TERRY GOODKIND L'ANIMA DEL FUOCO (Soul Of The Fire, 1999) Guardati dal momento in cui il giorno e la notte s'incontrano. Guardati dagli incroci dove essi si annidano. Possono celarsi tra le braci del fuoco e spostarsi con facilità nelle scintille. Guardati dalle zone d'ombra tra le rocce, dai buchi, dalle caverne e dai pozzi d'ogni genere. Guardati dai torrenti, dai corsi d'acqua e dagli strapiombi... le creature magiche si insinuano tra i confini, dove questo incontra quello. Alcuni sono di una bellezza glaciale e terribile. La maggior parte di essi prende forma da un capriccio. Alcuni bramano l'attenzione. Pregate di non provocarli, poiché essi sono pericolosissimi e amano fare del male nei modi più stravaganti. Ladri di magia, sono cacciatori infaticabili privi d'anima e d'identità. Ricorda bene le mie parole: guardati dai Rintocchi e se il pericolo fosse grande, traccia tre volte per terra una Grazia Letale con il sangue, la sabbia e il sale. dal diario di Koloblicin 1 «Mi chiedo cosa stia disturbando le galline» disse Richard. Kahlan premette il viso contro la spalla del marito. «Forse è tuo nonno» replicò e quando non udì nessuna risposta inclinò la testa per guardarlo. Richard stava fissando la porta. «O forse sono nervose perché le abbiamo tenute sveglie per tutta la notte.» Richard sorrise e le diede un bacio sulla fronte. Lo starnazzare oltre la porta era cessato. Kahlan suggerì che, i bambini, ancora eccitati dal banchetto nuziale, dovevano aver scacciato le galline dal muretto vicino alla casa degli spiriti dove erano solite appollaiarsi. Ne era sicura. Il debole eco delle risate, delle conversazioni e dei canti turbò la calma del loro rifugio. L'odore dei bastoncini di balsamo che bruciavano notte e giorno nel camino della casa degli spiriti si era mischiato a quello del sudore e all'aroma dolce e speziato dei peperoni arrostiti e delle cipolle. Kahlan osservò per qualche istante il riflesso delle fiamme negli occhi grigi del marito, quindi tornò a giacere tra le sue braccia ondeggiando dolcemente al suono dei tamburi e delle boldas, strumenti di metallo a forma di campana rovesciata sulla cui superficie incisa battevano delle palette. La melodia sinistra e ossessiva delle boldas penetrò la solitudine della casa degli spiriti e si disperse nella prateria per dare il benvenuto agli spiriti degli antenati che prendevano parte ai festeggiamenti. Richard si girò su un fianco e prese un pezzo di pane di tava dal vassoio che Zedd aveva portato loro la sera prima. «Vuoi? È ancora caldo.» «Vi siete stufato così in fretta della vostra nuova moglie, lord Rahl?» La risata di Richard fece sorridere anche Kahlan. «Siamo sposati, vero? Non è un sogno?» Kahlan amava la sua risata. Quante volte aveva pregato gli spiriti buoni affinché il suo amato potesse tornare nuovamente a ridere in quel modo... che entrambi potessero farlo. «È un sogno diventato realtà» mormorò Kahlan. Lo baciò con ardore. Richard l'abbracciò con forza e il suo respiro divenne più concitato. Kahlan fece scivolare le mani sulle spalle muscolose e sudate del suo amato e gli affondò le dita tra i capelli, lasciandosi sfuggire un gemito di piacere. Era stato proprio nello stesso edificio in cui si trovavano in quel momento, in una notte che in quel momento sembrava lontanissima nel tempo, che lei si era accorta di essere perdutamente innamorata di Richard ma, allora, non le era permesso provare simili sentimenti e aveva dovuto tacere. Era stato proprio durante quella visita che avevano sostenuto le prove e le battaglie che li avevano fatti diventare membri del Popolo del Fango. Sempre nella casa degli spiriti, dopo che Richard aveva trovato il modo di infrangere l'incantesimo che impediva a Kahlan di amare un uomo, lui le aveva chiesto di sposarlo. Adesso avevano deciso di passare la loro prima notte di nozze proprio in quell'edificio. Sebbene il loro matrimonio fosse stato solo il frutto dell'amore che li univa, tale cerimonia aveva suggellato in modo ufficiale l'alleanza tra le Terre Centrali e il D'Hara. Se la cerimonia avesse avuto luogo in una qualsiasi delle grandi città delle Terre Centrali, l'evento sarebbe stato celebrato con un fasto mai visto prima d'allora. Il Popolo del Fango era gente semplice che aveva compreso a fondo la sincerità del loro amore e Kahlan aveva preferito condividere con loro la gioia di quel giorno piuttosto che prendere parte a una cerimonia fredda e formale. La vita che il Popolo del Fango conduceva nelle praterie era dura e simili eventi erano un'opportunità per divertirsi, banchettare, ballare e raccontare storie. Da quello che ne sapeva Kahlan non era mai successo che il Popolo del Fango accogliesse nella loro comunità degli stranieri, quindi il loro matrimonio era qualcosa di veramente speciale e senza precedenti. Kahlan sospettava che quell'evento sarebbe diventato in breve tempo parte del folklore di quella gente. La loro storia sarebbe stata messa in scena nei banchetti a venire da danzatori abbigliati con costumi di fango ed erba e i volti dipinti di bianco e nero. «Sono convinta che tu stia usando la tua magia per manipolare una povera ragazza innocente» lo stuzzicò Kahlan con voce roca. Cominciava a dimenticare la stanchezza alle gambe. Richard si girò sulla schiena. «Non pensi che dovremmo andare a vedere cosa sta combinando Zedd?» Kahlan gli diede un pizzico nel costato. «Ah, lord Rahl! Allora è vero! Vi siete già stufato della vostra nuova moglie. Prima le galline poi il pane di tava e infine vostro nonno.» Richard riprese a fissare la porta. «Sento odore di sangue.» Kahlan si sedette. «Forse si tratta della selvaggina portata dai cacciatori. Ce ne saremmo accorti se ci fossero stati dei guai. Lo sai che la casa degli spiriti è sorvegliata. Tutto il villaggio ci protegge. Nessuno può superare le sentinelle intorno al villaggio senza essere visto. Se stesse per arrivare qualcuno avrebbero dato l'allarme.» L'attenzione di Richard era calamitata dalla porta e Kahlan ebbe l'impressione che lui non la stesse ascoltando. Gli posò delicatamente una mano sulla spalla e solo allora Richard si rilassò girandosi verso di lei. «Hai ragione» ammise Richard, sorridendo al tempo stesso per scusarsi. «Sembra che io non riesca proprio a rilassarmi.» Kahlan aveva passato la maggior parte della vita a contatto con il potere. Fin dalla più giovane età le era stata insegnata l'importanza della disciplina, della responsabilità, degli obblighi e l'avevano messa in guardia dalle minacce che incombevano continuamente su di lei, affinché, proprio come era successo, il giorno in cui fosse stata chiamata alla guida dell'alleanza delle Terre Centrali fosse del tutto avvezza a quello stile di vita. Richard era cresciuto in maniera completamente diversa. Amava moltissimo la natura ed era riuscito a coronare il suo sogno di vita all'aria aperta diventando una guida dei boschi. Ma il destino aveva modificato radicalmente il suo stile di vita. Ora sedeva sul trono dell'impero d'hariano e la cautela era diventata importantissima un'alleata che difficilmente poteva essere messa in disparte. Kahlan vide la mano di Richard che scivolava lentamente verso i vestiti. Stava cercando la spada che, per raggiungere il Popolo del Fango, aveva dovuto lasciare ad Aydindril. Kahlan aveva perso il conto delle volte in cui aveva visto il suo amato compiere quel gesto. Ormai per lui era diventato un riflesso condizionato, un gesto che gli dava sicurezza. Quell'arma era stata la compagna di Richard per mesi e mesi nei quali sia lui che la spada avevano subito dei profondi cambiamenti. Richard era il protettore di quell'arma e viceversa. In un certo senso la Spada della Verità non era che un talismano. Era la mano che la brandiva la detentrice del vero potere. Era il Cercatore di Verità l'arma. In un certo senso la funzione della spada era molto simile a quella dell'abito bianco che Kahlan indossava nelle occasioni ufficiali: un simbolo, un marchio distintivo di una determinata carica. Kahlan lo baciò e lui tornò ad abbracciarla e lei lo tirò sopra di sé. «Allora? Come ci si sente a essere sposati con la Madre Depositaria in persona?» Richard si sdraiò al suo fianco puntellandosi a terra con un gomito e la fissò negli occhi. «È bellissimo» le sussurrò. «Bellissimo, appagante e faticoso.» Fece scorrere un dito sulla guancia di Kahlan. «E come ci si sente a essere la moglie di lord Rahl?» «Appiccicose» rispose Kahlan con una risata gutturale. Richard rise a sua volta e le infilò un pezzo di pane di tava in bocca, dopodiché si sedette e mise il vassoio di legno tra loro. Quel pane, fatto con le radici del tava, era l'alimento base del Popolo del Fango. Veniva servito con ogni piatto. Poteva essere mangiato da solo, come companatico per altri cibi oppure usato per pulire i piatti dagli ultimi rimasugli di minestre o zuppe. Seccato e modellato in gallette era il cibo principale dei cacciatori quando partivano per delle lunghe battute di caccia. Kahlan si stirò sbadigliando. Si sentiva più tranquilla ora che Richard aveva smesso di preoccuparsi per quello che stava succedendo oltre la porta. Lo baciò su una guancia. Richard spostò il pane di tava e trovò uno strato di peperoni arrostiti, teste di fungo grosse come la mano di Kahlan, verdure bollite, rape e alcune frittelle di riso. Richard diede un morso a una rapa quindi infilò delle verdure, un fungo e un pezzo di peperone nel pane di tava e lo passò alla moglie. «Vorrei rimanere qua per sempre» proclamò pensieroso. Kahlan si coprì il grembo con la coperta. Sapeva bene cosa volesse dire Richard: fuori il mondo li aspettava. «Be'...» esordì Kahlan facendo gli occhi dolci «solo perché Zedd è venuto a dirci che gli anziani rivorrebbero indietro la casa degli spiriti questo non vuole dire che dobbiamo andarcene subito.» Richard accolse l'offerta maliziosa con un sorriso di circostanza. «Zedd ha usato gli anziani come scusa. Vuole parlarmi.» Kahlan diede un morso al panino e osservò Richard che spezzava in due una frittella di riso con aria assente. «Non vi siete visti per mesi» gli fece notare Kahlan pulendosi il mento con un dito. «Sarà ansioso di sapere cosa ti è successo e quello che hai imparato.» Richard annuì distrattamente, mentre lei continuava a leccare il sugo che le era colato sulle dita. «Ti vuole bene e deve insegnarti delle cose.» «Quel vecchio è stato il mio insegnante fin dal giorno in cui sono nato.» Sorrise con aria distante. «Anch'io gli voglio bene.» Richard farcì una pagnotta di tava con le vivande del vassoio e la addentò avidamente. Kahlan prese i pezzi di verdura che pendevano dal suo panino e li rosicchiò ascoltando lo scoppiettio del fuoco e la musica lontana. Richard rovistò sotto il mucchio di pagnotte e tirò fuori una prugna secca. «Ho sempre creduto che fosse il mio migliore amico. Non ho mai sospettato che fosse mio nonno e molto più che un semplice uomo.» Spezzò in due la prugna con un morso e ne offrì una metà a Kahlan. «Ti stava proteggendo, Richard. Essere tuo amico era il massimo che poteva permettersi in quel periodo.» Prese il pezzo di prugna e lo infilò in bocca studiando i lineamenti del suo amato mentre masticava. Kahlan allungò una mano e gli girò il viso in modo che si guardassero in faccia. «Adesso Zedd è tornato con noi e ci aiuterà, Richard. I suoi consigli saranno un conforto e un aiuto.» «Hai ragione. Chi è più indicato di Zedd a darci dei consigli?» Richard avvicinò i vestiti. «È impaziente di sapere tutto quello che ci è successo.» Mentre Richard si infilava i pantaloni, Kahlan mise in bocca un pezzo di frittella di riso e cominciò a tirare fuori degli oggetti dal suo zaino. Si fermò, tolse il pezzo di frittella dalla bocca e disse: «Non abbiamo visto Zedd per mesi... tu da molto più di me. Zedd e Ann vorranno sentire la nostra storia almeno una dozzina di volte prima di essere soddisfatti. «Mi piacerebbe fare un bagno prima. Ci sono delle sorgenti calde non molto lontane da qua.» Richard smise di abbottonarsi la maglia nera. «Come mai Zedd e Ann erano così agitati la scorsa notte poco prima del matrimonio?» «La scorsa notte?» Kahlan prese una maglia piegata dallo zaino e la aprì. «Qualcosa riguardo le chimere. Ho detto loro che ho pronunciato il nome di quelle creature, ma Zedd mi ha assicurato che se ne sarebbe interessato lui.» Kahlan non aveva voglia di ricordare. Il solo pensiero della paura e del panico che aveva provato in quei momenti le faceva venire la pelle d'oca. La consapevolezza che Richard sarebbe morto se avesse tardato ancora qualche momento nel pronunciare quelle tre parole la faceva sentire male. Allontanò quel ricordo. «Allora ricordavo bene.» Richard le sorrise e le fece l'occhiolino. «Poi ti ho vista nel tuo abito blu e... devo dire che in quel momento avevo cose più interessanti a cui pensare. «Se ben ricordo Zedd ha detto che le tre chimere non erano una cosa molto importante. Se c'è qualcuno che sa come cavarsela con quel genere di cose, quello è proprio Zedd.» «Cosa mi dici del bagno, allora?» «Cosa?» Richard aveva ripreso a fissare la porta. «Il bagno. Che ne dici se andiamo a farci un bagno caldo in quelle sorgenti prima di raccontare tutto ad Ann e a Zedd?» Richard indossò la lunga tunica nera e le larghe fasce d'oro che portava intorno ai polsi rifletterono la luce del fuoco. La fissò di sottecchi. «Mi laverai la schiena?» Kahlan lo osservò chiudere la cintura con un sorriso. I due sacchettini che pendevano ai lati della cintura contenevano delle sostanze straordinarie ma pericolosissime allo stesso tempo. «Laverò qualsiasi parte del tuo corpo, lord Rahl.» Richard rise di gusto e infilò le polsiere di cuoio imbottito. «Sembra che la mia nuova moglie sia in grado di trasformare un semplice bagno in un avvenimento.» Kahlan si avvolse il mantello intorno alle spalle, quindi tirò fuori la folta chioma dal colletto. «Prima lo diciamo a Zedd.» Gli solleticò il costato con un dito. «E dopo lo scoprirai.» Richard cominciò a ridacchiare e la fermò. «Meglio che non diciamo niente a Zedd, sempre che tu voglia fare il bagno. Quell'uomo comincerà con una semplice domanda alla quale se ne aggiungerà una seconda e così via...» Chiuse il fermaglio del mantello dorato. «... e prima che tu te ne renda conto il sole tramonterà e Zedd continuerà imperterrito a interrogarti. Quanto sono lontane queste sorgenti?» Kahlan indicò in direzione sud. «Un'ora di cammino da qua. Forse qualcosa in più.» Infilò del cibo in una borsa di cuoio. «Ma, se come tu dici, Zedd vuole vederci, non credi che si indispettirà se ce ne andiamo senza dirgli niente?» Richard fece una risatina cinica. «Se vuoi fare un bagno è meglio scusarsi con lui dopo, che dirgli dove stiamo andando prima. Non sono così lontane. Saremo di ritorno prima che possa sentire la nostra mancanza.» Kahlan lo prese per un braccio. «Richard» disse, seria «so che sei ansioso di parlare con Zedd. Possiamo andare dopo a fare il bagno. Non importa... volevo solo stare ancora un po' sola con te.» Richard l'abbracciò. «Lo incontreremo tra qualche ora. Può attendere. Anch'io ho voglia di stare solo con te.» Richard aprì la porta e Kahlan lo vide portare una mano al fianco dove solitamente pendeva la Spada della Verità. Il mantello dorato di Richard sembrò infiammarsi appena fu lambito dal sole. Kahlan dovette socchiudere gli occhi per abituarli gradatamente alla luce. Il profumo del cibo cucinato le riempì le narici. Richard si inclinò in avanti per guardare oltre il muretto nei pressi della casa degli spiriti, dopodiché spostò il suo sguardo da rapace al cielo per poi abbassarlo e dare una rapida occhiata al dedalo di stradine che portavano alla piazzetta dove sorgeva l'edificio. Le costruzioni erette in quell'area del villaggio erano quelle riservate alla collettività. Alcune erano un luogo di ritiro per gli anziani, altre servivano ai cacciatori per officiare i riti propiziatori prima delle battute di caccia. Nessun uomo aveva mai varcato la soglia della casa riservata alle donne. Sempre in quell'area c'era l'edificio nel quale venivano composti i morti prima dei funerali. Il Popolo del Fango era solito seppellire i corpi. Non potevano permettersi di erigere delle pire funerarie perché la legna, piuttosto scarsa in quelle lande, era considerata molto preziosa, tanto che anche i fuochi delle cucine erano alimentati con lo sterco secco e fascine di erba secca. I falò che erano stati accesi per il matrimonio rappresentavano un evento raro e meraviglioso. Il fatto che quegli edifici fossero deserti per la maggior parte del tempo conferiva a quella zona del villaggio un'atmosfera sovrannaturale che era evidenziata dal suono dei tamburi e delle boldas. L'eco delle voci distanti dava l'impressione che le stradine circostanti fossero infestate da fantasmi. I raggi obliqui del sole conferivano alle ombre un'aria ancor a più impenetrabile. Richard continuava a studiare le ombre e fece un gesto. Kahlan guardò oltre il muretto. Una piccola nuvola di piume fluttuava nella fresca aria del mattino e sotto di essa c'era la carcassa di una gallina. 2 Kahlan si era sbagliata, non si trattava di bambini che davano fastidio alle galline. «Un falco?» domandò. Richard alzò nuovamente gli occhi al cielo. «Forse. Magari è stato un furetto o una volpe. Qualunque cosa sia è stata spaventata ed è scappata prima di poter mangiare la preda.» «Sei più tranquillo adesso? Era solo un animale che dava la caccia a una gallina.» Cara li vide e si avvicinò. L'Agiel penzolava nell'aria legata al polso della Mord-Sith con una catenella. Quel bastone lungo poche decine di centimetri era un'arma terribile che poteva balzare in mano a Cara al minimo segno di pericolo. Kahlan vide l'espressione della Mord-Sith che si rilassava. I suoi due protetti non erano stati rapiti da qualche entità invisibile che albergava nella casa degli spiriti. Pur essendo nelle immediate vicinanze, Cara aveva rispettato la loro intimità. Kahlan sapeva che la Mord-Sith avrebbe sacrificato la sua vita pur di proteggerli e riteneva che il fatto di sorvegliare da una certa distanza la casa degli spiriti fosse stato un grandissimo dono da parte sua. Distanza. Kahlan fissò Richard. Ecco perché si era insospettito. Sapeva che la gallina non era stata disturbata dai bambini perché Cara non avrebbe mai permesso loro di avvicinarsi. No, nessuno si sarebbe accostato alla porta priva di serratura della casa degli spiriti. «Hai visto cosa ha ucciso la gallina?» le chiese Richard, prima ancora che Cara potesse parlare. Cara spostò la lunga treccia bionda oltre le spalle. «Devo aver spaventato il predatore quando sono corsa qua.» Tutte le Mord-Sith portavano la treccia affinché non ci fossero dubbi sulla loro identità e in pochi avevano commesso il pericolosissimo errore di non riconoscerle. «Zedd è tornato per controllare la situazione?» le chiese Richard. «No.» Cara spostò una ciocca di capelli. «Dopo che vi ha portato il cibo mi ha detto che avrebbe voluto incontrarvi durante la mattinata.» Richard continuava a guardare le ombre. «Non siamo ancora pronti. Stiamo andando a una fonte qua vicina per fare un bagno.» Un sorrisetto furbo affiorò sulle labbra di Cara. «Idea deliziosa. Vi laverò la schiena.» Richard avvicinò il volto a quello della Mord-Sith. «No, non sarai tu a lavamerla. Tu dovrai guardarla e basta.» Il sorriso di Cara si allargò. «Va bene. Mi divertirò lo stesso.» Il volto di Richard divenne rosso come il cuoio che rivestiva il corpo di Cara. Kahlan distolse lo sguardo soffocando una risata. Sapeva che Cara si divertiva molto a mettere Richard in imbarazzo. Non aveva mai visto delle guardie del corpo così apertamente sfrontate con il loro signore come Cara e le altre Mord-Sith, ma sapeva bene che non ne avrebbero trovate di migliori al mondo. Le Mord-Sith, un'antica sorellanza votata alla protezione dei monarchi del D'Hara, prendevano molto sul serio la loro missione. L'addestramento crudele al quale erano sottoposte fin dall'adolescenza le trasformava in assassine spietate e prive di rimorso. Kahlan sapeva ben poco del D'Hara, ma Richard, che era cresciuto nei Territori dell'Ovest, ne sapeva ancora meno di lei. Quando il D'Hara aveva attaccato le Terre Centrali, Richard era stato trascinato in quel conflitto e aveva ucciso Darken Rahl, il tiranno del D'Hara, senza sapere che quell'uomo aveva violentato sua madre e che lui era suo figlio. Richard era cresciuto pensando che George Cypher, l'uomo gentile che si era preso cura di lui, fosse il suo vero padre. Zedd aveva mantenuto tutto nel più stretto riserbo in modo da proteggere la vita della figlia e del nipote. Richard aveva scoperto la verità solo dopo la morte di Darken Rahl. Richard sapeva ben poco del dominio che aveva ereditato. Aveva indossato il mantello del governante solo a causa della minaccia di una guerra su ampia scala. Se non fosse stato fermato, l'Ordine Imperiale avrebbe schiavizzato il mondo intero. In quanto nuovo monarca del D'Hara, Richard aveva liberato le MordSith dal loro voto di fedeltà nei suoi confronti, ed esse avevano esercitato la loro libertà d'azione scegliendo di continuare a proteggere il regnante. Richard portava al collo due Agiel come segno di rispetto per le due donne che avevano dato la loro vita per proteggerlo. Quelle donne riverivano Richard come un dio, tuttavia si permettevano quello che fino a prima della sua investitura era considerato impensabile. Lo prendevano in giro, scherzavano con lui ed era raro che si perdessero l'occasione di stuzzicarlo. Il padre di Richard le avrebbe fatte torturare a morte per una simile mancanza di disciplina. Kahlan era giunta alla conclusione che con la loro irriverenza le Mord-Sith volevano ricordare a Richard che lui le aveva liberate da ogni obbligo e che ora loro lo servivano per scelta. Forse gli efferati maltrattamenti subiti nell'infanzia avevano lasciato in loro un bizzarro senso dell'umorismo che ora si sentivano libere di esprimere. Le Mord-Sith erano disposte a tutto pur di proteggere Richard. Non avevano paura di nulla e, in seguito a un ordine del loro lord Rahl, tale abnegazione era stata applicata anche alla protezione della Madre Depositaria. Spesso Kahlan aveva avuto l'impressione che Cara e le sue compagne corteggiassero apertamente la morte. Tutte loro affermavano che l'unica cosa che temevano era di morire vecchie e sdentate nel proprio letto. Richard aveva promesso più di una volta che avrebbe fatto di tutto affinché quello fosse il loro destino. Richard, forse sentendosi responsabile per le torture che i suoi antenati avevano inflitto a quelle donne, le riprendeva raramente per il loro bizzarro comportamento e di solito faceva finta di niente, ma era proprio la sua insistenza nell'ignorare le provocazioni che spingeva le Mord-Sith a stuzzicarlo il più possibile. Il rossore sul volto di lord Rahl quando Cara gli aveva detto che l'avrebbe osservato mentre si faceva il bagno tradiva l'educazione ricevuta da bambino. «Non guarderai un bel niente» rispose Richard, riuscendo finalmente a controllare la propria esasperazione. «Aspetterai qua.» Kahlan sapeva che quelle del suo amato erano parole sprecate. Cara rise di gusto e li seguì. La Mord-Sith non si preoccupava minimamente di disubbidire a un ordine diretto del suo lord, quando questo le sembrava poter interferire con il suo compito di protettrice. Cara e le sue consorelle eseguivano un ordine di Richard solo se lo ritenevano importante e pensavano che la vita del loro signore non fosse in pericolo. Dopo qualche metro una mezza dozzina di cacciatori uscirono dal riparo offerto dalle ombre e si unirono a loro. Sembrava che, come per magia, fossero sbucati dal nulla. Snelli e ben proporzionati, il più alto di quegli uomini non raggiungeva la statura di Kahlan. La figura di Richard troneggiava in mezzo a loro. I cacciatori avevano il petto e le gambe coperti da uno strato di fango ed erba per meglio mimetizzarsi con l'ambiente circostante. Erano tutti armati di arco, coltello e lancia. Kahlan sapeva che le faretre erano piene di frecce con le punte imbevute di veleno dei dieci passi. Erano gli uomini di Chandalen perché solo loro avevano il permesso di usare quel veleno. Essi non erano dei semplici cacciatori, erano i protettori del Popolo del Fango. Kahlan li salutò tutti con un leggero schiaffo sulle guance come era usanza in quel popolo e gli uomini sorrisero. Quel gesto serviva a dimostrare il rispetto per la loro forza. Kahlan li ringraziò per aver montato di guardia, quindi tradusse il ringraziamento a favore di Richard e Cara. «Sapevi che erano qua intorno di guardia?» sussurrò Kahlan, mentre Richard riprendeva a guardarsi intorno. Richard diede una rapida occhiata alle sue spalle. «Ne avevo visti solo quattro» rispose. «Devo ammettere che due mi erano proprio sfuggiti.» Non avrebbe mai potuto accorgersi della presenza degli ultimi due perché essi si erano nascosti sull'altro lato della casa degli spiriti. Kahlan rabbrividì. Non ne aveva visto neanche uno. I cacciatori sembravano possedere il talento di diventare invisibili a loro piacimento e quando si trovavano nelle praterie era impossibile scorgerli. Era grata che ci fossero quelle presenze silenziose che vegliavano sulla loro incolumità. Cara aveva detto loro che Zedd e Ann si trovavano nella zona sud-est del villaggio, quindi si sarebbero diretti a ovest per poi tagliare verso sud. Scortati dal drappello, Richard e Kahlan decisero di evitare i punti più affollati del villaggio e imboccarono i vicoli che si aprivano tra le case. La gente che incontravano sorrideva, salutava con un cenno della mano, dava loro delle pacche sulla schiena oppure dei leggeri schiaffi sulle guance. I bambini, che correvano tra le gambe degli adulti giocando con delle palle di cuoio o facendo finta di cacciare delle prede invisibili, scapparono spaventati all'arrivo dei giovani cacciatori che cercarono di prenderli. Kahlan, avvolta nel suo mantello, non riusciva a capire come dei bambini seminudi potessero resistere al freddo del mattino. I bambini erano sorvegliati in continuazione, ma potevano andare ovunque. Raramente venivano rimproverati. L'addestramento che avrebbero subito qualche anno dopo sarebbe stato intenso, difficile, severo e sarebbero diventati responsabili per tutto quello che accadeva nel villaggio. I bambini ai quali era ancora permesso di giocare, erano degli spettatori costanti e impazienti di tutti gli eventi che ritenevano inusuali. Per i bam- bini del Popolo del Fango tutto sembra fuori dall'ordinario, anche le galline. Il piccolo gruppo stava superando lo spiazzo a sud del villaggio quando fu individuato da Chandalen, il capo dei cacciatori più fieri. Indossava un abito di daino e i capelli, come era usanza tra la sua gente, erano ricoperti da un sottile strato di fango che li teneva schiacciati contro la testa. La pelle di coyote che portava sulle spalle era un simbolo d'autorità. Poco tempo prima era stato nominato tra i sei anziani del villaggio. Il termine 'anziano' era da intendere come un segno di rispetto e non aveva nulla a che fare con l'età effettiva di chi era investito di tale carica. Chandalen salutò i componenti del gruppo, dopodiché sorrise e diede una pacca sulle spalle di Richard. «Tu sei il migliore amico di Chandalen» annunciò. «Se tu non l'avessi sposata, la Madre Depositaria avrebbe sicuramente scelto Chandalen come suo sposo. Hai la mia eterna gratitudine.» Prima che Kahlan si recasse nei Territori dell'Ovest in cerca d'aiuto e incontrasse Richard, Darken Rahl aveva fatto uccidere tutte le Depositarie. Kahlan era rimasta l'unica rappresentante del suo ordine, e prima di lei nessuna di loro si era mai sposata per amore, perché il potere di cui erano consegnatane avrebbe distrutto la personalità del compagno. Una Depositaria sceglieva il suo compagno solo in base alla forza che avrebbe potuto trasmettere alla figlia, dopodiché lo soggiogava con il suo potere. Chandalen aveva pensato di aver corso il gravissimo rischio di essere scelto. Richard gli rispose ridendo che era ben contento di essersi addossato l'onore di diventare il marito di Kahlan. Diede una seconda rapida occhiata agli uomini di Chandalen, quindi abbassò il tono di voce e gli chiese: «I tuoi uomini hanno visto la bestia che ha ucciso la gallina fuori dalla casa degli spiriti?» Solo Kahlan parlava il linguaggio del Popolo del Fango e Chandalen era l'unico che parlasse il suo. L'anziano ascoltò attentamente i suoi uomini che raccontavano di una notte tranquilla. Loro erano stati il terzo turno. Una delle guardie più giovani, Juni, mimò l'atto di incoccare una freccia e tirare la corda alla guancia indicando poi due direzioni diverse. Disse che non era stato in grado di vedere bene l'animale che aveva attaccato la gallina dopodiché raccontò a tutti di come l'aveva maledetto con gli epiteti più infamanti e sputato a terra in segno di disprezzo del suo onore sfidandolo, inutilmente, a mostrarsi. Richard ascoltò con attenzione la traduzione di Chandalen, che tuttavia aveva omesso le scuse del giovane cacciatore. Per un cacciatore, specialmente se appartenente al gruppo di Chandalen, era una vera vergogna aver mancato una preda durante un turno di guardia. Kahlan sapeva che più tardi Chandalen avrebbe rimproverato duramente Juni. Stavano per uscire dal villaggio, quando l'Uomo Uccello, il capo degli anziani e, per estensione, del villaggio, li vide. Era stato proprio lui, la massima autorità di quel popolo, a celebrare le loro nozze. Kahlan pensò che sarebbe stato maleducato non salutarlo prima di recarsi alle sorgenti. Anche Richard doveva aver avuto la stessa idea e si diresse verso la piattaforma dove era seduto l'anziano. Alcuni bambini giocavano nelle vicinanze e un gruppo di donne vestite in rosso e blu superarono il gruppo chiacchierando tranquillamente tra di loro. Una coppia di capre marrone esplorava il terreno in cerca di avanzi di cibo. Sembrava che riuscissero nel loro intento solo quando evitavano le attenzioni dei bambini. Alcune galline razzolavano per terra, mentre altre chiocciavano impettite. Nel centro dello spiazzo i falò, alcuni dei quali ridotti a un cumulo di braci ardenti, continuavano a bruciare. La gente gli si accalcava ancora intorno, attratta dal bagliore o dal caldo. Oltre a essere un evento piuttosto raro, l'accensione di un falò serviva a richiamare gli spiriti degli antenati con un benvenuto caldo e luminoso. Alcuni erano rimasti in piedi tutta la notte solo per osservare lo spettacolo offerto dalle fiamme. Per i bambini i falò erano una fonte di meraviglia e divertimento. Tutti avevano indossato i loro abiti migliori per partecipare alla festa e nessuno se li era ancora tolti perché le celebrazioni sarebbero terminate solamente al tramonto. Gli uomini indossavano le loro pelli migliori mostrando con orgoglio le loro armi preziose. Le donne sfoggiavano vestiti coloratissimi e dei braccialetti di metallo. I giovani del Popolo del Fango erano solitamente molto timidi, ma il matrimonio li aveva incoraggiati a esporsi. La notte precedente le ragazze avevano balbettato domande ardite a Kahlan ridacchiando nervosamente. I ragazzi avevano seguito Richard, contenti di essere in presenza di un personaggio tanto importante. L'Uomo Uccello indossava sempre un paio di pantaloni e una tunica di daino, non importa quale fosse l'occasione. Il fischietto d'osso che usava per richiamare gli uccelli gli pendeva dal collo. La maggior parte dei volatili che richiamava si andava a posare sulle braccia distese. Richard si stupiva ogni volta che succedeva. Kahlan sapeva che l'Uomo Uccello poteva trarre gli auspici dalla pre- senza degli uccelli. A volte aveva il sospetto che lui li richiamasse per aver conferma delle sue supposizioni. L'Uomo Uccello era anche bravissimo nel capire quello che passava per la testa delle persone e più di una volta lei aveva pensato che sapesse leggere nel pensiero. Molte persone che abitavano nelle grandi città delle Terre Centrali pensavano che le tribù delle praterie, come quella del Popolo del Fango, fossero solo dei branchi di selvaggi ignoranti che adoravano le divinità più bizzarre. Kahlan invece comprendeva la semplice saggezza di quelle genti e la loro capacità di saper cogliere i segni, anche i più impercettibili, nel mondo che li circondava. Più di una volta aveva visto gli uomini del Popolo del Fango prevedere il tempo per i giorni a venire con un certo grado di accuratezza osservando semplicemente il moto dell'erba al vento. Altri due anziani del villaggio, Hajanlet e Arbrin, sedevano sul retro della piattaforma con gli occhi socchiusi intenti a osservare lo spiazzo di fronte a loro. La mano di Arbrin era appoggiata con fare protettivo sulla spalla di un bambino che dormiva raggomitolato al suo fianco succhiandosi un pollice. I vassoi erano pieni di avanzi di cibo. Le brocche sul tavolato erano piene di un liquore molto forte, ma Kahlan sapeva che il Popolo del Fango non amava ubriacarsi. «Buongiorno, onorevole anziano» lo salutò Kahlan. Il capo del villaggio sorrise loro. «Benvenuta al nuovo giorno, figliola.» L'attenzione dell'Uomo Uccello tornò a concentrarsi su qualcosa che si trovava tra la sua gente. Kahlan si accorse che Chandalen aveva lanciato una rapida occhiata alle brocche vuote e aveva sorriso ai suoi uomini. «Onorevole anziano» disse Kahlan «io e Richard vorremmo ringraziarti per le stupende nozze che tu e la tua gente avete organizzato per noi. Se non hai bisogno della nostra presenza vorremmo andare alle sorgenti calde.» L'anziano sorrise e fece un cenno con la mano. «Non fermatevi troppo a lungo altrimenti il caldo della sorgente sarà lavato via dalla pioggia.» Kahlan diede un'occhiata al cielo, quindi fissò Chandalen che annuì per confermare le parole del capo villaggio. Richard fissò il cielo con aria incerta. «Credo che sia meglio dargli ascolto e non attardarsi.» «Noi andiamo» disse Kahlan rivolgendosi all'Uomo Uccello. L'anziano le fece cenno di avvicinarsi con un dito, senza distogliere lo sguardo dalle galline che razzolavano là intorno. Kahlan si avvicinò al- l'uomo e per un attimo ebbe l'impressione che l'anziano avesse dimenticato quello che voleva dirle. Dopo qualche secondo l'Uomo Uccello indicò lo spiazzo davanti a loro e le sussurrò qualcosa. Kahlan si raddrizzò e fissò le galline. «Allora?» chiese Richard. «Cosa ti ha detto?» In un primo momento, Kahlan pensò di aver capito male, ma nel vedere il disappunto sul volto di Chandalen e dei suoi cacciatori, si rese conto di non essersi sbagliata. Non sapeva se fosse il caso di tradurre la frase. Non voleva mettere in imbarazzo l'Uomo Uccello, visto che aveva alzato il gomito con la bevanda rituale. Richard attendeva con aria interrogativa. Kahlan guardò nuovamente l'Uomo Uccello che fissava intensamente le spiazzo di fronte alla piattaforma facendo ondeggiare lentamente la testa a ritmo con il suono delle boldas e dei tamburi. «Afferma» disse Kahlan, decidendosi a tradurre «che una di quelli...» indicò con un dito «... non è un pollo.» 3 Kahlan si spinse con i piedi contro la ghiaia del fondo e scivolò tra le braccia di Richard. Erano immersi nell'acqua fino al collo e lei cominciava a pensare che fosse una situazione eccitante. Avevano trovato il posto perfetto in mezzo a un dedalo di ruscelli che scorreva tra rocce sporgenti e distese di ghiaia. I piccoli corsi d'acqua si allargavano verso nord-ovest raffreddandosi. Avevano provato a immergersi in diverse polle finché non avevano trovato quella calda al punto giusto. Non c'erano molti punti profondi come quello che avevano scelto. La polla era protetta da un paravento naturale di erba alta. Il cielo sopra le loro teste era limpido ma, come previsto dall'Uomo Uccello, le prime nuvole cominciavano a fare capolino. Una leggera brezza piegava e attorcigliava i fini steli d'erba. Il tempo nelle praterie cambiava rapidamente. Una calda giornata primaverile poteva essere seguita da una veramente gelida. Kahlan sapeva che il freddo non sarebbe durato a lungo; erano ormai in primavera inoltrata e il vento gelido rappresentava solo il bacio d'addio dell'inverno. La superficie della polla si increspò sotto l'effetto della brezza. Sopra le loro teste volteggiava un falco in cerca di una preda. Kahlan si rese conto che mentre lei e Richard si godevano un bagno caldo, degli artigli affilati avrebbero stroncato una vita e tale consapevolezza le provocò un certo dispiacere. Sapeva cosa significava essere braccati. Nascosti tra l'erba c'erano sei cacciatori e Cara pattugliava il perimetro intorno alla polla come un falco per controllare la posizione degli uomini. Kahlan era certa che non ci sarebbero stati attriti tra gli uomini di Chandalen e la Mord-Sith. Erano tutti votati alla loro protezione e si sarebbero capiti anche se non parlavano la stessa lingua. Il compito di un protettore era molto serio e Cara aveva un profondo rispetto per la dedizione dimostrata dai cacciatori. Kahlan bagnò le spalle di Richard. «Anche se abbiamo avuto poco tempo per noi, non avrei potuto desiderare un matrimonio migliore. Sono contenta di averti potuto mostrare questo posto.» Richard le baciò la testa. «Non mi dimenticherò di nulla... la cerimonia della scorsa notte, la casa degli spiriti, questo posto.» Kahlan lo carezzò sott'acqua. «Meglio di no, lord Rahl.» «Ho sempre sognato di portarti nei posti in cui sono cresciuto. Sono luoghi stupendi. Un giorno spero di riuscirci.» Richard si zittì nuovamente e Kahlan sospettò che avesse ripreso a pensare a delle questioni molto importanti. Anche se avrebbero voluto farlo, nessuno dei due poteva dimenticare le proprie responsabilità. C'erano eserciti che attendevano ordini. Gli ufficiali e i diplomatici giunti ad Aydindril aspettavano con impazienza di essere ricevuti dalla Madre Depositaria e lord Rahl. Kahlan sapeva che non tutti sarebbero stati ansiosi di unirsi alla causa della libertà perché c'era sempre qualcuno che rimaneva attratto dalla tirannia. L'imperatore Jagang e il suo Ordine Imperiale non li avrebbero fatti aspettare. «Un giorno, Richard» sussurrò Kahlan, mentre carezzava con un dito la pietra nera che le pendeva dal collo. Shota, la strega, era apparsa poco prima delle nozze e le aveva dato quella collana. Era un talismano che avrebbe impedito a Kahlan di rimanere incinta. La strega aveva un talento particolare che le permetteva di vedere il futuro anche se, in diversi casi, gli eventi avevano avuto degli sviluppi inaspettati. Più di una volta Shota li aveva messi in guardia dal concepire un figlio altrimenti gli effetti per la razza umana sarebbero stati catastrofi- ci. La strega aveva promesso che se avessero concepito un figlio maschio lei l'avrebbe ucciso. Durante la ricerca del Tempio dei Venti, Kahlan aveva cominciato a comprendere meglio il modo d'agire di Shota. Quella collana era un'offerta di pace. Era come una tregua. Kahlan portava il monile e Shota non avrebbe ucciso il loro figlio. «Credi che l'Uomo Uccello sapesse quello che stava dicendo?» chiese Richard a un tratto. Kahlan socchiuse gli occhi e fissò il cielo. «Penso di sì. Il cielo comincia a coprirsi.» «Mi riferivo alla gallina.» Kahlan si girò. «La gallina?» Aggrottò la fronte. «Richard, ha detto che non era una gallina. Io penso che abbia festeggiato un po' troppo.» Non riusciva a credere che con tutto quello di cui dovevano preoccuparsi, Richard dovesse soffermarsi su una simile sciocchezza. Kahlan ebbe l'impressione che lui stesse ponderando le sue parole ma rimase in silenzio. Il sole cominciava a sparire oltre i bordi delle nuvole disegnando ombre lunghe sull'erba. L'aria era diventata più umida. Il mantello di Richard sventolava mosso dal vento attirando l'attenzione di Kahlan. Lui la cinse con un braccio. Non era un gesto d'affetto. Qualcosa si mosse nell'acqua. Un rapido lampo di luce. Forse le scaglie di un pesce lambite dalla luce. Kahlan non era del tutto sicura di aver visto quel bagliore... era come una immagine colta con la coda dell'occhio. Un'occhiata diretta non rivelò nulla. «Cosa succede?» gli chiese Kahlan, mentre Richard la allontanava. «Era solo un pesce o qualcosa di simile.» Richard si alzò con un movimento fluido e la tirò fuori dall'acqua. «O qualcosa di simile.» Kahlan rabbrividì a contatto con la brezza fredda e osservò il ruscello. «Cos'era? Cos'hai visto?» Gli occhi di Richard fissavano con intensità la superficie dell'acqua. «Non lo so» rispose, posandola sulla sponda. «Forse era solo un pesce.» «I pesci in questi ruscelli non potrebbero neanche rosicchiare il dito di un piede tanto sono piccoli» gli spiegò Kahlan, battendo i denti per il freddo. «Forse era una tartaruga. Posso tornare in acqua? Sto gelando.» Richard dovette ammettere di non aver visto niente e l'aiutò a rientrare in acqua. «Forse è stato solo un gioco d'ombre creato dal sole che sparisce dietro le nuvole.» Kahlan si immerse nuovamente fino al collo emettendo un gemito di piacere al contatto con l'acqua calda. Si diede un'occhiata intorno. L'acqua era calma e tanto limpida da poter vedere il fondo. Una tartaruga non poteva nascondersi in nessun posto. Anche se Richard le aveva detto che non era nulla, il modo in cui lui continuava a fissare l'acqua non confermava l'affermazione. «Pensi che fosse un pesce o stai cercando di spaventarmi?» Kahlan non aveva idea se il suo compagno avesse effettivamente visto qualcosa che l'aveva messo in allarme o fosse semplicemente troppo protettivo. «Questo non è il bel bagno rilassante che avevo in mente. Dimmi cosa c'è che non va. Hai visto un serpente, vero?» azzardò Kahlan. Richard fece un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli. «Non ho visto niente, scusa.» «Sicuro? Vuoi che andiamo?» Richard fece un sorriso mesto. «Credo di diventare nervoso quando nuoto in un luogo strano in compagnia di una donna nuda.» Kahlan gli punzecchiò il costato con un dito. «E quante altre volte ti è già capitato di nuotare in compagnia di una donna nuda, lord Rahl?» Non le piaceva affatto l'idea che Richard stesse scherzando. Stava per tornare tra le sue braccia quando lui scattò in piedi. Kahlan lo imitò. «Cosa succede? Un serpente?» Richard la spinse sottacqua facendola tossire e si tuffò verso i vestiti. «Stai giù!» Richard estrasse il coltello e si acquattò cercando di capire cosa si stesse avvicinando. «È Cara.» Si alzò per guardare meglio. Kahlan vide una macchia rossa che si muoveva tra l'erba verde e marrone. La Mord-Sith stava correndo come un'ossessa tra la vegetazione e i ruscelli. Richard lanciò una coperta a Kahlan. Cara li raggiunse Agiel alla mano. La magia che permeava l'arma delle Mord-Sith era particolare e funzionava solo con colei alla quale era stata affidata. Ogni Mord-Sith portava l'Agiel con la quale era stata torturata. Il solo fatto di stringerla in mano le provocava molto dolore, ma lei continuava a rimanere impassibile. Tale peculiarità era parte del paradosso di una portatrice di dolore. Cara si fermò ansimando. «È passato di qua?» Il sangue le imbrattava il lato sinistro della faccia. Stava stringendo l'Agiel con tanto vigore che le nocche erano sbiancate. «Chi?» chiese Richard. «Non abbiamo visto nessuno.» «Juni!» rispose Cara, infuriata. Richard la prese per un braccio. «Cos'è successo?» Cara spostò una ciocca di capelli insanguinati con il dorso del polso continuando a fissare la prateria circostante. «Non lo so» ringhiò. «Ma lo voglio.» La Mord-Sith si divincolò dalla presa di Richard e saltò indietro. «Vestitevi!» Richard aiutò Kahlan a uscire dall'acqua. Lei si infilò velocemente i pantaloni, prese gli altri vestiti e corse dietro a Cara. Richard, che stava ancora infilandosi i pantaloni l'afferrò per la cintura fermandola. «Dove credi di andare?» le domandò cercando di finire di vestirsi. «Stai dietro di me.» Kahlan si liberò. «Io sono la Madre Depositaria e tu non hai la spada. Questa volta sei tu che devi stare dietro di me, lord Rahl.» Un uomo solo non era una minaccia per una Depositaria. Non c'era nessuna difesa dal suo potere. Senza la spada, Richard era molto più vulnerabile di lei. Eccettuate una freccia o una lancia, niente poteva impedire a una Depositaria determinata di avere la meglio sulla sua vittima una volta che fosse arrivata alla distanza giusta. Era la sua determinazione che creava una magia che non poteva essere richiamata o annullata. In un certo senso, in quel momento diventava la morte in persona. Una persona toccata dal potere di una Depositaria era persa per sempre. Al contrario di Richard, Kahlan sapeva molto bene come usare la sua magia e il fatto stesso che fosse stata nominata Madre Depositaria era la conferma più evidente del grado di maestria raggiunto nel controllo del suo potere. Richard emise una sorta di ringhio dispiaciuto, prese la cintura e la seguì. La raggiunse e le passò la maglia in modo che potesse infilarla. Richard era a petto nudo ed era armato solo di coltello. Corsero dietro a Cara in quel dedalo di torrenti e ruscelli. Kahlan inciampò, ma riuscì a rimanere in piedi. Richard le appoggiò una mano sulla schiena per aiutarla a mantenere l'equilibrio. Lei sapeva che non era saggio correre scalza e a rotta di collo su un terreno sconosciuto, ma la vista del sangue sul volto di Cara le impediva di rallentare. Cara non era solo la sua guardia del corpo. Era sua amica. Superarono una serie di corsi d'acqua poco profondi. Kahlan raggiunse la sponda di una polla. Era troppo veloce per fermarsi e dovette saltare raggiungendo a stento l'altro lato dello specchio d'acqua. Richard le impedì nuovamente di cadere. Mentre correvano, Kahlan vide un cacciatore che si avvicinava a loro. Non era Juni. Nello stesso istante udì il fischio di Richard e si rese conto che non era più alle sue spalle. Scivolò sull'erba umida e appoggiò una mano a terra per rimanere in equilibrio. Richard, in piedi in mezzo a un ruscello poco lontano, emise un secondo fischio che turbò il silenzio delle pianure. Kahlan vide Cara e gli altri cacciatori dirigersi verso la fonte del suono. Kahlan si avvicinò a Richard. Il suo amato si era inginocchiato nell'acqua con un avambraccio appoggiato sul ginocchio intento a fissare qualcosa. Il corpo di Juni giaceva riverso nel ruscello con la faccia immersa nell'acqua che gli copriva a stento la testa. Kahlan si inginocchiò a fianco di Richard, spostando una ciocca di capelli bagnati. Richard girò il corpo del cacciatore sulla schiena. Kahlan non l'aveva visto perché il fango e l'erba che quella gente usava per mimetizzarsi l'avevano reso praticamente invisibile. Juni sembrava piccolo e fragile mentre Richard lo tirava fuori con movimenti misurati. Lo depositò gentilmente sull'erba. Kahlan non vide tagli o sangue. Le braccia e le gambe erano intatte e, anche se non ne era del tutto sicura, il collo non sembrava spezzato. La morte non aveva cancellato l'espressione spiritata dagli occhi di Juni. Cara li raggiunse, balzò verso l'uomo, ma si fermò appena si accorse che era morto. Uno dei cacciatori sbucò dall'erba ansimando. Teneva una freccia attaccata all'arco con una mano, nell'altra stringeva il coltello usando al tempo stesso due dita per tendere la corda dell'arco. Juni era disarmato. «Cosa gli è successo?» domandò il cacciatore continuando a osservare l'area circostante in cerca di una minaccia. Kahlan scosse la testa. «Deve aver battuto la testa cadendo.» «E lei?» domandò indicando Cara con un cenno del capo. «Non lo sappiamo ancora» disse Kahlan mentre osservava Richard che chiudeva gli occhi di Juni. «L'abbiamo appena trovato.» «Sembra che fosse qua da un po'» fece notare Cara, rivolgendosi a Richard. Kahlan tirò la Mord-Sith per l'abito di cuoio rosso e lei si sedette sulla sponda del ruscello. Kahlan le spostò una ciocca di capelli per controllare la ferita. Non sembrava grave. Cara alzò una mano per fare segno a Richard di non preoccuparsi, ma non ebbe nulla in contrario quando Kahlan prese dell'acqua e cercò di versarla sul taglio. Richard strappò un grosso ciuffo d'erba, lo immerse nell'acqua e lo passò alla moglie. «Usa questo.» Passata l'ira, Cara cominciava a impallidire. «Sto bene.» Kahlan non ne era molto sicura. La Mord-Sith sembrava instabile e prima di pulire il sangue le tamponò la fronte con l'acqua fredda. Cara accettò di buon grado. «Cos'è successo?» le chiese Kahlan. «Non lo so» rispose Cara. «Stavo andando a controllare cosa stava facendo quando l'ho visto avvicinarsi. Camminava curvo come se stesse cercando qualcosa. L'ho chiamato e gli ho chiesto dov'erano le sue armi. Per essere sicura che mi capisse ho fatto gli stessi gesti che aveva fatto lui al villaggio quando ci aveva mostrato come aveva usato l'arco.» La Mord-Sith scosse la testa incredula. «Mi ha ignorata e ha continuato a guardare l'acqua. Ho pensato che avesse lasciato il suo posto per dare la caccia a uno stupido pesce, ma nell'acqua non c'era nulla. «All'improvviso è scattato in avanti come se volesse scappare da qualcosa.» Il colorito cominciava a tornare sul volto della Mord-Sith. «Stavo guardando da un'altra parte, mi ha colta di sorpresa e mi ha fatta cadere. Ho battuto la testa contro una roccia. Non so dopo quanto tempo ho ripreso i sensi. Non dovevo fidarmi di lui.» «Non è colpa tua» disse Richard. «Non sappiamo a cosa stesse dando la caccia.» Nel frattempo erano arrivati anche gli altri cacciatori. Kahlan alzò una mano per fermare le domande e, una volta ottenuto il silenzio, spiegò quello che era successo. I cacciatori ascoltarono confusi. Juni era un uomo di Chandalen, nessuno di loro avrebbe mai disatteso un ordine per dare la caccia a un pesce. «Vi chiedo scusa, lord Rahl» sussurrò Cara. «Non riesco a credere di essermi fatta sorprendere in quel modo. Tutto a causa di uno stupido pesce!» Richard le mise una mano sulla spalla. Era preoccupato. «L'importante è che tu stia bene, Cara. Forse è meglio se ti sdrai. Non hai un bell'aspetto.» «Ho solo lo stomaco sottosopra, ecco tutto. Mi basterà qualche minuto di riposo. Come è morto Juni?» «Correva e deve essere caduto» spiegò Kahlan. «Anch'io ho rischiato di cadere più di una volta. Lui deve aver battuto la testa ed essere svenuto come te, solo che è finito con la faccia in acqua ed è annegato.» Kahlan stava per cominciare a tradurre la sua spiegazione agli altri cacciatori, ma Richard la interruppe. «Non credo che sia andata così.» «È l'unica spiegazione» replicò Kahlan. «Guardagli le ginocchia. Non sono escoriate. Lo stesso vale per i gomiti e le mani.» Richard girò la testa di Juni. «Non c'è sangue. Se fosse caduto e avesse battuto la testa dovrebbe esserci il bernoccolo. Gli unici punti in cui manca il fango dal volto sono il naso e il mento, perché sono i punti che toccavano il fondo del ruscello.» «Secondo te non è annegato?» chiese Kahlan. «Non sto dicendo questo. Ma non ho visto nessun segno di caduta.» Richard studiò il corpo per un momento. «Sembra che sia annegato. Anch'io sono propenso a crederlo. Quello che non capisco è il perché.» Kahlan si spostò per far passare i cacciatori che si acquattarono a fianco del loro compagno morto. Improvvisamente la pianura parve divenire un luogo molto solitario. Cara si premette il tampone d'erba contro la tempia. «Anche se è difficile credere che avesse abbandonato il suo posto di guardia per dare la caccia a un pesce, perché era disarmato? Come è possibile che sia annegato in pochi centimetri d'acqua senza aver battuto la testa?» I cacciatori piangevano mentre accarezzavano il volto di Juni. Richard si unì a loro. «Vorrei proprio sapere a cosa stava dando la caccia. Cosa può avergli lasciato quello sguardo negli occhi?» 4 Il rombo dei tuoni distanti echeggiava negli stretti vicoli mentre Richard, Cara e Kahlan uscivano dall'edificio nel quale avevano lasciato il corpo di Juni affinché fosse preparato per il funerale. La costruzione non era diversa dalle altre case del villaggio: mura di mattoni d'argilla e tetto di zolle d'erba. Solo la casa degli spiriti aveva un tetto di tegole. Tutte le finestre delle case erano prive di vetri e alcune era- no chiuse con dei pezzi di tela spessa per proteggere l'interno dalle intemperie. Il colore smorto delle case faceva pensare che il villaggio fosse un ammasso di rovine deserte. Appoggiati contro un basso muro di un vicolo poco frequentato, c'erano tre vasi nei quali crescevano delle erbe. Erano delle offerte per placare gli spiriti malvagi. Due galline scapparono al passaggio del gruppo. Kahlan raccolse i capelli con una mano per impedire che i ciuffi le frustassero il viso. Vennero superati da diverse persone, alcune in lacrime, che correvano a rendere omaggio al corpo del cacciatore morto. A Kahlan dispiaceva di aver lasciato Juni in un luogo che puzzava di paglia marcia. Richard, Cara e Kahlan aveva atteso che Nissel, la guaritrice, avesse finito l'esame del corpo. Anche la guaritrice non aveva riscontrato nessuna frattura del collo o le ferite provocate solitamente da una caduta e alla fine aveva stabilito che il giovane cacciatore fosse morto per annegamento. Quando Richard le aveva chiesto come era successo, Nissel era rimasta piuttosto sorpresa da quella domanda. Per lei la causa era fin troppo ovvia: spiriti malvagi. Il Popolo del Fango credeva che durante un raduno non si richiamassero solo gli spiriti degli antenati. A volte capitava che arrivasse qualche entità maligna che richiedeva una vita per riparare a un torto. La morte poteva giungere nei modi più disparati: malattie, incidenti o per cause sovrannaturali. Nissel era convinta che il decesso del cacciatore, proprio per il fatto che fosse annegato in pochissimi centimetri d'acqua, fosse da imputare a cause chiaramente sovrannaturali. Chandalen e i suoi cacciatori le avevano creduto. La guaritrice non aveva avuto tempo di pensare a quale fosse stata la trasgressione che aveva fatto adirare gli spiriti malvagi perché doveva correre ad aiutare una donna a partorire. Durante il suo ufficio di Depositaria, Kahlan aveva visitato più di una volta il villaggio del Popolo del Fango e tutti gli altri popoli delle Terre Centrali. Anche se molti regni non amavano le visite degli stranieri, nessuno di essi, non importa quanto geloso della propria indipendenza, caparbio, chiuso, o potente fosse, avrebbe mai impedito l'accesso a una Depositaria. Uno dei compiti delle Depositarie era quello di fare in modo che regnasse la giustizia senza curarsi del volere dei regnanti. L'ordine delle Depositarie perorava anche la causa di quei popoli che non avevano rappresentanti all'interno del Concilio. C'erano popolazioni, come il Popolo del Fango, che non si fidavano degli stranieri e volevano semplicemente essere lasciate in pace. Kahlan aveva compreso le loro ragioni e le rispettava. La parola della Madre Depositaria era legge. Purtroppo la situazione era cambiata. Nelle biblioteche del Mastio del Mago di Aydindril erano custoditi molti volumi che parlavano della lingua, del sistema politico, delle credenze religiose, dei cibi, dell'arte e delle abitudini di tutti i popoli che formavano la confederazione di regni che era stata le Terre Centrali. Kahlan aveva studiato a lungo su quei tomi e ora conosceva la lingua e le credenze della maggior parte delle etnie che abitavano le Terre Centrali. Kahlan sapeva che il Popolo del Fango era solito lasciare delle focacce di riso e dei vasi pieni d'erbe profumate di fronte alle statuirle di terracotta. Quei manufatti, che erano custoditi all'interno di alcuni edifici costruiti appositamente per loro nella zona nord del villaggio, rappresentavano gli spiriti malvagi. Il Popolo del Fango credeva che quando uno spirito malvagio toglieva la vita a uno di loro, l'anima del morto andasse nel mondo sotterraneo e si unisse alle schiere degli spiriti buoni che vegliavano sul Popolo del Fango e aiutasse questi ultimi a tenere a bada le entità malvagie. In questo modo l'equilibrio tra i mondi non veniva turbato. Il Popolo del Fango pensava che il male fosse autolimitante. Le nuvole basse ribollivano sopra i tetti delle case e, sebbene fosse solo metà pomeriggio, la loro presenza dava l'impressione che il giorno dovesse volgere al tramonto. Un fulmine balenò nel cielo illuminando le mura seguito qualche secondo dopo dal boato violento di un tuono che fece tremare il terreno. Il vento spinse delle grosse gocce di pioggia contro la nuca di Kahlan. Lei era quasi contenta che cominciasse a piovere. L'acquazzone avrebbe spento i falò. Non era giusto continuare a festeggiare anche quando un uomo era morto. La pioggia avrebbe risparmiato loro il compito ingrato di spegnere ciò che rimaneva di quelle pire gioiose. Richard aveva portato personalmente il corpo di Juni fino al villaggio. I cacciatori avevano compreso la natura del gesto. Il loro compagno era morto mentre cercava di proteggere lui e la sua compagna. Cara, invece, la pensava in maniera del tutto differente. Juni si era trasformato da protettore a minaccia. La Mord-Sith riteneva del tutto irrilevante il come. A lei interessavano solo i fatti. Era successo e ora non aveva nessuna intenzione di farsi cogliere nuovamente impreparata di fronte al ripetersi di quell'eventualità. Richard aveva discusso brevemente con Cara. I cacciatori non avevano capito una parola, ma si erano accorti che lo scambio era stato piuttosto animato e non avevano chiesto a Kahlan di tradurre. Dopo qualche minuto di battibecco, Richard aveva lasciato cadere la questione. Molto probabilmente Cara si sentiva in colpa per quello che era successo. Kahlan prese la mano di Richard lasciando che la Mord-Sith camminasse davanti a loro in cerca di pericoli. Stavano andando da Zedd e Ann. Anche se era profondamente convinta che Cara si stesse sbagliando, Kahlan non riusciva a capire come mai anche lei si sentiva a disagio. Vide Richard guardarsi spesso alle spalle. Nei suoi occhi c'era l'espressione indagatrice che compariva quando era in ansia. «Cosa c'è che non va?» gli sussurrò Kahlan. Richard lanciò una rapida occhiata al vicolo, quindi scosse la testa frustrato. «Ho i capelli ritti sulla nuca. Mi succede sempre quando c'è qualcuno che mi osserva, ma non vedo nessuno.» Kahlan continuava a camminare con passo spedito tra gli edifici massicci girandosi per guardare indietro, senza sapere se la fonte del suo fastidio fosse l'effettiva presenza di un'entità malvagia che li scrutava o la suggestione. Aveva la pelle d'oca e si sfregò le mani sulle braccia. Cara raggiunse la casa dove erano ospitati Zedd e Ann nel momento stesso in cui cominciò a piovere forte, controllò entrambi i lati del passaggio, quindi aprì la porta ed entrò. Il vento spinse i capelli contro il volto di Kahlan. I lampi dardeggiavano nel cielo e il rombo dei tuoni echeggiava nell'aria. Una delle galline che razzolava corse via spaventa dal frastuono passando tra le gambe di Kahlan. Il fuoco ardeva basso nel piccolo camino in un angolo della stanza. Delle candele di sego posate su uno scaffale a fianco del camino aiutavano a illuminare il locale. L'unico posto per sedersi era rappresentato da una pelle di daino distesa di fronte al camino. Il pezzo di tela appeso a una delle finestre frustava l'aria mosso dal vento che faceva ondeggiare le fiamme delle candele. Richard chiuse la porta con una spallata. L'aria della stanza era pervasa dall'odore delle candele, dall'aroma dolciastro dei fasci d'erba bruciati nel camino e dal fumo pungente che non riusciva a risalire la canna fumaria. «Devono essere nella stanza sul retro» disse Cara indicando con l'Agiel la spessa tenda di cuoio. Una gallina camminava intorno a un simbolo tracciato per terra con un dito, o forse con un ramo, chiocciando infastidita. Fin da bambina, Kahlan aveva visto maghi e incantatori tracciare dei simboli antichi che rappresentavano il Creatore, la vita, la morte, il dono o l'aldilà. Essi tracciavano quegli emblemi quando erano distratti o in momenti di particolare ansia. A volte ricorrevano a quelle figure per trarne conforto e ricordare a loro stessi che erano connessi con il tutto. E, a volte, li tracciavano per aiutarsi negli incantesimi. I momenti passati con i maghi erano tra i ricordi più belli che Kahlan serbava della sua infanzia. Quegli uomini avevano giocato molto con lei inseguendola per le sale del Mastio oppure facendole il solletico. A volte si era seduta in braccio a uno di essi per ascoltare delle storie tanto meravigliose da lasciarla sempre a bocca aperta. C'era stato un tempo, prima che iniziasse il suo apprendistato, in cui a Kahlan era stato permesso di essere una bambina. Quei maghi erano morti. Tutti tranne uno avevano dato la loro vita per permetterle di attraversare il confine e fermare Darken Rahl. Uno di essi l'aveva tradita, ma c'era stato un tempo in cui anch'egli era stato un suo amico, un compagno di giochi, uno zio, un professore e l'oggetto del suo rispetto e del suo affetto. «Ho già visto questo simbolo» disse Cara fissando le linee tracciate sul pavimento. «Darken Rahl lo disegnava di tanto in tanto.» «È una Grazia» le spiegò Kahlan. Il vento sollevò il pezzo di tela che copriva la finestra permettendo al lampo che balenava in quel momento fuori della casa di illuminare il simbolo disegnato a terra. Richard aveva la bocca aperta come se volesse dire qualcosa, ma rimase zitto. La sua attenzione era attratta dalla gallina che razzolava vicino alla tenda di cuoio che dava accesso all'altra stanza. «Vorresti aprire la porta, Cara?» le chiese. Mentre la Mord-Sith ubbidiva, Richard agitò le braccia per far uscire la gallina. Il volatile schizzò a destra e sinistra in un turbinio di piume per cercare di evitarlo senza però attraversare la stanza e uscire. Richard si fermò, portò le mani ai fianchi e osservò la gallina interdetto. Le macchie nere sulle penne bianche e marroni avevano un che di sconcertante. Richard cercò di farlo uscire spingendolo fuori a calci e il volatile cominciò a scappare confuso per la stanza. Giunta vicino alla Grazia, la gallina emise un verso acuto e scappò sbattendo le ali, raggiunse la parete, ne percorse il perimetro fino alla porta e uscì. Era strano che un animale terrorizzato decidesse di seguire quella traiettoria piuttosto che correre in linea retta verso la salvezza. Cara chiuse la porta dietro il pennuto. «Devo ancora vedere un animale più stupido di una gallina.» «Cos'è questo baccano?» chiese una voce familiare. Zedd uscì dall'altra stanza. Il mago era poco più alto di Kahlan, ma i capelli perennemente protesi verso il cielo lo facevano sembrare molto più alto. La spessa tunica marrone con le spalline dava l'impressione che il fisico fosse più robusto di quello che effettivamente era. I polsini dell'abito erano ornati con tre bande di broccato argentato. Sul colletto spiccava un banda di broccato color oro che scendeva lungo il petto. Una cintura rossa con la fibbia d'oro cingeva i fianchi del mago. Zedd aveva sempre indossato dei vestiti anonimi. Sarebbe stato piuttosto strano vedere degli abiti lussuosi addosso a un mago del suo livello. Tra i maghi gli abiti sfarzosi erano indossati solo dagli iniziati ma, per le persone prive del dono, vestiti di quella foggia davano a intendere di essere al cospetto di un ricco mercante se non, ma questo solo in alcuni regni, addirittura un nobile. Zedd non amava gli abiti appariscenti, ma in quel caso erano un travestimento molto utile. Richard abbracciò il nonno, contento che la loro separazione fosse terminata. «Dove hai preso questi abiti, Zedd?» chiese Richard che, come Kahlan, era visibilmente disorientato dall'abito del nonno. Zedd inclinò la fibbia della cintura affinché il nipote la potesse vedere bene. «Oro. Pensi che sia un po' eccessiva?» Ann entrò nella stanza. Bassa e corpulenta indossava un austero vestito di lana nera che la indicava come la Priora delle Sorelle della Luce, un ordine di incantatrici che viveva nel Vecchio Mondo. Ann aveva finto di essere morta per poter portare a compimento una missione molto importante. Sembrava avere la stessa età di Zedd, ma Kahlan sapeva che la Priora era molto più vecchia. «Smettila di pavoneggiarti, Zedd» lo rimproverò Ann. «Abbiamo da fare.» Il vecchio mago la fissò in cagnesco. Kahlan vide la Priora rispondere a sua volta con un'occhiataccia e si chiese come quei due fossero riusciti a viaggiare insieme senza mai degenerare dalle schermaglie verbali alle vie di fatto. Kahlan aveva incontrato Ann solo il giorno prima, ma Richard le aveva parlato molto di lei dicendole che, a dispetto delle circostanze in cui si erano conosciuti, nutriva un profondo rispetto per quella persona. «Devo dire che anche tu non sei niente male, ragazzo» disse Zedd, riferendosi all'abito del nipote. Richard aveva sempre indossato gli abiti da guida dei boschi e Zedd non l'aveva mai visto con indosso i vestiti che aveva trovato nel Mastio del Mago. Quegli abiti erano appartenuti a un suo antenato. A giudicare dalla foggia sembrava che un tempo i maghi non portassero dei vestiti umili. Forse lo sfarzo serviva come avvertimento. Sui lacci che chiudevano gli stivali di Richard spiccavano degli emblemi in argento che riproducevano motivi geometrici. I pantaloni erano di lana nera. La maglia, dello stesso colore dei pantaloni, era coperta da una tunica aperta sui lati i cui bordi squadrati erano decorati da bande d'oro. Una spessa cintura di cuoio chiudeva la tunica ai fianchi. Sul cuoio erano stati incisi altri simboli argentati e su entrambi i lati c'erano dei sacchettini lavorati in oro. Una giberna era attaccata alla cintura. Sui polsi spiccavano delle bande di cuoio coperte anch'esse di strani simboli. Le spalle erano avvolte da un mantello che sembrava frutto di una colata di oro puro. Anche senza la spada al suo fianco, Richard aveva un aspetto nobile e sinistro. Regale e letale. Sembrava il re dei re. L'incarnazione di quanto predetto nelle profezie: il portatore di morte. Malgrado il suo aspetto incutesse un profondo senso di timore reverenziale, Kahlan sapeva che Richard continuava a possedere il cuore generoso della guida dei boschi che era stato fino a poco tempo prima. La sua sincerità semplice e diretta non aveva fatto altro che dare forza e credibilità alla sua figura di monarca. Il suo aspetto sinistro era una garanzia, ma anche, in alcuni casi, un'illusione. Richard non conosceva vie di mezzo quando si trattava di combattere il nemico, ma Kahlan sapeva che il suo amato era un uomo gentile e comprensivo. Non aveva mai conosciuto un uomo tanto giusto o paziente. Pensava che fosse la persona più rara che avesse mai incontrato. Ann sorrise felice e toccò il volto di Kahlan con una mano. Era un gesto colmo d'affetto simile a quello che le nonne riservano alle nipoti. Kahlan si commosse. Ann ripeté la carezza con Richard, dopodiché sistemò una ciocca di capelli grigi dietro un orecchio e mise un fascio d'erba nel fuoco. «Spero che tutto sia filato liscio nel vostro primo giorno da sposini novelli.» Kahlan lanciò una rapida occhiata a Richard. «Stamattina presto siamo andati a una fonte nelle vicinanze del villaggio per fare un bagno.» Il sorriso le sparì dalle labbra. «Uno dei cacciatori della nostra scorta è morto.» L'ultima frase catturò immediatamente l'attenzione di Zedd e Ann. «Come?» chiese la Priora. «È annegato» spiegò Richard, chiedendo a tutti di sedersi con un cenno della mano. «Il ruscello era poco profondo e per quello che ne sappiamo il ragazzo non è inciampato o caduto. L'abbiamo portato in uno degli edifici qua dietro» terminò indicando con un pollice alle sue spalle, mentre tutti e quattro si sedevano intorno alla Grazia. Zedd guardò oltre le spalle del nipote quasi come se fosse in grado di vedere il corpo di Juni attraverso il muro. «Andrò a dargli un'occhiata.» Fissò Cara che montava di guardia con la schiena alla porta. «Cosa credi sia successo?» «Penso che Juni fosse diventato una minaccia» rispose la Mord-Sith senza esitare. «È annegato mentre cercava lord Rahl per ucciderlo.» Il vecchio mago arcuò le sopracciglia e si rivolse a Richard. «Una minaccia? Perché avrebbe dovuto ucciderti?» Richard lanciò un'occhiataccia alla Mord-Sith. «Cara si sbaglia, non stava cercando di uccidermi.» Soddisfatto che la donna non avesse nulla da replicare, tornò a rivolgersi al nonno. «Quando l'abbiamo trovato morto... nei suoi occhi c'era un'espressione strana. Poco prima di morire ha visto qualcosa che gli ha lasciato impressa sul volto un'espressione di... non saprei... come se desiderasse ardentemente qualcosa. «Nissel, la guaritrice, ha esaminato il corpo. Ha detto che non ci sono fratture, ma che è annegato.» Richard passò un braccio intorno a un ginocchio e si sporse in avanti. «Morto annegato in neanche dieci centimetri d'acqua, Zedd. Nissel dice che è opera degli spiriti malvagi.» Il mago arcuò ancora di più le sopracciglia. «Spiriti malvagi?» «Il Popolo del Fango crede che ogni tanto gli spiriti malvagi uccidano uno di loro» spiegò Kahlan. «Per questo motivo gli abitanti del villaggio lasciano delle offerte davanti alle statuette di terracotta che si trovano in un paio di case.» Indicò il Nord con un cenno del mento. «Credono di poter placare la rabbia di quelle entità offrendo loro delle focacce di riso. Come se gli 'spiriti malvagi' potessero mangiare o fossero facili da ingannare.» La pioggia veniva giù a catinelle. L'acqua colava dalla finestra e dal tetto formando delle piccole pozzanghere sul pavimento. Il rombo dei tuoni aveva preso il posto del suono dei tamburi. «Capisco» disse Ann. Fissò Kahlan con un sorriso che lei trovò curioso. «Pensi che il Popolo del Fango ti abbia riservato un matrimonio misero rispetto alla cerimonia che sarebbe stata officiata se vi foste sposati ad Aydindril?» Kahlan corrugò la fronte, perplessa. «No, affatto. È stato il matrimonio più bello che avessi mai potuto desiderare.» «Davvero?» Ann indicò il villaggio circostante con un cenno della mano. «Gente vestita di abiti colorati, pelli d'animali e i capelli schiacciati con il fango? Bambini nudi che corrono a destra e sinistra ridendo e giocando nel corso di una cerimonia solenne? Uomini che si dipingono il volto in maniera spaventosa e danzano per raccontare storie di animali, cacce o guerre? È questa la tua idea di un bel matrimonio?» «No... non si tratta di qualcosa di materiale» balbettò Kahlan. «Era la loro intenzione, l'intensità dei loro sentimenti che l'ha reso speciale. Essi hanno condiviso la nostra stessa gioia. Questo cos'ha a che fare con le offerte di focacce agli spiriti malvagi?» Ann seguì con il dito una delle linee della Grazia, era il tratto che rappresentava il mondo sotterraneo. «Quando dici: 'Spiriti buoni vegliate sull'anima di mia madre', ti aspetti che gli spiriti si affrettino a fare quanto hai chiesto solo perché hai dato voce a un tuo desiderio?» Kahlan si sentì arrossire. Le capitava spesso di fare quel genere di richiesta agli spiriti. Cominciava a capire come mai Zedd trovava quella donna tanto indisponente. Richard andò in soccorso della moglie. «Le preghiere non sono da intendere come una richiesta diretta. Tutti noi sappiamo che non è così facile interagire con il mondo degli spiriti. Le preghiere di Kahlan sono l'espressione della speranza che la madre abbia trovato pace nell'aldilà.» Passò un dito sul lato opposto della linea toccata da Ann. «È lo stesso motivo che mi induce a pregare per mia madre» aggiunse sussurrando. Ann sorrise. «Proprio così, Richard. Non credi che il Popolo del Fango sappia bene che non bastano delle focacce di riso per ingannare delle forze così potenti?» «È l'atto che rende importante l'offerta» disse Richard. Dal modo in cui il suo amato si stava comportando con la Priora, Kahlan comprese che egli aveva imparato a capire le sue buone intenzioni dietro quella scorza di durezza. Ora anche Kahlan cominciava a capire cosa intendesse dire la Priora. «La supplica che rivolgono a forze che essi temono serve a placare qualcosa di sconosciuto.» Ann alzò un dito e arcuò le sopracciglia. «Esatto. La natura dell'offerta è semplicemente simbolica. Serve a rendere omaggio a una forza e a placarla tramite un atto di ubbidienza.» Agitò il dito. «A volte basta un inchino per calmare un avversario infuriato, giusto?» Kahlan e Richard si trovarono entrambi d'accordo «Meglio uccidere l'avversario e farla finita» commentò Cara. Ann ridacchiò e si rivolse a Cara. «Devo dire che a volte non rimane altra alternativa.» «E come pensi di 'uccidere' gli spiriti malvagi?» chiese Zedd sovrastando con la sua voce acuta il tamburellare della pioggia. L'unica risposta che Cara fu in grado di dare fu un'occhiataccia. Richard non li stava ascoltando. Sembrava ipnotizzato dalla Grazia. «Con la sua stessa schiatta, con gli spiriti malvagi... ed essi si possono arrabbiare se qualcuno manca loro di rispetto.» Kahlan stava per chiedere a Richard il motivo del suo improvviso interesse per le credenze sugli spiriti malvagi del Popolo del Fango quando Zedd le sfiorò una gamba con un dito per attirare la sua attenzione. L'occhiata di sottecchi del mago le fece capire che Richard doveva essere lasciato ai suoi pensieri. «Alcuni pensano che sia l'unica cosa possibile da fare, Richard» disse Zedd, tranquillo. «Perché avete tracciato la Grazia?» chiese Richard. «Io e Ann stavamo analizzando alcune questioni e una Grazia può essere un aiuto insostituibile. «Una Grazia è qualcosa di semplice, ma infinitamente complicato allo stesso tempo. La comprensione profonda della natura di una Grazia è un viaggio che dura tutta la vita, ma, come un bambino che inizia a camminare, anche quel viaggio inizia con un passo. Sei nato con il dono ed entrambi abbiamo pensato che fosse venuto il momento giusto per cominciare a insegnarti cosa fosse una Grazia.» Il dono del nipote era un grande enigma per Zedd. Ora che erano tornati insieme, Richard aveva bisogno di scavare nei misteri della sua nascita dopodiché iniziare a vagliare anche gli angoli più oscuri del suo potere. Kahlan desiderava ardentemente che il marito avesse a disposizione tutto il tempo necessario per tale impresa, ma non era così. «Sarei molto contento se dessi un'occhiata al corpo di Juni, Zedd» disse Richard. «Tra un po' smetterà di piovere e potremo andare» lo rassicurò Zedd. Richard fece scorrere il dito lungo la linea che rappresentava il dono... la magia. «Se questo è il primo passo ed è così importante, come mai le Sorelle della Luce non mi hanno insegnato nulla al riguardo quando mi hanno portato al Palazzo dei Profeti? Come mai non l'hanno fatto quando si è presentata l'occasione?» chiese ad Ann. Kahlan sapeva bene che Richard diventava immediatamente guardingo e poco incline alla fiducia quando cominciava a sospettare che qualcuno stesse alterando, anche solo in maniera impercettibile, la verità. Le Sorelle che Ann comandava gli avevano messo un collare. Ann lanciò una rapida occhiata a Zedd. «Le Sorelle della Luce non avevano mai provato a istruire uno che come te possiede sia la Magia Detrattiva che quella Aggiuntiva.» Aveva scelto le parole con molta cautela. «La prudenza veniva prima di tutto.» Il tono di Richard era cambiato in maniera sottile: adesso era lui che faceva le domande. «E ora pensi che sia necessario che io impari cosa sia una Grazia?» «Anche l'ignoranza è molto pericolosa» borbottò Ann, criptica. 