.
Secondo – la sua famiglia era molto antica e nobile.
Terzo – la sua casa si trovava in direzione dell'Ovest.
Non era intenzionata a rivelarmi il nome della sua famiglia, né
il suo stemma, né il nome della loro tenuta, e neanche quello
della nazione in cui vivevano.
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Non dovete pensare che io la importunassi incessantemente su
questi argomenti. Aspettavo il momento opportuno, e insinuavo
invece di pressarla con le mie ricerche. In una o due occasioni,
invero, la attaccai in maniera più diretta. Ma a prescindere dalle
mie tattiche, il risultato era invariabilmente un completo
fallimento. Rimproveri e blandizie erano ugualmente del tutto
inutili con lei. Ma devo aggiungere questo, che la sua evasività
era portata avanti con un suo schermirsi così grazioso e
malinconico, con così numerose e anche appassionate
dichiarazioni della sua stima per me, e della sua fiducia nel mio
onore, e con così tante promesse che alla fine avrei saputo
tutto, che non riuscivo a trovare nel mio cuore la capacità di
restare offesa nei suoi confronti per molto tempo.
Era solita piazzare le sue belle braccia intorno al mio collo,
attirarmi a sé, e sussurrarmi con le labbra all'orecchio,
appoggiando la guancia alla mia, “Carissima, il tuo cuoricino è
ferito; non pensarmi crudele perché obbedisco alla legge
irresistibile della mia forza e debolezza; se il tuo caro cuore è
ferito, il mio cuore selvaggio sanguina con il tuo. Nel
rapimento della mia enorme umiliazione io vivo nella tua calda
vita, e tu morirai – morirai, dolcemente morirai – nella mia.
Non posso farne a meno; mentre mi avvicino a te, tu, a tua
volta, ti avvicinerai ad altri, ed imparerai il rapimento di quella
crudeltà, che tuttavia è amore; così, per un po', non cercare di
sapere di più su di me e sui miei, ma fidati di me con tutto il
tuo spirito amoroso.”
E dopo aver pronunciato una simile rapsodia, mi stringeva più
vicina a sé nel suo abbraccio tremante, e premeva le sue labbra
in morbidi baci sulla mia guancia.
Le sue agitazioni e le sue parole mi erano inintelligibili.
Da questi folli abbracci, che non erano di occorrenza molto
frequente, devo ammettere, desideravo solitamente liberarmi;
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ma le energie sembravano venirmi meno. Le sue parole
sussurrate erano come una nenia al mio orecchio, e
acquietavano la mia resistenza in una trance, dalla quale
sembravo riprendermi solo quando ritraeva le braccia.
Quando era di questo umore misterioso non mi piaceva.
Provavo una strana tumultuosa eccitazione che era piacevole,
mista, ogni tanto, ad un vago senso di paura e disgusto. Non
avevo pensieri distinti su di lei mentre duravano simili scene,
ma ero consapevole di un amore che cresceva verso
l'adorazione, e anche di una repulsione. So che questo è un
paradosso, ma non saprei fare altri tentativi di spiegazione
riguardo a quella sensazione.
Io ora scrivo, dopo un intervallo di più di dieci anni, con mano
tremante, con il ricordo confuso ed orribile di alcuni
avvenimenti e situazioni, dell'ordalia che stavo inconsciamente
attraversando; anche se il ricordo del filone principale della
mia storia è ancora molto vivido.
Ma sospetto che nelle nostre vite vi siano alcune scene
emotive, in cui le nostre passioni sono state sollecitate nel
modo più selvaggio e terribile, che tra tutte le altre sono poi
quelle che ricordiamo nella maniera più vaga e fioca.
A volte dopo un'ora di apatia, la mia strana e bella compagnia
era solita prendermi la mano e stringerla con una pressione
affettuosa, rinnovata di tanto in tanto; arrossendo leggermente,
fissando il mio volto con occhi languidi e accesi, respirando
così velocemente che il suo vestito si alzava e ricadeva per il
tumultuoso affanno. Era come l'ardore di un amante; mi
imbarazzava; era odioso e ciononostante mi sopraffaceva; e
con occhi trionfanti mi attirava a sé, e le sue labbra calde
viaggiavano lungo la mia guancia baciandomi; ed era solita
sussurrare, quasi singhiozzando, “Tu sei mia, tu sarai mia, tu
ed io siamo una cosa sola per sempre.” Poi si ritirava sulla
29
sedia, coprendosi gli occhi con le sue manine, lasciandomi
tremante.
“Siamo parenti?” ero solita chiedere; “Cosa intendi con tutto
ciò? Forse ti ricordo qualcuno che ami; ma non devi fare così,
lo odio; non ti conosco – non conosco me stessa quando hai
questo aspetto e parli in questo modo.”
Sospirava alla mia veemenza, per poi voltarsi e lasciar cadere
la mia mano.
In merito a queste manifestazioni molto fuori dal comune,
tentavo invano di costruire una teoria soddisfacente – non
potevo ricondurle ad affettazione o ad un inganno. Era senza
dubbio la momentanea fuoriuscita di un istinto represso e di
un'emozione. Forse, nonostante le volontarie smentite della
madre, era oggetto di momentanei momenti di insania; o c'era
forse un travestimento ed una questione romantica? Avevo letto
in vecchi libri storie di cose simili. Forse un amante maschile si
era introdotto nella casa, e cercava di raggiungere il suo
obiettivo con un travestimento, con l'assistenza di un'astuta
vecchia avventuriera. Ma c'erano molte cose contro questa
ipotesi, per quanto apparisse molto interessante alla mai vanità.
Non potevo vantare le piccole attenzioni che la galanteria
maschile si compiace di offrire. Tra questi momenti
appassionati vi erano lunghi intervalli di quotidianità, allegria,
pensosa malinconia, durante i quali, se non fosse per i suoi
occhi che scorgevo mentre mi seguivano, pieni di fuoco
malinconico, a volte sembravo non essere niente per lei.
Eccettuati questi brevi periodi di misteriosa eccitazione, i suoi
modi erano femminei; e c'era sempre in lei un languore
piuttosto incompatibile con un sistema maschile in uno stato di
salute.
Per certi versi le sue abitudini erano bizzarre. Forse non così
singolari nell'opinione di una dama di città come voi, di quanto
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apparissero a noi, gente rustica. Era solita scendere molto tardi,
generalmente non prima dell'una, per poi bere una tazza di
cioccolata, senza mangiare alcunché; uscivamo poi per una
camminata, che era una mera passeggiata, ma lei appariva
quasi immediatamente esausta, e o ritornava allo schloss o si
sedeva su una delle panchine sistemate qua e là tra gli alberi.
Questo era un languore del tutto fisico al quale non partecipava
la sua mente. Era sempre una conversatrice animata, e molto
intelligente.
Alludeva a volte per un istante alla propria casa, o menzionava
un'avventura o una situazione, o un vecchio ricordo, che
indicava un popolo dagli strani costumi, e descriveva abitudini
delle quali nulla sapevamo. Da questi indizi fortuiti conclusi
che il suo paese natale doveva essere molto più remoto di
quanto non avessi pensato in prima battuta.
Mentre sedevamo così sotto gli alberi, un pomeriggio fummo
superate da un corteo funebre. Si trattava del funerale di una
ragazza giovane e carina che avevo visto spesso, la figlia di
uno dei guardiacaccia della foresta. Il pover'uomo camminava
dietro al feretro della sua diletta; era la sua unica figlia, ed
aveva l'aspetto di un uomo dal cuore spezzato.
Coppie di contadini lo seguivano, cantando un inno funebre.
Mi alzai per porgere i miei rispetti mentre passavano, e mi unii
all'inno che stavano cantando con tanta dolcezza.
La mia compagna mi scosse un po' bruscamente, e mi voltai
sorpresa.
Mi disse bruscamente, “Non ti accorgi di quanto sia stonato?”
“Al contrario, credo sia molto dolce” risposi, interdetta
dall'interruzione, e molto a disagio, timorosa che le persone che
formavano la piccola processione potessero vedere e risentirsi
di quanto stava accadendo.
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Ripresi quindi istantaneamente il mio canto, e fui nuovamente
interrotta. “Perfori i miei timpani,” disse Carmilla, quasi
rabbiosamente, tappandosi le orecchie con le piccole dita.
“Inoltre, da cosa deduci che la tua religione e la mia siano la
stessa cosa; i tuoi riti mi feriscono, ed io odio i funerali. Quante
storie! Perché bisogna morire – tutti devono morire; e tutti sono
molto più felici quando ciò accade. Vieni a casa.”
“Mio padre si è recato al cimitero insieme al prete. Pensavo
sapessi che sarà sepolta oggi.”
“Chi? Non preoccupo la mia testa con le sorti dei contadini.
Non so chi sia,” risposi Carmilla, con un lampo nei suoi occhi
eleganti.
“E' la povera ragazza che pensava di aver visto un fantasma un
paio di settimane fa, ed è stata sul punto di morte da allora, fino
a ieri, quando è spirata.”
“Non dirmi nulla di fantasmi. Non dormirò stanotte se lo farai.”
“Spero non ci sia una pestilenza o una febbre in arrivo; eppure
sembrerebbe che sia proprio così,” continuai. “La giovane
moglie del porcaio è morta solo una settimana fa, e pensava
che qualcosa l'avesse afferrata per la gola mentre giaceva a
letto, quasi soffocandola. Mio papà dice che simili orribili
incubi accompagnano alcune forme di febbre. Stava piuttosto
bene il giorno precedente. Dopo è come affondata, ed è morta
prima che passasse una settimana.”
“Bene, il suo funerale è terminato, spero, ed il suo inno è stato
cantato; e le nostre orecchie non saranno torturate da quella
stonatura e da quel gergo. Mi ha innervosito. Siediti qui, vicino
a me; siediti vicino; tieni la mia mano; stringila forte – forte –
più forte.”
Ci eravamo leggermente spostate indietro, ed eravamo arrivate
ad un altro sedile.
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Si sedette. Il suo volto subì un cambiamento che mi allarmò
fino a terrorizzarmi per un momento. Si oscurò, e divenne
orribilmente livido; le sue mani ed i suoi denti erano serrati, il
volto aggrottato e le labbra contratte, mentre fissava il terreno
ai suoi piedi, tremando in tutto il corpo di un brivido continuo,
quasi malarico, che non poteva essere represso. Tutte le sue
energie sembravano tese allo scopo di contenere una crisi, con
la quale stava combattendo fino a restare senza fiato; e alla fine
lanciò un basso grido convulso di dolore, prima che l'isteria
cominciasse a scemare. “Ecco! Questo è quello che succede
dallo strangolare le persone con gli inni!” disse infine.
“Tienimi, tienimi ferma. Sta passando.”
E così fu; e forse per dissipare la grave impressione che lo
spettacolo aveva lasciato su di me, divenne animata e ciarliera
in maniera inusuale; e così giungemmo a casa.
Questa fu la prima volta in cui la vidi esibire sintomi definiti di
quella delicatezza di costituzione della quale ci aveva parlato
sua madre. Era anche la prima volta che la vedevo esibire
qualcosa di simile ad uno scatto d'ira.
Entrambe le cose passarono via come una nube estiva; e mai se
non una volta dopo quell'episodio fui testimone di un
momentaneo segno di rabbia da parte sua. Vi dirò come
avvenne.
Lei ed io eravamo affacciate ad una delle lunghe finestre del
soggiorno, quando entrò nel cortile, oltre al ponte levatoio la
figura di un viandante che conoscevo bene. Era solito fare
visita allo schloss più o meno due volte all'anno.
Era la figura di un gobbo, dalle fattezze acute e magre che
generalmente si accompagnano alla deformità. Portava un
pizzetto nero, e sorrideva da un orecchio all'altro, mostrando i
suoi denti bianchi. Era vestito di camoscio, nero e scarlatto, e
sul suo corpo si incrociavano più cinghie e cinture di quante
33
riuscissi a contare, dalle quali pendevano gli oggetti più vari.
Dietro, trasportava una lanterna magica, e due scatole, che
conoscevo bene, che contenevano l'una una salamandra, l'altra
una mandragora. Questi mostri erano soliti suscitare il riso di
mio padre. Erano composti di parti di scimmie, pappagalli,
scoiattoli, pesci e ricci, seccati e ricuciti con molta arte per
generare un effetto sorprendente. Aveva un piffero, una scatola
da prestigiatore, un paio di fioretti e maschere attaccati alla
cintura, molti scrigni piccoli e misteriosi che gli penzolavano
intorno, ed in mano un bastone nero con borchie di rame. Suo
compagno era un ruvido cane meticcio, che lo seguiva passo
passo, ma che si fermò improvvisamente e sospettoso al ponte
levatoio, per poi cominciare poco dopo ad ululare in maniera
agghiacciante.
Nel frattempo il saltimbanco, dal centro del cortile, sollevò il
suo grottesco cappello e ci rivolse un inchino molto
cerimonioso, porgendoci loquacemente i suoi complimenti in
un francese esecrabile, ed in un tedesco appena migliore.
Poi, slacciando il suo flauto, cominciò ad arrangiare un'aria
vivace che accompagnava cantando con allegra stonatura, con
atteggiamenti e gesti ridicoli, che mi fecero ridere nonostante
gli ululati del cane.
Avanzò poi in direzione della finestra con molti sorrisi e saluti,
il cappello nella mano sinistra ed il piffero sotto braccio, e con
una scioltezza che non prendeva mai respiro, sproloquiò una
lunga pubblicità delle sue imprese, e le risorse delle varie arti
che poneva al nostro servizio, e le curiosità ed i divertimenti
che era nel suo potere inscenare su nostra richiesta.
“Vogliono le signore compiacersi di acquistare un amuleto
contro l'upiro, che a quanto dicono, sta attraversando come un
lupo questi boschi,” disse, lasciando cadere il cappello sul
pavimento. “Muoiono di questa malattia a destra ed a manca, e
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qui v'è un amuleto che non fallisce mai; anche solo cucito al
cuscino, e potrete ridergli in faccia.”
Questi amuleti consistevano in strisce ovali di pelle, ornate con
cifre e diagrammi cabalistici.
Carmilla ne acquistò subito uno, e così feci io.
Egli guardava verso l'alto, e noi sorridevamo verso il basso
nella sua direzione, divertite; almeno, per quanto mi riguarda.
Il suo penetrante occhio nero, mentre guardava su verso i nostri
volti, sembrò scorgere qualcosa che fissò la sua curiosità per un
istante.
In un istante srotolò una custodia di pelle, ripiena di ogni tipo
di bizzarri piccoli strumenti di acciaio.
“Guardate qui, mia signora,” disse, mostrandola e rivolgendosi
a me, “Tra le altre arti meno utili, pratico l'arte del dentista.
Peste colga quel cane!” interpolò. “Silenzio, bestia! Ulula a tal
punto che sua signoria può appena sentire una parola. La vostra
nobile amica, la giovane dama alla vostra destra, ha denti
davvero aguzzi – lunghi, sottili, a punta, come punteruoli,
come aghi; ha, ha! Con la mia vista lunga ed acuta, guardando
verso l'alto, li ho visti bene; ora se dolgono alla giovane dama,
come credo facciano, eccomi qui, ecco la mia lima, il mio
trapano, le mie pinze; li renderò tondi e smussi, se piace a sua
signoria; non più denti da pesce, ma quelli di una splendida
fanciulla quale è. Ehi? La damigella è dispiaciuta? Sono stato
troppo ardito? L'ho forse offesa?”
La ragazza, invero, appariva molto irata mentre si allontanava
dalla finestra.
“Come osa quel saltimbanco insultarci così? Dove è tuo padre?
Gli chiederò un risarcimento. Mio padre avrebbe legato questo
sciagurato alla pompa dell'acqua e dopo averlo fustigato con
una frusta da calesse lo avrebbe bruciato fino all'osso con il
35
marchio del castello!”
Si ritrasse dalla finestra di uno o due passi, si sedette, e aveva
appena perso di vista colui che l'aveva offesa che la sua furia
scemò all'improvviso come era montata, e gradualmente riprese
il suo solito tono e apparve dimenticarsi del piccolo gobbo e
delle sue follie.
Mio padre era giù di corda quella sera. Nel rientrare ci raccontò
che vi era stato un altro caso molto simile ai due casi fatali che
erano occorsi di recente. La sorella di un giovane contadino
della sua tenuta, a solo un miglio di distanza, era molto
ammalata, ed era stata attaccata, come descriveva, praticamente
nello stesso modo, e stava ora lentamente ma inesorabilmente
affondando.
“Tutto ciò” disse mio padre, “è strettamente riconducibile a
cause naturali. Questa povera gente si infetta a vicenda con le
loro stesse superstizioni, e così ripete nell'immaginazione le
immagini del terrore che ha provocato nei loro vicini.”
“Ma questo stesso fatto è di per sé terrificante,” disse Carmilla.
“In che modo?” chiese mi padre.
“Ho così tanta paura di immaginare di vedere simili cose; credo
che sarebbe altrettanto terribile della realtà.”
“Siamo nelle mani di Dio: niente può accadere senza il suo
consenso, e tutto finirà bene per coloro che lo amano. Egli è il
nostro fedele creatore; Egli ha fatto tutti noi, e si prenderà cura
di noi.”
“Creatore! Natura!” disse la giovane in risposta al mio padre
gentile. “E questa malattia che invade la regione è naturale. La
Natura. Ogni cosa viene dalla Natura – non è così? Tutte le
cose in cielo, in terra, e sotto la terra, agiscono e vivono come
Natura ordina? Io lo credo.”
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“Il medico ha detto che verrà qui oggi,” disse mio padre, dopo
un po' di silenzio. “Voglio conoscere la sua opinione a
riguardo, e cosa crede che sia la cosa migliore da fare.”
“I medici non mi hanno mai aiutato” disse Camilla.
“Quindi sei stata malata?” chiesi.
“Più malata di quanto tu non sia mai stata,” rispose.
“Molto tempo fa?”
“Si, molto tempo fa. Ho sofferto di questa stessa malattia; ma
dimentico ogni cosa salvo il mio dolore e la mia debolezza, e
non erano pesanti quanto quelle di altre malattie.”
“Eri molto giovane all'epoca allora?”
“Oserei dire, non parliamone più. Non vorrai ferire un'amica?”
Mi guardò languidamente negli occhi, e passò amorevolmente
un braccio intorno alla mia vita, conducendomi fuori dalla
stanza. Mio padre era chino su alcune carte vicino alla finestra.
“Perché a tuo padre piace spaventarci?” chiese la bella ragazza
con un sospiro ed un piccolo brivido.
“Non è così, cara Carmilla, è l'ultima cosa che gli passa per la
mente.”
“Non hai paura, carissima?”
“Lo sarei molto se sospettassi che ci fosse il pericolo reale di
essere attaccata come è accaduto a quelle povere persone.”
“Hai paura di morire?”
“Si, tutti hanno paura di morire.”
“Ma morire come possono farlo gli amanti – morire insieme,
per poter vivere insieme.
Le fanciulle sono millepiedi mentre vivono nel mondo, per
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essere finalmente farfalle quando arriva l'estate; ma nel
frattempo vi sono bruchi e larve, non vedi – ognuno con le sue
peculiari inclinazioni, necessità e struttura. Così dice Monsieur
Buffon, nel suo grande libro, nella stanza accanto.
Più avanti quel giorno arrivò il medico, e rimase chiuso con
mio padre per del tempo.
Era un uomo abile, di sessant'anni o più, si profumava di talco
e si rasava il volto pallido in modo da renderlo liscio come una
zucca. Lui e papà emersero dalla stanza insieme, e sentii mio
padre ridere, e dire mentre uscivano:
“Devo dire, mi stupisco di un uomo saggio come voi. Cosa ne
pensate degli ippogrifi e dei draghi?”
Il medico sorrideva, e rispose, scuotendo la testa “Ciononostante, la vita e la morte sono condizioni misteriose, e
sappiamo ben poco delle risorse di entrambe.”
E così discorrendo proseguirono oltre, e non sentii altro. Non
sapevo all'epoca cosa avesse menzionato il medico, ma ora
credo di poterlo indovinare.
38
V
Una straordinaria somiglianza
Quel pomeriggio arrivò da Gratz il figlio del restauratore di
dipinti, grave e scuro in faccia, con il cavallo ed il carretto
ingombro di due grandi bauli da viaggio, ciascuno contenente
molti dipinti. Era un viaggio di dieci leghe, e ogni volta che
arrivava allo schloss un messaggero dalla nostra piccola
capitale di Gratz eravamo soliti affollarci intorno a lui
nell'ingresso, per sentire le novità.
Il suo arrivo creò un bel vociare nei nostri quartieri privati. I
bauli restarono nell'ingresso, ed i servitori si occuparono del
messaggero fino a quando non ebbe cenato. Allora con degli
assistenti, e armato di martello, cesello e cacciavite, si incontrò
con noi nell'ingresso, dove ci eravamo riuniti per essere
presenti all'apertura dei bauli.
Carmilla sedeva guardando davanti a sé svogliatamente, mentre
uno dopo l'altro i vecchi quadri, quasi tutti ritratti, che erano
stati restaurati, venivano portati alla luce. Mia madre
apparteneva ad un'antica famiglia ungherese, e la maggior parte
di questi quadri, che stavano per essere riportati nel loro luogo
di origine, erano arrivati a noi tramite lei.
Mio padre aveva in mano una lista, dalla quale leggeva, mentre
l'artista frugava per tirar fuori i numeri corrispondenti. Non so
se i dipinti fossero di buona fattura, ma erano, indubbiamente,
molto antichi, ed alcuni anche piuttosto bizzarri. La maggior
parte di essi aveva, soprattutto, il vantaggio di essere visti da
me per la prima volta; poiché il fumo e la polvere del tempo li
aveva quasi del tutto cancellati.
“Vi è un quadro che ancora non ho visto,” disse mio padre. “In
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un angolo, in alto, si trova il nome, per come potevo leggerlo,
'Marcia Karnstein' e la data '1698'; e sono curioso di vedere
come è diventato.”
Lo ricordavo; era un quadro molto piccolo, alto circa un piede
e poco più, e quasi quadrato, senza una cornice; ma era così
annerito dal tempo che non riuscivo a distinguerne il disegno.
L'artista lo tirò fuori ora, con evidente orgoglio. Era davvero
molto bello; era sorprendente; sembrava animato. Era il ritratto
di Carmilla!
“Carmilla, cara, questo è un vero miracolo. Eccoti qua, vivente,
sorridente, pronta a parlare, in questo quadro. Non è bellissimo,
papà? E guarda, anche il piccolo neo sulla gola.”
Mio padre rise, e disse “Certamente è una straordinaria
somiglianza,” ma distolse lo sguardo, e con mia grande
sorpresa apparve piuttosto colpito da questo fatto, e continuò a
conversare con il restauratore, che era anche un artista, e
discorreva con competenza dei ritratti e di altri lavori, che la
sua arte aveva appena riportato alla luce ed al colore, mentre io
era sempre più persa nello stupore mentre continuavo a
guardare il dipinto.
“Mi lascerai appendere questo quadro nella mia stanza, papà?”
chiesi.
“Certo, cara,” mi disse, sorridendo, “Sono molto contento che
tu lo trovi così somigliante. Deve essere più bello di quanto
non pensassi, se è così.”
La fanciulla non fece cenno di aver inteso, o anche sentito, il
complimento. Sedeva reclinata sulla sedia, con gli occhi
eleganti che mi fissavano in contemplazione sotto le lunghe
ciglia, e sorrise come in una specie di torpore.
“E ora si legge piuttosto chiaramente il nome scritto
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nell'angolo.
Non è Marcia; sembra come se fosse stato scritto in oro. Il
nome è Mircalla, Contessa Karnstein, e vi è una coroncina
sopra e sotto la data AD 1698. Io discendo dai Karnstein;
ovvero, mamma discendeva da loro.”
“Ah!” disse la fanciulla, languidamente, “anche io, credo, una
discendenza molto lunga, molto antica. Ci sono Karnstain
viventi al momento?”
“Nessuno che rechi quel nome, credo. La famiglia cadde in
disgrazia, credo, in qualche guerra civile, molto tempo fa, ma
le rovine del castello si trovano a sole tre miglia di distanza.”
“Interessante!” disse, languidamente. “Ma guarda che bella
luna!” Lanciò uno sguardo attraverso la porta d'ingresso, che
era socchiusa. “Vogliamo fare una piccola passeggiata intorno
al cortile, e guardar giù verso la strada ed il fiume?”
“E' molto simile alla notte in cui arrivasti a noi,” dissi.
Sospirò, sorridendo.
Si alzò in piedi, e ognuna con un braccio intorno alla vita
dell'altra, uscimmo fuori sul selciato.
In silenzio, lentamente passeggiammo per il ponte levatoio,
dove lo splendido paesaggio si apriva davanti a noi occhi.
“E così stavi pensando alla notte in cui sono giunta qui?” quasi
sussurrò.
“Sei contenta che io sia venuta?”
“Deliziata, cara Carmilla,” risposi.
“E hai chiesto di appendere nella tua stanza il quadro che ti
sembra mi assomigli,” mormorò con un sospiro, mentre
stringeva il braccio intorno alla mia vita e lasciava che la sua
bella testa si appoggiasse alla mia spalla. “Come sei romantica,
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Carmilla,” dissi. “Ogni volta che mi racconti la tua storia,
sembra composta dalle vicende di un qualche romanzo.”
Mi baciò in silenzio.
“Sono sicura, Carmilla, che tu sia stata innamorata; che c'è, in
questo momento, una questione di cuore in corso.”
“Non sono mai stata innamorata di nessuno, e non lo sarò mai,”
sussurrò, “se non dovesse essere di te.”
Come appariva bella nella luce della luna!
Fu timido e strano lo sguardo con cui nascose rapidamente il
volto nel mio collo e nei miei capelli, con sospiri tumultuosi,
quasi singhiozzanti, e premette nella mia una mano che
tremava.
La sua morbida guancia bruciava contro la mia. “Cara,
cara,”sussurrava, “Io vivo in te; e tu moriresti per me, ti amo
così tanto.”
Mi allontanai da lei.
Mi fissava con occhi dai quali era volato via ogni fuoco, ogni
intenzione, il volto incolore ed apatico.
“C'è un vento freddo nell'aria, cara?” mi disse, parlando come
nel sonno. “Ho quasi i brividi; stavo forse sognando?
Rientriamo. Vieni; vieni; entra.”
“Sembri ammalata, Carmilla; un po' pallida. Dovresti
indubbiamente bere un po' di vino,” dissi.
“Si, lo farò. Mi sento meglio ora. Starò bene tra qualche
minuto. Si, ti prego, versami un po' di vino,” rispose Carmilla,
mentre ci avvicinavamo alla porta.
“Voltiamoci nuovamente per un momento; forse, questa è
l'ultima volta che vedrò la luce della luna insieme a te.”
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“Come ti senti ora, cara Carmilla? Ti senti davvero meglio?”
chiesi.
Stavo cominciando ad allarmarmi, temendo che potesse essere
stata colpita dalla strana epidemia che dicevano aver invaso la
campagna intorno a noi.
“Mio padre sarebbe addolorato oltre misura,” aggiunsi, “se
dovesse pensare che tu sia anche solo indisposta, senza
comunicarcelo immediatamente. Vicino a noi c'è un dottore
molto bravo, il medico che si trovava con mio padre oggi.”
“Sono sicura che egli sia molto bravo. So quanto voi tutti siate
gentili; ma, cara ragazza, sto nuovamente benissimo. Non c'è
niente che non vada in me, se non un po' di debolezza.
Le persone mi definiscono languida; non sono capace di alcuno
sforzo; posso appena camminare la distanza che fiaccherebbe
un bambino di tre anni: e ogni tanto la poca forza che ho viene
meno, e divento come mi hai appena visto. Ma tutto sommato è
facile rimettermi in piedi; in un momento sono nuovamente me
stessa. Guarda come mi sono ripresa.”
Ed effettivamente così era; e lei ed io parlammo molto, ed era
molto animata; e quanto restava della sera trascorse senza che
tornassero quelle che io chiamavo le sue infatuazioni. Intendo
cioè i suoi discorsi e le sue occhiate folli, che mi
imbarazzavano e spaventavano anche.
Ma avvenne quella notte un evento che diede una nuova piega
ai miei pensieri, e sembrò scuotere anche la natura languida di
Carmilla in una momentanea energia.
43
VI
Un'agonia molto strana
Quando arrivammo nel soggiorno, e ci sedemmo per bere le
nostre tazze di caffè e cioccolata, e nonostante Carmilla non ne
volesse, sembrava nuovamente in sé, e Madame e
Mademoiselle De Lafointaine si unirono a noi, per una piccola
partita a carte, ed a quel punto sopraggiunse naturalmente
anche papà per quello che chiamava “il suo sorso di tè”.
Quando la partita terminò si sedette accanto a Carmilla sul
divano, chiedendole, un po' ansiosamente, se avesse avuto
notizie della madre dal suo arrivo.
Lei rispose “No.”
Allora egli chiese se sapesse dove potesse essere raggiunta al
momento con una lettera.
“Non saprei dirlo,” rispose lei ambiguamente, “ma stavo
considerando di lasciarvi; siete già stati fin troppo ospitali e
gentili nei miei confronti. Vi ho portato un'infinità di guai, e
potrei considerare di prendere una carrozza domani, e
lanciarmi al suo inseguimento; so dove la troverò infine, per
quanto io non osi dirvelo.”
“Ma non devi neanche pensare una cosa del genere,” esclamò
mio padre, con mio grande sollievo. “Non possiamo
permetterci di perderti in questo modo, e non acconsentirò alla
tua partenza, se non sotto la cura di tua madre, che è stata tanto
gentile da acconsentire alla tua permanenza fino al suo ritorno.
Sarei più contento se sapessi che hai avuto notizie da lei; ma
questa sera le notizie dell'avanzamento della misteriosa
malattia che ha invaso i paraggi diventano ancor più allarmanti;
e mia bellissima ospite, io sento molto la responsabilità del
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caso, senza l'aiuto di un consiglio da parte di tua madre. Ma
farò del mio meglio; e una cosa è certa, che non devi pensare di
lasciarci senza una sua precisa indicazione in merito.
Soffriremmo troppo della tua partenza per consentirtela così
facilmente.”
“Mille volte grazie, signore, per l'ospitalità,” rispose,
sorridendo timidamente. “Siete stati tutti troppo gentili con me,
e raramente sono stata così felice in vita mia prima d'ora, come
nel vostro bellissimo castello, sotto la vostra cura, ed in
compagnia della vostra cara figlia.”
Così lui galantemente, nella sua maniera antiquata, le baciò la
mano, sorridente e compiaciuto del suo discorsetto.
Come al solito accompagnai Carmilla alla sua stanza, e mi
sedetti a parlare con lei mentre si preparava a coricarsi.
“Credi,” dissi ad un certo punto, “che confiderai mai
pienamente in me?”
Lei si voltò sorridendo, ma non rispose, continuò soltanto a
sorridermi.
“Non risponderai a questo?” dissi. “Non puoi rispondere
garbatamente; non avrei dovuto chiedertelo.”
“Avevi tutte le ragioni per chiedermi questo, o qualsiasi cosa.
Non sai quanto mi sei cara, o non crederesti alcuna confidenza
troppo grande da chiedere.
Ma ho fatto dei voti, due volte più atroci di quelli di una suora,
e non oso ancora raccontarti la mia storia, neanche a te. Il
tempo in cui saprai tutto è molto vicino. Mi penserai crudele,
molto egoista, ma l'amore è sempre egoista; tanto più bruciante
quanto più egoista. Quanto io sia gelosa non puoi saperlo. Devi
venire con me, amandomi, alla morte; o odiarmi e comunque
venire con me, e odiandomi attraverso la morte e oltre. Non
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esiste la parola indifferenza nella mia natura apatica.”
“Adesso, Carmilla, stai nuovamente cominciando a fare i tuoi
selvaggi discorsi senza senso,” dissi frettolosamente.
“Non io, per quanto io sia una sciocchina ridicola, piena di
capricci e desideri; per il tuo bene parlerò come un saggio. Sei
mai stata ad un ballo?”
“No; come cambi argomento. Come è? Deve essere molto
affascinante.”
“Quasi lo dimentico, sono passati degli anni.”
Risi.
“Non sei così vecchia. Non puoi aver già dimenticato il tuo
primo ballo.”
“Ricordo tutto al riguardo – con uno sforzo. Lo vedo tutto,
come i tuffatori vedono quanto accade sopra di loro, attraverso
un mezzo, denso, movimentato, ma trasparente. Accadde quella
notte quanto ha confuso il disegno, e reso sbiaditi i suoi colori.
Sono quasi stata assassinata nel mio letto, ferita qui,” si toccò il
petto, “e non sono più stata la stessa da allora.”
“Sei stata per morire?”
“Si, quasi – un amore crudele – un amore strano, che avrebbe
preso la mia vita. L'amore richiede i suoi sacrifici. Nessun
sacrificio è senza sangue. Andiamo a letto ora; mi sento così
pigra. Come faccio ad alzarmi proprio ora e chiudere la porta a
chiave?”