5 Zedd prese una manciata di terra dal pavimento. «Ann ha un modo di fare piuttosto drammatico. Ti avrei parlato della Grazia molto tempo fa, se non ci fossimo separati, ecco tutto.» La risposta del nonno, tranquillizzò Richard che rilassò il collo e le spalle. «Anche se una Grazia può apparire semplice» continuò il mago «essa rappresenta il tutto e deve essere tracciata esattamente in questo modo.» Zedd si sporse in avanti e con dei gesti esperti e sicuri tracciò il simbolo sul terreno servendosi della terra che aveva raccolto qualche attimo prima. «Il cerchio esterno rappresenta l'inizio del mondo sotterraneo... il mondo infinito dei morti. Oltre questo cerchio, nel mondo sotterraneo, c'è solo l'eternità. Ecco perché la Grazia comincia proprio in questo punto: è dal nulla che ha inizio la Creazione.» Inscritto nel cerchio c'era un quadrato i cui apici toccavano la circonferenza. All'interno del quadrato era stato inscritto un secondo cerchio che ne toccava i lati. Nel centro del cerchio più interno era stata disegnata una stella a otto punte. Da ognuna delle punte partivano delle linee dritte che tagliavano la circonferenza dei cerchi passando per gli angoli dei quadrati. Il quadrato rappresentava il velo che separava il mondo degli spiriti dal cerchio più piccolo che sanciva i limiti del mondo dei vivi. La stella che si trovava nel centro raffigurava la Luce, il Creatore, con i raggi del suo Dono magico che, proveniente dalla Luce, superavano ogni confine. «L'ho già vista.» Richard girò i polsi e li posò sulle ginocchia. Nel centro di ognuna delle bande argentee spiccava una piccola Grazia. I simboli si trovavano nella parte nascosta delle polsiere e Kahlan non li aveva mai notati prima d'allora. «La Grazia non è altro che la rappresentazione della continuità del dono» disse Richard. «Continuità rappresentata dai raggi: dal Creatore, attraverso la vita e la morte superando il velo fino all'eternità con gli spiriti nel reame del Guardiano.» Tracciò i contorni di uno degli emblemi con il pollice. «Simboleggia anche la speranza di rimanere sempre nella luce e nella grazia del Creatore dalla nascita, durante la vita e anche oltre, quando saremo passati nell'aldilà.» Zedd batté le palpebre sorpreso. «Ottimo, Richard. Ma come fai a sapere tutte questo cose?» «Ho cominciato a capire il codice degli emblemi e ho letto qualcosa riguardo la Grazia.» «Il codice degli emblemi...?» Kahlan si rendeva conto che Zedd stava facendo un grande sforzo per trattenersi. «Devi sapere, ragazzo mio, che una Grazia può scatenare l'alchimia della conseguenza. Se uno di questi simboli fosse tracciato con una sostanza pericolosa come la sabbia magica, o usato per altri scopi, gli effetti potrebbero essere tanto gravi...» «Tali da alterare il modo in cui tutto interagisce nel mondo per raggiungere uno scopo» terminò Richard. «Ho letto molto poco a riguardo.» Zedd si sedette sui talloni. «Non mi sembra che sia così poco. Voglio che tu mi dica tutto quello che hai fatto dall'ultima volta che ci siamo visti.» Agitò un dito in aria con fare ammonitore. «Tutto. Anche il particolare più insignificante.» «Cos'è una Grazia Letale?» chiese Richard, invece di cominciare a raccontare. «Una... cosa?» chiese Zedd, inclinandosi in avanti chiaramente stupefatto. «Una Grazia Letale» ripeté Richard fissando la figura tracciata sul pa- vimento. Kahlan ne sapeva quanto Zedd circa il soggetto della domanda, ma ormai lei si era abituata al modo di fare del marito. Più di una volta l'aveva visto in quello stato. Era come se fosse in un altro luogo e ponesse delle domande curiose mentre era intento a ponderare qualche dilemma oscuro e intricato. Era il modo d'agire del Cercatore. Kahlan prese nota dell'espressione corrucciata di Ann. Zedd stava per scoppiare. Avrebbe voluto tempestare il nipote di migliaia e migliaia di domande, ma anche lui conosceva bene Richard e sapeva che di tanto in tanto esordiva con le domande più inaspettate. Zedd aveva sempre fatto del suo meglio per dare una risposta. Il mago si massaggiò la fronte con la punta delle dita cercando di non perdere la pazienza. «Balle, Richard. Non ho mai sentito parlare di una cosa simile. Da dove salta fuori questa Grazia Letale?» «È qualcosa che ho letto da qualche parte» borbottò Richard. «Potresti creare un altro confine come facesti poco prima della mia nascita, Zedd?» Il mago fece una smorfia colma di frustrazione. «Perché dovrei...» «Per bloccare l'accesso al Vecchio Mondo e fermare la guerra.» Zedd rimase a bocca aperta. La motivazione del nipote l'aveva colto alla sprovvista, ma dopo qualche attimo un sorriso gli increspò gli angoli della bocca illuminandogli il volto. «Ottimo, Richard. Stai diventando un mago con i fiocchi, pensi sempre a usare la magia in modo da prevenire le sofferenze e il dolore.» Il sorriso scomparve dal volto del mago. «Ottima soluzione, davvero, ma, purtroppo non posso rifarlo.» «Perché no?» «Era un incantesimo di tre. Questo significa che ero obbligato in tre di questi e tre di quelli. Di solito gli incantesimi molto potenti sono ben protetti... una prescrizione di tre significa che solo uno serve per tenere a bada la magia pericolosa e impedire che possa essere liberata. L'incantesimo del confine era uno di questi. Lo trovai in un antico testo che risaliva ai tempi della grande guerra. «Sembra che tu abbia ereditato da tuo nonno la passione per i libri antichi pieni di argomenti bizzarri.» Arcuò le sopracciglia. «La differenza tra me e te è che io ho studiato per tutta la mia vita e sapevo cosa stavo facendo. Conoscevo i pericoli, sapevo come evitarli o minimizzarli. Conoscevo i limiti della mia abilità e questa, ragazzo mio, è una grande differenza.» «C'erano solo due confini» lo incalzò Richard. «Be', le Terre Centrali stavano combattendo una guerra terribile contro il D'Hara.» Zedd incrociò le gambe. «Ho usato il primo incantesimo per capire come funzionava e come impiegarlo. Il secondo mi è servito per separare le Terre Centrali dal D'Hara e porre fine alla guerra. Il terzo l'ho usato per separare le Terre Centrali dai Territori dell'Ovest in modo che la gente potesse vivere in un luogo dove non esistesse la magia e prevenire una rivolta contro le persone che possedevano il dono.» Kahlan immaginava a stento un mondo privo di magia. Il solo concetto le sembrava sinistro e spaventoso, ma sapeva che c'erano delle persone che non desideravano altro. I Territori dell'Ovest, sebbene non fossero molto estesi, fornivano un rifugio per le persone che la pensavano in quel modo. Almeno fino ad allora. «Niente più confini.» Zedd alzò le mani al cielo. «Ecco tutto.» Era passato quasi un anno da quando Darken Rahl aveva fatto scomparire i confini riunendo le tre terre. Era una sfortuna che l'idea di Richard non fosse attuabile perché avrebbe impedito a una guerra sanguinosa di investire il Nuovo Mondo. Avrebbe salvato le centinaia di migliaia di vite che si sarebbero perse nella lotta ancora a venire. «Nessuno di voi due ha idea di dove possa essere andato Nathan?» chiese Ann. «Io sono stata l'ultima a vederlo» disse Kahlan. «Mi ha aiutata a salvare la vita di Richard. Mi ha consegnato il libro rubato dal Tempio dei Venti e mi ha detto le parole magiche che potevo usare per distruggere il libro e tenere in vita Richard finché non fosse guarito del tutto dalla peste.» Ann sembrava un lupo pronto a cenare. «E dove potrebbe essere andato?» «Da qualche parte nel Vecchio Mondo. C'era anche Sorella Verna. Avevano appena ucciso qualcuno a cui Nathan teneva molto. Era successo davanti ai suoi occhi. Mi disse che ha volte le profezie prendono il sopravvento e che ci sopravvalutiamo troppo e che anche se lo desideriamo con molto ardore non possiamo bloccare la mano del fato.» Kahlan tracciò una linea per terra con un dito. «È partito con Walsh e Bollesdun, due dei suoi uomini e mi ha detto che restituiva a Richard il suo titolo di lord Rahl. Ha detto a Verna di non prendersi il disturbo di seguirlo perché sarebbe stata solo una perdita di tempo.» Kahlan fissò Ann. Gli occhi della Priora erano colmi di dolore. «Penso che Nathan sia andato via per cercare di dimenticare quanto è successo quella notte. Per dimenticare la persona che aveva perso la vita per aiutar- lo. Non penso che lo troverai a meno che lui non lo voglia.» Zedd batté una mano sul ginocchio rompendo l'incantesimo del silenzio. «Voglio sapere tutto quello che è successo a partire dall'inizio dello scorso inverno. Tutto. Non tralasciate niente. I dettagli sono importanti. Forse non potete capirlo, ma i dettagli possono essere critici. Devo sapere tutto.» Richard fissò a lungo l'espressione carica d'attesa del nonno. «Vorrei poterti accontentare, Zedd, ma non posso. Io, Kahlan e Cara dobbiamo tornare ad Aydindril.» Ann prese a giocherellare con un bottone del colletto. Kahlan cominciava a pensare che su quella facciata di calma che ricordava un giardino ben curato cominciassero a crescere le prime erbacce. «Potremmo cominciare adesso e continuare durante il viaggio.» «Non potete immaginare quanto vorrei rimanere con voi, ma non c'è tempo per un viaggio così lungo» dichiarò Richard. «Dobbiamo tornare indietro il più velocemente possibile. Dovremo usare la sliph. Mi dispiace, ma non potrete seguirci nella sliph. Dovrete tornare ad Aydindril con i vostri mezzi. Parleremo quando ci avrete raggiunti.» «La sliph?» Zedd arricciò il naso. «Di cosa parli?» Richard non rispose e cominciò a guardare la finestra. Kahlan rispose per lui. «La sliph è una...» Fece una pausa. Come era possibile spiegare la natura di quell'essere? «Be', è come se fosse una sorta di colonna di mercurio vivente. È in grado di comunicare con noi. Parla.» «Parla» ripeté Zedd in tono piatto. «E di cosa parla?» «L'argomento non è importante.» Kahlan fissò Zedd dritto negli occhi e cominciò grattare una cucitura dei pantaloni con il pollice. «La sliph venne creata dai maghi della grande guerra. Essi si servivano della gente comune per trasformarla in armi. La sliph è una di esse. Usarono la vita di una donna per creare la sliph, un essere capace di viaggiare a una velocità incredibile. È in grado di coprire la distanza tra qua e Aydindril e altri destinazioni molto lontane in meno di un giorno» Zedd ponderò le sue parole. Kahlan sapeva che potevano essere stupefacenti anche per il mago. Lei aveva provato la stessa incredulità di Zedd la prima volta che ne aveva sentito parlare. Anche a cavallo quel viaggio avrebbe richiesto settimane. Kahlan gli posò una mano sul braccio. «Mi dispiace, Zedd, ma sia tu che Ann non potete venire. Come hai appena detto anche la magia della sliph ha delle protezioni. Ecco perché Richard ha dovuto abbandonare la spada, la sua magia era incompatibile con quella della sliph. Per viaggiare nella sliph oltre la Magia Aggiuntiva è necessario possedere anche solo una minima parte di Magia Detrattiva. Voi due non la possedete. La sliph vi ucciderebbe. Parte del mio potere di Depositaria è fatto di Magia Detrattiva. Cara ha catturato un Andoliano, il cui dono è composto in parte di Magia Detrattiva, ereditando quella componente e Richard può viaggiare perché le possiede entrambe.» «Tu possiedi della Magia Detrattiva? Ma come... cosa... dove...» Zedd non sapeva più quale domanda porre per prima. «La sliph vive all'interno di alcuni pozzi di pietra. Richard è in grado di richiamarla, ma dobbiamo stare attenti perché anche Jangang può usarla per inviare i suoi sgherri.» Kahlan incrociò i polsi. «Quando non ci serve per viaggiare, Richard la induce in un sonno profondo facendo toccare le polsiere, o le Grazie che vi sono riprodotte, in modo che quella creatura possa riunirsi alla sua anima nell'aldilà.» Ann era impallidita. «Ti avevo già messo in guardia, Zedd. Non possiamo lasciare che vada in giro in questo modo. Primo o poi finirà con l'uccidersi. È troppo importante per noi.» Il vecchio mago sembrava dovesse scoppiare da un momento all'altro. «Hai usato le Grazie sulle bande che porti ai polsi, Richard? Balle, non hai idea di quello che hai fatto! Ti metti a pasticciare con il velo ogni volta che lo fai!» Richard, che continuava a sembrare assorto in altre questioni, schioccò le dita, indicò la fascina sotto una panca, quindi agitò le dita con insistenza. Zedd corrugò la fronte e gli passò uno dei rami più grossi. Richard lo spezzò in due sopra in ginocchio continuando a fissare la finestra. Un lampo balenò fuori dalla casa e Kahlan vide i contorni di una gallina appollaiata sul davanzale della finestra dietro il drappo. Il pennuto si spostò sull'altro lato del davanzale proprio mentre il tuono squassava il cielo. Richard scagliò il bastone centrando l'animale in pieno petto che cadde dal davanzale sbattendo le ali e starnazzando. «Perché l'hai fatto, Richard?» gli chiese Kahlan afferrandolo per una manica. «Non dava fastidio a nessuno. Stava solo cercando di ripararsi dalla pioggia.» Richard, che sembrava continuasse a non ascoltarla, si rivolse ad Ann. «Tu hai vissuto nel Vecchio Mondo. Quanto sai riguardo il tiranno dei sogni?» «Be', credo di saperne qualcosa» balbettò Ann, presa alla sprovvista dal- la domanda. «Sai che Jagang può entrare nella mente di una persona e piegarla al suo volere senza che la sua vittima possa rendersene conto?» «Certo!» Ann sembrava quasi indignata dal fatto che le fosse stata rivolta una domanda tanto elementare riguardo al nemico che stavano combattendo. «Ma sia tu che quelli che ti sono legati sono protetti. Il tiranno dei sogni non può invadere la mente di una persona devota a un lord Rahl. Non sappiamo perché, ma è così che funziona.» «Risale tutto al tempo di Alric Rahl» spiegò Richard. «Di chi?» domandò Zedd confuso. «Alric Rahl era un mio antenato. Ho letto che i tiranni dei sogni erano delle armi create durante la guerra che si svolse tremila anni fa. Il mio antenato creò un incantesimo in grado di proteggere una persona dai tiranni. Quell'incantesimo non è altro che il legame e viene trasmesso a ogni Rahl che nasce con il dono.» Zedd aprì la bocca per porre una domanda, ma Richard si rivolse nuovamente ad Ann. «Jagang entrò nella mente di un mago e lo mandò a uccidere me e Kahlan... ha cercato di usarlo come assassino, capisci?» «Un mago?» Ann aggrottò la fronte. «Chi?» «Marlin Pickard» disse Kahlan. «Marlin!» Ann scosse la testa sospirando. «Povero ragazzo. Cosa gli è successo?» «La Madre Depositaria l'ha ucciso» spiegò Cara senza esitare. «È una vera sorella d'Agiel.» Ann incrociò le mani sul grembo e si inclinò verso Kahlan. «Ma come avete fatto a scoprire che...» «Ci aspettiamo che Jagang ci riprovi nello stesso modo» si intromise Richard, richiamando su di sé l'attenzione di Ann. «Ma un tiranno dei sogni si può infiltrare in qualcosa di diverso da una persona?» Ann rifletté sulla domanda con più pazienza di quanto Kahlan ritenesse necessaria. «No, non credo.» «'Non credo.'» Richard inclinò la testa. «Stai facendo una supposizione o sei certa di quello che dici? È molto importante. Ti prego di non tirare a indovinare.» La Priora lo fissò a lungo, quindi, passato qualche secondo, disse: «No. Non può farlo.» «Ha ragione» confermò Zedd. «Ne so abbastanza per sapere quello che può fare o non può fare. Ha bisogno di un'anima simile alla sua altrimenti non funziona. È come se cercasse di proiettare la propria mente dentro un sasso per capire cosa pensa.» Richard si grattò il labbro inferiore con l'indice. «Allora non è Jagang» borbottò tra sé e sé. Zedd roteò gli occhi esasperato. «Cosa non sarebbe, Jagang?» Kahlan sospirò; alle volte era proprio impossibile capire quello che passava per la testa di Richard. 6 Richard non rispose alla domanda di Zedd. Sembrava che per l'ennesima volta avesse ricominciato a pensare ai fatti suoi. «Ti sei occupato dei rintocchi? Doveva essere una cosa semplice.» «Semplice?» Zedd arrossì in volto. «Chi ti ha detto una cosa simile?» Richard rimase sorpreso dalla domanda. «L'ho letto. Allora, ti sei occupato dei rintocchi?» «Avevamo deciso che era qualcosa di cui 'non era necessario preoccuparsi'» gli ricordò Ann con la voce venata da una certa irritazione. «Esatto» borbottò Zedd. «Cosa intendi dire con 'semplice'?» «Kolo disse che in principio si erano allarmati, dopo un'attenta indagine avevano scoperto che i rintocchi erano un'arma facile da neutralizzare.» Richard alzò le mani al cielo. «Come fai sapere che non sono un problema? Ne sei certo?» «Kolo? Balle, Richard, di cosa stai parlando? Chi è questo Kolo?» Richard agitò una mano come se volesse implorare il nonno di avere pazienza, si alzò, si avvicinò alla finestra e alzò la tenda. La gallina era scomparsa. Kahlan cominciò a fornire delle spiegazioni per conto del marito. «Richard ha trovato un diario nel Mastio scritto in D'Hariano Alto e lo sta traducendo insieme a Berdine, una delle Mord-Sith della sua scorta che conosce i rudimenti di quella lingua. «L'uomo che scrisse quel diario era un mago che abitava nel Mastio al tempo della grande guerra. Non ne conoscono il nome e visto che il suo diario si è rivelato una fonte d'informazioni utilissime, hanno deciso di chiamarlo Kolo. È una parola di D'Hariano Alto che significa 'consigliere fidato'.» Zedd fissò Richard, sospettoso. «E dove avrebbe trovato questo diario?» Il sospetto era filtrato anche nel suo tono di voce. Richard aveva cominciato a camminare su e giù per la stanza con le dita premute sulle tempie. L'espressione del viso era di profonda concentrazione. Zedd attendeva la risposta di Kahlan. «Nella stanza della sliph, nelle fondamenta della torre grande.» «La torre grande!» Il tono di Zedd sembrava piuttosto accusatorio. Lanciò una seconda rapida occhiata al nipote. «Non mi dirai che si tratta della stanza sigillata, vero?» «Proprio quella. Quando Richard distrusse le torri che separavano il Nuovo Mondo da quello Vecchio egli annullò anche l'incantesimo che sigillava la stanza. Quando andò là sotto trovò che la porta era letteralmente esplosa insieme a una sezione del muro. È là che ha trovò le ossa di Kolo, il suo diario e la sliph.» Richard smise di camminare. «Ti dirò tutto più tardi, Zedd. In questo momento vorrei sapere come mai non credi che i rintocchi siano qua.» Kahlan aggrottò la fronte. «Qua? Cosa intendi dire con: 'qua'?» «Intendo dire in questo mondo. Tu cosa ne sai, Zedd?» Il mago indicò il posto vuoto nel cerchio di persone intorno alla Grazia. «Siediti, Richard. Vederti passeggiare su e giù come un cane che aspetta solo di uscire mi rende nervoso.» «Cosa sono i rintocchi?» chiese Kahlan rivolgendosi a Zedd, mentre Richard dava un'ultima occhiata fuori dalla finestra prima di unirsi nuovamente ai suoi compagni. «Oh» esordì Zedd, scrollando le spalle «sono delle creature fastidiose, ma...» «Fastidiose?» Ann si diede una pacca sulla fronte. «Non sarebbe meglio dire che sono una catastrofe?» «E sono stata io a evocarle?» chiese Kahlan, preoccupata. Aveva pronunciato il nome di quelle tre creature al fine di completare l'incantesimo che aveva salvato la vita di Richard. In quei momenti non aveva idea di cosa stesse facendo e delle conseguenze dei suoi atti, voleva solo impedire che il suo amato morisse. Zedd agitò una mano per placare le sue paure. «No, tranquilla. Come ha detto Ann possono diventare un guaio molto serio, ma...» «Potresti rispondere alla mia domanda, Zedd? Per favore! Come fai a sapere che non sono qua?» gli chiese Richard, tirando su i pantaloni fino alle ginocchia prima di sedersi. «Perché anche i rintocchi sono una magia di tre. Questo è uno dei motivi per cui sono proprio tre: Reechani, Sentrosi e Vasi.» «Pensavo che non bisognasse pronunciarle ad alta voce!» esclamò Kahlan, balzando quasi in piedi. «Infatti tu non dovresti farlo. Una persona qualunque può pronunciare il loro nome senza che succeda niente. Io, Richard, e Ann possiamo chiamarle con lo stesso effetto, ma questo non vale per le persone estremamente rare come te.» «Perché?» «Perché tu possiedi una magia sufficientemente potente per invocare il loro aiuto in favore di un'altra persona. Senza il dono che funge da protezione per il velo, i rintocchi potrebbero usare la tua magia per penetrare in questo mondo. Si pensava che il nome di quelle tre creature fosse un segreto.» «Quindi avrei potuto richiamarle in questo mondo.» «Dolci spiriti» sussurrò Richard, pallido in volto. «Potrebbero essere qua.» «No, no. Ci sono un numero imprecisato di sigilli di sicurezza e delle condizioni che non ammettono deroghe. Per non parlare del fatto che il verificarsi di tali condizioni sarebbe veramente un evento straordinario.» Zedd alzò un dito per zittire Richard prima che questi cominciasse a porre delle domande. «Tra le altre cose, per esempio, Kahlan dovrebbe essere la tua terza moglie.» Zedd mimino il nipote con un ghigno condiscendente. «Soddisfatto, signor l'ho-letto-su-un-libro?» Richard fece un respiro profondo. «Bene.» Sospirò. Il colorito tornò a fare capolino sulle sue guance. «Perfetto. Lei è solo la mia seconda moglie.» «Cosa?» Zedd alzò le braccia al soffitto rischiando di cadere all'indietro. Sbuffò e tirò giù le maniche dell'abito. «Come sarebbe a dire che Kahlan è solo la tua seconda moglie? Ti conosco da quando sei nato, Richard e Kahlan è l'unica donna che tu abbia mai amato. Perché, in nome del Creatore, avresti dovuto sposare un'altra donna?» Richard si schiarì la gola e lanciò un'occhiata a Kahlan. Il ricordo di quell'esperienza era poco piacevole. «È una storia molto lunga, ma, per farla breve, per riuscire a entrare nel Tempio dei Venti e fermare la peste ho dovuto sposare Nadine. Per questo ti ho detto che Kahlan è la mia seconda moglie.» «Nadine» ripeté Zedd grattandosi una guancia. «Parli di Nadine Brighton? È lei?» «Sì.» Richard passò un dito per terra. «È morta poco dopo la cerimonia.» Zedd emise un fischio basso. «Nadine era una brava ragazza... stava per diventare una guaritrice. Poverina. I suoi genitori saranno distrutti.» «Già, poverina» borbottò Kahlan. Nadine desiderava Richard e si era dimostrata pronta a tutto. Richard le aveva detto più di una volta e in modo che non ci fossero equivoci che lui non l'avrebbe mai sposata perché non l'amava e che voleva che andasse via appena possibile. Nadine si era sempre limitata sorridere e a rispondere: «Come vuoi, Richard.» Quel modo di fare aveva portato Kahlan al limite dell'esasperazione. Anche se non aveva mai desiderato che a Nadine succedesse qualcosa di brutto, in particolare la morte terribile che aveva avuto, Kahlan non provava molta pietà per quella sgualdrinella irriverente, come l'aveva definita Cara. «Come mai sei arrossita?» le chiese Zedd. Kahlan alzò gli occhi e si accorse che sia il nonno di Richard sia Ann la stavano fissando. «Be', io...» Kahlan cambiò argomento. «Aspettate un attimo. Quando ho pronunciato il nome delle tre chimere non ero ancora sposata. La cerimonia ha avuto luogo qua. Capite? Allora non ero ancora sua moglie.» «Ancora meglio» disse Ann. «Questo fatto è un altro impedimento alla venuta dei rintocchi.» Richard prese la mano della sua compagna. «Be', forse non è del tutto vero. Quando abbiamo dovuto pronunciare le parole per entrare nel tempio, nei noi nostri cuori le abbiamo dette come se stessimo sposandoci insieme e non con altre persone. Si può tranquillamente affermare che in quel momento è come ci fossimo sposati perché quella era la nostra precisa volontà. «A volte la magia e il mondo degli spiriti agiscono in base a regole piuttosto ambigue.» Ann cambiò posizione a disagio. «Sante parole.» «Non importa come la metti, Kahlan rimane sempre e comunque la tua seconda moglie.» Zedd li fissò entrambi sospettoso. «Questa storia diventa sempre più complicata ogni volta che uno di voi due apre bocca. Ripeto, ho bisogno di sapere tutto quello che è successo.» «Ti dirò qualcosa prima di partire e il resto lo saprai quando ci avrai raggiunti ad Aydindril. Dobbiamo tornare usando la sliph.» «Perché hai tanta fretta, ragazzo mio?» «Jagang è ansioso di mettere le mani sulle magie custodite nel Mastio del Mago e si ci riuscisse gli effetti sarebbero disastrosi. So che tu saresti il più adatto a proteggere il Mastio, Zedd, ma, nel frattempo, non credi che io e Kahlan saremmo sempre meglio di niente? «Almeno eravamo là quando Jagang inviò Marlin e Sorella Amelia.» «Amelia?» Ann chiuse gli occhi e si premette le tempie. «È una Sorella dell'Oscurità, avete idea di dove possa essere, adesso?» «La Madre Depositaria l'ha uccisa» disse Cara. Kahlan lanciò un'occhiataccia alla Mord-Sith che sorrideva come se fosse una sorella orgogliosa. Ann aprì un occhio e fissò Kahlan con attenzione. «Non sono cose da poco. Un mago succube di un tiranno dei sogni e adesso una donna in grado di usare l'oscuro potere del Guardiano.» «Ero disperata» si giustificò Kahlan. «Niente di più.» «La disperazione può dar vita a una magia molto potente» borbottò Zedd. «La stessa cosa vale per le tre chimere» continuò Kahlan. «Ero disperata e volevo salvare la vita di Richard. Cosa sono i rintocchi? Perché siete così preoccupati?» Zedd si accomodò meglio sulla sedia. «La persona sbagliata che pronuncia il loro nome per invocarle al fine di impedire che un suo caro varchi la linea...» indicò la riga della Grazia che rappresentava il confine con il mondo sotterraneo «... può, se si verificano tutte le condizioni, farle arrivare in questo mondo nel quale porteranno a compimento lo scopo per il quale sono state create: porre fine alla magia.» «La risucchiano» spiegò Ann «come un terreno arido risucchia la pioggia estiva. Sono creature, ma non si può dire che siano propriamente vive, perché non hanno un'anima.» Zedd annuì torvo in volto. «I rintocchi sono delle creature concepite nell'aldilà quindi sono in grado di annullare la magia di questo mondo.» «Volete dire che danno la caccia e uccidono le persone con il dono come facevano gli uomini-ombra?» chiese Kahlan. «Il loro tocco è letale?» «No» disse Ann. «Possono uccidere e lo fanno, ma il solo fatto che esse arrivano in questo mondo rappresenta un pericolo per la magia. Tutte le persone e gli esseri che dipendono dalla magia per la loro sopravvivenza, cominceranno a morire. Prima i più deboli, poi i più forti.» «Dovete capire» li mise in guardia Zedd «che non sappiamo molto ri- guardo quegli esseri. Erano armi create nella grande guerra, ideate da maghi dotati di poteri che neanch'io riesco a immaginare. Il dono non è più quello di un tempo.» «Se i rintocchi sono riusciti a entrare in questo mondo non è possibile che si limitino a prosciugare la magia lasciando in vita le persone?» chiese Richard. «Per esempio, non è possibile che il Popolo del Fango perda la sua capacità di contattare gli spiriti degli antenati e basta? Le creature magiche sarebbero le uniche a sparire? Rimarrebbero solo persone, alberi e animali che non hanno nulla a che fare con il dono e tutto il mondo diventerebbe un luogo privo di magia simile alle Terre dell'Ovest dove sono cresciuto?» Kahlan sentiva il terreno tremare sotto di sé a causa del tuono, il violento tamburellare della pioggia e il sibilo del fuoco nel camino. «Non sappiamo cosa risponderti, ragazzo. Non conosciamo precedenti a riguardo. Il mondo è molto complesso e solo il Creatore sa come interagiscono tutti gli elementi.» La luce del camino creava dei giochi d'ombre sul volto torvo del mago. «Ma temo che il quadro della situazione sarebbe peggiore di quello che hai prospettato.» «Peggio? In che misura?» Zedd lisciò l'abito sulle gambe per prendere tempo prima di rispondere. «A ovest di qua, negli altopiani sopra la valle del Nareef, si trovano le sorgenti del fiume Dammar uno degli affluenti del Drun. Quelle sorgenti filtrano il veleno dal terreno degli altopiani. «Gli altopiani sono una distesa desolata dove di tanto in tanto è possibile vedere le ossa di un animale che le ha attraversate e ha bevuto troppa acqua avvelenata. È un luogo di morte, desolato e ventoso.» Zedd aprì le braccia come per indicare un grande spazio. «Le migliaia di ruscelli e torrenti che scendono dalle montagne circostanti formano un laghetto paludoso prima di continuare nella valle sottostante. Sulle sponde di questo specchio d'acqua cresce rigogliosa la pianta del paka. La concentrazione più alta di quelle piante si trova sul lato sud del laghetto, dove i vari corsi d'acqua formano lo specchio d'acqua. Il paka cresce bene in quella landa deserta non solo perché è in grado di sopportare il veleno, ma anche perché lo usa come fertilizzante. È il suo nutrimento. L'unico insetto in grado di mangiare le foglie di paka è la larva di una falena che tesse il suo bozzolo intorno ai gambi succulenti delle piante. «Il warfer è un uccello che nidifica sugli strapiombi che sovrastano il la- ghetto. È ghiotto delle bacche del paka. Non beve e per questo è uno dei pochi abitanti di quegli altopiani.» «Le bacche non sono velenose, vero?» domandò Richard. «No. È una delle meraviglie della Creazione. Il paka cresce nutrendosi d'acque avvelenate, ma le bacche che produce sono commestibili e l'acqua che scende da quelle montagne è pura e salubre perché viene filtrata dalle piante. «Un altro abitante di quegli altopiani è la falena truffatrice. Vola in modo da rendersi irresistibile ai warfer che di solito mangiano solo semi e bacche. Quell'insetto vive in un luogo in cui il suo unico predatore è l'uccello warfer. «La pianta del paka non si può riprodurre da sola. Il guscio del suo seme è duro come l'acciaio, forse per proteggere l'interno dal veleno. Se il guscio non si apre la pianta non può germogliare. «Solo la magia può farla germogliare.» Zedd socchiuse gli occhi e cominciò a muovere le dita in aria. Kahlan ricordava quando da bambina aveva ascoltato la storia della falena truffatrice sulle ginocchia di un mago nel Mastio. Era stato uno di quei racconti che l'avevano colmata di meraviglia. «Nelle ali della falena truffatrice c'è una polvere magica in grado di far aprire il guscio del seme. Quando il warfer mangia uno di quegli insetti, la polvere delle ali entra in contatto con i semi di paka contenuti nelle bacche che il volatile ha mangiato e fa aprire il guscio. Il guano di quegli uccelli nutre il seme di paka, ma senza la singolare magia della falena, quella pianta non potrebbe mai germogliare. «Appena la pianta del paka mette le prime foglie, la falena vi deposita sopra le larve che cominciano a mangiare prima di tessere il bozzolo e trasformarsi in falene adulte.» «Se ho capito bene» disse Richard «se la magia dovesse sparire... allora, cosa stai cercando di dirmi? Che anche una creatura piccola come la falena non avrebbe più la sua magia provocando la scomparsa del paka. Il warfer morirebbe di fame e la falena non avrebbe più il luogo adatto sul quale depositare la sua larva estinguendosi in poco tempo?» «Pensaci bene» sussurrò il mago. «Cos'altro succederebbe?» «Se le piante del paka dovessero scomparire non ci sarebbe più nulla che filtra il veleno e le acque che fluiscono dalla valle del Nareef diventerebbero velenose.» «Perfetto, ragazzo. L'acqua diventerebbe velenosa uccidendo gli animali della valle sottostante. Morirebbero i cervi, i procioni, i porcospini, i topi di campagna, i gufi e gli uccelli. Morirebbero anche tutti gli animali spazzini come i lupi, i coyote e gli avvoltoi. Ogni forma di vita sarebbe inesorabilmente condannata alla scomparsa.» Il mago alzò un dito. «Anche i vermi.» «Anche le mandrie verrebbero contaminate dal veleno» continuò Richard. «Per non parlare dei raccolti irrigati con le acque avvelenate del Dammar. Sarebbe un disastro senza precedenti per la gente e gli animali che abitano la valle del Nareef.» «Prova a pensare cosa succederebbe con la carne venduta prima che qualcuno si accorga dell'inquinamento» suggerì Ann. «O con i raccolti» aggiunse Kahlan. «Pensa a tutte le conseguenze» terminò Zedd. Richard lasciò che il suo sguardo vagasse sui volti dei presenti. «Il Dammar è un affluente del Drun. Se le acque del Dammar fossero avvelenate ben presto contaminerebbero anche quelle del corso d'acqua principale.» Zedd annuì. «Il Drun attraversa il regno di Toscla. Il Nareef e Toscla vivono praticamente in simbiosi, sono la pulce e il cane. Nel Toscla vengono prodotte grandissime quantità di grano e altre messi che vengono vendute in tutte le Terre Centrali.» Zedd aveva vissuto nelle Terre Centrali per tantissimo tempo. Toscla era il nome antico di un regno che si trovava a sud-ovest delle praterie e, simile a un grande mare, era isolato dal resto della confederazione. L'etnia dominante di quelle terre erano gli Anders, un popolo che aveva cambiato più volte il proprio nome e quello della terra che abitavano. Quello che Zedd conosceva come Toscla era stato cambiato nell'ordine in Vengren, Vendice, Turslan e, al momento, si chiamava Anderith. «Il grano avvelenato sarebbe venduto fuori dai confini di quel regno con conseguenze inimmaginabili» disse Zedd. «Se la gente di Toscla dovesse scoprirlo in tempo non potrebbe vendere più i suoi prodotti. Le mandrie morirebbero come anche i pesci che prosperano nelle acque costiere in prossimità della foce del Drun. Il veleno distruggerebbe i raccolti, il futuro e le speranze di quel popolo. «Con le mandrie e i pesci avvelenati e senza i raccolti per comprare altro cibo, la gente di Toscla morirebbe di fame. I popoli degli altri regni che si rifornivano di messi da Toscla si troverebbero in serissime difficoltà, perché non potrebbero scambiare le loro merci con il grano. La carestia fareb- be aumentare i prezzi e molte famiglie delle Terre Centrali comincerebbero ad avere dei problemi a sfamare i loro cari. «Presto comincerebbero i primi focolai di rivolta: patendo la fame e il panico avrebbe facile presa. La gente potrebbe scagliarsi contro i profughi provenienti dalle terre contaminate dal veleno. Il tutto sarebbe alimentato dalla disperazione e ogni forma di ordine rischierebbe di sparire.» «Le tue non sono predizioni, vero?» disse Richard. «Sono solo delle speculazioni. La scomparsa della magia non sarebbe un evento tanto tragico, giusto?» Zedd scrollò le spalle. «Non è mai successa una cosa simile quindi è difficile fare delle predizioni. Potrebbe anche essere che il veleno si diluisca nelle acque dei due fiumi al punto da non causare nessun danno o creare problemi solo in alcune aree ben localizzate. C'è anche l'opportunità che una volta sfociato nel mare le acque del Drun si purifichino senza intaccare la pesca. Il tutto potrebbe risolversi solo con qualche problema di lieve entità.» Kahlan osservò i capelli del mago illuminati dalla fioca luce del camino e le venne da pensare a delle fiamme bianche. Zedd fissò il nipote. «Ma» proseguì «se la magia della falena truffatrice dovesse sparire si verificherebbero una serie di eventi a catena che potrebbero portare alla fine della vita, almeno nel modo in cui noi la concepiamo.» Richard si passò una mano sul viso, mentre pensava a quali sarebbero state le conseguenze di un simile disastro per le Terre Centrali. Zedd arcuò un sopracciglio. «Cominci a capire?» Rimase zitto per una manciata di secondi durante i quali si creò un'atmosfera carica di disagio, quindi aggiunse: «E questo è solo un piccolo esempio. Ce ne sono un'infinità.» «I rintocchi vengono dal mondo dei morti e un simile sfacelo si addice alla loro natura» borbottò Richard passandosi una mano tra i capelli. «Vuoi dirmi che una delle prime forme di magia a scomparire sarebbe quella delle falene truffatrici perché è tra le più deboli?» «Chi può dire quanto sia forte la magia di quell'insetto?» Zedd allargò le mani. «Potrebbe essere il primo come l'ultimo.» «E Kahlan? Anche lei perderebbe il suo potere? Ne ha bisogno. Le serve per proteggersi.» Richard era stato la prima persona ad accettarla per quello che era e a continuare ad amarla anche quando aveva conosciuto la natura del suo potere. Era stata proprio quella determinazione che gli aveva permesso di annullare gli effetti devastanti del dono di Kahlan e vivere con lei senza che la sua magia lo distruggesse. «Balle, Richard!» imprecò Zedd. «Mi stavi ascoltando o no? Certo che anche lei perderebbe il suo potere. Si tratta di magia. Tutta la magia sparirebbe dal mondo: la sua, la mia, la tua. Ma, mentre tu e Kahlan perdereste semplicemente la vostra magia, il mondo che vi circonda morirebbe.» Richard tracciò una linea nella terra del pavimento. «La cosa non significa molto per me perché non so usare il mio dono, ma vorrebbe dire molto per tantissime altre persone. Non possiamo lasciare che succeda.» «Fortunatamente non succederà.» Zedd aggiustò le maniche con un gèsto colmo d'enfasi. «Il nostro è solo uno di quei giochi tipo 'cosa succederebbe se...' che si fanno quando piove.» Richard cinse le ginocchia con le braccia e sembrò rintanarsi nuovamente nel suo mondo. «Zedd ha ragione» confermò Ann. «Sono solo speculazioni. I rintocchi non sono in circolazione. Ora dobbiamo occuparci di Jagang.» «Se la magia dovesse sparire anche Jagang perderebbe il suo potere di tiranno dei sogni, giusto?» chiese Kahlan. «Certo» confermò Ann. «Ma non c'è alcun motivo per credere...» «Esiste un modo per fermare i rintocchi nel caso arrivassero in questo mondo? Mi avevi detto che era facile. Come si fa?» Ann e Zedd si scambiarono un'occhiata. Prima che qualcuno potesse rispondere, Richard girò la testa verso la finestra, si alzò in piedi, la raggiunse con passo deciso e scostò la tenda per guardare fuori. Il vento gli spinse in faccia la pioggia. Il temporale continuava a imperversare. «Hai una mnima idea di quello che sta pensando il ragazzo?» chiese Zedd, rivolgendosi a Kahlan. «Credo di avere degli indizi, ma non mi crederesti se ti dicessi quello che comincio a sospettare» rispose Kahlan. Richard inclinò il capo per ascoltare. Anche Kahlan si mise in ascolto, a captare qualsiasi cosa fuori dall'ordinario. L'urlò di un bambino echeggiò in lontananza. Richard scattò verso la porta. «Aspettatemi qua.» Tutti lo seguirono come se fossero una sola persona. 7 Zedd, Ann, Cara e Kahlan si lanciarono all'inseguimento di Richard. La pioggia cadeva con tanta intensità da costringere Kahlan a socchiudere gli occhi per scorgere qualcosa. L'acquazzone era così freddo da toglierle il fiato. I cacciatori apparvero vicino a loro. Stavano passando vicino a delle abitazioni formate da una sola stanza che di solito aveva una parete in comune con quella della casa vicina. Le case con tre stanze erano piuttosto rare. La disposizione delle case del villaggio non sembrava avere una logica apparente. Kahlan si stupì che Ann riuscisse a tenere il suo passo. Il corpo della Priora non sembrava adatto alla corsa. Le braccia ossute di Zedd frustavano l'aria con una cadenza regolare sincronizzata alla falcata. Le lunghe gambe di Cara le permettevano di correre a fianco di Kahlan senza alcun problema e i cacciatori li seguivano senza sforzo. Richard correva davanti a loro con il mantello al vento. Era una vista che incuteva timore. Paragonato alla corporatura bassa e snella dei cacciatori, sembrava una montagna che franava tra i vicoli. Richard seguì la strada che serpeggiava tra le case, poi scattò a destra al primo angolo. Tre capre e i bambini che si trovavano in piccoli cortili coltivati a ravizzone per le galline, trovarono la processione curiosa. Le donne osservarono la scena a bocca aperta rimanendo ferme sull'uscio delle case. Richard girò nuovamente a sinistra. Una ragazza che si trovava sotto una tettoia, vide il gruppo di persone che correvano nella sua direzione, prese il figlioletto in lacrime tra le braccia e lo spostò contro la porta della casa in modo che non fosse d'intralcio. Il ragazzino si lamentò e la madre cercò di zittirlo. Richard si fermò di colpo e il piccolo corteo che lo seguì dovette fare del suo meglio per arrestarsi senza sbattergli contro. La ragazza si spaventò alla vista di tutta quella gente che la circondava e prese in braccio il bambino. «Cosa succede?» chiese. «Cosa volete?» Richard avrebbe voluto conoscere il significato delle frasi della ragazza prima ancora che lei avesse finito di parlare. Kahlan lo raggiunse. Il ragazzino aveva il corpo segnato da graffi sanguinanti. «Abbiamo sentito le urla di tuo figlio» spiegò Kahlan allungando una mano per carezzare i capelli del bambino in lacrime. «Pensavamo che fosse in pericolo e siamo corsi in suo aiuto.» La ragazza, sollevata, mise a terra il bambino e cominciò a pulirgli i graffi con uno straccio sussurrandogli parole dolci per calmarlo. «Ungi sta bene. Vi ringrazio per la vostra preoccupazione, ma è solo un bambino e come tutti i bambini si caccia nei guai» spiegò la ragazza fissando le persone intorno a lei. Kahlan tradusse. «Cosa lo ha graffiato?» chiese Richard. «Ka chenota» rispose la donna, dopo aver sentito la domanda. «Una gallina» disse Richard, anticipando la traduzione della moglie. «È stata una gallina ad attaccare tuo figlio? Ka chenota?» La ragazza batté le palpebre stupefatta nel sentire la domanda e dopo un attimo una risata cinica echeggiò nell'aria. «Attaccato da una gallina!» Fece un gesto con le mani come se per un momento avesse pensato che si trattasse di qualcosa di serio. «Ungi pensa di essere un grande cacciatore. Dà sempre fastidio alle galline. Questa volta deve averne chiusa una contro un angolo e quella, spaventata, l'ha graffiato mentre cercava di scappare.» Richard si acquattò davanti al ragazzino e gli scompigliò i capelli. «Stavi dando la caccia alle galline, vero? Ka chenota? Le stavi importunando? Non è andata veramente così, giusto?» Kahlan non tradusse le domande del marito e si acquattò al suo fianco. «Dove vuoi arrivare?» Richard posò una mano sulla schiena del bambino per confortarlo mentre la madre gli puliva i graffi sul petto. «Guarda i segni delle zampate» sussurrò a Kahlan. «Sono quasi tutti intorno al collo.» Kahlan sospirò spazientita. «È chiaro che ha preso la gallina e l'ha stretta al petto. La bestia si è spaventata e l'ha graffiato per scappare.» Richard ammise con una certa riluttanza che la spiegazione della moglie poteva essere più che plausibile. «Non è nulla di grave» affermò Zedd. «Curo il ragazzo e dopo torniamo al coperto per mangiare qualcosa. Devo farvi ancora un mucchio di domande.» Richard alzò un dito per zittire il nonno, dopodiché fissò la sua amata dritta negli occhi. «Chiediglielo, per favore.» «Dimmi il motivo» insisté Kahlan. «È per quello che hai sentito dire dall'Uomo Uccello, vero? Tutto questo sta succedendo a causa sua, o mi sbaglio? Quell'uomo era ubriaco, Richard.» «Guarda dietro di me.» Kahlan ubbidì e scorse una gallina intenta a lisciarsi le piume striate sot- to la pioggia battente. Quella era la razza più comune tra il Popolo del Fango. Kahlan era bagnata, aveva freddo e sapeva di avere un aspetto pietoso. Stava cominciando a perdere la pazienza. «Volevi farmi vedere una gallina che sta sotto la pioggia? Tutto qua?» «So che pensi...» «Ascoltami bene, Richard!» ringhiò Kahlan sottovoce. Si guardò intorno, non voleva litigare con il suo uomo. Si disse che lui era solo preoccupato per la loro sicurezza, ma che forse stava esagerando. Gli mise una mano sulla spalla massaggiandogliela con un pollice. «Richard, sei ancora sconvolto dalla morte di Juni. Anch'io lo sono. Ma non dobbiamo ingigantire l'evento. Forse il ragazzo è morto per via della corsa: ho sentito dire che è successo a più di un giovane. Tu stesso hai detto che a volte la gente muore senza che ci sia una causa apparente.» Richard diede un'occhiata agli altri componenti del gruppo. Zedd e Ann erano intenti ad ammirare i muscoli del ragazzino in modo da non sembrare che stessero origliando quello che aveva tutta l'aria di un battibecco tra sposi novelli. Cara era nelle vicinanze intenta a scrutare i vicoli circostanti e uno dei cacciatori aveva dato il permesso a Ungi di toccare l'asta della lancia in modo che si distraesse mentre la madre lo accudiva. Richard si passò una mano tra i capelli. Non aveva voglia di discutere. «Credo che sia la stessa gallina che ho cacciato» le sussurrò. «Quella sulla finestra che ho colpito con il bastone.» Kahlan sospirò, esasperata. «Richard, le galline del Popolo del Fango sono quasi tutte uguali.» Tornò a guardarsi dietro le spalle. «Senza contare che è sparita.» Richard guardò oltre una spalla per controllare di persona. «Chiedi al ragazzo se stava dando la caccia alle galline, per favore?» La madre di Ungi continuava a occuparsi del figlio prestando orecchio alla conversazione che si svolgeva davanti a lei anche se non capiva cosa si stessero dicendo. Kahlan leccò la pioggia sulle labbra e decise che avrebbe esaudito la richiesta del marito. «È vero che stavi dando la caccia alle galline, Ungi!» gli chiese, posando una mano sul braccio. «Hai cercato di prenderne una?» Il ragazzino, che stava tirando su con il naso per bloccare le ultime lacrime, scosse la testa e indicò il tetto. «Mi è saltata addosso.» Imitò il turbinio degli artigli con le mani. «Mi ha attaccato.» La madre gli diede uno sculaccione. «Di' la verità. Tu e i tuoi amici non fate altro che dare la caccia alle galline.» I grandi occhi del bambino si concentrarono su Richard e Kahlan. «Io diventerò un cacciatore bravo come mio padre. È un cacciatore coraggioso con le cicatrici degli animali che ha ucciso.» Richard ascoltò la traduzione, sorrise e toccò con delicatezza uno dei tagli. «Anche tu hai le cicatrici come tuo padre. Allora, è vero quello che dice tua madre? Stavi dando fastidio alle galline?» «Stavo tornando a casa perché avevo fame e la gallina mi ha dato la caccia» insisté. La madre pronunciò il nome del figlio in tono ammonitore. «...Le galline stanne sempre là sopra.» Indicò la tettoia sopra la porta «Forse l'ho spaventata perché stavo correndo, lei è scivolata e mi è caduta addosso.» La madre aprì la porta e fece entrare il ragazzino. «Vi prego di perdonarlo. È giovane e non fa altro che inventare storie in continuazione. Non smette mai di dare la caccia alle galline. Non è la prima volta che si fa graffiare. Una volta un gallo gli ha graffiato la spalla. Lui crede che siano aquile. «Ungi è un bravo bambino, ma come tutti i bambini della sua età ha molta fantasia. Quando trova una salamandra sotto una pietra corre a casa per dirmi che ha trovato il nido di un drago e dice a suo padre di andarlo a uccidere altrimenti ci mangerà tutti.» Tutti sorrisero tranne Richard che prese Kahlan per un braccio e le disse: «Dille che mi dispiace per il ragazzino. Non è colpa di Ungi. Diglielo.» Kahlan aggrottò la fronte e tradusse le parole di Richard cambiandole leggermente al fine di evitare che venissero fraintese. «Ci dispiace che Ungi si sia ferito. Speriamo che si rimetta in fretta. Se la guarigione dovesse prolungarsi vieni a chiamarci e Zedd userà la sua magia per curare tuo figlio.» La madre sorrise, li ringraziò e rientrò in casa. Kahlan era sicura che la ragazza non fosse così ansiosa di sottoporre suo figlio alle arti magiche. Kahlan attese che la porta si fosse chiusa del tutto, quindi strinse la mano di Richard. «Va tutto bene? Sei soddisfatto? Non era quello che pensavi? Non è successo nulla?» Richard fissò ancora per un istante lo stretto vicolo. «Io credevo...» Fece un sorriso contrito. «Mi preoccupavo solo della tua sicurezza, ecco tutto.» Zedd gli fece cenno di tornare indietro e fare in fretta. Mentre Richard si incamminava, Zedd prese sottobraccio Kahlan e si fece distanziare dal resto del gruppo. Zedd le cinse le spalle con un braccio e si avvicinò ulteriormente per essere sicuro di essere udito. «Adesso, figliola, vorrei sapere cosa pensi che io non sia disposto a credere.» Kahlan lo fissò di sottecchi: era il nonno di suo marito e stava parlando seriamente, perciò decise che era meglio placare le sue preoccupazioni. «Non è niente. Gli era venuta in mente un'idea balzana, ma io l'ho fatto ragionare. È finita.» Zedd la fissò socchiudendo gli occhi, trasformandosi in una visione alquanto sconcertante. «So che non sei tanto stupida da credere a quello che hai detto, perché credi che io lo sia? Hmm? Non ha ancora sputato il rospo e ci impiegherà un po' di tempo per farlo.» Kahlan controllò dove si trovasse il gruppo. Era a qualche passo di distanza, e nonostante fosse Richard il capo, era Cara che camminava davanti a tutti. Non riusciva a capire le parole, ma era chiaro che Ann stava chiacchierando allegramente con Zedd. Anche se a volte davano l'impressione di stuzzicarsi a vicenda, Zedd e Ann erano in grado di lavorare insieme in perfetta armonia. Zedd aumentò la stretta intorno al braccio di Kahlan. Richard non era l'unico che doveva sputare un rospo. «Richard crede che ci sia una gallina-mostro in libertà.» Kahlan si coprì il naso e la bocca per cercare di schermarsi dalla puzza, ma dovette abbassare entrambe la mani quando le donne smisero di lavorare e sorrisero per salutare il piccolo gruppo di persone grondanti d'acqua che erano appena arrivate. Le due donne avevano appena finito di comporre il corpo di Juni decorandolo con disegni bianchi e neri fatti con il fango. I polsi, le caviglie e la testa erano cinti da cerchi d'erba come se il giovane dovesse andare a caccia. Juni era sdraiato su una delle quattro piattaforme chiazzate da macchie scure che si trovavano all'interno dell'edificio. Il pavimento era coperto da uno strato di paglia marcia e puzzolente che era stata ammucchiata contro la piattaforma per assorbire le perdita di fluidi del cadavere. La paglia era piena di parassiti. Quando non c'era nessun morto, la porta era lasciata aperta in modo che le galline ripulissero la stanza dagli insetti. Quando c'era un morto, l'unica finestra dell'edificio veniva chiusa con un pezzo di pelle di daino in modo che la luce non arrecasse disturbo. Le donne l'avevano spostata assicurandola al muro con un piolo per avere un po' di luce per lavorare. I corpi non venivano composti di notte per non disturbare il viaggio dell'anima nell'aldilà. Il Popolo del Fango nutriva un forte rispetto per i morti; un giorno forse avrebbero avuto bisogno dell'aiuto degli spiriti dei loro cari. Entrambe le donne erano anziane e sorridevano come se la loro natura solare non potesse venire oscurata dal lavoro sinistro che compivano. Kahlan suppose che fossero delle specialiste nel comporre i morti prima della sepoltura. Gli olii profumati spalmati sopra lo strato di fango che ricopriva la pelle di Juni brillavano a contatto con la luce, ma il loro aroma non riusciva a coprire il puzzo della paglia e delle piattaforme. Kahlan si chiese come mai non cambiassero la paglia più sovente, poi si rese conto che forse lo facevano, solo che non c'era possibilità di arrestare il processo di decadimento di un corpo. Probabilmente era proprio per quel motivo che i morti venivano seppelliti il giorno stesso del decesso o, al più tardi, il giorno dopo. Juni non avrebbe dovuto attendere ancora a lungo prima di essere calato nella sua fossa. A quel punto il suo spirito, vedendo che tutto era andato come doveva, poteva tranquillamente recarsi nel mondo degli spiriti. Kahlan si avvicinò alle due donne. «Zedd e Ann» esordì indicando il mago e l'incantatrice «avrebbero piacere di esaminare il corpo di Juni.» Aveva sussurrato in segno di rispetto per il morto. Le due donne fecero un profondo inchino e spostarono le brocche dove tenevano il fango bianco e nero. Richard osservò suo nonno e la Priora che sfioravano appena il corpo del giovane cacciatore, era molto probabile che stessero usando la magia. Nel frattempo, Kahlan si rivolse alle due donne facendo loro i complimenti per il modo in cui avevano composto il corpo cogliendo anche l'occasione per esprimere il suo dispiacere per la morte del ragazzo. Stanco di osservare il cadavere di quella che era stata una sua guardia del corpo, Richard si avvicinò alla moglie cingendole la vita con un braccio e le chiese di porgere le condoglianze per lui. Dopo qualche minuto Zedd e Ann terminarono il loro esame, richiamarono l'attenzione di Kahlan e Richard e sorrisero alle due donne affinché potessero tornare al loro lavoro. «Avevi ragione» sussurrò Zedd. «Il collo è integro e non ho trovato ferite alla testa. Direi che è annegato.» «E come pensi che sia successo?» La voce di Richard era venata da un certo sarcasmo. Zedd gli appoggiò una mano sulla spalla. «Ti ricordi di quella volta che sei svenuto per un malore improvviso? Sei caduto a terra come un sacco di patate. Ricordi? Potrebbe essere successa la stessa cosa.» «Ma Juni non dava segni di...» Nissel entrò nella casa portando tra le braccia un piccolo fagotto e tutti si girarono. La guaritrice si fermò un attimo, interdetta alla vista di tutte quelle persone dentro la stanza, quindi si avvicinò a una delle piattaforme dove posò il fagotto. Kahlan si portò una mano al cuore quando vide Nissel scoprire il corpo del neonato. «Cosa è successo?» le domandò. «Il bambino è nato morto» spiegò la guaritrice con gli occhi colmi di dolore. «Dolci spiriti» sussurrò Kahlan. «Mi dispiace tanto.» Richard scacciò un insetto verde dalla spalla della moglie. «Cosa è successo al bambino?» Nissel ascoltò la traduzione e scrollò le spalle. «Ho seguito la madre per mesi e tutto sembrava a posto. Non avevo previsto alcun problema, ma il bambino era morto quando è uscito dalla pancia.» «Come sta la madre?» Nissel abbassò lo sguardo. «È distrutta e piange, ma presto si riprenderà.» La guaritrice si sforzò di sorridere. «Succede. A volte i bambini non sono tutti forti. Comunque la donna potrà averne altri.» «Cosa ha detto?» chiese Richard, ritenendo che la conversazione fosse finita. Kahlan batté un paio di volte il piede per terra per far cadere il millepiedi che le stava salendo sulla gamba. «Il bambino non era abbastanza forte ed è nato morto.» Richard aggrottò la fronte e fissò il corpo del neonato. «Non era abbastanza forte...» Kahlan lo osservò guardare la piccola forma immobile ed esangue. Un bambino appena nato era qualcosa di bellissimo ma, senza l'anima che la madre gli aveva fornito per rimanere al mondo, era una visione agghiacciante. Kahlan chiese quando era previsto il funerale di Juni. Una delle due donne guardò il piccolo morto. «Dovremo preparare un altro morto. Li seppelliremo tutti e due domani.» Mentre stavano per uscire sotto la pioggia battente, Richard si girò e vide una gallina con le penne arruffate dall'acqua appollaiata sulla grondaia. In quel momento gli fu tutto chiaro. Richard sbirciò il passaggio, fischiò e fece cenno ai cacciatori della scorta di avvicinarsi, quindi si girò verso Kahlan afferrandola per un braccio. «Di' loro di chiamare altri uomini. Voglio che radunino tutte le galline...» «Cosa?» Kahlan si liberò dalla presa. «Non gli dirò una cosa simile, altrimenti penseranno che sei impazzito!» «Cosa succede?» s'intromise Zedd. «Vuole che tutte le galline siano radunate solo perché una di loro è appollaiata sopra la porta.» «Non c'era quando siamo arrivati, ho guardato.» Zedd si girò a controllare. «Quale gallina?» «Probabilmente è andata a cercare un posto più asciutto e tranquillo» commentò Kahlan. Zedd si asciugò le lacrime dagli occhi. «Cosa ti passa per la testa, Richard?» «Una gallina è stata uccisa fuori dalla casa degli spiriti e Juni ha sputato sull'onore della creatura che l'aveva uccisa. Poco dopo Juni è morto. Io ho tirato un bastone alla gallina sul davanzale e poco dopo un bambino viene aggredito. È colpa mia se Ungi è stato ferito. Non ripeterò lo stesso errore due volte.» Zedd parlò con calma, lasciando di stucco Kahlan. «Richard stai cercando di costruire un ponte su un abisso con la piuma di un'oca.» «L'Uomo Uccello ha detto che una delle galline non era una gallina.» Zedd aggrottò la fronte. «Davvero?» «Aveva bevuto» fece notare Kahlan. «Sei stato tu a nominarmi Cercatore, Zedd. Se vuoi ripensarci allora fallo adesso, altrimenti lasciami lavorare. Se mi sbaglio, dopo potrai farmi una bella lavata di capo.» Richard interpretò il silenzio di Zedd come un assenso e si rivolse nuovamente a sua moglie. «Per favore, Kahlan, fa' quello che ti ho chiesto. Se mi dovessi sbagliare farò la figura del pazzo, ma è meglio passare per pazzi che per savi se questo significa non agire.» Qualsiasi cosa avesse ucciso la gallina l'aveva fatto fuori dalla casa degli spiriti, proprio dove si trovava anche Kahlan. Era stato proprio quel fatto che aveva insospettito Richard, ma tali sospetti erano stati messi in secon- do piano dal bisogno di proteggere la sua amata. «Cosa dovrei dire agli uomini?» «Voglio che radunino tutte le galline in una delle case riservate agli spiriti malvagi. Voglio che siano rinchiuse là dentro fino all'ultima. Poi diremo all'Uomo Uccello di indicarci qual è la gallina che non è una gallina. «Voglio che gli uomini siano gentili e cortesi con le galline. Non devono mancare loro di rispetto per nessun motivo.» «Non mancare di rispetto a una gallina» ripeté Kahlan esterrefatta. «Proprio così» Richard lanciò una rapida occhiata ai cacciatori che aspettavano ordini. «Di' loro che ho paura che una di quelle galline sia posseduta dallo spirito malvagio che ha ucciso Juni.» Kahlan non sapeva se Richard credeva veramente a quello che aveva detto, ma era certa che il Popolo del Fango avrebbe prestato la massima attenzione al quel genere di argomenti. Lanciò un'occhiata a Zedd in cerca d'aiuto, ma non ne trovò. La stessa cosa successe con Ann. Cara aveva votato la propria vita alla protezione di Richard e sebbene non eseguisse mai gli ordini che pensava fossero inutili, avrebbe scalato una montagna senza battere ciglio se lui glielo avesse chiesto. Richard non si sarebbe dato per vinto, se Kahlan non avesse tradotto lui sarebbe andato a trovare Chandalen e se anche lui non l'avesse aiutato avrebbe radunato le galline da solo. Se non avesse fatto nulla per lui, avrebbe solo dimostrato la sua mancanza di fiducia e quello la persuase. Kahlan lo fissò per un ultima volta, quindi si girò verso i cacciatori. 