Giaceva con le manine sepolte sotto la sua folta capigliatura
ondulata, sotto le guance, la piccola testa sul cucino; i suoi
occhi luccicanti mi seguivano ovunque mi spostassi, con una
specie di sorriso timido che non riuscivo a decifrare.
Le augurai la buona notte e sgattaiolai fuori dalla stanza con
46
una sensazione di disagio.
Mi ero spesso chiesta se la nostra avvenente ospite dicesse mai
le sue preghiere. Di certo non l'avevo mai vista in ginocchio.
La mattina non scendeva mai prima che le nostre preghiere di
famiglia fossero finite, e la sera non lasciava mai il soggiorno
per partecipare alle nostre brevi preghiere serali nell'ingresso.
Se non fosse venuto fuori casualmente in una delle nostre
conversazioni disimpegnate che era stata battezzata, avrei
dubitato del suo essere cristiana. La religione era un argomento
sul quale non l'avevo mai sentita dire una parola. Se avessi
conosciuto meglio il mondo, questa particolare negligenza o
antipatia non mi avrebbe sorpreso così tanto.
Le precauzioni delle persone nervose sono contagiose, e gli
individui dal temperamento simile prima poi, dopo un po' di
tempo, le imiteranno. Avevo adottato l'abitudine di Carmilla di
chiudere a chiave la porta della camera da letto, avendo
assorbito nella mia testa tutte le sue capricciose preoccupazioni
su invasori della mezzanotte e assassini striscianti. Avevo
anche adottato la sua precauzione di fare una breve ricerca
nella sua stanza, per soddisfarla che nessun sicario o ladro
nascosto si fosse “comodamente sistemato”.
Prese queste sagge misure, entrai nel mio letto e mi
addormentai. Una luce ardeva nella mia stanza. Una vecchia
abitudine questa, molto precoce, e nulla avrebbe potuto
convincermi a farne a meno.
Così protetta, potevo prendermi il mio riposo in pace. Ma i
sogni arrivano anche attraverso muri di pietra, illuminano
stanze buie, o ne oscurano di illuminate, e le loro figure escono
ed entrano come loro aggrada, e ridono dei fabbri.
Quella notte feci un sogno che fu l'inizio di un'agonia molto
strana.
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Non posso definirlo un incubo, poiché ero decisamente
cosciente del fatto di dormire.
Ma ero altrettanto cosciente di un essere nella mia stanza,
sdraiato nel letto, esattamente come me. Vidi, o pensai di
vedere, la stanza ed i suoi mobili esattamente come li avevo
visti l'ultima volta, solo che era molto buio, e vidi qualcosa, che
inizialmente non riuscivo a distinguere accuratamente,
muoversi intorno ai piedi del letto. Ma presto vidi che si
trattava di un animale di un nero fuligginoso che assomigliava
ad un gatto mostruoso. Mi apparve lungo più o meno quattro o
cinque piedi poiché copriva l'intera misura dello scendiletto
quando ci passò sopra; e continuò a passeggiare avanti ed
indietro con l'inquietudine leggiadra e sinistra di una bestia in
gabbia. Non potevo urlare, per quanto come potrete supporre,
ero terrorizzata. Il passo dell'animale diventava sempre più
veloce, e la stanza rapidamente sempre più oscura, e dopo un
po' così scura che non potevo più veder nulla della creatura a
parte gli occhi. Lo sentii saltare agilmente sul letto. I due
grandi occhi larghi si avvicinarono al mio volto, ed
improvvisamente sentii un dolore pungente come se due grandi
aghi avessero profondamente trafitto, distanti tra loro un
pollice o due, il mio petto. Mi svegliai con un grido. La stanza
era illuminata dalla candela che aveva bruciato al suo posto
tutta la notte, ed io vidi una figura femminile in piedi in fondo
al letto, leggermente spostata sul lato destro. Indossava un
vestito scuro e largo, i capelli sciolti a coprire le spalle. Un
blocco di pietra non avrebbe potuto essere più immobile. Non
vi era il minimo movimento di respirazione. Mentre la fissavo,
la figura sembrò cambiare posizione, ed era ora più vicina alla
porta; poi accanto ad essa, la porta si aprì, e la figura uscì.
Mi sentii sollevata, ed in grado di respirare e muovermi. Il mio
primo pensiero fu che Carmilla mi avesse fatto uno scherzo, e
che mi fossi dimenticata di chiudere a chiave. Mi affrettai alla
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porta, e la trovai come al solito chiusa a chiave dall'interno.
Ebbi paura ad aprirla – ero orripilata. Saltai sul letto e mi
ricoprii la testa con le coperte, giacendo lì più morta che viva
fino al mattino.
49
VII
Discesa
Sarebbe futile da parte mia tentare di raccontarvi l'orrore con
cui, anche ora, ricordo l'avvenimento di quella notte. Non fu il
terrore passeggero che un sogno si lascia alle spalle. Sembrava
approfondirsi con il passare del tempo, e si trasferiva alla
stanza e persino ai mobili che erano stati teatro
dell'apparizione.
Il giorno seguente non sopportai di restare sola un istante. Avrei
dovuto avvertire mio padre, se non per due motivazioni
contrastanti. Da un lato credevo che avrebbe riso del mio
racconto, e non potevo sopportare che la cosa fosse trattata
come uno scherzo; d'altro canto poteva credere che fossi stata
attaccata dal misterioso disturbo che aveva invaso il nostro
vicinato. Personalmente non avevo alcuna presentimento del
genere, e poiché egli era stato piuttosto male per un po' di
tempo, avevo paura ad allarmarlo.
Mi trovavo abbastanza bene con le mie benevole amiche,
Madame Perrodon, e la vivace Mademoiselle De Lafontaine.
Entrambe percepivano che ero di malumore e nervosa, ed
infine raccontai loro cosa giaceva così pesantemente sul mio
cuore.
Mademoiselle rise, ma mi sembrò che Madame Perrodon
acquistasse un aspetto ansioso.
“Visto che ci siamo”, disse Mademoiselle, ridendo, “la lunga
camminata sotto i tigli, dietro la finestra della stanza da letto di
Carmilla, è stregata!”
“Sciocchezze!” esclamò Madame, che probabilmente trovava
l'argomento piuttosto inopportuno, “e chi racconterebbe questa
50
storia, mia cara?”
“Martin sostiene di averla percorsa due volte, mentre stava
riparando il vecchio cancello dell'orto, prima dell'alba, e di aver
visto per due volte la stessa figura femminile camminare lungo
il sentiero dei tigli.”
“Possibilissimo, considerando che vi sono mucche da mungere
nei campi ai lati del fiume,” disse Madame.
“Oserei dir lo stesso; ma Martin sceglie di spaventarsi, e mai
ho visto uno sciocco più spaventato.”
“Non dovete dire una parola al riguardo a Carmilla, perché può
vedere quella passeggiata dalla finestra della sua camera da
letto” interloquii, “e lei è, se possibile, ancor più vigliacca di
me.”
Carmilla quel giorno scese un po' più tardi del solito.
“Ho avuto una tale paura la scorsa notte,” disse, non appena
fummo insieme, “e sono sicura che avrei visto qualcosa di
terribile se non fosse stato per l'amuleto che avevo comprato
dal povero piccolo gobbo che ho insultato in maniera così dura.
Ho sognato una cosa nera che girava intorno al mio letto, e mi
sono svegliata in uno stato di puro orrore, ed ho davvero
pensato, per qualche secondo, di aver visto una figura scura
vicino alla canna fumaria, ma ho allungato la mano sotto al
cuscino a prendere l'amuleto, e nel momento in cui le mie dita
lo hanno toccato, la figura è scomparsa, e mi sono sentita
piuttosto certa, che se solo fosse arrivata al mio fianco,
qualcosa di spaventoso sarebbe comparso e mi avrebbe forse
strangolato, come ha fatto con quella povera gente di cui
abbiamo sentito.”
“Ebbene, senti me,” cominciai, e raccontai la mia avventura,
dalla quale apparve orripilata.
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“E avevi l'amuleto vicino a te?” chiese preoccupata.
“No, l'avevo lasciato cadere in un vaso di porcellana in
soggiorno, ma lo porterò senz'altro con me stanotte, visto che
riponi in esso così tanta fiducia.”
Dopo il tempo che è passato non so dirvi, o anche capire, come
superai l'orrore in maniera così efficace da riuscire a giacere da
sola in camera quella notte. Ricordo distintamente di aver
attaccato l'amuleto al cuscino. Mi addormentai quasi subito, e
dormii ancor più profondamente del solito per tutta la notte.
La notte seguente trascorse altrettanto bene. Il mio sonno era
deliziosamente profondo e privo di sogni.
Ma mi svegliavo con un senso di prostrazione e malinconia,
che tuttavia non superava mai un livello che era quasi
piacevole.
“Bene, te l'avevo detto,” disse Carmilla, quando descrissi il mio
sogno quieto, “anche io ho dormito in maniera così piacevole
la scorsa notte; ho attaccato l'amuleto sul petto della mia
camicia da notte. Era troppo lontano la notte precedente. Sono
abbastanza sicura che sia stato tutta un'impressione, a parte i
sogni. Ero solita pensare che gli spiriti maligni costruissero i
sogni, ma il nostro medico mi disse che non è nulla del genere.
Solo una febbre passeggera, o qualche altra indisposizione,
bussa alla porta, come spesso accade” disse, “e non riuscendo
ad entrare, prosegue, suonando quell'allarme.”
“E cosa credi che sia l'amuleto?” dissi io.
“E' stato affumicato o immerso in qualche medicina, ed è un
antidoto contro la malaria,” rispose.
“Quindi agisce unicamente sul corpo?”
“Certo; non immaginerai che gli spiriti maligni siano spaventati
da pezzi di nastro, o dai profumi del negozio di un farmacista?
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No, questi disturbi, girando nell'aria, cominciano mettendo alla
prova i nervi, e così infettano il cervello, ma prima che possano
aggredire, l'antidoto li respinge. Sono sicura che è questo che
l'amuleto ha fatto per noi. Non è nulla di magico, è
semplicemente naturale.”
Sarei stata più contenta se avessi potuto trovarmi interamente
d'accordo con Carmilla, ma mi impegnai al massimo in tal
senso, e l'impressione stava perdendo un po' della sua forza.
Per alcune notti dormii profondamente; ma ciononostante ogni
mattina sentivo la stessa prostrazione, ed un languore che
pesava su di me per tutto il giorno. Mi sentivo una ragazza
cambiata. Una strana malinconia strisciava su di me, una
malinconia che non volevo interrompere. Cominciarono a
prospettarsi vaghi pensieri di morte, e un'idea verso la quale
stavo affondando prese possesso di me, gentilmente e quasi la
benvenuta. Per quanto triste, lo stato mentale che induceva
aveva anche una sua dolcezza.
Qualsiasi cosa fosse, la mia anima non si ribellava.
Non avrei ammesso di stare male, non avrei acconsentito a
dirlo a mio padre, o a chiamare un medico.
Carmilla divenne più devota che mai nei miei confronti, ed i
suoi momenti di strano parossismo di languida adorazione più
frequenti. Era solita compiacersi di me con ardore tanto
crescente quanto calavano le mie forze ed i miei umori. Questo
continuava a colpirmi come una fiammata momentanea di
pazzia.
Senza saperlo, ero ormai in una stadio piuttosto avanzato della
malattia più strana della quale un mortale abbia mai sofferto. Vi
era un'inenarrabile fascinazione nei suoi primi sintomi che mi
riconciliava ampiamente con l'effetto incapacitante di quello
stadio del disturbo. Questa fascinazione aumentò per un certo
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periodo di tempo, fino a raggiungere un punto in cui si confuse
con una sensazione di orrore, che diveniva sempre più
profonda, come sentire, fino a rendere sbiadita e distorta tutta
la condizione della mia esistenza.
Il primo cambiamento che provai fu piuttosto piacevole. Fu
molto vicino al punto di svolta che segnò la discesa verso
l'Averno.
Alcune sensazioni vaghe mi visitavano nel sonno.
L'impressione prevalente era di quel freddo brivido piacevole e
particolare che proviamo nel fare il bagno, quando ci spostiamo
contro la corrente di un fiume. Ciò fu presto accompagnato da
sogni che sembravano interminabili, ed erano così vaghi che
non riuscivo mai a ricordare paesaggi e personaggi, o una
sequenza connessa della loro trama. Ma lasciavano
un'impressione terribile, ed un senso di spossatezza, come se
avessi attraversato un lungo periodo di grande sforzo mentale e
pericolo.
Dopo tutti questi sogni permaneva nella veglia il ricordo di
essermi trovata in luogo quasi del tutto oscuro, e di aver parlato
con persone che non riuscivo a vedere; e specialmente il
ricordo di una voce chiara, femminile, molto profonda, che
parlava come a distanza, lentamente, e generando sempre la
medesima sensazione di solennità e paura indescrivibili. A
volte arrivava la sensazione simile ad una mano che scorresse
dolcemente lungo la mia guancia e lungo il collo. Altre era
come se calde labbra mi baciassero, sempre più a lungo e più
amorevolmente mentre raggiungevano la mia gola, ma lì la
carezza si fissava. Il mio cuore batteva più velocemente, il mio
respiro si alzava e ricadeva rapido e profondo; sopravveniva a
quel punto un singhiozzare, che proveniva dal mio senso di
soffocamento, che si trasformava poi in un atroce convulsione,
nella quale i sensi mi abbandonavano e perdevo conoscenza.
54
Erano passate ormai tre settimane dall'inizio di questo stato
inenarrabile.
Le mie sofferenze, durante l'ultima settimana, erano ricadute
sul mio aspetto. Ero diventata pallida, gli occhi erano sgranati e
segnati da occhiaie, ed il languore che avevo sentito a lungo
cominciava ora a manifestarsi nel mio portamento.
Mio padre mi chiedeva spesso se ero malata; ma con
un'ostinazione che ora mi sembra inconcepibile, persistevo nel
rassicurarlo che stavo bene.
In un certo senso era vero. Non provavo dolore, non potevo
lamentarmi di disturbi corporei. Il mio problema sembrava
esserlo nell'immaginazione, nei nervi, e, per quanto orribili
fossero le mie sofferenze, le tenevo, con morboso riserbo, quasi
completamente per me.
Non poteva trattarsi di quel terribile disturbo che i contadini
chiamavano l'upiro, poiché ormai ne soffrivo da tre settimane,
e le persone colpite raramente stavano male per più di tre
giorni, quando la morte poneva fine alle loro sofferenze.
Carmilla lamentava sogni e sensazioni febbrili, ma in nessun
modo di una qualità allarmante come i miei. Dico che i miei
erano estremamente allarmanti. Se solo fossi stata in grado di
comprendere la mia condizione, avrei invocato aiuto e
consiglio in ginocchio. Il narcotico di un'influenza insospettata
agiva su di me, e le mie percezioni erano come attenuate.
Vi racconterò ora di un sogno che condusse immediatamente
ad una scoperta bizzarra.
Una notte, al posto della voce che ero abituata a sentire al buio,
ne sentii una, dolce e tenera, ed allo stesso tempo terribile, che
diceva,
“Tua madre ti avverte di guardarti dall'assassino.” Allo stesso
55
tempo una luce si accese all'improvviso e vidi Carmilla, in
piedi, vicino ai piedi del letto, nella sua vestaglia bianca,
ricoperta, dal mento fino ai piedi, in un'unica macchia di
sangue.
Mi svegliai con un urlo, posseduta dall'idea precisa che stessero
assassinando Carmilla. Ricordo di essermi precipitata dal letto,
ed il mio ricordo seguente è di essermi trovata sul pianerottolo,
gridando per cercare aiuto.
Madame e Mademoiselle uscirono di corsa dalle loro stanze,
allarmate; una lampada bruciava sempre nel pianerottolo, e
vedendomi, appresero presto la causa del mio terrore.
Insistetti per bussare alla porta di Carmilla. Nessuno rispose al
nostro bussare.
Divenne presto una sequela di colpi ed un frastuono. Urlammo
il suo nome, ma tutto invano.
Ci spaventammo tutti, poiché la porta era chiusa a chiave. Ci
affrettammo a tornare, nel panico, alla mia stanza. Lì
suonammo la campanella a lungo e furiosamente. Se la stanza
di mio padre si fosse trovata su quel lato della casa, l'avremmo
chiamato immediatamente ad aiutarci. Ma ahimè! Era piuttosto
fuori dalla portata d'orecchio, e per raggiungerlo avremmo
dovuto ricorrere ad una spedizione per la quale nessuno di noi
aveva il coraggio.
I servitori, tuttavia, si erano precipitati presto su per le scale; io
nel frattempo mi ero tirata addosso una vestaglia e delle
pantofole, e la mia compagnia era già similmente equipaggiata.
Riconoscendo le voci dei servitori sul pianerottolo, uscimmo
insieme; ed avendo rinnovato, sempre infruttuosamente, i
nostri richiami alla porta di Carmilla, ordinai agli uomini di
forzare la serratura. Così fecero, e ci ritrovammo così, con le
nostre lampade tenute in alto, all'ingresso, fissando la stanza.
56
La chiamammo per nome; ma ancora non ci fu risposta.
Guardammo intorno per la stanza. Tutto giaceva indisturbato.
Si trovava esattamente nello stato in cui l'avevo lasciato
nell'augurarle la buona notte. Ma Carmilla era sparita.
57
VIII
Ricerca
Alla vista della stanza, perfettamente indisturbata se non per il
nostro violento ingresso, cominciammo a calmarci un po', e
presto riguadagnammo lucidità a sufficienza da congedare gli
uomini. Mademoiselle era stata colta dalla possibilità che
Carmilla fosse stata svegliata dal frastuono alla sua porta, e
fosse saltata giù dal letto nel panico per nascondersi in un
armadio, o dietro ad una tenda, dai quali non poteva emergere
finché il maggiordomo ed i suoi mirmidoni non si fossero
ritirati. Riprendemmo quindi la nostra ricerca, e cominciammo
a chiamar nuovamente il suo nome.
Fu tutto per nulla. La nostra perplessità ed agitazione
aumentarono. Esaminammo le finestre, ma erano chiuse.
Implorai Carmilla, se si era nascosta, di non insistere in questo
crudele scherzo – ed uscire per porre fine alle nostre ansie. Fu
tutto inutile. Ormai mi ero convinta che non si trovava nella
stanza, né nello stanzino, la cui porta era ancora chiusa a
chiave da questo lato. Non poteva averla superata. Ero del tutto
confusa. Aveva forse Carmilla scoperto uno di quei passaggi
segreti la cui esistenza nello schloss veniva raccontata dalla
vecchia governante, per quanto la tradizione della loro precisa
posizione si fosse persa? Un po' di tempo, senza dubbio,
avrebbe spiegato ogni cosa – per quanto fossimo tutti, al
presente, del tutto perplessi.
Erano passate le quattro, e scelsi di trascorrere le rimanenti ore
di buio nella stanza di Madame. La luce del giorno non portò
soluzione al problema.
Il mattino seguente tutta la casa, mio padre in testa, si trovava
in uno stato di agitazione. Ogni luogo del castello veniva ora
58
perlustrato, i terreni esplorati. Non si scoprì traccia alcuna della
damigella scomparsa. Eravamo in procinto di far dragare il
ruscello; mio padre era alle strette; che storia avrebbe dovuto
raccontare alla madre della povera ragazza al suo ritorno. Io
pure ero quasi fuori di me, per quanto il mio dolore fosse di
una specie affatto diversa.
Il mattino trascorse nell'allarme e nella frenesia. Era ormai
l'una, e ancora non avevamo notizie. Corsi nella stanza di
Carmilla, e la trovai in piedi davanti al comò. Ero stupefatta,
non potevo credere ai miei occhi. Con il suo bel dito mi fece
segno di avvicinarmi a lei, in silenzio. Il suo volto esprimeva
una paura estrema.
Corsi da lei in un'estasi di gioia; la baciai ed abbracciai più e
più volte. Corsi alla campanella suonandola con veemenza, per
portare gli altri a scorgere quanto poteva immediatamente
sollevare l'ansia di mio padre.
“Cara Carmilla, cosa ne è stato di te per tutto questo tempo? Ci
siamo rivoltati nelle sofferenze dell'ansia per te,” esclamai.
“Dove sei stata? Come sei tornata?”
“La scorsa notte è stata una notte di meraviglie,” disse.
“Per pietà, spiegaci tutto quello che puoi.”
“Erano passate le due la notte scorsa,” disse, “quando andai a
dormire come al solito nel mio letto, con le porte chiuse a
chiave, quella sul corridoio e quella dello stanzino. Il mio
sonno fu ininterrotto, e, per quanto ne so, senza sogni; ma mi
sono svegliata proprio ora sul divano dello stanzino lì, ed ho
trovato la porta tra le due stanze aperta, e l'altra porta forzata.
Come poteva essere successo tutto ciò senza il mio risveglio?
Deve essere stato accompagnato da molto rumore, ed io mi
sveglio particolarmente in fretta; e come potrei essere stata
trasportata fuori dal mio letto senza che il mio sonno fosse
59
interrotto, io che vengo risvegliata dal minimo movimento?”
Ormai Madame, Mademoiselle, mio padre ed un gruppetto di
servitori erano entrati nella stanza. Carmilla fu, ovviamente,
sommersa di domande, felicitazioni, e benvenuti. Non aveva
che una storia da raccontare, e sembrava del gruppo la persona
meno in grado di suggerire alcun modo per spiegare l'accaduto.
Mio padre passeggiava per la stanza, pensando. Vidi lo sguardo
di Carmilla seguirlo per un momento con un'occhiata furbesca,
scura.
Quando mio padre ebbe mandato via i servi, con Mademoiselle
che era andata alla ricerca di una boccetta di valeriana e di sali,
e non essendoci ormai nella stanza di Carmilla nessuno al di
fuori di mio padre, Madame e me, si avvicinò a lei
pensosamente, le prese la mano molto gentilmente, la condusse
al divano e si sedette al suo fianco.
“Mi perdonerai, cara, se azzardo una congettura, e ti faccio una
domanda?”
“Chi può avere più diritti in merito?” chiese. “Domandate
quello che desiderate, e vi dirò tutto. Ma la mia storia è
semplicemente un racconto di stupore e di oscurità. Non so
nulla. Ponetemi qualsiasi domanda, ma conoscete, ovviamente,
i limiti che mia madre mi ha imposto.”
“Perfettamente, bambina mia cara. Non ho bisogno di
avvicinarmi agli argomenti sui quali desidera il nostro silenzio.
Ora, la meraviglia della notte scorsa risiede nel tuo
spostamento dal tuo letto e dalla tua stanza, senza essere stata
svegliata,
e
dall'avvenire
di
questo
spostamento
apparentemente con le finestre ancora chiuse, e le due porte
chiuse dall'interno. Ti esporrò la mia teoria e ti farò una
domanda.”
Carmilla stava appoggiata alla sua mano con fare dimesso; io e
60
Madame ascoltavamo senza fiato.
“Ora, la mia domanda è questa. C'è mai stato il sospetto che tu
fossi sonnambula?”
“Mai, da quando non ero davvero molto giovane.”
“Ma ti è capitato di essere sonnambula da piccola?”
“Si; so che è accaduto. Mi è stato detto di tanto in tanto dalla
mia vecchia bambinaia.”
Mio padre sorrise ed annuì.
“Bene, questo è quanto è accaduto. Ti sei alzata nel sonno, hai
aperto la porta, non lasciando la chiave, come al solito, nella
serratura, ma portandola con te e chiudendola da fuori; poi hai
ripreso la chiave, portandola con te in una delle venticinque
stanze di questo piano, o forse sopra o sotto. Ci sono così tante
stanze e sgabuzzini, così tanti mobili pesanti, e tali cumuli di
legna, che ci vorrebbe una settimane per perquisire a fondo
questa vecchia casa. Capisci, ora, cosa intendo?”
“Si, ma non tutto,” rispose.
“E papà, come spieghi il suo essersi ritrovata nel divano dello
stanzino, che avevamo perquisito così a fondo?”
“E' tornata lì dopo che lo avevate perquisito, sempre nel sonno,
per poi svegliarsi infine spontaneamente, e sorpresa come
chiunque altro di ritrovarsi in quel luogo. Vorrei che tutti i
misteri potessero spiegarsi facilmente ed innocentemente come
il tuo, Carmilla,” disse ridendo. “E così possiamo congratularci
per la certezza che la spiegazione più naturale dell'accaduto
non coinvolge droghe, serrature scassinate, ladri, avvelenatori o
streghe – niente che debba allarmare Carmilla, o chiunque,
riguardo alla nostra sicurezza.”
Carmilla aveva un aspetto incantevole. Nulla avrebbe potuto
essere più bello dei suoi colori. La sua bellezza era, io credo,
61
rafforzata da quell'aggraziato languore che le era peculiare.
Credo che mio padre stesse confrontando in silenzio il suo
aspetto con i mio, perché disse:
“Vorrei che la mia povera Laura avesse il suo solito aspetto”; e
sospirò.
Così il nostro allarme terminò felicemente, e Carmilla fu
restituita ai suoi amici.
62
IX
Il dottore
Poiché Carmilla non voleva sentirne di avere un attendente che
dormisse nella sua stanza, mio padre arrangiò che un servitore
dormisse fuori dalla sua porta, in modo che non potesse tentare
un'altra simile escursione senza essere fermata sulla porta.
Quella notte trascorse tranquillamente; ed il mattino seguente,
il dottore, che mi padre aveva chiamato senza dirmi una parola
al riguardo, giunse per visitarmi.
Madame mi accompagnò in biblioteca; lì il serio dottorino, dai
capelli bianchi e gli occhiali, che ho descritto in precedenza, mi
aspettava per ricevermi.
Gli raccontai la mia storia, mentre procedevo nel racconto egli
diventava sempre più serio.
Ci trovavamo, lui ed io, nella rientranza di una delle finestre,
uno di fronte l'altra. Quando terminai la mia descrizione, si
appoggiò con le spalle contro il muro, gli occhi preoccupati
fissi su di me, con un interesse che recava un tratto di orrore.
Dopo un minuto di riflessione, chiese a Madame di poter
vedere mio padre.
Fu chiamato di conseguenza, e mentre entrava, egli disse
sorridendo:
“Oserei dire, dottore, che mi direte che sono un vecchio
sciocco ad avervi portato qui; spero di esserlo.”
Ma il suo sorriso sbiadì nell'ombra mentre il dottore, con volto
molto grave, gli fece segno di avvicinarsi.
Lui ed il dottore parlarono per un po' di tempo nella stessa
nicchia nella quale avevo appena conferito con il medico.
63
Sembrò una conversazione preoccupata ed animata. La stanza
era molto grande, ed io e Madame stavamo insieme, bruciando
di curiosità, sul lato più distante. Non potevamo udire una
parola, tuttavia, perché parlavano con un tono di voce molto
basso, e la profonda nicchia della finestra nascondeva il dottore
alla vista, e quasi del tutto mio padre, di cui riuscivamo a
scorgere giusto un piede, un braccio ed una spalla; e le voci
erano, suppongo, ancor meno udibili per via della specie di
stanzino che risultava formato dallo spessore del muro e dalla
finestra.
Dopo un po' il volto di mio padre si affacciò sulla stanza; era
pallido, pensieroso, e, pensai, agitato.
“Laura, cara, vieni un attimo qui. Madame, il dottore dice che
per il momento non le daremo problemi.”
Mi avvicinai di conseguenza, per la prima volta un po'
allarmata; perché per quanto mi sentissi molto debole, non mi
sentivo malata; e crediamo spesso che la forza sia una di
quelle cose che si possono raccogliere quando vogliamo.
Mio padre mi tese la mano, ed io mi avvicinai, ma egli
guardava il dottore, e disse:
“Certamente è molto strano; e non lo capisco in pieno. Laura,
vieni qui, cara; ora dai retta al Dottor Spielsberg, e cerca di
ricordare.”
“Hai parlato di una sensazione come di due aghi che bucassero
la pelle, da qualche parte vicino al tuo collo, quella notte in cui
hai fatto il tuo primo orribile sogno. Provi ancora alcun tipo di
dolore?”
“Affatto,” risposi.
“Potresti indicarmi con il dito più o meno il punto in cui credi
che sia avvenuto?”
64
“Poco al di sotto della gola – qui,” risposi.
Indossavo un vestito da giorno, che copriva il punto che avevo
indicato.
“Ora potrete avere soddisfazione,” disse il dottore. “Non ti
dispiacerà se tuo papà abbasserà di un poco il tuo vestito. E'
necessario per scorgere un sintomo del disturbo per il quale stai
soffrendo.
Mi trovai d'accordo. Il punto si trovava soltanto uno o due
pollici al di sotto dello scollo.
“Dio mi benedica! - è così!” esclamò mio padre, impallidendo.
“Ora potete vederlo con i vostri occhi,” disse il dottore, con
tetro trionfo.
“Cosa c'è?” esclamai, cominciando ad avere paura.
“Nulla, mia cara fanciulla, solo un piccolo segno livido, più o
meno delle dimensioni della punta del vostro mignolo; e ora,”
continuò, girandosi verso papà, “la questione è: qual è la cosa
migliore la fare?”
“E' pericoloso?” mi precipitai a chiedere, con grande
trepidazione.
“Confido di no, mia cara,” rispose il dottore. “Non vedo perché
non dovresti riprenderti. Non vedo perché non dovresti
cominciare a sentirti subito meglio. Quello è il punto dal quale
comincia la sensazione di soffocamento?”
“Si,” risposi.
“E – cerca di ricordare il più attentamente possibile – il
medesimo punto è come il centro di quel brivido che hai
descritto poc'anzi, come la corrente di un ruscello freddo che ti
scorresse intorno?”
“Potrebbe essere; credo di si.”
65
“Esatto, vedi?” aggiunse, rivolgendosi a mio padre. “Posso
conferire con Madame?”
“Certamente,” disse mio padre.
Il medico quindi chiamò a sé Madame, e disse:
“Trovo che la nostra giovane amica qui sia ben lontana
dall'essere in buona salute. Non sarà una faccenda che avrà
conseguenze, spero; ma sarà necessario prendere delle misure,
che spiegherò poco alla volta; ma intanto, Madame, sarete così
buona da non lasciare Miss Laura da sola per un momento.
Questa è l'unica indicazione che ho bisogno di darvi per il
momento. E' indispensabile.”
“So che possiamo contare sulla vostra gentilezza, Madame”
aggiunse mio padre.
Madame si affrettò a tranquillizzarlo.
“E tu, cara Laura, so che ti atterrai alle indicazioni del dottore.”
“Dovrò poi chiedere la vostra opinione su un'altra paziente, i
cui sintomi assomigliano leggermente a quelli di mia figlia, che
vi sono appena stati descritti – su scala molto più mite, ma che
credo a questo punto della stessa natura. E' una giovane dama –
nostra ospite; ma poiché come dite passerete nuovamente da
qui questa sera, non potreste far meglio che cenare qui, e poi
vederla. Non scende prima del pomeriggio.”
“Vi ringrazio,” disse il dottore. “Sarò con voi, allora, intorno
alle sette questa sera.”
E poi ripeterono le loro istruzioni a me ed a Madame, e con
questo incarico ci separammo e mio padre ci lasciò, per uscire
insieme al dottore; ed io li vidi passeggiare insieme su e giù tra
la strada ed il fossato, sulla piattaforma erbosa davanti al
castello, evidentemente assorti in una fitta conversazione.
Il dottore non rientrò, lo vidi salire a cavallo lì, salutare e
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cavalcare via verso est attraverso la foresta.
Quasi in contemporanea vidi un uomo arrivare da Dranfield
con la posta, smontare e consegnare la sacca a mio padre.
Nel frattempo, sia io che Madame eravamo impegnate, perse in
congetture riguardo alle motivazioni dietro alle singolari ed
ansiose indicazioni che il dottore e mio padre avevano
concordato di stabilire. Madame, come mi disse in seguito,
temeva che il dottore si aspettasse una crisi improvvisa e che,
senza un'assistenza immediata, io potessi o perdere la vita in
preda alle convulsioni, o come minimo restare gravemente
ferita.
Questa interpretazione non mi colpiva; credevo, forse
fortunatamente per i miei nervi, che la disposizione fosse stata
prescritta semplicemente per assicurarmi una compagnia, che
mi avrebbe trattenuto dal fare troppi sforzi, o dal mangiare
frutta acerba, o dal fare alcuna delle cinquanta cosa sciocche
alle quali si suppone che i giovani siano inclini.
Dopo circa mezz'ora mio padre entrò – aveva in mano una
lettera – e disse:
“Questa lettera è arrivata in ritardo; è del Generale Spielsdorf.
Per quanto egli non sia arrivato ieri, potrebbe non arrivare
prima di domani, ma anche essere qui oggi.”
Posò la lettera aperta nella mia mano; ma non sembrava
contento, come era abitualmente quando un ospite, soprattutto
un ospite così benvoluto come il Generale, era in arrivo.