8 «Avete già trovato lo spirito malvagio?» Kahlan si girò e vide Chandalen che si faceva strada con molta cautela in mezzo alle galline. Il cambiamento di luce aiutò a calmare le bestie anche se continuavano a fare chiasso. All'interno della casa erano state radunate le galline di razza Rossa e quelle chiamate Roccia Striata. Queste ultime erano la varietà più comune nel villaggio e, fortunatamente, erano molto docili, altrimenti in quella stanza sarebbe scoppiato il caos nel volgere di un attimo. Kahlan alzò gli occhi al cielo esasperata nel sentire Chandalen che borbottava delle scuse ridicole ai pennuti che spostava con i piedi. In un altro momento avrebbe riso di quello strano comportamento, ma la vista del lungo coltello che gli pendeva al fianco sinistro, di quello corto sul destro, di una faretra piena di frecce dietro una spalla e dell'arco sull'altra, la indussero a cambiare idea. L'arma più inquietante dell'arsenale di Chandalen era la troga che gli pendeva dal fianco. La troga era un filo con due manici applicati agli estremi che veniva avvolta intorno al collo della vittima e, se chi la maneggiava era abbastanza forte, era in grado di decapitarla. Un cacciatore con l'esperienza di Chandalen poteva tranquillamente scivolare alle spalle di un uomo senza farsi sentire, avvolgergli la troga intorno alla gola e ucciderlo prima che questi potesse emettere un suono. Durante la guerriglia condotta ai danni dell'esercito dell'Ordine Imperiale che aveva massacrato la popolazione di Ebinissia, Kahlan aveva visto più di una volta Chandalen decapitare le sentinelle del campo nemico con quell'arma. Il capo dei cacciatori non avrebbe portato con sé la troga per fronteggiare lo spirito malvagio che possedeva la gallina. Chandalen stringeva in una delle mani cinque lance. Le punte, affilate come rasoi, avevano un colore scuro, chiaro segno che dovevano essere state intinte da poco nel veleno. Dentro una delle piccole scatole di legno che il cacciatore portava al fianco c'era il micidiale veleno dei dieci passi, una pasta scura frutto della masticazione delle foglie di bandu. In un'altra scatola c'erano alcune foglie di quassin doe, l'antidoto che, come suggeriva il nome del veleno, doveva essere assunto con una certa celerità. «No» disse Kahlan «l'Uomo Uccello non ha ancora trovato la gallina che non è una gallina. Perché ti sei dipinto con il fango e hai tutte quelle armi? Cosa succede?» Chandalen alzò un piede per evitare una gallina che sembrava non avere voglia di spostarsi. «Gli uomini che pattugliano i confini delle nostre terre hanno avuto dei problemi e devo andare a controllare.» «Problemi?» Kahlan aprì le braccia. «Che genere di problemi?» Chandalen scrollò le spalle. «Non ne sono sicuro, ma il messaggero mi ha detto che ci sono degli uomini armati di spade...» «L'Ordine? Potrebbero essere degli sbandati sfuggiti alla battaglia combattuta a nord, o forse sono esploratori. Potremmo provare a contattare il generale Reibisch. Il suo esercito dovrebbe essere ancora abbastanza vicino per neutralizzarli.» Chandalen alzò una mano per calmarla. «No, non sono i nemici. Ho im- parato a conoscerli. I miei uomini non pensano che siano ostili, ma sono armati fino ai denti e quando si sono avvicinati essi sono rimasti molto calmi e questo la dice molto lunga sul genere di persone che potrebbero essere. I miei uomini hanno chiesto il mio intervento per trattare. Gli stranieri parlano la tua lingua e io sono l'unico a conoscerla. Devono essere degli individui pericolosi.» «Forse è meglio che veniamo anche io e Richard» si offrì Kahlan cominciando ad alzare un braccio per attirare l'attenzione del marito. «No. È piuttosto normale che incontriamo dei viaggiatori nelle praterie. Il mio dovere è quello di farli rimanere lontani dal villaggio. Inoltre questo è il vostro primo giorno come marito e moglie. Godetevelo.» Kahlan non disse nulla e fulminò con un'occhiata Richard che continuava a camminare tra le galline. «Onorevole anziano» disse Chandalen, rivolgendosi all'Uomo Uccello. «Devo andare, sono arrivati degli stranieri.» Il capo del villaggio fissò l'uomo che in certo senso aveva le stesse funzioni di un generale e disse: «Stai attento. Ci sono degli spiriti malvagi in circolazione.» Chandalen fece per andarsene, ma Kahlan lo trattenne. «Non so se si tratta di spiriti malvagi, ma Richard è preoccupato e anche se non ne conosco il motivo, io mi fido del suo istinto. Stai attento.» «Io e te abbiamo combattuto insieme, Madre Depositaria» la rassicurò Chandalen facendo l'occhiolino. «Sai che sono troppo furbo e forte anche per i guai peggiori.» «Hai visto qualcosa di... sospetto?» domandò Kahlan all'Uomo Uccello, continuando a osservare Chandalen che si allontanava. «Non ho ancora visto la gallina che non è una gallina» ammise l'anziano «ma continuerò a cercare finché non la trovo.» Kahlan cominciò a pensare a un modo educato per chiedere all'Uomo Uccello se era sobrio, ma decise di porre un'altra domanda. «Come fai a dire che una gallina non è una gallina?» Il volto rugoso e bruciato dal sole dell'anziano assunse un'espressione pensierosa. «È qualcosa che avverto.» Kahlan decise di essere schietta. «Forse hai esagerato a bere durante i festeggiamenti e hai pensato di avvertire qualcosa di strano.» L'Uomo Uccello sorrise. «O forse il liquore mi ha rilassato permettendomi di percepire meglio le cose.» «Adesso sei ancora... rilassato?» L'Uomo Uccello incrociò le braccia e fissò le galline. «So quello che ho visto.» «Come fai a dire che non era una gallina?» L'anziano si passò un dito sul naso e pensò alla risposta. Kahlan riprese a fissare il marito che vagava tra le galline come se stesse cercando un cucciolo smarrito. «Durante le feste come quella per il vostro matrimonio» esordì l'Uomo Uccello dopo qualche secondo «gli uomini raccontano la storia della nostra gente attraverso le danze. Solo gli uomini possono farlo, ma come avrai notato, in molte storie ci sono anche dei personaggi femminili.» «Ieri ho visto i danzatori che raccontavano la stona del primo Uomo del Fango: erano rappresentati i nostri primi due antenati, nostro padre e nostra madre.» L'Uomo Uccello sorrise nel sentire menzionare quella storia. Era un racconto che gli stava molto a cuore e che lo riempiva d'orgoglio. «Se tu fossi arrivata da noi durante la danza e senza sapere nulla della nostra gente, saresti stata in grado di capire chi era il danzatore che raffigurava la madre del nostro popolo!» Kahlan rifletté per qualche attimo. Le danze erano l'unica occasione in cui il Popolo del Fango sfoggiava dei costumi elaborati. Quella gente osservava i propri danzatori con un'espressione colma di timore reverenziale. I danzatori che dovevano impersonare le donne indossavano dei costumi lunghi. «Non ne sono sicura, ma credo che sarei riuscita a capire che non erano delle donne.» «In che modo l'avresti capito? Come potevi esserne sicura?» «Non credo poterlo spiegare. È come se ci fosse qualcosa fuori posto. Penso che mi sarei accorta che non era una donna guardandolo.» L'Uomo Uccello la fissò. «Allo stesso modo io so che una di quelle bestie non è una gallina.» Kahlan intrecciò le dita. «Forse dopo una buona dormita riuscirai a vedere una gallina e basta.» L'anziano sorrise, divertito dalla mancanza di fiducia della donna al suo fianco. «Dovresti andare a mangiare. Chiama tuo marito. Se trovo quello che cerchiamo vi manderò a chiamare.» Era una buona idea. Kahlan vide Richard che si dirigeva verso di lei e strinse la mano dell'Uomo Uccello per esprimere la sua riconoscenza. Avevano impiegato tutto il pomeriggio per radunare le galline che ora occupavano i due edifici riservati agli spiriti malvagi e una casa vuota. Quasi tutto il villaggio aveva partecipato all'operazione di raccolta. Era stato un lavoro duro. I bambini avevano giocato un ruolo importantissimo. Mossi dal senso di responsabilità, avevano rivelato tutti i luoghi in cui le galline erano solite nascondersi. I cacciatori avevano radunato i pennuti con molta cautela, con particolare cura per le Rocce Striate perché era quella la razza sulla quale si concentravano i sospetti di Richard e dell'Uomo Uccello. I cacciatori avevano cercato in ogni angolo del villaggio ed erano sicuri di aver radunato tutte le galline. Richard sorrise all'Uomo Uccello per salutarlo, ma i suoi occhi avevano un'espressione tutt'altro che serena. Kahlan lo prese sottobraccio contenta di poter stare vicina al marito. «L'Uomo Uccello dice che non ha ancora trovato la gallina che state cercando. Ci sono altre due case piene ancora da controllare. Ci ha suggerito di andare a mangiare. Ha detto che ci manderà a chiamare appena troverà quello che cercate.» Richard si diresse verso la porta. «Non è qua.» «Come fai a dirlo?» «Devo controllare quelle nelle altre due case.» Se Kahlan cominciava ad agitarsi, Richard sembrava frenetico. Lei sospettava che il marito temesse di essersi sbagliato. Ormai era in gioco la sua parola. Ann e Zedd osservavano la scena in piedi vicino alla porta. Richard si fermò e si passò una mano tra i capelli. «Conoscete un libro intitolato I gemelli della montagna?» Zedd alzò il mento e fissò le galline radunate nella casa. «No, ragazzo mio.» «Neanch'io ne ho mai sentito parlare» disse Ann, dopo aver riflettuto qualche attimo durante il quale era parso che stesse consultando una sorta di archivio mentale. «Perché ti interessa quel libro, ragazzo mio?» gli domandò il nonno grattandosi il mento. Nessuno dei presenti riuscì a capire se Richard aveva sentito le risposte malgrado il forte rumore di fondo prodotto dalle galline. «Devo andare a controllare quelle nelle altre due case» disse lui. «Posso chiedere a Verna e Warren se è così importante.» Ann prese un libretto da una tasca. «Warren dovrebbe conoscerlo.» Richard aveva spiegato a Kahlan che il libretto della Priora era permeato da una magia che lo rendeva particolare. Quello che veniva scritto sulle sue pagine appariva immediatamente sui fogli del suo gemello. Le Sorelle della Luce usavano quei libretti per comunicare con il Palazzo dei Profeti quando partivano per i loro lunghi viaggi in cerca delle persone con il dono. «Sì!» Richard si illuminò a quella proposta. «È importante.» Tornò a dirigersi verso la porta. «Devo andare.» «Sto andando a controllare la donna che ha perso il bambino» disse Zedd, rivolgendosi ad Ann. «Vieni a darmi una mano.» «Non hai fame, Richard?» Il marito le aveva fatto cenno di cominciare a incamminarsi per poi sparire dentro la seconda casa prima ancora che lei potesse finire la frase. Zedd guardò le due donne, scrollò le spalle e seguì il nipote. Kahlan emise una sorta di ringhio, fece per seguire Richard, ma Ann le rivolse la parola. «Il fatto di riuscire a sposarti per amore deve essere stato come una fiaba che diventava realtà per te» commentò la Priora rimanendo ferma nel punto in cui aveva passato l'ultima ora. Kahlan si girò verso di lei. «Sì.» Sulle labbra di Ann apparve un sorriso sincero. «Hai un marito che ti ama. Sono così contenta per te, figliola.» Kahlan non abbassò la maniglia della porta. «Anch'io riesco a stento a crederci.» «Deve essere sconcertante vedere il proprio marito che si occupa di cose che ritiene più importanti della propria moglie. Specialmente se lo fa durante il primo giorno di matrimonio.» «Adesso ho capito» disse Kahlan, intrecciando le mani dietro la schiena. «Zedd ci ha lasciate sole perché potessimo fare una cosiddetta chiacchierata da donna a donna, giusto?» Ann rise di gusto. «Sono molto contenta quando gli uomini che rispetto sì sposano con delle donne in gamba. L'attrazione che un uomo prova nei confronti dell'intelligenza è uno dei migliori parametri per valutarne il carattere.» Kahlan sospirò e si appoggiò al muro. «Conosco Richard e so che non mi sta provocando deliberatamente... ma questo è il nostro primo giorno di matrimonio. Avrei voluto qualcosa di diverso da questa... caccia a una gallina-mostro che non esiste. A volte penso che il suo istinto di protezione nei miei confronti sia così spiccato da indurlo a inventarsi i guai.» «Richard ti ama molto. Anche se non capisco perché so che è preoccupato. Richard ha delle grandi responsabilità e tutti noi dobbiamo fare dei sacrifici per aiutarlo.» Ann fece finta di fissare le galline. «Io consegnai Richard alle tue Sorelle della Luce proprio in questo villaggio poco prima che cominciasse la stagione della neve, nella speranza che potessero salvargli la vita» disse Kahlan in tono piatto. «Non sapevo se l'avrei più rivisto. Ho dovuto fare in modo che lui pensasse di essere stato tradito dalla sottoscritta perché andasse con le tue consorelle. Hai la minima idea di quello che...» Kahlan si bloccò per non rivangare un passato alquanto doloroso. Tutto si era risolto per il meglio. Lei e Richard erano insieme e quello solo contava. «Lo so» sussurrò Ann. «Non mi devi dimostrare nulla, ma, visto che sono stata io a dare l'ordine di prendere Richard, forse sono io quella che ti deve dimostrare qualcosa.» La Priora aveva capito immediatamente il concetto che la Madre Depositaria aveva sottolineato. «Cosa vuoi dire?» chiese Kahlan, cercando di non sbottare. «Moltissimi secoli fa i maghi costruirono il Palazzo dei Profeti e io ho vissuto sotto l'influsso dell'incantesimo che permeava quel luogo per più di nove secoli. Fu proprio in quel palazzo, cinquecento anni prima che accadesse, che Nathan, il Profeta, predisse la nascita di un mago guerriero. «Io e il Profeta lavorammo insieme studiando i libri delle profezie custoditi nei sotterranei del palazzo cercando di capire la funzione di quel sasso che doveva ancora essere gettato nello stagno e quali sarebbero state le conseguenze di quell'evento.» Kahlan incrociò le braccia. «A giudicare dalla mia esperienza al riguardo, direi che il più delle volte le profezie tendono a creare più confusione che chiarezza.» Ann ridacchiò. «Ho avuto a che fare con Sorelle che sono centinaia di anni più vecchie di te ma che devono ancora giungere a questa conclusione. «Quando nacque Richard io andai a trovarlo» continuò Ann in tono nuovamente serio. «Era una nuova anima che aveva preso a brillare nel mondo. La madre era stupefatta e contenta al tempo stesso che dal gesto vile e brutale che Darken Rahl aveva perpetrato ai suoi danni le fosse arrivato un dono così bello. Era una donna notevole che non trasmise la sua amarezza e il suo risentimento al figlio. Era così orgogliosa di Richard. Così piena di speranze e sogni per lui. «Richard era ancora un neonato che succhiava il latte dal seno materno, quando io e Nathan aiutammo il suo patrigno a prendere il Libro delle Ombre Importanti, in modo che, una volta cresciuto, Richard avesse gli strumenti per sconfiggere l'uomo che aveva stuprato sua madre.» Ann le lanciò un'occhiata con un sorrisetto sulle labbra. «Profezie...» «Richard mi ha raccontato tutto.» Kahlan tornò a concentrarsi sull'Uomo Uccello che scrutava le galline intente a razzolare. «Richard è colui che doveva venire: il mago guerriero. Le profezie non dicono quale sarà l'esito della guerra, ma sono molto chiare riguardo al fatto che Richard è colui che dovrà mantenere la Grazia integra. Una simile impresa a volte può richiedere una grande forza spirituale.» «Perché? Non era lui quello che aspettavate... quello che volevate?» Ann si schiarì la gola. Per un attimo sembrò che la Priora si stesse concentrando e Kahlan pensò di vedere gli occhi della donna che si riempivano di lacrime. «Richard ha distrutto il Palazzo dei Profeti. Così facendo ha permesso la fuga di Nathan. Il Profeta è un uomo molto pericoloso. È stato lui che ti ha detto il nome deh rintocchi. Un gesto tanto avventato avrebbe potuto segnare la nostra fine.» «Ha salvato la vita di Richard» le fece notare Kahlan. «Se Nathan non mi avesse detto i nomi di quelle creature, Richard sarebbe morto. A questo punto il vostro sasso sarebbe finito in fondo allo stagno... impossibile da recuperare e di nessun aiuto.» «È vero» ammise Ann. Kahlan sembrò percepire una certa dose di riluttanza nell'assenso della Priora. Kahlan prese a giocherellare con un bottone della maglia mentre cercava di prendere in esame la questione dal punto di vista di Ann. «Deve essere stato duro vedere Richard che distruggeva la tua casa.» «Insieme al palazzo ha distrutto anche l'incantesimo e da quel momento in poi le Sorelle della Luce hanno ripreso a invecchiare come tutti. Se fossi rimasta a palazzo molto probabilmente sarei vissuta ancora un centinaio d'anni. Lo stesso vale per le altre Sorelle. Adesso non sono altro che una vecchia alla fine dei suoi giorni. Richard ha privato me e le mie consorelle di quegli ultimi cent'anni.» Kahlan rimase zitta. Non sapeva cosa dire. «Il futuro di tutti noi dipende da lui» disse Ann dopo qualche attimo di silenzio. «Dobbiamo ficcarcelo bene in testa e dare a questa realtà la priorità su tutto il resto. Ecco perché l'ho aiutato a distruggere il palazzo. Ecco perché seguo un uomo che in apparenza ha distrutto il lavoro di tutta la mia vita: il vero scopo della mia vita è aiutare quell'uomo nella sua lotta e non seguire i miei limitati interessi.» Kahlan agganciò una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Parli di Richard come se fosse uno strumento appena forgiato a tuo uso e consumo. Lui è un uomo che vuole fare ciò che pensa sia giusto, ma, come tutti, ha i suoi bisogni e i suoi desideri. La sua vita appartiene a lui e basta. La sua vita non ti appartiene, né deve rispondere ai dettami di qualche profezia scritta in vecchi libri polverosi.» «Mi hai fraintesa. Il valore di Richard sta proprio nel suo istinto, nel suo cuore e nella sua curiosità.» Ann si toccò una tempia. «La sua mente. Il nostro scopo non è quello di guidarlo, ma di seguirlo lungo un sentiero molto periglioso.» Kahlan sapeva che Ann aveva ragione. Richard aveva posto fine all'alleanza che aveva unito le Terre Centrali per millenni. In quanto Madre Depositaria, Kahlan era stata a capo del Concilio e, per estensione, delle Terre Centrali. Ora quell'antica confederazione era governata da lord Rahl del D'Hara. Non tutti i regni si erano uniti sotto il vessillo d'hariano. Kahlan sapeva che Richard aveva dovuto porre delle condizioni rigide per il bene di tutti. Ne era pienamente consapevole, ma la decisione di seguirlo era stata molto difficile. I provvedimenti di Richard erano gli unici in grado di creare una forza capace di opporsi alla tirannia dilagante dell'Ordine Imperiale. Ora camminavano su quel nuovo sentiero insieme, mano nella mano, uniti dalla risolutezza e dagli stessi scopi. Kahlan incrociò nuovamente le braccia e riprese a fissare le galline. «Se avevi intenzione di farmi sentire colpevole per aver desiderato di poter stare da sola con mio marito durante il primo giorno di matrimonio, allora ci sei riuscita. Sarò egoista, ma non posso farne a meno.» Ann la prese per un braccio. «No, figliola, non erano queste le mie intenzioni. So che a volte Richard si comporta in maniera esasperante. Ti chiedo solo di essere paziente e permettergli di fare ciò che egli crede sia necessario. Non ti sta ignorando, al contrario, sta solo seguendo quello che il suo istinto gli chiede di fare. «Il suo amore per te è così forte da distrarlo dai suoi compiti. Non gli devi chiedere di abbandonare la sua missione quando il suo istinto gli dice di indagare.» «Lo so.» Kahlan sospirò. «Ma le galline...» «C'è qualcosa che non va con la magia.» Kahlan aggrottò la fronte. «Cosa vuoi dire?» «Non ne sono sicura, ma sia io che Zedd abbiamo percepito un cambiamento nella nostra magia. È successo qualcosa di appena percettibile. Non hai notato niente di strano nel tuo potere?» Spaventata, Kahlan si concentrò sul nucleo del suo potere. Era difficile dire se si stavano verificando dei sottili cambiamenti nel suo potere di Depositaria perché per lei era una presenza del tutto naturale visto che l'aveva avvertita fin dalla nascita. Il centro del suo potere era calmo e familiare. Ma... Kahlan smise di fare congetture. La magia era un argomento molto etereo e già una volta un mago l'aveva indotta a pensare di aver perso il suo potere. Il fatto che lei gli avesse creduto le era quasi costato la vita. Si era salvata solo perché aveva capito in tempo che non era stata privata del suo talento e l'aveva usato. «No, è tutto a posto» disse Kahlan. «Ho imparato che è piuttosto facile far credere a una persona con il dono che ha perso i suoi poteri. Forse si tratta di un fuoco di paglia... siete solo preoccupati e basta.» «Non posso darti torto, ma Zedd pensa che sarebbe più saggio lasciare che Richard continui a fare quello che si è messo in testa. Il fatto che Richard, un uomo che sì, ha il dono, ma non possiede l'abilità mia e di Zedd nell'usarlo, creda che stia succedendo qualcosa di molto serio, dà credito ai nostri sospetti. Se ha ragione, allora lui è già molto più avanti di noi e non ci resta che seguirlo.» Ann ritrasse la mano rugosa. «Ti chiedo di non infastidirlo con il tuo più che lecito desiderio di essere considerata. Ti chiedo di permettergli di fare quello che deve.» Considerata, già. Kahlan voleva solo tenerlo per mano, abbracciarlo, baciarlo, sorridergli e che lui l'amasse. Il giorno dopo sarebbero dovuti tornare ad Aydindril. Molto presto il mistero della morte di Juni sarebbe stato messo in secondo piano da questioni molto più importanti. Lei voleva solo avere un giorno tutto per loro. «Capisco.» Kahlan fissò la massa di galline chioccianti. «Cercherò di non immischiarmi.» Ann annuì, ma senza gioia. Non le era piaciuto farle comprendere la situazione. Cara passeggiava al buio e, a giudicare dall'espressione tetra del suo viso, Kahlan comprese che Richard doveva averle ordinato di sorvegliare sua moglie. Quello era un genere di ordine che Cara non avrebbe trasgredito neanche se fosse stata Kahlan in persona a chiederglielo. «Vieni» disse Kahlan, superando Cara. «Andiamo a vedere come se la cava Richard nella sua ricerca.» La pioggia continuava a cadere con violenza e a Kahlan non piaceva l'idea che nel volgere di pochi secondi si sarebbe bagnata da capo a piedi. «Non è andato da quella parte» le disse Cara. Kahlan e Ann si girarono e videro che la Mord-Sith era ancora ferma. Kahlan alzò un pollice e indicò le case che servivano a ospitare gli spiriti malvagi. «Pensavo che volesse controllare le altre galline.» «Ha cominciato ad andare verso le case, poi ha cambiato idea ed è andato in quella direzione.» Cara indicò con un braccio. «Perché?» «Non me l'ha spiegato, ma mi ha detto di rimanere qua e aspettarvi.» Cara si incamminò. «Venite, vi porto da lord Rahl.» «Sai dove trovarlo?» Kahlan si rese conto di aver fatto una domanda stupida prima ancora di aver finito di parlare. «Certo. Il legame mi permette di sapere sempre dove si trova.» Kahlan trovava inquietante che le Mord-Sith potessero avvertire la presenza di Richard come una chioccia faceva con i pulcini. In un certo senso era invidiosa di quella loro prerogativa. Premette una mano sulla schiena di Ann per farle capire che dovevano muoversi altrimenti si sarebbero perse nell'oscurità. «Da quanto tempo tu e Zedd sospettate che ci sia qualcosa che non va?» sussurrò Kahlan rivolgendosi ad Ann, lasciando sottinteso il soggetto della domanda. Ann camminava a testa bassa per vedere dove metteva i piedi. «Ce ne siamo accorti per la prima volta la scorsa notte. Abbiamo fatto qualche prova molto semplice, ma non c'è stata di molto aiuto. È come se tu cercassi di capire di quanto si è abbassata la tua vista da un giorno all'altro.» «Le hai parlato delle nostre speculazioni sul fatto che la magia forse sta cominciando a indebolirsi?» Kahlan sussultò nel sentire la voce familiare di Zedd alle sue spalle. «Sì» confermò Ann svoltando un angolo. Non sembrava affatto stupita della repentina comparsa del mago. «Come sta la donna?» «È avvilita.» Zedd sospirò. «Ho cercato di calmarla e confortarla, ma non ci sono riuscito molto bene.» «Zedd» lo interruppe Kahlan «pensi che ci siano dei problemi? È un'affermazione piuttosto seria.» «Be', non stavo dicendo nulla di...» Improvvisamente Cara si immobilizzò e le tre persone che la seguivano le sbatterono contro. La Mord-Sith fissava l'oscurità, rigida come una statua. Dopo qualche secondo ringhiò qualcosa a bassa voce e li fece girare spingendoli per le spalle. «Abbiamo sbagliato strada» borbottò. «Torniamo indietro.» Cara fece loro girare un angolo e cambiò strada. Era quasi impossibile capire dove fossero diretti. Kahlan scostò i capelli bagnati dal volto. Non c'era nessun altro in giro a parte loro. Cara faceva strada, Zedd e Ann sussurravano tra di loro in maniera concitata. Kahlan si sentì improvvisamente sola e abbandonata. La pioggia e l'oscurità dovevano confondere il legame che Cara condivideva con Richard, perché la Mord-Sith dovette tornare sui suoi passi più di una volta. «Quanto manca?» le chiese Kahlan. «Poco» rispose Cara, laconica. Il fango e l'acqua che ricoprivano le strade dei vicoli erano ormai entrati negli stivali di Kahlan e lei storse la bocca nel sentire il fango che veniva schiacciato tra le dita dei piedi a ogni passo. Era infreddolita, bagnata, stanca e infangata solo perché Richard temeva che uno spirito malvagio stesse possedendo una gallina tramutandola in un mostro. Ricordò con una certa nostalgia il calore del bagno mattutino e desiderò potersi immergere di nuovo in quelle fonti. Un attimo dopo rammentò quanto era successo a Juni e decise che il suo desiderio di calore poteva aspettare. C'erano problemi molto più gravi in quel momento. Se Zedd e Ann avevano ragione riguardo la magia... Raggiunsero l'area che fungeva da piazza principale del villaggio. Cara, ormai ridotta a un'ombra che si muoveva nel buio, si fermò. La pioggia, che tamburellava sui tetti per poi colare dalle grondaie formando delle pozze fangose ai piedi delle case, aveva trasformato le centinaia di impronte lasciate sul terreno dai festeggiamenti del giorno prima in altrettante piccole pozzanghere. La Mord-Sith alzò un braccio. «Là.» Kahlan socchiuse gli occhi per cercare di scorgere qualcosa attraverso la pioggia. Sentiva la presenza di Zedd alla sua sinistra e quella di Ann alla sua destra. Cara, leggermente spostata rispetto a Kahlan, fissava Richard dimostrando quanto fosse forte il legame che la univa al sovrano del D'Hara, mentre gli altri scandagliavano l'oscurità per riuscire a vedere quello che vedeva la Mord-Sith. L'attenzione di Kahlan venne attratta da un fuoco che si stava estinguendo. Piccole fiamme lambivano l'aria. Sembrava impossibile che quel piccolo fuoco, probabilmente l'ultima testimonianza della loro cerimonia, continuasse ad ardere sebbene l'acquazzone perdurasse dal primo pomeriggio. Richard osservava le fiammelle. Kahlan scorgeva solo i contorni imponenti del marito. I bordi netti del mantello dorato sbattevano al vento riflettendo occasionalmente la luce di quelle lingue di fuoco. Kahlan vide le gocce di pioggia che si infrangevano sullo stivale che Richard stava usando per smuovere le braci. Le fiamme si ravvivarono raggiungendo l'altezza del ginocchio e furono investite da una folata di vento che le fece contorcere, piroettare, fluttuare e impennare in una sorta di danza ipnotica nel mezzo dell'acquazzone. Richard annusò il fuoco. Kahlan era a un passo dal maledirlo. «Sentrosi» mormorò spegnendo le braci con lo stivale. Il vento sollevò una scintilla. Richard cercò di afferrarla, ma quel frammento di fiamma evitò la mano che stava per catturarlo e scomparve nella notte. «Balle» borbottò Zedd in tono tetro «quel ragazzo trova i rimasugli di un falò ed è pronto a credere all'impossibile.» «Dobbiamo fare cose più importanti che correre dietro a un ignorantello» dichiarò Ann, spazientita. Zedd, che si trovava d'accordo con la Priora, si passò una mano sul volto per asciugarlo. «Potrebbe essere mille e una cosa, ma lui si intestardisce su una sola perché non ha sentito parlare delle altre mille.» Ann agitò un dito ammonitore in direzione di Zedd. «L'ignoranza del ragazzo...» «Ha pronunciato il nome di una delle tre chimere» disse Kahlan interrompendo Ann. «Cosa significa?» Il mago e l'incantatrice si girarono verso di lei. Sembrava che si fossero scordati della sua presenza. «Non è importante» insisté Ann. «Il punto è che abbiamo delle questioni molto importanti da sbrigare e il ragazzo perde tempo a preoccuparsi dei rintocchi.» «Cosa vuol dire quella parola...?» Zedd si schiarì la gola e mise in guardia Kahlan dal pronunciare il nome del secondo rintocco. Kahlan aggrottò la fronte e si avvicinò al mago. «Cosa significa?» «Fuoco» tradusse Zedd. 9 Kahlan si sedette e si strofinò gli occhi. Un tuonò echeggiò fuori dalla stanza. Il temporale non accennava a diminuire d'intensità. Socchiuse gli occhi per cercare di vedere qualcosa nella poca luce che proveniva dal camino e si accorse che Richard non era con lei. Non sapeva che ora della notte fosse, ricordava solo che erano andati a letto tardi. In quel momento sapeva che erano nel pieno della notte. Mancavano ancora molte ore all'alba. Decise che Richard doveva essere uscito per rilassarsi. Il rumore della pioggia battente contro il tetto le dava l'impressione di essere sotto una cascata. Nella loro prima visita a quel villaggio, Richard aveva insegnato al Popolo del Fango come costruire dei tetti con le tegole che non facevano filtrare l'acqua, quindi era molto probabile che quella fosse l'unica struttura asciutta di tutto il villaggio. Agli abitanti del villaggio era piaciuta molto l'idea di un tetto che non perdesse. Kahlan era dell'idea che nel volgere di pochi anni i tetti di zolle d'erba sarebbero stati soppiantati dai tetti di tegole. Lei, per esempio, in quel momento era molto contenta di potersi rifugiare in un luogo asciutto. Kahlan sperava che Richard cominciasse a calmarsi ora che avevano chiarito le cause, per nulla sovrannaturali, della morte di Juni. Lui e l'Uomo Uccello avevano esaminato tutte le galline del villaggio senza trovare né la gallina che non era una gallina né nessun altro tipo di pennuto mostruoso. Il problema era risolto. Il mattino dopo gli uomini avrebbero liberato le galline. Zedd e Ann non erano affatto contenti di Richard. Egli aveva creduto veramente che l'ultimo focolaio di un falò fosse un rintocco... una creatura dell'aldilà... Cosa ne avrebbe fatto una volta che fosse riuscita a catturarla nel pugno? Richard non ci aveva pensato o, comunque, era rimasto zitto per non indurre Zedd a pensare che avesse perso il buon senso. Fortunatamente Zedd non era stato crudele nella lunga ramanzina al nipote nella quale aveva elencato tutte le possibili cause per quello che era successo e, sebbene tutta la concione fosse stata venata da un certo tono di rimprovero, sembrava che il vecchio mago volesse più educare che punire. Richard Rahl, Maestro del D'Hara, l'uomo davanti al quale si erano inchinati re e regine, l'uomo che aveva indotto più di un regno ad arrendersi alle sue condizioni, ascoltava in silenzio il nonno che passeggiava avanti e indietro impartendo lezioni di vita, ammonizioni e richiami, rivestendo di volta in volta i panni di Primo Mago, di nonno e infine di amico. Kahlan sapeva che Richard nutriva un rispetto molto profondo per Zedd, quindi se suo nonno era deluso, non c'era niente da dire. Prima che si appartassero, Ann li aveva raggiunti dicendo loro che Verna e Warren conoscevano il libro intitolato I gemelli della montagna. Verna aveva scritto che si trattava di un libro di profezie un tempo in possesso di Jagang. Nathan aveva ordinato loro di distruggerlo insieme ad altri libri. L'unico volume scampato alla distruzione era Il libro del doppio e del rovesciamento perché non era in possesso dell'imperatore. Quando finalmente erano andati a letto, Richard era di un umore così tetro che non ebbe voglia di fare l'amore e Kahlan si intristì. Kahlan sospirò. La loro seconda notte da sposi e lui non aveva voglia di giacere con sua moglie. Quante volte aveva desiderato poter stare con lui? Kahlan si sdraiò premendosi una mano sugli occhi stanchi. Desiderò che Richard tornasse prima che si riaddormentasse. Voleva almeno riuscire a baciarlo. Voleva dirgli che non pensava che fosse impazzito e che sapeva bene che si stava comportando in quel modo per il bene di tutti. Non era arrabbiata... voleva solo passare del tempo con lui, ma non a radunare polli sotto la pioggia. Voleva dirgli che l'amava. Si girò su un fianco per fissare il punto in cui avrebbe dovuto esserci Richard. Aveva le palpebre pesanti, ma si sforzava di tenerle aperte. Quando fece per mettere una mano sulla coperta del marito, si rese conto che lui gliela aveva messa addosso. Perché aveva fatto un gesto simile se aveva intenzione di stare fuori poco? Kahlan si sedette. Si stropicciò gli occhi e si accorse che i vestiti del marito non c'erano più. Era stata una giornata lunga e la notte prima non avevano dormito molto. Perché avrebbe dovuto uscire in piena notte con un tempo simile? Avevano bisogno di dormire. La mattina sarebbero dovuti partire per Aydin- dril. La mattina. Sarebbero partiti al mattino. Aveva ancora tutto quel tempo a disposizione. Kahlan si avvicinò allo zaino imprecando sottovoce. Richard stava ancora cercando delle prove, ne era certa. Qualcosa che dimostrasse loro che non era impazzito. Armeggiò all'interno dello zaino e tirò fuori un piccolo portacandele sormontato da un cono metallico per proteggere la fiamma dalla pioggia. Prese una lunga scheggia di legno, la mise sul fuoco e quando la punta prese fuoco la usò per accendere la candela. Chiuse lo sportellino di vetro per riparare la fiamma dal vento. La candela non faceva molta luce, ma in una notte buia e piovosa come quella era sempre meglio di niente. Kahlan prese la maglia bagnata dal paletto che Richard aveva conficcato vicino al camino. Il contatto del tessuto freddo sulla pelle le provocò un brivido che le fece dolere le spalle. Adesso sarebbe stata lei a rimproverare il marito. L'avrebbe obbligato a tornare a letto e abbracciarla finché non si fosse scaldata. Era colpa sua se stava tremando di nuovo. Si infilò i pantaloni gelali con una smorfia. Di quale altre prove aveva ancora bisogno? La gallina? Poco prima di andare a letto, Kahlan si era avvicinata al fuoco per asciugarsi i capelli e aveva chiesto a Richard come mai era convinto di aver visto sempre la stessa gallina nel corso di tutta la giornata. Lui le aveva spiegato che la gallina che avevano trovato morta fuori dalla casa degli spiriti aveva una macchia scura sopra il becco, sulla destra, proprio sotto la cresta. L'Uomo Uccello aveva indicato una gallina con lo stesso segno. Richard aveva detto che aveva impiegato un po' di tempo a collegare tutti i fatti. La gallina che era ferma sulla porta della casa dove si trovava Juni aveva quella macchia nello stesso punto e le aveva spiegato che nessuna delle galline chiuse nelle tre case ne aveva una simile. Kahlan gli aveva fatto notare che le galline razzolano il terreno in continuazione, quindi, molto probabilmente, quel segno era solo una macchia di fango, che più di un pennuto poteva essersi sporcato proprio in quel punto e che, eventualità di cui lei era molto sicura, non aveva trovato la gallina che cercava perché la pioggia che colava dentro le case dai tetti doveva aver lavato la macchia. Il Popolo del Fango era sicuro di aver radunato tutte le galline del villaggio, quindi quella che stava cercando doveva essere per forza in una di quelle tre case. Richard non aveva saputo rispondere. Kahlan gli aveva chiesto come mai una gallina... risorta dalla morte... avrebbe dovuto seguirli per tutto il giorno. A quale scopo? Richard non era riuscito a trovare una risposta neanche per quella domanda. Si rese conto di non essere stata di molto aiuto. Sapeva che Richard non si abbandonava a voli pindarici. Se insisteva su qualcosa lo faceva perché sentiva di avere dei buoni motivi per farlo. Non era un ottuso testardo né agiva per indispettirla. Era sua moglie e avrebbe dovuto ascoltarlo con più affetto, essere più ricettiva. Su chi altro poteva contare se non su di lei? Non c'era da meravigliarsi che non avesse avuto voglia di fare l'amore con lei. Ma una gallina... Kahlan aprì la porta e venne accolta da un scroscio di pioggia gelata. Cara era andata a dormire. I cacciatori di guardia alla casa si radunarono immediatamente intorno a lei. «Da che parte è andato Richard?» chiese loro. Gli uomini la fissarono interdetti. «Richard» ripeté lei. «Non è dentro. È uscito qualche minuto fa. Da che parte è andato?» Uno degli uomini guardò i compagni che scossero la testa. «Non abbiamo visto nessuno» disse il cacciatore. «Ma, anche se è buio l'avremmo visto uscire.» Kahlan sospirò. «Forse no. Richard è stato una guida dei boschi. La notte è il suo elemento naturale. Può sparire nel buio come voi sapete sparire in mezzo all'erba.» Gli uomini annuirono senza nutrire il minimo dubbio sull'affermazione di Kahlan. «Allora vuol dire che è qua fuori da qualche parte, ma noi non sappiamo dove. A volte Richard il Collerico sembra uno spirito. Non ho mai incontrato un altro uomo come lui.» Kahlan sorrise tra sé e sé. Richard era una persona rara... il marchio di un mago. Una volta i cacciatori l'avevano portato con loro per tirare con l'arco e lui li aveva stupiti tutti quanti piantando diverse frecce una dentro l'altra. Anche se lui non voleva crederci, i suoi tiri erano stati guidati dal dono. Richard sosteneva che era solo questione di allenamento e concentrazione. Diceva che bisognava 'chiamare il bersaglio', ovvero svuotare del tutto la mente in modo che ci fosse posto solo per la freccia e l'obbiettivo, dopodiché tirare. Era in grado di farlo in un batter d'occhio. Richard le aveva insegnato quel sistema. Kahlan aveva provato qualche volta la sensazione descritta dal marito e, in un'occasione, anche se era implicata la magia, gli insegnamenti ricevuti sull'arte del tiro con l'arco le avevano salvato la vita. I cacciatori nutrivano un grande rispetto per Richard ma non solo perché era bravo a tirare con l'arco. Se lei diceva che il marito era capace di diventare invisibile, loro non avevano nessun motivo per dubitarne. E pensare che era cominciato tutto così male. La prima volta che Richard aveva incontrato il Popolo del Fango aveva frainteso l'usanza di onorare la forza con uno schiaffo sul viso e aveva tirato un pugno in faccia a Savidlin, uno dei capi del villaggio, facendolo cadere a terra. Con quel gesto Richard aveva inavvertitamente reso molto onore alla forza del Popolo del Fango diventando un loro grande amico, ma si era anche guadagnato il nome di 'Richard il Collerico'. Kahlan si asciugò la pioggia dal viso. «Voglio trovarlo.» Indicò delle direzioni nel buio. «Ognuno di voi prenda una strada diversa. Se lo trovate ditegli che lo voglio. Se non lo vedete tornate qua e cercheremo in altri posti finché non l'avremo trovato.» I cacciatori cominciarono a obbiettare, ma Kahlan disse loro che era stanca e che voleva tornare a letto con il marito. Li implorò di aiutarla nella ricerca altrimenti si sarebbe arrangiata da sola. Le era venuto in mente che molto probabilmente stava continuando la sua ricerca da solo perché nessuno gli credeva. Gli uomini scomparvero nell'oscurità. Kahlan aveva infilato gli stivali e nel fango scivolava al contrario dei cacciatori che si muovevano tranquilli perché scalzi. Si tolse gli stivali e li gettò dentro la casa degli spiriti ridacchiando stupita per la velocità con la quale si era abituata al fango. Ad Aydindril c'erano un gran numero di donne appartenenti alla nobiltà, al ceto abbiente o mogli di ufficiali dell'esercito che sarebbero svenute nel vedere la Madre Depositaria bagnata fradicia camminare a piedi scalzi immersa nel fango fino alle caviglie. Kahlan camminava chiedendosi se Richard aveva intrapreso una ricerca metodica. Non era da lui muoversi senza prima aver ragionato. Quale metodo avrebbe seguito per ispezionare un intero villaggio da solo e al buio? Pensò che forse aveva smesso di dare la caccia alla gallina. Forse si era reso conto che Zedd e Ann avevano ragione. Ma, allora, perché era uscito a notte fonda? La pioggia le colava dalla testa lungo il collo e giù per la schiena facen- dola rabbrividire. I capelli erano di nuovo fradici e la maglia le aderiva al corpo come una seconda pelle gelida. Dove poteva essere andato Richard? Kahlan si fermò e alzò la candela. Juni. Forse era andato a vedere Juni e il bambino morto, a pregare per loro. Quella era una delle cose che Richard avrebbe fatto. Pregare per due anime affinché fossero accolte tra le schiere degli spiriti buoni. Kahlan finì sotto una cascata d'acqua che colava da una grondaia. Il freddo fu tanto intenso da toglierle il fiato. Arretrò, scostò i capelli dal viso e sputò. La mano con la quale reggeva la candela si era intirizzita. Avanzò con cautela nel buio per essere sicura di andare nella direzione giusta. Trovò il muretto sul quale erano posati i vasi pieni d'erbe offerte agli spiriti malvagi. Da quel punto in avanti sapeva che strada seguire. Svoltò un angolo e arrivò alla casa dei morti. Muovendo le mani a tentoni trovò il chiavistello e l'alzò. La porta, gonfiata dall'umidità, si aprì scricchiolando e si richiuse da sola alle sue spalle. «Richard? Sei qua?» Nessuno rispose. Alzò la candela e usò l'altra mano per tapparsi il naso a causa dell'odore. La luce della candela illuminò il corpo del neonato. Si avvicinò, urtò con un piede qualcosa, ma il piccolo corpo sdraiato sui mattoni aveva la precedenza su tutto, anche sulla sua prudenza. La vista del neonato l'aveva paralizzata. Le piccole braccia erano protese in avanti. Le gambe erano rigide e i talloni erano leggermente sollevati dalla piattaforma. Le manine erano aperte. Sembrava impossibile che potessero esistere delle dita così piccole. Kahlan sentì un groppo alla gola e si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo di dolore per quella povera creatura e la madre. Uno strano suono echeggiava nella stanza. Era alle sue spalle. Kahlan continuò a fissare il piccolo corpo cercando al tempo stesso di capire la natura del rumore. Una pausa. Il suono. Ancora una pausa. Deve essere l'acqua che cola dal tetto, pensò. Kahlan non riuscì a resistere all'impulso di allungare un dito e posarlo su una delle manine. Bastava quello per riempire tutto il palmo e per un attimo attese che le piccole dita del bambino si chiudessero intorno al suo, ma non successe. Soppresse un altro singhiozzo e sentì una lacrima che le scendeva lungo la guancia. Era così dispiaciuta per la madre. Kahlan aveva visto molti morti, ma non riusciva a capire come mai quello la colpisse in maniera tanto particolare. Resistette ancora qualche attimo poi cominciò a piangere. Nella casa dei morti il suo cuore espresse tutta la sua tristezza per quel piccolo corpo venuto alla luce senza un'anima. Il suono alle sue spalle divenne abbastanza invadente da disturbare le sue preghiere. Kahlan si girò e il singhiozzo si trasformò in un urlo strozzato. Ritta sul petto di Juni c'era una gallina intenta a beccargli gli occhi. 10 Kahlan voleva cacciare la gallina dal corpo del cacciatore, ma non riusciva a muoversi. La gallina girò la testa e, senza distrarsi dalla sua occupazione, la fissò. L'unico suono che echeggiava nella stanza era quello prodotto dal becco. «Shoo!» Kahlan agitò le mani. «Shoo!» Doveva essere entrata per mangiare gli insetti, non poteva essere altrimenti. Non c'erano altre spiegazioni. «Shoo! Lascialo in pace!» Il pennuto alzò la testa, drizzò le penne ed emise un sibilo. Kahlan arretrò. La gallina si girò verso di lei continuando a tenere gli artigli piantati nel corpo del giovane cacciatore, quindi inclinò la testa. La cresta si piegò di lato e il bargiglio prese a ondeggiare. «Shoo!» sussurrò Kahlan. Non c'era abbastanza luce e, inoltre, un lato del becco era sporco, quindi Kahlan non era in grado di dire se aveva una macchia scura. Ma non era necessario vederla. «Dolci spiriti, aiutatemi voi» pregò Kahlan sottovoce. La gallina chiocciò. Era un suono simile a quello delle altre galline, ma nel suo intimo Kahlan sapeva che non era la stessa cosa. In quel momento capì cosa intendeva dire l'Uomo Uccello quando le aveva parlato di una gallina che non era una gallina. Quella che stava osservando sembrava una gallina comune, ma non era così. Era la manifestazione del male. Ne era certa. Era una sensazione fortissima. Quella cosa era oscena quanto il ghigno sinistro della morte. Kahlan usò una mano per chiudersi la maglia intorno al collo. Si era premuta con tanta forza contro la piattaforma sulla quale si trovava il corpo del neonato che si chiese se non stava correndo il rischio di farla cadere. Il suo primo impulso fu quello di scatenare il suo potere di Depositaria contro quella creatura. La peculiarità della magia di Kahlan, e di tutte le appartenenti al suo ordine, era quella di distruggere la volontà della persona investita da quel potere creando un vuoto che veniva riempito da una devozione assoluta nei confronti della Depositaria. In questo modo i condannati a morte erano obbligati a confessare i crimini abominevoli di cui si erano macchiati... o la loro innocenza. Le Depositarie erano un mezzo per far sì che la legge fosse uguale per tutti. Nessuno era immune dal tocco di una Depositaria. Anche l'assassino più efferato e perverso aveva un'anima, quindi era vulnerabile. La magia di Kahlan era anche un'arma di difesa che, però, funzionava solo contro le persone. Non funzionava con gli animali, né con l'incarnazione della malvagità stessa. Lanciò una rapida occhiata in direzione della porta valutando rapidamente la distanza che la separava dall'uscita. La gallina fece un saltello verso di lei, piantò gli artigli nella parte superiore del braccio di Juni e si inclinò in avanti. Kahlan si era irrigidita a tal punto da cominciare a tremare. La gallina arretrò di un passo, si tese, defecò sul volto di Juni, dopodiché cominciò a chiocciare. Sembrava che stesse ridendo di gusto. Kahlan desiderò con tutta se stessa di potersi dire che era una stupida e che si stava immaginando tutto, ma sapeva bene che non era così. Sapeva che il suo potere non poteva distruggere quell'essere ed era anche conscia del fatto che non avrebbe potuto sopraffarlo con la forza. Voglio solo uscire, pensò. Un grosso insetto marrone le corse su per un braccio. Kahlan emise un urlo strozzato, lo fece cadere con un ceffone e si avvicinò alla porta. La gallina balzò già dal corpo di Juni, si parò di fronte all'uscita starnazzando, mangiò l'insetto e, dopo averlo ingoiato, inclinò la testa per fissarla. Kahlan lanciò uno sguardo verso la porta cercando di capire quale fosse il modo migliore per uscire. Cercare di spaventare la gallina? Ignorarla e uscire come se niente fosse? Ricordò le parole di Richard: «Juni ha sputato sull'onore della creatura che l'aveva uccisa. Poco dopo Juni è morto. Io ho tirato un bastone alla gallina sul davanzale e poco dopo un bambino viene aggredito. È colpa mia se Ungi è stato ferito. Non ripeterò lo stesso errore due volte.» Anche lei non voleva commettere errori. Quell'essere poteva balzarle in faccia e cavarle gli occhi oppure usare gli artigli per reciderle la carotide e farla morire dissanguata. Chi poteva dire quanto fosse forte e cosa fosse realmente in grado di fare? Richard era stato tassativo quando aveva impartito le istruzioni per radunare le galline: nessuno doveva mancare loro di rispetto. Improvvisamente Kahlan si rese conto che la sua vita dipendeva dalle parole del marito. Parole che fino a pochissimi minuti prima aveva ritenuto delle sciocchezze, ora significavano invece tutto. «Oh, Richard» sussurrò «ti prego di perdonarmi.» Sentì qualcosa sulla dita dei piedi. Lanciò una rapida occhiata. La luce era troppo fioca, ma era quasi sicura che degli insetti le fossero saliti sui piedi. Ne sentì uno che correva su per la caviglia per poi infilarsi dentro il pantalone. Kahlan batté il piede a terra, ma l'insetto non cadde. Si piegò in avanti per scacciarlo. Non voleva che gli salisse sulla gamba, ma il colpo fu troppo forte e lo schiacciò. Si alzò di scattò per togliere l'insetto che le stava camminando tra i capelli e sobbalzò quando un millepiedi le morse il dorso della mano. Riuscì a farlo cadere agitando l'estremità. La gallina lo mangiò, quindi balzò nuovamente sul corpo di Juni sbattendo le ali e le puntò addosso i glaciali occhi neri fissandola con attenzione. Kahlan fece scivolare lentamente un piede verso la porta. «Madre» chiocciò la gallina. Kahlan sussultò lanciando un grido. Cercò di calmare il respiro. Il cuore le batteva così forte che aveva l'impressione che il collo si stesse gonfiando. Si strinse alla piattaforma escoriandosi le dita. Quella bestia doveva aver emesso un suono simile alla parola 'madre'. Lei era la Madre Depositaria e tutti si rivolgevano a lei con quel titolo. Doveva essere uno scherzo giocato dall'agitazione. Era spaventata e si era immaginata tutto. Urlò. Qualcosa le aveva morso la caviglia. Agitò un braccio per far cadere l'insetto che le stava salendo lungo la manica e urtò la candela che cadde a terra con un rumore metallico. Un attimo dopo un buio impenetrabile calò nella casa. Kahlan si girò e cominciò a cercare di afferrare la cosa che le stava camminando tra le scapole. A giudicare delle dimensioni e dagli squittii doveva essere un topo. Si dimenò con vigore e la bestia cadde. Kahlan si paralizzò. Voleva capire se la gallina era scesa dalla piattaforma. Sentiva il fruscio del cuore echeggiare nelle orecchie e quello era l'unico suono che turbava il silenzio di tomba ora che era sceso nella stanza. Cominciò ad avvicinarsi lentamente alla porta strusciando i piedi in mezzo alla paglia sporca e in quel momento desiderò di non essersi tolta gli stivali. Il puzzo era soffocante. Non sapeva se si sarebbe mai più sentita pulita, ma in quel momento non le importava molto: voleva solo uscirne viva. La gallina emise di nuovo quel verso simile a una risata. Kahlan si rese conto che il suono era arrivato dalle sue spalle. Non si aspettava che la bestia fosse in quella posizione. «Non voglio farti del male» disse, rivolgendosi al buio. «Non voglio mancarti di rispetto. Adesso ti lascio fare.» Fece un secondo passo verso la porta. Si muoveva piano e con cautela nel caso in cui la gallina fosse di fronte a lei. Non voleva inciamparle sopra e farla infuriare. Non era saggio sottovalutarla. Più di una volta Kahlan si era lanciata con ferocia contro degli avversari che in apparenza sembravano invincibili. Sapeva bene che un attacco violento poteva essere risolutivo, ma sapeva anche che questo nemico poteva ucciderla con la stessa facilità con la quale lei avrebbe potuto rompere il collo a una gallina vera. Era certa che se fosse stata costretta a lottare contro quella bestia avrebbe perso. Toccò il muro e cominciò a scivolare contro di esso tenendo una mano appoggiata contro la parete per cercare la porta a tentoni. Non c'era. Allungò l'altro braccio nella direzione opposta, ma ottenne lo stesso risultato. Quella era una follia. Era entrata passando dalla porta. Doveva essere da qualche parte. La gallina chiocciò in tono sommesso. Kahlan represse le lacrime di paura e premette la schiena contro la parete. Doveva essersi confusa quando aveva girato su se stessa per far cadere il topo. Ecco cos'era successo, si era girata, nessuno aveva spostato la porta. In quale direzione era l'uscita, allora? Aveva spalancato gli occhi per cercare di scorgere qualcosa nel buio. Un nuovo pensiero la terrorizzò: e se quell'essere avesse cercato di cavarle gli occhi a colpi di becco? Magari era una delle sue azioni preferite. Cominciò a singhiozzare a quel pensiero. La pioggia colava dal tetto d'erba. Delle gocce la colpirono in testa facendola sussultare. Il fulmine balenò nel cielo e Kahlan vide la luce provenire dalla sua sinistra. Era filtrata dalla porta. Il tuono scoppiò facendo tremare l'aria. Corse verso la porta, ma colpì lo spigolo di una piattaforma con il fianco sbattendo la punta di un piede contro l'angolo. Afferrò il piede contuso senza neanche rendersene conto e prese a saltellare su un piede solo nella speranza di rimanere in equilibrio, ma anche il piede sano colpì qualcosa di duro che le provocò una seconda fitta di dolore. Cercò un appiglio, ma quando si accorse di aver stretto il cadavere del bambino ritirò la mano, inorridita, e cadde pesantemente a terra. Si rese conto di essere inciampata sul portacandela ancora caldo e cominciò a imprecare a bassa voce. Controllò il piede. Era tanto spaventata da pensare che il metallo l'avesse bruciato, ma non era così. Il piede era integro, l'altro, invece, sanguinava. Non cedere al panico, altrimenti non troverai mai una soluzione, pensò facendo al tempo stesso un respiro profondo per calmarsi. Nessuno sarebbe andato in suo aiuto, quindi doveva far ricorso a tutte le sue risorse per uscire viva da quella casa. Fece un secondo respiro. Doveva solo raggiungere la porta, poi sarebbe stata in grado di uscire. Fuori sarebbe stata al sicuro. Cominciò ad avanzare strisciando sulla pancia. Non sapeva se la paglia era bagnata a causa della pioggia o dei liquidi che colavano dalle piattaforme. Si disse che il Popolo del Fango rispettava i morti e che non avrebbero lasciato della paglia sudicia nella casa che serviva per comporre i cadaveri. Kahlan fece ricorso a tutta la sua forza di volontà per ignorare gli insetti che correvano su di lei. Era talmente concentrata che poteva sentire le pulsazioni del cuore nella gola. La luce di un lampo illuminò il bordo inferiore della porta. Non era distante. Non sapeva dove fosse finita la gallina e pregò che fosse tornata a beccare gli occhi di Juni. Il lampo seguente illuminò le zampe della gallina. Il volatile si era nuovamente parato tra lei e la porta. Kahlan si coprì gli occhi con una mano tremante. Sapeva che quell'essere mostruoso poteva cavarle gli occhi da un momento all'altro proprio co- me aveva fatto con Juni. L'immagine mentale del sangue che colava dalle orbite vuote, fu tanto raccapricciante da farla ansimare dalla paura. Sarebbe diventata cieca e sarebbe stata del tutto indifesa. Non avrebbe più potuto rivedere gli stupendi occhi grigi di Richard. Un insetto che si era impigliato nei suoi capelli cercava di liberarsi. Kahlan provò a cacciarlo, ma non ci riuscì. Improvvisamente qualcosa le colpì la testa e lei urlò. L'insetto era scomparso. La gallina l'aveva mangiato. Kahlan sentiva la testa che doleva nel punto in cui era stata toccata dal becco. «Grazie» disse, sforzandosi di parlare. «Grazie, davvero. L'ho apprezzato molto.» Il becco le colpì un braccio e lei urlò di nuovo. Era un altro insetto. La gallina ingoiò il suo pasto. «Mi dispiace di aver urlato» si scusò con voce tremante. «Mi hai spaventata, niente di grave. Grazie ancora.» Il becco le colpì nuovamente la testa, ma questa volta non c'era nessun insetto. Kahlan non sapeva se la creatura avesse pensato che ce ne fosse uno o se l'aveva beccata deliberatamente. Cominciò a riportare la mano verso gli occhi. «Non beccarmi, per favore. Mi fai male.» La gallina acchiappò una delle vene sul dorso della mano con il becco e cominciò a tirare come se dovesse estrarre un verme dal terreno. Era un ordine. Voleva che si togliesse la mano dagli occhi. La gallina strattonò con forza. Non c'era ombra di dubbio. Era come se il pennuto le stesse dicendo: «Togli subito la mano o te ne pentirai.» Non voleva farla arrabbiare perché non sapeva come avrebbe potuto reagire. Il corpo di Juni sulla piattaforma le rammentava quali erano le conseguenze della rabbia di quell'essere. Si disse che se la gallina avesse provato a beccarle un occhio, lei avrebbe potuto afferrarla per il collo in modo da farle dare solo un colpo. Avrebbe perso un occhio, ma conservato l'altro. Avrebbe combattuto, ma solo se avesse cercato di cavarle gli occhi. Il suo istinto le urlava che la soluzione a cui aveva pensato era folle e pericolosa. Sia Richard che l'Uomo Uccello avevano detto che quella creatura non era una gallina. Ora Kahlan non metteva più in dubbio la loro parola, ma se c'era da combattere non si sarebbe tirata indietro. Sarebbe stato uno scontro all'ultimo sangue, su quello non si faceva illusioni, ma lei avrebbe opposto resistenza fino all'ultimo respiro, proprio come le aveva insegnato suo padre. La gallina le pizzicò nuovamente la pelle con il becco e tirò. Era l'ultimo avvertimento. Kahlan spostò lentamente la mano e la creatura chiocciò soddisfatta. L'ennesimo lampo balenò nel cielo, ma lei non aveva bisogno della luce per sapere che la gallina era a pochi centimetri da lei. Abbastanza vicina da sentirne il respiro. «Non mi farai del male, vero?» Il fragore di un tuono molto violento echeggiò nell'aria. La gallina starnazzò e si girò. Kahlan si rese conto che non si era trattato di un tuono, ma della porta che si spalancava improvvisamente. «Kahlan!» chiamò Richard. «Dove sei?» «Attento, Richard!» l'avverti Kahlan balzando in piedi. «È la gallina! È la gallina!» Richard cercò di afferrarla, ma il pennuto gli passò tra le gambe e uscì dalla casa. Kahlan voleva abbracciarlo, ma lui glielo impedì, prese un arco dalle spalle di un cacciatore e prima che questi potesse vergognarsi per il fatto di essere stato colto di sorpresa, Richard prese una freccia dalla faretra di un altro. Un attimo dopo il dardo era incoccato e la corda tirata fino alla guancia. La gallina correva come un'ossessa nel fango. I bagliori dei lampi sembravano bloccare la bestia a metà di un movimento, ma a ogni lampo la creatura era sempre più lontana. La freccia scoccò dall'arco con una sonora vibrazione della corda e saettò nella notte. Kahlan udì il tonfo provocato dalla punta metallica che centrava il bersaglio. Il fulmine seguente illuminò la gallina che si era fermata e li stava fissando. La freccia le aveva trapassato la testa da dietro e le spuntava dal becco. Il sangue scivolava lungo l'asta per poi colare dalla punta macchiando il piumaggio del collo. Un cacciatore emise un fischio d'ammirazione per il tiro. La scena tornò buia. Un attimo dopo un lampo illuminava la gallina che spariva dietro un angolo. Kahlan si mise alle calcagna di Richard che si era lanciato all'inseguimento dell'uccello. Il cacciatore che aveva fischiato passò una seconda freccia a Richard che la incoccò e tese la corda. I tre girarono l'angolo e si fermarono. Buttata nel centro del passaggio fangoso c'era la freccia, ma la gallina era sparita. «Adesso ti credo» ansimò Kahlan. «Lo so» rispose Richard. Sentirono uno spostamento d'aria alle loro spalle. Sporsero la testa oltre l'angolo e videro che il tetto della casa per i morti stava bruciando. Attraverso la porta aperta scorsero la paglia sul pavimento in fiamme. «Avevo una candela che è caduta. Ma la fiamma si è spenta» spiegò Kahlan. «Ne sono sicura.» «Forse è stato un fulmine» disse Richard osservando le fiamme che artigliavano il cielo. La luce violenta del fuoco illuminava gli edifici circostanti dando l'impressione che anche questi danzassero in sincronia con i movimenti delle fiamme. Kahlan sentì il calore dell'incendio malgrado fossero ancora piuttosto distanti. Scintille e paglia bruciata fluttuarono nella notte. I cacciatori che componevano la scorta comparvero intorno a loro. L'uomo al quale Richard aveva preso la freccia cominciò a far passare il dardo tra i compagni sussurrando loro di come Richard il Collerico aveva colpito lo spirito malvagio cacciandolo. Altre due figure emersero da dietro l'angolo e fissarono per qualche attimo le fiamme prima di raggiungerli. Zedd allungò una mano e un cacciatore gli passò la freccia insanguinata. Il mago la esaminò brevemente e la diede ad Ann che la fece rotolare tra le dita sospirando come se quella vista avesse confermato i suoi sospetti. «È una dei rintocchi» disse Richard. «Sono qua. Adesso mi credi?» «Richard ha ragione, Zedd» rincarò Kahlan «Anch'io l'ho vista. Era la gallina. Era dentro la casa dei morti e stava beccando gli occhi di Juni. Mi ha parlato. Si è rivolta a me con il mio titolo.» Le fiamme danzavano sull'espressione solenne di Zedd che annuì. «In un certo senso hai ragione, ragazzo mio. Effettivamente siamo in guai molto seri, ma non si tratta dei rintocchi.» «Zedd» insisté Kahlan indicando la casa in fiamme «ti sto dicendo che...» si zittì improvvisamente. Il vecchio mago le aveva tolto una piuma dai capelli facendola girare lentamente tra il pollice e l'indice. Un attimo dopo la piuma era scomparsa in una piccola nuvola di fumo. «Era un'Insidia» borbottò il mago. «Un'Insidia? Cosa sarebbe un'Insidia? Come fai a saperlo?» chiese Richard, interdetto. «Io e Ann abbiamo lanciato degli incantesimi di verifica» spiegò Zedd. «Tu ci hai fornito la prova che ci serviva per essere sicuri. Le tracce di magia sulla freccia confermano i nostri sospetti. La situazione è piuttosto critica.» «Quell'essere è stato evocato da coloro che adorano il Guardiano» continuò Ann. «È opera delle Sorelle dell'Oscurità. Solo loro possono ricorrere alla Magia Detrattiva.» «Il nuovo padrone delle Sorelle dell'Oscurità è Jagang» sussurrò Richard. Ann annuì. «Avete neutralizzato il mago che aveva inviato a uccidervi e ora è ricorso a qualcosa di mille volte più letale.» Zedd posò una mano sulla spalla di Richard. «Avevi ragione a insistere, ma le tue conclusioni erano errate. Ann e io siamo certi di poter annullare l'incantesimo che ha portato qua quell'essere. Cerca di non preoccuparti, ci lavoreremo sopra e troveremo la soluzione.» «Non mi avete ancora detto cos'è questa Insidia. Qual è il suo scopo?» Ann lanciò una rapida occhiata a Zedd e disse: «È un essere che abita nell'aldilà e ha la capacità di distruggere la magia di questo mondo.» «Allora è come i rintocchi» disse Kahlan, allarmata. «È una faccenda seria, ma non è da paragonare ai rintocchi» la rassicurò Zedd. «Io e Ann non siamo proprio dei novellini e abbiamo le nostre risorse. «Richard ha bandito l'Insidia, almeno per il momento. È stata smascherata, quindi non tornerà. Andate a dormire. Fortunatamente, Jagang è stato goffo e la sua Insidia si è rivelata prima di fare dei danni seri.» Richard diede uno sguardo alla casa in fiamme. «Ma come è possibile che Jagang...» «Io e Ann abbiamo bisogno di riposo in modo da poter capire con esattezza cosa ha fatto Jagang e agire di conseguenza. È una faccenda complessa. Lasciateci fare.» Richard cinse il fianco di Kahlan e la trasse a sé, annuì, quindi si incamminò verso la casa degli spiriti posando il braccio libero sulle spalle di Zedd. 11 Richard sobbalzò svegliandola. Kahlan, che aveva dormito con la schiena contro quella del marito allontanò i capelli dagli occhi e cercò di capire quello che stava succedendo. Richard si sedette. Qualcuno stava bussando con insistenza alla porta. «Lord Rahl!» chiamò una voce ovattata. «Lord Rahl!» Non era un sogno: era Cara. Richard si infilò i pantaloni e corse alla porta. La luce del giorno inondò la stanza. «Cosa succede, Cara?» «La guaritrice mi ha mandata da voi. Zedd e Ann stanno male. Non sono riuscita a capire cosa mi diceva, ma sapevo che voleva che vi chiamassi.» Richard prese gli stivali. «Sono gravi?» «Non credo che sia una cosa seria a giudicare dal comportamento della guaritrice, ma non ho molta esperienza al riguardo. Pensavo che voleste controllare voi stesso la situazione.» «Certo. Usciamo subito.» Kahlan si stava già infilando i vestiti. Erano ancora umidi, ma almeno avevano smesso di gocciolare. «Cosa pensi che possa essere?» «Non ne ho la minima idea» rispose Richard infilandosi la maglia nera senza maniche. Chiuse la cintura intorno alla vita senza indossare gli altri vestiti. Le sostanze contenute nei borsellini della cintura erano troppo pericolose per essere lasciate incustodite. Diede un'occhiata alle sue spalle e vide Kahlan che finiva di infilare uno stivale. «Pensi che ci sia di mezzo la magia? Magari c'è qualcosa che non va per il verso giusto a causa dell'Insidia?» «Non facciamoci prendere la mano. Lo sapremo presto.» Uscirono dalla casa degli spiriti e si incamminarono con passo deciso seguiti da Cara. Aveva smesso di piovere, ma la mattina era umida e il cielo ancora coperto prometteva una giornata grigia. La lunga treccia di Cara pendeva floscia sulle spalle della Mord-Sith. Doveva essere rimasta bagnata per tutta la notte, ma Kahlan sapeva che era una vista decisamente migliore dei suoi capelli arruffati. In contrasto con l'aspetto dei capelli, l'abito di cuoio rosso di Cara sembrava pulito da poco. Quel vestito era come una bandiera per le Mord-Sith. Annunciava a tutti la loro presenza e ben poche parole avrebbero potuto esprimere la portata della minaccia insita in quell'abito. Il cuoio morbido doveva essere stato trattato con degli olii a giudicare dal modo in cui splendeva. Kahlan aveva sempre pensato che le Mord-Sith si togliessero poche volte il loro abito, visto che era tanto aderente da sembrare una seconda pelle. «Ho sentito che vi siete divertiti la scorsa notte» disse Cara lanciando loro un'occhiata accusatoria. La mascella tesa della Mord-Sith faceva capire chiaramente che non le era andato giù il fatto di non essere stata avvertita che c'erano dei guai. «Ho trovato la gallina che non era una gallina» spiegò brevemente Kahlan. Lei e Richard avevano camminato sotto la pioggia e nel fango fino alla casa degli spiriti. Avevano parlato poco di quanto era successo e quando lei gli aveva chiesto come aveva fatto a trovarla, Richard le aveva risposto che stava cercando la gallina quando aveva sentito la sua voce provenire dalla casa dei morti. Kahlan si era aspettata che lui le dicesse qualcosa riguardo alla mancanza di fede nei suoi confronti, ma non era successo. Lei gli aveva detto che le dispiaceva di non avergli creduto per tutto il giorno. Richard le aveva risposto che ringraziava gli spiriti buoni per aver vegliato su di lei, l'aveva abbracciata e le aveva dato un bacio sulla testa. In un certo senso Kahlan si sarebbe sentita meglio se lui l'avesse rimproverata. Si erano infilati sotto le coperte stanchi morti. Kahlan temeva che il ricordo freschissimo dell'avventura avuta con quell'essere non le avrebbe fatto chiudere occhio, ma si era addormentata appena aveva sentito il tocco rassicurante di Richard che le posava una mano sulla spalla. «Nessuno mi ha ancora spiegato come fate a dire che quella gallina non è una gallina» si lamentò Cara, girando l'angolo. «Non so spiegartelo» disse Richard. «C'era qualcosa che non andava. Quando ero vicino mi si rizzavano i capelli sulla nuca.» «Anche tu l'avresti capito se l'avessi vista» intervenne Kahlan. «Non ho mai visto uno sguardo tanto malvagio.» «Forse aveva bisogno di deporre l'uovo» commentò Cara, scettica. «Si è rivolta a me chiamandomi con il mio titolo.» «Ah, quello mi avrebbe fatta crollare.» Il tono di Cara divenne più serio e preoccupato. «Vi ha veramente chiamata: 'Madre Depositaria'?» Kahlan annuì. Sul volto della Mord-Sith era apparsa un'espressione carica d'ansia. «Be', a dire il vero ha solo pronunciato la parola 'Madre'. Non sono rimasta ad aspettare che finisse.» Appena furono sull'uscio della casa, Nissel si alzò dalla pelle di daino che si trovava davanti al piccolo camino. Stava scaldando una scodella di erbe aromatiche sul fuoco. Sullo scaffale a fianco del camino c'era un pezzo di tava. La guaritrice sfoderò uno dei suoi sorrisi misteriosi. «Buongiorno, Madre Depositaria. Hai dormito bene?» «Sì, Nissel, grazie. Cos'hanno Zedd e Ann?» La guaritrice lanciò un'occhiata alla tenda di cuoio che fungeva da porta per l'altra stanza e il sorriso enigmatico che aveva sulle labbra sparì. «Non sono sicura.» «Cos'hanno, allora?» domandò Richard, terminata la traduzione di Kahlan. «Febbre? Mal di stomaco? Mal di testa? Cosa?» Alzò le braccia al cielo. «Le loro teste sono cadute dalle spalle?» Nissel fissò Richard dritto negli occhi, mentre Kahlan traduceva. «È impaziente il tuo nuovo marito, vero?» disse la guaritrice, tornando a sorridere in maniera misteriosa. «È preoccupato per suo nonno. Gli vuole molto bene. Sai qual è la loro malattia?» Nissel si girò per mescolare il contenuto della ciotola. La vecchia guaritrice aveva dei modi di fare bizzarri come, per esempio, mormorare tra sé quando lavorava o dire ai pazienti di tenere in equilibrio sulla pancia dei sassi in modo che si distraessero mentre doveva cucire loro una ferita, ma Kahlan sapeva che era intelligente e conosceva bene il suo lavoro. Quella piccola donna curva aveva molta esperienza. Nissel si strinse lo scialle intorno alle spalle con una mano, si acquattò vicino alla Grazia disegnata sul pavimento e indicò una delle linee che partivano dal centro: quella che rappresentava la magia. «Penso che si tratti di questo.» Richard e Kahlan si fissarono preoccupati. «Forse potreste capire molto più in fretta qual è la situazione andando nell'altra stanza» disse Cara. «Volevamo sapere cosa aspettarci, sempre che questo non sia un problema per te» rispose Richard, irritato. Kahlan si rilassò. Cara non si sarebbe mai comportata in maniera irriverente se avesse saputo che oltre quella tenda si stava combattendo una battaglia tra la vita e la morte. Tuttavia, la Mord-Sith sapeva ben poco di magia e l'unica cosa di cui era certa riguardo all'argomento era che non le piaceva. Cara, come anche i soldati dell'esercito d'hariano, temeva la magia; I D'Hariani non smettevano mai di ripetere che loro erano l'acciaio contro l'acciaio e lord Rahl doveva essere la magia contro la magia. Faceva parte del patto stipulato dal popolo del D'Hara con i regnanti. Era come se essi credessero che proteggendo il corpo del loro monarca questi potesse proteggere le loro anime. Quel paradosso era anche una componente del legame particolare che univa le Mord-Sith a lord Rahl. Era quel legame che permetteva all'Agiel di funzionare e alle Mord-Sith di carpire la magia di una persona con il dono. Prima che Richard le liberasse dalla loro condizione, le Mord-Sith non avevano solo il compito di proteggere lord Rahl, ma dovevano anche torturare a morte i suoi avversari dotati di magia in modo da ottenere il maggior numero di informazioni utili. Le uniche in grado di contrastare le Mord-Sith erano le Depositarie. Le Mord-Sith avevano molta paura della magia, ma, in verità, erano le persone con il dono che dovevano avere più paura delle Mord-Sith. Kahlan comprendeva bene quella contraddizione apparente. Non aveva mai nascosto la sua paura per i serpenti, ma tutti le avevano sempre detto che erano i serpenti a doverla temere. Cara si mise di guardia a fianco della porta. Richard spostò la tenda e Kahlan si abbassò per entrare. Sul pavimento erano stati tracciati dei simboli magici. Kahlan sapeva che non avevano la stessa funzione della Grazie perché erano stati disegnati con il sangue. Trattenne Richard per un braccio. «Attento. Non camminare su nessuno di questi.» Indicò i simboli sul pavimento. «Servono per tenere lontani gli incauti.» Richard ubbidì. Zedd e Ann giacevano, testa contro testa, su dei lettini avvolti fino al mento in spesse coperte di lana. «Zedd» sussurrò Richard, inginocchiandosi «sei sveglio?» Kahlan si inginocchiò a fianco del marito e gli prese una mano. Ann batté le palpebre, aprì gli occhi e Kahlan le prese la mano. Zedd aggrottò la fronte come se la flebile luce delle candele gli desse fastidio agli occhi. «Sei arrivato, Richard. Bene. Dobbiamo parlare.» «Cosa succede? Sei malato? Cosa possiamo fare per aiutarvi?» I capelli di Zedd sembravano più arruffati del solito. Sebbene la luce non facesse distinguere tanto bene le rughe, il volto era sempre vecchio. «Io e Ann siamo... stanchi, ecco tutto. Siamo stanchi...» Fece spuntare un dito ossuto dal bordo della coperta e indicò i disegni sul pavimento. La pelle era tesa come l'abito di cuoio di Cara. «Diglielo» gli intimò Ann, rompendo il silenzio «o Io faccio io.» «Dirmi cosa?» Zedd posò la mano sulla coscia muscolosa di Richard e ansimò. «Ricordi la chiacchierata che avevamo fatto? Quella degli 'e se... la magia dovesse sparire?» «Certo.» «È cominciato.» Richard spalancò gli occhi. «Si tratta dei rintocchi, allora.» «No» disse Ann. «Le Sorelle dell'Oscurità.» Si asciugò il sudore dagli occhi. «Quando hanno lanciato l'incantesimo che ha portato qua... la gallina-mostro..» «L'Insidia» disse Zedd, aiutandola. «Mentre stavano evocando l'Insidia hanno dato inizio al processo di degenerazione della magia. Non so se l'hanno fatto apposta o per sbaglio.» «Non è stato uno sbaglio» rispose Richard. «Uno dei loro obiettivi è quello di far sparire la magia. È quello che vuole Jagang e le Sorelle dell'Oscurità sono al suo servizio.» Zedd chiuse gli occhi. «Allora deve essere come dici tu, ragazzo.» «Non siete riusciti a fermarlo?» chiese Kahlan. «Da come avevate parlato sembravate in grado di poterlo fare.» «Gli incantesimi di verifica che abbiamo lanciato ci sono costati molto cari.» Ann aveva un tono di voce amareggiato e Kahlan si disse che anche lei lo sarebbe stata se si fosse trovata in quelle condizioni. «Ci hanno prosciugato delle nostre forze.» Zedd alzò un braccio e lo lasciò ricadere sulla coscia di Richard. «La piaga dell'atrofia ci sta colpendo per primi, proprio perché abbiamo molto potere.» Kahlan aggrottò la fronte. «Avevate detto che prima avrebbe colpito i più deboli.» Ann ondeggiò la testa. «Perché non colpisce anche noi?» domandò Richard. «Il potere di Kahlan è molto forte e io ho il dono.» Zedd agitò una mano in aria. «No, no. Non funziona in quel modo. È cominciata con noi. Con me, in particolare. Ann è in condizioni migliori delle mie.» «Non confonderli» lo rimproverò Ann. «È troppo importante.» Raccolse un po' di forze e continuò. «Presto o tardi anche il potere di Kahlan comincerà a degenerare, Richard. Lo stesso accadrà con te, solo che tu non di- pendi quanto noi dal tuo potere.» «Kahlan perderà la magia delle Depositarie» confermò Zedd «e lo stesso accadrà a tutti coloro che hanno il dono. Lei rimarrà indifesa e dovrà essere protetta.» «Non sono del tutto indifesa» obiettò Kahlan. «Ma ci deve essere un modo per contrastare la degenerazione. La scorsa notte mi hai detto che avevi ancora delle risorse a cui attingere.» Richard strinse i pugni. «Avevi detto che eri in grado di contrastarla. Devi essere in grado di fare qualcosa!» Ann alzò un braccio a fatica e diede un buffetto sulla testa di Zedd. «Vuoi dirglielo, vecchio? O aspetti che gli venga un colpo apoplettico e non ci possa più aiutare?» Richard si sporse in avanti. «Posso aiutarvi? Cosa posso fare? Dite e sarà fatto.» Zedd si sforzò di sorridere. «Sapevo di poter contare su di te Richard. Sempre.» «Cosa possiamo fare?» domandò Kahlan. «Contate pure su di noi.» «Vedete, sappiamo cosa fare, ma non possiamo riuscirci da soli.» «Allora vi aiuteremo noi» insisté Richard. «Cosa vi serve?» Zedd prese fiato a fatica. «Nel Mastio.» Kahlan sentì una scintilla di speranza balenare in lei. La sliph avrebbe risparmiato loro settimane di viaggio. Avrebbero potuto raggiungere la loro destinazione in meno di un giorno. Zedd ansimò, sembrava non sentisse più nessuno. Richard si premette i pollici e i medi contro le tempie. Si sentiva frustrato. Posò una mano sulla spalla di Zedd e lo scosse con delicatezza. «Cosa possiamo fare per aiutarvi, Zedd? Cosa c'è nel Mastio del Mago che può essere utile?» Il vecchio mago deglutì. «Nel Mastio. Sì.» Richard fece un secondo respiro tremante, cercando di mantenere un tono di voce calmo e rassicurante. «Va bene. Nel Mastio. Ho capito. Cosa vuoi dirmi riguardo al Mastio, Zedd?» Zedd deglutì a fatica. «Acqua.» Kahlan mise una mano sulla spalla di Richard, quasi come se volesse impedirgli di scattare. «La vado a prendere io.» Nissel era sulla porta e le passò una coppa fumante. «Dagli questo. Ho appena finito di cuocerlo. È meglio dell'acqua. Gli darà forza.» «Grazie, Nissel.» Kahlan si sbrigò ad avvicinare la coppa alle labbra di Zedd. Il mago ne ingollò qualche sorso, dopodiché Kahlan ripeté l'operazione con Ann, che la svuotò del tutto. La guaritrice fece capolino da dietro la spalla di Kahlan con un pezzo di pane che sembrava spalmato di miele lievemente aromatizzato alla menta e le sussurrò di farlo mangiare ai due malati. «Ecco, Zedd» disse Kahlan «mangia un pezzo di pane con il miele.» Zedd allontanò il pezzo di pane dalla bocca. «Più tardi, forse.» Kahlan e Richard si lanciarono una rapida occhiata di sottecchi. Era incredibile che Zedd rifiutasse del cibo. Cara doveva aver pensato che non fosse nulla di serio perché aveva visto Nissel calma ma, se la vecchia guaritrice non sembrava scossa dalle condizioni del mago, la preoccupazione di Kahlan e Richard aumentava con il passare dei secondi. «Zedd» lo incalzò Richard «cosa c'è nel Mastio?» Il mago aprì gli occhi e Kahlan ebbe l'impressione che avessero un'espressione più viva. Zedd afferrò un polso di Richard. «Credo che il tè mi stia aiutando. Ancora.» Kahlan si girò verso la guaritrice. «Dice che sta facendo effetto e ne vorrebbe altro.» Nissel assunse un'espressione quasi oltraggiata. «Certo che fa effetto. Cosa credeva che gli avessi dato?» Scosse la testa e si recò nella stanza attigua per preparare altro tè. Kahlan era sicura che Zedd fosse più sveglio. «Ascoltami attentamente, ragazzo mio» disse Zedd alzando un dito per porre maggiore enfasi sulle sue parole. «Nel Mastio c'è un incantesimo di grande potere. Una sorta di antidoto in bottiglia in grado di eliminare questa piaga.» «E ne hai bisogno?» azzardò Richard. «Abbiamo cercato di lanciare dei contro incantesimi» si intromise Ann. Il tè sembrava aver ridato parte delle forze anche a lei. «Purtroppo i nostri poteri si erano già molto deteriorati e non siamo riusciti a scoprire in tempo quello che stava succedendo.» «L'incantesimo contenuto in quella bottiglia è una sorta di vapore in grado di farci guarire» biascicò Zedd. «E restituirvi i vostri poteri in modo che possiate lanciare un contro incantesimo» terminò Richard, impaziente. «Sì» confermarono Zedd e Ann, all'unisono. Kahlan sorrise. «Non c'è nessun problema, allora. Possiamo prendere la bottiglia per voi.» Anche Richard sorrise. «Possiamo arrivare direttamente nel Mastio grazie alla sliph. Possiamo prendere la bottiglia e tornare indietro in un batter d'occhio.» Ann si coprì gli occhi con una mano e borbottò un'imprecazione. «Non gli hai proprio insegnato niente, vero Zedd?» Richard smise di sorridere. «Perché? Cosa c'è che non va nella mia idea?» Nissel entrò nella stanza portando due coppe di tè. «Devono berlo tutto.» «Nissel dice che dovete berlo tutto» tradusse Kahlan. Ann lo sorseggiò lentamente, aiutata da Kahlan. Zedd arricciò il naso, ma Richard lo costrinse a bere. Il mago tossì come se fosse stato costretto a bere o annegare. «Quale sarebbe il problema che ci impedirebbe di prendere quell'incantesimo dal Mastio?» chiese Richard, mentre il nonno riprendeva fiato. «Prima di tutto non c'è bisogno che tu lo porti qua. Devi rompere la bottiglia e l'incantesimo verrà liberato. Non ha bisogno di essere orientato, sa già quello che deve fare.» «Posso rompere una bottiglia» assicurò Richard. «Ascoltami bene, figliolo. La bottiglia è protetta dalla magia e può essere infranta solo da un oggetto che possieda la magia adatta. Solo così l'incantesimo potrà fare effetto, altrimenti evaporerà e basta.» «Quale oggetto? Come bisogna fare per rompere la bottiglia correttamente?» «Devi usare la Spada della Verità. È l'unica che possieda la magia adatta per rompere il contenitore senza intaccare l'efficacia dell'incantesimo.» «Questo non è un problema. Ho lasciato la spada nei tuoi alloggi privati del Mastio. Ma la degenerazione della magia non colpirà anche la spada?» «No. La Spada della Verità è stata creata da maghi che avevano la conoscenza per impedire che la sua magia venisse intaccata.» «Quindi, tu credi che la Spada della Verità possa fermare un'Insidia?» Zedd annuì. «No so molto al riguardo, ma io credo che la Spada della Verità sia l'unico oggetto che abbia il potere di proteggerti.» Zedd avvicinò il nipote afferrandolo per la maglia. «Devi andare a riprendere la spada.» Richard gli fece capire con un cenno che non doveva preoccuparsi al riguardo. Zedd cercò di sollevarsi su un gomito, ma il nipote gli posò una mano sul petto. «Ti alzerai solo dopo che ti sarai ripreso. Dov'è la bottiglia con l'incantesimo?» Zedd fissò un punto dietro Kahlan e Richard e aggrottò la fronte. I due si girarono a guardare, ma videro solo Cara intenta a sorvegliare la porta e quando si girarono videro Zedd appoggiato su un gomito con un ghigno trionfante sulle labbra. Richard gli lanciò un'occhiata severa. «Adesso devi ascoltarmi attentamente, ragazzo mio. Mi hai detto che sei entrato nei miei appartamenti al Mastio, giusto?» Richard annuì e Zedd riprese a parlare. «Ti ricordi com'era quel posto?» Richard annuì nuovamente. «Bene. C'è una entrata lungo la quale sono disposti degli oggetti.» «Mi ricordo. Una lunga entrata con un tappeto rosso sul pavimento. Ai due lati ci sono delle colonne alte quasi quanto me sopra le quali ci sono degli oggetti. Alla fine...» «Perfetto.» Zedd alzò una mano per interromperlo. «Ti ricordi gli oggetti che sono in cima alle colonne di marmo bianco?» «Solo alcuni. Ci sono catene d'oro, spille tempestate di gemme, un calice d'argento, dei coltelli di ottima fattura, scodelle, scatole.» Richard fece una pausa per cercare di ricordare tutto ciò che aveva visto. Dopo qualche secondo schioccò le dita. «In cima alla quinta colonna sulla sinistra c'è una bottiglia. Me la ricordo perché mi era sembrata particolarmente bella. Una bottiglia nero inchiostro con un tappo dorato.» Un sorriso mesto apparve sul volto di Zedd. «Bene ragazzo. È quella.» «Cosa devo fare? Romperla con la Spada della Verità e basta?» «Esatto.» «Non devo fare niente di strano? Niente incantesimi? Non devo metterla in un posto particolare in una certa direzione? Non devo aspettare la luna giusta? Non c'è un momento particolare del giorno o della notte? Non devo girarla prima? Niente di strano?» «Niente di strano» confermò Zedd. «Devi solo romperla con la spada. Io la poserei sul pavimento per non sbagliare mira e farla cadere dalla colonna rompendola, ma tu sai come maneggiare la spada.» «Va bene il pavimento. L'appoggio sul pavimento e la spezzo con la spada.» Richard fece per alzarsi. «Sarà fatto prima dell'alba di domani.» Zedd lo prese per mano e lo fece sedere. «No, non puoi» disse con un sospiro. «Perché?» chiese Richard. Zedd prese fiato. «Non puoi usare la sliph.» «Ma devo» insisté Richard. «Ci impiegherò meno di un giorno. Se dovessi viaggiare via terra ci impiegherei... non lo so. Settimane!» Il mago indicò il nipote con un dito. «La sliph ricorre alla magia. Se en- trerai nella sliph morirai prima ancora di raggiungere Aydindril. Annegherai dentro quella creatura e nessuno troverà più il tuo corpo.» Richard si leccò le labbra e si passò una mano tra i capelli. «Sei sicuro? Potrei farcela prima del decadimento totale della magia. È una questione molto importante. Dobbiamo essere disposti a correre dei rischi. Andrò da solo. Vi lascerò con Kahlan e Cara.» Il pensiero di Richard imprigionato nella sliph mentre la magia scompariva fece rabbrividire Kahlan. Stava per protestare, ma Zedd l'anticipò. «Ascoltami bene, Richard. Ti parlo in qualità di Primo Mago: la magia sta degenerando. Se prenderai la sliph tu morirai. Forse no, ma la magia sta svanendo. Devi agire senza ricorrere alla magia.» Richard premette le labbra insieme e annuì. «Va bene, farò quello che devo. Ci vorrà molto tempo. Quanto tempo credi che potrete resistere tu e Ann...?» Zedd sorrise. «Siamo troppo deboli per viaggiare altrimenti saremmo venuti con voi, ma stiamo bene. Vi rallenteremmo e basta. Quei simboli tracciati sul pavimento ci faranno sapere immediatamente quando avrai liberato l'incantesimo e allora lanceremo il contro incantesimo. «Fino ad allora il Mastio del Mago sarà vulnerabile. Chiunque potrebbe rubare degli oggetti pericolosissimi una volta che la magia degli scudi dovesse scomparire. Dopo aver ripristinato la magia le cose rubate potrebbero essere usate contro di noi.» «Hai idea di quando gli scudi del Mastio potrebbero cominciare a cedere?» Zedd scosse la testa, frustrato. «Questo è un fatto senza precedenti. Non so in che modo spariranno, ma so che accadrà. Abbiamo bisogno che tu rimanga al Mastio per proteggerlo. Io e Ann ti raggiungeremo dopo che avremo finito qua. Contiamo su di te. Puoi farlo per me, ragazzo?» Richard gli prese la mano e disse: «Certo.» Aveva gli occhi lucidi. «Promettimi che andrai al Mastio, Richard.» «Promesso.» «Se non lo farai» lo mise in guardia Ann parlando a bassa voce «l'ottimismo di Zedd potrebbe dimostrarsi... inutile.» Il mago aggrottò la fronte. «Ann, stai facendo sembrare la cosa...» «Dimmi che sono una bugiarda, se ci riesci.» Zedd si coprì gli occhi con un braccio e rimase in silenzio. Ann inclinò la testa in modo da poter vedere Richard. «Sono stata abbastanza chiara?» «Sì» rispose lui. Zedd allungò una mano per cercare quella di Richard. «C'è un altro punto importante, Richard. Non cavalcare a rotta di collo fino ad Aydindril, chiaro?» Il nipote sorrise. «Ho capito. Più facile arrivare a destinazione viaggiando rapidamente che in maniera sconsiderata.» Zedd si sforzò di ridere. «Allora mi ascoltavi quando eri bambino.» «Sempre.» «Bene, continua ad ascoltarmi. Se ci riesci è meglio che tu non faccia mai ricorso al fuoco. L'Insidia potrebbe usarlo per trovarti.» «Come?» «Crediamo che l'incantesimo possa muoversi seguendo la luce del fuoco. È stato mandato per te quindi non usare il fuoco. «Stai attento all'acqua. Se devi guadare un fiume usa un ponte. Non importa se dovrai allungare il viaggio di giorni. Attraversa i torrenti su un tronco, con una corda, oppure saltando.» «Mi stai dicendo che se ci avviciniamo all'acqua corriamo il rischio di fare la fine di Juni?» «Già. Mi dispiace di renderti il tutto ancora più difficile, ma è una faccenda complicata. L'Insidia sta cercando di prenderti. Saremo tutti al sicuro solo quando avrai raggiunto il Mastio e rotto la bottiglia.» Richard sorrise. «Be', risparmieremo molto tempo perché non dovremo raccogliere legna o lavarci.» Zedd ridacchiò a sua volta. «Buon viaggio, Richard. E tu, Cara, veglia su di lui.» Prese la mano di Kahlan. «Buon viaggio anche a te, nipote mia. Ti voglio bene. Fate attenzione tutti quanti. Ci rivedremo ad Aydindril dove potremo finalmente stare insieme in pace. Aspettateci al Mastio.» Kahlan gli prese una mano e trattenne le lacrime. «Ti aspetteremo e saremo presto una famiglia.» «Buon viaggio a tutti» augurò Ann. «Che gli spiriti buoni possano vegliare continuamente su di voi. La nostra fede e le nostre preghiere vi seguiranno.» Richard fece per alzarsi, poi si fermò come se stesse pensando a qualcosa. «Zedd» disse, calmo «sono cresciuto senza sapere che tu eri mio nonno, ma... non ho mai saputo.» Giocherellò con un pezzo di paglia che spuntava dal letto. «Non ho mai saputo nulla di mia nonna. Mamma non ne parlava quasi mai... solo qualche parola qua e là. Com'era la nonna, tua moglie?» Zedd distolse lo sguardo e una lacrima gli solcò le guance. Si schiarì la gola. «Erilyn era una... donna stupenda. Anch'io un tempo avevo una moglie fantastica, proprio come la tua. «Erilyn fu catturata da un quadrato mandato dal tuo nonno paterno, Panis Rahl quando tua madre era molto giovane. Tua madre vide tutto quello che fecero a tua nonna... La trovai agonizzante e cercai di curarla, purtroppo la magia attivò l'incantesimo che il nemico le aveva lanciato contro, uccidendola. Era stato il mio tocco da guaritore a farlo. Tua madre vide tutto, ecco perché non riusciva a parlarne tanto.» Dopo qualche istante di tristezza, Zedd si girò verso il nipote con un sorriso colmo di gioia. «Era bellissima, aveva gli stessi occhi tuoi e di tua madre. Era in gamba come te e le piaceva ridere. Sappilo. Le piaceva ridere.» Richard sorrise e si schiarì la gola. «Allora non c'è dubbio, aveva sposato la persona giusta.» «Proprio così» confermò Zedd. «Adesso fate i bagagli e partite per Aydindril così potrete mettere a posto tutta questa faccenda. «Quando saremo di nuovo tutti nella capitale ti parlerò di Erilyn... tua nonna. Non ho mai potuto farlo prima.» Sorrise. «Parleremo della famiglia.» 12 «Fetch! Vieni qua, ragazzo! Fetch!» Gli uomini risero di gusto e le donne sghignazzarono. Fitch desiderò ardentemente che il suo volto non diventasse rosso come i capelli ogni volta che mastro Drummond lo prendeva in giro rivolgendosi a lui con quell'epiteto. Lasciò la spazzola nel calderone incrostato e andò a vedere cosa voleva il capo cuciniere. Passò correndo vicino a uno dei lunghi tavoli della cucina e urtò con un gomito una brocca che qualcuno aveva messo vicino al bordo. Afferrò il recipiente blu cobalto un attimo prima che si infrangesse sul pavimento. Tirò un sospirò di sollievo e lo mise vicino a una pila di trecce di pane. Sentì che il capo cuciniere urlava nuovamente il suo nome. Fitch si fermò di fronte a mastro Drummond tenendo gli occhi bassi... non voleva che gli dessero uno schiaffo sulla testa perché sembrava non voler stare agli scherzi. «Sì, mastro Drummond?» Il corpulento capo cuciniere si asciugò le mani con lo strofinaccio che teneva appeso dietro la cintura. «Fitch, tu devi essere lo sguattero più goffo che io abbia mai visto.» «Sì, signore.» Mastro Drummond si alzò in punta di piedi per guardare da una finestra interna. Qualcuno, che stava imprecando per essersi bruciato con una pentola bollente, arretrando doveva aver fatto cadere un oggetto metallico vicino al forno del pane. Il capo cuciniere non disse nulla e Fitch capì che si trattava di uno degli sguatteri haken. Mastro Drummond indicò una porta. «Va' a prendere della legna. Abbiamo bisogno di quercia e qualche ceppo di melo per dare sapore alle costolette.» «Quercia e melo. Certo, signore.» «Prima di andare metti un calderone da quattro palmi sul fuoco. Sbrigati con la quercia.» «Sì, signore» ubbidì Fitch. I ceppi di quercia usati per il camino degli arrosti erano grossi e lo riempivano di schegge. Le schegge di quercia erano le peggiori e l'avrebbero perseguitato per giorni e giorni. Fortunatamente il legno di melo non dava problemi. Sarebbe stata una cosa lunga. «E guarda se arriva il carro del macellaio. Dovrebbe essere qua a momenti. Se Inger arriva in ritardo gli spezzo il collo.» Fitch sollevò la testa di scatto. «Il carro del macellaio?» Non osava chiedere quello che veramente stava pensando. «Volete che lo scarichi, signore?» Mastro Drummond piantò i pugni sui fianchi. «Non mi dirai che incominci a pensare, Fitch?» Le donne che stavano cucinando il sugo ridacchiarono. «Certo che dovrai scaricarlo! E se fai cadere qualcosa come è successo l'ultima volta ti arrostisco il sedere.» Fitch fece due inchini. «Sì, mastro Drummond.» Mentre arretrava Fitch si fece da parte per far passare la lattaia che portava un pezzo di formaggio a mastro Drummond affinché lo esaminasse. Una delle donne che stavano cucinando il sugo afferrò Fitch per una manica prima che potesse uscire. «Dove sono le schiumaiole che ti avevo chiesto?» «Arrivano, Gillie. Appena ho finito di...» La donna lo prese per un orecchio. «Non trattarmi con condiscendenza» ringhiò Gillie, torcendogli l'orecchio. «Quelli come te non possono fame a meno, vero?» «No, Gillie... non stavo... lo giuro. Ho molto rispetto per gli Ander. Ogni giorno mi sforzo di tenere a freno la mia natura spregevole affinché non ci sia spazio nel mio cuore e nella mia mente per l'odio o il disprezzo. Prego sempre il Creatore affinché mi dia la forza di trasformare la mia anima impura o che mi faccia bruciare in eterno se dovessi fallire» recitò. «Vado subito a prendere le schiumaiole, Gillie.» La donna gli diede un ceffone sulla testa. «Va' e sbrigati.» Fitch corse alla rastrelliera dove erano appese ad asciugare le schiumaiole massaggiandosi l'orecchio. Ne prese qualcuna e le porse a Gillie con il massimo rispetto di cui era capace, conscio del fatto che mastro Drummond lo stava sicuramente osservando con la coda dell'occhio. Era indubbio che il capo cuciniere stesse pensando di picchiarlo: se avesse portato le schiumaiole alla cuoca quando lei gliele aveva chieste, avrebbe appeso il calderone e portato dentro la legna senza ulteriori ritardi. Fitch fece un inchino e porse le schiumaiole. «Spero che tu partecipi a un'altra assemblea di penitenza questa settimana» disse Gillie, strappandogli gli utensili di mano. «Quante umiliazioni subiamo noi Ander a causa vostra» borbottò, scuotendo il capo, mesta. «Sì, Gillie, devo partecipare a una riunione in più, hai ragione. Grazie per avermelo ricordato.» La donna sbuffò sprezzante e tornò al suo lavoro. Fitch si vergognò di aver permesso alla sua natura malvagia di aver angustiato un Ander e corse dagli altri sguatteri per aiutarli a sollevare un pensante calderone. Morley si unì a loro. Pur di togliere le braccia dall'acqua bollente, quel ragazzo era disposto a compiere lavori molto faticosi. Morley, al contrario di Fitch, era un ragazzo robusto e per lui non era un problema spostare il calderone metallico. Morley sorrise con fare cospiratore. «Un grande avvenimento, stasera. Sai cosa vuol dire?» Fitch rispose con un sorriso. Tutti quegli invitati avrebbero riso, urlato, cantato, mangiato e bevuto. Con tutto quel via vai di persone il vino e la birra sarebbero corsi a fiumi e ci sarebbero state parecchie bottiglie e un numero incredibile di bicchieri mezzi pieni. «È uno dei vantaggi di lavorare per il ministro della Cultura» disse Fitch. Morley aveva i muscoli del collo tesi mentre finivano di appoggiare il calderone a terra. «Allora è meglio che tu mostri più rispetto nei confronti degli Ander, altrimenti non avrai nessun vantaggio. Niente più cibo per riempire la pancia o un tetto sopra la testa.» Fitch annuì. Non aveva avuto nessuna intenzione di essere irrispettoso: tutto ciò che aveva lo doveva agli Ander. Pur sapendo che erano la sua insensibilità e la sua ignoranza che lo portavano a trarre determinate conclusioni e che era lui l'unico ad avere tutte le colpe, di tanto in tanto gli capitava di pensare che gli Ander si offendessero con troppa facilità. Appesero il calderone sul fuoco e Fitch roteò gli occhi e fece penzolare la lingua di lato, fuori dalla bocca, facendogli capire che quella sera avrebbero bevuto fino a svenire. Morley spostò il ciuffo di capelli rossi che gli era sceso sulla fronte e simulò un singulto da ubriaco prima di tornare a immergere le braccia nell'acqua e sapone. Fitch uscì sorridendo dalla porta posteriore per andare a prendere la legna. Le piogge cadute nei giorni passati si erano spostate a est e l'aria era pervasa dall'odore fresco e piacevole della terra umida. I giorni di primavera sembravano essere caldi. In lontananza i campi di grano ancora verde brillavano al sole. Il vento, che in quel momento faceva muovere le nuvole nel cielo, a volte spirava da sud portando l'odore del mare. Il ragazzo controllava la strada ogni volta che tornava a prendere altra legna, ma del carro del macellaio non c'era neanche l'ombra. Quando finì di portare i ceppi di quercia il suo abito era umido di sudore, ma, stando attento, si era conficcato solo un scheggia nel pollice. Stava cominciando a prendere la legna di melo quando sentì lo scricchiolio di un carro che si avvicinava. Cercò di togliersi la scheggia afferandone l'estremità con i denti, lanciò un'occhiata di sottecchi al viale alberato della tenuta e vide Brownie, il cavallo da tiro del macellaio, che si avvicinava trottando. Non riuscì a distinguere il conducente perché il mezzo era ancora troppo lontano. Oltre al carro del macellaio stavano arrivando anche quelli con le altre provviste e molte altre persone: studenti che si recavano in visita alla biblioteca di Anderith, servitori che portavano dei documenti e un certo numero di persone che indossavano abiti eleganti. La prima volta che Fitch si era recato in quel luogo era rimasto a bocca aperta. Era un palazzo gigantesco. Sapeva che quella sarebbe stata la sua nuova casa e che avrebbe dovuto imparare un nuovo lavoro per guadagnarsi da vivere. Era intimidito da tutto e tutti. Sua madre gli aveva detto che lavorando duramente e con un po' di fortuna avrebbe mangiato ogni giorno e dormito sotto un tetto sicuro. Si era raccomandata affinché seguisse i consigli di chi era meglio di lui e che facesse quello che gli veniva detto anche se le regole da seguire, a volte, potevano essere dure. Non importava niente se i suoi compiti sarebbero stati onerosi, egli avrebbe dovuto portarli a termine senza commentare e, soprattutto, senza lamentarsi. Fitch non aveva un padre, uno che conoscesse, almeno, ma più di una volta aveva visto degli uomini che pensava volessero sposare la madre. Lei viveva in una stanza che le passava il suo datore di lavoro, un mercante di nome Ibson. La casa del signor Ibson era in città. La madre di Fitch lavorava in cucina e poteva cucinare di tutto. Era sempre troppo impegnata per stare dietro al figlio e quando lui non era alle riunioni di penitenza, lei lo portava con sé per poterlo tenere sott'occhio. Era stato in casa Ibson che Fitch aveva imparato a girare gli spiedi, a passare gli utensili da cucina, a lavare le stoviglie più piccole, a spazzare il cortile e, molto spesso, a pulire le stalle dove erano tenuti i cavalli da tiro per i carri. Sua madre era sempre stata buona con lui e Fitch sapeva che si preoccupava per il suo futuro. Non era come gli altri uomini che di tanto in tanto andavano a trovare la madre. Essi ritenevano che Fitch fosse un fastidio e basta. Alcuni di loro, quelli che volevano stare soli con sua madre, aprivano la porta della stanza e lo buttavano fuori. Sua madre avrebbe voluto impedirlo, ma era troppo timida per farlo. Quando succedeva lui dormiva sulla porta che dava in strada, sotto una scala o dai vicini, se questi avevano voglia di farlo entrare. A volte, quando pioveva, gli stallieri del signor Ibson gli permettevano di dormire nella stalla. A Fitch piaceva stare con i cavalli anche se doveva sopportare le mosche, ma gli insetti erano sempre meglio che essere trovato da solo dai ragazzi di etnia ander. Al mattino dopo gli uomini che erano stati con la madre uscivano presto per andare al lavoro e Fitch tornava nella stanza dove la madre gli dava qualcosa da mangiare che aveva portato via dalla cucina. Sua madre voleva che lui diventasse un commerciante, ma lei non conosceva nessuno che l'avrebbe preso come aiutante o apprendista. Passati circa quattro anni da quando la madre era entrata a lavorare in quella casa, il signor Ibson aveva trovato a Fitch un lavoro nelle cucine del palazzo che 'ospitava il ministero della Cultura poco distante da Fairfield, la capitale. Era giunto il momento che anche lui cominciasse a guadagnarsi da vivere come tutti. Appena arrivato alla tenuta, un funzionario aveva illustrato a Fitch e ad altri ragazzi quali erano le regole della casa. Gli venne detto dove avrebbe dormito e gli spiegarono i suoi compiti. Il funzionario aveva affermato in tono grave che essi lavoravano nel ministero della Cultura, era proprio in quel palazzo che il ministro controllava e dirigeva quasi tutti gli aspetti della vita di Anderith. Quella tenuta era anche casa sua. La carica di ministro della Cultura era seconda solo a quella del sovrano. Fitch aveva creduto che la madre l'avrebbe mandato a lavorare nelle cucine di qualche mercante e non si era aspettato di finire al servizio di una persona tanto importante. Si era sentito immensamente orgoglioso e solo dopo aveva scoperto che si trattava di un lavoro molto duro. Non era niente di eclatante, ma Fitch era contento che lui, un Haken, potesse lavorare nella casa del ministro. Gli avevano detto che in quel ministero venivano scritte le leggi che regolavano la vita del loro regno in modo che la cultura di Anderith fosse esemplare, e che facevano rispettare i diritti di tutti. Fitch non capiva bene a cosa servisse il ministero della Cultura e si chiedeva come mai c'era sempre un via vai continuo di persone. Non riusciva a comprendere il bisogno di tante leggi, per lui ciò che era giusto era giusto e ciò che era sbagliato era sbagliato. Una volta aveva chiesto delle spiegazioni a un Ander e questi gli aveva risposto che le ingiustizie venivano scoperte in continuazione e bisognava che le cose fossero messe a posto. Fitch continuava a non capire, ma non aveva detto più niente perché, già dalla prima domanda, l'Ander aveva cominciato a fissarlo in cagnesco. Non riuscendo a togliere la scheggia con i denti, si piegò in avanti per prendere un ramo di melo continuando a fissare il carro del macellaio. Uno degli stranieri che si stava avvicinando, un uomo muscoloso con indosso una divisa militare che non seppe riconoscere, indossava un mantello che a un primo esame sembrava ricoperto di scalpi. Sulle dita dell'uomo spiccavano degli anelli di cuoio sui quali erano state applicate delle borchie. Anche le bande di cuoio intorno ai polsi e agli avambracci, gli stivali e, per sommo stupore di Fitch, il lobo di un orecchio e il naso erano ornati con delle borchie argentee. Lo straniero portava appese alla cintura delle armi che Fitch non aveva mai immaginato neanche nel peggiore dei suoi incubi. Appesa a un gancio sul fianco destro c'era un'ascia. Le grosse lame a forma di corno si incurvavano verso l'alto fino quasi a toccarsi. Una palla piena di punte pendeva da una catena attaccata a un manico di legno annerito dagli anni e dall'uso. All'altra estremità del manico spiccava una lunga punta, simile a un artiglio d'argento. La chioma di capelli scuri che ricadeva sul collo taurino, grosso quasi quanto la vita di Fitch, lo facevano sembrare un Ander, ma le folte sopracciglia smentivano la prima impressione. Il ragazzo sentì lo stomaco che si chiudeva. Anche da lontano la vista di quell'uomo gli metteva paura. Lo straniero passò vicino al carro del macellaio, lanciò una lunga occhiata alla persona che si trovava a cassetta sull'altro lato di Brownie, quindi, dopo qualche attimo riportò la sua attenzione sulle finestre del palazzo, scrutandole con foschi intenti. 13 Sapendo che aveva altro da fare che aspettare l'arrivo del carro, Fitch si sbrigò a raccogliere dei ceppi di legno di melo e tornò dentro. A causa della fretta li fece cadere dentro il secchio senza pensare, ma i rumori della cucina coprirono il fracasso del legno che batteva sul fondo del secchio. Qualche ceppo cadde fuori. Stava per lasciarlo dove si trovava, ma appena vide che mastro Drummond non era lontano decise di rimetterlo a posto. Corse fuori con il fiato corto e il cuore che gli martellava nel petto per vedere chi stava conducendo il carro del macellaio. Era lei. Fitch si strofinò le mani osservando Brownie che girava. La scheggia si piegò sotto la pelle provocandogli una smorfia di dolore. Imprecò sottovoce, quindi chiuse la bocca nella speranza che lei non l'avesse sentito. Si avvicinò al carro scuotendo la mano nella speranza di alleviare il dolore. «Buongiorno, Beata.» La ragazza si limitò a lanciargli una breve occhiata. «Fitch.» Il ragazzo pensò che doveva dire qualcosa, ma non gli veniva in mente nulla d'interessante. Rimase in piedi, muto, mentre la ragazza schioccava la lingua per far arretrare Brownie. Tenne una mano sulla catena e l'altra sul collo della bestia per rassicurarla mentre camminava all'indietro. Fitch avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di essere sfiorato da quel tocco gentile. La brezza estiva arruffava i corti capelli rossi della ragazza, tanto morbidi e lucenti, che le carezzavano la base del collo. Fitch attese a fianco del carro terrorizzata all'idea di dire qualcosa di stupido e indurre così Beata a crederlo uno scemo. Lui pensava molto spesso alla ragazza, ma era convinto che lei non facesse altrettanto e il fatto che potesse considerarlo uno sciocco era un pensiero insopportabile. Se avesse avuto qualcosa di interessante da raccontare o qualcosa che inducesse Bea- ta a pensare bene di lui... «Cos'hai alla mano?» gli chiese la ragazza, con indifferenza. La vicinanza con la ragazza lo paralizzò. Il vestito blu scuro la fasciava come un guanto mettendo in evidenza il petto a tal punto che Fitch deglutì per riprendere fiato. Dei bottoni di legno consumato spiccavano sulla parte frontale dell'abito. Intorno al collo spiccava una catenella chiusa da un semplice fermaglio. Era un vestito vecchio: anche lei, dopotutto, era una Haken e non meritava nulla di meglio. Anche se i bordi del vestito cominciavano a sfrangiarsi in alcuni punti, Beata era comunque bellissima. La ragazza sospirò impaziente e gli prese la mano. «Non è niente... è solo una scheggia» balbettò Fitch. Beata gli pizzicò la pelle per capire quanto fosse andata in profondità la scheggia. Fitch rimase stupito nel sentire che la mano di Beata era così calda. Il ragazzo si rese conto con orrore di avere le mani più pulite di lei perché le aveva tenute immerse a lungo nell'acqua e sapone per pulire le pentole. Temeva che Beata pensasse a lui come a un fannullone. «Stavo lavando le pentole» spiegò. «Poi mi hanno detto di portare la legna. Molti ceppi pesanti. Ecco perché sono sudato.» Beata prese un ago dal vestito senza dire una parola e la scollatura si aprì un po' rivelando la base del collo. Fitch rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto così tanto di quella ragazza. Non era degno del suo aiuto, tantomeno era degno di guardarle in quel modo il collo, quindi distolse lo sguardo. Fitch sussultò nel sentire la punta dell'ago che sondava la pelle. La ragazza aggrottò la fronte, mormorò delle scuse e continuò a cercare di estrarre la scheggia. Fitch piegò le dita dei piedi per non fare delle smorfie di dolore. Sentì uno strattone deciso e doloroso. Beata controllò rapidamente la scheggia che aveva estratto, la gettò via e tornò a chiudere la scollatura con l'ago. «Vai» gli disse girandosi verso il carro. «Grazie, Beata.» La ragazza annuì. «Sei stata molto gentile. Devo aiutarti a scaricare il carro» disse seguendola. Fitch tirò una grosso quarto di bestia fino al bordo del carro, si chinò e lo mise sulla spalla. Era così pesante da piegargli le ginocchia. Quando riuscì a sollevarlo si girò e vide Beata che stava dirigendosi verso le cucine tenendo un grosso cesto pieno di pollame con una mano e una costata di montone sull'altra spalla senza sforzo apparente. Dentro, Judith disse a Fitch di controllare tutto quello che era stato mandato dal macellaio. Il ragazzo fece un inchino promettendo che l'avrebbe fatto, ma dentro di sé rabbrividì. Quando tornarono al carro, Beata spuntò la merce per lui battendo la mano su ogni articolo e pronunciandone il nome ad alta voce, perché sapeva che Fitch non era capace di leggere e aveva imparato a memoria la lista. Si preoccupò che tutto fosse chiaro. C'era carne di maiale, montone, bue, arrosto, tre vasi di midollo, sei otri pieni di sangue fresco, un barilotto di interiora di maiale per i ripieni, due dozzine di oche, una cesta di colombi e, compreso quello che aveva già portato dentro, tre ceste di pollame. «Sapevo che li avevo messi...» Beata spostò i polli in cerca di qualcosa. «Eccoli» disse. «Per un momento ho avuto paura di non averli portati. Il ministro della Cultura vuole sempre i passeri ai suoi banchetti.» Fitch si accorse di essere arrossito. Tutti sapevano che i passeri e le loro uova funzionavano da afrodisiaco e lui si chiedeva come si potesse avere bisogno di afrodisiaci. Quando Beata lo fissò negli occhi per vedere se li aveva aggiunti alla sua lista mentale, provò la sensazione pressante di dover dire qualcosa... qualsiasi cosa... pur di cambiare soggetto. «Pensi mai che saremo assolti dai nostri crimini ancestrali diventando puri di cuore come gli Ander, Beata?» La ragazza aggrottò la fronte. «Siamo Haken. Non potremo mai raggiungere la perfezione degli Ander. Le nostre anime sono corrotte e incapaci di essere pure, mentre le loro anime sono pure e impossibili da corrompere. Non saremo mai del tutto mondi, l'unica nostra speranza è quella di riuscire a controllare la nostra natura abbietta.» Fitch conosceva la risposta bene quanto la ragazza; ponendola in quel momento molto probabilmente era passato come un ignorante patentato. Non era mai stato capace di spiegare bene a parole quello che pensava. Lui voleva pagare il suo debito... guadagnarsi l'assoluzione... e il suo nome da signore. Erano pochi gli Haken che avevano avuto quel privilegio. Non avrebbe potuto fare quello che voleva finché non avesse raggiunto quell'obbiettivo. Lasciò penzolare la testa mentre cercava di porre rimedio. «Ma, io volevo dire... dopo tutto questo tempo avremo pur imparato qualcosa dagli errori commessi dai nostri antenati, giusto? Non vorresti avere la possibilità di poter dire la tua sulla tua vita?» «Sono una Haken, non sono degna di poter decidere del mio destino. Dovresti sapere che i tuoi argomenti portano inevitabilmente al male.» Fitch stuzzicò la pelle lacerata del pollice. «Ma alcuni Haken si comportano in un modo che porta all'assoluzione. Una volta mi avevi detto che vorresti entrare nell'esercito. Anch'io vorrei farlo.» «Tu sei un Haken maschio, non ti è permesso maneggiare armi. Dovresti saperlo bene, Fitch.» «Non volevo dire che... so che non posso. Volevo dire... non so.» Infilò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni. «Io volevo dire che mi piacerebbe poterlo fare, così potrei dimostrare che sono bravo... dimostrarlo a me stesso. Aiutare coloro che abbiamo fatto soffrire.» «Ho capito» disse Beata, indicando le finestre dei piani superiori. «È stato il ministro della Cultura in persona ad aver passato la legge che permette a noi donne haken di servire nell'esercito a fianco delle donne ander. La legge dice anche che tutti devono rispettare le donne haken che entrano nell'esercito. Noi tutte dobbiamo loro molto.» Fitch si accorse che non riusciva a farsi capire. «Ma tu non vuoi sposarti e...» «Il ministro ha fatto passare una legge secondo la quale bisogna dare lavoro alle donne haken in modo che possano guadagnarsi da vivere da sole e non essere schiave degli uomini haken, perché è nella loro natura schiavizzare le spersone. Grazie al matrimonio essi potevano schiavizzare anche gli appartenenti alla loro stessa razza. Il ministro Chanboor è un eroe per noi donne haken. «Dovrebbe essere un eroe anche per tutti voi, perché vi dà una cultura che vi permette di migliorarvi, smettere di essere violenti e poter vivere in mezzo agli altri in pace e armonia. Potrei decidere di arruolarmi nell'esercito perché è un mezzo per guadagnare rispetto. È la legge del ministro Chanboor.» Fitch aveva l'impressione di trovarsi a una riunione di penitenza. «Io ti rispetto lo stesso anche se non ti arruoli nell'esercito, Beata. So che farai del bene anche se non indosserai una divisa perché sei una brava persona.» Beata sentì un tuffo al cuore e sollevò appena una spalla. «Il motivo principale per il quale voglio entrare nell'esercito» spiegò con voce più dolce «è che, come hai detto anche tu, voglio essere utile alla gente e fare del bene.» Fitch la invidiava. Nell'esercito Beata avrebbe potuto aiutare le comunità bisognose affrontando di tutto, dalle carestie alle inondazioni. L'esercito aiutava la gente comune e i soldati erano molto rispettati. In passato arruolarsi nell'esercito poteva essere pericoloso. Ora avevano il Dominie Dirtch a proteggerli e quell'arma era in grado di arrestare ogni esercito. Fortunatamente la cura e l'uso di quel mezzo di distrazione era in mano agli Ander che l'avrebbero usato solo per preservare la pace e mai per attaccare. Il Dominie Dirtch era una di quelle cose costruite dagli Haken, ma che erano usate dagli Ander. Questi ultimi non sarebbero mai stati capaci di concepire un oggetto simile. Non erano neanche in grado di formulare il pensiero spaventoso che aveva permesso di realizzare un'arma così terribile. Solo gli Haken potevano. «O forse potrei sperare di venire a lavorare qua, proprio come è successo a te» aggiunse Beata. Fitch alzò lo sguardo e vide che la ragazza stava fissando le finestre al terzo piano. Stava per dire qualcosa, ma preferì tenere la bocca chiusa. «Una volta» continuò Beata senza smettere di fissare il palazzo «lui è venuto da Inger. È stato allora che l'ho visto. Bertrand... il ministro Chanboor voglio dire... è molto più bello di Inger il macellaio.» Fitch non sapeva come giudicare la bellezza di un uomo, perché a volte non riusciva a capire cosa le donne potessero trovare di attraente in certi uomini che lui trovava brutti. Il ministro Chanboor era alto e forse in gioventù doveva essere stato un bell'uomo, ma ora i capelli cominciavano a ingrigire. Ogni volta che faceva visita alle cucina, le donne ridacchiavano, arrossivano in volto e più di una portava la mano alla bocca per nascondere dei sospiri d'ammirazione. A Fitch quell'uomo sembrava repellente. «Tutti dicono che il ministro è un uomo molto attraente. L'hai mai visto? Gli hai parlato? Ho sentito dire che parla con gli Haken come se fossero persone comuni. È molto rispettato da tutti. Ho sentito dire da alcuni Ander che molto probabilmente un giorno diventerà re.» Fitch si appoggiò al carro. «L'ho visto un paio di volte.» Non le disse che il ministro una volta gli aveva dato un ceffone sulla testa perché aveva fatto cadere un coltello da burro vicino ai suoi piedi. Era stata un punizione meritata. Lanciò un'occhiata a Beata che era tornata a fissare le finestre. Fitch si concentrò sui solchi lasciati sul terreno dalle ruote. «Tutti vogliono bene e rispettano il ministro della Cultura. Sono contentissimo di lavorare per un uomo simile anche se non me lo merito. Il fatto stesso che dia lavoro anche agli Haken in modo che non muoiano di fame dimostra che ha un cuore puro e nobile.» Beata si guardò improvvisamente intorno come se si rendesse conto che era sotto gli occhi di tutti e si passò le mani sulla gonna. Fitch fece l'ennesimo tentativo di dimostrarsi degno delle sue attenzioni. «Un giorno spero di diventare bravo, di poter aiutare le persone e contribuire al bene della comunità.» Beata fece un cenno d'approvazione con la testa. Incoraggiato dalla reazione della ragazza, Fitch alzò la testa. «Un giorno spero di riuscire a saldare il mio debito e guadagnarmi il nome da signore. Dopo andrò al Mastio del Mago ad Aydindril e chiederò ai maghi di nominarmi Cercatore di Verità. Quando avrò ottenuto la Spada della Verità potrò tornare a proteggere gli Ander e fare del bene.» Beata lo fissò sbattendo le palpebre e scoppiò a ridere. «Non sai neanche dove sia Aydindril o quanto sia lontana.» Scosse la testa continuando a ridere. Fitch sapeva bene dove si trovava Aydindril. «Nord-est» borbottò. «Si dice che la Spada della Verità sia un'arma magica. È un oggetto immondo, sporco e malvagio. Cosa ne sai tu della magia?» «Be', io... niente, credo...» «Non sai nulla di spade o magia. Molto probabilmente ti taglieresti un piede e basta.» Afferrò un cesto di colombi e uno di selvaggina e si avviò verso le cucine continuando a ridere. Fitch avrebbe voluto morire. Le aveva confessato il suo segreto e lei ne aveva riso. Abbassò la testa. Beata aveva ragione: non avrebbe mai avuto nessuna possibilità di dimostrare il suo valore. Continuò a scaricare il carro tenendo gli occhi bassi. Si sentiva uno stupido e cominciò a rimproverarsi da solo, passo dopo passo. Desiderò di essersi tenuto il suo sogno per sé. Desiderò poter ritirare quelle parole. Prima di scaricare l'ultimo pezzo di carne dal carro, Beata lo prese per un braccio e si schiarì la gola come se volesse dire qualcosa. Fitch continuava a tenere lo sguardo basso, rassegnandosi all'idea che stava per sentire altre critiche alla sua follia. «Mi dispiace, Fitch. La mia natura corrotta di Haken mi ha fatto comportare in maniera crudele. Mi sono sbagliata. Non avrei dovuto dirti delle cose tanto crudeli.» Il ragazzo scosse la testa. «Hai fatto bene a ridere. Hai ragione.» «Ascolta, Fitch... tutti noi abbiamo dei sogni impossibili. Anche questo è parte della nostra natura corrotta. Dobbiamo imparare a non basarci solo sui nostri sogni.» Il ragazzo spostò una ciocca di capelli dalla fronte e fissò gli occhi grigio-verdi della ragazza. «Anche tu hai dei sogni, Beata? Sogni veri? Qualcosa che desideri?» «Vuoi dire dei sogni folli come il tuo?» Fitch annuì. Beata distolse lo sguardo. «Credo che sia giusto dirtelo, così potrai ridere di me.» «Non lo farò» sussurrò fissando le nuvole che solcavano il cielo in quel momento e lei non sembrò sentirlo. «Mi piacerebbe imparare a leggere.» Beata lanciò una rapida occhiata per vedere se lui stava ridendo. Fitch era serio. «Anch'io lo sogno.» Si guardò intorno per vedere se c'era qualcuno nelle vicinanze. Tutto sgombro. Si acquattò e tracciò dei segni per terra. La curiosità della ragazza si trasformò in disapprovazione. «Quella è la scrittura?» «È una parola che ho imparato a scrivere. È l'unica che conosco, ma so leggerla. Ho sentito un uomo a un banchetto dire che è incisa sull'elsa della Spada della Verità.» Fitch tracciò una riga sotto la parola. «L'uomo l'ha scritta su un panetto di burro per farla vedere a una signora. È la parola 'Verità'. «Le ha detto che un tempo i Cercatori erano persone rette che dovevano fare del bene, ma adesso i Cercatori, proprio come i nostri antenati, sono solo dei criminali comuni nella migliore delle ipotesi e tagliagole nella peggiore.» «Come tutti gli Haken» lo corresse Beata. «Come tutti noi.» Fitch non replicò perché sapeva che la ragazza aveva ragione. «Questo è uno degli altri motivi per il quale vorrei diventare un Cercatore. Vorrei ridare dignità a quella carica e fare in modo che la gente tornasse ad avere fede nella verità. Mi piacerebbe dimostrare alla gente che un Haken può servire la comunità con onore. Questo sarebbe fare del bene, non trovi? Non trovi che aiuterebbe a bilanciare i nostri crimini?» Beata si sfregò una mano sul braccio a disagio guardandosi intorno. «Sognare di diventare il Cercatore è infantile e stupido.» Abbassò la voce cercando di dare una certa importanza alle parole che stava per pronunciare. «Imparare a leggere è un crimine. Non farlo più.» Fitch sospirò. «Lo so, ma tu non...» «Anche la magia è un abominio. Toccare qualcosa di magico è come commettere un crimine.» La ragazza lanciò una rapida occhiata alla facciata del palazzo, quindi cancellò la parola. Fitch fece per protestare, ma lei lo precedette, zittendolo. «Meglio se finiamo.» Indicò le finestre superiori del palazzo con un rapido cenno del capo. Fitch alzò la testa e sentì un brivido di paura lungo la schiena. Il ministro della Cultura in persona li stava fissando dalla finestra. Fitch sollevò un quarto di montone e si avviò verso la porta della cucina seguito da Beata che teneva delle oche in una mano e un sacco di passeri nell'altra. I due terminarono di scaricare in silenzio. Fitch desiderava non aver parlato troppo e che lei gli avesse detto di più. Quando ebbero finito, lui avrebbe voluto tornare indietro con Beata facendo finta di controllare se avevano scaricato tutto, ma mastro Drummond lo chiese alla ragazza e lei rispose che avevano finito. Il capo cuciniere puntò un dito contro il petto di Fitch ordinandogli di tornare a lavare le pentole. Fitch si massaggiò il punto in cui era stato premuto il dito e tornò con passo ciondolante alla tinozza piena di acqua e sapone. Diede una rapida occhiata alle sue spalle per vedere Beata che usciva nella speranza che la ragazza si girasse e gli sorridesse. Nelle cucine era arrivato Dalton Campbell, l'aiutante del ministro Chanboor. Era la prima volta che Fitch lo vedeva. Aveva una buona opinione di quell'uomo perché gli avevano detto che non aveva mai creato problemi a nessuno. Dalton Campbell aveva il naso dritto, gli occhi e i capelli scuri e il mento volitivo di ogni Ander. Le donne, specialmente quelle Haken, sembravano trovare affascinante quel genere di volto. Effettivamente il giustacuore e il farsetto blu che indossava gli conferivano una certa aria nobile. Un fodero d'argento pendeva dall'elaborata cintura. L'elsa era rivestita da uno strato di cuoio rossiccio. Anche Fitch avrebbe voluto avere il permesso di portare un'arma tanto bella. Era sicuro che le donne fossero attratte dagli uomini con le spade. Dalton Campbell raggiunse Beata e la prese sottobraccio facendola impallidire. Fitch sentì una morsa allo stomaco. L'istinto gli diceva che potevano esserci grossi guai in vista e temeva di conoscerne la causa. Se il ministro li aveva visti quando lui aveva scritto per terra... L'aiutante del ministro sorrise e parlò con tono rassicurante. Fitch vide le spalle di Beata che si rilassavano e sentì la morsa allo stomaco che si allentava. Non riusciva a sentire tutto, ma comprese che Dalton Campbell stava dicendo qualcosa sul ministro Chanboor indicando con la testa la scala che portava fuori dalle cucine. Beata, raggiante, spalancò gli occhi e arrossì visibilmente. Dalton Campbell le sorrise, la invitò a salire conducendola per un braccio anche se sembrava che lei non avesse bisogno d'incoraggiamenti. Fitch aveva l'impressione che Beata stesse Camminando senza toccare terra. La ragazza scomparve dalla sua vista senza neanche girarsi. Mastro Drummond tirò un ceffone sulla testa di Fitch. «Perché stai lì impalato? Vai a prendere le padelle per friggere.» 14 Zedd sentì la porta della stanza attigua che si chiudeva e si svegliò socchiudendo appena un occhio per guardare la tenda di cuoio che si apriva. Vide Nissel e si rilassò. «Sono partiti» lo informò l'anziana guaritrice. «Cosa ha detto?» chiese Ann, socchiudendo a sua volta un occhio. «Sei sicura?» sussurrò Zedd, rivolgendosi a Nissel. «Hanno messo negli zaini tutto quello che si erano portati dietro, comprese le provviste per il viaggio fornite dalle donne del villaggio. Io li ho riforniti delle erbe per curare i piccoli malanni e i cacciatori hanno dato loro delle borracce e le armi. Hanno salutato tutti rapidamente e mi hanno fatto promettere che avrei fatto del mio meglio per farvi stare bene.» Nissel si grattò il mento. «Non che sia una grande promessa da mantenere, per come la vedo io.» «Li hai visti partire» la incalzò Zedd. «Sei sicura?» Nissel si girò di poco indicando verso nord-est. «Sono partiti tutti e tre e io li ho osservati proprio come tu mi avevi chiesto. Ho camminato insieme a tutti gli altri fino alla fine del villaggio, ma la maggior parte delle persone volevano accompagnarli ancora un po' per la prateria. Mi hanno chiesto di andare con loro anche se le mie gambe non sono più quelle di un tempo, ma ho deciso che erano ancora abbastanza buone per una passeggiata. «Quando siamo stati abbastanza lontani dal villaggio, Richard ci ha chiesto di tornare. Non voleva che ci prendessimo un acquazzone per niente. Era molto preoccupato per voi due e mi ha chiesto di tornare indietro. Io credo che fossero impazienti di iniziare il viaggio e che noi li stessimo rallentando, ma sono troppo attenti per dire queste cose. «Richard e Kahlan mi hanno abbracciata augurandomi ogni sorta di bene. La donna con il vestito di cuoio rosso non mi ha abbracciata, ma mi ha salutata con un cenno della testa e Kahlan mi ha tradotto le sue parole. Voleva che sapessi che avrebbe protetto Richard e Kahlan. Anche se non appartiene al mio popolo, quella vestita di rosso è proprio una brava donna e anch'io le ho augurato ogni bene. «Siamo rimasti tutti fermi nella prateria a salutarli agitando le mani finché sono spariti all'orizzonte a quel punto l'Uomo Uccello ci ha chiesto di chinare il capo e insieme a lui abbiamo innalzato una preghiera agli spiriti degli antenati affinché vegliassero su di loro durante il viaggio. Poi lui ha chiamato un falco e gli ha detto di viaggiare un po' con loro per far capire che noi eravamo sempre vicini. Abbiamo aspettato che anche il falco sparisse dalla nostra vista e siamo tornati.» Nissel inclinò la testa di lato e arcuò un sopracciglio. «Adesso sei più soddisfatto della mia spiegazione, visto che non ti bastava la mia parola?» Zedd si schiarì la gola cominciando a pensare che la donna dovesse allenarsi a essere sarcastica, quando non doveva curare nessuno. «Cosa ha detto?» domandò di nuovo Ann. «Che sono partiti.» «Ne è sicura?» domandò Ann. Zedd spostò la coperta. «E come faccio a saperlo? Questa donna blatera un sacco, ma credo che siano andati per la loro strada.» Anche Ann uscì da sotto la coperta. «Pensavo che avrei sudato a morte.» Erano rimasti entrambi sotto le coperte in silenzio per molto tempo. Temevano che Richard spuntasse da un momento all'altro con una delle sue nuove idee o delle domande che si era dimenticato di fare. Quel ragazzo era sempre imprevedibile e Zedd non voleva tradirsi rovinando i suoi piani. Ann aveva atteso agitandosi e Zedd facendo un sonnellino. Nissel era stata molto contenta che il vecchio mago avesse chiesto il suo aiuto e gli aveva promesso che avrebbe sorvegliato i tre durante tutti i preparativi. Gli aveva detto che quelli della loro età dovevano aiutarsi e che l'unica arma di difesa contro i giovani era l'astuzia. Zedd era d'accordissimo. Il bagliore negli occhi della guaritrice irritava Ann. Zedd si pulì le mani dalla paglia e lisciò il vestito. Gli faceva male la schiena. «Grazie per l'aiuto, Nissel» disse, abbracciandola. «L'abbiamo molto apprezzato.» «Di tutto per te» rispose la donna che prima di separarsi gli diede un pizzicotto sul sedere. Zedd le rispose facendole l'occhiolino. «Che ne dici di un po' di pane di tava con il miele, dolcezza?» Nissel arrossì. Ann li fissò entrambi. «Cosa le stai dicendo?» «Solo che ho apprezzato il suo aiuto e le ho chiesto se potevamo avere qualcosa da mangiare.» «Queste sono le coperte più pruriginose che abbai mai visto» proclamò Ann, grattandosi furiosamente le braccia. «Di' a Nissel che anch'io apprezzo il suo aiuto, ma che, se la cosa non ti disturba troppo, salterei il pizzicotto sul sedere.» «Ann aggiunge il suo apprezzamento al mio e lei è molto più vecchia di me.» Per il Popolo del Fango l'anzianità dava maggior peso alle parole. Nissel sorrise e diede un pizzicotto sulla guancia di Zedd. «Vi porto del tava e del tè.» «Sembra che si sia affezionata a te» commentò Ann lisciandosi i capelli, mentre osservava la vecchia guaritrice che usciva dalla stanza. «E perché non dovrebbe?» Ann alzò gli occhi al cielo e spazzolò con le mani la paglia dal vestito. «Quando hai imparato la lingua del Popolo del Fango? Non l'hai mai detto a Richard e Kahlan.» «Oh, l'ho imparata molto tempo fa. Conosco un sacco di cose, ma non le rivelo tutte. Sono dell'idea che è sempre meglio lasciarsi un piccolo spazio di manovra. A volte, come in questo caso, può tornare utile. Non ho mai mentito veramente.» Ann gli diede ragione con un verso gutturale. «Può darsi anche che tu non abbia mentito, ma li hai ingannati.» Zedd le sorrise. «A proposito di inganni, devo dire che la tua interpretazione è stata brillante. Molto convincente.» Ann fu presa alla sprovvista. «Be', io... grazie Zedd. Sì, credo di essere stata piuttosto convincente.» Le diede una pacca amichevole sulla spalla. «Lo sei stata.» Il sorriso di Ann si trasformò in un'espressione carica di sospetto. «Non cercare di addolcirmi. Sono molto più vecchia di te e ne ho viste di tutte i colori.» Agitò un dito ammonitore. «Sai bene che sono arrabbiata con te.» Zedd portò un dito al petto. «Arrabbiata? Con me? Cos'ho fatto?» «Cos'hai fatto? Ho bisogno di ricordarti la parola Insidia?» Prese a camminare in tondo con le braccia alte, i polsi piegati in avanti e le dita contratte, mimando un diavolo. «Che paura. Arriva l'Insidia. Terrore! Terrore! Oh, è spaventosa.» Si bloccò di fronte al mago. «Cosa ti è passato in quella testa vuota? Perché hai usato una parola tanto insensata come 'insidia'? Sei impazzito?» Zedd fece il broncio, indignato. «Cosa c'è che non va nel nome Insidia?» Ann piantò le mani sui fianchi. «Cosa c'è che non va? Che razza di nome è 'Insidia' per un mostro immaginario?» «Un bel nome.» «Un bel nome? Mi è quasi venuto un infarto quando ti ho sentito pronunciarlo per la prima. Ho creduto che sicuramente Richard si sarebbe accorto che stavamo fingendo e sarebbe scoppiato a ridere. Anch'io ho fatto un bello sforzo per non scoppiare a ridere!» «Ridere? Cosa c'è di divertente nella parola insidia? È perfetta. Ha tutte le caratteristiche per ricordare una creatura spaventosa.» «Sei impazzito sul serio? Ho colto sul fatto dei ragazzini di dieci anni che mi hanno propinato delle storie di mostri che li inseguivano. Quelli erano capaci di inventare dei nomi decisamente migliori del tuo senza pensarci molto. «Devi ringraziare la serietà del nostro problema se non sono scoppiata ridere, altrimenti non ci sarei riuscita. Quando oggi hai continuato a pronunciarla ho temuto che ci scoprissero.» Zedd incrociò le braccia. «Non li ho visti ridere. Tutti e tre hanno pensato che fosse qualcosa di spaventoso. Mi è sembrato di vedere le ginocchia di Richard che tremavano quando ho pronunciato quel nome per la prima volta.» Ann si diede uno schiaffo sulla fronte borbottando qualcosa. «Solo la fortuna ci ha salvati. Avresti potuto rovinare tutto con una simile stupidaggine.» Scosse la testa. «Un'Insidia. Un'Insidia!» Zedd suppose che forse Ann si stava comportando in quel modo a causa della paura e della frustrazione che provava in quel momento e la lasciò passeggiare avanti e indietro borbottando. «In nome della Creazione, vorresti dirmi dove hai trovato un nome tanto stupido per un mostro? L'Insidia» aggiunse borbottando. Zedd si grattò il collo e si schiarì la gola. «Be', tempo fa, quando mi ero appena sposato, portai a casa un gattino per mia moglie. Lei lo adorava e rideva di gusto quando lo vedeva in azione. Io toccavo il cielo con un dito quando vedevo Erilyn ridere fino alle lacrime per le imprese di quella piccola palla di pelo. «Le chiesi che nome avrebbe voluto dargli e lei mi disse che le piaceva talmente tanto guardare il modo in cui tendeva gli agguati agli oggetti che l'avrebbe chiamato Insidia. Ecco da dove arriva quel nome ed è per quel motivo che mi è sempre piaciuto.» Ann sgranò gli occhi, ripensò alle parole che aveva appena sentito sospirando, aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse, fece un secondo sospiro e gli diede una pacca rassicurante sul braccio. «Va bene così» gli concesse. «Va bene così.» Si piegò in avanti, prese la coperta agganciandola con un dito, si drizzò e cominciò a piegarla. «E la bottiglia che hai detto a Richard di rompere?» chiese. «Cosa succederà quando lo farà?» «Quella è solo una bottiglia qualunque che comprai in un mercato durante un viaggio. Appena la vidi rimasi immediatamente colpito dalla finezza della lavorazione e dalla bellezza del pezzo. Contrattai a lungo con il mercante e finalmente la comprai per un prezzo veramente buono. «Mi piaceva così tanto che quando tornai la misi in cima a quel piedistallo. Mi serviva a ricordarmi di come la mia abilità nel trattare mi aveva permesso di fare un ottimo affare. Pensavo che fosse bella e mi rendeva molto orgoglioso di me.» «Be', tu sei uno in gamba» lo punzecchiò Ann. «Già, molto in gamba. Non molto tempo dopo trovai la stessa bottiglia per la metà del prezzo che l'avevo pagata senza dover trattare. La tenni dov'era per ricordarmi che non dovevo inorgoglirmi solo perché ero il Primo Mago. È solo una vecchia bottiglia che mi serve da lezione: non succederà nulla quando Richard la romperà.» Ann ridacchiò e scosse la testa. «Ho paura di pensare quello che saresti diventato se non fosse stato per il dono.» «Io ho paura di quello che stiamo per scoprire.» La magia aveva cominciato a deteriorarsi e Zedd sentiva le ossa e i muscoli che gli dolevano e la situazione era destinata a peggiorare. La verità contenuta nelle parole del vecchio mago cancellò il sorriso dalle labbra di Ann. «Non riesco a capire. Quello che hai detto a Richard è vero: Kahlan avrebbe dovuto essere la sua terza moglie per poter richiamare i rintocchi in questo mondo. Dovrebbe essere impossibile, ma entrambi sappiamo che i rintocchi sono arrivati. «Anche considerando le varianti e gli incidenti che possono portare a compimento un incantesimo, Kahlan può essere considerata al massimo la sua seconda moglie. Ci sono Kahlan e quell'altra... Nadine. Uno più uno fa due: Kahlan non può essere altro che la numero due.» Zedd scrollò le spalle. «Sappiamo che i rintocchi sono liberi. Questo è il nostro problema principale. Il 'come' sono stati liberati è secondario.» Ann era d'accordo. «Pensi che tuo nipote farà come gli hai detto e andrà dritto di filato al Mastio?» «Me l'ha promesso.» Ann lo fissò. «Stiamo parlando di Richard.» Zedd allargò le mani come a sottolineare la sua impotenza. «Non so cos'altro avrei potuto fare per assicurarmi che andasse al Mastio. Gli abbiamo fornito ogni sorta di motivazione, dalla più nobile alla più egoista, per indurlo a correre al Mastio. Non ha spazio per muoversi. Gli abbiamo spiegato molto bene quali potrebbero essere le conseguenze di un suo fallimento.» «Già» disse Ann, lisciando la coperta piegata sul braccio «abbiamo fatto di tutto tranne dirgli la verità.» «Gli abbiamo detto la verità riguardo a quello che succederebbe se non si recasse al Mastio. Quelle non erano menzogne, solo che la verità è ancora più sinistra di quanto gli abbiamo detto. «Conosco Richard. Kahlan ha liberato i rintocchi per salvargli la vita e lui farebbe di tutto per rimettere a posto le cose. Adesso peggiorerebbe solo la situazione. Non possiamo permettergli di giocare con il fuoco. Gli abbiamo dato la cosa di cui ha più bisogno: un modo per aiutare. «Il Mastio è l'unico luogo sicuro per lui. Là i rintocchi non potranno raggiungerlo ed è molto probabile che l'unica magia che rimarrà attiva sarà quella della Spada della Verità. Ci occuperemo noi di questa faccenda. Chi lo sa, può darsi che eliminando l'obbiettivo la minaccia scompaia da sola.» «Un filo piuttosto sottile da usare per appendere il destino del mondo. Comunque, suppongo che tu abbia ragione» gli concesse Ann. «Richard è un uomo risoluto... proprio come suo nonno.» Buttò la coperta sul letto. «Ma dobbiamo proteggerlo a tutti i costi. È il sovrano del D'Hara, sta riunendo tutti i regni sotto la sua bandiera per contrastare l'Ordine Imperiale. Ad Aydindril potrà essere al sicuro e continuare a forgiare la nuova alleanza. Si è già dimostrato un ottimo capo. Gli avvertimenti delle profezie sono chiari al riguardo: solo lui ha una possibilità di uscire vittorioso da questa lotta. Senza di lui siamo destinati a perdere.» Nissel entrò nella stanza portando una vassoio con del pane di tava spalmato di miele e menta. Sorrise a Zedd e lasciò che Ann togliesse dal vassoio le tre tazze di tè. La guaritrice posò il vassoio sul pavimento e si sedette sul letto che era stato di Zedd. Ann le passò una tazza di tè e si accomodò sulla coperta che aveva piegato. Nissel toccò con la mano il posto al suo fianco. «Siedi qua. Mangia qualcosa prima di partire.» Zedd, assorto nei suoi pensieri, la ringraziò con accenno di sorriso e si accomodò. Nissel si accorse dell'umore tetro del mago e alzò il vassoio da terra per offrirgli da mangiare. Zedd comprese che forse la donna non conosceva il motivo, ma sapeva che era preoccupato, quindi le cinse le spalle con un braccio e usò l'altra mano per servirsi. Il mago leccò il miele dalla crosta. «Vorrei sapere qualcosa di più sul libro menzionato da Richard. I gemelli della montagna. Chissà se lui ne sapeva più di me?» «Non credo. L'unica cosa che mi ha scritto Verna è che quel libro è andato distrutto.» Ann sapeva della distruzione di quel libro ancora prima che Richard le chiedesse delle informazioni. Si era offerta di indagare anche se la sua magia stava già dando segni di cedimento per nascondere l'estensione del problema. «Avrei voluto dargli un'occhiata.» Ann mangiò qualche boccone di tava quindi chiese: «Cosa succederà se non riusciamo a fermarli, Zedd? La nostra magia si sta indebolendo. Non ci vorrà molto prima che scompaia del tutto. Come farai a fermare i rintocchi senza la magia?» Zedd leccò il miele dalle labbra. «Mi aspetto di trovare delle risposte nel luogo dove sono stati seppelliti, da qualche parte in Toscla, o come lo chiamano adesso. Forse potrò trovare dei libri riguardo la cultura e la storia di quel popolo che potrebbero darmi le indicazioni di cui ho bisogno.» Zedd si indeboliva sempre di più con il passare dei giorni. La scomparsa del suo potere lo stava prosciugando lentamente. Il viaggio del mago, come quello di Ann, sarebbe stato lento e faticoso. Nissel si accoccolò contro il mago, felice di poter stare vicino a qualcuno che l'apprezzava come donna e non come guaritrice. Le sue cure non avrebbero aiutato quell'uomo. A Zedd piaceva quella donna che non era compresa dalla maggior parte della sua gente. Era duro essere diversi dagli altri. «Hai qualche teoria su come bandire i rintocchi da questo mondo?» gli chiese Ann tra un boccone e l'altro. Zedd spezzò in due la pagnotta. «Niente, a parte l'eventualità di cui ab- biamo parlato: se Richard rimane nel Mastio allora può darsi che i rintocchi ritornino nel mondo sotterraneo senza il nostro aiuto. So che è una speranza flebile, ma devo comunque trovare un modo per respingerli nel mondo sotterraneo se fosse necessario. E tu? Hai qualche idea?» «Nessuna.» «Sei sempre intenzionata ad andare a liberare le tue Sorelle della Luce da Jagang?» Ann cacciò un insetto con un gesto della mano. «La magia di Jagang si indebolirà come tutte le altre e il tiranno dei sogni perderà la presa sulle mie consorelle. Il pericolo che stiamo correndo mi offre un'opportunità e devo sfruttarla finché è possibile.» «L'esercito di Jagang continua a rimanere molto numeroso. Non ti sei dimostrata tanto più ingegnosa di me per essere una che critica sempre i miei piani.» «Il gioco vale la candela.» Ann abbassò la mano con la quale stringeva il tava. «Non vorrei dirlo... ma visto che dobbiamo separarci. Sei un uomo in gamba, Zeddicus Zu'l Zorander. Mi mancherà la tua compagnia irritante. I tuoi piani ingarbugliati ci hanno salvato la pelle più di una volta. Ammiro la tua perseveranza e capisco da dove deriva quella di Richard.» «Davvero? Il tuo piano, comunque, continua a non piacermi. Non ti servirà a nulla adularmi.» Ann sorrise tra sé e sé. Era un piano avventato, ma Zedd capiva la risolutezza della donna. Salvare le Sorelle delle Luce era essenziale non solo perché dovevano essere sottratte alle sevizie, ma perché, una volta banditi i rintocchi, Jagang sarebbe tornato a usare i loro poteri per i suoi scopi. «La paura può essere una padrona molto potente, Ann. Se qualcuna delle tue Sorelle non dovesse crederti e non volesse scappare allora rimarrebbe una minaccia. Non importa se volontaria o involontaria, ma rimarrebbe una minaccia per la nostra causa.» Ann lo fissò con la coda dell'occhio. «Capisco.» Zedd le stava chiedendo di salvarle o ucciderle. «Zedd» disse la Priora con voce colma di compassione «non mi piace ricordarlo, ma se Kahlan ha effettivamente...» «Lo so.» Kahlan aveva invocato l'aiuto dei rintocchi per salvare la vita di Richard, ma per questo c'era un prezzo da pagare. Al fine di far rimanere Richard nel mondo dei vivi, Kahlan aveva invo- lontariamente offerto ai rintocchi l'unica cosa di cui avevano bisogno al fine di rimanere in questo mondo. Un'anima. L'anima di Richard. Ma lui sarebbe stato al sicuro nel Mastio; il luogo in cui erano state richiamati era un porto sicuro per l'anima a loro votata. Zedd appoggiò metà della pagnotta sulle labbra di Nissel. La guaritrice sorrise e diede un morso, poi toccò il pane con la punta del naso sporcandolo con il miele. La vecchia sembrava una ragazzina e Zedd sorrise. «Cosa è successo a Insidia?» gli chiese Ann. Zedd aggrottò la fronte interdetto cercando di ricordare. «Non lo so a dire il vero. Sono successe tante di quelle cose. La guerra contro il D'Hara di Panis Rahl, il nonno paterno di Richard era appena scoppiata. Le vite di migliaia di persone erano in pericolo, io dovevo essere ancora nominato Primo Mago e Erilyn stava aspettando nostra figlia. «Credo che con tutto quello che stava succedendo abbiamo perso le tracce del gatto. Il Mastio è pieno di topi, molto probabilmente ha scoperto che tendere gli agguati ai topi era molto più soddisfacente che stare intorno a due persone impegnate.» Zedd deglutì. Erano dei ricordi dolorosi. «Quando mi recai nei Territori dell'Ovest e nacque Richard tenni sempre un gatto in ricordo di Erilyn e casa.» Ann sorrise. «Spero che tu non abbia mai chiamato nessuno 'Insidia', altrimenti Richard potrebbe improvvisamente ricordarselo.» «No» sussurrò Zedd. «Non l'ho mai fatto.» 