Al contrario, sembrava augurargli di trovarsi sul fondo del Mar
Rosso. Aveva chiaramente in mente qualcosa che preferiva non
divulgare.
“Papà carissimo, mi risponderai?” dissi, ponendo
improvvisamente una mano sul suo braccio, e guardandolo in
67
volto, sono sicura, con aria implorante.
“Forse,” rispose, scostandomi con una carezza i capelli che mi
ricadevano davanti agli occhi.
“Il dottore mi crede molto ammalata?”
“No, cara; crede che, prendendo le giuste contromisure, presto
starai bene, o perlomeno sulla via di una completa guarigione,
in uno o due giorni,” rispose, un po' seccamente. “Vorrei che il
nostro buon amico, il Generale, avesse scelto un qualsiasi altro
momento; ovvero, avrei preferito averti perfettamente in salute
nel riceverlo.”
“Ma dimmi papà” mi trovai ad insistere, “cosa crede che mi
stia succedendo?”
“Niente; non devi ammorbarmi di domande,” rispose, con più
irritazione di quanta non ne avesse mai dimostrata in
precedenza; e scorgendo che avevo l'aria ferita, immagino, mi
baciò, e aggiunse, “Saprai tutto in un giorno o due; cioè, tutto
quello che so io. Intanto non devi preoccupartene.
Si voltò e lasciò la stanza, ma rientrò prima che potessi finire di
stupirmi e meravigliarmi della stranezza della situazione; fu
solamente per dire che si recava a Karnstein, e di aver ordinato
di preparare la carrozza per le dodici, in modo che io e
Madame potessimo accompagnarlo; aveva intenzione di recarsi
dal prete che viveva vicino a quei terreni pittoreschi, per
discutere di una questione, e poiché Carmilla non aveva mai
visto quei luoghi, poteva seguirci, una volta scesa, con
Mademoiselle, che avrebbe portato l'occorrente per quel che si
definisce un pic-nic, da organizzare per noi vicino al castello in
rovina.
Alle dodici in punto, quindi, ero pronta, e dopo non molto mio
padre, Madame ed io partimmo per il nostro viaggio
programmato.
68
Passando il ponte levatoio volgemmo a destra, seguendo la
strada oltre il ripido ponte gotico, verso ovest, per raggiungere
il villaggio abbandonato e le rovine del castello di Karnstein.
Non si può immaginare una cavalcata silvestre più bella. Il
terreno si movimenta in gentili colline e discese, tutte
abbigliate di splendidi boschi, completamente privi dell'assetto
formale imposto dalla coltura artificiale, da un'immediata
attenzione dell'uomo e dalla potatura.
Le irregolarità del terreno spesso conducevano la strada a
deviazioni, portandola a snodarsi magnificamente intorno ai
fianchi di pendii scoscesi e dei versanti più ripidi delle colline,
percorrendo una varietà quasi infinita di tipologie di terreno.
Svoltando in uno di questi punti, incontrammo
improvvisamente il nostro vecchio amico, il Generale, che
cavalcava verso di noi, con la scorta di un servitore a cavallo. Il
suo seguito muoveva dietro di lui su un vagone preso in affitto,
ovvero un carro.
Il Generale smontò da cavallo mentre accostavamo, e, dopo i
consueti saluti, fu facilmente persuaso ad accettare il sedile
vacante nella carrozza ed inviare il suo cavallo allo schloss
insieme al suo servitore.
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X
In lutto
Erano passati circa dieci mesi da quando l'avevamo visto
l'ultima volta: ma il tempo trascorso si era rivelato sufficiente a
portare un cambiamento di anni nel suo aspetto. Era dimagrito;
una certa tetraggine ed ansia avevano preso il posto della
cordiale serenità che generalmente caratterizzava i suoi tratti. I
suoi occhi di un azzurro scuro, penetranti come sempre,
luccicavano ora di una luce più severa da sotto le sopracciglia
grigie ed arruffate. Non era un cambiamento come quello
solitamente indotto semplicemente dal dolore, e passioni più
rabbiose sembravano aver contribuito al mutamento.
Avevamo da poco ripreso il nostro cammino, quando il
Generale incominciò il suo discorso, con la sua solita
schiettezza militare, sulla luttuosa perdita, come la chiamò, che
aveva sostenuto con la morte della sua adorata nipote e pupilla;
e scoppiò poi a parlare in un tono di intensa amarezza e furia,
inveendo contro le “arti infernali” delle quali era caduta
vittima, ed esprimendo, con più esasperazione che devozione,
il suo stupore che il Cielo tollerasse una così mostruosa
manifestazione degli appetiti e della malignità dell'inferno.
Mio padre, che si rese subito conto che qualcosa di sicuramente
straordinario era accaduto, gli chiese, se non era troppo
doloroso per lui, di raccontare le circostanze che a suo avviso
giustificavano i termini forti con cui si era espresso.
“Ti racconterei tutto con piacere,” disse il Generale, “ma non
mi crederesti.”
“Perché non dovrei?” chiese.
“Perché” rispose piccato, “non credi in nulla se non in quanto
70
risulta coerente con i tuoi pregiudizi e le tue illusioni. Ricordo
un tempo in cui ero come te, ma ho imparato la lezione.”
“Mettimi alla prova,” disse mio padre; “non sono così
dogmatico come puoi pensare.
Senza contare che so molto bene che generalmente richiedi una
prova a quanto credi, e sono, perciò, fortemente incline a
rispettare le tue conclusioni.”
“Hai ragione nell'immaginare che non sono stato indotto con
leggerezza a credere nel meraviglioso – perché ciò che ho
sperimentato è meraviglioso – e sono stato forzato da
un'evidenza straordinaria a dar credito a quanto risultava
diametralmente opposto a tutte le mie teorie. Sono stato lo
zimbello di una cospirazione soprannaturale.”
Nonostante le sue dichiarazioni di fiducia nell'acume del
Generale, vidi mio padre, a questo punto, osservare di sfuggita
il Generale con, così pensai, una netta messa in discussione
della sua sanità mentale.
Fortunatamente, il Generale non se ne accorse. Osservava
tetramente e con curiosità le radure ed il panorama del bosco
che si apriva di fronte a noi.
“Vi state recando alle Rovine di Karnstein?” disse. “Si, è una
coincidenza fortunata; sapete che avevo intenzione di chiedervi
di portarmi lì per ispezionarle? Ho uno scopo particolare in
questa esplorazione. C'è una cappella in rovina, non è così, con
molte tombe di quella famiglia ormai estinta?”
“Si, ci sono – e molto interessanti,” aggiunse mio padre.
“Spero che tu stia pensando di reclamare il titolo ed i terreni?”
Mio padre aveva parlato con allegria, ma il Generale non
raccolse la risata, senza neanche produrre il sorriso che la
cortesia prevede allo scherzo di un amico; al contrario, il suo
71
aspetto appariva grave e persino feroce, mentre rimuginava su
quanto aveva scatenato la sua rabbia ed il suo orrore.
“Qualcosa di molto diverso,” disse in modo burbero. “Intendo
disseppellire alcune di quelle brave persone. Spero, per grazia
di Dio, di compiere un pio sacrilegio in questo posto, in modo
da liberare la nostra terra da determinati mostri, e permettere
alle persone oneste di dormire nei loro letti senza essere assaliti
da assassini. Ho strane cose da riferirti, mio caro amico, cose
che io stesso avrei segnalato come incredibili anche solo pochi
mesi fa.”
Mio padre lo guardò di nuovo, ma questa volta non con un
accenno di sospetto – piuttosto, con un occhio di acuta
comprensione e di allarme.
“La casa di Karnstein,” disse “è estinta da lungo tempo:
almeno cento anni. La mia cara moglie discendeva per via
materna dai Karnstein. Ma il nome ed il titolo hanno cessato di
esistere da molto tempo. Il castello è una rovina; persino il
villaggio è abbandonato; saranno passati cinquanta anni da
quando fu visto in quella zona il fumo di camino; nessun tetto è
rimasto.”
“Piuttosto vero. Ne ho molto sentito parlare da quando ci siamo
visti per l'ultima volta; ho ricevuto una mole di informazioni
che vi stupirà. Ma farò bene a raccontare ogni cosa nell'ordine
in cui avvenne,” disse il Generale. “Hai conosciuto la mia cara
pupilla – la mia bambina, potrei definirla. Nessuna creatura
avrebbe potuto essere più bella, e più in salute, soli tre mesi
fa.”
“Si, poverina! Quando la vidi l'ultima volta era certamente
davvero incantevole,” disse mio padre “rimasi addolorato e
sconvolto più di quanto non possa riferirti, mio caro amico; so
che colpo che deve essere stato per te.”
72
Prese la mano del Generale, e si scambiarono una stretta
gentile. Si formarono lacrime negli occhi del vecchio soldato,
ed egli non cercò di nasconderle. Piuttosto disse:
“Siamo amici di vecchia data; sapevo che avresti percepito il
mio dolore, per quanto io sia senza figli. Lei era diventato
l'oggetto di un affetto molto caro, e ripagava la mia cura con un
sentimento che rallegrava la mia casa e rendeva felice la mia
vita. Tutto ciò è andato. Potrebbero non essere molti gli anni
che mi rimangono sulla terra; ma per la misericordia di Dio
spero di rendere un servizio all'umanità prima di morire, e
portare la vendetta del Cielo sui demoni che hanno assassinato
la mia povera bambina nella primavera delle sue speranze e
della sua bellezza!”
“Dicevi, or ora, che era tua intenzione raccontare ogni cosa
come avvenne,” disse mio padre. “Ti prego, prosegui; posso
assicurarti che non è la mera curiosità a spingermi.”
Ormai avevamo raggiunto il punto in cui la strada per
Drunstall, dalla quale era sopraggiunto il Generale, devia dalla
strada che stavamo percorrendo per Karnstein.
“Quanto distano le rovine?” chiese il Generale, sporgendosi
ansiosamente in avanti.
“Circa mezza lega,” rispose mio padre. “Ma ora ti prego,
sentiamo il racconto che ci hai così gentilmente promesso.”
73
XI
Il racconto
“Con tutto il mio cuore” disse il Generale, con uno sforzo; e
dopo una breve pausa per ordinare gli avvenimenti, iniziò uno
dei racconti più strani che io abbia mai sentito.
“La mia cara bambina aspettava con molto piacere la visita che
eravate stati così gentili da organizzare per lei in compagnia
della tua affascinante figlia.” Qui mi rivolse un galante ma
malinconico inchino. “Nel frattempo avevamo ricevuto un
invito dal mio vecchio amico il Conte Carlsfeld, il cui schloss
si trova a meno di sei leghe dall'altro lato di Karnstein. Si
trattava di partecipare ad una serie di feste che, come
ricorderai, erano state organizzate in onore del suo illustre
ospite, il Granduca Carlo.”
“Si; e furono invero, credo, davvero splendide,” disse mio
padre.
“Principesche! Ma del resto i suoi ospiti erano invero regali.
Possiede la lampada di Aladino. La notte in cui ebbe inizio il
mio calvario era dedicata ad una magnifica festa in maschera.
Il parco era stato aperto, gli alberi addobbati con lampade
colorate. Vi era un tale sfoggio di fuochi d'artificio da far
impallidire la stessa Parigi. E la musica – la musica che, come
sai, è la mia debolezza – così incantevole! La migliore
orchestra strumentale del mondo, forse, ed i migliori cantanti
reclutati da tutti i teatri dell'opera più illustri d'Europa. Nel
vagare per i terreni illuminati in maniera così fiabesca, con il
castello investito dalla luce della luna che splendeva di luce
rosata dalle sue lunghe file di finestre, si sentivano
all'improvviso quelle voci incantevoli emergere dal silenzio di
un boschetto, o alzarsi dalle barche del lago. Mi sentivo,
74
mentre osservavo ed ascoltavo, trasportato indietro in un
racconto o in una poesia della mia prima giovinezza.
Quando terminarono i fuochi, e stava iniziando il ballo,
tornammo nella nobile serie di stanze dedicate alle danze. Un
ballo in maschera, come sai, è una vista splendida; ma mai
avevo scorto un così brillante spettacolo di quel tipo.
Si trattava di un consesso molto aristocratico. Personalmente,
ero l'unico 'signor nessuno' presente.
La mia cara bambina era bellissima. Non indossava una
maschera. La sua emozione e la sua gioia aggiungevano alle
sue fattezze, sempre deliziose, un fascino ineffabile. Notai una
giovane dama, magnificamente abbigliata, ma recante una
maschera, che mi sembrò osservare la mia pupilla con interesse
straordinario. L'avevo vista in precedenza, quella sera, nel
salone, e nuovamente, per qualche minuto, camminare accanto
a noi, sul terrazzo sotto le finestre del castello, similmente
impegnata. Una dama, sempre in maschera, vestita riccamente
e severamente, e dall'aspetto imponente, da persona di rango, la
accompagnava come chaperon.
Se la damigella non avesse indossato una maschera, avrei
potuto, ovviamente, essere molto più sicuro riguardo al fatto
che stesse realmente osservando la mia povera cara.
Ora sono ben certo di ciò.
Ci trovavamo ora in una delle sale. La mia povera bambina
aveva danzato, e si stava ora riposando un poco in una delle
sedie vicine alla porta; io mi trovavo lì accanto. Le due signore
di cui ho parlato si erano avvicinate e la più giovane aveva
occupato la sedia accanto alla mia pupilla; mentre la sua
accompagnatrice si avvicinò a me, parlando per un breve
tempo, a bassa voce, con la sua protetta.
Avvalendosi del privilegio della maschera, si voltò verso di me,
75
e parlando come una vecchia conoscenza, e chiamandomi per
nome, iniziò una conversazione con me, che sollecitò di gran
lungs la mia curiosità. Fece riferimento a molte circostanze in
cui mi aveva incontrato – a corte, e presso case illustri, facendo
allusioni a piccoli avvenimenti ai quali avevo cessato di
pensare da molto tempo, ma che, trovai, giacevano
semplicemente in sospeso nella mia memoria, poiché ripresero
istantaneamente vita al suo tocco.
“Divenni sempre più curioso di scoprire chi fosse, con ogni
momento che passava. Parava i miei tentativi di scoperta molto
abilmente e con garbo. La conoscenza che dimostrava di molti
passaggi della mia vita mi sembrava praticamente inspiegabile;
e sembrava trarre un piacere non innaturale nel frustrare la mia
curiosità, e nel vedere come mi dibattevo nella mia ansiosa
perplessità, fra una congettura e l'altra.
Intanto la dama più giovane, che la madre aveva chiamato con
lo strano nome di Millarca, quando si era rivolta una o due
volte a lei, aveva iniziato con la medesima facilità e grazia una
conversazione con la mia pupilla.
Si era presentata dicendo che sua madre era una mia
conoscenza molto antica. Parlava della piacevole audacia che
una maschera rendeva praticabile; parlava come un'amica;
ammirava il suo vestito, ed insinuava molto graziosamente la
sua ammirazione per la sua bellezza. La divertiva con ridenti
critiche sulle persone che affollavano la sala da ballo, e rideva
del divertimento della mia povera bambina. Era molto arguta e
vivace quando voleva, e dopo poco erano diventate buone
amiche, e la giovane sconosciuta abbassò la sua maschera,
mostrando un volto straordinariamente bello. Non l'avevo mai
visto prima, e nemmeno la mia cara bambina. Ma per quanto ci
fosse nuovo, le fattezze erano così coinvolgenti, oltre ad essere
deliziose, che era impossibile non sentire una potente
attrazione. Così accadde alla mia povera ragazza. Non ho mai
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visto nessuno più preso da un altro a prima vista, a meno che,
invero, non fosse la sconosciuta in persona, che sembrava
proprio aver perso a sua volta il cuore per lei.
Intanto, avvalendomi della licenza di un ballo in maschera,
ponevo ora non poche domande alla dama più anziana.
'Mi avete del tutto confuso,' dissi, ridendo. 'Non è forse
sufficiente? Non acconsentirete, ora, ad affrontarci ad armi
pari, e farmi la cortesia di rimuovere la vostra maschera?'
'Può esserci richiesta più irragionevole?' rispose, 'Chiedere ad
una dama di cedere un vantaggio! Oltretutto, come sapete che
mi riconoscereste? Gli anni portano cambiamenti.'
'Come vedete' dissi, con un inchino, e, immagino, una risatina
piuttosto malinconica.
'Come ci dicono i filosofi' disse; 'e come sapete che un'occhiata
al mio volto vi aiuterebbe?'
'Su questo, correrò il rischio' risposi. 'E' inutile che tentiate di
raffigurarvi come una donna anziana; la vostra linea vi
tradisce.'