15 «Fetch!» chiamò mastro Drummond. Fitch premette le labbra insieme cercando inutilmente di non arrossire. Sorrise educatamente e passò tra le donne che sghignazzavano. «Sì, signore?» Mastro Drummond indicò la porta di servizio della cucina. «Porta dentro altra legna di melo.» Fitch fece un inchino. «Sì, signore» e si diresse verso la porta per prendere la legna. Anche se l'aria della cucina era pervasa da deliziosi aromi come quello del soffritto di burro e cipolle o il profumo delle spezie che insaporivano arrosti succulenti, il ragazzo fu ben contento di allontanarsi dai calderoni incrostati che doveva lavare. Era anche contento che il capo cuciniere non gli avesse chiesto di portare della legna di quercia. Fitch era contento di averne portata più del dovuto la prima volta che gli era stato chiesto. Si avvicinò alla catasta di legna di melo chiedendosi come mai il ministro Chanboor volesse vedere Beata. Lei era sembrata molto contenta al riguardo. Le donne non sembravano aspettare altro che un'occasione per incontrare il ministro. Non riusciva a capire cosa avesse di tanto speciale quell'uomo. Dopotutto era un vecchio. Fitch non riusciva a immaginarsi abbastanza vecchio da avere i capelli grigi e il solo pensiero gli fece arricciare il naso dal disgusto. Raggiunta la catasta qualcosa attrasse la sua attenzione. Portò una mano sulla fronte per ripararsi gli occhi dal sole cercando di guardare dietro un angolo. Aveva pensato che potesse essere un altro carro per le consegne, ma vide che si trattava del carro del macellaio. Era stato molto impegnato nelle cucine e aveva pensato che Beata fosse già andata via da un pezzo. C'erano tante porte che davano sull'esterno e lui non avrebbe mai potuto sapere da quale fosse uscita la ragazza. Aveva solo sospettato che l'avesse fatto. Doveva essere passata circa un'ora da quando si era recata ai piani superiori. Molto probabilmente il ministro Chanboor voleva darle un ordine particolare per il macellaio... qualche richiesta speciale per i suoi ospiti. Sicuramente dovevano aver finito già da molto tempo. Come mai il carro era ancora là? Fitch si curvò e prese un ceppo di legna scuotendo la testa frustrato: molto probabilmente il ministro Chanboor le stava raccontando qualcosa. Prese un secondo ceppo. Per qualche motivo che non riusciva a comprendere le donne amavano ascoltare le storie del ministro e lui non si faceva certo pregare. Era sempre pronto a raccontare qualcosa alle donne. A volte, durante le cene o i banchetti, le donne si radunavano intorno a lui ridacchiando. Forse si comportavano in quel modo per educazione... quello era un uomo molto importante dopotutto. Nessuna ragazza si era mai preoccupata di essere educata con lui, né aveva mai voluto ascoltare una delle sue storie. Fitch terminò di raccogliere la legna e tornò verso la cucina. Lui pensava che le storie delle sue sbronze fossero divertenti, ma le ragazze non sembravano molto interessate a quell'argomento. Fortunatamente le sue storie piacevano a Morley e agli altri suoi compagni di stanza. A loro piaceva raccontarsi delle storie e ubriacarsi insieme. Non aveva altro da fare a parte il lavoro e partecipare alle riunioni di penitenza. Alle volte, dopo le riunioni, era riuscito a parlare con delle ragazze, sempre che queste non dovessero tornare al lavoro. Fitch, come tutti gli altri, non amava le riunioni. Doveva ascoltare tutti quei fatti deprimenti e in più di un'occasione al ritorno dalle riunioni si erano ubriacati. Dopo aver fatto una dozzina di viaggi con la legna, mastro Drummond prese Fitch per la maglia e gli ficcò in mano un pezzo di carta. «Porta questo al birraio.» «Sì, signore» rispose Fitch chinando il capo. Non sapeva leggere, ma la sera ci sarebbe stato un banchetto e lui in passato aveva già portato quel genere di fogli, quindi suppose che le colonne non fossero altro che ordini da parte della cucina. Era contento di fare quelle commissioni perché non le considerava dei lavori veri e propri e gli davano l'occasione di allontanarsi dal calore e dagli odori della cucina. Anche se a volte era riuscito ad assaggiare uno di quei piatti succulenti, sapeva bene che erano tutti riservati agli ospiti. A volte Fitch voleva solo allontanarsi dal rumore e dalla confusione. Il vecchio Ander, un uomo i cui capelli scuri si erano ingrigiti quasi del tutto, lesse il foglio che gli consegnò Fitch ed emise una sorta di grugnito. Prima di rispedirlo nelle cucine, l'uomo gli ordinò di spostare alcuni pesanti sacchi di luppolo. Era normale che succedesse: Fitch era solo uno sguattero e tutti si sentivano in diritto di dargli ordini e affidargli dei lavori. Il ragazzo sospirò pensando che quella era stata una punizione perché aveva camminato piano. Quando uscì dalla porta di servizio notò che Brownie, la cavalla che trainava il carro del macellaio, era ancora ferma dove l'aveva vista. Fu contento di vedere che i sacchi da trasportare erano solo dieci. Terminò il suo lavoro e venne rimandato nelle cucine. Attraversò diverse stanze di servizio incontrando qualche servitore haken al quale doveva fare immediatamente un inchino. L'eco dei suoi passi rimbalzò contro le pareti della scalinata che portava alle cucine. Arrivato davanti alla porta si fermò. Alzò gli occhi e fissò la scala che portava direttamente al terzo piano. Non c'era nessuno. Avrebbe detto a mastro Drummond che il birraio gli aveva fatto portare dei sacchi. Il capo cuciniere era impegnato con i prepa- rativi del banchetto e non gli avrebbe chiesto quanti erano i sacchi ma, anche se l'avesse fatto, non avrebbe potuto controllare. Fitch cominciò a salire due gradini alla volta senza neanche rendersene conto e a un certo punto si fermò per darsi un'occhiata intorno senza sapere cosa o chi dovesse vedere. Era stato al secondo piano in poche occasioni e al terzo solo una volta. La settimana prima Dalton Campbell aveva chiesto che gli portassero la cena nel suo studio e un Ander aveva affidato a Fitch quell'incarico raccomandandosi di lasciare il vassoio nella stanza attigua allo studio per non disturbare l'aiutante del ministro. Gli uffici dei funzionari comuni si trovavano sullo stesso piano delle cucine, mentre quelli del ministro erano al terzo. Fitch aveva sentito dire che il ministro aveva più di un ufficio e lui si era sempre chiesto come mai non poteva averne solo uno, ma nessuno glielo aveva mai spiegato. Il primo e secondo piano dell'ala ovest erano occupati dalla Biblioteca di Anderith. Quel luogo custodiva un mucchio di libri che parlavano della cultura di quel regno ed era la meta di molti studenti e altri personaggi importanti. A Fitch avevano insegnato che la cultura di Anderith era una fonte di orgoglio per il regno ed era invidiata da tutti. Sempre al terzo piano, ma nell'ala est, c'erano gli appartamenti privati del ministro. La figlia del ministro, che doveva avere uno o due anni in meno di Fitch, era stata mandata a studiare in qualche accademia. Lui l'aveva vista solo una volta e da lontano, ma aveva pensato che fosse carina. I servitori più vecchi di tanto in tanto parlavano a bassa voce di una guardia che era stata sbattuta in prigione a causa della figlia del ministro. Marcy, o Marcia, il nome cambiava secondo chi stesse raccontando la storia, aveva accusato l'uomo di qualcosa. Fitch aveva sentito diverse versioni: alcuni dicevano che non aveva fatto altro che montare di guardia alla sua porta, altri dicevano che era stato beccato a origliare e altri ancora parlavano di stupro. Delle voci echeggiarono nella tromba delle scale e Fitch si paralizzò rimanendo in ascolto. Era qualcuno che passava nelle sale del piano sottostante, ma non stava salendo. Fortunatamente era molto difficile incontrare lady Hildemara Chanboor, la moglie del ministro. Quella era una donna che faceva tremare anche gli stessi Ander. Aveva un pessimo carattere e non le andava mai bene niente. Aveva fatto sbattere fuori del personale solo perché li aveva scoperti a lanciarle un'occhiata mentre passava. Dei servitori avevano detto a Fitch che quella donna aveva un volto che si accordava perfettamente con il suo carattere: brutto. Quei servitori sfortunati che erano stati licenziati ora facevano gli accattoni. Alcune donne delle cucine avevano detto che lady Chanboor non si era vista per settimane perché suo marito, stufo delle sue pretese e dei capricci, le aveva fatto un occhio nero. Altre dicevano che era solo un'ubriacona e una vecchia cameriera sosteneva di averla vista uscire più di una volta con un amante. Fitch raggiunse il pianerottolo. Il terzo piano sembrava deserto. Il sole che filtrava dalle finestre illuminava i pavimenti di legno. Fitch si fermò. C'erano porte su tre lati e la scala alle sue spalle. Diede uno sguardo alle sale vuote che si aprivano alla sua destra e alla sua sinistra senza sapere se avrebbe avuto il coraggio di camminare. Poteva essere fermato e interrogato sulla sua presenza in quel luogo da chiunque, da un semplice messaggero a da una guardia. Cosa poteva rispondere? Fitch non voleva diventare un mendicante. Non gli piaceva lavorare, ma gli piaceva mangiare. Gli sembrava di avere sempre fame. Il cibo che gli davano non era buono come quello che preparavano per le persone importanti o per le feste, ma era decente e abbondante. Senza contare che, quando nessuno guardava, lui e i suoi amici bevevano vino o birra. No, non aveva proprio nessuna intenzione di diventare un mendicante. Cauto, fece un passo verso il centro del pianerottolo. Sentì qualcosa di appuntito che gli bucava il piede, ma si trattenne dall'urlare. Sentiva le ginocchia che rischiavano di cedergli. Sotto il piede c'era un ago con la cruna a spirale, era quello di Beata. Fitch lo prese chiedendosi come mai fosse finito là. Glielo avrebbe potuto ridare in un altro momento. Forse sarebbe stata contenta di riaverlo, o forse no. Forse sarebbe stato meglio rimetterlo dove l'aveva trovato, altrimenti sarebbe stato difficile spiegare, specialmente a Beata, come aveva fatto a trovarlo. Forse Beata avrebbe voluto sapere cosa ci faceva lassù visto che lei era stata invitata e lui no. Forse avrebbe potuto pensare che la stava spiando. Si stava chinando per rimettere a terra l'ago quando vide un movimento delle ombre - provenire da sotto una delle porte. Inclinò la testa di lato pensando di aver sentito la voce di Beata, ma non era sicuro. Udì delle risate ovattate. Fitch controllò a destra e a sinistra e non vide nessuno. Non stava per in- camminarsi per una sala, stava solo attraversando il pianerottolo. Se qualcuno gli avesse chiesto di giustificare la sua presenza avrebbe potuto dire che si era recato al terzo piano per vedere dall'alto i bei campi che circondando Fairfield, orgoglio di tutta Anderith. Gli sembrò una scusa plausibile. Molto probabilmente avrebbe ricevuto una sonora sgridata, ma non l'avrebbero cacciato. Era certo che non si potesse essere cacciati per aver guardato fuori da una finestra. Il cuore gli batteva all'impazzata e le ginocchia gli tremavano. Prima ancora di rendersi conto del rischio che stava correndo cominciò ad attraversare il pianerottolo camminando in punta di piedi in direzione della porta. Sentì qualcosa di molto simile al pianto di una donna, ma anche qualcuno che sghignazzava e un uomo che ansimava. All'interno della maniglia di vetro c'erano centinaia di bolle. La porta era priva di lucchetto o serratura. Fitch posò le dita sul pannello della porta e scivolò silenziosamente sul pavimento fino a sdraiarsi a pancia sotto. Più si fosse avvicinato alla fessura sotto la porta, meglio avrebbe ascoltato. Sembrava che là dentro ci fosse un uomo che stava compiendo uno sforzo. La risatina che sentiva di tanto in tanto proveniva da un secondo uomo. Fitch udì anche dei singhiozzi soffocati. Era come se non riuscisse a prendere fiato. Deve essere Beata, pensò. Fitch posò la guancia destra sul pavimento freddo e l'avvicinò alla fessura sotto la porta. Vide le gambe di una sedia alla sua sinistra e davanti a queste uno stivale con delle borchie d'argento. L'uomo doveva tenere le gambe incrociate. Fitch sentì i capelli che gli si rizzavano. Sapeva bene a chi appartenevano quegli stivali. Erano quelli dello straniero con il mantello strano e le armi raccapriccianti. Quello che aveva lanciato una lunga occhiata a Beata quando l'aveva vista passare. Non riusciva a vedere quale fosse la fonte del suono, quindi cambiò posizione spostandosi sulla destra e avvicinandosi fino a far toccare il naso contro il pannello. La scena che si presentò davanti ai suoi occhi lo lasciò senza parole, incredulo e colmo d'orrore. Beata era sdraiata sul pavimento con la gonna tirata su fino ai fianchi e in mezzo alle sue gambe c'era un uomo con i pantaloni calati che andava su e giù selvaggiamente. Fitch scattò in piedi sconvolto dalla scena e arretrò di qualche passo. Ansimava con gli occhi spalancati e lo stomaco chiuso. La vista del mini- stro in persona in mezzo delle gambe nude di Beata l'aveva sconvolto. Si girò per correre via. Aveva le lacrime agli occhi e camminava a bocca aperta come un pesce fuor d'acqua. Sentì dei passi. Stava qualcuno arrivando. Si paralizzò dove si trovava, a metà strada tra la porta e le scale. I passi provenivano proprio dalle scale. Sentì due voci e guardò le sale a destra e sinistra per vedere se una di quelle offriva una via di fuga oppure era un vicolo cieco nel quale le guardie avrebbero potuto arrestarlo con facilità. Le due persone si fermarono sul pianerottolo del secondo piano. Erano due donne ander che spettegolavano riguardo al banchetto: chi era stato invitato, chi non era stato invitato. Anche se le due donne stavano sussurrando i sensi di Fitch erano così allerta che riusciva a distinguere chiaramente ogni parola. Il ragazzo ansimava dalla paura e sentiva il cuore che gli pulsava nelle orecchie. Stava pregando che quelle donne non salissero fino al terzo piano. Le due donne cominciarono a parlare di quello che avrebbero indossato per attrarre l'attenzione del ministro Chanboor. Fitch stentava a credere alle sue orecchie, non pensava che si potesse disquisire su quanto una scollatura dovesse essere prossima ai capezzoli. L'immagine mentale sarebbe stata molto piacevole se non si fosse trovato in quella situazione. Era in un luogo nel quale non doveva stare e aveva visto delle cose che non doveva vedere. Se l'avessero preso sarebbe stato buttato in mezzo alla strada o forse gli sarebbe successo qualcosa di peggio. Di molto peggio. Una delle due donne sembrava più ardita dell'altra. La seconda disse che intendeva semplicemente farsi notare. La prima ridacchiò e disse che lei non voleva limitarsi a farsi notare dal ministro e che l'amica non doveva preoccuparsi del suo compagno perché entrambi i loro mariti sarebbe stati più che contenti di sapere che le loro mogli avevano attirato le attenzioni del ministro. Fitch si girò per dare un'occhiata alla porta dietro la quale c'era il ministro. Qualcuno era già riuscito ad attirare l'attenzione del ministro. Beata. Fitch fece un passo sulla sinistra e il pavimento scricchiolò. Si immobilizzò con le orecchie tese. Le due donne parlavano dei rispettivi mariti ridacchiando. Fitch tirò indietro il piede. Il sudore gli colava dalla testa alla base del collo. Le donne ripresero a muoversi continuando a camminare. Fitch trattenne il fiato. Avrebbe voluto urlare e poi correre da loro gridando di andare a spettegolare in un altro posto. Una delle due donne disse il nome del mari- to... Dalton. Sentì una porta che si chiudeva ed emise un sospiro di sollievo. Un attimo dopo la porta della stanza nella quale si trovava il ministro si spalancò violentemente. Lo straniero robusto teneva Beata per un braccio dando le spalle a Fitch e la lanciò come se fosse un cuscino di piume. La ragazza cadde a terra. Non sapeva di avere Fitch alle sue spalle. Lo straniero vide Fitch ma non batté ciglio. I capelli neri gli scendevano fino alle spalle. Gli abiti erano scuri e ricoperti da placche metalliche e fibbie di vario tipo. La maggior parte delle sue armi erano appoggiate sul pavimento della stanza, ma lo straniero non aveva l'aspetto di qualcuno a cui servivano delle armi per uccidere. Le grosse mani callose sembravano più che sufficienti a spezzare il collo di chiunque. Quando l'uomo si girò nuovamente verso la stanza, Fitch capì come mai vedendolo da lontano aveva pensato che il mantello fosse fatto di capelli: la stoffa era ricoperta di scalpi. Ce n'erano di tutti i colori, dal biondo al nero. «Stein» lo chiamò il ministro tirandogli un capo di vestiario bianco. Stein lo afferrò e lo aprì. Erano le mutande di Beata. Le fissò per bene, quindi gliele tirò in grembo. Beata era rimasta seduta sul pavimento. Stava riprendendo fiato e faceva di tutto per non scoppiare a piangere. Stein fissò Fitch senza preoccuparsi e sorrise increspando la barba incolta intorno alla bocca, dopodiché gli fece l'occhiolino. Fitch rimase stupefatto dal fatto che quell'individuo non si preoccupasse affatto che qualcuno aveva visto quello che era successo. Il ministro fece capolino dalla porta chiudendosi i pantaloni. Anche lui sorrise facendo finta di niente e chiuse la porta della stanza. «Possiamo visitare la biblioteca adesso?» Stein allungò una mano. «Fate strada, ministro.» Beata sedeva a testa bassa mentre i due uomini si dirigevano verso una della sale di sinistra chiacchierando amabilmente tra di loro. La ragazza sembrava distrutta dalla violenza, troppo disillusa per manifestare il desiderio di alzarsi, andare via e tornare alla vita di tutti i giorni. Fitch attendeva immobile come una statua nella speranza che accadesse l'impossibile... forse Beata non si sarebbe girata. Forse, confusa, sarebbe andata via senza notare il ragazzo alle sue spalle che la osservava con gli occhi sbarrati trattenendo il fiato. Beata represse un singhiozzo e si alzò in piedi barcollando, si girò, vide Fitch e si paralizzò a sua volta rimanendo a bocca aperta. Fitch desiderò di non essere mai salito fin lassù per dare un'occhiata. Aveva visto molto di più di quello che era nelle sue intenzioni. «Beata...» Voleva chiederle se stava male, poi gli sembrò una domanda stupida. Certo che stava male. Avrebbe voluto consolarla, ma non sapeva quali fossero le parole giuste. Avrebbe voluto prenderla tra le braccia e proteggerla, ma temeva che lei interpretasse male la sua preoccupazione. L'espressione di Beata passò dalla sofferenza alla rabbia cieca. Un attimo dopo la ragazza colpì Fitch con un violentissimo ceffone al viso che gli fece fischiare le orecchie. La vista di Fitch si appannò per qualche attimo. Pensò di aver visto qualcuno in lontananza, ma non ne era del tutto sicuro. Barcollò all'indietro cercando di afferrare la ringhiera della scala, ma cadde a terra battendo una mano e un ginocchio. Ebbe una visione sfocata dell'abito blu di Beata che correva giù per le scale e udì il suono secco dei passi affrettati sui gradini che echeggiava contro le pareti della scalinata. Una fitta di dolore persistente gli intorpidiva la mascella vicino all'orecchio che continuava a fischiare. Gli facevano male gli occhi. Era rimasto stupefatto dalla violenza del colpo. La nausea gli chiuse la bocca dello stomaco. Batté le palpebre cercando di schiarire la vista. Qualcuno gli infilò una mano sotto il braccio aiutandolo ad alzarsi. Fitch sussultò. Il volto di Dalton Campbell incombette sul suo. Al contrario degli altri due uomini, l'aiutante del ministro non sorrise e lo studiò con lo stesso sguardo che mastro Drummond usava per controllare il pesce portato dal pescivendolo prima di sbudellarlo. «Come ti chiami?» «Fitch, signore. Lavoro nelle cucine, signore.» La paura e la botta gli avevano ridotte le gambe in pappa. L'uomo lanciò uno sguardo alle cucine. «Mi sembra che tu sia un po' lontano dalle cucine, non trovi?» «Ho portato una lista al birraio» si giustificò Fitch, facendo una pausa per riprendere fiato e cercare di assumere un tono fermo. «Stavo tornando alle cucine, signore.» La stretta intorno al braccio di Fitch aumentò. «Devi essere un ragazzo che lavora molto visto che dovevi correre dal birraio e poi tornare nelle cucine. Non mi sembra di averti mai visto qua al terzo piano.» Gli lasciò andare il braccio. «Mi sembra di averti visto correre verso le cucine dopo essere uscito dal birraio, giusto? Non sei andato in giro, vero?» Fitch mise da parte la preoccupazione per Beata e cominciò a nutrire una flebile speranza di non essere buttato fuori o peggio. «Sì, signore. Stavo proprio tornando nelle cucine.» Dalton Campbell posò una mano sulla spada. «Stavi lavorando e non ha visto nulla, vero?» Fitch deglutì. «Niente, signore. Lo giuro. Solo il ministro Chanboor che mi sorrideva. È grande uomo, il ministro. Gli sono riconoscente: un uomo così importante che dà lavoro a un Haken di poco conto come me.» Gli angoli della bocca di Dalton Campbell si incresparono quel tanto che fece pensare a Fitch che stava dicendo le cose giuste. Le dita dell'uomo cominciarono a tamburellare la crociera della spada. Fitch fissò quell'arma da signore e si zittì. «Voglio essere un bravo membro del personale di questa casa e lavorare duro per guadagnarmi da vivere.» Un sorriso comparve sulle labbra dell'uomo. «Mi fa molto piacere saperlo. Sembri un bravo ragazzo. Posso contare su di te?» «Sì, signore» rispose Fitch, sicuro, senza sapere bene per quale motivo dovesse essere considerato degno di fiducia. «Hai giurato di non aver visto niente di ritorno dalla cucina, il che dimostra che sei un ragazzo con delle potenzialità. Non pensi che forse bisognerebbe darti dei lavori di maggiore responsabilità?» «Responsabilità, signore?» Negli occhi scuri di Dalton Campbell balenò un lampo di intelligenza ferale. Lo stesso di tipo di lampo, pensò Fitch, che il topo deve vedere negli occhi del gatto prima di essere ucciso. «A volte abbiamo bisogno di persone che abbiano voglia di salire di grado all'interno del palazzo. Vedremo. Stai attento a quelli che infangano il nome del ministro con delle menzogne e vedremo.» «Certo, signore. Non mi piace che qualcuno parli male del ministro. Lui è un brav'uomo. Spero che le voci che ho sentito siano vere e che un giorno sia benedetto dal Creatore e diventi il nostro sovrano.» Il sorriso splendeva radioso come un sole sulle labbra dell'aiutante. «Non mi sbagliavo, hai molte potenzialità. Dovessi sentire qualsiasi genere di... menzogna sul ministro sarei contento di saperlo.» Indicò le scale. «Ora è meglio che tomi nelle cucine.» «Sì signore, se dovessi sentire qualche menzogna ve la riferirò immediatamente.» Fitch si diresse verso le scale. «Non voglio che nessuno sparli del ministro. Non sarebbe giusto.» «Giovanotto... Fitch, giusto?» Fitch si girò. «Fitch, esatto signore.» Dalton Campbell incrociò le braccia e lo fissò con un'occhiata interrogativa. «Cosa hai imparato alle riunioni di penitenza riguardo la protezione del sovrano?» «Il sovrano?» Fitch sfregò i palmi contro i pantaloni. «Be'... che tutto quello che viene fatto per proteggere la virtù del nostro sovrano è giusto?» «Ottimo.» L'aiutante del ministro continuava a tenere le braccia conserte. «E visto che hai sentito che molto probabilmente il ministro sarà nominato sovrano...?» L'uomo attendeva una risposta. Fitch la cercò disperatamente per qualche secondo, quindi si schiarì la gola e disse: «Be'... io credo... che se il ministro sta per essere eletto sovrano, allora dovrebbe essere protetto allo stesso modo?» Il modo in cui Dalton Campbell sorrise e si drizzò gli fece capire che aveva risposto bene. «Proprio come avevo previsto hai tutti i numeri per avanzare di grado.» «Grazie, signore. Farei di tutto per proteggere il ministro visto che un giorno sarà il nostro sovrano. È mio dovere farlo in tutti i modi.» «Sì...» Dalton Campbell parlò in modo lento. Aveva inclinato la testa di lato e soppesava Fitch con lo sguardo. Ricordava un gatto. «Se sarai d'aiuto nel... fare qualsiasi cosa sia utile al fine di proteggere il ministro, compirai dei passi da gigante verso la risoluzione del tuo debito.» Fitch drizzò le orecchie. «Il mio debito, signore?» «Come ho detto anche a Morley, se lui si dovesse rivelare di grande utilità alla causa del ministro, potrebbe anche darsi che riuscirebbe a guadagnarsi un nome da signore e un certificato d'emancipazione firmato dal sovrano. Sei un ragazzo brillante. Non mi aspetterei niente di meno da uno come te.» Fitch rimase a bocca aperta. Guadagnarsi un nome da signore era il suo sogno. Uno di quei documenti firmati dal sovrano dimostravano che un Haken aveva pagato il suo debito, che doveva essere riconosciuto con il suo nome da signore e rispettato in quanto tale. Tornò a concentrarsi su quello che aveva appena sentito. «Morley, lo sguattero?» «Certo, non ti ha detto nulla?» Fitch si grattò un orecchio cercando di immaginare Morley che si tratteneva dal dargli quella notizia stupefacente. «No, signore, non mi ha detto una parola. È quasi il mio migliore amico, ma non mi ricordo che mi abbia detto una cosa simile. Mi dispiace, ma non l'ha fatto.» Dalton Campbell fissò Fitch dritto negli occhi carezzando il fodero con un dito. «Sono stato io a raccomandarmi che non ne facesse parola con nessuno.» Arcuò un sopracciglio. «È questo genere di lealtà che paga. Io mi aspetto che tu ti comporti allo stesso modo. Chiaro, Fitch?» Per Fitch era chiaro come il sole. «Non la saprà nessuno. Sarò muto come una tomba, proprio come Morley. Tutto chiaro signor Dalton.» L'aiutante del ministro sorrise tra sé e sé. «Molto bene.» Posò nuovamente la mano sulla spada. «Sapevi che quando un Haken paga il suo debito e ottiene il nome da signore, lo stesso certificato che lo nomina tale lo autorizza anche a portare una spada?» Fitch strabuzzò gli occhi. «Davvero? Non lo sapevo.» L'Ander sorrise, lo salutò e andò via. «Torna al lavoro, Fitch. Mi ha fatto piacere fare la tua conoscenza. Un giorno, forse, parleremo di nuovo.» Fitch corse giù dalle scale prima che qualcun altro lo vedesse a quel piano. Nella sua testa si affollavano i pensieri più disparati. Provava molto dolore per quello che era successo a Beata e voleva solo che il giorno finisse per potersi prendere una bella sbronza. Era molto dispiaciuto per Beata ma era il ministro, quello che lei ammirava, l'uomo politico che sarebbe diventato sovrano, quello che le aveva visto sopra. Inoltre, Beata gli aveva dato uno schiaffo e, sebbene non fosse certo che tale restrizione si estendesse alle donne, quello era un gesto terribile anche quando un Haken lo faceva con un suo simile. Comunque, non si sarebbe sentito bene anche se non avesse ricevuto un ceffone. Ora Beata lo odiava e lui non riusciva a comprenderne la ragione. In quel momento aveva una voglia matta di ubriacarsi. 16 «Fetch! Ragazzo! Fetch!» Di solito quando mastro Drummond lo chiamava in quel modo, Fitch arrossiva per l'umiliazione, ma quella volta era talmente angosciato per la scena che aveva visto al terzo piano poco prima che non provò nessuna vergogna nel sentirsi indirizzare quell'appellativo. Anche se il capo cuciniere gli avesse detto che era uno scarto di fogna non avrebbe potuto competere con il dolore che gli provocavano l'odio e la violenza di Beata nei suoi confronti. Era passata qualche ora, ma il suo viso continuava a pulsare nel punto in cui era stato colpito. Ora gli era tutto chiaro: Beata lo odiava. Quello era l'unico fatto certo nella confusione di cui era preda in quei momenti. Fitch era convinto che Beata doveva essere arrabbiata con qualcuno, ma non con lui. Forse era arrabbiata con se stessa per essere andata in quella stanza, ma Fitch pensò che non avrebbe potuto rifiutare un invito da parte del ministro in persona. Inger avrebbe perso il suo posto di macellaio se il ministro gli avesse detto che una ragazza haken del suo personale si era rifiutata di soddisfare le sue richieste. No, lei non l'avrebbe fatto. Inoltre, lei voleva incontrare quell'uomo. Era stata proprio lei a dirlo. Fitch lo sapeva, o almeno così pensava, che Beata non si sarebbe mai aspettata che quell'uomo così importante si comportasse in quel modo. Forse non era sconvolta a causa del ministro. Fitch ricordava bene Stein, l'uomo che gli aveva fatto l'occhiolino. Beata era rimasta in quella stanza a lungo. Non aveva nessun motivo per odiarmi e colpirmi, pensò Fitch. Si fermò. Aveva passato le ultime ore a sgrassare le pentole nell'acqua calda e sentiva le dita che pulsavano. Tutto il resto del suo corpo, volto escluso, era intorpidito. «Sì, signore?» Mastro Drummond fece per aprire la bocca per parlare, ma la richiuse e si inclinò verso Fitch aggrottando la fronte. «Cosa ti è successo alla faccia?» «Uno dei ceppi è scivolato dalla catasta e mi ha colpito, signore.» Mastro Drummond scosse la testa e si asciugò le mani con lo strofinaccio. «Idiota» borbottò. «Solo un idiota» ripeté a voce alta in modo che tutti potessero sentirlo «si fa cadere in faccia la legna mentre la raccoglie.» «Avete ragione, signore.» Mastro Drummond stava per continuare, quando Dalton Campbell, che stava studiando un foglio di carta fitto di appunti, si avvicinò a Fitch seguendo la lista con un dito. Sotto il braccio dell'aiutante del ministro c'era una pila disordinata di scartoffie dai bordi spiegazzati. «Sono venuto per assicurarmi di alcune cose, Drummond» disse, senza alzare lo sguardo. Il capo cuciniere terminò di asciugarsi le mani e si drizzò. «Certo, signor Campbell, qualsiasi cosa per voi.» Dalton Campbell alzò il foglio per controllare quello sottostante. «Avete fatto in modo di mettere i piatti e le brocche migliori nell'armadio a muro?» «Certo, signor Campbell.» Dalton borbottò tra sé e sé che doveva farli cambiare di posto dopo che aveva dato un'occhiata. Finì di controllare il foglio e passò al terzo. «Vorreste fare aggiungere due posti al tavolo principale?» Tornò al secondo foglio. Mastro Drummond, agitato, fece una smorfia. «Due in più, certo, signor Campbell. Se fosse possibile, in futuro vorreste essere così gentile da farmelo sapere in anticipo?» Dalton Campbell agitò un dito in aria senza distogliere lo sguardo dal foglio. «Certo, certo. Sarei ben felice di farlo se solo lo sapessi prima anch'io.» Batté il dito su una voce segnata sulla carta e alzò lo sguardo. «Lady Chanboor afferma che lo stomaco dei musicisti gorgogliava a tempo con la musica. Potreste farli mangiare prima questa volta, grazie? Specialmente l'arpista. La donna sarà la più vicina a lady Chanboor.» Mastro Drummond fece un cenno con la testa. «Certo, signor Campbell. Sarà fatto.» Fitch arretrò di qualche centimetro senza farsi accorgere continuando a tenere la testa bassa, cercando di non passare per quello che stava ascoltando l'aiutante del ministro che impartiva le istruzioni al capo cuciniere. Avrebbe preferito allontanarsi di molto piuttosto che essere considerato un ficcanaso, ma sapeva che se si fosse mosso in maniera evidente, mastro Drummond lo avrebbe ripreso davanti a tutti perché si era allontanato senza che gli fosse stato ordinato. Si defilò il più possibile cercando al tempo stesso di rimanere nelle immediate vicinanze. «Il vino spezziate. Facciamo in modo che questa volta ci sia più scelta. L'ultima volta c'è stato più di un invitato che pensava che ce ne fosse poca. Sia tiepido che fresco, grazie.» Mastro Drummond premette le labbra. «Un piccolo appunto, signor Campbell, se in futuro foste così gentile da...» «Sì, sì, vi informerò appena saprò qualcosa.» Girò un'altra pagina. «Le portate più raffinate dovranno essere servite al tavolo principale senza limitazioni. L'ultima volta il ministro è rimasto piuttosto imbarazzato nello scoprire che erano finite e alcuni degli invitati erano andati via per quel motivo. Lasciamo che prima finiscano in altri tavoli nel caso non fossero arrivate abbastanza scorte.» Fitch ricordava bene quell'inconveniente e sapeva che mastro Drum- mond questa volta aveva ordinato che venissero fritti molti più testicoli di cervo. Fitch ne aveva sgraffignato uno dalla festa mentre portava via una pentola e, sebbene non fosse stato condito con la salsa in agrodolce, l'aveva trovato squisito. Dalton Campbell controllava i fogli ponendo diverse domande sui tipi di sale e burro e pane, dando le ultime istruzioni al capo cuciniere. Fitch distolse lo sguardo dai due uomini e si concentrò sulle donne che stavano ricoprendo gli stomaci di maiale farciti con carne tritata, formaggi, uova e spezie, con delle schegge di mandorle facendoli somigliare a dei porcospini. A un altro tavolo due donne stavano rimettendo le piume a dei pavoni arrostititi. I colori del piumaggio andavano dallo zafferano al giallo girasole. Anche i becchi e le zampe erano stati tinti in modo che gli uccelli sembrassero delle statue d'oro. Dalton Campbell abbassò le mani. Sembrava aver finito di impartire istruzioni. «C'è qualcosa che vorreste dirmi, Drummond?» Il capo cuciniere si leccò le labbra. Non aveva la minima idea di dove volesse andare a parare l'aiutante del ministro. «No, signor Campbell.» «Siete soddisfatto del personale delle cucine?» domandò con voce priva d'emozione. Fitch vide che tutti i presenti avevano lanciato una rapida occhiata in quella direzione. L'attività che ferveva nella cucina sembrò assumere un ritmo più lento. Sembrava che il personale stesse ascoltando con attenzione quanto succedeva. Fitch aveva l'impressione che forse Dalton Campbell stava accusando velatamente mastro Drummond di tenere dei fannulloni in cucina e non punirli. Anche il capo cuciniere nutriva gli stessi sospetti dello sguattero. «Certo, signore, sono soddisfatto del loro lavoro. Li tengo sempre in riga, signor Campbell. Non voglio dei perdigiorno tra i piedi. Rovinano il lavoro degli altri e basta. Non potrebbe essercene neanche uno: questo è un palazzo troppo importante per permettere a dei fannulloni di rovinare tutto. Nossignore! Questa è una cosa che non permetto affatto.» Dalton Campbell fu molto contento di sentire quelle parole. «Ottimo, Drummond! Anche a me non va che ci siano dei fannulloni in giro per il palazzo.» Diede un'occhiata alle persone che lavoravano in silenzio e a testa bassa. «Tornerò a controllare prima che sia arrivato il momento di servire.» Mastro Drummond chinò il capo. «Grazie, signor Campbell.» L'aiutante del ministro si girò, fece qualche passo e lanciò un'occhiata a Fitch. Lo sguattero lo vide aggrottare la fronte e incassò ulteriormente la testa tra le spalle desiderando di poter scomparire tra le assi del pavimento. Dalton Campbell girò la testa in direzione del capo cuciniere. «Come si chiama lo sguattero?» «Fitch, signor Campbell.» «Fitch. Allora avevo sentito bene. Da quanto tempo lavora a palazzo?» «Da circa quattro anni, signore.» «Quattro anni. Così tanto.» Si girò del tutto. «Allora deve essere un fannullone, giusto? Uno di quelli che rovina il lavoro altrui, vero? Uno di quelli che avrebbe dovuto essere sbattuto fuori tanto tempo fa, ma che è ancora nelle cucine per qualche oscuro motivo, vero? Significa per caso che avete preso sottogamba il vostro incarico di capo cuciniere del palazzo ministeriale? Siete imputabile di tale mancanza?» Fitch era paralizzato dal terrore e si chiedeva se prima di essere buttato fuori con un tozzo di pane tra le mani sarebbe stato picchiato. Lo sguardo di mastro Drummond scivolò rapidamente dallo sguattero all'aiutante del ministro. «Be'... uh... no signore. No, signor Campbell. Sto sempre attento e mi preoccupo che anche Fitch faccia la sua parte come tutti. Come ho detto, non voglio dei fannulloni sotto il tetto del ministro. No signore.» Dalton Campbell fissò Fitch con un'espressione interdetta, dopodiché tornò a concentrarsi sul capo cuciniere. «Quindi, se effettivamente lavora come mi avete detto, non vedo nessuna ragione per umiliare il ragazzo chiamandolo Fetch, giusto? Non pensate che dia una brutta immagine di voi come capo cuciniere, Drummond?» «Be', io...» «Molto bene, sono contento che siate d'accordo con me. Non voglio più sentire cose simili in questa casa.» Il personale delle cucine cominciò a fissare i due. Alcuni in maniera più diretta, altri con maggiore circospezione. Il capo cuciniere se ne accorse. «Mi scusi, vorrei spiegare la situazione. Non volevo offendere e il ragazzo non ci fa caso. Fitch vorresti...» La postura di Dalton Campbell cambiò in un modo che zittì mastro Drummond prima ancora che finisse di parlare. Negli occhi dell'Ander era apparsa una luce ferale. Improvvisamente era sembrato più alto e più robusto. Il modo di fare alla mano e distratto e il tono ufficiale erano scomparsi per lasciare spazio a una aria minacciosa quanto la spada che gli pendeva dal fianco. «Mettiamola in un altro modo, Drummond. Non voglio che succedano più cose simili sotto questo tetto e mi aspetto che assecondiate i miei desideri. Se vi risento rivolgervi a qualcuno del personale con degli appellativi offensivi vi faccio sbattere fuori e nomino un nuovo capo cuciniere, chiaro?» «Sì, signore. Molto chiaro, grazie, signore.» Campbell fece per andarsene poi tornò a girarsi. «Un'ultima cosa» disse in tono minaccioso. «Il ministro Chanboor mi impartisce degli ordini e io li eseguo alla perfezione. È il mio lavoro. Io vi impartisco degli ordini e voi li eseguite alla perfezione. Questo è il vostro lavoro. «Il ragazzo deve fare il suo lavoro altrimenti deve essere buttato fuori, ma se lo fate dovete procurarvi delle solide prove sul motivo e se ve la prenderete con lui a causa dei miei ordini, allora non vi sbatterò fuori, ma vi sbudellerò e vi farò arrostire su uno di quegli spiedi. È tutto chiaro adesso, signor Drummond?» Fitch non credeva che il capo cuciniere potesse strabuzzare gli occhi a tal punto. La fronte di mastro Drummond era imperlata di sudore. «Chiarissimo, signore. Farò come dite. Avete la mia parola» rispose dopo aver deglutito. Dalton Campbell sembrò tornare alle sue dimensioni normali, che, tra l'altro, non erano per niente trascurabili. Il volto si rilassò e sulle labbra tornò il sorriso educato. «Grazie, Drummond. Continuate pure.» L'aiutante del ministro non aveva guardato neanche una volta Fitch nel corso di tutta la tirata e lo stesso fece quando uscì dalla cucina a grandi passi. Fitch, mastro Drummond e gran parte del personale delle cucine tirò un sospiro di sollievo. Quando Fitch si rese conto che il capo cuciniere non l'avrebbe più chiamato in maniera offensiva provò un forte stupore e la sua stima nei confronti di Dalton Campbell aumentò in maniera vertiginosa. Mastro Drummond prese lo strofinaccio dalla cintura, si asciugò la fronte e si accorse che il personale lo stava fissando. «Tornate tutti al lavoro.» Cambiò lo strofinaccio. «Fitch.» Questa volta l'aveva chiamato con il tono di voce normale che usava per tutti gli altri. Lo sguattero lo raggiunse. «Sì, signore?» «Abbiamo bisogno di altra legna di quercia» disse, indicando fuori. «Non tanta come l'ultima volta. La metà. Sbrigati.» «Sì, signore.» Fitch corse verso la porta ansioso di prendere la legna e questa volta non gliene importava nulla delle schegge. Ora non sarebbe più stato umiliato da quel nome che odiava tanto. Grazie all'intervento di Dalton Campbell la gente avrebbe smesso di ridere di lui. Se in quel momento l'aiutante del ministro gli avesse chiesto di prendere delle braci ardenti a mani nude, lui l'avrebbe fatto sorridendo. 17 Dalton Campbell sbottonò il farsetto con una mano mentre con l'altra chiudeva la grossa porta di mogano dei suoi alloggi. La quiete di quelle stanze lo avvolse. Era stata una giornata lunga e non era ancora finita; c'era ancora il banchetto. «Sono io, Teresa» chiamò, rivolgendosi in direzione della camera da letto. Aveva voglia di fare l'amore. Aveva bisogno di rilassarsi. Forse ci sarebbe riuscito più tardi, sempre che il lavoro non interferisse. Terminò di sbottonare il colletto e sbadigliò riempendosi i polmoni del profumo dei lillà. Le spesse tende blu oscuravano le finestre e la stanza era illuminata dalle lampade, dalle candele profumate e dalla luce fioca che proveniva dal camino. Il fuoco in quel momento serviva più come elemento decorativo che per dare calore. Dalton Campbell notò che il tappeto viola dalle frange color grano era stato battuto da poco. Le sedie placcate d'oro, sistemate a fianco di alcuni tavoli sopra i quali spiccavano delle brocche piene di fiori freschi, erano angolate in modo da mostrare i cuscini e gli schienali di cuoio. I cuscini dei divani erano sistemati in maniera apparentemente casuale, ma non era così. L'aiutante del ministro si aspettava che la moglie si occupasse del personale della casa in modo che i loro alloggi fossero sempre presentabili sia per le visite ufficiali che per quelle informali. Anche se a una prima occhiata le due occasioni potevano sembrare diverse per lui erano la stessa cosa. Teresa sapeva che la sera ci sarebbe stato un banchetto e che, molto probabilmente, dopo avrebbero avuto degli ospiti... ospiti importanti. Po- teva essere chiunque, da un dignitario a un paio di persone di poco conto, ma a modo loro tutti erano importanti. Tutti servivano a formare la ragnatela che stava tessendo e dal centro della quale lui ascoltava, osservava e prestava attenzione anche alla minima vibrazione. I banchetti con tutti quegli invitati erano un concentrato di confusione. Un misto di bevute, conversazioni ed emozioni. Spesso in quelle occasioni c'era l'opportunità di forgiare nuove alleanze e rinforzare le vecchie... tutto serviva alla ragnatela che stava tessendo. Teresa fece capolino dalla porta e gli sorrise. Era contenta di vederlo. «Il mio amore è arrivato.» Malgrado fosse stata una giornata pesante, Dalton Campbell si era lasciato tutto alle spalle nel momento in cui aveva chiuso la porta dietro di sé e sorrise nel vedere gli occhi scuri della moglie. «Tess, mia cara. Hai un'acconciatura stupenda.» Nel centro della chioma spiccava un pettinino d'oro. Una cascata di treccine decorate con dei nastri dorati scendeva lungo le guance. La donna si piegò in avanti e i capelli si aprirono rivelando il collo aggraziato. Teresa aveva circa venticinque anni, ma sembrava più giovane di dieci anni. Dalton pensava che fosse una creatura di una bellezza incomparabile. Era anche una donna incredibilmente ambiziosa e non riusciva a credere che lei avesse accettato di sposarlo. Era successo sei mesi prima. I pretendenti erano molti e alcuni erano personaggi molto importanti, ma nessuno di loro aveva potuto competere con lui. Dalton Campbell non era un uomo da sottovalutare e chiunque l'aveva fatto se n'era pentito amaramente. Circa un anno prima, Dalton le aveva chiesto la mano e lei lo aveva interrogato con molto garbo riguardo alle sue ambizioni. Teresa era fatta così, ammantava con le belle maniere la sua determinazione a voler diventare qualcuno. A quel tempo, Dalton era l'assistente di un magistrato di Fairfield, non era certo un incarico di poco conto, ma per lui quella rappresentava solo una tappa nella sua carriera, un punto di partenza dal quale stabilire nuovi contatti. Aveva evitato di rispondere alle domande della futura moglie e le aveva assicurato in tono sobrio ma deciso che, a dispetto di quello che era in quel momento, in futuro sarebbe diventato l'uomo più importante di tutta Anderith. Teresa, presa alla sprovvista da quell'affermazione, aveva smesso di sorridere e, stregata dalla convinzione del suo pretendente, aveva deciso di sposarlo. La moglie di Dalton era stata contenta di scoprire che il suo uomo non aveva parlato a vanvera. Già durante i preparativi per il matrimonio, Dalton aveva ricevuto un incarico migliore e nel corso dei primi mesi di matrimonio avevano traslocato tre volte sempre in occasione di avanzamenti di grado. Il motivo di tale successo era da imputare al fatto che Dalton conosceva alla perfezione le leggi di Anderith, il vero basamento, il substrato roccioso sul quale si basava l'organizzazione di tutto il regno. I codici di Anderith non avevano segreti per lui, era al corrente anche delle sfumature più impercettibili di quelle leggi ed era in grado di fornirne l'interpretazione più consona alla situazione. La gente che aveva lavorato con lui non rispettava solo la sua profonda conoscenza dei codici, ma lo apprezzava anche per la sua abilità nell'abbandonare i sistemi legali e passare a quelli illegali quando era necessario. In quei casi era molto creativo e le sue pensate erano sempre efficaci. Teresa si era adattata agli avanzamenti del marito senza alcun problema, facendosi carico della direzione del personale della casa con il contegno di una donna che non aveva fatto altro per tutta la vita. Solo poche settimane prima, Dalton Campbell si era aggiudicato uno degli uffici più ambiti del ministero. Teresa aveva toccato il cielo con un dito quando aveva saputo che avrebbero alloggiato nell'ala più lussuosa di quel palazzo. Ora poteva discorrere alla pari con donne di altissimo lignaggio. Avrebbe dovuto essere contenta, al limite delle lacrime alla notizia, ma a dire il vero non si aspettava di meno. Se c'era una persona in grado di comprendere e condividere l'ambizione sfrenata del marito quella era proprio Teresa. «Oh, Dalton, mi dici chi prenderà parte al banchetto? Non sto più nella pelle.» L'aiutante del ministro sbadigliò. Sapeva bene che anche la moglie stava intessendo la sua tela. «Dignitari noiosi.» «Ci sarà anche il ministro, vero?» «Sì.» «Be', lui non è noioso. Ho conosciuto altre donne che vivono a palazzo. Sono tutte mogli di personaggi molto importanti. Non avrei potuto sperare di meglio.» Sfiorò il labbro superiore con la lingua con fare provocatorio. «Mai im- portanti quanto mio marito, però.» «Tess, amore mio» rispose lui sorridendo «tu faresti venire voglia di diventare importante anche a un morto.» La moglie gli fece l'occhiolino e sparì. «Hanno fatto passare diversi messaggi sotto la porta per te» gli disse parlando dall'altra stanza. «Sono sulla scrivania.» Il legno d'olmo del mobile era tanto lucido da brillare come un diamante. Ogni pannello dell'impiallacciatura era intervallato da alcune strisce di acero verniciato sagomate a forma di diamante sulle quali spiccava un punto dorato. Le gambe erano ricoperte da uno strato di vernice lucida. Trovò i messaggi in uno scomparto segreto dentro il vano che ospitava uno dei cassetti superiori. Ruppe i sigilli e li lesse per stabilirne l'importanza. Alcuni erano interessanti, ma niente d'urgente. Tutte informazioni... piccole vibrazioni dai diversi angoli della sua tela. Una di queste lettere raccontava di uno strano incidente: un annegamento in una fontana pubblica. Era successo nel pomeriggio in mezzo alla folla che si accalcava sempre nella piazza dei Martiri. Anche se era giorno pieno e sotto gli occhi di tutti, nessuno si era accorto di quello che stava succedendo finché non era stato troppo tardi. Era già da qualche giorno che riceveva rapporti riguardo strane morti. Dalton sapeva che quel messaggio aveva la funzione di avvertimento perché molto probabilmente in quelle morti doveva essere implicata la magia. Qualcuno la stava usando per far sembrare tutto casuale. Un altro menzionava una 'signora sconvolta' che aveva mandato una lettera a un direttore nel quale gli richiedeva un po' della sua attenzione perché era agitata. Voleva incontrarlo durante il banchetto e gli chiedeva di tenere la lettera confidenziale. Dalton sapeva chi era la donna e che si sarebbe rivolta al direttore Linscott, ma la persona che gli aveva recapitato il messaggio era stata abbastanza furba da non scrivere i nomi. Sospettava il motivo dell'agitazione, ma il suo desiderio di incontrarlo in privato lo preoccupava. Il messaggio che aveva tra le sue mani gli diceva che la lettera mandata dalla donna si era persa in maniera misteriosa e non era mai stata consegnata. Dalton ripose il messaggio nello scompartimento e rinfilò il cassetto. Doveva fare qualcosa riguardo quella donna. Non sapeva ancora cosa fare, ma era necessario agire. Doveva stare attento perché a volte agire con troppa foga poteva essere dannoso quanto rimanere inattivi. Forse era necessario lasciare che la don- na parlasse con il direttore Linscott e sapere così cosa aveva da dire. Non c'erano problemi al riguardo. Uno dei componenti della sua tela era in grado di fornirgli le informazioni che gli servivano dopodiché avrebbe potuto prendere la decisione giusta e se anche quel sistema non avesse funzionato, avrebbe parlato con la donna e l'avrebbe rassicurata per fare in modo che le cose prendessero la piega che lui voleva. Dalton si era insediato nel suo ufficio da poco, ma non aveva perso tempo e ora era a conoscenza di qualsiasi aspetto della vita del palazzo. In pochissimo tempo era diventato un collega indispensabile per alcuni, un confidente per altri e un paravento per pochi. Si era guadagnato la lealtà di molti individui e tutti facevano vibrare costantemente la sua tela come se fosse un'arpa. Fin dal primo giorno l'obbiettivo principale di Dalton era stato quello di diventare indispensabile per il ministro. Durante la seconda settimana di lavoro, uno dei direttori dell'Ufficio per l'Amicizia Culturale aveva mandato un 'ricercatore' nella biblioteca del palazzo. Il fatto non era piaciuto per niente al ministro Chanboor. A dire il vero si era lasciato andare a uno degli eccessi d'ira che si verificavano ogni volta che riceveva una brutta notizia. Due giorni dopo l'arrivo del ricercatore, Dalton aveva informato il ministro Chanboor che l'uomo era stato arrestato a Fairfield. L'avevano trovato ubriaco nel letto di una prostituta. Anche se l'uomo sarebbe stato malvisto da molti direttori non aveva commesso dei crimini gravissimi, ma nelle tasche della sua giubba avevano trovato un libro molto raro e dal valore inestimabile. Era un volume scritto nientemeno che da Joseph Ander in persona. La sparizione del libro era stata denunciata poco dopo che il ricercatore era uscito per andare a bere. Dalton aveva ordinato di informare il direttore dell'ufficio interessato, poche ore prima della cattura del colpevole. Insieme al rapporto, Dalton aveva inviato le sue personali assicurazioni che non avrebbe chiuso occhio finché il malfattore non fosse stato assicurato alla giustizia e aveva dato immediatamente il via alle indagini per scoprire se quel crimine contro la cultura non fosse altro che uno dei prodromi di un complotto. Incapace di reagire, l'Ufficio dei direttori si era chiuso nel più stretto riserbo. Oltre a essere stato uno dei precedenti datori di lavoro di Dalton, il magistrato di Fairfield, era anche grande ammiratore del ministero della Cultura e lo serviva sempre con immenso piacere. L'alto funzionario non prese il furto alla leggera e lo riconobbe per quello che in effetti era: sedizione. Il ricercatore trovato con il libro venne condannato a morte e giustiziato immediatamente per crimini culturali contro la gente di Anderith. La sentenza non calmò le acque, anzi... Cominciarono a girare voci di una confessione che implicava altre persone. Il direttore che aveva mandato l'uomo nella biblioteca per fare delle 'ricerche' si dimise per non essere associato al crimine. Dalton in quanto rappresentante del ministro accettò le dimissioni a malincuore e fece circolare un comunicato con il quale chiudeva ufficialmente il caso e screditava le voci di una confessione. Un vecchio amico di Dalton era stato abbastanza fortunato da occupare il posto vacante di direttore, un posto per il quale aveva lavorato per tutta la vita. Dalton era stato il primo a stringergli la mano e non aveva mai visto una persona tanto felice. Dalton era molto contento di rendere felici delle persone a cui voleva bene e che riteneva degne di fiducia. Dopo l'incidente, Bertrand Chanboor decise che doveva lavorare più a stretto contatto con il suo aiutante e nominò Dalton capo del personale di palazzo e suo aiutante personale dandogli potere sull'intera tenuta. Dalton rispondeva del suo operato solo al ministro. Quell'avanzamento di grado gli aveva permesso di occupare gli alloggi in cui lui e la moglie si trovavano in quel momento. Il lusso e lo sfarzo di quegli appartamenti erano secondi solo a quelli del ministro. Dalton pensava che Teresa sarebbe stata ancora più contenta di lui della sua promozione. Lei amava i traslochi che dovevano fare a ogni suo avanzamento di grado. Era affascinata dai nobili e le piaceva incontrare tutte le persone importanti che si recavano in visita a palazzo. Per lei era come una droga. Gli ospiti, come anche i residenti a palazzo, erano più che altro nobili e, sebbene lui e Teresa fossero nati in famiglie agiate, ma prive di blasone, tutti la trattavano con la deferenza dovuta alle persone di alto rango. Dalton aveva sempre pensato che non era così importante essere nati in famiglie nobili, quello che era veramente necessario era stringere delle alleanze nei posti giusti. Teresa si schiarì la gola. Dalton si girò e lei attraversò la stanza con un'andatura impettita per mostrargli il vestito nuovo. Dalton strabuzzò gli occhi. Il tessuto illuminato dalle candele e dalle lampade brillava spandendo una sorta di luce sognante. Dei motivi floreali di colore dorato spiccavano sulla stoffa scura. Del filo correva lungo le cuciture e i bordi attirando l'attenzione sulla vita stretta e sulle curve voluttuose. La seta della lunga gon- na metteva in evidenza la forma delle gambe. Ma era la scollatura che partiva dalle spalle per scendere vertiginosamente verso la vita che lo lasciava senza parole. La vista dei seni così esposti lo eccitò e innervosì allo stesso tempo. Teresa piroettò per fargli vedere il vestito. Dalton la raggiunse con un paio di passi decisi e la prese tra le braccia. Teresa ridacchiò divertita. Lui fece per baciarla, ma la moglie si ritrasse. «Attento. Ho passato ore a truccarmi. Non rovinare tutto, Dalton.» Lui la baciò lo stesso e lei sembrò contenta dell'effetto che il vestito aveva sul marito. Teresa si staccò leggermente da Dalton e tirò uno dei nastri che legavano i capelli. «Sono più lunghi, vero amore?» gli chiese in tono implorante. «Non ce la faccio più ad aspettare che crescano.» Il fatto che Dalton fosse avanzato di grado gli aveva concesso di ottenere altri privilegi, uno dei quali era quello di permettere alla moglie di farsi crescere i capelli in modo da poter riflettere il suo status. Le altre mogli di persone importanti che abitavano nel palazzo portavano i capelli lunghi fino quasi alle spalle: per sua moglie non sarebbe stato diverso. Forse poteva portarli un po' più lunghi dei loro. C'erano poche donne ad Anderith per non dire in tutte le Terre Centrali che potevano portare i capelli così lunghi. Teresa era sposata con un uomo importante, quindi poteva permetterselo. Il pensiero gli provocò un brivido d'eccitazione, gli succedeva ogni volta che si rendeva conto di quanta strada aveva fatto effettivamente. Dalton Campbell pensava di essere solo all'inizio. Aveva intenzione di andare molto più avanti. Aveva dei piani ed era un uomo in grado di metterli in atto. Doveva prendersi cura anche di aspetti che riteneva poco utili, ma non importava. Il ministro si permetteva certi capricci solo perché occupava quella carica. «I tuoi capelli crescono benissimo, amore mio. Se delle donne ti dovessero guardare dall'alto in basso solo perché non ti sono ancora cresciuti, vedi di ricordarti i loro nomi, perché tu potrai portare i capelli molto più lunghi dei loro e dopo potrai tornare da loro per far capire chi sei.» Teresa gli buttò le braccia al collo e lanciò degli urletti deliziati. Incrociò le braccia dietro la schiena e lo fissò con aria civettuola. «Ti piace il mio vestito?» Si premette contro di lui per sottolineare il concetto, osservando i suoi occhi che si spostavano verso il basso. Dalton si piegò in avanti e le infilò una mano sotto la gonna, carezzando le mutande di seta. Teresa sussultò fingendosi sorpresa. Il marito la baciò e cercò di abbracciarla. Non stava più pensando al banchetto, voleva solo portarla a letto. Cominciò a dirigersi verso la stanza da letto, ma lei si dibatté per sfuggire alla sua presa. «Dalton! Amore! Mi stropicci il vestito.» «Non penso che qualcuno si soffermerà a fissare le pieghe del tuo vestito. Credo che si concentreranno su quello che mette in evidenza. «Voglio che tu metta questo vestito solo per dare il benvenuto a tuo marito quando torna dal lavoro.» La moglie gli diede uno schiaffo giocoso sulle spalle. «Smettila, Dalton.» «Davvero.» Le fissò la scollatura. «Questo vestito... fa vedere troppo.» La moglie si allontanò. «Piantala, Dalton. Non essere sciocco. Tutte le donne si vestono così ai giorni nostri.» Gli girò intorno fermandosi: davanti a lui. «Non sarai geloso, vero? Non vuoi che gli altri guardino tua moglie?» Per Dalton la sua donna era l'unica cosa nella sua vita che aveva desiderato più del potere e al contrario del resto, non cercava mai di immischiarsi nei suoi affari. Gli spiriti sapevano che nel palazzo c'erano abbastanza uomini che erano avanzati di rango mandando le proprie mogli a letto con il ministro Chanboor. Dalton Campbell non era tra di loro. Lui usava il suo talento e la sua inventiva per raggiungere i suoi scopi e non il corpo della moglie e anche per questo era superiore agli altri. La sua indulgenza cominciava a scomparire. «E come faranno a sapere che sei mia moglie? Vestita così non ti guarderanno mai in faccia.» «Adesso basta, Dalton. Stai diventando incredibilmente ottuso. Tutte le altre donne indosseranno dei vestiti simili a questo. È la moda. Sei sempre troppo impegnato con il tuo nuovo lavoro per occuparti di queste cose quindi ci devo pensare io. «Credici o no, questo abito è castigato in confronto a quello che indosseranno le altre. Non indosserei mai degli abiti che scoprono così tanto - so come la pensi - ma non voglio sembrare fuori luogo. Nessuno avrà nulla da dire sul vestito, eccetto che forse la moglie del braccio destro del ministro è riservata.» Nessuno l'avrebbe pensata 'riservata'. Tutti avrebbero creduto che era pronta a ogni tipo di invito. «Mettine un altro, Teresa. Quello rosso con la scollatura a V. Mette in mostra abbastanza... il petto. È difficile considerare il vestito rosso 'riservato'.» Teresa lo allontanò, incrociò le braccia e fece il broncio. «Suppongo che sarai contento di farmi indossare un vestito da casa e fare in modo che tutte le donne sussurrino alle mie spalle che mi vesto come la moglie di un assistente magistrato. Io indossavo quell'abito quando eri un perfetto sconosciuto. Pensavo che saresti stato contento di vedere questo abito nuovo, di vedere che tua moglie può adattarsi senza problemi alla moda femminile del palazzo. «Ma adesso non lo indosserò più. Sarò la moglie arretrata dell'aiutante del ministro. Nessuno vorrà parlare con me e non avrò nessuna amica.» Dalton trasse un profondo respiro e la osservò tamponarsi il naso con un dito. «Le altre donne indosseranno degli abiti simili alla festa, Tess?» La moglie si girò raggiante. Dalton Campbell pensò in quell'attimo che quell'espressione era la stessa comparsa sul volto della ragazza haken quando le aveva portato l'invito del ministro della Cultura. «Certo che è simile a quello delle altre donne, solo che, come ti ho détto, il mio è più castigato. Oh, vedrai, Dalton. Sarai orgoglioso di me. Voglio essere la moglie giusta per un uomo del tuo rango. Voglio che tu sia orgoglioso di me come io lo sono di te. Solo tu Dalton. «Una moglie che sa come comportarsi è fondamentale per un uomo importante come te. Io proteggo i tuoi interessi quando non ci sei. Non hai idea di quanto possono essere gelose, ambiziose, traditrici e intriganti le donne. Una parola mirata a far male riferita al marito e si finisce sulla bocca di tutti. Io faccio in modo che questo non accada.» Dalton sapeva che le mogli riferivano ai mariti ogni singolo pettegolezzo. «Suppongo che sia così.» «Tu hai sempre detto che siamo soci. Sai bene come ti proteggo. Sai bene quanto mi do da fare perché tu ti trovi a tuo agio in ogni posto dove andiamo. Sai che non farei mai nulla per vanificare i tuoi sforzi. Mi hai sempre detto che mi avresti portata nei posti migliori e che sarei stata accettata come una pari da tutte le altre donne. «Hai mantenuto le tue promesse, marito mio. Ho sempre saputo che l'avresti fatto, ecco perché ho accettato di sposarti. Anche se ti amavo non ti avrei mai sposato se non avessi avuto fiducia nelle tue capacità. Noi possiamo contare solo su noi stessi, Dalton. «Ho mai commesso un passo falso da quando ci siamo trasferiti in un posto nuovo?» «Mai, Tess.» «Pensi che io farei uno stupido colpo di testa proprio adesso? In un posto importante come questo e proprio nel momento in cui ti trovi sul margine della vera grandezza?» Teresa era l'unica alla quale aveva confidato l'estensione della sua ambizione e lei non ne aveva mai riso perché sapeva che poteva farlo. «No, so che non metteresti a rischio tutto questo.» Si passò una mano sul viso sospirando. «Tieni quel vestito se pensi che sia appropriato. Mi fido del tuo giudizio.» Appianata la questione, la moglie lo spinse gentilmente verso l'armadio. «Cambiati anche tu, adesso. Preparati. Sarai l'uomo più affascinante della serata. Credo che dovrei essere io quella gelosa perché senza dubbio le altre mogli mi invidieranno il marito. Ho l'impressione che sarai tu a ricevere più di un invito.» Dalton si girò e l'afferrò per una spalla. «Stai alla larga dall'uomo di nome Stein, l'ospite d'onore di Bertrand. Tieni lontano... il tuo vestito nuovo dai suoi occhi. Chiaro?» «Come farò a riconoscerlo?» La lasciò andare. «Non sarà difficile. Porta un mantello di scalpi.» Teresa sussultò. «No.» Si avvicinò al marito. «Si tratta di quello che arriva dal Vecchio Mondo? Quello che è venuto a parlare di allearsi al suo imperatore?» «Sì. Stai alla larga da lui.» Teresa batté le palpebre nel sentire una notizia tanto stupefacente. «Eccitante. Non ho mai sentito di nessuno che abbia mai incontrato uno straniero tanto interessante. Deve essere un uomo molto importante.» «Lo è, un uomo con il quale dovremo portare avanti delle trattative, quindi non mi va di doverlo fare a pezzi perché ha cercato di portarti a letto. L'attesa per l'arrivo di un nuovo ambasciatore ci farebbe perdere un sacco di tempo prezioso.» Non si trattava di una minaccia vana e Teresa lo sapeva bene. Il marito aveva studiato l'arte della spada con lo stesso impegno che aveva riservato al diritto. Dalton poteva decapitare una pulce su una pesca senza incresparne la peluria. «Non avrà bisogno di guardarmi e non dormirà da solo stanotte. Ci saranno donne che si picchieranno pur di avere la possibilità di passare una notte con un uomo così maschio. Scalpi...» Scosse la testa. «La donna che finirà nel suo letto sarà invitata in ogni salotto per mesi.» «Forse potrebbero invitare una ragazza haken e farsi dire da lei quanto è stato eccitante» sbottò Dalton. «Una ragazza haken?» chiese Teresa. «Non credo che quelle donne considerino degna di nota una ragazza haken. «Allora non è stato deciso ancora niente? Non sappiamo ancora se Anderith resterà legato alle Terre Centrali o si unirà all'Ordine Imperiale?» gli chiese, concentrandosi sull'argomento più importante. «No. Non sappiamo come andrà a finire. I direttori sono divisi e Stein è appena arrivato.» Teresa si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio. «Starò alla larga da quell'uomo. Mentre tu deciderai il destino di Anderith io starò alle tue spalle come al solito e terrò le orecchie aperte.» La moglie fece qualche passo verso la stanza da letto, quindi si fermò e si girò. «Se quell'uomo è venuto per spiegare...» Comprese tutto e strabuzzò gli occhi. «Allora vuol dire che stanotte ci sarà anche il sovrano in persona, vero Dalton?» Dalton le sollevò il mento con un dito. «Una moglie in gamba è il migliore alleato di un uomo.» Teresa si lasciò trascinare nella stanza che usavano come guardaroba. «Ho visto quell'uomo sempre da lontano. Oh, Dalton, sei meraviglioso, mi hai portato in un luogo dove posso mangiare vicino al sovrano.» «Ricorda quello che ti ho detto. Stai alla larga da Stein a meno che io non sia con te. Lo stesso vale per Bertrand anche se dubito che avrà il coraggio di incrociarmi. Se farai la brava ti presenterò al sovrano.» Teresa rimase senza parole per un lungo momento. «Quando stanotte saremo soli scoprirai quanto so essere brava. Gli spiriti mi trattengano» aggiunse con un sospiro. «Spero di poter resistere tanto a lungo. Il sovrano. Oh, Dalton, sei meraviglioso.» Teresa si sedette davanti allo specchio per vedere se l'irruenza del marito le aveva sbavato il trucco. Dalton aprì il guardaroba e le chiese: «Allora, Tess, quali pettegolezzi hai sentito?» Cercò la sua maglia preferita. Sua moglie si sarebbe vestita con un abito color oro e lui decise di indossare una maglia rossa. Era sempre meglio sfoderare un aspetto sicuro di sé. Teresa si tamponò le guance con una spugnetta e cominciò a riferire i pettegolezzi della casa. Dalton giudicò che nessuno fosse degno di nota. I suoi pensieri si concentrarono su problemi molto più seri: i direttori che dovevano essere ancora convinti e come comportarsi con Bertrand Chanboor. Il ministro era un uomo molto furbo e Dalton lo capiva bene. Entrambi erano animati da un'ambizione smisurata. Bertrand Chanboor voleva tutto... da una ragazza haken che aveva attirato la sua attenzione, al trono del sovrano. Quell'uomo era in grado di ottenere tutto ciò che voleva. Dalton avrebbe ottenuto il potere e l'autorità che cercava. Non c'era bisogno di diventare sovrani, gli bastava il ministero della Cultura. Quel ministero era il vero fulcro del potere di Anderith. Era in quelle sale che venivano scritte la maggior parte delle leggi e nominati i magistrati per farle rispettare. L'influenza del ministro della Cultura toccava tutti i settori della vita del regno: il commercio, le arti, le istituzioni, la religione, fino all'esercito e agli appalti pubblici. Il sovrano era tutto cerimonia e pompa magna, gioielli, abiti raffinati, feste e relazioni extraconiugali. No, a Dalton sarebbe stata sufficiente la carica di ministro della Cultura con tanto di sovrano che danzava sui fili della sua ragnatela. «Ti ho fatto lucidare i tuoi stivali migliori» gli disse Teresa, indicando l'altro lato del guardaroba. «Che notizie arrivano da Aydindril? Dici che Stein è venuto dal Vecchio Mondo per parlare di pace. E Aydindril? Cosa dicono le Terre Centrali?» Se c'era qualcosa che poteva porre un freno alle ambizioni e ai piani di Dalton quella era Aydindril. «Gli ambasciatori di ritorno da Aydindril hanno detto che la Madre Depositaria non si è limitata a mettere il suo destino e quello delle Terre Centrali in mano a lord Rahl, ma ha deciso di sposarlo. Anzi il matrimonio deve essere già avvenuto.» «Sposata! La Madre Depositaria in persona che si sposa.» Teresa tornò a concentrarsi sullo specchio. «Immagino che il fasto per un simile matrimonio abbia adombrato anche il ricevimento più sontuoso che si sia mai svolto ad Anderith.» Fece una pausa. «Ma il potere di una Depositaria distrugge la volontà degli uomini. Questo lord Rahl deve essere diventato un fantoccio nelle mani della Madre Depositaria.» Dalton scosse la testa. «Sembra che lui abbia il dono e che il potere delle Depositarie non abbia alcun effetto su di lui. Quella è una donna veramente astuta: sposare lord Rahl, il mago che regna sul D'Hara dimostra che conosce bene la politica e le sue strategie. L'unione tra le Terre Centrali e il D'Hara ha creato un impero veramente temibile. Sarà una decisione mol- to difficile.» Gli ambasciatori gli avevano riferito che lord Rahl era un uomo integerrimo, mosso da una grande convinzione e che era deciso a creare un regno di pace e libertà per coloro che si univano a lui. Lord Rahl aveva chiesto una resa totale e immediata con conseguente sottomissione al nascente impero d'hariano. Gli uomini di quello stampo tendevano a essere irragionevoli e potevano causare un mare di guai. Dalton mostrò una maglia a Teresa che approvò la scelta, quindi la infilò godendosi il profumo di pulito. «Stein parla a nome dell'imperatore Jagang che vuole offrirci un posto nel nuovo ordine del mondo. Sentiremo cosa ha da dirci.» A giudicare dalle parole di Stein era chiaro che l'Ordine Imperiale capiva bene i giochi della politica. Al contrario di Aydindril, l'imperatore Jagang era disposto a negoziare su alcuni punti di grande importanza. «E cosa ne pensano i direttori?» «I direttori che la pensano all'antica, che credono ancora nella cosiddetta libertà dei popoli delle Terre Centrali, diminuiscono sempre di più. Quelli che insistono con il fatto che dovremmo unirci a lord Rahl diventano delle voci sempre più isolate con il passare dei giorni. La gente è stufa di sentire i loro principi e la loro morale d'altri tempi.» Teresa posò la spazzola e aggrottò la fronte. «Scoppierà una guerra, Dalton? Da quale parte ci schiereremo?» Dalton le posò una mano rassicurante sulla spalla. «La guerra sarà lunga e sanguinosa e noi non abbiamo nessun interesse nel farci trascinare dentro. Farò tutto il possibile per proteggere Anderith.» Molto dipendeva da chi era destinato a vincere. Non aveva nessun senso schierarsi con i perdenti. «Comunque, alla peggio, possiamo sempre ricorrere al Dominie Dirtch. Nessun esercito può resistergli, ma è sempre meglio schierarsi dalla parte che ci offre gli accordi più interessanti.» Teresa giunse le mani. «Ma questo lord Rahl è un mago. Hai detto tu che ha il dono. Non si può mai sapere cosa può fare un mago.» «Questo potrebbe essere un buon motivo per unirsi a lui, ma l'Ordine Imperiale ha detto che vuole eliminare la magia. Forse conoscono un modo per contrastarlo.» «Ma se lord Rahl è un mago... allora potrebbe essere in grado di controllare una magia pericolosa come quella del Dominie Dirtch. Potrebbe sca- tenare il suo potere contro di noi se non ci arrendiamo a lui.» Dalton le carezzò una mano con aria rassicurante e tornò a vestirsi. «Non ti preoccupare, Teresa. Non permetterò che Anderith venga distrutta. Come ti ho detto l'Ordine Imperiale vuole porre fine al dominio della magia. Se è vero, allora un mago non sarà una grande minaccia per noi. Dobbiamo solo sentire le proposte di Stein.» Non sapeva se l'Ordine Imperiale era veramente in grado di porre fine alla magia. La magia, dopotutto, era vecchia quanto il mondo. Forse l'imperatore Jagang voleva eliminare quelli con il dono. Non era un'idea nuova e secondo Dalton poteva anche funzionare. C'erano delle persone che volevano mettere al rogo tutti quelli con il dono. Il sovrano di Anderith aveva fatto imprigionare la maggior parte dei capi di quel movimento. Tra di essi c'era anche Serin Rajak. Uomo di grande carisma, fanatico e determinato, Serin Rajak era incontrollabile e pericoloso. Era in prigione da mesi e non sapeva neanche se era ancora vivo. Rajak credeva che le 'streghe', come definiva le persone con il dono, fossero tutte malvagie. Prima di venire arrestato, aveva raccolto intorno a sé un certo numero di seguaci e li aveva incitati a compiere una serie di manifestazioni violente. Anche se uomini così erano pericolosi, Dalton aveva votato contro la sua esecuzione perché un simile individuo poteva sempre tornare utile. «Oh, a questa non ci crederai proprio» disse Teresa, tornando ai pettegolezzi. Dalton non le prestò molta attenzione e continuò a riflettere su Serin Rajak e a un suo possibile ruolo in tutta quella faccenda. «Sai quella donna di cui ti ho parlato? Quella che crede di essere la migliore di tutte, Claudine Winthrop? Bene, dice che il ministro l'ha costretta ad andare a letto con lui.» Dalton continuava ad ascoltare distrattamente. Sapeva che il pettegolezzo era vero. Claudine Winthrop era la 'donna sconvolta' a cui si riferiva la lettera che teneva nello scompartimento segreto della scrivania. Era stata lei a mandare una missiva al direttore Linscott... missiva che non sarebbe mai arrivata. Claudine Winthrop aveva fatto gli occhi dolci al ministro ogni volta che ne aveva avuto la possibilità. Cosa credeva che sarebbe successo? Aveva trovato quello che cercava e adesso si lamentava? «È così arrabbiata per essere stata trattata in quel modo dal ministro che dopo cena intende dire a lady Chanboor e a tutti gli invitati che il ministro l'ha presa con la forza.» Dalton drizzò le orecchie. «Ha usato la parola stupro e afferma che racconterà tutto alla moglie del ministro.» Teresa si girò verso il marito agitando un piumino nell'aria. «E anche ai direttori dell'Amicizia Culturale, se ce ne sarà qualcuno. Potrebbe essere molto brutto se il sovrano fosse alla festa. Lui può alzare una mano e zittire tutti in modo che lei possa parlare.» Dalton ascoltava con attenzione. Al banchetto ci sarebbero stati tutti e dodici i direttori. Adesso aveva capito quali erano le intenzioni di Claudine Winthrop. «È stata lei a parlare in quel modo? L'hai sentita tu stessa?» Teresa portò una mano al fianco. «Sì. Significa qualcosa? Lei dovrebbe sapere come è fatto il ministro Chanboor. Sa bene che si porta a letto la metà delle donne della tenuta e adesso vuole far scoppiare lo scandalo? Le sue affermazioni dovrebbero creare un certo tumulto. Te lo dico io, Dalton: quella ha in mente qualcosa» La moglie cominciò a blaterare cambiando argomento, ma Dalton la interruppe. «Cosa dicono di lei le altre donne? Cosa ne pensano del suo piano?» Teresa posò il piumino. «Tutte noi pensiamo che sia una cosa terribile. Voglio dire, il ministro della Cultura è un uomo importante e un giorno potrebbe diventare sovrano. Anzi, la cosa potrebbe succedere molto prima di quanto crediamo e questa sarebbe una responsabilità tremenda.» Si girò un attimo verso lo specchio per aggiustarsi i capelli, quindi si voltò di nuovo verso il marito. «Il ministro ha sempre molto da fare e ha tutti i diritti di procurarsi delle distrazioni innocenti di tanto in tanto. Le donne sono consenzienti. Non sono affari nostri. È la sua vita privata e non ha alcun peso sulle questioni pubbliche. Quella piccola vagabonda è stata fin troppo esplicita.» Dalton era pienamente d'accordo. Per quello che lo riguardava, lui non riusciva a capire come delle donne, sia nobili che Haken, potessero fare gli occhi dolci a quell'uomo e poi lamentarsi quando questi saltava loro addosso. Era ovvio che la ragazza haken, Beata, non era abbastanza vecchia e smaliziata per capire la natura di quei giochetti né sospettava la presenza di Stein. A Dalton dispiaceva un po' per lei, anche se era Haken. Non aveva visto Stein che si annidava nell'ombra quando aveva sorriso al ministro. Ma le donne della tenuta e quelle che venivano dalla città per partecipare ai banchetti erano abbastanza mature per sapere come era fatto il ministro e non avevano nessuna scusa per lamentarsi. Dalton sapeva che alcune di loro erano scontente quando non ricevevano nessun tipo di ricompensa: un impiego eccellente. A quel punto esse diventavano un problema per Dalton che trovava loro l'impiego eccellente e faceva di tutto per convincerle che quello era il posto adatto a loro. La maggior parte delle donne accettava saggiamente perché ottenevano quello che avevano cercato fin dall'inizio. Non aveva dubbi sul fatto che le donne della tenuta fossero in subbuglio a causa di Claudine Winthrop. Molte di loro erano state a letto con il ministro, sedotte dall'inebriante aura di potere che circondava gli uomini potenti. Dalton aveva ragione di sospettare che molte delle donne che non erano ancora state a letto con il ministro non aspettassero altro. Bertrand non aveva ancora avuto a che fare con loro né lo desiderava. Proprio come il suo predecessore, Dalton tendeva a dare un incarico nella tenuta solo dopo che aveva incontrato anche le mogli degli uomini che intendeva assumere. Gli era già capitato di dover rinunciare a degli elementi molto capaci perché Bertrand pensava che non avessero delle belle mogli. Anche se il ministro era un ingordo e le donne gli cadevano ai piedi, aveva dei canoni precisi. Come tutti gli uomini della sua età apprezzava la giovinezza. Era in grado di godersi delle donne giovani e voluttuose senza bisogno di andare con le prostitute delle città come facevano la maggior parte dei cinquantenni. Bertrand Chanboor evitava le prostitute come la peste a causa delle malattie che portavano. Gli altri uomini che non avevano nessun modo per sedurre una ragazza giovane e non potevano resistere ai loro istinti non duravano a lungo. La malattia ne aveva uccisi parecchi insieme a un gran numero di giovani prostitute. Bertrand Chanboor aveva il suo rifornimento di giovani poco esperte, che però si concedevano a lui attratte dalla sua autorità come le falene dalla fiamma delle candele. Dalton fece correre un dito lungo la guancia della moglie. Era fortunato: aveva sposato a una donna che condivideva le sue ambizioni sfrenate e, al contrario di molte altre, sapeva come gestirle. «Ti amo, Tess.» La moglie, sorpresa da quell'improvviso gesto colmo di tenerezza, gli prese la mano e gliela baciò. Dalton non sapeva cosa aveva fatto per meritarla. Non riusciva a pensare a qualcosa di meglio di una moglie come Teresa. Era l'unica cosa per la quale non aveva dovuto combattere ricorrendo a tutta la sua forza di volontà. Se n'era innamorato e basta. Non sapeva come mai gli spiriti buoni avevano deciso di dimenticarsi del suo passato premiandolo con un dono simile, ma l'avrebbe tenuto stretto per tutta la vita. Continuò a fissare gli occhi della moglie e tornò a pensare al lavoro. Claudine richiedeva delle attenzioni. Doveva essere zittita prima che causasse troppi guai. Dalton valutò tutte le offerte che avrebbe potuto fare alla donna in cambio del suo silenzio. Nessuno, neanche lady Chanboor, dava molto peso alle scappatelle del ministro, ma un'accusa di stupro fatta in pubblico e per giunta da una donna di un certo rango poteva creare diversi problemi. C'erano dei direttori che credevano ancora negli ideali di rettitudine morale. I direttori dell'Ufficio per l'Amicizia Culturale potevano porre il veto sui canditati alla sovranità e alcuni volevano che il prossimo sovrano fosse un uomo di altissima caratura morale. Non sarebbe importato nulla a nessuno di quello che potevano pensare dopo l'elezione di Bertrand Chanboor, ma prima era tutto un altro discorso. Claudine doveva essere ridotta al silenzio. «Dove stai andando, Dalton?» Dalton si girò. «Devo scrivere un messaggio e spedirlo. Non ci vorrà molto.» 