'Ciononostante, gli anni sono trascorsi da quando vi ho visto, o
meglio da quando voi vedeste me, poiché questo è quanto sto
considerando. Millarca, laggiù, è mia figlia; perciò non posso
essere così giovane, anche nell'opinione di persone cui il tempo
ha insegnato ad essere indulgenti, ed a me potrebbe non piacere
l'esser paragonata a come mi ricordate.
Voi non avete maschera da rimuovere. Non potete offrirmi
nulla in cambio.'
'La mia richiesta è alla vostra pietà, di rimuoverla.'
'E la mia alla vostra, di lasciarla dove si trova,' rispose.
'Bene, allora, almeno mi direte se siete francese o tedesca;
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parlate entrambe le lingue alla perfezione.'
'Non credo che ve lo dirò, Generale; avete intenzione di
sferrare un attacco a sorpresa, e state considerando il punto dal
quale attaccare.'
'In ogni caso, non negherete questo,' dissi 'che essendo onorato
dal vostro consenso alla conversazione, dovrei sapere come
rivolgermi a voi. Dovrò dire Madame la Comtesse?'
Rise, e senza dubbio mi avrebbe risposto con un'altra risposta
evasiva – se, invero, posso pensare che potesse essere
modificata da una contingenza, qualsiasi piega di una
conversazione che come io ora credo, era stata arrangiata da
tempo con l'astuzia più profonda.
'Riguardo a ciò iniziò; ma fu interrotta, quasi mentre schiudeva
le labbra, da un gentiluomo vestito di nero, dall'aspetto
particolarmente elegante e distinto, con questo inconveniente,
che il suo volto era del pallore più mortale che avessi mai visto,
se non nella morte. Non indossava una maschera – solo un
semplice vestito da sera da gentiluomo; e disse, senza un
sorriso, ma con un inchino cortese ed insolitamente profondo 'Mi permetterà Madame la Comtesse di pronunciare poche
parole che potrebbero interessarla?'
La dama si voltò rapidamente verso di lui, e si toccò il labbro
in un gesto di silenzio; poi mi disse, 'Tenetemi il posto,
Generale; ritornerò quando avrò scambiato qualche parola.'
E con questo ordine, scherzosamente impartito, si allontanò un
poco con il gentiluomo in nero, e parlò per alcuni minuti,
apparentemente con molta ansia. Si allontanarono poi
lentamente insieme tra la folla, e li persi di vista per alcuni
minuti.
Trascorsi l'intervallo randellandomi il cervello per una
78
congettura riguardo all'identità della dama che sembrava
ricordarmi con tanta gentilezza, ed ero sul punto di voltarmi
per unirmi alla conversazione tra la mia graziosa pupilla e la
figlia della Contessa, meditando se, per il momento del suo
ritorno, non potessi avere una sorpresa in serbo per lei, avendo
il suo nome, titolo, castello e terreni sulla punta delle mie dita.
Ma in quell'istante fece ritorno, accompagnata dal pallido
uomo in nero, che disse:
'Ritornerò per informare Madame la Comtesse quando la sua
carrozza sarà alla porta.'
E si ritirò con un inchino.”
79
XII
Una richiesta
“'E quindi perderemo Madame la Comtesse, ma spero solo per
qualche ora,' dissi, con un profondo inchino.
'Potrebbe essere solo così, o potrebbero essere settimane. Il suo
avermi parlato come ha fatto poco fa è stato molto infausto.
Ora sapete chi sono?'
Le assicurai di no.
'Lo saprete,' disse, 'ma non ora. Siamo amici più antichi e stretti
di quanto, forse, voi sospettiate. Ancora non posso dichiararmi.
Tra tre settimane passerò nel vostro bellissimo schloss, sul
quale ho fatto alcune ricerche. A quel punto vi farò visita per
un'ora o due, per rinnovare un'amicizia che non ricordo mai se
non con mille ricordi piacevoli. In questo momento una notizia
mi ha raggiunto come un fulmine. Devo partire adesso, e
percorrere una strada tortuosa, quasi cento miglia in lunghezza,
con tutta la prontezza che riesco a racimolare. I miei dubbi si
moltiplicano. Ho come unico deterrente l'obbligatorio riserbo
che pratico nei confronti del mio nome, dal farvi una richiesta
molto singolare. La mia povera bambina non ha ancora
recuperato del tutto le forze. E' caduta insieme al suo cavallo,
durante una battuta di caccia cui assisteva, ed i suoi nervi non
si sono ancora ripresi del tutto dal colpo, ed il nostro medico
sostiene che non deve assolutamente sforzarsi per un po' di
tempo a venire. Siamo arrivati qui, pertanto, facendo tappe
molto semplici – appena sei leghe al giorno. Ora invece io ho
bisogno di viaggiare giorno e notte, in una missione di vita o di
morte – una missione la cui natura cruciale e di enorme
importanza sarò in grado di spiegarvi quando ci incontreremo,
come spero, tra poche settimane, senza la necessità di alcuna
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dissimulazione.'
Proseguì con la sua supplica, e fu con il tono di una persona
che considera di conferire un onore, e non chiedere un favore,
con la propria richiesta.
Tutto ciò solo nella forma, e, come sembrava, piuttosto
inavvertitamente. Nulla avrebbe potuto essere più umile dei
termini in cui fui espressa la richiesta. Era semplicemente che
io acconsentissi ad occuparmi della figlia durante la sua
assenza.
Ciò era, tutto considerato, una richiesta strana, per non dire
audace. In qualche modo mi disarmò, asserendo ed
ammettendo tutte le motivazioni che esortavano a non prendere
una simile decisione, ed affidandosi completamente alla mia
cavalleria. Nello stesso istante, per una fatalità che sembra aver
predeterminato tutto ciò che accadde, la mia povera bambina si
avvicinò al mio fianco, e, sottovoce, mi pregò di invitare la sua
nuova amica, Millarca, a farci visita. L'aveva appena sondata, e
pensava che, se la madre lo avesse permesso, sarebbe stata
molto contenta.
In un altro momento le avrei detto di aspettare un po', fino a
quando, almeno, non avremmo saputo chi fossero. Ma non ebbi
un attimo per pensare. Le due signore mi assalirono insieme, e
devo confessare che il volto raffinato e bellissimo della giovane
dama, intorno alla quale aleggiava qualcosa di estremamente
coinvolgente, oltre all'eleganza ed al fuoco di alti natali, mi
condizionarono; e piuttosto sopraffatto, mi arresi, e mi
impegnai, con troppa facilità, nella tutela della damigella, che
la madre chiamava Millarca.
La Contessa chiamò con un gesto la figlia, che ascoltò con
grave attenzione mentre le riferiva, in termini generici, come
era stata richiamata all'improvviso e perentoriamente, e anche
dell'accordo che aveva stipulato per lei sotto la mia tutela,
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aggiungendo che io ero uno dei suoi primi e più stimati amici.
Io, ovviamente, feci i discorsi che la situazione richiedeva, e mi
ritrovai, riflettendoci, in una posizione che non mi piaceva
affatto.
Il gentiluomo in nero aveva fatto ritorno, e molto
cerimoniosamente condusse via con sé la dama dalla sala.
Il contegno di questo gentiluomo fu tale da infondermi la
convinzione che la Contessa fosse una dama dall'importanza
superiore a quella che il suo modesto titolo poteva indurmi a
considerare.
Il suo ultimo affidamento per me fu che prima del suo ritorno
non doveva essere fatto alcun tentativo di apprendere su di lei
più di quanto non potessi aver già indovinato. Il nostro illustre
ospite, che aveva invitato anche lei, come noi, per la festa, era a
conoscenza delle sue ragioni.
'Ma in questo luogo,” disse 'né io né mia figlia potremmo
restare al sicuro per più di un giorno. Per un istante ho
imprudentemente sollevato la mia maschera, circa un'ora fa, e,
troppo tardi, mi sembrò che mi aveste visto. Così decisi di
cercare un modo per parlare un po' con voi. Qualora avessi
scoperto che mi avevate visto, mi sarei affidata al vostro alto
senso dell'onore per mantenere il mio segreto per qualche
settimana. Ma come invece è, sono soddisfatta che non mi
abbiate visto; ma se ora sospettate, o, dopo una riflessione,
doveste sospettare chi io sia, mi affido similmente e del tutto al
vostro onore. Mia figlia osserverà la stessa segretezza, e so
bene che voi, di tanto in tanto, gliela ricorderete, dovesse
abbandonarla senza pensarci.'
Sussurrò qualche parola alla figlia, la baciò frettolosamente due
volte, e se ne andò, accompagnata dal pallido gentiluomo in
nero, e scomparve nella folla.
82
'Nella stanza accanto,' disse Millarca, 'si trova una finestra che
guarda sulla porta dell'ingresso. Mi piacerebbe seguire mamma
con lo sguardo, e lanciarle un bacio con la mano.'
Assentimmo, ovviamente, e la accompagnammo alla finestra.
Guardammo fuori, e vedemmo una bella carrozza antiquata,
con un battaglione di corrieri e valletti. Scorgemmo la figura
magra del pallido gentiluomo in nero, mentre sorreggeva uno
spesso mantello di velluto e lo poneva sulle spalle della dama,
tirando il cappuccio sulla sua testa. Lei gli annuì, sfiorandogli
la mano con la sua. Lui si inchinò profondamente e
ripetutamente mentre la porta si chiudeva, e la carrozza
cominciò a muoversi.
'Se ne è andata,” disse Millarca, con un sospiro.
'Se ne è andata,' mi ripetei, per la prima volta – nei frettolosi
momenti trascorsi da quando avevo acconsentito – riflettendo
sulla follia del mio gesto.
'Non ha guardato
lamentosamente.
verso
l'alto,'
disse
la
damigella,
'Forse la Contessa si era tolta la maschera, e non desiderava
mostrare il volto' dissi; 'e non poteva sapere che vi trovavate
alla finestra.'
Lei sospirò e mi guardò in faccia. Era così bella che venni a più
miti consigli. Mi dispiacque di essermi pentito per un istante
della mia ospitalità, e mi promisi di fare ammenda con lei per
l'inconfessata scortesia della mia accoglienza.
La damigella, riponendo la maschera, si unì alla mia pupilla nel
persuadermi a tornare nel parco, dove il concerto sarebbe
presto ripreso. Così facemmo, e passeggiamo su e giù per il
terrazzo che si trova sotto le finestre del castello.
Millarca prese molta confidenza con noi, e ci divertì con vivaci
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descrizioni di racconti sulla maggior parte delle persone illustri
che vedevamo sul terrazzo. Mi piaceva sempre di più ogni
minuto che passava. I suoi pettegolezzi, mai di natura
malevola, erano estremamente divertenti per me che avevo
vissuto così a lungo al di fuori della società. Pensavo a quale
vitalità avrebbe potuto portare nelle nostre serate a casa, spesso
solitarie.
Il ballo non terminò prima che il sole del mattino avesse quasi
raggiunto l'orizzonte. Piaceva al Granduca danzare fino a
quell'ora, e quindi le persone fedeli non potevano andarsene, o
pensare al giaciglio.
Avevamo appena attraversato una sala affollata, quando la mia
pupille mi chiese cosa ne fosse stato di Millarca. Avevo pensato
che si trovasse al suo fianco, e lei aveva immaginato che fosse
al mio. Il fatto era, l'avevamo persa.
Tutti i miei sforzi per trovarla furono vani. Temevo che avesse
confuso, nella confusione di una momentanea separazione da
noi, altre persone con i suoi nuovi amici, ed avesse, forse,
seguito e perso loro negli estesi terreni che erano stati aperti
per la festa.
Ora, con tutta la sua intensità, riconobbi una nuova forma di
follia nell'essermi impegnato nella tutela di una damigella
senza conoscere neanche il suo nome; ed incatenato come ero
da promesse, imposte per ragioni delle quali non sapevo nulla,
non potevo nemmeno indirizzare le mie ricerche affermando
che la damigella scomparsa era la figlia della Contessa che era
partita poche ore innanzi.
Arrivò il mattino. Era giorno pieno quando abbandonai la mia
ricerca. Non fu prima delle due del giorno seguente che
avemmo notizie della mia protetta scomparsa.
Intorno a quell'ora un servitore bussò alla porta di mia nipote,
84
per dire di essere stato ansiosamente sollecitato da una
damigella, che appariva afflitta da una profonda angoscia, a
rivelare dove avrebbe potuto trovare il Generale e Barone
Spielsdorf e la signorina sua figlia, ai quali era stata affidata da
sua madre.
Non potevano esserci dubbi che, nonostante la lieve
inesattezza, la nostra giovane amica si era fatta viva; e così era.
Avesse voluto il cielo che l'avessimo persa!
Raccontò alla mia povera bambina una storia che spiegasse per
quale motivo non fosse riuscita a ritrovarci per così tanto
tempo. Molto tardi, disse, era entrata nella stanza da letto della
governante, disperando di trovarci, ed era quindi caduta in un
sonno profondo che, per quanto lungo, era stato appena
sufficiente a rimetterla in piedi dopo le fatiche del ballo.
Quel giorno Millarca venne a casa con noi. Ero più che
contento, dopo tutto, di aver assicurato alla mia cara ragazza
una compagnia così affascinante.
85
XIII
Il boscaiolo
Tuttavia, apparvero presto degli inconvenienti. In primo luogo,
Millarca lamentava un estremo languore – la debolezza residua
della sua recente malattia – e non emergeva mai dalla sua
stanza prima che il pomeriggio fosse piuttosto inoltrato. In
secondo luogo, si scoprì accidentalmente, nonostante chiudesse
sempre a chiave la porta della sua stanza dall'interno, e non
disturbasse mai la chiave dal suo posto fino a quando non
consentiva alla cameriera di assisterla durante la sua toeletta,
che a volte era indubbiamente assente dalla sua stanza molto
presto al mattino, ed in diversi momenti seguenti della
giornata, prima che desiderasse che si sapesse che si stava
svegliando. Fu ripetutamente vista dalle finestre dello schloss,
nel primo tenue grigiore del mattino, mentre camminava tra gli
alberi, rivolta verso est, con l'aspetto di una persona in trance.
Questo mi convinse che fosse sonnambula. Ma questa ipotesi
non risolveva l'enigma. Come usciva dalla stanza, lasciando la
porta chiusa dall'interno? Come evadeva dalla casa senza aprire
porte o finestre?
Nel mezzo delle mie perplessità, si presentò un'ansia dalla
natura ben più urgente.
La mia povera bambina cominciò a perdere il suo aspetto e la
sua salute, ed in quella maniera così misteriosa, e persino
orribile, che divenni profondamente spaventato.
Fu in primo luogo visitata da sogni sconvolgenti; poi, come le
sembrava, da uno spettro, a volte simile a Millarca, a volte
della forma di una bestia, vista indistintamente, che camminava
intorno ai piedi del letto, da un lato all'altro.
Infine arrivarono le sensazioni. Una, non sgradevole, ma molto
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strana, disse, ricordava il flusso di un ruscello gelido che
scorresse accanto al suo petto. Più avanti, sentiva di essere
perforata, poco sotto alla gola, da qualcosa di simile a due
grandi aghi, con un dolore molto acuto. Poche notti dopo, seguì
un graduale e convulso senso di soffocamento; poi
sopravveniva uno svenimento.”
Riuscivo a sentire distintamente ogni parola pronunciata dal
vecchio Generale gentile, perché a questo punto stavamo
viaggiando sulla corta erbetta che si estende su entrambi i lati
della strada, mentre ci si avvicina al villaggio senza tetti che
non aveva dato segni del fumo di un camino da più di mezzo
secolo.
Potrete indovinare come mi sentissi strana nel sentire i miei
stessi sintomi descritti in maniera così esatta in quelli che erano
stati sperimentati dalla povera ragazza che, se non fosse stato
per la catastrofe sopraggiunta, sarebbe stata in quel momento
ospite presso il castello di mio padre. Potrete anche supporre
come mi sentissi nel sentire il Generale descrivere
dettagliatamente le abitudini e misteriose peculiarità che erano,
di fatto, le stesse della nostra bellissima ospite, Carmilla!
Si aprì uno scenario nella foresta; eravamo all'improvviso sotto
ai camini ed ai frontoni del villaggio in rovina, e da una leggera
altura incombevano le torri ed i parapetti del castello diroccato,
intorno al quale si raccolgono alberi giganteschi.
In un sogno spaventato scesi dalla carrozza, ed in silenzio,
perché avevamo molte cose cui pensare; presto montammo a
cavallo per la salita, e ci trovammo nelle spaziose camere, sulle
scale tortuose e per gli oscuri corridoi del castello.