18 Nora si stirò pensando che fosse già l'alba. Era ancora sprofondata nel dormiveglia e lasciò vagare i pensieri. Voleva solo continuare a dormire. La paglia sotto di lei si era assestata nel modo giusto, ma succedeva sempre così quando era ora di alzarsi. Si aspettava la pacca sul sedere del marito da un momento all'altro. Julian si svegliava sempre prima dell'alba perché doveva sbrigare delle faccende. Forse se fosse rimasta immobile lui l'avrebbe lasciata dormire ancora per qualche minuto. Nora odiava il marito ogni volta che, con una pacca sul sedere, le diceva che era ora d'alzarsi perché li attendeva una lunga giornata di lavoro. Lei si alzava sempre ancora intontita e Julian cominciava a fischiare. Si girò sulla schiena e arcuò un sopracciglio tentando di aprire gli occhi. Julian non era con lei. Provò una strana sensazione. Si sedette sul letto. Per qualche strano motivo non trovava normale che il marito non fosse con lei. Forse è ancora notte, pensò cercando di dare un senso a quello che provava in quel momento. Si sporse dal letto, guardò il camino e vide che in cima al mucchio di cenere c'era ancora qualche pezzo di brace che ardeva. Bruce la fissava dal suo lettino. «Cosa succede, mamma?» chiese Bethany. «Come mai siete ancora svegli?» «Siamo appena andati a letto, mamma» piagnucolò Bruce. Nora si rese conto che i figli avevano ragione. Era stanchissima. Aveva aiutato suo marito per tutto il giorno a togliere le pietre che ostruivano la fonte che forniva acqua ai campi e si era addormentata prima ancora di chiudere gli occhi. Erano tornati a casa con il buio, avevano mangiato una scodella di porridge e si erano infilati nel letto. Aveva ancora in bocca il sapore della carne e stava finendo di digerire i ravanelli. «Dov'è papà?» chiese ai figli. Bethany alzò una mano. «Credo che sia andato a fare i suoi bisogni, mamma. Cosa succede?» «Niente. È ora di dormire.» I due bambini la fissarono con gli occhi spalancati. Non era riuscita a nascondere la sua agitazione. I figli gliela leggevano sul volto. Non sapeva dire con esattezza cosa ci fosse che non andava, ma sapeva che c'era qualcosa di sbagliato. Il male. Il male era nell'aria, come il fumo di un fuoco. Le faceva arricciare il naso e le strisciava sulla pelle. Fuori, nascosto da qualche parte nelle tenebre, il male stava preparandosi a tendere un agguato. Lanciò una seconda rapida occhiata al posto vuoto al suo fianco. Sì, è andato nella latrina, pensò. Non può essere altrimenti. Nora si ricordò di averlo visto dirigersi verso il capanno subito dopo cena, ma questo non gli impediva di andarci una seconda volta. Il marito non le aveva detto di non avere dei problemi. La costernazione le artigliò le viscere. Era come se avesse paura del Guardiano in persona. «Proteggici, dolce Creatore» pregò sussurrando. «Proteggi noi e questa casa di persone umili. Manda via il male. Vi prego, dolci spiriti, vegliate su di noi e fate che non ci succeda nulla di male.» Aprì gli occhi e vide che i figli continuavano a fissarla. Anche Bethany lo sente, pensò la donna. Lei non fa mai passare nulla senza chiedere prima il perché. Nora la prendeva sempre in giro chiamandola la 'bambina perché'. Bruce tremava. La donna spostò di lato la coperta di lana spaventando le galline che dormivano in un angolo della stanza. «Tornate a dormire, bambini.» I figli ubbidirono e la osservarono mentre indossava la vestaglia. Nora tremava e non sapeva perché. Si inginocchiò vicino al camino, prese un ceppo di betulla e lo posò sulle braci. Non faceva freddo, ma sentiva che il calore e la luce del fuoco sarebbero stati rassicuranti. Prese l'unica lampada che avevano da vicino al camino, attese che le fiammelle facessero capolino intorno al ceppo e accese lo stoppino. I bambini continuavano a fissarla. Nora diede un bacio a Bruce sulla guancia, quindi spostò i capelli dalla fronte di Bethany e la baciò. La pelle della figlia aveva il sapore della terra. Anche lei li aveva aiutati per tutto il giorno portando le pietre più piccole. «Dormite, bambini miei» disse in tono calmo. «Papà è solo andato alla latrina. Gli porto la lampada così ha un po' di luce per quando torna. Sapete come è fatto, va in giro di notte a piedi scalzi, sbatte contro le cose e comincia a imprecare. Tornate a dormire. È tutto a posto. Gli porto solo la lampada.» Nora infilò i piedi nudi negli stivali freddi e ancora coperti di fango che aveva lasciato vicino alla porta. Non voleva farsi male ai piedi e lavorare male il giorno dopo. Si avvolse uno scialle intorno alle spalle e lo legò. Aveva paura ad aprire la porta. Era quasi sull'orlo delle lacrime. Il male era là fuori. Lo sapeva. Lo sentiva. «Accidenti, Julian» borbottò. «Non dovevi farmi uscire di notte. Mi sentirai, quando ti avrò trovato.» Si chiese se il marito era dentro la latrina e se le avrebbe inveito contro. A volte capitava che lui si arrabbiasse per il suo modo di fare. Le avrebbe detto che si era preoccupata inutilmente e che non c'era nulla di strano. Nora, tuttavia, non si stava comportando in quella maniera per farsi insultare dal marito. Mentre sollevava il chiavistello della porta pensò che avrebbe tanto voluto che quella notte il marito uscisse dalla latrina, inveisse contro di lei per poi abbracciarla dicendole di non piangere più e che sarebbe tornato a letto con lei. Aprì la porta e zittì le galline. Il cielo era privo di luna e scuro come l'ombra del Guardiano. Nora raggiunse rapidamente la latrina e bussò alla porta. «Sei qua, Julian? Ti prego Julian, dimmi che sei dentro. Ti prego non farmi nessuno scherzo. Non stanotte.» Il silenzio era assordante. Non sentiva neanche i versi degli animali e degli insetti notturni. Il paesaggio era sprofondato in un silenzio di tomba. Il mondo si era ristretto alla porzione di terreno illuminato dalla fioca luce della lampada. Aveva l'impressione che se avesse posato la lampada e fosse uscita dal cono di luce sarebbe caduta nel buio per l'eternità. Sapeva di essere stupida, ma in quel momento lo credeva possibile e aveva paura. Nora aprì la porta della latrina. Aveva perso ogni speranza di trovare il marito là dentro prima ancora di scendere dal letto. Non sapeva perché, ma era sicura che fosse così. Aveva ragione. Le sue sensazioni non l'avevano ingannata. Julian le diceva sempre che lei sembrava sentire le cose in anticipo. Era come la vecchia che viveva sulle colline e scendeva in paese pensando di aver scoperto qualcosa di utile per le persone. A volte Nora sentiva effettivamente delle cose. Lei sapeva che il marito non era nella latrina. Peggio ancora sapeva dove poteva essere. Quella consapevolezza la faceva tremare. Aveva guardato nella latrina sia perché sperava di sbagliarsi sia perché non voleva guardare dove sapeva per certo di trovare Julian. Adesso, però, doveva andare. Nora alzò la lampada per cercare di illuminare il viottolo. Non vedeva molto. Si girò per guardare la casa. La finestra della stanza da letto spiccava nel buio illuminata dall'interno. Il fuoco aveva preso bene. Aveva la sensazione che una creatura malvagia si fosse annidata nel buio tra lei e la casa e sogghignasse. Si strinse lo scialle addosso, alzò la lampada e riprese a camminare. Non le piaceva abbandonare i bambini, non quando aveva quelle sensazioni, tuttavia, c'era qualcosa che la spingeva a continuare lungo il viottolo. «Vi prego, dolci spiriti, fatemi fare la figura della donna sciocca. Vi prego, fate che Julian sia al sicuro. Tutti noi abbiamo bisogno del suo aiuto. Abbiamo bisogno di lui.» Nora imboccò singhiozzando il sentiero che scendeva lungo la collina. Aveva paura di quello che stava per scoprire. Le tremavano le mani e la lampada ondeggiava facendo fremere la fiammella al suo interno. Fu contenta di sentire il suono del ruscello in quella notte silenziosa e buia. Quel rumore era una presenza familiare che la faceva sentire meglio. Cominciò a credere di essere stata una stupida quando aveva pensato che il mondo terminasse al di là del fascio di luce proiettato dalla lampada. Era anche molto probabile che si fosse sbagliata riguardo al resto. Una volta raccontato tutto a Julian, lui avrebbe alzato gli occhi al cielo come era solito fare quando pensava che lei stesse dicendo delle stupidaggini. Provò a imitare il fischio del marito, ma non ci riuscì. Aveva le labbra troppo secche. Desiderò di riuscirci in modo da farsi sentire da Julian. Pensò che avrebbe potuto chiamarlo ad alta voce, ma temeva di non sentire alcuna risposta. Preferiva incontrarlo e farsi rimproverare. Nora si rese conto di essere vicina al lago prima ancora di vederlo perché un soffio di vento ne increspò l'acqua. Sperò di vedere Julian seduto sul solito tronco abbattuto intento a pescare le carpe. Sperò di vederlo girarsi e inveire contro di lei perché aveva spaventato i pesci. Non c'era nessuno seduto sul tronco. Nora alzò la lampada per vedere quello per cui era andata fin là. Le lacrime le bruciavano gli occhi e tremava. Batté le palpebre per schiarirsi la vista e tirò su col naso per riprendere fiato. Entrò nell'acqua tenendo la lampada il più in alto possibile sopra la testa. L'acqua cominciò a entrare dal bordo superiore degli stivali. Continuò ad avanzare bagnando i lembi delle camicia da notte che in breve si trasformarono in un peso morto che ondeggiava avanti e indietro a ogni suo passo. Lo vide solo quando ormai era nell'acqua fino alle ginocchia. Julian galleggiava con il volto immerso nell'acqua, le braccia larghe e le gambe leggermente separate. Le piccole onde del lago gli agitavano i capelli rendendoli simili a delle alghe. Il corpo fluttuava piano sulla superficie del lago come se fosse un pesce morto. Le paure di Nora si erano avverate. Aveva immaginato di trovarlo proprio in quella posizione e quando lo vide non ne fu così tanto sconvolta. Rimase ferma nell'acqua fino alle ginocchia a osservare il corpo di Julian che galleggiava a cinque o sei metri da lei nell'acqua del lago. Nora non poteva andarlo a prendere perché in quel punto il livello dell'acqua superava la sua testa. Non sapeva cosa fare. Julian si era sempre occupato dei lavori più pesanti, quelli che lei non poteva compiere. Come avrebbe fatto a riportare a riva il cadavere del marito? Come avrebbero tirato avanti? Come avrebbe fatto a sfamare se stessa e i figli ora che Julian era morto? Era Julian che si occupava di portare i soldi a casa, non lei. Si sentiva intontita e stupefatta come se si fosse appena svegliata. Non le sembrava possibile. Julian non era morto. Quello nel lago non era Julian. Non poteva essere lui. Non era morto. Un rumore la fece girare di scatto. Era una specie di ululato simile a quello del vento durante le tormente notturne. Un lamento seguito da una vampata si levarono nella notte. Nora vide che dal camino della loro casa in cima alla collina sprizzavano delle scintille. Nora rimase paralizzata dal terrore. Un urlo lacerò la tranquillità della notte. Quel suono agghiacciante si levò nel cielo come le scintille lacerando l'aria. Non ne aveva mai sentito uno simile. Era un stato un urlo tanto brutale che Nora pensò non fosse umano. Ma sapeva che lo era. Quello era Bruce. Nora lanciò un grido di terrore, lascio cadere la lampada nel lago e corse verso la casa urlando a sua volta. I suoi figli erano in casa. In compagnia del male che aveva avvertito. Era stata lei a permettergli di entrare. Stava urlando come un'ossessa: aveva lasciato soli i suoi figli. Urlò una preghiera agli spiriti buoni affinché l'aiutassero. Urlò chiamando i figli. I singhiozzi la soffocarono mentre continuava a correre nel buio. I cespugli le strapparono i vestiti in più punti e i rami le graffiarono le braccia. Prese una storta infilando un piede in un buco, ma rimase in piedi e continuò a correre verso la casa, verso i figli. Le urla di Bruce le facevano rizzare i capelli sulla nuca, ma non sentiva la voce di Bethany. L'unico a urlare era il figlio più piccolo che strepitava come se qualcuno gli stesse cavando gli occhi. Nora inciampò nuovamente ma questa volta cadde e batté il volto contro il terreno. Si rialzò barcollando. Aveva il naso che le sanguinava. Il dolore era fortissimo. Cercò di riprendere fiato rischiando di soffocare a causa del sangue e della terra. Urlava, piangeva, pregava, tossiva e ansimava tutto allo stesso tempo. Con un sforzo disperato si rimise a correre. Entrò in casa come una furia. Le galline scappavano ovunque. Bruce era premuto con la schiena contro la parete a fianco della porta e urlava in preda al terrore come se il Guardiano lo stesse tirando per i piedi. Appena la vide, il figlio fece per gettarle le braccia al collo, ma quando scorse il sangue che dal naso le colava sul mento e per terra si premette di nuovo contro la parete. Nora lo prese per una spalla. «Sono mamma! Sono solo caduta e mi sanguina il naso! Non è nulla di grave!» Il bambino gettò le braccia intorno ai fianchi della madre stringendo la camicia da notte tra le dita. Nora si guardò intorno, ma continuava a non vedere la figlia. «Dov'è Bethany, Bruce?» Il figlio alzò un braccio. L'arto tremava a tal punto che Nora temette si staccasse. Si diresse verso il punto indicato dal figlio. Nora urlò, alzò le mani per coprirsi il volto, ma non ci riuscì perché le dita si fermarono di fronte alla sua bocca tremando violentemente, mentre lei continuava a urlare insieme a Bruce. Bethany era riversa nel camino avvolta dalle fiamme. Il fuoco la stava consumando. Le braccia erano sollevate come se volesse farle asciugare dal sole dopo una nuotata in un laghetto. L'odore della carne bruciata penetrò nel naso sanguinante di Nora soffocandola fino al punto che dovette tossire per riprendere fiato. Sembrava che non riuscisse a distogliere lo sguardo dalla figlia che stava bruciando viva. Non le sembrava vero. Non riusciva a crederci. Nora fece un passo verso il camino per salvare la figlia dalle fiamme. Qualcosa dentro di lei, un ultimo barlume di buon senso, le diceva che ormai era tutto inutile e che doveva scappare con Bruce prima che fosse troppo tardi. Bethany aveva perso la punta delle dita e il volto si era trasformato in un palla di fuoco. Il calore lasciò Nora senza fiato. La ragazzina emise un ultimo urlo penetrante che gelò Nora fin nelle ossa. Era come se alla fine anche l'anima della figlia avesse preso fuoco. Bethany crollò a terra. Le fiamme si allargarono dal corpo correndo su per la pietra, lambendo la mensola del camino. Delle braci rotolarono sul pavimento e alcune si spensero contro i bordi umidi della vestaglia. Nora prese Bruce e uscì di corsa dalla casa lasciando che il male consumasse ciò che era rimasto della figlia. 19 Fitch incrociò le gambe, si sedette sull'erba e appoggiò la schiena sudata contro il muro. Fece un profondo respiro inalando gli aromi che uscivano dalle finestre aperte e l'odore del legno di melo. Alla fine del banchetto avrebbe dovuto lavorare duramente per mettere tutto a posto, quindi gli era stata concessa una pausa. Morley gli passò la bottiglia. Si sarebbero ubriacati più tardi, adesso era solo un'anteprima. Fitch ingollò un bel sorso e cominciò a tossire violentemente sputando gran parte del liquore. Morley rise. «Te l'avevo detto che era forte.» Fitch si passò la manica sul mento che gocciolava. «Avevi ragione. Dove l'hai presa? È veramente buona.» Fitch non aveva mai bevuto niente di così forte. Aveva sentito dire da qualcuno che se un alcolico bruciava molto allora voleva dire che era veramente buono. Tossì di nuovo. Il naso e la bocca erano in fiamme. Morley si avvicinò ulteriormente a Fitch. «Qualcuno di molto importante ha ordinato che venisse riportata in cucina perché era una brodaglia. Avrà cercato di fare bella figura di fronte a tutti. Pete, il coppiere, è corso in cucina, l'ha posata, ne ha afferrata un'altra ed è tornato su. Io l'ho presa e l'ho infilata sotto il vestito prima che qualcuno potesse vedermi.» Fitch era solito finire i fondi delle bottiglie, delle caraffe e delle piccole botti. Prima d'allora non aveva mai messo le mani su un liquore. Morley gli premette la bottiglia contro le labbra incitandolo a bere. Fitch fu più cauto e non sputò niente, ma ebbe l'impressione che il liquore avesse cominciato a ribollire nello stomaco. Morley fece un cenno d'approvazione con il capo e Fitch sorrise orgoglioso e compiaciuto. Dalle finestre giungevano le voci degli invitati che erano stati radunati in una sala prima dell'inizio del banchetto. Fitch cominciava a sentire gli effetti del liquore. Dopo aver finito di lavorare avrebbero potuto ubriacarsi in santa pace. Fitch si strofinò le mani sulle braccia. Aveva la pelle d'oca. La musica che echeggiava dalla sala gli faceva uno strano effetto. Gli succedeva sempre: ogni volta che ascoltava la musica si sentiva come se fosse in grado di fare qualcosa, non sapeva cosa, ma sapeva che si trattava di qualcosa d'importante. Morley allungò una mano e lui gli passò la bottiglia per poi osservare il pomo d'Adamo dell'amico che andava su e giù a ogni sorsata. La musica aumentava d'intensità e Fitch cominciava ad avere i brividi. Improvvisamente vide qualcuno alle spalle di Morley. Era un uomo e a giudicare da come stava Camminando non stava prendendo una boccata d'aria, ma stava cercando qualcuno o qualcosa. Passò vicino a una delle finestre e la luce si rifletté su un fodero d'argento. Fitch notò il portamento nobile dell'individuo e lo riconobbe immediatamente: era Dalton Campbell. Stava andando da loro. Fitch diede una gomitata all'amico e si alzò. Cercò di non ballonzolare sul posto, quindi si lisciò il vestito sporco di liquore e si aggiustò rapidamente i capelli. Diede un calcio a Morley con un piede e fece un gesto con il pollice per fargli capire che doveva alzarsi. Dalton Campbell aggirò la catasta di legna e si diresse verso di loro. L'Ander sembrava sapere con esattezza dove li avrebbe trovati. Fitch e Morley non dicevano mai a nessuno dove andavano a nascondersi quando erano solo loro due a bere. «Fitch, Morley» li chiamò Dalton Campbell mentre si avvicinava. «Buonasera, mastro Campbell» lo salutò Fitch alzando una mano. Fitch pensò che con la luce che usciva dalle finestre non doveva essere molto difficile scorgerli e ora, da quella distanza, poteva vedere la bottiglia nascosta dietro la schiena di Morley. Forse l'aiutante del ministro li aveva visti da una finestra mentre si stavano appartando dietro la catasta di legna. «Buonasera, mastro Campbell» disse Morley a sua volta. Dalton Campbell li fissò come se fossero dei soldati, quindi allungò una mano. «Posso?» Morley sussultò e gli passò la bottiglia. «Noi eravamo... quella è...» Dalton Campbell ingollò un lungo sorso. «Ahh» disse, restituendo la bottiglia a Morley «siete fortunati a esservi procurati una bottiglia piena di un liquore così buono.» Serrò le mani dietro la schiena. «Spero di non aver interrotto nulla.» Entrambi i ragazzi annuirono, stupiti dal fatto che l'aiutante del ministro avesse bevuto un sorso dalla loro bottiglia e poi gliela avesse restituita. «No, mastro Campbell» disse Morley. «Molto bene. Vi stavo cercando perché ho qualche piccolo problema.» Fitch si avvicinò e abbassò il tono di voce. «Un problema, mastro Campbell? Possiamo esservi di qualche aiuto?» Campbell li fissò entrambi negli occhi. «Be', a dirla tutta vi stavo cercando. Vedete penso che sia giunto il momento di mettervi alla prova... di cominciare a vedere se effettivamente avete le potenzialità che io spero. Potrei occuparmene personalmente, ma pensavo che voi due potreste avere una possibilità di rendervi utili.» Fitch si sentì come se gli spiriti buoni in persona fossero andati da lui chiedendogli di compiere una buona azione. Morley posò la bottiglia a terra e drizzò le spalle come un soldato che si mette sull'attenti. «Certo, mastro Campbell. Mi piacerebbe avere una possibilità.» Fitch si raddrizzò. «Lo stesso vale per me, mastro Campbell. Parlate e vi dimostreremo che siamo gli uomini giusti per degli incarichi di una certa responsabilità.» «Molto bene... ottimo» disse, mentre li studiava. Rimase zitto per un breve lasso di tempo, poi riprese a parlare. «È una faccenda importante, anzi... importantissima. Pensavo di affidarla a qualcuno che avesse più esperienza, ma ho deciso di darvi la possibilità di dimostrare quanto siete in gamba e degni di fiducia.» «Tutto quello che volete, mastro Campbell» disse Fitch, con convinzione. «Dovete solo parlare.» Fitch tremava dall'eccitazione. Aveva la possibilità di dimostrare a Dalton Campbell le sue potenzialità. La musica non sembrava altro che alimentare il suo bisogno di fare qualcosa di importante. «Il sovrano non sta bene» esordì l'Ander. «È terribile» disse Morley. «Ne siamo molto dispiaciuti» aggiunse Fitch. «Sì, è una vergogna, ma è vecchio. Il ministro Chanboor, al contrario, è giovane e nel pieno delle sue forze, e non c'è alcun dubbio riguardo al fatto che sarà il suo successore. Non ci vorrà molto prima che accada. Stasera ci sono anche la maggior parte dei direttori. Sono venuti per discutere di alcune questioni con noi... questioni che riguardano il trono del sovrano. Fanno delle indagini finché se lo possono permettere. Vogliono sapere di più circa alcuni fatti che riguardano il ministro. Vogliono sapere che genere di uomo sia, e in particolare se è una persona degna del loro sostegno quando arriverà il momento.» Fitch lanciò una rapida occhiata a Morley e vide che l'amico stava ascoltando con gli occhi fissi su Dalton Campbell. Fitch non riusciva a credere che stava ascoltando delle notizie tanto importanti da un uomo di quella levatura... loro due, dopotutto, erano solo degli Haken. Quello che avevano davanti era un Ander, ma non uno qualunque, era l'aiutante del ministro e stava confidando loro dei fatti fondamentali per la vita del regno. «Sia lodato il Creatore» sussurrò Fitch. «Il nostro ministro sta per ottenere il riconoscimento che merita.» «Già» Dalton Campbell cominciò a trascinare le parole in maniera bizzarra. «Però, ci sono delle persone che vorrebbero impedire al ministro di diventare sovrano. Queste persone vogliono danneggiare il ministro.» «Danneggiare il ministro?» ripeté Morley, stupefatto. «Proprio così. Sono sicuro che entrambi ricorderete che il sovrano deve essere protetto e che tutto quello che viene fatto per proteggerlo è una virtù?» «Sì» disse Morley. «Sì» fece eco Fitch. «E visto che il ministro sta per diventare sovrano allora anche lui deve essere protetto.» «Ottimo, Fitch.» Lo sguattero si illuminò di gioia e desiderò che il liquore non gli avesse annebbiato troppo la vista. «Signor Campbell» disse Morley «vorremmo aiutarvi. Vogliamo essere messi alla prova. Siamo pronti.» «Certo che lo siamo» aggiunse Fitch. «Darò un'opportunità a entrambi. Se farete le cose bene e rimarrete in silenzio e quando parlo di silenzio vuol dire che dovrete portare il segreto con voi nella tomba... io sarò contento di scoprire che avevo fatto bene a fidarmi di voi.» «Fino alla tomba» assicurò Fitch. «Possiamo farlo.» Un attimo dopo lo sguattero udì uno strano clangore metallico e si rese conto con orrore che l'Ander gli aveva posato la punta della spada sotto il mento. «Ma se uno di voi due dovesse deludermi, io ne sarei molto dispiaciuto perché il ministro sarebbe in pericolo. Mi avete capito? Non mi piace che le persone di cui mi fido deludano me il nostro futuro sovrano. Avete capito?» «Sì, signore!» Fitch aveva quasi urlato. La spada saettò verso la gola di Morley che si affrettò a confermare a sua volta. «Nessuno sapeva dove vi sareste nascosti per bere, vero?» «No» risposero Fitch e Morley all'unisono. «Ma io sono riuscito a trovarvi.» L'Ander arcuò un sopracciglio. «Ricordate questo fatto, nel caso in cui vi venisse in mente di potervi nascondere da me. Se doveste causarmi dei problemi sappiate che non vi potrete nascondere da nessuna parte.» «Signor Campbell» disse Fitch, dopo aver deglutito «diteci cosa possiamo fare per aiutarvi e noi lo faremo. Siamo persone degne di fiducia. Non vi deluderemo, lo giuro.» «Proprio così. Fitch ha ragione» confermò Morley. Dalton Campbell rinfoderò la spada e sorrise. «Sono già orgoglioso di voi. Farete strada. So che non mi deluderete.» «Certo» assicurò Fitch «potete contare su di noi.» Dalton Campbell posò una mano sulla spalla di Fitch e l'altra su quella di Morley. «Bene. Ascoltatemi attentamente.» «Arriva» gli sussurrò Morley all'orecchio. Fitch diede un'occhiata al punto indicato dall'amico. Morley si spostò mettendosi nel cono d'ombra proiettato da una porta di servizio, mentre Fitch si nascose dietro alcuni barili impilati a fianco di a una pedana che serviva a caricare i carri. Quello era il punto in cui aveva visto Brownie e il carro del macellaio poche ore prima. Fitch strofinò i palmi delle mani sui pantaloni. Quella era stata una giornata colma di eventi molto importanti. Lui e Morley avevano parlato mentre si dirigevano al luogo dell'appuntamento ed entrambi erano della stessa idea: non dovevano deludere le aspettative di Dalton Campbell. Fitch sentiva il cuore che gli martellava nel petto. La musica del banchetto lo stava caricando. Era molto orgoglioso di essere stato scelto per quel compito. Il ministro - il loro futuro sovrano - doveva essere protetto. La figura femminile salì rapidamente i quattro gradini che portavano al magazzino e si guardò intorno allungando il collo. Fitch deglutì. Era una bella donna, non più giovanissima, ma sempre bella. Non aveva mai guardato tanto a lungo una donna ander come stava facendo in quei momenti. «Claudine Winthrop?» domandò Morley con voce profonda per sembrare più vecchio. La donna si girò verso la figura che si stagliava nel buio della porta. «Sono io» sussurrò. «Allora avete ricevuto il mio messaggio?» «Sì» confermò Morley. «Sia lodato il Creatore. È una questione molto importante, direttore Lin- scott. Devo dirle delle cose riguardo il ministro Chanboor. Egli finge di perorare gli ideali della nostra cultura, ma il suo posto non potrebbe essere occupato da uomo peggiore. È bene che sappiate quanto è corrotto prima di pensare a lui come nostro futuro sovrano. Quel porco mi ha costretta ad andare a letto con lui... mi ha stuprata. Ma questo è solo l'inizio. C'è di peggio. Dovete ascoltarmi per il bene della nostra gente.» Fitch osservava con attenzione la figura illuminata dalla luce morbida che filtrava attraverso i vetri delle finestre. Dalton Campbell non aveva detto che era stata una donna tanto bella. Il fatto di trovare attraente una donna che doveva avere quasi trent'anni lo sorprese molto. Fece un respiro lento e silenzioso cercando di rafforzare la sua convinzione in quello che stava facendo, ma non poteva fare a meno di fissare quel vestito che ben poco lasciava all'immaginazione. Fitch ricordava ancora le due donne che parlavano di un vestito simile a quello indossato da Claudine Winthrop. Era la prima volta che vedeva una donna mostrare così tanto il seno e il modo in cui ondeggiava mentre lei si strofinava le mani calamitava la sua attenzione. «Perché non vi fate vedere?» chiese con un sussurro a Morley. «Vi prego. Ho paura.» Fitch si rese improvvisamente conto che era giunto il momento di fare la sua parte e sgattaiolò dietro i barili in modo da avvicinarsi alla donna senza essere visto. Sentì lo stomaco che gli si chiudeva e dovette asciugarsi il sudore dagli occhi per riuscire a vedere bene. Cercò di respirare con calma, ma il suo cuore sembrava non rispondere più ai suoi ordini. Doveva farlo, ma... dolci spiriti se era spaventato. «Direttore Linscott?» sussurrò la donna. Fitch l'afferrò per i gomiti e le bloccò le braccia dietro la schiena rimanendo sorpreso dalla facilità con la quale l'aveva bloccata. Claudine Winthrop sussultò spaventata e confusa. Morley vide Fitch che entrava in azione, uscì dall'ombra e prima ancora che la loro vittima potesse urlare per chiedere aiuto la colpì allo stomaco. Il pugno fu così violento che Fitch e la donna rischiarono di cadere. Claudine Winthrop si piegò in avanti e cominciò a vomitare. Fitch la lasciò andare e lei cadde in ginocchio chiudendo le braccia sullo stomaco. I due sguatteri arretrarono di qualche passo. Dopo qualche altro conato, la donna si raddrizzò barcollando. Morley la sollevò di peso, la girò e le bloccò nuovamente le braccia dietro la schiena. Fitch sapeva che era giunto il momento di dimostrare di che pasta era fatto. Era la sua occasione per proteggere il ministro e far sì che Dalton Campbell fosse orgoglioso di lui. Fitch le diede un pugno allo stomaco con tutta la forza che aveva in corpo. Non aveva mai dato un pugno a nessuno. Si picchiava per scherzo con i suoi amici, ma non l'aveva mai fatto per fare del male. La vita della donna era stretta e la pancia morbida e,a giudicare dall'espressione del viso doveva averle fatto molto male. Improvvisamente ebbe voglia di vomitare. I suoi antenati si erano comportati proprio in quel modo con gli Ander. Era la violenza il marchio che rendeva gli Haken come lui degli esseri immondi. La donna aveva le pupille dilatate dal terrore e cercava disperatamente di riprendere fiato continuando a guardarlo. Ricordava un cinghiale che fissava il macellaio. Quello doveva essere lo stesso sguardo che gli antenati ander della donna dovevano aver avuto negli occhi quando avevano fissato gli antenati di Fitch. «Dobbiamo recapitarti un messaggio» disse Fitch. Avevano deciso che sarebbe stato lui a parlare, perché Morley non ricordava bene cosa andava detto. La donna riuscì a riprendere fiato e Fitch le diede altri tre pugni. Colpì veloce, duro e con rabbia. «Mi stai ascoltando?» ringhiò lo sguattero. «Piccolo bastardo di un Haken...» Fitch la colpì nuovamente con tanta violenza che anche Morley, ben più robusto di lui, arretrò di un passo. Claudine Winthrop si piegò in avanti e riprese a vomitare. Fitch avrebbe voluto prenderla a pugni in faccia - sulla bocca - ma Dalton Campbell era stato chiaro a riguardo: colpire solo dove non si potevano vedere i lividi. «Se fossi in te non lo chiamerei più in quel modo» le consigliò Morley mentre la drizzava tirandola per i capelli con violenza. Il movimento fece sgusciare i seni fuori dal vestito. Fitch rimase paralizzato e si chiese se doveva chiuderle il vestito. La stava osservando a bocca aperta. Morley si sporse da dietro la spalla della donna, diede un'occhiata e sogghignò in direzione dell'amico. Claudine Winthrop vide le condizioni del vestito, inclinò la testa all'indietro e chiuse gli occhi rassegnata. «Non fatemi del male, vi prego» disse ansimando. «Sei pronta ad ascoltare?» «Sì, signore.» Lo stupore di sentirsi chiamare 'signore' fu maggiore di quello provato alla vista del seno nudo. Nessuno si era mai rivolto a lui chiamandolo con quell'appellativo. Quelle due parole così semplici avevano avuto un effetto così strano su di lui che rimase a fissare la donna per qualche attimo chiedendosi se non lo stesse prendendo in giro, ma quando Claudine Winthrop rialzò gli occhi capì che era sincera. La musica gli dava alla testa come mai prima d'allora. Non si era mai sentito così importante. Nessuno l'aveva mai chiamato 'signore'. Quella mattina era stato chiamato 'Fetch' e la sera dello stesso giorno una donna ander si rivolgeva a lui chiamandolo 'signore'. Tutto questo grazie a Dalton Campbell. Fitch le diede un altro pugno allo stomaco solo per il gusto di farlo. «Vi prego, signore!» piagnucolò la donna. «Basta, vi prego! Ditemi cosa volete e lo farò. Se volete prendermi fatelo pure... ma non fatemi più del male. Vi prego!» Una parte di Fitch era disgustata per quello che stava facendo al punto di fargli chiudere lo stomaco, ma l'altra si sentiva molto importante. Davanti a lui c'era una donna ander a seno nudo che lo chiamava 'signore'. «Adesso ascoltami bene, sporca puttanella.» Fitch rimase stupito delle sue parole quanto la donna. Non aveva pensato di dirle. Erano uscite spontanee, ma gli erano piaciute. «Sì, signore, ascolto.» La donna aveva un'aria così pietosa e indifesa. Neanche un'ora prima se una donna ander, anche quella che stavano torchiando, gli avesse detto di inginocchiarsi e pulire il pavimento con la lingua lui l'avrebbe fatto tremando. Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato tanto facile. Qualche pugno e lei cominciava a implorarlo dicendo che avrebbe fatto di tutto. Non pensava che fosse tanto semplice fare in modo che la gente eseguisse i suoi ordini. Fitch ricordò il messaggio di Dalton Campbell. «Tu facevi la civetta con il ministro, giusto? Sei stata tu che ti sei offerta, vero?» Erano domande retoriche. «Certo, signore.» «Se ti venisse di nuovo in mente di dire a qualcuno che il ministro ti ha violentata te ne pentirai amaramente. Simili menzogne sono tradimento. Capito? Tradimento. E la pena per un simile crimine è la morte. Nessuno sarà in grado di riconoscerti quando troveranno il tuo corpo. Hai capito, puttana? Troveranno la tua lingua inchiodata a un albero. «Non è vero che il ministro ti ha stuprata. È solo una sporca menzogna. Prova a dirlo in giro e soffrirai a lungo prima di morire.» «Sì, signore» singhiozzò la donna. «Non mentirò mai più. Mi dispiace. Mi perdonate? Non mentirò più, lo giuro.» «Dirai che ti sei offerta al ministro, ma lui, da brav'uomo qual è, ti ha rifiutata come ha fatto con tutte le altre che ci hanno provato, chiaro?» «Certo, signore.» «Non è successo nulla di sconveniente. Il ministro non ha mai fatto nulla di sconveniente con nessuno.» «Sì, signore.» Lasciò penzolare la testa in avanti e singhiozzò. Fitch le prese il fazzoletto della manica e le asciugò le lacrime. Il viso della donna era truccato, ma il vomito e le lacrime l'avevano ridotto a un obbrobrio. «Smettila di piangere adesso. Hai una faccia che fa schifo. Vai nelle tue stanze e datti una sistemata prima di tornare al banchetto.» La donna tirò su con il naso cercando di non piangere. «Non posso tornare al banchetto. E. vestito è rovinato.» «Puoi e lo farai. Truccati, cambia il vestito poi torna nel salone. Ci sarà qualcuno che controllerà se hai recepito il messaggio. Se ti dovesse scappare qualcosa ingoierai la lama della sua spada.» La donna strabuzzò gli occhi dalla paura. «Chi...» «Non importa chi. Non sono affari tuoi. Le uniche cose veramente importanti per te sono il messaggio che ti abbiamo recapitato e che tu abbia capito quale sarebbe la tua sorte nel caso ti venisse in mente di mentire di nuovo.» «È tutto chiaro.» «Signore» disse Fitch. Arcuò un sopracciglio. «È tutto chiaro, signore!» La donna premette la schiena contro Morley. «È tutto chiaro, signore. Chiarissimo.» «Ottimo» disse Fitch. Claudine Winthrop diede un'occhiata al vestito. Le tremava il labbro inferiore e le lacrime le solcavano le guance. «Posso sistemare il vestito, signore?» «Quando avrò finito di parlare.» «Certo, signore.» «Sei uscita a fare una passeggiata e non hai parlato con nessuno, chiaro? Nessuno. Da questo momento in poi devi tenere la bocca chiusa sul ministro, altrimenti la prossima volta che l'aprirai sei bella che morta. Chiaro?» «Sì, signore.» «Perfetto.» Fitch fece un cenno. «Sistema il vestito.» Morley sbirciò da dietro la spalla mentre si ricomponeva. Fitch pensava che serviva a poco mettere a posto l'abito perché la donna anche da vestita era praticamente nuda, ma si divertì lo stesso a guardare. Non aveva mai pensato di poter assistere a una scena simile, specialmente con una donna ander come protagonista. Claudine Winthrop si drizzò con un sussulto. Morley doveva aver fatto qualcosa alle sue spalle. Fitch sapeva bene cosa avrebbe voluto farle, ma Dalton Campbell non aveva detto nulla al riguardo. Fitch la prese per un braccio e la spinse avanti di qualche passo. «Vai per la tua strada.» La donna lanciò una rapida occhiata ai due ragazzi. «Sì, signore. Grazie.» Fece un inchino affrettato. «Grazie, signore.» Afferrò i lembi della gonna e corse via nella notte. «Perché l'hai lasciata andare?» gli chiese Morley posando una mano sul fianco. «Potevamo divertirci un po'. Avrebbe fatto qualsiasi cosa le avessimo chiesto. Mi è venuto in mente dopo che ho visto la sua merce.» «Non l'abbiamo fatto perché non erano gli ordini del signor Campbell. Dovevamo fare quello che ci ha detto e basta. Niente di più, niente di meno» spiegò Fitch. Morley assunse un'espressione dispiaciuta. «Credo che tu abbia ragione.» Guardò la catasta di legna. «Dobbiamo finire la bottiglia.» Fitch ripensò all'espressione di terrore sul volto di Claudine Winthrop, alle lacrime e ai singhiozzi. Aveva già visto delle donne haken piangere, ma non credeva che anche le donne ander potessero farlo. Non sapeva come mai gli era venuto quel pensiero, ma non credeva fosse possibile. Il ministro era un Ander e Fitch non pensava che avesse fatto qualcosa di sbagliato. Doveva essere stata lei a chiederglielo dopo aver indossato un abito così scollato. Fitch aveva visto come si comportavano le donne con il ministro. Era come se volessero andare a letto con lui a tutti i costi. Ricordò Beata seduta in lacrime sul pianerottolo e l'espressione distrutta del suo viso. Ripensò alla sberla. Non ci capiva più niente. Adesso voleva solo sprofondare nel sopore indotto dall'alcool. «Hai ragione. Andiamo a bere. Dobbiamo festeggiare. Stanotte siamo diventati delle persone importanti.» Misero l'uno un braccio sulla spalla dell'altro e si incamminarono con il pensiero alla bottiglia. 20 «Questa sì che è da vedere» sussurrò Teresa. Dalton seguì lo sguardo della moglie e vide Claudine Winthrop che si faceva largo tra la folla. Indossava un vestito che lui aveva visto quando lavorava ancora in città. Era un abito di fattura modesta, nulla a che vedere con quello che aveva indossato a inizio serata. Il volto della donna era ricoperto da uno spesso strato di cipria rosa e Dalton sospettò che servisse per mascherare il pallore. Ora lei non poteva più fidarsi di nessuno. Gli invitati che venivano da Fairfield si guardavano intorno con gli occhi colmi di meraviglia cercando di catturare ogni particolare in modo da poterlo riferire agli amici. Era un grande onore essere invitati nella tenuta del ministro e non volevano perdersi nulla. I dettagli erano importantissimi quando uno voleva farsi bello agli occhi degli amici. Il pavimento riccamente intarsiato era coperto a intervalli regolari da tappeti di pregio. Dalton pensò alle migliaia di metri di fili pregiati che erano stati usati per tessere le tende dai complicati motivi ornamentali che pendevano a lato delle alte finestre dai vetri decorati che si aprivano su entrambi i lati della sala. Le donne dovevano aver saggiato con le dita centinaia e centinaia di fili per scegliere i migliori. I bordi colore del grano delle tende erano abbelliti con dei fiocchi grossi come un pugno. La gente osservava meravigliata le snelle colonne di pietra che si innalzavano contro le pareti per sostenere il soffitto a volta della sala nel cui centro spiccava una panoplia di pannelli di mogano lavorati per sembrare i bordi di un concio intagliato nella pietra. Dalton portò il bicchiere alle labbra e sorseggiò il miglior vino della valle del Nareef continuando a guardarsi intorno. La notte, una volta accese tutte le lampade e le candele, quel posto avrebbe assunto una luce particolare. Le prime volte che era stato in quel posto aveva dovuto imporsi di non rimanere a bocca aperta come la gente della città. Osservò Claudine Winthrop che passava in mezzo agli invitati eleganti stringendo una mano, sfiorando un gomito, gratificando qualcuno con un sorriso piatto, salutando delle persone e rispondendo alle domande con delle parole che Dalton non riuscì a percepire. Doveva essere sconvolta, tuttavia riusciva a comportarsi in maniera dignitosa. Era la moglie di un ricco uomo d'affari, uno che era entrato a far parte della borghesia del regno grazie all'appoggio dei commercianti di frumento, quindi non era una donna di poco conto. Il marito era molto più vecchio di lei e in principio tutti avevano creduto che la ragazza sarebbe stata solo un diversivo, ma si erano sbagliati. Il marito, Edwin Winthrop, era un coltivatore di sorgo, una pianta largamente diffusa nella parte meridionale di Anderith. Ogni moneta che aveva guadagnato con il commercio dei raccolti e della melassa era stata spesa con saggezza. Aveva una bella casa e non si poteva certo dire che il suo guardaroba fosse povero, ma quell'uomo teneva in altissima considerazione gli ideali del matrimonio e della famiglia. Dopo aver consolidato la produzione e il commercio del sorgo, Edwin Winthrop aveva comprato dei capi di bestiame che aveva nutrito con ciò che rimaneva del cereale pressato. La vendita del bestiame gli aveva portato altri soldi che aveva investito nell'acquisto degli alambicchi per distillare il rum dalla melassa. Quel commercio gli aveva fatto guadagnare altri soldi, tanto da permettergli di comprare altre cascine, terreni, bestiame, attrezzature e edifici per distillare il rum o da usare come magazzini per le sue merci. Il rum distillato nelle fattorie di Winthrop era venduto da Renwold al Nicobarese, da Farrfield fino ad Aydindril. Uno dei 'segreti' della ricchezza di Edwin Winthrop risiedeva nel fatto che non appaltando i lavori a nessuno di esterno alla sua attività era riuscito a tenere bassi i prezzi della merce. Edwin Winthrop era un uomo dai gusti frugali ed era ben accetto ovunque. Si era sposato solo dopo essersi affermato. Claudine era la figlia di un commerciante di frumento e allora, più di una decina di anni prima, aveva poco più di quindici anni. Claudine aveva gestito i capitali del marito con molta cura, badando a ogni moneta che doveva essere spesa e diventando l'insostituibile braccio destro del suo uomo. Grazie alla gestione della moglie, il già sostanzioso capitale della famiglia Winthrop era raddoppiato in poco tempo. Edwin era stato accorto anche nella scelta della donna da sposare e forse Claudine era forse l'unica concessione che si era fatto nella vita, perché oltre a essere molto intelligente era una donna molto bella. Dopo essere assurto al rango di borghese, Claudine l'aveva aiutato a scrivere le leggi sul commercio da lui proposte, anzi Dalton sospettava che fosse proprio lei ad avere le idee. Quando il marito era in viaggio per affari era Claudine che discorreva con molta discrezione su quelle leggi. Nessuno all'interno della tenuta pensava che quella donna fosse un 'diversivo'. Nessuno, eccetto Bertrand Chanboor, ma per lui tutte le donne attraenti lo erano. Dalton aveva visto Claudine arrossire, fare gli occhi dolci e lanciare dei sorrisi timidi al ministro. Bertrand Chanboor pensava che tutte le donne, anche le timide si comportavano in quel modo per nascondere la loro disponibilità. Forse aveva flirtato in maniera innocente con un uomo potente, o forse aveva cercato di ottenere delle attenzioni che il marito non poteva riservarle; non avevano figli dopotutto. Forse aveva pensato di poter ottenere qualcosa dal ministro e solo dopo aveva scoperto quale era lo scotto da pagare. Claudine Winthrop era tutt'altro che una stupida: era una donna intelligente e piena di risorse. Dalton non aveva idea di come il tutto fosse cominciato... Chanboor non si interessava alle cose che non gli capitavano sotto mano, ma in quel momento il 'come' era diventato del tutto irrilevante. Quella donna aveva cercato di incontrare in segreto il direttore Linscott, quindi la faccenda non poteva più essere sistemata con la diplomazia di palazzo. L'unico modo per controllare la moglie di Edwin Winthrop era la forza bruta. Dalton indicò Claudine con la coppa di vino. «Sembra che tu ti sia sbagliata, Tess. Non tutte le donne amano indossare degli abiti appariscenti. O forse Claudine è una donna dai gusti parchi.» «No, deve essere successo qualcos'altro.» Teresa aveva un'aria interdetta. «Non credo che prima indossasse quel vestito, amore. Perché avrebbe dovuto cambiarsi? Quello è anche un vestito piuttosto vecchio.» Dalton scrollò le spalle. «Andiamo a scoprirlo. Fai tu le domande. Non credo che sarebbe opportuno se fossi io a farle.» Teresa gli lanciò un'occhiata interrogativa. Ormai capiva bene quando il marito aveva in mente qualcosa e dalla risposta che le aveva dato era chiaro che c'era qualcosa che bolliva in pentola. Sapeva anche bene che in quei casi era meglio lasciarlo fare e recitare il ruolo che le era stato assegnato. Sorrise e accettò il braccio offertole da Dalton. Claudine non era l'unica donna intelligente e piena di risorse che abitava nella tenuta. Teresa le toccò appena la schiena, Claudine sussultò, quindi si girò e accennò un sorriso. «Buonasera, Teresa.» Fece un mezzo inchino rivolto a Dalton. «Mastro Campbell.» Teresa aggrottò la fronte con aria preoccupata e si avvicinò ulteriormente alla donna. «Cosa succede Claudine? Non hai un bell'aspetto. E questo vestito? Non mi sembra che sia lo stesso di inizio serata.» Claudine agganciò una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Sto bene, sono solo nervosa... tutti questi invitati... A volte stare in mezzo alla gente mi paralizza lo stomaco. Sono uscita per prendere una boccata d'aria, ho messo il piede in un buco e sono caduta.» «Dolci spiriti, volete sedervi?» le chiese Dalton prendendola per un braccio come se volesse sorreggerla. «Lasciate che vi prenda una sedia.» Claudine rimase ferma sul posto. «No. Sto bene. Grazie. Mi sono sporcata il vestito e sono andata a cambiarmi. Ecco perché non è lo stesso d'inizio serata. Adesso, sto bene.» Diede una rapida occhiata alla spada di Dalton. Lui l'aveva vista guardare diverse spade da quando era ricomparsa. «Sembra che...» «No» insisté lei. «Ho battuto la testa, ecco perché sembro così sconvolta. Ma adesso sto bene. Davvero. Sono solo un po' scossa.» «Capisco» disse Dalton in tono simpatico. «Sono queste le cose che ci fanno capire che...» schioccò le dita «... si può morire in qualsiasi momento.» Claudine deglutì prima di rispondere. «Capisco quello che volete dire, ma adesso mi sento molto meglio.» «Davvero? Non ne sono sicuro.» «Dalton» disse Teresa «non vedi che è sconvolta?» Lo spinse gentilmente da parte. «Vai a parlare con gli altri uomini, mentre io mi occupo della povera Claudine.» Dalton si allontanò per permettere alla moglie di scoprire quello che le interessava. Era contento del lavoro dei due Haken. Claudine aveva l'aria di una persona spaventata a morte e a giudicare dal modo instabile in cui camminava il messaggio era stato recapitato come lui aveva richiesto. La violenza aiutava le persone a comprendere meglio le istruzioni. Era contento di aver giudicato bene Fitch. Aveva capito tutto dal modo in cui il ragazzo aveva fissato la sua spada. Anche Claudine aveva paura quando fissava la sua arma. Fitch era un ragazzo ambizioso. Anche Morley poteva tornargli utile, ma più che altro per i lavori di muscoli. Fitch capiva meglio le istruzioni, quindi poteva essere molto più utile. A quell'età i ragazzi facevano delle cose di cui non si rendevano neanche conto. Dalton strinse la mano di un uomo di cui non ricordava neanche il nome ma che ora gli stava facendo i complimenti per il suo nuovo incarico. Rispose con i convenevoli di rito, ma senza prestare molta attenzione. Il direttore Linscott aveva appena finito di parlare con un uomo tarchiato riguardo le tasse che erano state applicate alle scorte che questi aveva nei granai. Non era una questione da poco visto le grandi riserve di grano di Anderith. Dalton si tenne a distanza, attendendo il momento buono per avvicinarsi al direttore. Linscott si girò e si trovò di fronte Dalton che, sorridente, gli strinse la mano prima che questi potesse ritrarla. La stretta del direttore era forte e le mani erano callose a testimonianza di una vita di duro lavoro. «Sono così contento che siate venuto al banchetto, direttore Linscott. Spero che la serata sia stata di vostro gradimento. Dobbiamo ancora discutere alcuni affari con il ministro.» Il direttore Linscott, un uomo alto e robusto con il volto bruciato dal sole e l'espressione di una persona che aveva il mal di denti cronico, non ricambiò il sorriso. I quattro direttori più vecchi erano anche i capi delle gilde. Uno presiedeva la gilda dei sarti, un altro quella dei fabbricanti di carta, il terzo quella dei mastri armaioli e Linscott quella dei muratori e costruttori. Il resto dei direttori erano in gran parte dei mercanti, avvocati, prestasoldi e un procuratore legale. Il vestito del direttore era fuori moda, ma ben tenuto. Il colore marrone si sposava bene con il grigio dei capelli radi. Anche la spada era un modello piuttosto vecchio, ma l'elsa e la guardia tirate a lucido conferivano all'arma un aspetto efficiente e non c'erano dubbi riguardo il fatto che anche la lama fosse in condizioni perfette. Una riproduzione di un compasso a punte fisse, simbolo della gilda che comandava, spiccava sul cuoio scuro dell'abito. Tutto in quell'uomo, dall'abbigliamento al portamento, parlava di semplicità ed efficienza. Linscott incuteva timore a tutti, ma non lo faceva apposta, gli veniva naturale. Era come mamma orsa con i piccoli. Quell'uomo considerava la gente di Anderith, tutti quelli che lavoravano, non importa con quale mansione, un'unica gilda, i suoi cuccioli. «Già» disse Linscott. «Ho sentito dire che il ministro ha grandi progetti. Ho sentito dire che ha in mente di non dare retta ai consigli della Madre Depositaria e rompere con le Terre Centrali.» Dalton allargò le mani. «Sono sicuro di non parlare a vanvera quando vi dico che per quanto ne so il ministro Chanboor pensa solo al bene della nostra gente. Niente di più, niente di meno. «Voi per esempio. Cose ci succederebbe se ci arrendessimo a questo nuovo lord Rahl e ci unissimo all'impero d'hariano? Questo lord Rahl ha decretato che tutte le terre si devono arrendere alla sua sovranità... al contrario di come succedeva con le Terre Centrali. Io credo che questo voglia dire che non ci sarà più bisogno di direttori.» Il volto di Linscott divenne rosso dall'ira. «Non sto parlando di me, Campbell. Si tratta della libertà delle Terre Centrali e del loro futuro. Si tratta di non essere fagocitati dall'esercito invasore dell'Ordine Imperiale. «Il nostro ambasciatore ha detto che lord Rahl vuole la resa incondizionata dei regni. Tutti saranno sotto il suo comando, ma ogni regno potrà mantenere intatti i suoi usi e costumi quando questi non andranno contro le leggi comuni. Ci ha promesso che se accetteremo le sue condizioni mentre l'invito è ancora aperto a tutti, faremo parte della commissione che creerà le leggi comuni e la Madre Depositaria ha avallato le sue parole.» Dalton fece un inchino rispettoso. «Temo che abbiate frainteso la posizione del ministro Chanboor. Egli proporrà al sovrano di unirsi alla Madre Depositaria se crederà veramente che sia la cosa migliore per gli interessi della nostra gente. Non desidera prendere posizione prima del tempo. L'Ordine Imperiale forse potrebbe offrire delle prospettive di pace migliori. Il ministro non desidera altro che la pace.» L'occhiataccia del direttore sembrò gelare l'aria. «Gli schiavi sono in pace.» Dalton simulò uno sguardo indifeso. «Non posso competere con voi, direttore.» «Sembra che vogliate vendere la nostra stessa cultura, Campbell fidandovi delle parole di un'orda d'invasori ossessionati dalle conquiste. Vi siete chiesto perché sono venuti qua anche se non sono stati invitati? Come fate a dire con tanta tranquillità che state pensando di piantare un coltello nel cuore delle Terre Centrali? Che razza di uomo siete, Campbell? Dopo tutto quello che la Madre Depositaria ha fatto per noi avete il coraggio di voltarle la schiena?» «Direttore, credo che voi...» Linscott agitò il pugno. «Non c'è dubbio che i nostri antenati hanno combattuto inutilmente contro le orde degli Haken e che in questo momento si stanno rivoltando nella tomba a sentire come voi prendete in considerazione l'idea di svendere tutto quello per cui loro hanno combattuto.» Dalton non replicò lasciando che il direttore si sfogasse riempiendo il baratro che lui aveva creato tra di loro. Era riuscito nel suo intento. «Sia io che voi condividiamo il desiderio di proteggere la nostra gente e mi dispiace che abbiate trovato il mio poco sincero.» Dalton fece un inchino educato. «Spero che vi divertiate.» Accettare un insulto simile con tanta grazia era il massimo della cortesia. Ma, più di tutto, faceva passare l'uomo che l'aveva inflitto come uno che non si atteneva ai più alti ideali d'onore degli Ander. C'era solo una razza che poteva essere così sprezzante con gli Ander: gli Haken. Dalton si girò come se gli fosse stato chiesto di andare via mostrando il massimo del rispetto per la persona che l'aveva insultato. Era come se fosse stato umiliato da un capo haken in persona. Il direttore lo chiamò. Dalton si fermò e girò la testa. Linscott sembrava stesse cercando le parole cortesi che usava molto di rado. «Sapete una cosa, Dalton. Io mi ricordo di voi quando eravate alle dipendenze del magistrato di Fairfield. Ho sempre creduto che foste un uomo retto. Non ho cambiato idea.» Dalton si girò con cautela, presentandosi come se fosse pronto a ricevere un secondo insulto. «Grazie, direttore Linscott. Dette da voi queste parole sono più di un complimento.» Linscott fece un cenno della mano come se volesse chiedergli di lasciare perdere quello che era successo qualche attimo prima. «Non riesco a capire come un uomo della vostra morale possa mandare in giro la moglie con le tette al vento.» Dalton sorrise: le parole dell'uomo erano velate da un tono conciliante. Mentre si avvicinava al direttore prese una coppa di vino da un vassoio e gliela offrì. Linscott accettò di buon grado. «Non posso che essere d'accordo con voi» disse Dalton abbandonando il tono ufficiale. «Infatti io e mia moglie abbiamo avuto una discussione a riguardo prima di scendere. Lei insisteva che si trattava di un vestito alla moda. Io ho puntato i piedi, appellandomi alla mia autorità di marito e le ho vietato di indossare quell'abito.» «Perché lo indossa, allora?» Dalton sospirò. «Perché non mi piace ingannarla.» Linscott inclinò la testa di lato. «Sono contento di sapere che non siete d'accordo con questi nuovi costumi morali, ma tutto questo cos'ha a che fare con il prezzo del grano nel Kelton?» Dalton bevve un sorso di vino e Linscott lo imitò. «Be', visto che non la inganno, se pretendessi di avere ragione ogni volta che discutiamo non mi divertirei più a letto.» Sulla bocca del direttore apparve l'ombra di un sorriso. «Capisco cosa intendete.» «Tutte le giovani donne presenti a questo banchetto sono vestite in maniera molto appariscente. Sono rimasto sconvolto la prima volta che sono venuto a lavorare qua. Mio moglie è giovane, desidera essere accettata e avere delle amiche. Teme di essere messa da parte dalle altre donne della tenuta. «Ne ho parlato con il ministro e lui è d'accordo con me nel dire che le donne non dovrebbero andare in giro vestite in quella maniera, ma la nostra cultura garantisce una grande libertà d'azione alle donne. Io e il ministro crediamo che dovremmo trovare il modo di mutare la moda del momento in qualcosa di meglio.» «Anch'io ho una moglie» disse Linscott, che approvava il punto di vista di Dalton «e neanch'io la prendo in giro. Sono contento di sapere che siete uno dei pochi che anche ai nostri giorni si attiene agli ideali di un tempo e che pensa che un giuramento e la dedizione al compagno siano sacrosante. Bravo.» La cultura di Anderith considerava molto importanti l'onore e i giuramenti. Ma i tempi stavano cambiando e più di una persona stava cominciando a lamentarsi della decadenza dei costumi morali. La sregolatezza non era solo accettata, ma quasi d'obbligo tra i ranghi di una certa elite alla moda. Dalton lanciò un'occhiata a Teresa, quindi tornò a concentrarsi su Linscott. «Direttore» disse allungando una mano «posso presentarvi la mia dolce metà? Vista la vostra influenza in certi argomenti, lo considererei un favore personale se la portaste a conoscenza delle vostre opinioni sul concetto di decenza. Siete un uomo molto rispettato e potrete parlare con un'autorità morale che non potrei mai sperare di avere. Lei pensa che io parli in quel modo solo perché sono un marito geloso.» Linscott rifletté qualche attimo. «Lo farò. Se vi fa piacere.» Teresa stava confortando Claudine incoraggiandola a bere del vino, quando Dalton la raggiunse insieme al direttore. «Teresa, Claudine, posso presentarvi il direttore Linscott?» Il direttore baciò la mano di Teresa che lo gratificò con un sorriso radio- so. Linscott ripeté il baciamano con Claudine che tenne la testa bassa. Sembrava che fosse indecisa tra il saltare tra le braccia dell'uomo in cerca di protezione o scappare via il più velocemente possibile. Dalton le posò una mano sulla spalla per rassicurarla. «Teresa, amore, io e il direttore stavamo parlando della questione 'moda femminile indecorosa'.» Teresa sfiorò con una spalla il direttore come se fossero in confidenza. «Mio marito è così indispettito per il mio vestito. Voi cosa ne pensate direttore Linscott? Lo trovate di vostro gusto?» Teresa si illuminò, orgogliosa. «Vi piace?» Linscott distolse lo sguardo dal volto di Teresa solo per un attimo e diede una rapidissima occhiata all'abito. «Piuttosto carino, mia cara. Piuttosto carino.» «Hai visto, Dalton? Te l'avevo detto. Il mio vestito è molto più castigato degli altri. Sono così contenta che un uomo del prestigio del direttore Linscott approvi la mia scelta.» Mentre Teresa si girava per chiedere a un coppiere di riempirle di nuovo la coppa, Dalton lanciò un'occhiata a Linscott che sembrava dire: «Perché non mi avete aiutato?» Il direttore scrollò le spalle e si avvicinò all'orecchio di Dalton. «Vostra moglie è una donna stupenda» gli sussurrò. «Non potevo umiliarla.» Dalton sembrò sospirare. «Anch'io ho lo stesso problema.» Linscott si drizzò sorridendo. «Direttore» disse Dalton in tono più serio «Claudine ha appena avuto un brutto incidente. Stava facendo una passeggiata fuori quando è inciampata e ha fatto una brutta caduta.» «Dolci spiriti» Linscott le prese una mano. «Vi siete fatta male, mia cara?» «Non è niente» mugugnò Claudine. «Conosco Edwin da anni. Sono sicuro che vostro marito capirà se vi accompagno nelle vostre stanze. Appoggiatevi al mio braccio.» Dalton osservò le reazioni della donna da sopra l'orlo della coppa che nel frattempo aveva portato alle labbra per sorseggiare il vino. Claudine lasciò vagare lo sguardo per la stanza. L'espressione di quegli occhi faceva capire che avrebbe voluto accettare l'offerta. Sarebbe stata al sicuro se l'avesse fatto. Linscott era un uomo molto potente e l'avrebbe protetta. Dalton non stava rischiando molto in quel momento, ma doveva mettere Claudine Winthrop alla prova. Molte persone erano scomparse e non erano mai state trovate. Attese che Claudine rivelasse la sua scelta e dopo qualche attimo lo fece. «Siete molto gentile a preoccuparvi, direttore Linscott, grazie, ma sto bene. Era tanto tempo che aspettavo questo banchetto per vedere gli invitati che sarebbero venuti alla tenuta. Me ne pentirei in eterno se dovessi perdermi il discorso del ministro della Cultura.» Linscott sorseggiò il vino. «Tu e Edwin avete lavorato molto alle nuove leggi da quando lui è stato eletto borghese. Voi avete lavorato con il ministro. Cosa ne pensate di quell'uomo?» Fece un cenno con la coppa. «In tutta onestà.» Claudine bevve un sorso di vino e prese fiato. «Il ministro Chanboor è un uomo che sa cosa sia l'onore. Le sue scelte politiche sono sempre orientate ad aumentare la prosperità del nostro regno e ha sempre rispettato le leggi proposte da Edwin.» Bevve un altro sorso di vino. «Siamo fortunati ad avere Bertrand Chanboor come ministro della Cultura. Non riesco a immaginare un uomo migliore per quella carica.» Aveva parlato con lo sguardo perso nel vuoto. Linscott arcuò un sopracciglio. «Dichiarazioni lusinghiere, specialmente se provenienti da una donna come voi. Tutti noi sappiamo quanto siete stata d'aiuto a Edwin nella stesura delle leggi.» «Siete troppo gentile» mormorò Claudine fissando la coppa. «Sono solo la moglie di un uomo importante. Se stasera mi fossi rotta il collo cadendo la gente si sarebbe dimenticata di me molto in fretta. Edwin verrà ricordato a lungo e bene.» Linscott rimase interdetto da quella affermazione. «Claudine ha troppa poca stima di se stessa» sentenziò Dalton. Lanciò un'occhiata al siniscalco che indossava un bellissimo abito rosso decorato con una fascia multicolore. L'uomo stava per aprire la porta oltre la quale c'erano delle persone pronte a gettare dei petali di rosa sugli ospiti. Dalton si rivolse al direttore. «Suppongo che conosciate chi sarà l'ospite d'onore stasera.» Linscott aggrottò la fronte. «L'ospite d'onore?» «Un rappresentate dell'Ordine Imperiale. Un uomo di nome Stein. È l'ambasciatore dell'imperatore Jagang. Anche il sovrano è venuto ad ascoltare quello che ha da dire.» Linscott sospirò. Adesso sapeva perché era stato convocato insieme agli altri direttori. Non era uno dei soliti ricevimenti. Per ovvi motivi di sicu- rezza il sovrano annunciava raramente la partecipazione a quegli eventi. Il sovrano era arrivato con le sue guardie personali e i suoi servitori. Teresa era raggiante e Claudine continuava a fissare il pavimento. «Signore e signori» annunciò il siniscalco «la cena è servita.» 21 La cantante allargò le braccia e la sua voce risuonò nell'aria narrando i fatti di una vicenda che si perdeva nella notte dei tempi. Giungono le visioni di glaciale bellezza Dalle terre della morte dove abitano. Inseguono i loro tetri scopi Tre rintocchi di campana e la morte risponde alla chiamata. Belle le loro forme anche se viste poche volte Esse viaggiano nel vento o in una scintilla. Alcune portano dei rametti alla regina neonata Mentre altre invadono l'oscurità Tre rintocchi di campana e la morte risponde alla chiamata. Alcuni vengono chiamati, altri baciati Mentre viaggiano lungo i fiumi o a cavallo delle onde Avanzano risolute e insistenti: Tutti coloro che toccano finiscono nella tomba. Tre rintocchi di campana e la morte risponde alla chiamata. Finché egli divise le cascate E le campane suonarono tre volte Finché egli inviò la chiamata Chiedendo il prezzo. Le campane hanno suonato tre volte E la morte ha incontrato la Montagna. Esse hanno stregato e abbracciato Hanno cercato di estorcere Ma lui le ha bandite con una grazia E ha chiesto un 'anima. Le campane smisero di suonare e la montagna li uccisi tutti. E la Montagna li seppellì. La donna concluse il brano con un acuto che strappò un applauso ai presenti. Era una canzone molto antica scritta da Joseph Ander in persona. Una volta Dalton aveva scartabellato alcuni testi antichi per sapere a cosa si riferisse quella canzone, ma non aveva trovato nulla che potesse spiegarne il significato. Era una di quelle canzoni che nessuno capiva, ma tutti adoravano perché narrava di un trionfo dei fondatori del regno. Quella melodia incantevole veniva cantata solo nelle occasioni speciali. Per un attimo Dalton ebbe la strana sensazione che quelle parole assumessero un significato particolare. Forse cominciavano ad avere un senso. Ma quell'impressione cessò velocemente e la sua mente si concentrò su altre questioni. La cantante allargò le braccia facendo strusciare le larghe maniche del vestito sul pavimento e fece un inchino al sovrano, quindi si girò e ripeté l'inchino rivolgendolo questa volta ai due tavoli sovrastati da un baldacchino di seta e broccato color oro sostenuto da due lunghissime lance sotto il quale si trovavano le massime autorità. Sembrava che gli invitati di riguardo mangiassero su un palco e Dalton pensò che in certo senso era proprio così. La cantante rivolse un inchino anche agli altri invitati. Le maniche del vestito erano ricoperte da uno strato di piume di gufo bianco maculato e ogni volta che la donna apriva le braccia sembrava assumere le sembianze di un uccello mitico scaturito in qualche modo dal brano appena cantato. Stein, che si trovava a fianco del ministro e di sua moglie, applaudiva apatico, molto probabilmente stava pensando a come poteva essere quella donna senza le piume. Dalton batteva le mani reprimendo al tempo stesso uno sbadiglio, mentre Teresa dava voce alla sua ammirazione per l'artista applaudendo entusiasta. La cantante uscì e quattro paggi entrarono nella sala sorreggendo un vassoio sul quale si trovava un gigantesco dolce di marzapane che rappresentava una nave con le vele di zucchero che galleggiava in mezzo al mare. Lo scopo di quella messa in scena era quello di annunciare a tutti gli invitati che i piatti a seguire sarebbero stati a base di pesce. I piatti di carne erano stati introdotti da un cervo di pasta soffice che saltava una siepe d'agrifoglio nella quale si nascondeva un cinghiale di gelatina, mentre l'aquila imbalsamata con un le ali aperte sulla rappresentazione in cartapesta della città di Fairfield aveva annunciato i piatti di cacciagione. Nella galleria la fanfara annunciò l'arrivo delle portate. C'erano state cinque portate fino a quel momento, ognuna delle quali composta da almeno una dozzina di specialità. Mancavano ancora sette portate alla fine della cena anch'esse composte da una dozzina di piatti diversi. I musicisti e i giocolieri intrattenevano gli invitati tra una portata e l'altra mentre dei servitori facevano passare un albero dai cui rami pendeva della frutta candita. Gli invitati ricevettero in dono dei cavalli meccanici. Teresa aveva potuto assaporare le carni che preferiva: coniglio, maiale, cervo e orso. Quest'ultimo animale era stato messo in piedi sulle zampe posteriori sopra un carretto che veniva fatto passare davanti ai tavoli. Ogni volta che gli invitati ne desideravano una porzione, dei servitori spostavano la pelle e tagliavano le fette di carne. La cacciagione andava dai passeri, il cibo preferito del ministro perché lo riteneva afrodisiaco, ai piccioni, al pasticcio di cigno, dall'aquila all'airone arrosto al quale erano state nuovamente infilate le piume e tenute le ali aperte come con dei fili se fosse in volo. Non era necessario mangiare tutto quel cibo. Quella varietà e abbondanza di piatti serviva a due scopi: il primo era quello di offrire un'ampia scelta di cibo in modo da soddisfare tutti i gusti e il secondo quello di stupire gli invitati con uno sfoggio d'opulenza. Tutti quelli che almeno per una volta nella loro vita erano stati ospiti a un banchetto del ministro della Cultura raccontavano l'evento per anni. Gli invitati piluccavano il cibo lanciando delle occhiate al tavolo principale al quale il ministro aveva invitato due facoltosi commercianti di pane e il personaggio più interessante della serata: Stein, il rappresentante dell'Ordine Imperiale. L'ambasciatore era arrivato accompagnato dai sussurri della gente che aveva osservato attonita il mantello di scalpi e le armi che portava addosso. Aveva anche attirato gli sguardi di un gran numero di donne alle quali tremavano le ginocchia alla sola idea di poter passare una notte con quell'uomo. Bertrand Chanboor indossava un farsetto imbottito e senza maniche arricchito da decorazioni in oro e argento sopra una giubba di semplice fattura. I due capi indossati insieme davano l'impressione che l'uomo fosse più robusto di quello che sembrava a prima vista. Un collarino bianco spiccava sopra il colletto rigido del farsetto, intorno alla vita e ai polsi. Sopra il farsetto e la giacca c'era una stupenda marsina con un inserto di pelliccia intorno al colletto che scendeva sul petto. Sulle maniche a sbuffo spiccavano dei galloni. Ognuna delle strisce che rappresentavano i gradi erano intervallate da una fila di perle. I folti capelli grigi, gli occhi dallo sguardo attento e il sorriso amichevole, sempre diretto alla persona con la quale stava parlando, e la carica che occupava in seno al regno, faceva sì che Bertrand Chanboor fosse ammirato da molti uomini e desiderato da altrettante donne. Se non erano intenti a guardare il tavolo del ministro, gli invitati lanciavano delle occhiate furtive al tavolo vicino dove si trovavano il sovrano, la moglie, i tre figli e le tre figlie. Nessuno osava guardare apertamente il sovrano poiché, dopotutto, oltre a essere la figura politica di maggior spicco di tutta Anderith egli era la guida religiosa del regno... un inviato del Creatore nel mondo dei vivi. Sia gli Haken che gli Ander idolatravano il sovrano come se fosse un semidio al punto che più di una volta un uomo era caduto in ginocchio al passaggio della carrozza reale e aveva confessato i suoi peccati. Il sovrano, che a dispetto della sua veneranda età era ancora molto lucido, indossava uno splendido abito color oro. Un panciotto rosso metteva in evidenza le maniche a sbuffo e le spalle erano avvolte da una stola. Le brache imbottite terminavano sotto il ginocchio dove iniziavano delle lunghe calze gialle. Numerosi anelli spiccavano sulle mani. Il sovrano aveva la testa incassata tra le spalle come se il medaglione che portava al collo fosse troppo pesante. Lentiggini grosse come i gioielli che indossava gli macchiavano le mani. Il sovrano era sopravvissuto a quattro mogli. L'ultima gli stava asciugando il mento con un gesto colmo d'affetto. Dalton dubitava che fosse poco più che adolescente. Fortunatamente sia i figli che le figlie avevano portato i rispettivi sposi lasciando a casa i figli. I nipoti del sovrano erano dei marmocchi insopportabili. Nessuno osava dire loro nulla limitandosi a sorridere con fare condiscendente alle loro bravate. Alcuni di essi erano molto più vecchi della loro ultima nonna. Lady Hildemara Chanboor, che indossava un elegante abito color argento, fece un cenno con un dito all'arpista e un attimo dopo la musica si spense. Era la moglie del ministro a dirigere il banchetto. Non ce n'era alcun bisogno, ma lei insisteva affinché la riconoscessero come ospite del sovrano e quindi, di volta in volta alzava un dito per zittire l'arpista in modo che tutti rispettassero il suo status sociale. La gente la osservava stupita credendo che l'intera festa gravitasse intorno a lei. L'arpista, dal canto suo, sapeva bene quando era il momento di smettere di suonare anche senza l'ausilio della nobildonna, ma non le staccava mai gli occhi di dosso per tutto il tempo e non mancava mai di eseguire gli ordini impartiti dai cenni delle sue dita. Anche se tutti dicevano che Hildemara Chanboor possedesse una bellezza radiosa, in verità quella donna possedeva dei lineamenti e un fisico piuttosto grezzi e sgraziati. Dalton pensava sempre a lei come a una donna scolpita da un artigiano che possedeva più ardore che talento. Non era un'opera d'arte. L'arpista approfittò della pausa per prendere la coppa d'acqua che teneva vicino al suo strumento. Si inclinò in avanti, il ministro adocchiò la scollatura e diede una leggera gomitata a Dalton per non fargli perdere lo spettacolo. Lady Chanboor notò l'occhiata del marito ma, come al solito, non disse nulla. Era la moglie di un uomo potentissimo, amava quella posizione e ne pagava lo scotto. Dalton sapeva che in privato Hildemara litigava con il marito e in alcune occasioni erano volate anche le suppellettili. Lady Chanboor non si infuriava per le scappatelle del ministro, anche lei aveva la sua cerchia di amanti di cui Dalton conosceva tutti i nomi, ma per le sue disattenzioni quando erano in pubblico. Dalton sospettava che gli amanti di lady Chanboor fossero attratti da lei per via della posizione sociale che occupava e perché, come succedeva con il marito, speravano di ottenere dei favori. La maggior parte delle persone non aveva la minima idea di quello che succedeva nella tenuta. Tutti pensavano che Hildemara Chanboor fosse una moglie dolce e fedele, immagine che lei faceva di tutto per mantenere. La gente di Anderith l'amava come gli abitanti degli altri regni adoravano le proprie regine. Donna abile, attenta e perspicace, in un certo senso era l'eminenza grigia dietro il ministro. Mentre spesso Bertrand era a divertirsi, lei dava gli ordini. Il ministro si fidava molto dell'opinione della moglie e molto spesso le dava da sbrogliare delle matasse disinteressandosi totalmente di quale fosse la canaglia alla quale lei affidava il compito o del massacro culturale che lasciava dietro di sé. Non importava cosa pensasse di Bertrand Chanboor in privato, ma Hildemara faceva di tutto per mantenere intatto il dominio del marito. Sei lui fosse crollato lei l'avrebbe seguito nella polvere. Al contrario del marito Hildemara era raramente ubriaca e i suoi incontri si svolgevano nel mezzo della notte con molta discrezione. Dalton sapeva bene che non era il caso di sottovalutarla. Anche quella donna aveva la sua rete di informatori. Gli invitati sussultarono deliziati quando videro un 'marinaio' saltare fuori da dietro la nave e intonare con il piffero un'allegra canzone accompagnandosi con il tamburello che pendeva dalla cintura. Teresa batté le mani gongolando imitata dagli altri ospiti e strinse con una mano la gamba del marito sotto il tavolo. «Oh, Dalton, avresti mai pensato che avremmo potuto vivere in un luogo così bello e conoscere della gente tanto splendida?» «Certo.» Teresa gongolò di nuovo e toccò la spalla del marito con la sua. Dalton osservò Claudine che applaudiva a un tavolo sulla destra dopodiché concentrò la sua attenzione alla sua sinistra, dove Stein aveva piantato il coltello in un pezzo di carne per poi portarlo alla bocca. Il rappresentate dell'Ordine Imperiale masticava a bocca aperta e dall'espressione del viso era ovvio che quel tipo di intrattenimento non era di suo gusto. I servitori avevano cominciato a portare i vassoi d'argento con il pesce al tavolo dove venivano conditi prima di essere serviti. Oltre i servitori e l'assaggiatore, il sovrano si era portato dalla reggia anche le posate e i piatti. Il ministro si avvicinò a Dalton. «Ho sentito dire che c'è una donna che potrebbe avere intenzione di mettere in giro delle menzogne spiacevoli. Forse dovresti indagare.» Dalton prese con il medio e il pollice un pezzo di pera intinto nel latte di mandorle dal piatto che condivideva con Teresa. «Ho già provveduto, ministro. Non ha nessuna intenzione di mancarvi di rispetto.» Mise in bocca la pera. Il ministro arcuò un sopracciglio. «Perfetto.» Sogghignò e fece l'occhiolino a Teresa che chinò il capo. «Ah, mia cara Teresa, vi ho già detto che stasera siete particolarmente incantevole? E i vostri capelli... fantastici. Sembrate uno spirito buono che mi ha fatto la grazia di sedersi al mio tavolo. Se non foste sposata con il mio braccio destro, dopo vi inviterei a ballare.» Il ministro danzava solo con la moglie e in alcuni casi eccezionali, ma solo quando previsto dal protocollo, con le mogli dei dignitari in visita. «Ne sarei onorata, ministro» disse Teresa, incespicando nelle sue stesse parole «come lo sarebbe anche mio marito, ne sono sicura. Non potrei es- sere in mani migliori sulla pista da ballo... o altrove.» Teresa era abituata a mantenere sempre un certo contegno, ma questa volta la proposta del ministro l'aveva fatta arrossire. Stava sicuramente godendosi le occhiate di invidia lanciate dalle altre donne perché il ministro della cultura in persona le aveva rivolto la parola. Dalton vide l'occhiataccia di lady Chanboor e si tranquillizzò. Il ministro non avrebbe fatto nulla di sconveniente. L'uomo si sarebbe premuto contro il petto di sua moglie se avesse potuto, su quello non c'era dubbio, ma non sarebbe andato oltre, visto che si trovava sotto lo sguardo vigile della moglie che non gli avrebbe mai permesso di essere sfrontato in pubblico. Dalton riportò la discussione sugli argomenti che più gli interessavano. «Uno dei funzionari della città è molto preoccupato circa la situazione di cui abbiamo parlato.» «Cosa dice?» Bertrand sapeva bene con quale direttore aveva parlato Dalton e sebbene nei suoi occhi fosse balenato un lampo d'ira si astenne dal pronunciare il nome. «Niente» lo rassicurò Dalton. «Ma continua a insistere. Potrebbe indagare... fare pressioni per ottenere dei chiarimenti. Ci sono delle persone che cospirano ai nostri danni e sarebbero molto contente di farci passare per delle persone indecenti. Difenderci da queste accuse rappresenterebbe una perdita di tempo seccante che ci impedirebbe di compiere il nostro dovere nei confronti del popolo di Anderith.» «L'idea mi sembra assurda» disse il ministro, seguendo il filo di quella discussione in codice. «Pensi veramente che ci siano delle persone che complottino contro di noi e il nostro operato?» Le sue parole sembravano scontate perché le usava molto spesso, ma in pubblico era sempre meglio essere prudenti. In mezzo agli invitati potevano esserci persone con il dono che possedevano la capacità di origliare e carpire delle informazioni che era meglio tenere riservate. Lo stesso Dalton aveva sul suo libro paga una donna con quel talento. «Abbiamo votato le nostre vite al bene di Anderith» disse Dalton «tuttavia ci sono delle persone grette che desiderano arrestare il processo di crescita della nostra cultura.» Bertrand prese un pezzo di cigno arrostito dal piatto che condivideva con la moglie o lo intinse nel sugo. «Quindi pensi che in giro ci siano dei fomentatori che intendono creare dei guai?» Lady Chanboor si avvicinò ulteriormente al marito e disse: «Gli agitatori sono pronti a sfruttare ogni occasione per distruggere l'operato di Bertrand e non si farebbero scrupolo ad aiutare chiunque volesse causargli dei problemi.» Lanciò un'occhiata al sovrano che prendeva il cibo dalle dita della moglie. «Abbiamo dei lavori molto importanti da svolgere e non vogliamo che qualcuno vanifichi i nostri sforzi.» Bertrand Chanboor era il candidato numero uno a ricoprire la carica di sovrano, ma aveva i suoi oppositori. Una volta nominato sovrano avrebbe mantenuto quella carica a vita. Quello che stavano attraversando era un periodo molto critico, un passo falso e il ministro avrebbe perso la sua opportunità e c'erano molte persone che non aspettavano altro. Una volta nominato sovrano quelle persone non sarebbero più state un problema per Bertrand Chanboor, ma fino ad allora non c'era nulla di certo o sicuro. Dalton chinò la testa in segno di rispetto. «La vostra analisi è esatta, lady Chanboor.» «Se ho ben capito hai dei suggerimenti» disse Bertrand. «Esatto» rispose Dalton abbassando il tono di voce. Sussurrare era considerata una cosa alquanto sconveniente durante un banchetto, ma alle volte era inevitabile: era necessario agire e nessuno avrebbe sentito nulla. «Sarebbe meglio se modificassimo gli equilibri. Quello che ho intenzione di fare non solo estirperà le erbacce in mezzo al grano, ma impedirà loro di ricrescere.» Dalton spiegò il suo piano tenendo un occhio sul sovrano. Lady Chanboor si drizzò con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra. Bertrand fissò Claudine con uno sguardo privo d'emozione e assentì. Stein fece un gesto con il coltello come se volesse lacerare la tovaglia. «Perché non tagliate loro la gola e la fate finita?» Il ministro si guardò intorno per accertarsi che nessuno avesse udito le parole di Stein. Il volto di Hildemara divenne rosso dall'ira e Teresa impallidì. L'ambasciatore dell'Ordine Imperiale era già stato avvertito in precedenza. Qualcuno avrebbe potuto ascoltare le sue informazioni e dare inizio a una serie di investigazioni che avrebbero portato sicuramente a una visita della Madre Depositaria in persona. Tutti sapevano che quella donna non avrebbe avuto pace finché non avesse accertato la verità e se fosse stato necessario avrebbe usato la sua magia per deporre il ministro dal suo incarico. Dalton lanciò un'occhiata minacciosa a Stein che rise mostrando i denti ingialliti. «Scherzavo.» «Non mi importa quanto sia vasto l'esercito dell'Ordine Imperiale» ringhiò il ministro con voce abbastanza alta da farsi ascoltare anche dalle persone che potevano aver sentito la proposta di Stein. «A meno che non sia invitata - cosa che deve essere ancora decisa - l'armata verrebbe distrutta dal Dominie Dirtch. L'imperatore lo sa ed è per questo che ci ha chiesto di riflettere sulla sua offerta di pace. Sono sicuro che sarebbe molto dispiaciuto di sapere che uno dei suoi uomini ha insultato il nostro stile di vita, la nostra cultura e le nostre leggi. «Voi siete un emissario dell'imperatore che ha l'incarico di spiegare la sua proposta di pace... niente di più. Se sarà necessario faremo mandare qualcun altro al posto vostro.» Stein sogghignò per nulla preoccupato. «Stavo scherzando. Tra la mia gente è normale parlare in questo modo. Da dove vengo io queste sono considerate affermazioni innocue. Volevo solo essere divertente, ve l'assicuro.» «Spero che in futuro starete più accorto nel giudicare la nostra gente» disse il ministro. «Siete venuto a discutere di argomenti molto importanti. I direttori non sarebbero contenti di ascoltare un umorismo così offensivo.» Stein rise. «Mastro Campbell mi ha spiegato che la vostra cultura non può soffrire simili affermazioni da taverna, ma la mia natura rozza mi ha fatto dimenticare i suoi saggi consigli. Vi prego di scusare la povertà del mio vocabolario. Non volevo danneggiare nessuno.» «Ottimo» Bertrand si appoggiò allo schienale della sedia facendo vagare lo sguardo attento sugli invitati. «Gli abitanti di Anderith hanno una pessima opinione della violenza. Non sono abituati a parlare in questo modo e tanto meno ad agire.» Stein chinò il capo. «Ho ancora molto da imparare dagli usi e i costumi esemplari della vostra grande cultura. Sono speranzoso di riuscirci.» La frase pronunciata da Stein fece aumentare la stima di Dalton nei suoi confronti. Il rappresentante dell'Ordine Imperiale poteva avere un aspetto incolto e disordinato, ma quello che celava sotto di esso era l'esatto opposto. Forse lady Chanboor non aveva colto l'ironia nelle parole di Stein, ma non si poteva dirlo. «Noi capiamo e ammiriamo il vostro sforzo sincero di imparare quelli che per voi possono essere... dei modi di fare bizzarri.» Avvicinò una coppa a Stein. «Vi prego, assaggiate il vino della valle del Nareef. È molto buono.» Teresa aveva colto bene la sfumatura sarcastica nelle parole dell'uomo. Al contrario di Hildemara, lei aveva passato gran parte della sua vita ad affrontare le schermaglie tra donne dove le parole venivano usate come armi per spillare sangue. Più il livello sociale era alto, più le lame erano affilate. In quelle situazioni bisognava saper riconoscere quando si veniva colpiti e si cominciava a sanguinare, altrimenti la ferita sarebbe stata troppo evidente per passare inosservata. Hildemara possedeva un potere praticamente illimitato e non aveva bisogno di ricorrere a tali sottigliezze. Era difficile che un generale di Anderith maneggiasse la spada. Nel tempo che Teresa aveva impiegato a bere un sorso di vino, Stein aveva svuotato la sua coppa. «Buono. Direi che è il migliore che abbia mai bevuto.» Posò la coppa sul tavolo. «Sono pieno. Quando potrò parlare?» Il ministro arcuò un sopracciglio. «Quando gli invitati avranno finito di mangiare.» Stein sogghignò, piantò la punta del coltello in un pezzo di carne e lo portò alla bocca soppesando con lo sguardo alcune donne. 22 I musicisti intonarono un brano dal sapore marinaresco, mentre due sbandieratoli agitavano bandiere blu a tempo con la musica dando l'impressione che la barca riprodotta sul tessuto stesse navigando. I servitori del sovrano si occupavano del suo tavolo, mentre quelli con la livrea della tenuta si affaccendavano intorno al ministro sottoponendo alla sua attenzione i piatti a base di pesce. Il ministro scelse zampe di granchio, pancia di salmone, pesciolini fritti e anguille in salsa allo zafferano. Il servitore posò quanto richiesto nel piatto che Bertrand Chanboor aveva in comune con la moglie. Il ministro intinse un grosso pezzo d'anguilla nel sugo e lo passò alla moglie che lo prese con la punta delle lunghe unghie ben curate, sorridendo. Stava per metterlo in bocca quando lo posò e improvvisamente si girò verso Stein chiedendogli dei ragguagli sui piatti tipici della sua terra natale. Era da poco che Dalton abitava alla tenuta, ma una delle prime cose che aveva imparato era che lady Hildemara Chanboor odiava le anguille. Quando uno dei servitori portò un vassoio con un gambero d'acqua dolce, Teresa arcuò le sopracciglia speranzosa per far capire al marito che ne voleva uno. Il servitore ruppe velocemente il guscio, rimosse la nervatura e servì la polpa su delle tartine imburrate. Dalton si servì da solo, tagliando una fetta di focena direttamente da un vassoio sorretto da un servitore che stava in ginocchio a braccia tese. Terminata l'operazione, il servitore fece un inchino e si avvicinò a un altro invitato. Teresa arricciò il naso e disse che non voleva l'anguilla. Dalton ne prese un pezzo solo perché il ministro gli aveva fatto capire, con un cenno della testa e un sorriso, che doveva farlo. Dopo che ebbe finito il ministro avvicinò la bocca al suo orecchio e gli disse. «L'anguilla fa bene 'all'anguilla', non so se mi sono spiegato...» Dalton sorrise fingendosi deliziato della battuta, ma in quel momento stava pensando ad altro. C'erano cose molto più importanti della sua 'anguilla'. Teresa piluccava una carpa e Dalton gustava le aringhe allo zucchero mentre osservava i servitori haken che, simili a un'orda di invasori, sciamavano nella sala portando ogni ben di Dio per gli invitati. L'abbondanza di cibo aveva due scopi bene precisi: il primo era quello dello spettacolo politico con il quale il ministro della Cultura manifestava la sua forza e la sua opulenza, ma anche per proteggerlo dall'accusa di ostentazione. Tutto quel cibo era la dimostrazione dello splendore del Creatore e a dispetto dello sfarzo era solo un esempio infinitesimale della Sua generosità. Il banchetto non era concepito per obbligare della gente a radunarsi, ma come riunione di persone che erano state chiamate a parteciparvi... la differenza era sottile, ma significativa. Il fatto che un banchetto si tenesse per un motivo comune, un matrimonio, una ricorrenza, una vittoria militare, sottolineava il suo sfondo religioso. Il fatto che vi partecipasse anche il sovrano, il rappresentante del Creatore nel mondo dei vivi, era il suggello perfetto per le motivazioni religiose dell'evento. Purtroppo era inevitabile che le persone rimanessero stupite dalla ricchezza del ministro e sua moglie, ma questo era un effetto secondario e del tutto casuale. Dalton aveva notato diversi invitati rimasti 'casualmente' colpiti dallo sfarzo della festa. Nella sala echeggiavano le chiacchiere degli invitati, le risate e il rumore delle mascelle che masticavano ogni genere di cibo. L'arpista riprese a suonare per intrattenere gli invitati durante il pasto. Il ministro continuava a mangiare anguilla conversando con la moglie, Stein e i due ricchi mercanti che aveva invitato al tavolo. Dalton sorseggiò un goccio di vino e decise di trarre vantaggio dalla si- tuazione di rilassamento generale che si era creata. «Ti ha detto qualcosa quando avete parlato?» chiese alla moglie. Teresa stava tagliando un pezzo di luccio fritto. Terminò l'operazione e immerse il pezzo di carne nella salsa rossa. Sapeva che si stava riferendo a Claudine. «Niente di specifico, ma credo che l'agnello non sia chiuso nel recinto.» Teresa non sapeva nulla di quello che era successo. Non aveva idea che i due ragazzi haken avessero recapitato il messaggio del marito, ma era abbastanza addentro alle faccende di corte per capire che Claudine Winthrop stava cercando di sollevare un polverone per quello che era successo con il ministro. Anche se non erano mai scesi nei dettagli, Teresa sapeva bene che non stava sedendo al tavolo degli invitati di riguardo nella tenuta del ministro della Cultura solo perché il marito conosceva a menadito tutte le leggi di Anderith. «Mentre le parlavo» continuò Teresa, abbassando la voce «lei continuava a guardare il direttore Linscott cercando di non farsi vedere. Ho avuto la netta impressione che stesse anche cercando di capire se c'era qualcuno che la osservava.» Dalton si fidava della moglie perché sapeva che andava dritta al punto. «Perché credi che prima avesse tanta voglia di dire alle altre donne che il ministro l'aveva presa con la forza?» le chiese. «Penso che abbia parlato con le altre per proteggerle dal ministro. Io credo che abbia pensato che dicendolo lei per prima si sarebbe protetta dallo scandalo nel caso qualcuno avesse scoperto quello che era successo. «Comunque, all'improvviso non ha più aperto bocca. Ma, come ti ho detto, non staccava mai gli occhi dal direttore, anche se non voleva darlo a vedere.» Teresa lasciò che il marito traesse le sue conclusioni. Dalton si inclinò verso di lei e si alzò. «Grazie, amore. Se vuoi scusarmi ho una faccenda da sistemare.» Lei gli prese la mano. «Non dimenticare che mi hai promesso di presentarmi al sovrano.» Dalton baciò la moglie sulla guancia e fissò il ministro che lo stava guardando. Quello che gli aveva detto la moglie non faceva altro che confermare i suoi sospetti: doveva agire con prudenza. La posta in gioco era altissima. Il direttore Linscott avrebbe potuto cominciare a fare un sacco di domande. Dalton era sicuro che il messaggio consegnato dai due giovani haken avesse zittito Claudine, ma se non fosse stato così, allora per la don- na non ci sarebbe stato più nulla da fare. Gratificò Bertrand con un impercettibile cenno del capo. Dalton passò tra i tavoli per salutare le persone che conosceva ascoltando una barzelletta, un pettegolezzo, qualche proposta e facendo le solite promesse di rito. Tutti pensavano che stesse agendo in veste del rappresentante del ministro e che si stesse assicurando che tutto andasse per il meglio. Arrivato finalmente al tavolo che desiderava, Dalton sfoderò un sorriso amichevole. «Spero che vi sentiate meglio, Claudine. Teresa mi ha suggerito di controllare... vedere se avete bisogno di qualcosa... visto che Edwin non è con voi, stasera.» La donna fece una buona imitazione di un sorriso sincero e disse: «Vostra moglie è molto cara, signor Campbell. Sto bene, grazie. Il cibo e la compagnia mi hanno rimessa di buon umore. Vi prego, ditele che sto bene.» «Sono molto contento di saperlo.» Dalton le si avvicinò all'orecchio. «Stavo per fare un offerta a Edwin... e a voi... ma sono piuttosto riluttante a chiedervelo ora che vostro marito è fuori città, senza parlare della vostra brutta caduta. Non voglio costringervi a lavorare se non vi sentite bene. Per favore, venitemi a trovare quando vi sentirete meglio.» Claudine aggrottò la fronte. «Siete molto gentile a preoccuparvi, ma sto bene. Se c'è qualcosa che riguarda Edwin, allora parlate. Noi due lavoriamo insieme e non abbiamo segreti. Voi lo sapete bene, signor Campbell.» Dalton non solo lo sapeva, ma ci sperava. Si acquattò e spostò la sedia della donna allontanandola leggermente dal tavolo. «Vi prego di perdonare la mia presunzione. Vedete» esordì «il ministro sente molto il problema delle persone che riescono a sfamare le loro famiglie solo mendicando. Anche se riescono a ottenere del cibo dalle altre famiglie hanno sempre bisogno di vestiti, una casa e devono far fronte a un gran numero di altre necessità. Malgrado la brava gente di Anderith sia molto caritatevole, molti bambini, sia haken che ander, vanno a letto ogni sera con la pancia vuota. Il ministro prova pietà per entrambi e si sente responsabile del benessere della sua gente. «Ultimamente il ministro ha lavorato febbrilmente a una legge e ora ha terminato gli ultimi ritocchi. È una legge che permetterà di dare lavoro a delle persone che altrimenti non avrebbero mai avuto la possibilità di averne uno.» «È molto bello da parte sua» balbettò Claudine Winthrop. «Bertrand Chanboor è un brav'uomo. Siamo fortunati ad averlo come ministro della Cultura.» Dalton si passò una mano sulla bocca, mentre la donna distoglieva lo sguardo. «Be', il fatto è che il ministro parla sempre con molto rispetto di Edwin, per tutto il lavoro nell'ombra che ha svolto, così gli ho suggerito che sarebbe giusto mostrare in qualche modo il rispetto per l'opera instancabile di vostro marito. «Il ministro ha accettato immediatamente il mio suggerimento e ha avuto l'idea di far in modo che la nuova legge fosse proposta e patrocinata dal borghese Edwin Winthrop. Il ministro desidera che venga chiamata la Legge Winthrop per il Giusto Impiego in onore di vostro marito... e vostro, è ovvio. Tutti sanno l'importanza del vostro lavoro a fianco di Edwin.» Claudine tornò a fissare Dalton e portò una mano al petto. «È davvero generoso da parte vostra e del ministro. Mi avete presa alla sprovvista e credo che lo stesso succederà a Edwin. Controlleremo la legge appena possibile in modo che venga approvata il più velocemente possibile.» Dalton fece una smorfia. «Il ministro... mi ha appena informato che sarebbe molto contento di poterlo annunciare stasera. Io avevo intenzione di portarvi una bozza della legge affinché voi e vostro marito poteste visionarla prima dell'annuncio, ma il ministro ha deciso che questo è il momento adatto visto che ci sono tutti i direttori. Inoltre non può sopportare oltre che tutte quelle persone rimangano senza lavoro. Hanno bisogno di nutrire le loro famiglie.» Claudine si umettò le labbra. «Be', sì, capisco... ma io veramente...» «Perfetto. Ottimo. È molto gentile da parte vostra.» «Vorrei dargli un'occhiata prima, davvero. Devo. Edwin lo farebbe...» «Certo, certo. È chiaro. Vi capisco e vi assicuro che vi farò avere una coppia domani mattina.» «Volevo vederla prima di...» «Stasera ci sono tutte le personalità più importanti del regno e il ministro vuole approfittarne. Il ministro non vuole ritardare l'approvazione né vuole rinunciare a far apporre il nome di Edwin Winthrop su una legge tanto importante. Il ministro sperava che il sovrano udisse la notizia. Sapete bene che le sue apparizioni in pubblico sono molte rare. Inoltre il sovrano conosce Edwin e sarebbe molto contento per lui.» Claudine lanciò un'occhiata al sovrano e si inumidì le labbra. «Ma...» «Vorreste chiedere al ministro di posporre la promulgazione della legge? Più che il sovrano sarebbe il ministro a essere veramente deluso. Non vuole che quei poveri bambini soffrano ancora. Lo capite che tutto questo viene fatto per i bambini?» «Certo, ma al fine di...» «Claudine» la interruppe Dalton prendendole una mano «voi non avete dei bambini, quindi comprendo che non possiate capire la situazione di quei poveri genitori che non sanno come nutrire i proprio figli perché non hanno un lavoro. Cercate di capire quanto può essere spaventoso.» Claudine aprì la bocca, ma non riuscì a dire nulla. Dalton approfittò del momento di stallo e riprese a parlare. «Cercate di capire cosa possa significare per un padre e una madre aspettare giorno dopo giorno. Vivere con la speranza di poter trovare un lavoro e sfamare i propri figli. Potete capire quale inferno possa essere per una giovane madre?» Claudine era impallidita. «Certo» sussurrò, dopo qualche secondo. «Lo capisco. Davvero. Voglio aiutarvi, sono sicura che appena Edwin saprà di essere stato nominato patrocinatore della legge...» Dalton si alzò in piedi prima ancora che Claudine finisse di parlare. «Grazie, Claudine.» Le riprese la mano e gliela baciò. «Il ministro sarà molto contento di sentire che intendete aiutarlo e lo saranno anche tutte quelle persone che ora potranno trovare lavoro. Avete fatto una buona azione per quei bambini. Gli spiriti buoni vi saranno sicuramente grati.» Dalton tornò al suo tavolo nel momento stesso in cui i servitori stavano posando una torta di tartaruga al centro della tavola. Gli invitati si chiedevano come mai la crosta delle torte fosse divisa, ma non tagliata del tutto. Teresa aggrottò la fronte e si sporse per osservare la torta di fronte al ministro e alla moglie. «Dalton» sussurrò «quella torta si muove da sola.» «Devi esserti sbagliata, Tess. Le torte non possono muoversi» le disse Dalton reprimendo un sorriso. «Ne sono sicura...» In quel momento la crosta della torta si ruppe e il muso di una tartaruga fece capolino dall'impasto, dopodiché uscì del tutto seguita da un'altra. La sala si riempì delle risate e degli applausi degli invitati che, attoniti, osservavano le tartarughe uscire dalle torte. Le torte erano state messe in forno con dei fagioli dentro in modo che durante la cottura si formasse una cavità nella quale in seguito sarebbero state messe le tartarughe. La crosta veniva intaccata in modo che gli animali potessero romperla facilmente e scappare. Le torte di tartaruga erano divertenti, tutti le gradivano ed erano sempre un grande successo. Erano davvero uno spettacolo. Non sempre le torte erano 'farcite' con le tartarughe, alle volte venivano usati degli uccelli allevati appositamente per quello scopo. I paggi cominciarono a raccogliere le tartarughe dentro dei secchi e lady Chanboor convocò il ciambellano chiedendogli di cancellare l'intrattenimento previsto prima della portata, dopodiché si alzò in piedi e tutta la sala si zittì. «Signori! Richiedo la vostra attenzione.» Hildemara osservò gli invitati per assicurarsi di avere l'attenzione di tutto l'uditorio. «Il nostro dovere principale è quello di aiutare i nostri concittadini bisognosi. Stanotte, finalmente, possiamo fare un passo in avanti per aiutare i bambini di Anderith. È un atto ardito, che richiede molto coraggio ma, fortunatamente, siamo guidati da un uomo che è dotato di tale coraggio. «È mio grandissimo onore presentarvi il più grande uomo che abbia mai avuto l'onore di conoscere, un uomo integro, un uomo che lavora instancabilmente per il benessere della sua gente, un uomo che non si è mai dimenticato delle esigenze dei bisognosi. Un uomo che pensa solo a un futuro migliore per tutti noi, mio marito, il ministro della Cultura, Bertrand Chanboor.» Hildemara sorrise, batté le mani e si voltò verso il marito. Un'ovazione si levò nella sala e Bertrand, raggiante, si alzò in piedi cingendo i fianchi della moglie con un braccio. Hildemara lo fissò con amore e lui ricambiò. Quella dimostrazione d'affetto di fronte a tutti non fece altro che far aumentare l'intensità dell'ovazione. Dalton si alzò in piedi battendo le mani sopra la testa e tutti gli invitati si alzarono. Si stampò sulle labbra il sorriso più brillante di cui era capace in modo che anche gli ospiti in fondo alla sala potessero vederlo e si voltò a fissare Bertrand e la moglie. Dalton aveva lavorato per diversi uomini e per alcuni non si sarebbe fidato a ordinare il vino per un brindisi. Alcuni erano stati bravi a seguire i suoi piani, senza però capirli nella loro interezza finché non cominciavano a realizzarsi. Nessuno di loro, però, era stato all'altezza di Bertrand Chanboor. Il ministro aveva compreso immediatamente il concetto e lo scopo del suo piano mentre Dalton glielo spiegava, dopodiché l'aveva fatto suo e l'aveva abbellito con alcuni particolari. Dalton non aveva mai incontrato un uomo tanto in gamba. Bertrand alzò una mano in aria per salutare gli invitati e zittirli al tempo stesso, continuando a sorridere. «Gente di Anderith» esordì con un timbro profondo che raggiunse anche i punti più lontani della sala «stasera vi chiedo di pensare al futuro. È giunto il momento di relegare i favoritismi del passato nel luogo ai quali ormai appartengono... al passato. Dobbiamo pensare al futuro e il futuro è rappresentato dai bambini e dai nostri nipoti». Dovette fare una pausa e annuire mentre nella sala gli invitati tornavano ad applaudire. «Il nostro futuro è segnato se permettiamo a chi è contro di noi di governare la nostra immaginazione, invece di permettere a uno dei doni più grandi che ci sono stati fatti dal Creatore, le potenzialità dello spirito, di crescere e prosperare.» Attese nuovamente che l'applauso si esaurisse. «Le persone presenti in questa sala, me incluso, sono responsabili per la gente di Anderith e non solo per il ceto abbiente. È tempo che la nostra cultura includa tutte le persone, non solo quelle fortunate. È tempo che le leggi di Anderith siano al servizio di tutti e non solo di alcuni». Dalton scattò in piedi applaudendo e fischiando, imitato dagli astanti. Hildemara, raggiante fissava il marito con uno sguardo colmo di devozione. «Quando ero giovane» continuò Bertrand in tono di voce più quieto, appena l'applauso si esaurì «ho conosciuto la fame. Allora erano tempi difficili ad Anderith. Mio padre era senza lavoro. Osservavo mia sorella che piangeva nel sonno per la fame. «Osservavo mio padre piangere in silenzio, si vergognava di essere senza lavoro perché non aveva delle capacità particolari.» Fece una pausa per schiarirsi la gola. «Era un uomo orgoglioso, ma quella situazione rischiò di spezzare il suo spirito.» Dalton si chiese se Bertrand avesse mai avuto una sorella. «Oggi, ci sono degli uomini orgogliosi che hanno voglia di lavorare e, allo stesso tempo, una montagna di lavoro che ha bisogno di essere svolto. Stiamo costruendo diversi palazzi governativi e molti altri sono in progetto. Stiamo facendo costruire altre strade al fine di permettere l'espansione del commercio. Dobbiamo costruire ponti nei passi tra le montagne e i fiumi hanno bisogno di argini artificiali affinché possano passare i ponti e le strade di cui ho appena parlato. «Ma nessuno di questi uomini orgogliosi che sono così ansiosi di lavorare, può essere impiegato in una di queste opere perché, proprio come mio padre, non possiede delle capacità particolari.» Bertrand Chanboor osservò gli invitati che lo fissavano con sguardo rapito. Aspettavano che fornisse la soluzione al problema appena delineato. «Possiamo dare lavoro a questi uomini pieni d'orgoglio. In quanto ministro della Cultura, è mio dovere dare un lavoro a questa gente in modo che possano sfamare i loro bambini che sono il nostro futuro. Ho chiesto alle nostre intelligenze migliori di trovare una soluzione e sono lieto di annunciare che non hanno deluso né me né la gente di Anderith. Vorrei potermi prendere il merito di questo nuovo corpus di leggi, ma non posso. «Tali nuove proposte di legge mi sono state sottoposte da persone che mi hanno reso orgoglioso di essere in carica. Sì, ho detto orgoglioso perché sono felice di detenere questo ufficio e assistere al varo di queste nuove norme. In passato ci sono state persone che avrebbero usato la loro influenza affinché idee tanto belle e rivoluzionarie finissero nel più oscuro dei dimenticatoi. Non permetterò a interessi tanto meschini ed egoisti di uccidere le speranze per il futuro dei nostri bambini.» Il volto di Bertrand divenne cupo e nei suoi occhi apparve lo sguardo che aveva intimidito e fatto tremare più di una persona. «In passato ci sono state persone che mettevano davanti a tutto gli interessi della loro fazione senza dare nessuna possibilità agli altri.» Non stava farneticando. Il tempo non poteva guarire le ferite profonde inferte dai signori haken... erano ferite che sarebbero sempre state aperte. Il volto di Bertrand si rilassò e sulle labbra riapparve il suo sorriso amichevole che, in contrasto con l'espressione torva di qualche istante prima, sembrava ancora più luminoso. «Questa nuova speranza è la legge Winthrop per il Giusto Impiego.» Indicò Claudine con un cenno della mano. «Vorreste alzarvi, lady Winthrop?» La donna arrossì mentre la gente le sorrideva e applaudiva come per chiederle di esaudire la richiesta del ministro. Sembrava una cerbiatta sorpresa dall'alba all'interno di una recinzione. Claudine si alzò esitante. «Brava gente, è il marito di lady Winthrop, Edwin, l'uomo che ha concepito questa nuova legge e come molti di voi già sapranno sua moglie è sempre stata una sua preziosa collaboratrice. Non ho dubbi sul fatto che lady Winthrop abbia giocato un ruolo di vitale importanza nella stesura della legge. Edwin è via per lavoro, ma vorrei rendere merito a sua moglie per l'ottimo lavoro svolto nella speranza che riferisca al suo amato consorte il nostro apprezzamento una volta che sarà tornato.» Bertrand e tutti i presenti applaudirono lodando a gran voce il marito di Claudine, la quale, rossa in volto, sorrideva cauta agli invitati. Dalton notò immediatamente che i direttori, non sapendo cosa riguardasse la legge, applaudivano per non sembrare maleducati, ma riservavano le congratulazioni a dopo le spiegazioni. Ci volle qualche minuto prima che la gente che si era accalcata intorno a Claudine per congratularsi tornasse al suo posto per ascoltare quale fosse la vera natura della legge. «La legge Winthrop per il Giusto Impiego si spiega già nel suo nome» esordì Bertrand «una norma giusta e aperta, piuttosto che chiusa e privilegiata. Dobbiamo realizzare una serie di edifici di pubblico interesse la cui costruzione richiederà molto lavoro. Abbiamo bisogno di gente.» Il ministro fissò la folla con aria decisa. «C'è, tuttavia, una fratellanza che continua ad attenersi a regole e costumi fuori moda rallentando il progresso. Non fraintendetemi, i loro ideali sono tra i più nobili che si possano pensare e sono tutti grandissimi lavoratori, ma è giunto il tempo di aprire le porte di questo ordine arcaico concepito per proteggere pochi eletti. «Per cui, grazie a questa nuova legge, il lavoro andrà a chiunque abbia voglia di lavorare e non solo a quella fratellanza ristretta che risponde al nome di gilda dei muratori!» Gli astanti rimasero a bocca aperta e Bertrand li incalzò. «Il fatto peggiore di tutta questa faccenda è che la ristrettezza di tale gilda, dove possono entrare solo poche persone che possiedono caratteristiche particolari, grava in maniera spaventosa sulle casse di Anderith. I costi per i progetti pubblici sono altissimi e si risparmierebbero molti più soldi se fosse permesso di lavorare anche alle persone che ne hanno voglia.» Il ministrò agitò un pugno in aria. «Sosteniamo delle spese troppo alte!» Il direttore Linscott era quasi viola per la rabbia. Bertrand aprì il pugno e indicò la folla. «È ovvio che bisogna sfruttare la grandissima conoscenza dei muratori, non ci sono dubbi a riguardo, ma con questa legge anche la gente comune potrà lavorare sotto il controllo dei muratori, e i bambini non dovranno più patire la fame perché il padre non ha lavoro.» Il ministro batté il pugno sul palmo della mano per enfatizzare quanto appena detto. «Chiedo ai direttori dell'Amicizia Culturale di mostrarci, adesso, per al- zata di mano, il loro appoggio affinché il governo possa varare questa nuova legge e terminare i progetti pubblici a un prezzo giusto ed equo, ricorrendo alle persone ansiose di lavorare e non solo ai servigi della setta segreta dei muratori che pattuisce cifre esorbitanti il cui pagamento ricade su tutti noi! Il loro appoggio per i bambini! Il loro appoggio per la legge Winthrop per il Giusto Impiego!» Il direttore Linscott scattò in piedi. «Protesto! È ingiusto chiedere un'alzata di mano! Non abbiamo ancora avuto il tempo di...» Vide che il sovrano alzava una mano e si zittì. «Se gli altri direttori hanno intenzione di appoggiare questa legge» disse il sovrano con voce chiara «allora è giusto che la gente radunata in questa sala lo sappia, in modo che in futuro nessuno possa fare delle dichiarazioni false e tendenziose. Non c'è niente di male nel sapere cosa ne pensano i direttori poiché sono tutti qua. Un'alzata di mano non è un voto definitivo, quindi non mette la parola fine a una norma che dovrà essere discussa prima di diventare legge.» L'impazienza del sovrano aveva appena salvato il ministro dal forzare una votazione. Era vero, un'alzata di mano non era un voto definitivo, ma lo scisma che si sarebbe creato in quella sala avrebbe fatto sì che lo diventasse in un futuro molto prossimo. Dalton non aveva bisogno che gli altri direttori alzassero le mani: non aveva dubbi, la legge annunciata dal ministro equivaleva a una sentenza di morte per una gilda. Bertrand Chanboor aveva appena mostrato a tutti lo scintillio della lama del boia. Pur non sapendo perché, i direttori erano consci che uno di loro era stato eliminato. Solo quattro di loro erano mastri di gilda, gli altri, tuttavia, non erano meno attaccabili. I prestasoldi potevano essere soggetti a un ribasso dei tassi d'interesse sui prestiti o assistere al varo di una legge che metteva fuorilegge gli interessi che avevano applicato fino a quel momento. I privilegi dei mercanti potevano essere aboliti. Con una legge adeguata le parcelle di notai e avvocati sarebbero diventate così basse che anche un accattone avrebbe potuto ricorrere ai loro servigi. Non c'era nessuna professione al sicuro da qualche nuova legge, se qualcuno osava andare contro il ministro. La lama che era stata puntata contro la gola della gilda dei muratori poteva benissimo essere rivolta contro altre gilde o professioni. Il ministro aveva richiesto un'alzata di mano pubblica invece di una votazione a porte chiuse in modo da poter far calare la scure su chi non era d'accordo con la sua linea politica. Claudine crollò sulla sedia, anche lei era cosciente di tutte le implicazioni. Un tempo gli uomini non potevano lavorare a meno che non fossero membri della gilda dei muratori. La gilda, addestrava i lavoratori, decideva le tariffe, governava le dispute, assegnava le persone ai vari lavori, si occupava dei membri che si ferivano o si ammalavano e aiutavano le vedove dei morti sul lavoro. Permettendo di lavorare anche a persone prive di esperienza, la gilda non avrebbe più avuto il controllo sui prezzi dei lavori e questo avrebbe portato alla sua fine. Tutto ciò significava anche la fine della carriera di Linscott. Non c'erano dubbi, i muratori l'avrebbero espulso perché mentre lui era in carica la gilda aveva perso il monopolio sull'assegnazione del lavoro. Ora avrebbero potuto lavorare anche gli inesperti: Linscott era finito. Certo, a conti fatti, i progetti sarebbero costati di più. Nuovi posti di lavoro, sì, questo era vero, ma creati per persone inesperte. Un uomo che conosceva bene il suo lavoro era molto ben pagato, ma alla fine i costì diminuivano perché il suo operato era di ottima qualità. Un direttore alzò la mano mostrando a tutti il suo appoggio, seppure informale, alla nuova legge. Gli altri fissarono le mani che si alzavano. Tutti ebbero l'impressione che ogni mano che si levava verso l'alto fosse una freccia scagliata nel petto di un uomo e quell'uomo rispondeva al nome di Linscott. Nessuno voleva subire il suo destino. Uno dopo l'altro i direttori alzarono le mani. Alla fine erano in undici. Linscott fulminò Claudine con un'occhiata carica d'odio, quindi abbandonò il banchetto infuriato. La donna, cerea in volto, abbassò lo sguardo. Dalton cominciò ad applaudire per lodare la scelta dei direttori. Il suono delle mani scosse i presenti dal dramma al quale avevano appena assistito e tutti si unirono all'aiutante del ministro. In molti tornarono a congratularsi con Claudine, dicendole che lei e suo marito avevano reso un bellissimo servigio ai bambini di Anderith. Nel volgere di qualche attimo le malelingue avevano cominciato a scagliarsi contro i muratori e l'egoismo della gilda che li rappresentava. Gli invitati formarono una lunga fila per stringerle la mano e aggiungere il loro nome alla fazione del ministro della Cultura, dimostrando in quel modo quanto avessero apprezzato il suo coraggio e la sua equanimità. Era molto probabile che il direttore Linscott non volesse più sentire uscire una parola dalla bocca di Claudine Winthrop. Stein lanciò un'occhiata a Dalton gratificandolo con un sorriso astuto. Hildemara gli fece un sorrisetto colmo di soddisfazione e suo marito gli diede una pacca sulla schiena. Appena tutti furono tornati al loro posto, l'arpista posò le dita sulle corde per ricominciare a suonare, ma il sovrano alzò una mano calamitando l'attenzione dell'uditorio. «Credo che dovremmo sfruttare l'intervallo che ci separa dalla prossima portata, per ascoltare cosa ha da dirci il gentiluomo che viene da lontano.» Il sovrano aveva qualche problema a rimanere sveglio e voleva conoscere le proposte di Stein prima di andare a letto. Il ministro si alzò nuovamente in piedi e tornò a rivolgersi agli invitati. «Signori, come tutti voi sapete, è in corso una guerra. Ognuna delle parti vuole che ci schieriamo con loro. Anderith desidera solo la pace. Non abbiamo voglia di vedere i nostri ragazzi e le nostre ragazze morire per una lotta che non è nostra. La nostra terra è l'unica a essere protetta dal Dominie Dirtch, quindi non abbiamo nessun bisogno di violenza e paura, ma dobbiamo considerare anche altri problemi, non ultimo quello dei commerci con i regni al di là dei nostri confini. «Abbiamo intenzione di ascoltare le ragioni di lord Rahl del D'Hara e della Madre Depositaria. Devono sposarsi, almeno così ci hanno riferito i nostri diplomatici di ritorno da Aydindril. Questo matrimonio darà origine a un'unione tra il D'Hara e le Terre Centrali creando così una forza temibile. Attendiamo di sentire cosa hanno da dirci. «Ma stasera ascolteremo le proposte dell'Ordine Imperiale. L'imperatore Jagang ci ha inviato un suo rappresentante dal Vecchio Mondo oltre la valle dei Perduti. È la prima volta dopo millenni che quel passaggio è stato riaperto.» Bertrand allungò una mano. «Lasciate che vi presenti il portavoce dell'imperatore, mastro Stein.» I presenti applaudirono educatamente e smisero appena Stein si alzò in piedi. Era una figura imponente, temibile e affascinante al tempo stesso. Agganciò i pollici alla cintura dalla quale di solito pendeva un vero e proprio arsenale. «L'Ordine Imperiale che rappresento è impegnato in una lotta per il nostro futuro, molto simile a quella alla quale ho appena assistito, solo su una scala più ampia.» Prese una pagnotta e la strinse tra le grosse mani fino a spezzarla. «Noi, il genere umano, che comprende anche il buon popolo di Anderith, siamo lentamente schiacciati. Siamo respinti. Siamo soffocati. Ci viene negato il nostro destino, il futuro. Ci è negata la vita stessa. «Proprio come voi avete uomini senza lavoro perché c'è una gilda senza scrupoli che vuole avere voce in capitolo sulla loro esistenza, negando il cibo a loro e ai loro figli, la magia esercita un influsso su di noi.» Un brusio si levò tra gli invitati. Erano tutti confusi e un po' preoccupati. La magia era odiata da alcuni, ma rispettata da molti. «La magia decide dei vostri destini» proseguì Stein. «Siete comandati da quelli che hanno la magia, anche se non gliene avete dato il permesso. Loro hanno il potere e vi tengono in pugno. «Quelli che hanno la magia lanciano incantesimi contro le persone nei confronti delle quali nutrono del risentimento. Quelli con la magia fanno del male alle persone innocenti che temono, disprezzano, invidiano e tutto questo per tenere in riga la massa. Sono quelli con la magia a comandare, che vi piaccia o no. La mente dell'uomo potrebbe prosperare liberamente se non ci fosse la magia. «È giunto il momento che la gente normale possa decidere della propria vita e del proprio futuro senza lo spauracchio della magia.» Stein mostrò il mantello. «Questi sono scalpi di persone con il dono. Le ho uccise personalmente e così facendo ho fatto sì che queste streghe non potessero più manipolare la vita delle persone normali. «La gente dovrebbe temere il Creatore non qualche mago, strega o incantatrice. Dovremmo adorare il Creatore e nessun altro.» Un brusio di assenso cominciò a levarsi dalla folla. «L'Ordine Imperiale porrà fine alla magia di questo mondo proprio come è riuscito a eliminare l'incantesimo che per millenni ha tenuto separati i nostri due mondi. L'Ordine prevarrà e gli uomini saranno finalmente liberi di decidere del loro destino. «Anche senza bisogno del nostro aiuto il numero delle persone nate con il dono continua a diminuire, come se anche il Creatore, malgrado la sua infinita pazienza, si fosse stancato del modo di fare di questi individui. L'antica religione della magia sta scomparendo. Il Creatore in persona ci sta dando la dimostrazione che è giunta l'ora di farla finita con la magia.» I commenti dell'uditorio facevano capire che le argomentazioni di Stein erano convincenti. «Non desideriamo combattere contro la gente di Anderith, né vogliamo che vi uniate a noi contro la vostra volontà, ma noi intendiamo distruggere le forze della magia guidate dal figlio bastardo del D'Hara. Tutti coloro che si uniranno a lui cadranno sotto le nostre spade. Sotto la mia...» concluse, mostrando nuovamente il mantello. Continuò a tenere il vestito ben in vista e puntò un dito in direzione dei presenti. «Ucciderò tutte le persone che si schiereranno contro di noi, proprio come ho fatto con queste streghe. «Abbiamo anche altri sistemi oltre le armi per mettere fine alla magia. È giunto il tempo dell'uomo.» Il ministro alzò una mano. «L'Ordine non vuole le spade del nostro potentissimo esercito. Cosa vuole, allora?» «L'imperatore Jagang ha dato la sua parola che se non vi unirete alle forze che combattono a favore della magia, non sarete attaccati. Desideriamo solo commerciare con voi e basta.» «Bene» disse il ministro, giocando il ruolo dello scettico a favore degli invitati «abbiamo degli accordi che ci impegnano a fornire molte merci alle Terre Centrali.» Stein sorrise. «Vi offriamo il doppio di quello che potrebbe offrirvi il più ricco regno delle Terre Centrali.» Il sovrano alzò una mano ponendo fine ai sussurri che avevano pervaso la sala. «Quanto vorreste acquistare da noi?» Stein fissò la folla. «Tutto. Siamo un esercito immenso. Non avrete bisogno di alzare una sola spada per combattere la guerra, lo faremo noi per voi, ma dovrete venderci le provviste. Sarete al sicuro e il regno diventerà ricco al di là di ogni immaginazione e speranza.» Il sovrano si alzò e rivolse un'occhiata alla sala. «Grazie per averci riferito le parole dell'imperatore, mastro Stein. Parleremo ancora. «Per il momento le vostre parole ci hanno dato di che pensare.» Agitò una mano in direzione degli invitati. «Che il banchetto riprenda.» 23 Fitch si era svegliato con un tremendo mal di testa e la luce dell'alba gli faceva male agli occhi. Aveva succhiato un pezzo di zenzero, ma non era riuscito a eliminare il saporaccio che gli appestava la bocca e la gola. Pensò che quelli fossero i postumi del vino e del rum che aveva scolato insieme a Morley. In ogni caso era di ottimo umore e, sebbene stesse lavando una pila di pentole incrostate, sorrideva. Si muoveva lentamente per evitare di peggiorare il mal di testa. Mastro Drummond non aveva ancora urlato. Il grosso capo cuciniere era contento che il banchetto fosse finito e tutto fosse tornato come sempre. L'uomo gli aveva ordinato di fare una serie di commissioni senza chiamarlo 'Fetch' neanche una volta. Fitch sentì i passi di qualcuno che si avvicinava, alzò gli occhi e vide che si trattava di mastro Drummond. «Asciugati le mani, Fitch.» Fitch tirò fuori le mani dall'acqua e le scosse per liberarle dal sapone. «Certo, signore.» Prese uno strofinaccio ricordando che la sera prima il fatto di essere chiamato 'signore' gli aveva provocato molto piacere. Mastro Drummond si asciugò la fronte con il suo strofinaccio bianco. Dal modo in cui sudava sembrava che anche lui avesse alzato il gomito la sera prima e non stesse molto bene. La preparazione del banchetto aveva richiesto un gran lavoro e Fitch pensò che anche il capo cuciniere si era meritato una bella sbronza. «Devi andare nello studio di mastro Campbell.» «Signore?» Mastro Drummond agganciò lo strofinaccio dietro la cintura. Le donne osservavano la scena. Gillie lo fissava in cagnesco, era chiaro che aspettava l'occasione di potergli tirare le orecchie e rimproverarlo per il fatto di essere un Haken. «Dalton Campbell ha mandato a dire che vuole vederti. Credo che intenda subito. Vai a vedere di cosa a bisogno.» Fitch fece un inchino. «Certo, signore, immediatamente.» Passò alla larga da Gillie per evitare di cadere tra le sue grinfie e sparì il più velocemente possibile. Stava facendo qualcosa che gli dava molto piacere e non voleva avere a che fare con la cuoca addetta ai sughi e alle salse. Salì le scale due gradini alla volta e in quel momento la testa che pulsava gli sembrava l'ultimo dei suoi problemi. Una volta raggiunto il terzo piano si sentì improvvisamente bene. Superò il punto in cui aveva ricevuto lo schiaffo da Beata e girò a destra dirigendosi verso lo studio dove solo una settimana prima aveva portato un piatto di carne a Dalton Campbell. La porta dell'anticamera era aperta. Fitch fece un respiro profondo ed entrò tenendo la testa bassa. Era stato in quel luogo solo una volta e non era molto sicuro di come bisognasse comportarsi nello studio di un uomo tanto importante. C'erano due tavoli nella stanza. Uno era coperto di scartoffie sopra le quali spiccavano una borsa da messaggero e della cera per sigillare i documenti. Sul piano dell'altro tavolo c'era una lampada e qualche libro. Il sole del mattino penetrava dalle grosse finestre illuminando la stanza. Appoggiati contro la parete di fronte alle finestre c'erano quattro giovani che chiacchieravano tra di loro riguardo la condizione delle strade che portavano alle altre città del regno. Erano messaggeri, uno dei lavori più ambiti a palazzo. Fitch pensò che fosse normale sentirli discorrere di quegli argomenti, ma aveva sempre creduto che le persone alle quali era stato affidato quell'incarico parlassero tra di loro degli spettacoli imponenti a cui assistevano nel corso del loro lavoro. I quattro erano vestiti bene con indosso la divisa dei messaggeri personali dell'aiutante del ministro. Stivali neri, pantaloni marrone scuro, maglie bianche con il collo a sbuffo e un giustacuore sul quale erano ricamate due cornucopie incrociate. I bordi del giustacuore erano evidenziati da un motivo costituito da spighe di grano intrecciate. Agli occhi di Fitch quei vestiti facevano sembrare i messaggeri dei nobili, specialmente quelli che erano alle dipendenze dell'aiutante del ministro. Nel palazzo c'erano diversi tipi di messaggeri e ognuno aveva una divisa particolare e lavorava per una persona o un ufficio ben preciso. Fitch sapeva riconoscere le divise delle persone che lavoravano per il ministro, per lady Chanboor, per l'ufficio del ciambellano e del maresciallo. C'erano anche diversi messaggeri dell'esercito che portavano spesso missive a palazzo, ma erano alloggiati in un altro luogo. Alle volte Fitch aveva visto dei messaggeri con indosso divise che non era stato in grado di riconoscere. Non capiva come mai servissero tutte quelle persone. Possibile che il volume di messaggi da inviare fosse così grande? Il personaggio che aveva il maggior numero di messaggeri, quasi un esercito agli occhi di Fitch, era proprio Dalton Campbell. I quattro ragazzi presenti nella stanza lo osservarono sorridendogli in maniera amichevole. Due fecero un cenno del capo per salutarlo: era un gesto che aveva visto fare da altri messaggeri, quando era capitato che lo incrociassero. Fitch aveva pensato che fosse strano vederglielo fare. Erano Haken come lui, ma aveva sempre pensato che i messaggeri fossero diversi, non appartenevano agli Ander, ma erano un gradino sopra di lui. Fitch annuì a sua volta per restituire il saluto. Uno dei due ragazzi che avevano annuito, probabilmente più vecchio di lui di un paio d'anni, indicò una porta con il pollice e disse: «Mastro Campbell ti sta aspettando, Fitch. Entra pure.» Fu molto sorpreso di sentirsi chiamare per nome. «Grazie» rispose Fitch. Si avvicinò alla grossa porta che dava accesso allo studio e attese sulla soglia. Vide che la stanza era arredata più o meno alla stessa maniera di quella attigua, ma era tutto più grande. Le tende delle finestre erano blu e oro. Una grossa libreria di quercia piena di pesanti volumi occupava una parete intera della stanza. In un angolo c'erano diversi magnifici stendardi da battaglia con i simboli degli Ander. Ogni bandiera aveva lo sfondo giallo ed era ornata da motivi rossi e blu. Di fianco agli stendardi c'erano due lunghe alabarde dall'aria temibile. Dalton Campbell, seduto dietro la scrivania di mogano massiccio e lucido, alzò lo sguardo. «Ah, sei arrivato, Fitch. Bene. Entra e chiudi la porta, per favore.» Fitch ubbidì dopodiché si avvicinò alla scrivania. «Avete bisogno di qualcosa, signore?» Campbell si adagiò contro lo schienale della sedia. Il fodero e la spada erano posati su una rastrelliera d'argento sagomata come se fosse una pergamena posta a fianco di una poltrona imbottita. Sulla rastrelliera erano state incise delle parole, ma Fitch non sapeva leggere. L'aiutante del ministro si inclinò in avanti facendo scendere le gambe della sedia a terra, succhiando un'estremità della penna di vetro e studiando al tempo stesso il volto di Fitch. «Hai fatto un buon lavoro con Claudine Winthrop.» «Grazie, signore. Ho cercato di fare del mio meglio per ricordare tutto quello che mi avevate ordinato di dirle.» «E ci sei riuscito benissimo. Molti uomini non avrebbero avuto il coraggio di portare a termine un simile compito. Ho sempre bisogno di uomini che sappiano eseguire un ordine alla lettera ricordando quello che dico loro. Vorrei offrirti un nuovo lavoro: messaggero per il mio ufficio.» Fitch lo fissò come se fosse intontito. Aveva sentito le parole uscite dalla bocca di Dalton Campbell, ma non riusciva a dare loro un significato preciso. L'aiutante del ministro aveva già uno stuolo di messaggeri... o almeno così gli era parso. «Signore?» «Hai fatto un buon lavoro. Mi piacerebbe che diventassi un mio messaggero.» «Io, signore?» «È un lavoro molto più semplice di quello delle cucine e oltre al vitto e all'alloggio riceverai una paga. Lo stipendio ti permetterà di mettere da parte dei soldi per il tuo futuro. Forse un giorno potrai acquistare un nome da signore e comprarti qualcosa. Magari anche una spada.» Fitch rimase immobile. Le parole di Dalton Campbell gli turbinavano nella testa. Neanche nei sogni più arditi era arrivato a concepire la possibilità di diventare messaggero. Non aveva mai pensato di avere un lavoro che oltre al vitto e all'alloggio gli permettesse di avere una paga, procurarsi qualche buona bottiglia di liquore e qualche moneta di mancia qua e là. Certo, aveva sognato di imparare a leggere, di avere una spada, ma... ovviamente, si trattava solo di sogni a occhi aperti. Fantasticherie. Non aveva mai pensato a tanto: messaggero. «Allora, Fitch? Cosa mi dici? Vorresti essere uno dei miei messaggeri? Certo non potrai indossare i... vestiti che hai adesso. Avresti una divisa.» Dalton Campbell si sporse in avanti guardando oltre il bordo della scrivania. «Stivali inclusi, è ovvio. Dovrai portare degli stivali se vuoi fare il messaggero. «Dovrai trasferirti in un'ala diversa del palazzo. I messaggeri hanno degli alloggi in comune e dormono sui letti e non sui pagliericci. Letti veri, intendo... quelli con lenzuola e coperte. Dovrai rifarti il letto e tenere in ordine il tuo baule, certo, ma il personale di servizio laverà i vestiti e le lenzuola. «Che ne dici, Fitch? Ti andrebbe di unirti alla mia squadra di messaggeri?» Fitch deglutì. «E Morley, signore? Anche Morley ha eseguito i vostri ordini alla lettera. Diventerà anche lui un messaggero come me?» Dalton Campbell tornò a inclinare all'indietro la sedia facendo scricchiolare il cuoio che ricopriva l'imbottitura. Succhiò la punta della penna di vetro per qualche attimo fissando Fitch dritto negli occhi. «Per il momento ho bisogno di un solo messaggero» affermò, togliendosi la penna di bocca. «È giunto il momento che tu cominci a pensare a te stesso, al tuo futuro, Fitch. Vuoi fare lo sguattero per tuta la vita? «È giunto il momento che tu faccia qualcosa per te, Fitch, sempre che tu voglia migliorare. Questa è un'occasione per uscire dalle cucine. Potrebbe essere l'unica che ti viene offerta. «E questa offerta... la sto facendo a te, non a Morley. Prendere o lasciare. Allora, cosa decidi?» Fitch si leccò le labbra. «Be', signore, Morley mi è simpatico... siamo amici, ma non credo che ci sia qualcosa di meglio al mondo che diventare messaggero, mastro Campbell. Se mi volete, allora accetto il lavoro.» «Ottimo. Benvenuto nella mia squadra, Fitch.» Sorrise con fare amichevole. «La lealtà nei confronti del tuo amico è lodevole. Spero che tu nutra un sentimento simile per questo lavoro. Per il momento troverò a Morley una... occupazione occasionale, ma credo che tra qualche tempo anche per lui si presenterà l'occasione di unirsi a te come messaggero.» La notizia sollevò Fitch. Gli sarebbe dispiaciuto molto perdere l'amico, ma non poteva lasciarsi sfuggire l'occasione di uscire dalle cucine di mastro Drummond e diventare messaggero. «Siete incredibilmente generoso, signore. So che Morley non vi deluderà. Io non lo farò.» Dalton Campbell abbassò la sedia. «Va bene.» Gli passò un foglio. «Porta questo a mastro Drummond. Lo informa che ti ho assunto come mio messaggero e che lui non è più responsabile per te. Pensavo che avresti voluto consegnarlo personalmente visto che si tratta del tuo primo messaggio ufficiale.» Fitch avrebbe voluto saltare ed esultare, invece, rimase impassibile come pensava avrebbe fatto un messaggero. «Lo faccio immediatamente, signore.» Si rese conto di essere impettito. «Ottimo, dopo, Rowley, un altro dei miei messaggeri ti porterà alla tenuta. Ti verrà consegnata la divisa e la sarta te la sistemerà. «I miei messaggeri devono avere dei bei vestiti. Mi aspetto che riflettano l'efficienza e l'ordine del mio ufficio. Questo significa che tu e i tuoi abiti dovrete essere sempre puliti. Stivali lucidi e capelli pettinati. Rowley ti spiegherà tutti gli altri dettagli. Riuscirai a fare tutto questo, Fitch?» Fitch sentiva le ginocchia che tremavano. «Certo che lo farò, signore.» Il pensiero dei vestiti nuovi gli fece provare molta vergogna per quelli sporchi e sciatti che indossava in quel momento. Fino a un'ora prima pensava di essere perfetto con quegli abiti, ma adesso non vedeva l'ora di toglierseli. Si chiese cosa avrebbe pensato Beata nel vederlo con indosso la divisa dei messaggeri. Dalton gli passò una cartella di cuoio chiusa con un sigillo di cera sul quale spiccava il simbolo del covone di grano. «Dopo che ti sarai vestito e ripulito voglio che consegni questo all'Ufficio dell'Amicizia Culturale a Fairfield. Sai dov'è?» «Sì, mastro Campbell. Sono nato a Fairfield e la conosco come le mie tasche.» «Così mi hanno detto. Abbiamo messaggeri da tutta Anderith e di solito affidiamo loro la zona nella quale sono cresciuti. Poiché sei nato a Fairfield, ti sarà assegnata quell'area.» Dalton Campbell infilò una mano in tasca. «Questa è per te» disse lanciando in aria una moneta. Fitch l'afferrò al volo e si ritrovò a fissare come inebetito la sovrana d'argento sul palmo della mano. Aveva sempre creduto che neanche le persone più abbienti si tenessero addosso così tanti soldi. «Ma, signore, non ho ancora lavorato un mese.» «Non è la tua paga da messaggero. Quella la riceverai alla fine di ogni mese.» Dalton Campbell arcuò un sopracciglio. «È per mostrarti l'apprezzamento per il lavoro svolto la scorsa notte.» Claudine Winthrop. Stava parlando di lei... spaventare Claudine Winthrop per farla stare zitta. La donna l'aveva chiamato 'signore'. Posò la moneta d'argento sulla scrivania e la fece scivolare con riluttanza verso Dalton Campbell. «Non mi dovete nulla per quello, mastro Campbell. Non mi avete mai promesso nulla per quello. L'ho fatto perché volevo aiutarla e per proteggere il futuro sovrano, non per un premio. Non posso prendere del denaro che non mi sono guadagnato.» L'aiutante sorrise. «Prendi la moneta, Fitch. È un ordine. Dopo aver consegnato la borsa a Fairfield puoi considerarti libero per oggi, quindi spendi pure il denaro, tutto, se vuoi. Divertiti. Comprati dolci. Vino. Il denaro è tuo, spendilo come ti pare.» Fitch trattenne l'eccitazione. «Sì, signore. Grazie, signore. Farò come mi avete detto allora.» «Bene. Un'ultima cosa.» Campbell si inclinò in avanti posando un gomito sulla scrivania. «Non spenderlo con le prostitute. Quelle di Fairfield si sono prese una malattia molto brutta questa primavera. È un brutto modo di morire. Se dovessi scegliere quella sbagliata non avresti più il tempo di diventare un buon messaggero.» L'idea di andare a letto con una donna era ormai uno dei chiodi fissi di Fitch, ma lui non sapeva se avrebbe mai avuto il coraggio di spogliarsi davanti a una di loro. Gli piaceva guardare le donne come aveva fatto la sera prima con Claudine Winthrop. Gli piaceva anche guardare Beata e immaginarla nuda, ma non aveva mai considerato che loro potessero vederlo nudo ed eccitato. Desiderava moltissimo andare con una donna, ma sapeva che il suo imbarazzo avrebbe rovinato tutto. Forse ci sarebbe riusci- to con ragazza che conosceva e gli piaceva. Chissà, dopo averla corteggiata, abbracciata e baciata forse ci sarebbe riuscito, ma non poteva immaginare che ci fossero degli uomini che avessero il coraggio di spogliarsi nudi di fronte a una donna che non avevano mai conosciuto. Forse lo facevano perché era buio. Doveva essere così. Forse le stanze delle prostitute erano sempre buie e non potevano vedere il cliente. Tuttavia... «Fitch?» Il ragazzo si schiarì la gola. «No, signore. Lo giuro. Non andrò con nessuna delle prostitute di Fairfield. Nossignore.» 