“E questa era un tempo la sontuosa residenza dei Karnstein!”
disse il vecchio Generale dopo un po', mentre guardava in
direzione del villaggio da una grande finestra, scorgendo
l'ampia e ondulata distesa della foresta. “Era una famiglia
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malvagia, e qui furono scritti i loro annali macchiati di
sangue,” continuò. “E' pesante che debbano, dopo la morte,
continuare ad affliggere la razza umana con i loro atroci
appetiti. Quella è la cappella dei Karnstein, laggiù.”
Indicò verso il basso i muri grigi di una costruzione gotica
parzialmente visibile attraverso il fogliame, poco oltre la salita.
“E sento l'ascia di un boscaiolo,” aggiunse, “a lavoro tra gli
alberi che la circondano; egli forse potrà darci le informazioni
che sto ricercando, ed indicare la tomba di Mircalla, Contessa
di Karnstein. Questi villici mantengono le tradizioni locali
delle grande famiglie, le cui storie muoiono tra i ricchi ed i
nobili non appena le famiglie stesse si estinguono.”
“Abbiamo un quadro, a casa, di Mircalla, la Contessa
Karnstein; vorresti vederlo?” chiese mio padre.
“A tempo debito, mio caro amico,” rispose il Generale. “Credo
di aver visto l'originale; ed una motivazione che mi ha spinto
da te prima di quanto non intendessi in primo luogo, è di
esplorare la cappella alla quale ci stiamo ora avvicinando.”
“Cosa! Vedere la Contessa Mircalla,” esclamò mio padre;
“perché, è morta da più di un secolo!”
“Non così morta come credi, mi dicono” rispose il Generale.
“Ti confesso, Generale, che mi confondi completamente”
replicò mio padre, guardandolo, mi sembrò, per un istante con
un ritorno del sospetto che avevo individuato in precedenza.
Ma per quanto vi fosse rabbia ed a volte odio, nel
comportamento del Generale, non vi era nulla di incostante.
“Non mi resta,” disse, mentre passavamo sotto il pesante arco
della chiesa gotica – perché le dimensioni avrebbero
giustificato il suo stile - “che uno scopo che possa interessarmi
nei pochi anni che mi restano sulla terra, e ciò è per portare su
di lei la vendetta che, grazie a Dio, può ancora essere compiuta
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da un braccio mortale.”
“Che vendetta puoi intendere?” chiese mio padre, con stupore
crescente.
“Intendo, decapitare il mostro,” rispose, arrossendo
ferocemente e con un battito del piede sul terreno che echeggiò
lugubremente per la vuota rovina, con il pugno, quel momento
sollevato, chiuso come se afferrasse in manico di un'ascia,
mentre lo scuoteva con ferocia.
“Cosa?” esclamò mio padre, più sconcertato che mai.
“Staccarle la testa.”
“Tagliarle la testa!”
“Si, con un'accetta, un badile, o qualsiasi cosa che possa
passare attraverso la sua gola assassina. Sentirete,” rispose,
tremante di rabbia. E correndo avanti disse:
“Quella trave andrà bene come sedile; la tua cara bambina è
affaticata; lascia che si sieda, ed io, con poche frasi, chiuderò il
mio terribile racconto.”
Un blocco di legno squadrato, che giaceva sul pavimento
ricoperto d'erba della cappella, formava una panca sulla quale
fui molto lieta di sedermi, mentre il Generale chiamava il
boscaiolo, che stava rimuovendo alcuni rami che si
appoggiavano alle vecchie mura; e, ascia alla mano, il
resistente vecchio ci raggiunse.
Non sapeva dirci nulla dei monumenti; ma c'era un vecchio,
disse, un guardiacaccia di questa foresta, che in questo
momento risiedeva nella casa del prete, a circa due miglia di
distanza, in grado di indicare qualsiasi monumento della
vecchia famiglia Karnstein; e, in cambio di un'inezia, si
impegnò a riportarlo indietro con sé, se gli avessimo prestato
uno dei nostri cavalli, in meno di mezz'ora.
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“Per quanto tempo avete lavorato in questa foresta?” chiese
mio padre al vecchio.
“Sono stato boscaiolo qui” rispose nel suo provenzale, “sotto la
guardia forestale, tutta la vita; così mio padre prima di me, e
così per tutte le generazioni cui posso risalire. Potrei mostrarvi
la casa precisa in cui i miei antenati vivevano qui.”
“Come avvenne che il villaggio venisse abbandonato?”rispose
il Generale.
“Era infestato dai revenants, signore; molti sono stati
rintracciati fin nelle loro tombe, riconosciuti dai consueti
esami, ed estinti nel modo usuale, con la decapitazione, con un
paletto, o con il fuoco; ma non prima che molti abitanti del
villaggio fossero stati uccisi.
Ma dopo tutti questi procedimenti secondo la legge,” continuò,
- “nonostante così tante tombe aperte, ed un numero tale di
vampiri privato della loro orribile animazione – il villaggio non
ebbe pace. Ma un nobile della Moravia, di passaggio da queste
parti, sentita la situazione, ed essendo esperto – come molti
nella sua terra – di simili questioni, si offrì di liberare il
villaggio dal suo tormentatore. Fece così: poiché c'era una luna
brillante quella notte, salì, poco dopo il tramonto, sulle torri
della cappella laggiù, da dove poteva vedere distintamente il
cimitero sotto di lui; potete vederlo da quella finestra. Da quel
punto rimase in osservazione finché non vide il vampiro uscire
dalla sua tomba, e piazzare lì accanto le lenzuola di lino in cui
era stato sepolto, e poi scivolare via verso il villaggio per
tormentare i suoi abitanti.
Lo straniero, avendo visto tutto ciò, discese dal campanile,
prese le lenzuola di lino del vampiro, e le portò in cima alla
torre, sulla quale salì nuovamente. Quando il vampiro fece
ritorno dalle sue incursioni e notò la mancanza delle sue
lenzuola, urlò ferocemente all'indirizzo del Moravo, che vide
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sulla sommità della torre e che, in risposta, gli fece segno di
salire a prenderle.
Motivo per cui il vampiro, accettando la sua sfida, cominciò ad
arrampicarsi su per il campanile; ma non appena ebbe
raggiunto i parapetti, il Moravo, con un colpo di spada, gli
spaccò il suo cranio in due, scagliandolo giù nel cimitero dove,
scendendo per le scale tortuose, il forestiero lo seguì e gli tagliò
la testa, per consegnarla il giorno dopo insieme al corpo agli
abitanti del villaggio, che lo impalarono e bruciarono come
indicato.
Questo nobile Moravo vanne autorizzato dal capofamiglia
dell'epoca a rimuovere la tomba di Mircalla, Contessa di
Karnstein, cosa che egli fece con successo, e così in poco
tempo la sua locazione fu quasi dimenticata.
“Potreste indicare dove si trovava?”chiese il Generale,
ansiosamente.
Il boscaiolo scosse la testa, e sorrise.
“Non c'è anima vivente che potrebbe dirvelo, ora,” disse;
“inoltre, dicono che il suo corpo è stato spostato; ma nessuno è
sicuro neanche di questo.”
Avendo parlato così, poiché il tempo stringeva, lasciò la sua
ascia e partì, lasciandoci ad ascoltare ciò che restava dello
strano racconto del Generale.
91
XIV
L'incontro
“La mia cara bambina,” continuò, “ormai peggiorava di giorno
in giorno. Il medico che la seguiva aveva fallito nell'ottenere un
qualsiasi effetto sulla sua malattia, perché all'epoca tale
consideravo il suo male. Si rese conto della mia
preoccupazione, e suggerì un consulto. Convocai per lei un
medico più esperto, da Gratz.
Passarono diversi giorni prima che arrivasse. Era buono e
devoto, oltre ad essere un uomo colto. Dopo aver visitato
insieme la mia povera pupilla, si ritirarono nella mia biblioteca
per parlare e discutere. Dalla stanza accanto, dove aspettavo di
essere chiamato, sentivo i due gentiluomini che alzavano la
voce in un tono più aspro di quanto si potesse aspettare da una
discussione strettamente filosofica. Bussai alla porta ed entrai.
Trovai l'anziano medico di Gratz che insisteva sulla sua teoria.
Il suo rivale la contrastava con aperta derisione, accompagnata
da scoppi di risa. Al mio ingresso questa incresciosa
manifestazione cessò e l'alterco finì.
'Signore' disse il mio primo medico, 'il mio acculturato fratello
sembra pensare che voi vogliate un mago, e non un dottore.'
'Perdonatemi,' disse l'anziano medico di Gratz, contrariato,
'Asserirò il mio punto di vista sul caso a modo mio in un altro
momento. Mi rincresce, Monsieur le General, di non potervi
aiutare con le mie abilità e con la mia scienza.
Prima di andar via mi prenderò l'onore di darvi un
suggerimento.'
Apparve pensieroso, e si sedette ad un tavolo cominciando a
scrivere.
92
Profondamente deluso, mi inchinai, e mentre mi voltavo per
andarmene, l'altro medico indicò alle sue spalle il suo collega
che stava scrivendo, e poi, con un'alzata di spalle, si toccò
eloquentemente la fronte.
Questa consultazione, dunque, mi lasciò precisamente al punto
di partenza. Uscii nel parco, praticamente disperato. Il medico
di Gratz mi raggiunse in dieci o quindici minuti. Si scusò di
avermi seguito, ma disse di non poter partire in coscienza senza
aver scambiato qualche parola in più. Mi disse che non poteva
esserci errore; nessuna malattia naturale manifestava gli stessi
sintomi; e che la morte era già molto vicina. Restavano,
tuttavia, un giorno, forse due, di vita. Se si arrestava subito la
crisi fatale, con grande attenzione e abilità avrebbe forse potuto
riprendere le forze. Ma tutto ormai dipendeva dai confini del
irrevocabile. Un altro assalto avrebbe potuto estinguere l'ultima
scintilla di una vitalità che è, ogni momento, pronta a morire.
'E quale sarebbe la natura della crisi di cui parlate?' supplicai.
'Ho scritto tutto pienamente in questa nota, che metto nelle
vostre mani con la precisa condizione che manderete a
chiamare il prete più vicino, e aprirete la mia lettera in sua
presenza, e per nessun motivo la leggerete fino a quando egli si
troverà con voi; altrimenti la disprezzerete, ed è una questione
di vita o di morte. Dovesse il prete deludervi, allora invero
potrete leggerla.'
Mi chiese, prima di congedarsi definitivamente, se era mio
desiderio incontrare un uomo curiosamente erudito sulla
precisa questione che, dopo aver letto la sua lettera, mi avrebbe
probabilmente interessato più di ogni altra cosa, e mi esortò
con ansia ad invitarlo a fargli visita; e così prese congedo.
L'ecclesiastico non c'era, e quindi lessi da solo la lettera. In un
altro momento, o in un'altra circostanza, avrebbe provocato la
mia derisione. Ma in quali fandonie non si lancia la gente per
93
un'ultima possibilità, quando tutti i mezzi consueti hanno
fallito, e la posta in gioco è la vita di una persona amata?
Nulla, direte, poteva essere più assurdo della lettera di
quell'uomo erudito.
Era sufficientemente mostruosa da rinchiuderlo in manicomio.
Diceva che la paziente soffriva delle visite di un vampiro! Le
punture che aveva descritto di aver sentito presso la gola,
erano, insisteva, l'inserimento dei due lunghi, sottili ed aguzzi
denti che, come è noto, sono specifici di tutti i vampiri; e non
poteva esserci alcun dubbio, aggiungeva, riguardo alla
presenza ben chiara del piccolo segno livido che tutto
concordava ad indicare come il segno delle labbra del demone,
e ogni sintomo descritto dalla vittima era precisamente
conforme a quelli descritti in ogni caso di simili apparizioni.
Poiché personalmente ero del tutto scettico riguardo
all'esistenza di un qualsiasi portento simile al vampiro, la teoria
soprannaturale del buon dottore forniva, nella mia opinione,
semplicemente un altro esempio di come la cultura e
l'intelligenza possano associarsi in maniera bizzarra con le
allucinazioni. Ero talmente disperato, tuttavia, che piuttosto che
non tentar nulla, agii secondo le istruzioni della lettera.
Mi nascosi nell'oscurità dello stanzino, che si apriva sulla
stanza della povera paziente, dove bruciava una candela, e
restai di guardia in quel luogo finché non si addormentò
profondamente. Restai in piedi sulla porta, sbirciando
attraverso una piccola fessura, la spada poggiata sul tavolo
accanto a me, come descrivevano le mie istruzioni, finché,
poco dopo l'una, non vidi un enorme oggetto nero, molto mal
definito, strisciare, come mi sembrò, fino ai piedi del letto, per
poi estendersi rapidamente fino alla gola della povera ragazza,
dove si gonfiò, in un momento, in una grande massa palpitante.
Per qualche istante ero rimasto impietrito. Ora scattai in avanti,
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la spada in mano. La creatura nera si contrasse all'improvviso
verso i piedi del letto, scivolando oltre, e in piedi sul pavimento
appena una iarda oltre i piedi del letto, vidi Millarca, che mi
guardava con uno sguardo acceso di furtiva ferocia e di orrore.
Pensando non so cosa, la colpii istantaneamente con la spada;
ma la vidi in piedi accanto alla porta, indenne. Orripilato, la
seguii, e colpii nuovamente. Se ne era andata; e la mia spada
volò in pezzi accanto alla porta.
Non posso descriverti tutto quello che accadde quell'orribile
notte. L'intera casa era in piedi ed in agitazione. Lo spettro di
Millarca se ne era andato. Ma la sua vittima affondava in fretta,
e prima che albeggiasse, morì.”
Il vecchio Generale era agitato. Non gli parlammo. Mio padre
si allontanò un poco, e cominciò a leggere le iscrizioni sulle
lapidi; e così impegnato, passeggiò fino alla porta di una
cappella laterale per continuare le sue ricerche. Il Generale si
appoggiò ad un muro, si asciugò gli occhi, e sospirò
profondamente. Fui sollevata dal sentire le voci di Carmilla e
di Madame, che si avvicinavano in quel momento. Le voci
svanirono in lontananza.
In quel deserto, dopo aver appena ascoltato un racconto così
strano, collegato, come era, con gli illustri e nobili defunti i cui
monumenti ammuffivano tra la polvere e l'edera che ci
circondava, e di cui ogni avvenimento si rifletteva così
atrocemente nel mio specifico caso misterioso – in quel punto
infestato, oscurato dal fogliame imponente che si sollevava su
ogni lato, denso e alto sui suoi muri silenziosi – sentii l'orrore
cominciare a strisciare verso di me, ed il mio cuore affondò nel
petto mentre pensavo che i miei amici, dopo tutto, non
avevano intenzione di entrare e disturbare questa scena
minacciosa e mesta.
Gli occhi del vecchio Generale erano fissi a terra, mentre
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appoggiava la mano al basamento di un monumento infranto.
Sotto l'arco di una stretta porta d'ingresso, sormontata da una di
quelle grottesche demoniache con cui si diletta la fantasia
cinica e spettrale delle antiche incisioni gotiche, vidi con molto
piacere il bellissimo volto e la figura di Carmilla fare il loro
ingresso nell'ombrosa cappella.
Ero sul punto di alzarmi e parlare, e annuii sorridente in
risposta al suo tipico sorriso coinvolgente; quando con un
grido, il vecchio al mio fianco prese al volo l'accetta del
boscaiolo e si scagliò in avanti. Nel vederlo un cambiamento
brutale sopravvenne nelle fattezze di Carmilla. Si trattò di una
trasformazione istantanea ed orribile, mentre indietreggiava
quasi accovacciandosi. Prima che io potessi urlare, egli la colpì
con tutta la sua forza, ma lei schivò passando al di sotto del suo
fendente, ed indenne, gli strinse in polso nella sua piccola
stretta. Egli lottò per qualche momento per liberare il braccio,
ma la sua mano si era aperta, l'ascia cadde a terra, e la fanciulla
era scomparsa.
Barcollò verso il muro. I capelli grigi erano dritti sulla sua
testa, ed un velo di sudore luccicava sul suo volto, come se
fosse in punto di morte.
La spaventosa scena era passata in un momento. La prima cosa
che ricordo dopo, è Madame in piedi di fronte a me, che
ripeteva impazientemente più volte la domanda, “Dove è
Mademoiselle Carmilla?”
Dopo un po' le risposi, “Non lo so – non saprei dirlo – è andata
di là,” ed indicai la porta dalla quale Madame era appena
entrata “solo uno o due minuti fa.”
“Ma io mi trovavo là, nel passaggio, da quando Mademoiselle
Carmilla ha fatto il suo ingresso; e non è tornata indietro.”
Al quel punto cominciò a chiamare “Carmilla,” attraverso ogni
96
porta e passaggio e dalle finestre, ma non arrivò alcuna
risposta.
“Si faceva chiamare Carmilla?” chiese il Generale, ancora
agitato.
“Si, Carmilla,” risposi.
“Si,” disse; “quella è Millarca. E' la stessa persona che molto
tempo fa veniva chiamata Mircalla, Contessa di Karnestein.
Lascia questo terreno maledetto, mia povera bambina, il più
velocemente possibile. Cavalca fino alla casa del prete, e resta
lì fino al nostro arrivo. Va'! Che tu possa non vedere mai più
Carmilla; non la troverai qui.”
97
XV
Ordalia ed esecuzione
Mentre parlava entrò nella cappella attraverso la porta dalla
quale Carmilla aveva fatto il suo ingresso ed era poi uscita uno
degli uomini più strani che io abbia mai visto. Era alto, dal
torace stretto, chino, dalle spalle alte, e completamente vestito
di nero. Il suo volto era scuro e secco, con profonde rughe;
indossava un cappello a tesa larga dalla forma strana. I suoi
capelli, lunghi e striati di grigio, gli ricadevano sulle spalle.
Indossava un paio di occhiali dalla montatura d'oro, e
camminava lentamente, con una strana andatura zoppicante, il
volto a volte rivolto al cielo, e altre chino verso il terreno,
sorridente di uno strano sorriso perpetuo; le lunghe braccia
oscillavano, e le sue magre mani, nei guanti neri fin troppo
grandi per lui, si agitavano e gesticolavano in totale astrazione.
“L'uomo in persona!” esclamò il Generale, facendo un passo in
avanti con palese gioia. “Mio caro Barone, come sono contento
di vederti, non avevo speranza di incontrarti così presto.” Fece
un gesto per chiamare mio padre, che nel frattempo aveva fatto
ritorno, portando con sé l'illustre anziano gentiluomo che aveva
chiamato il Barone. Li presentò formalmente, ed intrapresero
subito un'ansiosa conversazione. Lo sconosciuto estrasse un
rotolo di carta dalla tasca, e lo distese sulla superficie consunta
di una tomba che si trovava lì vicino. Teneva in mano un
portamatite, con cui tracciava linee immaginarie da un punto
all'altro sulla carta che, in base alle occhiate che spesso insieme
lanciavano a determinati punti dell'edificio, prima di ritornare
all'osservazione, conclusi dovesse essere una pianta della
cappella. Accompagnava quella che potrei definire la sua
lezione leggendo occasionalmente dei passaggi da un libretto
sporco, le cui pagine ingiallite erano piene di fitti appunti.
98
Passeggiarono insieme lungo la navata laterale, dall'altra parte
rispetto a dove mi trovavo, conversando durante il cammino; a
quel punto cominciarono a prendere le distanze misurando i
passi, e finalmente si trovarono tutti insieme, fronteggiando
una parte del muro laterale, che cominciarono ad esaminare
con grande attenzione; strappando via l'edera che vi cresceva e
bussando sull'intonaco con le estremità dei loro bastoni,
raspando qua, bussando di là. Infine appurarono l'esistenza di
un'ampia lastra di marmo, recante delle lettere intagliate in
rilievo.
Con l'aiuto del boscaiolo, che aveva presto fatto ritorno, furono
presto svelate un'iscrizione monumentale ed un blasone
scolpito. Si rivelarono come parte del dimenticato monumento
funebre di Mircalla, Contessa di Karnstein.
Il vecchio Generale, per quanto fosse, come temo, poco incline
alla preghiera, sollevò le mani e gli occhi al cielo, in un muto
ringraziamento della durata di qualche istante.
“Domani,” lo sentii dire; “il notaio sarà qui, e si terrà
l'inquisizione secondo la legge.”
Rivolgendosi poi all'uomo con gli occhiali d'oro, che ho
descritto, gli strinse caldamente la mano a mani giunte e disse:
“Barone, come posso ringraziarti? Come possiamo tutti noi
ringraziarti? Hai liberato questa regione da un male che ha
flagellato i suoi abitanti per più di un secolo. L'orribile nemico,
grazie a Dio, è finalmente stato rintracciato.”
Mio padre condusse da parte lo sconosciuto, ed il Generale lo
seguì. So che li aveva portati fuori dalla mia portata d'orecchio,
in modo da riferire il mio caso, e li vidi lanciarmi numerose
occhiate furtive, nel corso della conversazione.
Poi mio padre ritornò da me, mi baciò più e più volte, e
conducendomi via dalla cappella, disse:
99
“E' ora di fare ritorno, ma prima di andare a casa, dobbiamo
aggiungere alla nostra compagnia il buon prete, che vive a poca
distanza da qui; e convincerlo ad accompagnarci allo schloss.”
Portammo a termine questa missione con successo: e ne fui
contenta, trovandomi inspiegabilmente affaticata quando
arrivammo a casa. Ma la mia soddisfazione si tramutò in
sgomento, scoprendo che non vi erano notizie di Carmilla. Non
mi venne offerta alcuna spiegazione della scena che aveva
avuto luogo nella cappella in rovina, e fu chiaro che si trattava
di un segreto che per il momento mio padre aveva deciso di
non rivelarmi.
La sinistra assenza di Carmilla rendeva il ricordo della scena
ancora più orribile per me. Le disposizioni per quella notte
erano singolari. Due servitori e Madame dovevano restare
svegli nella mia stanza quella notte; e l'ecclesiastico con mio
padre montava di guardia nello stanzino adiacente.
Il prete aveva recitato determinati riti solenni, il cui scopo non
capivo più di quanto non comprendessi la ragione di questa
precauzione straordinaria per la mia sicurezza durante il sonno.
Ebbi una chiara visione di tutto pochi giorni dopo.
La scomparsa di Carmilla fu seguita da un venir meno delle
mie sofferenze notturne.
Avrete sentito, senza dubbio, dell'allucinante superstizione che
prevale nell'Alta e Bassa Stiria, in Moravia, nella Slesia, nella
Serbia turca, in Polonia, persino in Russia; la superstizione,
così dobbiamo definirla, del Vampiro.
Se la testimonianza umana, presa con la dovuta attenzione e
solennità, in sede di giudizio, di fronte ad innumerevoli
commissioni, ognuna composta da molti membri, tutti scelti
per integrità ed intelligenza, e comprendente resoconti forse
più voluminosi di quanti non ne esistano su qualsiasi altro
100
genere di casi, ha un qualche valore, è difficile negare o anche
dubitare dell'esistenza di un fenomeno come quello del
Vampiro.
Personalmente non ho udito alcuna teoria che spiegasse ciò che
io stessa ho visto e sperimentato, se non quella fornita
dall'antica e ben attestata credenza del paese.
Il giorno seguente le procedure formali ebbero luogo nella
cappella di Karnstein.
La tomba della Contessa Mircalla fu aperta; e sia il Generale
che mio padre riconobbero ognuno la propria perfida e
bellissima ospite, nel volto ora svelato alla vista. Le fattezze,
per quanto fossero passati centocinquanta anni dal suo
funerale, avevano le tinte del calore della vita. Gli occhi erano
aperti; nessun odore cadaverico esalava dalla bara. I due periti
medici, uno presente in veste ufficiale, l'altro su richiesta del
promotore dell'inchiesta, verificarono il fatto straordinario di
una debole ma apprezzabile respirazione, ed una
corrispondente azione del cuore. Le membra erano
perfettamente flessibili, la carne elastica; e la bara piombata era
inondata di sangue, in cui il corpo giaceva immerso, ad una
profondità di sette pollici.
Si trovavano qui dunque tutti i segni e le prove riconosciute del
vampirismo. Il corpo, quindi, in accordo con l'antica pratica,
venne sollevato, ed un paletto acuminato venne piantato nel
cuore del vampiro, che in quell'istante emise un urlo
penetrante, del tutto simile a quello che potrebbe sfuggire ad un
vivente durante l'ultima agonia. Si tagliò poi la testa, ed un
torrente di sangue fluì dal collo reciso. Il corpo e la testa furono
poi piazzati su una pila di legna, e ridotti in cenere; la cenere fu
poi sparsa nel fiume e portata via, e quel territorio da allora non
è mai più stato colpito dalle visite di un vampiro.
Mio padre possiede una copia del rapporto della Commissione
101
Imperiale, recante le firme di tutti i presenti a questi
procedimenti, allegate come verifica di quanto affermato.
Proprio da questo documento ufficiale ho sintetizzato il
racconto di questa ultima sconvolgente scena.
102
XVI
Conclusione
Immaginate che io vi scriva tutto ciò con sangue freddo. Ma
non è affatto così; non posso ripensarci senza agitazione. Nulla
se non il vostro ansioso desiderio così tanto volte espresso
potrebbe avermi indotto ad affrontare un compito che ha
logorato i miei nervi per mesi a venire, e riportato in vita
l'ombra dell'orrore indicibile che anni dopo la mia liberazione
continuava a rendere pieni di angoscia i miei giorni e le mie
notti, e la solitudine a tal punto terribile da essere
insopportabile.
Permettetemi di aggiungere una parola o due riguardo a quel
pittoresco Barone Vordenburg, al cui curioso sapere dovemmo
la scoperta della tomba della Contessa Mircalla.
Aveva posto la sua dimora a Gratz, dove, vivendo di un mero
sussidio, che era tutto ciò che gli restava dei terreni
principeschi dell'Alta Stiria un tempo appartenuti alla sua
famiglia, si era dedicato alla minuziosa e laboriosa ricerca della
tradizione straordinariamente documentata sul vampirismo.
Conosceva a menadito tutte i lavori grandi e piccoli pubblicati
sulla materia.
“Magia Posthuma," "Phlegon de Mirabilibus," "Augustinus de
cura pro Mortuis," "Philosophicae et Christianae Cogitationes
de Vampiris," di John Christofer Herenberg; e mille altri, dei
quali ricordo unicamente i pochi che lasciò in prestito a mio
padre. Possedeva un voluminoso compendio di tutti i casi
giudicati, dai quali aveva estrapolato un sistema di principi che
sembrano governare – alcuni sempre, altri solo
occasionalmente – la condizione del vampiro. Incidentalmente,
farò notare che il pallore mortale attribuito a questo tipo di
103
revenants è una mera invenzione melodrammatica. Essi
manifestano nella tomba e quando si fanno vedere in
compagnia umana l'apparenza di una vita in salute. Quando
svelati alla luce nelle loro bare, esibiscono tutti i sintomi
annoverati tra quelli che dimostrarono l'esistenza vampirica
della Contessa di Karnstein, morta da tempo.
Come possano uscire dalle loro tombe per farci poi ritorno in
determinati orari ogni giorno senza spostare l'argilla o lasciar
traccia di un qualsiasi disturbo nella condizione della bara o del
sudario, è sempre stato riconosciuto come un fatto del tutto
inspiegabile. L'esistenza anfibia del vampiro è sostenuta dal
rinnovato e giornaliero riposo nella tomba. Il suo orribile
appetito per il sangue dei vivi fornisce il vigore della sua
esistenza da sveglio. Il vampiro è incline all'essere affascinato
con una veemenza avvincente, che assomiglia alla passione
dell'amore, da determinate persone. Nel braccare costoro,
eserciterà un'inesausta pazienza e ricorrerà a qualsiasi
stratagemma, perché l'accesso ad un individuo specifico può
essere ostruito in mille modi. Non desisterà mai prima di aver
saziato il proprio impulso, ed aver prosciugato la stessa vita
della sua bramata vittima. Ma in questi casi, amministrerà e
protrarrà il suo divertimento omicida con la raffinatezza di un
epicureo, e lo rafforzerà attraverso gli approcci graduali di un
abile corteggiamento. In questi casi sembra struggersi alla
ricerca di qualcosa di affine alla comprensione ed al consenso.
Ordinariamente persegue direttamente l'oggetto del suo
desiderio, sopraffà con violenza, e spesso strangola ed
esaurisce in un solo banchetto.
Il vampiro è inoltre, apparentemente soggetto, in determinate
situazioni, a condizioni particolari. Nel caso specifico che vi ho
raccontato, Mircalla sembrava essere limitata ad un nome che,
per quanto diverso dalla sua vera identità, lo riproducesse sotto
la forma di anagramma, senza alcuna omissione o aggiunta
104
delle lettere che lo compongono.
Carmilla rispondeva a questi requisiti; ugualmente Millarca.
Mio padre raccontò al Barone Vordenburg, che rimase con noi
per due o tre settimane dopo l'espulsione di Carmilla, la storia
riguardante il nobiluomo Moravo ed il vampiro nel cimitero di
Karnstein, e chiese quindi al Barone come avesse scoperto la
posizione esatta della tomba della Contessa Mircalla, così a
lungo celata. Le fattezze grottesche del Barone si arricciarono
in un sorriso misterioso; guardò in basso, sempre sorridendo al
suo consunto astuccio per gli occhiali, giocherellandoci.
Poi sollevando lo sguardo, disse:
“Possiedo molto diari, ed altri documenti, scritte da quell'uomo
notevole; il più curioso tra tutti tratta della visita di cui parlate,
qui a Karnstein. La tradizione, ovviamente, scolorisce e
distorce un po'. Egli potrebbe essere stato definito un
nobiluomo Moravo perché aveva cambiato residenza per vivere
in quel territorio, ed era, per di più, un nobile. Ma in realtà egli
era originario dell'Alta Stiria. Sarà sufficiente affermare che
quando era molto giovane era stato l'appassionato e ricambiato
amante della bellissima Mircalla, Contessa di Karnstein. La sua
morte precoce lo gettò in un lutto inconsolabile. Crescere e
moltiplicarsi è nella natura dei vampiri, ma secondo una legge
assodata e spettrale.
Considerate, come punto di partenza, un territorio del tutto
libero da un simile parassita. Come ha inizio, e come si
moltiplica? Ve lo dirò. Una persona, più o meno malvagia,
pone fine alla propria vita. Un suicida, sotto determinate
circostanze, diventa un vampiro. Quello spettro visita i vivi nel
sonno; essi muoiono, e quasi invariabilmente, nella tomba, si
tramutano in vampiri. Ciò accadde nel caso della bellissima
Mircalla, che fu perseguitata da uno di questi demoni. Il mio
antenato, Vordenburg, di cui porto ancora il titolo, scoprì ben
105
presto la cosa, e nel corso degli studi cui si dedicò apprese
molto di più.
Tra le altre cose, arrivò alla conclusione che il sospetto di
vampirismo sarebbe probabilmente ricaduto, prima o poi, sulla
defunta Contessa, che in vita era stata il suo idolo. Pensava con
orrore, qualsiasi cosa essa fosse diventata, ai suoi resti
profanati dallo scandalo di un'esecuzione postuma. Lasciò un
documento bizzarro per dimostrare che il vampiro, dopo essere
stato espulso dalla sua esistenza anfibia, è proiettato in una vita
ben più orribile; e decise di salvare la sua un tempo amata
Mircalla da ciò.
Adottò lo stratagemma di un viaggio in queste terre, un finto
spostamento dei suoi resti, ed una reale rimozione del suo
monumento. Quando l'età lo ebbe raggiunto, e dalla valle degli
anni, guardò indietro in direzione delle scene che stava
lasciando, considerò con spirito diverso quanto aveva fatto, e
fu preso dall'orrore. Fece disegni ed appunti che mi hanno
guidato fino al punto preciso, e scrisse una confessione
dell'inganno che aveva praticato. La morte prevenne qualsiasi
altra azione in merito, qualora l'avesse intesa; e la mano di un
remoto discendente ha diretto, troppo tardi per molti, la ricerca
fino alla tana della bestia.”
Parlammo un altro po', e tra le altre cose che disse vi fu questa
affermazione:
“Uno dei segni del vampiro è il potere della mano. L'esile
mano di Mircalla si chiuse come morsa d'acciaio sul polso del
Generale quando egli sollevò l'accetta per colpire. Ma la sua
forza non è confinata solo nella stretta; lascia nell'arto che
afferra un'insensibilità che guarisce lentamente, se mai del
tutto.”
La primavera seguente mio padre mi portò in viaggio in Italia.
Restammo fuori più di un anno. Ci volle molto tempo prima
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che il terrore dei recenti eventi venisse meno; e ancora oggi
l'immagine di Carmilla torna alla mia memoria con alternanza
ambigua – a volte la bellissima ragazza giocosa, languida; altre
volte il demone che vidi contorcersi nella chiesa in rovina; e
spesso mi sono riscossa da una fantasticheria, immaginando di
aver sentito il passo leggero di Carmilla alla porta del
soggiorno.
107
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