24 Dalton aspettò che il ragazzino fosse uscito dallo studio, quindi sbadigliò. Si era svegliato molto prima dell'alba, aveva chiamato a rapporto tutti i suoi assistenti e aveva ascoltato tutte le notizie rilevanti che avevano carpito durante il banchetto, dopodiché si era dato da fare per preparare i messaggi. Le persone che scrivevano o copiavano le sue missive occupavano le altre sei stanze lungo il corridoio. Alle prime luci dell'alba i messaggi erano già stati inviati ai quattro angoli di Anderith. Dalton avrebbe aspettato che il ministro congedasse la donna con la quale aveva condiviso il letto quella notte, dopodiché l'avrebbe portato a conoscenza del testo del messaggio in modo che non fosse colto alla sprovvista se qualcuno gli avesse posto delle domande a riguardo. La firma in calce alla missiva era quella del ministro. I banditori avrebbero letto i messaggi ovunque, dalle sale per gli incontri fino ai luoghi di culto, ed entro qualche giorno il messaggio scritto da Dalton sarebbe stato ascoltato da tutti. I banditori che non leggevano alla lettera il messaggio prima o poi venivano scoperti e rimpiazzati da persone che avevano più voglia di conservare una fonte extra di guadagno. Oltre a inviare il messaggio ai banditori, Dalton ne inviava una copia uguale e identica a persone che mischiandosi tra la folla controllavano che il banditore ripetesse per filo e per segno quanto aveva scritto. Un messaggio ben strutturato e ben presentato poteva far digerire a tutti anche la più amara delle medicine. C'erano molte poche persone in grado di capire che dietro quelle parole si nascondeva una manipolazione delle informazioni fatta ad arte. Adesso c'era una nuova legge. Una norma che impediva ai muratori di assumere solo quelli che volevano loro. Chiunque avesse avuto voglia di lavorare doveva essere assunto. Solo il giorno prima l'idea di un simile atto nei confronti di una gilda tanto potente era impensabile. I messaggi ponevano l'accento sul fatto che la gente doveva continuare ad attenersi ai più alti ideali della cultura ander e non scagliarsi contro i muratori in quanto causa della fame patita dai loro figli. Dalton aveva posto una particolare enfasi sul fatto che tutti dovessero attenersi alle direttive della nuova legge per il Giusto Impiego. I muratori, presi sicuramente alla sprovvista, avrebbero avuto il loro bel da fare per dimostrare che non era loro intenzione ridurre alla fame i bambini. Entro pochi giorni, tutti i muratori del regno non solo sarebbero stati d'accordo, ma avrebbero accolto la nuova legge quasi come se fossero stati loro a proporla. Dovevano comportarsi così altrimenti la folla li avrebbe lapidati. A Dalton piaceva considerare ogni eventualità e fare in modo che la strada fosse pronta prima ancora dell'arrivo del carro. Nel tempo che Fitch avrebbe impiegato per darsi una ripulita e raggiungere Fairfield, i rappresentanti dell'Ufficio per l'Amicizia Culturale non avrebbero più potuto cambiare idea. I banditori avrebbero già proclamato il varo della nuova legge e nessuno degli undici direttori avrebbe avuto modo di ritirare l'appoggio dimostrato al banchetto. Fitch si sarebbe adattato perfettamente alla sua squadra di messaggeri. Erano tutte persone che in passato avevano compiuto i lavori più disparati e umilianti. Occupazioni che offrivano loro ben poche possibilità per il futuro. Erano la polvere sotto le scarpe della cultura di Anderith. Ora, consegnavano i messaggi ai banditori e in questo modo lo aiutavano a modellare quella cultura. I messaggeri non si limitavano solo a consegnare missive: in certi casi si erano dimostrati quasi un esercito privato pagato con il denaro pubblico. Ed era stato grazie a questa 'armata' che Dalton era riuscito a raggiungere la posizione che stava occupando. La maggior parte di loro sarebbero andati volentieri incontro alla morte a un suo ordine e lui sapeva che non sarebbe mancata l'occasione. Dalton sorrise lasciando vagare i suoi pensieri verso lidi più piacevoli e verso... Teresa. La moglie camminava senza toccare terra dopo essere stata presentata al sovrano e quando erano tornati ai loro appartamenti, Dalton era stato premiato come promesso. E Teresa era bravissima a premiare. Era stata così ispirata dall'incontro con il sovrano che ora voleva passare tutta la mattina in preghiera. Dalton era sicuro che Teresa si sarebbe commossa meno se avesse incontrato il Creatore in persona. Era contento di aver fatto in modo che sua moglie potesse vivere una così bella esperienza. Almeno non era svenuta, come era successo a diverse donne che erano state presentate al sovrano. Era un fatto usuale, quindi nessuno lo considerava imbarazzante se accadeva. Anzi, in un certo senso era considerato un marchio distintivo, una sorta di dichiarazione di fede, come se con quel mancamento avessero provato la loro devozione nei confronti del Creatore. Dalton, però, riconosceva il sovrano per quello che era, un uomo, molto importante, non c'era dubbio a riguardo, ma pur sempre un uomo. Per alcuni uomini, tuttavia il sovrano stesso sembrava trascendere tale nozione tanto terrena. Una volta che Bertrand Chanboor, personaggio già molto rispettato in quanto ministro della Cultura sempre pronto a servire la comunità, fosse diventato sovrano anche lui sarebbe stato oggetto di quella adorazione. Dalton sospettava che molte di quelle donne svenevoli avrebbero fatto di tutto per finire tra le sue braccia piuttosto che svenire di fronte a lui. Per molte sarebbe stata un'esperienza quasi religiosa, qualcosa che era ben diverso dalla semplice avventura con un uomo potente quanto il ministro alla Cultura. Anche i mariti sarebbero stati nobilitati dal fatto che le mogli avessero accettato di unirsi al sovrano. Udì qualcuno che bussava alla porta. Dalton alzò gli occhi, stava per dare il permesso di entrare, ma la donna aveva già oltrepassato la soglia. Era Franca Gowenlock. Dalton si alzò in piedi. «Ah, Franca, come sono felice di vederti. Ti sei divertita al banchetto?» La donna aveva i capelli e gli occhi scuri e di solito aveva l'aria di una persona che stava sempre nell'ombra anche quando non lo era veramente. In quel momento aveva anche un'espressione torva e quel particolare non faceva altro che rendere ancora più cupa la sua figura. Franca prese una sedia, la trascinò di fronte alla scrivania e vi si abbandonò sopra. Dalton, preso alla sprovvista dal comportamento della donna, si sedette al suo posto. Franca aveva gli occhi socchiusi e incorniciati da rughe sottili. «Non mi piace l'uomo mandato dall'Ordine. Stein. Neanche un po'.» Dalton si rilassò. Franca portava i capelli lunghi fino quasi alle spalle, ma in quel momento rimanevano indietro come se fossero stati gelati da una folata di vento freddo. La chioma cominciava a essere spruzzata di grigio, ma quel particolare invece di invecchiarla le conferiva un'aria ancora più seria. Indossava un vestito lungo e semplice abbottonato fino alla gola che, come al solito era protetta da una fascia di velluto nero larga due dita. Non l'aveva mai vista senza, a volte ne metteva una di colore diverso, ma la gola non era mai in mostra. Dalton si era chiesto più di una volta se non le avessero tagliato le testa e poi ricucita. «Mi dispiace, Franca. Ti ha fatto qualcosa? Ti ha insultata? Ti ha messo le mani addosso? Se così fosse me ne occupo immediatamente... hai la mia parola.» Franca sapeva che Dalton stava parlando seriamente. «C'erano fin troppe donne ansiose di 'incontrarlo'» disse, intrecciando le dita lunghe e affusolate per poi posarle in grembo. «Non aveva bisogno di me.» Dalton non riusciva a capire cosa fosse accaduto. «Cosa è successo, allora?» Franca appoggiò gli avambracci sulla scrivania e inclinò la testa in avanti. «Ha fatto qualcosa al mio dono» spiegò a bassa voce. «L'ha strapazzato per bene o qualcosa di simile.» Dalton batté le palpebre. Ora cominciava a preoccuparsi veramente. «Vuoi dirmi che quell'uomo possiede una sorta di potere magico? È in grado di lanciare incantesimi?» «Non lo so» ringhiò Franca «ma ha combinato qualcosa.» «Come fai a saperlo?» «Ho cercato di ascoltare le conversazioni al banchetto come ho sempre fatto. Lascia che ti dica una cosa Dalton, l'altra sera sembrava che non avessi il dono. Non ho fatto nulla. Non ho sentito niente. Neanche una parola.» L'espressione del volto di Dalton divenne molto simile a quella della donna. «Vuoi dire che il tuo dono non ti è stato d'aiuto?» «Sei sordo? È quello che ti ho appena detto.» Dalton tamburellò con le dita sulla scrivania, quindi si voltò a guardare fuori dalla finestra. Si alzò e aprì un'anta lasciando entrare la brezza calda. Fece cenno a Franca di avvicinarsi, quindi indicò due uomini che stavano conversando sotto un albero. «Dimmi cosa si stanno dicendo quei due.» Franca posò le mani sul davanzale e si sporse leggermente fuori dalla finestra. Il sole sulla pelle del viso metteva in evidenza le prime rughe pro- fonde, ma Dalton pensava che anche così quella al suo fianco fosse una delle donne più belle e misteriose che avesse mai conosciuto. Ormai Franca era piuttosto avanti negli anni, ma la sua bellezza non sembrava intaccata dal tempo. Dalton osservò i due uomini che gesticolavano, ma non poteva sentire neanche una parola. Franca, invece, poteva ascoltarli con facilità ricorrendo al dono. La donna sbiancò. Era così immobile che sembrava una statua di cera della mostra itinerante che raggiungeva Fairfield due volte all'anno. Dalton non riusciva neanche a capire se stesse ancora respirando. «Non riesco a sentire una parola» ammise, dopo aver esalato uno sbuffo infastidito. «Sono troppo lontani per vedere il movimento delle labbra, tuttavia, non sento una parola e dire che dovrei riuscirci senza problemi.» Dalton abbassò lo sguardo e indicò tre piani più in basso. «E quei due?» Franca si sporse nuovamente dalla finestra. Dalton era quasi in grado di sentirli da solo: una risata seguita da un'esclamazione echeggiarono nell'aria. Franca si immobilizzò. La maga era prossima a uno scoppio d'ira. «Niente, riesco quasi a sentirli, ma non sto ricorrendo al dono.» Dalton chiuse la finestra. Sul volto di Franca la rabbia fu rimpiazzata da un'espressione che lui non aveva mai visto velare quei lineamenti: paura. «Devi sbarazzarti di quell'uomo, Dalton. Deve essere un mago o qualcosa di simile. Mi ha immobilizzata.» «Come fai a sapere che è lui?» «Be'... chi altro potrebbe essere?» rispose interdetta. «Dice di essere in grado di eliminare la magia. I miei problemi sono cominciati da quando è arrivato.» «Hai avuto dei problemi anche con gli altri aspetti del tuo dono?» Franca si girò massaggiandosi le mani. «Qualche giorno fa ho fatto un incantesimo per una donna che è venuta da me. Voleva che le tornasse il flusso lunare in modo da non rimanere incinta. Stamattina è tornata e mi ha detto che non ha funzionato.» «Credo che si tratti di un incantesimo piuttosto complicato. Bisogna tenere conto di parecchi fattori. È probabile che non funzioni sempre.» Franca scosse la testa. «Non aveva mai fallito prima.» «Forse non ti senti bene. Ti senti diversa ultimamente?» «Mi sento come al solito. Sento che il mio potere è forte come sempre. Dovrebbe essere così, ma non lo è. Anche altri incantesimi non hanno funzionato... non parlo prima di aver preso in considerazione ogni possibilità.» Dalton si avvicinò, visibilmente preoccupato. «Non so molto riguardo la magia, Franca, ma forse si tratta di qualcosa che ha a che fare con la fiducia in te stessa. Forse devi solo credere di poterlo fare e il dono riprenderà a funzionare.» La donna lo fulminò con un'occhiata. «Chi ti ha messo in testa simili stupidaggini riguardo il dono?» «Non lo so» rispose Dalton scrollando le spalle. «Ammetto di non sapere molto riguardo la magia, ma non credo che Stein abbia il dono... o qualche talento di natura magica. Non è il tipo. «Inoltre, oggi non è neanche a palazzo, quindi non avrebbe potuto impedirti di sentire quelle persone. È andato a farsi un giro nelle campagne. È fuori da qualche ora.» Franca gli girò intorno. Aveva un'aria temibile e spaventata al tempo stesso. La contrapposizione dei due aspetti fece venire la pelle d'oca a Dalton. «Allora» sussurrò la maga «temo di aver perso il mio potere. Sono indifesa.» «Franca, sono sicuro...» La donna si leccò le labbra. «Hai fatto rinchiudere Senti Rajak, vero? Non mi piacciono lui e i suoi folli seguaci...» «Te l'ho già detto: quell'uomo è in catene. Non credo neanche che sia ancora vivo. Ne dubito dopo tutto questo tempo. Non devi preoccuparti di lui.» Franca distolse lo sguardo e annuì. Dalton le toccò un braccio. «Sono certo che il tuo potere tornerà. Cerca di non preoccuparti troppo.» Le lacrime colmarono gli occhi della donna. «Ho paura, Dalton.» Dalton l'abbracciò. Prima ancora di essere una donna molto pericolosa perché possedeva il dono, Franca era un'amica. In quel momento l'aiutante del ministro ricordò le parole della canzone udita durante il banchetto. Giungono i ladri di magia e incantesimi. 25 Roberta sollevò il mento allungando il collo per sbirciare oltre la cresta dello strapiombo e osservare i fertili campi sottostanti. Le coltivazioni nella valle del Nareef spiccavano verdi e marroni contro il cielo. Le mandrie che brucavano l'erba fresca erano così lontane da sembrare delle formiche. Il fiume Dammar scorreva sinuoso in quel paesaggio idilliaco brillando alla luce del sole, fiancheggiato da file di alberi che sembravano giunti apposta fino al greto per osservare il suo incedere lento e maestoso. Ogni volta che raggiungeva il bosco in prossimità del dirupo dei Nidi, Roberta sentiva il bisogno di fermarsi per dare un'occhiata al panorama. Dopo essersi concessa quella breve occhiata di solito abbassava lo sguardo per osservare il tappeto di foghe e muschio che ricopriva il terreno della foresta. Trovava che la durezza del terreno sotto i suoi piedi fosse una sensazione rassicurante. Passò il sacco sull'altra spalla e riprese il cammino. Avanzava facendosi strada tra i cespugli di mirtilli e biancospino, posando i piedi sulle pietre per superare buche e spaccature nel terreno, chinandosi per evitare i rami di pino e abete o usando il bastone per spostare le felci senza mai staccare gli occhi dal terreno. Vide un cappello giallo a forma di vaso e si piegò per guardare meglio. Le sarebbe piaciuto trovare i gallinacci e non il fungo velenoso che la sua gente chiamava fuoco fatuo. Quasi tutti preferivano i gallinacci per il loro sapore che ricordava quello delle noci. Prese il gambo tra le dita e strappò il fungo dal terreno, ma prima di metterlo nel sacco fece passare il pollice sulle lamelle a forma di piume per sentirne la morbidezza. La montagna che aveva scelto per cercare i funghi era bassa, se confrontata a quelle che la circondavano ma, eccettuato il dirupo dei Nidi, era un luogo sicuro attraversato da una rete di sentieri segnati dall'uomo e dagli animali. Era il genere di posto che i suoi muscoli sempre meno tonici e le sue ossa doloranti preferivano. Si diceva che salendo in vetta alle montagne più alte era possibile scorgere il mare verso sud. Le avevano detto che era una vista particolarmente bella. Molte persone si recavano in quei posti una o due volte l'anno per ammirare la magnificenza del Creatore. I sentieri che conducevano lassù arrivavano a dirupi oppure costeggiavano torrenti. C'erano pastori che portavano a pascolare le mandrie o le greggi su per quei ripidi pendii sassosi. Roberta era stata in quei luoghi solo una volta nella sua vita. Un giorno, lei era ancora piccolina, il padre, l'aveva portata fin lassù da Fairfield. Roberta, al contrario di molte altre persone, era contenta di vivere nella pianura alluvionale perché non amava molto le montagne e aveva paura dell'altezza. L'altopiano che si trovava in cima alla montagna, quello nel quale nidificavano gli uccelli warfer, era un luogo desolato, decisamente peggiore del luogo che aveva visitato con il padre. Lassù non c'era nulla. L'unico tipo di vegetazione erano le piante paka che crescevano affondando le radici nell'acqua velenosa e fangosa del laghetto. Quel posto era una distesa di terra scura e sabbiosa punteggiata qua e là da qualche scheletro, almeno così le avevano raccontato. Quelli che erano stati sull'altopiano dicevano che sembrava di entrare in un altro mondo. L'unico suono era quello del vento che spostava in continuazione i mucchi di sabbia. Era come se volesse che trovassero qualcosa. Le montagne più basse, come quella sulla quale si trovava, erano ricoperte da una vegetazione lussureggiante e l'unico punto roccioso era il dirupo dei Nidi. A Roberta piaceva molto quella zona perché era piena di alberi. Seguiva sempre le piste lasciate dai cervi per un semplice motivo: quelle bestie passavano lontane dai punti che non le piacevano e non si avvicinavano mai molto al dirupo dei Nidi. Lo strapiombo era chiamato così perché era il luogo di nidificazione preferito dai falchi. Uno dei motivi per il quale Roberta frequentava quei luoghi erano i funghi. Roberta raccoglieva quei frutti del bosco per venderli al mercato dopo averli preparati in tutti i modi. La maggior parte delle persone la chiamava la signora dei funghi e alcuni non sapevano neanche quale fosse il suo nome. Il guadagno ricavato dalla vendita dei funghi le permetteva di acquistare quelle piccole cose che rendevano la vita più semplice: ago e filo, vestiti, fibbie e bottoni, una lampada, del petrolio, sale, zucchero, cannella, noci... tutte cose che permettevano di vivere un po' meglio a lei e alla sua famiglia, in particolar modo ai suo quattro nipoti che erano ancora vivi. I funghi di Roberta li aiutavano ad arrotondare i guadagni del loro lavoro. Certo, li usava anche per preparare dei piatti prelibati. Preferiva i funghi che crescevano sui pendii della montagna piuttosto che quelli del fondovalle. I funghi che crescevano nei boschi sulla montagna erano molto più saporiti perché si trovavano in un ambiente umido. Aveva sempre pensato che i funghi di montagna fossero i migliori e molte persone che frequentavano il mercato andavano da lei proprio perché erano della sua stessa idea. Roberta, inoltre, come ogni buon cercatore, aveva i suoi posti segreti dove sapeva che ogni anno spuntavano i funghi migliori. In quel momento le larghe tasche del grembiule e il sacco che portava in spalla erano ormai pieni. Erano ancora i primi mesi dell'anno e aveva trovato dei grossi ciuffi di funghi conchiglia. Le loro cappelle carnose e tenere erano ottime per la frittura ed era per questo motivo che li vendeva freschi. Era stata fortunata e aveva trovato diversi gallinacci. Alcuni li avrebbe venduti secchi, altri freschi. Nel suo bottino poteva annoverare anche diverse schiene di fagiano che dovevano essere raccolte e vendute in fretta se voleva spuntare il prezzo migliore. Era troppo presto per le lanugini, che di solito erano molto comuni verso la tarda estate, tuttavia Roberta era andata in uno dei suoi posti segreti dove c'erano diversi ceppi di pino e ne aveva trovate alcune color ocra che erano impiegate per fabbricare le tinture. Su un tronco di betulla marcio aveva trovato un ciuffo di polipore marrone scuro. Quei funghi a forma di rene erano molto richiesti dai cuochi per tenere alto il fuoco e dagli uomini per affilare i rasoi. Roberta osservò con cura un fungo dall'aspetto innocuo. Sul gambo spiccava una riga bianca e vide che le lamelle gialle stavano diventando color ruggine. Già, in quel periodo dell'anno crescevano anche quei funghi. Sospirò rammaricata e si allontanò dal fungo letale. Si avvicinò a una quercia il cui tronco era largo quanto i suoi due buoi messi spalla contro spalla e vi trovò tre bei gallinacci speziati dall'aria succulenta. Quella varietà di fungo cresceva quasi esclusivamente sotto le querce. Erano passati dal giallo all'arancione, quindi era il momento giusto per mangiarli. Roberta sapeva dove si trovava, ma non aveva camminato lungo il sentiero che era solita seguire, infatti non aveva mai notato quella pianta. Appena ne aveva avvistato la chioma si era resa conto che doveva fare molta ombra, quindi, quello doveva essere un buon posto per i funghi e la sua supposizione non si era rivelata fallace. Alla base della quercia, proprio nel punto in cui il tronco spuntava dal terreno, trovò un bel ciuffo di tubicini, o vene di manzo come erano soliti chiamarli i paesani perché a volte quei funghi avevano un colorito rosso accesso che li faceva somigliare a vene tagliate di recente. Quelli trovati da Roberta, invece, erano rosa, appena venati di rosso. Roberta preferiva chiamarli tubicini, ma non era una qualità di fungo che amasse particolarmente. Tuttavia, c'erano alcuni clienti che li compravano per il sapore dolciastro. Era un fungo piuttosto raro, quindi si vendeva a un buon prezzo. Nel punto più in ombra trovò un cerchio di campane degli spiriti. Ave- vano quel nome perché la cappella somigliava in qualche modo a una campana. Non erano velenosi, ma nessuno li amava in maniera particolare poiché erano filamentosi e avevano un sapore amaro. La gente pensava che chiunque entrasse in un cerchio di quei funghi rimanesse stregato, così nessuno voleva vederli. Roberta aveva camminato in mezzo a quei cerchi fin da quando, bambina, la madre la portava con lei a cercar funghi. Poiché non le piaceva nessun tipo di superstizione riguardo i suoi amati funghi, entrò nel cerchio immaginando di poter sentire i delicati rintocchi di quelle campane e li raccolse. Uno dei rami della quercia scendeva abbastanza in basso da poter essere usato come sedia. Era grosso come i fianchi di Roberta e abbastanza asciutto. La donna si sedette a appoggiò la schiena e la testa contro un secondo ramo che spuntava da quello sul quale si era accomodata formando un angolo molto comodo. Aveva l'impressione di essere cullata dalle braccia dell'albero. Stava sognando a occhi aperti e quando sentì una voce sussurrare il suo nome pensò che facesse tutto parte del sogno. Era un suono piacevole, basso, caldo. Sembrava più una bella sensazione che una parola vera e propria. La seconda volta che lo udì, Roberta era sicura che non si trattava più del frutto di un sogno. Qualcuno aveva pronunciato il suo nome, ma in una maniera così intima da trasformarlo in qualcosa di più che una semplice parola. Il modo in cui era stato pronunciato le aveva toccato il cuore. Era stato come udire la musica degli spiriti. Era un misto di amore, gentilezza, compassione e calore. La fece sospirare e si sentì felice. Era come un caldo raggio di sole in una giornata fredda. La terza volta che lo udì si drizzò desiderando di vedere chi era la persona che possedeva una voce così toccante. Mentre si muoveva ebbe l'impressione di essere capitata in uno dei suoi sogni a occhi aperti dove tutto era pace e armonia. Tutta la foresta sembrò brillare illuminata dal sole del mattino. Roberta lo vide poco lontano da lei ed emise un sospiro. Non l'aveva mai visto prima, ma le sembrava di conoscerlo da sempre. Si rese conto che era un amico di vecchia data, un compagno creato nella sua mente fin da quando era giovane al quale, però, non aveva mai pensato molto in precedenza. Le sembrava che fosse uno che era sempre stato vici- no a lei. La persona alla quale aveva sempre pensato ogni volta che si era soffermata a sognare a occhi aperti. Un volto indefinito, ma che lei conosceva benissimo. Ora si rendeva conto che era vero come quando aveva immaginato di baciarlo nei suoi sogni, cosa che aveva fatto dal giorno in cui si era resa conto che un bacio era qualcosa di più di quello che dava la mamma prima di andare a letto. I suoi erano baci dati in un letto: caldi e ardenti. Non aveva pensato che fosse vero, ma adesso si rese conto che lo era sempre stato. Adesso era là e la stava fissando negli occhi com'era possibile che non fosse vero? I capelli gli incorniciavano il volto esaltando il sorriso dolce e caldo sulle labbra. L'unica cosa che lasciava interdetta Roberta era che non riusciva ad attribuire a quel viso una fisionomia ben precisa ma, allo stesso tempo, era consapevole di conoscere quel volto bene quanto il suo. In quel momento conobbe ogni pensiero dell'uomo, proprio come lui venne a conoscenza del desiderio ardente che Roberta provava nei suoi confronti. Lui era la sua anima gemella. Conosceva i suoi pensieri e non aveva bisogno di sapere il suo nome. Il fatto che non gliene importasse nulla di quest'ultimo particolare era la dimostrazione palese che erano legati a un livello talmente spirituale che ormai le parole erano state trascese. In quel momento, l'uomo della sua vita era uscito dalla nebbia di quel mondo spirituale, spinto dalle stesse motivazioni di Roberta: volevano stare insieme. L'uomo aprì le mani come se stesse implorando aiuto. Lei ebbe l'impressione di camminare senza toccare terra. I piedi sfioravano l'erba simili a petali di una bocca di leone soffiati via dallo stelo. E. suo corpo fluttuava come se fosse immersa nell'acqua e lei si allungò per farsi abbracciare. Più si avvicinava, più sentiva il calore. Ma non era il caldo del sole, era il caldo emanato dalle braccia del proprio amante, accompagnato da un sorriso e da teneri baci. Tutta la sua vita si ridusse al bisogno di farsi stringere da quelle braccia, al bisogno di sussurrargli il suo desiderio perché sapeva che lui l'avrebbe capita. Aveva bisogno di sentire il suo respiro nell'orecchio e la sua voce che le sussurrava di comprenderla pienamente. Roberta non voleva fare altro che comunicargli il suo amore ed essere ricambiata. In quel momento desiderava solo stare tra quelle braccia. Il corpo non le faceva più male. Non si sentiva più vecchia. Gli anni le erano scivolati di dosso come gli abiti di un amante che vuole giacere nudo con il compagno per assaporare l'essenza dei loro esseri. A causa sua e del suo amore, lei era di nuovo nel pieno della sua giovinezza, quando tutto era possibile. L'uomo allungò le braccia verso di lei e il suo desiderio era tangibile quanto quello di Roberta. Lei distese a sua volta le braccia, ma l'uomo della sua vita sembrò sempre troppo lontano. Le allungò ancora di più, ma lui continuava a essere distante. La donna cadde preda del panico. Temeva che lui sparisse senza neanche avere la possibilità di toccarlo almeno una volta. Si muoveva a fatica, le sembrava di nuotare nel miele. Aveva desiderato toccarlo per tutta la vita. Aveva passato tutta la vita a desiderare di poterglielo dire. Aveva passato tutta la vita a desiderare di unire le loro anime. E ora lui si stava allontanando. Malgrado sentisse le gambe pesanti, Roberta corse illuminata dal sole e dalla dolce aria della primavera verso le braccia del suo amato. Ma lui continuava a essere lontano. L'uomo alzò entrambe le braccia verso Roberta che continuava a percepire il suo desiderio di abbracciarla. Lei non desiderava altro che di poterlo confortare e placare la lotta. Anche lui sentiva quel desiderio in lei e urlò il suo nome in modo che la donna si convincesse ancora di più della necessità di raggiungerlo. Il sentire il proprio nome pronunciato da quelle labbra non fece altro che riempire di gioia il cuore di Roberta, facendole provare al tempo stesso il bisogno incontenibile di ricambiare tutta quella passione con la quale era stato pronunciato il suo nome. Ora desiderava conoscere il nome del suo amato per poter ricambiare quell'amore eterno. Si allungò verso di lui senza risparmiarsi buttando all'aria ogni sorta di precauzione. Dimenticò ogni cosa pur di poterlo raggiungere. Roberta urlò il suo amore senza nome, urlò il suo bisogno mentre cercava di toccargli le dita. Le braccia dell'uomo erano allargate per accoglierla e mentre le si tuffava in quell'abbraccio colmo d'amore vide il sole che splendeva intorno a lei e sentì il vento che scompigliava i capelli e sollevava l'abito. L'uomo urlò nuovamente il suo nome e in quella parola era contenuta una tale bellezza da far male. Roberta aveva l'impressione di galleggiare nell'aria verso di lui, il sole sul viso, il vento tra i capelli, ma andava tutto bene perché stava per raggiungerlo. Quelli erano i momenti più perfetti della sua vita. Mai sperimentato nulla di simile in tutta la sua esistenza. Non poteva esistere un amore più perfetto al mondo. Sentì i rintocchi di quell'amore perfetto echeggiare nell'aria e ne provò tutta la gloria. Roberta si lanciò tra la braccia del suo amato urlando il suo desiderio, il suo amore, il suo senso di completamento. Voleva solo conoscere il nome del suo amato in modo da concedersi a lui anima e corpo. Il sorriso radioso di quell'uomo, le sue labbra, tutto era solo ed esclusivamente per lei. Percorse gli ultimi brandelli di spazio che la separavano dall'amore della sua vita, desiderando di poterlo finalmente baciare e unirsi alla sua anima gemella, all'unica vera passione della sua vita. Finalmente trovò le sue labbra e si abbandonò a un abbraccio e in un bacio lunghissimo. In quell'istante perfetto nel quale le loro labbra si toccarono e lei si abbandonò tra le sue braccia vide attraverso il suo uomo, oltre il suo uomo... lo spietato fondovalle che si avvicinava vertiginosamente e finalmente seppe il nome dell'amore della sua vita. Morte. 26 «Laggiù» disse Richard avvicinandosi a Kahlan e indicando al tempo stesso l'orizzonte. «Vedete quel piccolo ammasso di nubi scure di fronte alla parte più luminosa?» Attese che la moglie annuisse. «Là sotto, un po' spostato sulla destra.» Kahlan, che era ferma in mezzo a un mare d'erba alta fino alla vita, si drizzò più che poté portando una mano alla fronte per riparare gli occhi dalla luce del sole mattutino. «Continuo a non vederlo.» Sospirò, frustrata. «Ma non ho mai avuto una vista acuta quanto la tua.» «Neanche io lo vedo» ammise Cara. Richard si girò per controllare che nessuno scivolasse alle loro spalle mentre erano intenti ad aspettare l'uomo davanti a loro. Era tutto tranquillo. «Presto lo vedrete anche voi.» Allungò una mano per controllare che la spada non fosse bloccata nel fodero, ma si rese conto che non poteva essere al suo fianco. Prese una freccia dalla faretra e la incoccò. Più di una volta aveva desiderato disfarsi della Spada della Verità e della magia di cui era permeata poiché aveva fatto emergere alcuni aspetti del suo carattere che lui aborriva, ma erano proprio tali aspetti che, insieme alle peculiarità della sua arma erano in grado di trasformarlo in una furia letale e inarrestabile. Il giorno in cui Zedd gli aveva consegnato la spada, gli aveva spiegato che quell'arma era solo un mezzo e nel corso del tempo era giunto a comprendere le parole del nonno. Sarà anche stato solo uno strumento, ma Richard a volte lo trovava orrendo. A chi brandiva l'arma spettava governare se stesso oltre che la spada. Capire quel concetto era uno dei requisiti fondamentali per poter sfruttare al massimo le potenzialità di quell'arma. Un oggetto concepito per un vero Cercatore di Verità. Richard rabbrividì al pensiero di quella magia che finiva nelle mani sbagliate e ringraziò gli spiriti buoni che l'arma in quel momento fosse custodita in un luogo molto sicuro. L'uomo continuava ad avvicinarsi. Le nuvole ribollivano all'orizzonte passando dal giallo acceso a un viola inquietante. I lampi che saettavano all'interno di quell'enorme massa sospesa nel cielo, forieri del violento uragano che si stava preparando, illuminavano brevemente altissimi pinnacoli e profonde spaccature. Richard aveva visto diverse opere dell'uomo che gli avevano tolto il fiato da quando aveva cominciato il viaggio, ma nulla poteva competere con lo spettacolo che parava ora di fronte ai suoi occhi. Pensò che tutto sembrasse così imponente perché l'ampio orizzonte era completamente piatto, privo di alture o alberi. Le nuvole che avevano riversato montagne d'acqua sul villaggio del Popolo del Fango si erano spostate verso est solo poco prima dell'alba. Avevano trascorso il primo giorno e la prima notte di viaggio sotto una pioggia battente che li aveva lasciati zuppi e irritati. Kahlan era preoccupata per la salute di Ann e Zedd e per la minaccia rappresentata dall'Insidia, senza contare che trovava frustrante intraprendere un viaggio tanto lungo per tornare ad Aydindril quando, vista la fretta che avevano, avrebbero potuto usare la sliph. Richard era stato quasi disposto a correre il rischio. Quasi. Cara sembrava disturbata da qualcosa. Ricordava un gatto chiuso in un sacco e Richard, che non aveva voglia di allungare una mano per cercare d'accarezzarlo, decise che se si fosse trattato di qualcosa di veramente importante lei glielo avrebbe detto. Oltre allo stato d'animo di Cara e agli strascichi lasciali dalla pioggia sul loro umore, Richard era preoccupato dal fatto di non avere la spada con sé. Temeva che l'Insidia potesse cercare di far del male a Kahlan e sentiva di non avere risorse per difenderla. Le Sorelle dell'Oscurità non erano l'unico pericolo che una Depositaria poteva affrontare, c'erano diverse persone che avrebbero voluto vendicarsi perché pensavano di aver subito dei torti dal suo ordine. L'incantesimo che stava facendo svanire la magia presto o tardi avrebbe cominciato a intaccare il potere di Kahlan. Richard avvertiva il bisogno di proteggerla, ma non si sentiva all'altezza perché privo della spada. Ogni volta che aveva posato la mano sul fianco dal quale solitamente pendeva l'arma e non l'aveva trovata, aveva provato un senso di vuoto difficilmente spiegabile a parole. Era come se mancasse una parte di lui. Pur considerando quel fatto, Richard, tuttavia, sentiva che non doveva andare ad Aydindril. C'era qualcosa di sbagliato. Aveva razionalizzato quella sensazione pensando che nascesse dalla preoccupazione per la salute di Zedd. Il nonno era malato e questo lo rendeva debole e vulnerabile, ma pur in quello stato era stato molto chiaro con Richard: non c'era scelta. Fino al momento in cui non aveva avvistato lo straniero, la giornata era stata soleggiata e gradevole. Richard tese leggermente la corda dell'arco. La posta in gioco era troppo alta e dopo l'incontro con l'Insidia non aveva nessuna intenzione di far avvicinare nessuno a meno che non fosse un amico. Richard aggrottò la fronte. «Sai» disse rivolgendosi a Kahlan «mi sono ricordato che una volta mia madre mi parlò di un gatto chiamato 'Insidia'.» Kahlan spostò una grossa ciocca di capelli dal viso e aggrottò la fronte a sua volta. «Strano. Ne sei sicuro?» «No. È morta quando ero molto piccolo. È difficile capire se si tratta di un ricordo genuino o di qualcosa che mi sto inventando.» «Cosa ti sembra di ricordare?» domandò Kahlan. Richard tese la corda per provarne la risposta, quindi l'allentò parzialmente. «Ero caduto e mi ero sbucciato un ginocchio o qualcosa del genere e mia madre cercava di farmi ridere per farmi dimenticare il dolore. Mi sembra di ricordare che mi raccontò che da piccola sua mamma aveva un gatto che tendeva gli agguati agli oggetti e per quel motivo si era guadagnato il nome di Insidia. Giuro che ricordo di averla vista ridere e chiedermi se non lo trovavo un nome buffo.» «Già, molto buffo» rispose Kahlan con un tono di voce che lasciava intuire l'esatto contrario. Alzò la punta della freccia incoccata dal marito nella direzione della persona che si avvicinava pensando che lui stesse ignorando un probabile pericolo. «Perché ci pensi proprio adesso?» gli chiese Kahlan. Richard indicò il nuovo arrivato con un cenno del mento. «Stavo pensando a quell'uomo là fuori... riflettevo sulle insidie di questi luoghi.» «E questi pensieri sulle insidie» commentò Cara, acida «vi hanno indotto a fermarvi e aspettare che ci attacchino quando credono sia giunto il momento migliore?» Richard la ignorò e indicò nuovamente con un movimento della testa l'uomo che si avvicinava. «Adesso dovreste vederlo anche voi.» «No, non riesco ancora a vedere... aspetta...» Kahlan portò una mano sulla fronte e si drizzò in punta di piedi. «Eccolo. Lo vedo.» «Penso che dovremmo nasconderci nell'erba e tendergli un agguato» suggerì Cara. «Si è accorto di noi nel momento stesso in cui l'ho avvistato» spiegò Richard. «Non possiamo sorprenderlo, sa dove siamo.» «Almeno è uno solo» sbadigliò Cara. «Non ci darà problemi.» La Mord-Sith aveva fatto il turno di guardia centrale e aveva concesso a Richard un'ora di sonno in più prima di svegliarlo. Richard si guardò nuovamente alle spalle. «Ne vedi solo uno, ma ce ne sono di più. Una dozzina, credo.» Kahlan portò nuovamente la mano sulla fronte per riparare gli occhi dal sole. «Non ne vedo altri.» Guardò in tutte le direzioni. «Ne vedo solo uno. Sei sicuro di quello che hai detto?» «Sì. Appena ci siamo visti ha lasciato gli altri ed è venuto verso di noi. Lo stanno aspettando.» Cara prese uno zaino e diede una pacca sulle spalle di Kahlan e Richard. «Andiamo. Possiamo distanziarli finché non sono ancora in vista e trovare un nascondiglio. Se continueranno a seguirci li prenderemo di sorpresa mettendo fine alla minaccia.» Richard le restituì la pacca. «Che ne dici di calmarti? Sta venendo da so- lo e non ha frecce incoccate nell'arco. Se avesse avuto intenzione di attaccarci si sarebbe portato dietro anche gli altri. Aspettiamo.» Cara incrociò le braccia sul petto e premette le labbra una contro l'altra con forza per reprimere l'ira. Era protettiva come suo solito, ma c'era anche dell'altro e Richard decise che avrebbe fatto quattro chiacchiere con lei appena se ne fosse presentata l'occasione. Forse è meglio se lo fa Kahlan, pensò qualche attimo dopo. L'uomo sollevò un braccio salutandoli. Richard lo riconobbe, tolse la mano dalla freccia e rispose al saluto. «È Chandalen.» Pochi attimi dopo anche Kahlan agitò il braccio per salutare. «Hai ragione, è proprio lui.» Richard infilò la freccia nella faretra che portava attaccata alla cintura. «Mi chiedo cosa stia facendo da queste parti.» «Mentre tu eri impegnato a controllare i polli» gli spiegò Kahlan «è uscito per andare a controllare i confini. Gli uomini delle pattuglie più avanzate hanno riferito di aver incontrato un gruppo di guerrieri armati di tutto punto. Hanno detto che avevano un comportamento piuttosto strano.» «Erano ostili?» «No,» rispose Kahlan «ma Chandalen ha detto che i suoi uomini li hanno visti troppo calmi quando si sono rivelati e questo l'ha preoccupato non poco.» Richard osservò Chandalen che si avvicinava e notò che era armato solo di coltello. L'anziano andò loro incontro senza sorridere. Il Popolo del Fango sorrideva agli amici che incontrava nella prateria solo dopo che si erano scambiati il saluto rituale. Chandalen diede un rapido schiaffo sui volti di Richard, Kahlan e Cara. Aveva corso per raggiungerli, ma aveva solo un lieve accenno di fiatone. «Vigore alla Madre Depositaria. Vigore a Richard il Collerico.» Salutò Cara con la stessa formula aggiungendo anche un cenno del capo: la MordSith, proprio come lui, era una protettrice. I tre gli restituirono il saluto. «Cosa succede?» chiese Chandalen. «Ci sono problemi» spiegò Richard offrendogli la borraccia. «Dobbiamo tornare ad Aydindril.» Chandalen accettò l'offerta ed emise un verso basso e carico di preoccupazione. «Si tratta del pollo che non è un pollo?» «In un certo senso, sì» confermò Kahlan. «Abbiamo scoperto che si trat- tava di una magia evocata dalle Sorelle dell'Oscurità prigioniere di Jagang.» «Lord Rahl, comunque, è riuscito a distruggere il pollo che non è un pollo» si intromise Cara. Chandalen sembrò sollevato e bevve un sorso d'acqua. «Perché dovete andare ad Aydindril, allora?» Richard posò a terra l'estremità inferiore dell'arco e si appoggiò su quella superiore. «L'incantesimo delle Sorelle ha messo in pericolo tutti coloro che possiedono la magia. Zedd e Ann sono molto deboli e ci aspettano al villaggio. Stiamo andando ad Aydindril per liberare un contro incantesimo in grado di bloccare quello delle Sorelle, dopodiché Zedd sarà di nuovo abbastanza forte per rimettere tutto a posto. «La magia delle Sorelle dell'Oscurità ha evocato la creatura-pollo che ha ucciso Juni. Nessuno sarà al sicuro fino al momento in cui non avremo raggiunto Aydindril.» Chandalen, che aveva ascoltato con attenzione, chiuse la borraccia e disse: «Allora devi sbrigarti a ripartire per compiere la missione che solo tu puoi portare a termine.» Il cacciatore si guardò alle spalle. Ora che aveva identificato gli stranieri, anche gli altri si stavano avvicinando. «Ma i miei uomini hanno incontrato degli stranieri che dovresti conoscere.» Richard guardò oltre la spalla dell'anziano, ma non riuscì a capire di chi stesse parlando. «Chi sono?» Chandalen lanciò una rapida occhiata a Kahlan prima di rivolgersi nuovamente a Richard. «Il Popolo del Fango ha un vecchio detto: è meglio trattenere la lingua con il cuoco altrimenti potresti finire nella pentola con il pollo.» Richard aveva l'impressione che Chandalen stesse facendo di tutto per non incontrare lo sguardo interdetto di Kahlan. Pur trovandola piuttosto bizzarra pensava di aver capito l'allegoria del detto... forse Chandalen aveva sbagliato la traduzione. Il gruppo non era molto distante. L'Insidia aveva ucciso uno degli uomini migliori di Chandalen e quest'ultimo voleva che Richard e Kahlan mettessero fine a quella minaccia al più presto, quindi non avrebbe insistito sul fatto che dovevano fermarsi se non ci fosse stato un buon motivo. «Se è così importante che li incontriamo, muoviamoci.» Chandalen afferrò Richard per un braccio. «Hanno chiesto di vedere solo te. Forse dovresti andare da solo, poi potrai riprendere la tua strada.» «Perché dovrebbe andare da solo?» domandò Kahlan, sospettosa, quindi aggiunse qualcosa nell'idioma del Popolo del Fango che Richard non comprese. Chandalen mostrò i palmi delle mani come se volesse dimostrare che non era armato e non desiderava combattere. Sembrava che non volesse essere implicato in quanto stava succedendo. «Forse dovrei...» Richard chiuse la bocca, quando lo sguardo di Kahlan si posò su di lui. «Stavo per dire che non abbiamo segreti» spiegò, dopo essersi schiarito la gola. «Kahlan è sempre la benvenuta al mio fianco. Andiamo, non abbiamo tempo da perdere.» Chandalen annuì e si girò per guidarli verso il loro fato. Richard ebbe l'impressione che per un attimo negli occhi del cacciatore fosse apparso il tipico sguardo che sembrava affermare: «... non dirmi che non ti avevo avvertito.» Richard vide dieci cacciatori di Chandalen che seguivano un gruppo di sette persone. Altri sei cacciatori, tre per lato, scortavano i nuovi arrivati senza però assumere un comportamento troppo minaccioso. Sembrava che li stessero solo accompagnando, ma Richard sapeva che erano pronti a colpire al primo segno d'ostilità. Un gruppo di stranieri armati nel territorio del Popolo del Fango erano come scintille di fronte a un uragano. In cuor suo, Richard sperava che anche quella tempesta si allontanasse in fretta per lasciare spazio al sole. I tre seguivano Chandalen con passo deciso. Gli uomini sotto il diretto comando dell'anziano, erano la prima linea di difesa della loro comunità. La gente di solito si teneva alla larga dal territorio del Popolo del Fango perché tutti conoscevano la loro ferocia nel combattimento. I nuovi arrivati, tuttavia, osservavano i cacciatori intorno a loro con una sorta di tranquillo distacco, sembrava che li considerassero più accompagnatori che scorta. La loro indifferenza solleticò i ricordi di Richard. Appena furono abbastanza vicini da essere riconoscibili, Richard mancò un passo. Li osservò attentamente, per essere sicuro di non ingannarsi, poi capì come mai gli stranieri non provavano nessuna forma di soggezione nei confronti degli uomini di Chandalen e si chiese come mai si trovassero tanto lontani dalla loro terra natia. Indossavano tutti lo stesso abito morbido e portavano lo stesso tipo d'arma. Richard ne conosceva solo uno per nome e tutti gli altri solo di vista. Quelle persone avevano dedicato tutta la loro vita a dettami imposti migliaia di anni prima, leggi promulgate dai maghi della grande guerra che avevano sottratto la loro terra per trasformarla nella valle dei Perduti e separare i due mondi. Le spade dall'elsa nera e la lama ricurva che si allargava verso la punta tronca riposavano nei foderi. Ogni uomo portava un laccio intorno al collo dal quale partiva un filo la cui estremità inferiore era legata all'anello che spiccava in cima all'elsa. Si trattava di un accorgimento per evitare di perdere la spada in battaglia. Oltre quelle armi, i sei guerrieri portavano una lancia e uno scudo disadorno a testa. Richard aveva visto anche delle donne vestite in quel modo, ma quel drappello era composto da soli uomini. Per quei guerrieri l'uso della spada era diventato una forma d'arte. Si addestravano anche di notte, poiché il giorno non era abbastanza lungo per loro. Usavano le spade con una devozione quasi religiosa, impegnandosi in quell'attività con tutto il loro essere. Erano maestri di lama. La settima persona, una donna, era vestita in modo differente ed era disarmata... almeno nell'accezione convenzionale del termine. Richard non era molto bravo nel giudicare a occhio certe cose, ma secondo lui doveva essere incinta di sei mesi. Una folta chioma di capelli neri incorniciava un bel volto, che possedeva una certa angolosità, forse dovuta al portamento e all'espressione degli occhi scuri. Indossava un abito multicolore lungo fino al ginocchio e chiuso in vita da un cintura di pelle di cervo decorata all'estremità con gemme tagliate in maniera piuttosto grezza. Frange di diversi colori pendevano dalle spalle e dalle maniche dell'abito e Richard sapeva che erano state applicate dai questuanti. Era un abito delle preghiere. Ognuna di quelle frange colorate rappresentava una preghiera rivolta agli spiriti. Solo la donna sacra poteva indossare quell'abito. Richard cominciò a pensare a tutte le ragioni che avrebbero potuto spingere quelle persone ad allontanarsi così tanto dalle loro case. Giunse a diverse conclusioni, ma tutte negative. Richard si fermò. Kahlan si piazzò alla sinistra, Cara alla sua destra e Chandalen alla destra della Mord-Sith. I nuovi arrivati ignorarono tutti i presenti e si inginocchiarono di fronte a Richard rimanendo immobili con la fronte appoggiata a terra. La donna lo osservava in silenzio con quello sguardo senza tempo che aveva già visto negli occhi di Sorella Verna, Shota, Ann e Kahlan. Quello sguardo antico, portatore di una saggezza che lui non sembrava in grado di poter cogliere, era un segno inequivocabile che la donna di fronte a lui aveva il dono. L'ombra di un sorriso apparve sulle labbra della nuova arrivata. Un attimo dopo la donna si inginocchiò a sua volta senza dire una parola, sfiorò il terreno con la fronte e baciò la punta degli stivali di Richard. «Caharin» sussurrò in tono riverente. Richard si abbassò e alzò frettolosamente la donna prendendola per le spalle. «Il mio cuore è colmo di gioia per la tua vista, Du Chaillu, ma cosa ci fate qua tu e i tuoi uomini?» La donna sfoderò un sorriso affascinante e lo baciò su una guancia. «Sono venuta per te, Richard, Cercatore, Caharin, marito.» 27 «Marito?» La voce di Kahlan echeggiò alle spalle di Richard, carica di preoccupazione. Il ricordo dell'antica legge del popolo di Du Chaillu e delle sue funeste implicazioni rischiò di far cadere a terra Richard. Nel corso del loro primo incontro, aveva liquidato le affermazioni adamantine della donna come convinzioni sbagliate o errate interpretazioni della loro storia. Ora, quel vecchio e inaspettato fantasma era tornato a perseguitarlo. «Marito?» ripeté Kahlan con un tono di voce leggermente più alto e insistente. La nuova arrivata sembrò compiere un certo sforzo per togliere gli occhi da Richard e concentrarsi su Kahlan. «Sì. Marito. Sono Du Chaillu, moglie del Caharin, Richard il Cercatore.» Si passò una mano sulla pancia gonfia e l'aria infastidita fu rimpiazzata da un'espressione gioiosa. «Porto suo figlio dentro di me.» «Lasciatela a me, Madre Depositaria» disse Cara con voce così minacciosa da non lasciare dubbi sulle sue intenzioni. «Questa volta me ne occupo io e alla mia maniera.» Cara estrasse il coltello dalla cintura di Chandalen e si avventò sulla donna. Richard fu più veloce: la intercettò a metà percorso e le piantò la punta delle dita nel petto spingendola indietro di tre passi. Aveva già abbastanza problemi. Le diede un secondo colpo spingendola indietro di altri tre passi. Il terzo colpo la allontanò definitivamente dal gruppo. Richard le sfilò il coltello di mano. «Ascoltami bene, adesso. Non sai nulla di quella donna.» «So...» «Non sai nulla! Ascolta! Hai combattuto l'ultima guerra. Quella non è Nadine. Non le si avvicina neanche un po'!» Era esplosa la furia che nel corso di quei giorni aveva continuato a ribollire sotto la superficie. Richard urlò e lanciò il coltello facendolo sparire qualche centimetro sottoterra. Kahlan gli posò una mano sulla spalla. «Calmati, Richard. Cosa succede?» Richard si passò una mano tra i capelli. Irrigidì la mascella, si guardò intorno, vide gli uomini ancora in ginocchio e disse: «Jiaan... e tutti gli altri... alzatevi!» I guerrieri ubbidirono immediatamente. Du Chaillu attendeva passiva e paziente. Chandalen e i suoi uomini arretrarono. Il Popolo del Fango lo aveva chiamato Richard il Collerico, lo scoppio d'ira, quindi, non li aveva sorpresi, ma questo significava che in quei momenti era meglio stare alla larga. Chandalen e i suoi uomini non sapevano che la rabbia di Richard era diretta verso l'essere che aveva ucciso uno di loro - anzi, molto probabilmente erano due - e che non avrebbe esitato a uccidere ancora. Kahlan lo fissò preoccupata. «Calmati, Richard. Controllati. Chi sono queste persone?» Richard aveva l'impressione di non riuscire più a controllare il respiro, il cuore, di non poter aprire i pugni. Anche i pensieri sfilavano all'impazzata nella sua mente. Aveva l'impressione di aver perso il controllo della situazione. Sembrava che tutte le paure sedate in quel periodo gli stessero saltando addosso contemporaneamente. Avrebbe dovuto prevedere che prima o poi avrebbe incontrato nuovamente quella donna e si maledì. In quel momento, però, l'unica cosa che poteva fare era pensare a come fermare la paura per fatti che non erano ancora accaduti e fare in modo che non si verificassero mai. Si rese conto che una delle paure aveva appena preso corpo e ora doveva trovare la soluzione. Kahlan gli sollevò il mento per guardarlo negli occhi. «Rispondi, Ri- chard. Chi sono queste persone?» Richard premette una mano sulla fronte in un gesto colmo d'ira e di frustrazione. «Sono i Baka Ban Mana. Vuol dire: 'quelli senza padrone'.» «Non più» spiegò Du Chaillu alle loro spalle. «Ora che abbiamo un Caharin, siamo diventati i Baka Tau Mana.» Kahlan, che non aveva compreso molto bene la spiegazione di Du Chaillu, si rivolse nuovamente a Richard. «Perché continua a dire di essere tua moglie?» gli chiese, con voce più dura. La mente di Richard si era già concentrata su altri pensieri e impiegò qualche istante a recepire la domanda della sua amata. Lei non comprendeva le implicazioni. Per Richard il quesito di Kahlan faceva già parte di un passato lontano le cui disgrazie non erano minimamente paragonabili a quelle che lo attendevano nel futuro. «Non è quello che pensi» rispose Richard, spazientito. Kahlan si umettò le labbra. «Perché non mi spieghi tutto dal principio, allora?» chiese, continuando a fissarlo. Quella di Kahlan non era una domanda, ma Richard rispose con un'altra. «Non capisci?» L'impazienza prese il sopravvento e indicò Du Chaillu. «Si tratta di una legge antica! In base a quella legge lei è mia moglie, o almeno crede di esserlo.» Richard premette la punta delle dita sulle tempie. Aveva un forte mal di testa. «Siamo in un mare di guai» borbottò. «Lo siete, eccome» confermò la Mord-Sith. «Piantala, Cara» ringhiò Kahlan, quindi tornò a concentrarsi sul marito. «Di cosa stai parlando, Richard? Cosa succede?» A Richard erano tornati in mente alcuni brani del diario di Kolo, ma aveva un tale caos in testa che gli sembrava impossibile tradurre in parole i pensieri. E. mondo rischiava di finire in pezzi e Kahlan gli poneva domande sul passato. La minaccia che li attendeva era così chiara e lampante che non riusciva a capire come mai sua moglie non riuscisse a scorgerla. «Non riesci a capire?» Richard analizzò rapidamente tutte le eventualità più cupe e cercò di capire cosa fare. Il tempo passava e lui non sapeva neanche quanto ne rimaneva a loro disposizione. «Vedo che l'avete messa incinta» commentò Cara. Richard incenerì la Mord-Sith con un'occhiata. «È questa la considerazione che hai di me, Cara, dopo tutto quello che abbiamo passato insie- me?» Cara sembrò divertita e incrociò le braccia sul petto senza replicare. «Fai i conti» disse Kahlan, rivolgendosi a Cara. «A quel tempo Richard era prigioniero di Denna nel Palazzo del Popolo nel D'Hara.» Richard rimase molto sorpreso che Kahlan avesse già fatto 'i conti'. Non si sarebbe mai aspettato che lei mettesse in dubbio la sua parola, ma si era sbagliato e lei sembrava leggerglielo negli occhi. «È qualcosa che fai senza pensare» sussurrò Kahlan. «Tutto a posto? Ti prego, Richard, dimmi quello che sta succedendo.» «Sei una Depositaria, sai meglio di me che il concetto di matrimonio varia da popolo a popolo. Solo con voi Depositarie, che scegliete un compagno in base a determinati requisiti e lo prendete con il vostro potere, l'uomo non ha voce in capitolo.» Infatti le sorelle di Kahlan avevano sempre scelto i mariti in base a certe caratteristiche che potevano trasmettere alla figlia che avrebbero partorito. «Dove sono nato io, per esempio» continuò Richard «molto spesso sono i genitori che decidono per i figli. Un bel giorno il padre va dalla figlia e le dice: 'Questo sarà tuo marito'. Oppure viceversa. Popoli diversi con usi e costumi diversi.» Kahlan lanciò un'occhiata furtiva a Du Chaillu soffermandosi qualche attimo in più sul volto e sulla pancia gonfia e quando tornò a concentrarsi su Richard il suo sguardo divenne freddo. «Parlami della sua legge.» Richard non pensava che Kahlan si stesse rendendo conto di accarezzare il medaglione nero che le aveva dato Shota. La strega era comparsa inaspettatamente al loro matrimonio e lui ricordava ancora molto bene le sue parole. «Vi siete meritati entrambi questo giorno colmo di gioia e io sono contenta per voi. Porta il dono che vi ho dato e tutto andrà bene. «Non date retta al mio avvertimento e ne patirete le conseguenze. Meglio combattere contro il Guardiano che contro di me.» Il trono di Shota era rivestito della pelle di un mago esperto che ne aveva incrociato il cammino. Richard conosceva ben poco della potenza di quella donna. Non credeva veramente al fatto che un loro figlio sarebbe stato un flagello per il mondo, ma per il momento lui e Kahlan avevano deciso di attenersi alle istruzioni della strega perché avevano ben poca scelta. Le dita di Kahlan sulla sua guancia gli ricordavano che lei aspettava ancora una risposta. Richard si sforzò di spiegare. «Du Chaillu viene dal Vecchio Mondo, dall'altra parte della valle dei Perduti. Era stata presa prigioniera dai Majendie, un popolo nemico del suo. Quando arrivai al villaggio dei Majendie lei era prigioniera ormai da qualche mese e gli uomini si erano divertiti con lei in tutti i modi. «Quella gente si aspettava che io, a causa del dono, li aiutassi a sacrificarla. In cambio avremmo avuto il permesso di passare attraverso il loro territorio. Era una clausola imposta dal loro credo religioso. Liberai Du Chaillu nella speranza che ci guidasse attraverso le paludi perché non potevamo più attraversare la terra dei Majendie.» «Io fornii a Richard e alla strega le guide affinché potessero attraversare le paludi e raggiungessero la grande casa di pietra delle streghe senza correre nessun pericolo» si intromise Du Chaillu, come se il suo intervento fosse completamente esplicativo. Kahlan batté le palpebre interdetta. «Strega? Casa delle streghe?» «Intende dire Sorella Verna e il Palazzo dei Profeti» chiarì Richard. «Non ci guidarono fin laggiù perché avevo liberato Du Chaillu, ma perché avevo portato a compimento un'antica profezia.» Du Chaillu -si avvicinò a Richard quasi fosse suo diritto compiere quel gesto. «Secondo la nostra legge, Richard è venuto da noi, ha danzato con gli spiriti dimostrando di essere il Caharin, mio marito.» Richard ebbe l'impressione che i capelli di Kahlan si stessero per rizzare sulla testa. «Cosa significa?» Richard aprì la bocca come per cercare le parole, ma Du Chaillu alzò il mento e parlò al posto suo. «Sono la donna degli spiriti dei Baka Tau Maria, ma sono anche la custode delle antiche leggi. È stato dichiarato che il Caharin avrebbe annunciato il suo arrivo danzando con gli spiriti e spillato il sangue di trenta Baka Ban Mana, un numero che solo il prescelto, con l'aiuto degli spiriti, poteva raggiungere. «Era stato predetto che una volta accaduto tutto questo, non saremmo stati più un popolo libero, ma legato al suo volere. Noi dobbiamo farci comandare da lui. «È per questo motivo che i nostri maestri di spada si addestravano per tutta la vita. Hanno avuto l'onore di insegnare al Caharin come combattere lo Spirito Oscuro. Il fatto che Richard ci abbia restituito la nostra terra, proprio come avevano predetto i nostri antenati, dimostra che è il Caharin.» Un soffio di vento arruffò i capelli di Du Chaillu. Gli occhi erano privi d'espressione, ma la voce era leggermente incrinata. «Uccise i trenta come stabilito dalle antiche leggi. Quei trenta ora fanno parte delle leggende del nostro popolo.» «Non potevo fare altrimenti» sussurrò Richard. «Se non li avessi fermati, mi avrebbero ucciso. Li ho implorati di smettere, ho anche implorato Du Chaillu affinché ordinasse loro di fermarsi. Non le avevo salvato la vita solo per uccidere tutta quella gente, ma alla fine mi sono difeso.» Kahlan lanciò un'occhiata molto dura a Du Chaillu, quindi tornò a dedicarsi a Richard. «Lei era tenuta prigioniera, tu le hai salvato la vita e l'hai riportata dalla sua gente, giusto?» Richard annuì. «Dopodiché hanno cercato di ucciderti? Era questo il loro modo di ringraziarti?» «C'è dell'altro.» Richard non si sentiva a suo agio nel difendere le azioni di quel popolo... azioni che avevano portato a un massacro il cui solo pensiero gli faceva tornare in mente l'odore del sangue. Kahlan lanciò una seconda occhiata in tralice a Du Chaillu. «Ma tu non le avevi salvato la vita?» «Sì.» «Cos'altro ci sarebbe, allora?» Richard cercò di spiegare quello che era successo, sebbene il ricordo gli provocasse ancora molto dolore. «Quello che hanno fatto è stato sottopormi a una prova. Una di quelle prove il cui risultato può essere solo vita o morte. Mi costrinsero a imparare a usare la magia della spada in una maniera che non credevo possibile. Al fine di sopravvivere dovetti attingere all'esperienza di tutte le persone che l'avevano usata prima di me.» «Cosa significa? Come hai potuto attingere a quelle esperienze?» «La magia della Spada della Verità ha assorbito tutte le conoscenze dei guerrieri che la usarono prima di me, non importa se sono stati buoni o malvagi. Riuscii a controllare quella capacità perché permise a quegli spiriti di parlare alla mia mente, ma nella furia del combattimento non c'era tempo per ascoltare le parole. «Le informazioni di cui avevo bisogno mi giungevano attraverso immagini e simboli in relazione tra loro. Fu allora che capii come mai le profezie si riferivano a me come fuer grissa ost drauka: il portatore di morte.» Richard toccò il rubino rosso sangue a forma di goccia che portava al petto. Le linee che si dipanavano dal gioiello erano una rappresentazione stilizzata della danza e per un mago guerriero avevano un significato ben preciso. «Questa» sussurrò Richard «è la danza della morte. Ho capito tutto quando ho affrontato quei trenta uomini. «Le profezie avevano previsto quello scontro, e insieme alle antiche leggi dei Baka Tau Mana, affermavano che essi dovessero insegnarmi a danzare con gli spiriti di chi aveva usato la spada prima di me. Dubito che avessero capito fino in fondo in che cosa consistesse la prova. Non credo che sapessero che, per mantenere fede al loro dovere, avrebbero dovuto morire. Io ero il prescelto e sarei sopravvissuto. «Avevo bisogno di quella conoscenza per poter affrontare Darken Rahl e rimandarlo nell'aldilà. Ricordi quando chiesi un raduno e lui venne da me tornando a imperversare in questo mondo e le Sorelle vennero a prendermi?» «Certo» rispose Kahlan. «Così quegli uomini ti costrinsero a combattere per la tua vita in modo che tu attingessi alla tua forza interiore... al tuo dono. E sono morti trenta maestri di spada affinché succedesse?» «Proprio così. Anche loro stavano adempiendo una profezia.» Fissò a lungo la moglie, quella vera. «Sai anche tu che a volte le profezie possono essere terribili.» Kahlan distolse lo sguardo e annuì perdendosi anche lei in ricordi molto dolorosi. Le profezie avevano causato loro moltissimi problemi, sottoponendoli a un numero imprecisato di prove. La seconda moglie di Richard, Nadine, era stata una di quelle. Du Chaillu alzò il mento. «Cinque degli uomini uccisi dal Caharin erano miei mariti e padri dei miei figli.» «I suoi cinque mariti... dolci spiriti.» Richard fulminò Du Chaillu con un'occhiataccia. «Non sei di molto aiuto.» «Vuoi dire che in base alla sua legge, il fatto che tu avessi ucciso i suoi mariti ti obbligava a sposarla?» «Non è stato per quello, Kahlan. Ho ucciso i trenta e in quel modo ho dimostrato di essere il Caharin. Du Chaillu è la loro donna degli spiriti e la legge stabilisce che lei debba essere la moglie del Caharin. Avrei dovuto pensarci prima.» «Mi sembra ovvio» sbottò Kahlan. «Ascoltami, lo so che può sembrare... So che non ha alcun senso...» «No, certo, ho capito tutto.» L'espressione gelida del volto si mutò in dolore. «Così hai compiuto un nobile gesto e l'hai sposata. Certo, certo. Ho capito tutto. Ed eri così impegnato che ti sei dimenticato di dirmelo prima di sposarmi. Ovvio, ovvio! Capisco tutto! Chi non lo farebbe? Non posso certo aspettarmi che un uomo si ricordi di tutte le mogli che ha sparse per il mondo.» Incrociò le braccia e gli voltò le spalle. «Come hai potuto, Richard...» «No! Non è andata così. Non sono mai stato d'accordo. Mai. Non c'è stata nessuna cerimonia. Non ho pronunciato nessun tipo di impegno o giuramento, lo capisci questo? Non siamo sposati. Non è mai successo niente di simile! «Sono successe tante di quelle cose e mi dispiace di non avertelo detto prima, ma non ci ho più pensato perché al tempo liquidai il tutto pensando che fosse solo una credenza irrazionale di un popolo isolato da secoli. Non ho dato nessun peso alla questione. Ho ucciso quegli uomini solo per difendermi, ma questa donna continua a pensare che quella, tra le altre cose, sia stata la dimostrazione che io ero il suo sposo promesso.» «Ed è così» confermò Du Chaillu. Kahlan lanciò una rapida occhiata mentre soppesava con freddezza le parole del suo compagno. «Così tu non hai mai accettato di sposarla? In nessun modo?» Richard alzò le mani al cielo. «È quello che sto cercando di dirti da qualche minuto. È solo una tradizione dei Baka Ban Mana.» «Baka Tau Mana» lo corresse Du Chaillu. Richard la ignorò e si avvicinò a Kahlan. «Mi dispiace, ma non possiamo parlarne più tardi? C'è il rischio che il problema che dovremo risolvere sia molto più serio di questo.» Kahlan arcuò un sopracciglio e lo fissò con aria indulgente. Richard si girò, strappò un filo d'erba e pensò se al mondo esisteva qualcosa di peggio dell'ira di Kahlan. «Tu conosci bene la magia. Voglio dire, sei nata ad Aydindril, i tuoi professori erano maghi e hai studiato sui libri del Mastio del Mago, senza contare che sei la Madre Depositaria.» «Non sono proprio una maga o un'incantatrice, ma ho il dono» confermò Kahlan «e so diverse cose sulla magia. Essendo una Depositaria sono stata istruita a riconoscere le varie forme che può assumere.» «Rispondi a questa domanda, allora: se per funzionare un incantesimo ha bisogno di un determinato requisito, tale requisito può essere espletato tramite delle leggi ambigue che non sono previste all'interno del rituale?» «Certo. Si chiama effetto riflessivo.» «Effetto riflessivo» ripeté Richard. «In cosa consiste?» Kahlan attorcigliò una ciocca di capelli umidi intorno a un dito e pensò qualche attimo alla risposta. «Poniamo il caso che tu abbia una stanza con una sola finestra e il sole non raggiunga mai un angolo. C'è un modo per illuminare quell'angolo?» «Visto che hai parlato di effetto riflessivo, allora credo che si possa usare uno specchio per indirizzare i raggi del sole nell'angolo sempre in ombra.» «Esatto.» Kahlan srotolò la ciocca dal dito. «Usi uno specchio per far arrivare la luce in un punto che altrimenti rimarrebbe sempre buio. A volte succede lo stesso con la magia. Il procedimento è molto più complicato, è ovvio, ma questo è l'esempio più facile che mi sia venuto in mente per spiegarti il principio riflessivo. «Un incantesimo può essere completato anche da una condizione così antica da essere stata dimenticata da tutti, basta che sia consona al sortilegio. Un incantesimo è un po' come l'acqua che cerca sempre di raggiungere il livello giusto. Un incantesimo cerca e trova una soluzione che si addica alla sua natura.» «Proprio quello che temevo» borbottò Richard. Mordicchiò la punta di uno stelo d'erba fissando le nuvole cariche di tempesta che si profilavano all'orizzonte. «La magia implicata in questa faccenda risale al tempo in cui fu pronunciata la profezia riguardo il Caharin» spiegò. «Ecco qual è il problema.» Kahlan lo prese per un braccio e lo girò. «Ma, Zedd ha detto che...» «Ci ha mentito. Lo sapevo.» Richard gettò via il filo d'erba. Zedd era ricorso alla Prima Regola del Mago per portarli fuori strada: la gente crede a una menzogna sia perché pensa che possa essere vera, o perché teme che lo sia. «Ho voluto credergli, e mi ha giocato» borbottò Richard. «Di cosa state parlando?» chiese Cara. Richard sospirò. Era stato troppo avventato. «Zedd si è inventato la storia dell'Insidia.» Cara lo fissò interdetta. «Per quale motivo?» «Perché non voleva farci sapere che i rintocchi sono liberi in questo mondo.» Non poteva credere di essere stato tanto stupido da aver dimenticato Du Chaillu. Kahlan aveva ragione di essere arrabbiata. Tutte le scuse che poteva accampare in quel momento erano patetiche e inadeguate. E lui avrebbe dovuto essere un lord Rahl? E la gente avrebbe dovuto credere alla sua parola e farsi guidare da lui? Kahlan si strofinò le dita sulla fronte. «Pensaci bene, Richard. Non può essere...» «Zedd ha detto che tu avresti dovuto essere la mia terza moglie per permettere ai rintocchi di avere accesso a questo mondo.» «Tra le altre cose» specificò Kahlan. «Tra le altre cose.» Richard si sentiva molto stanco, tuttavia alzò un dito. «Du Chaillu.» Alzò il secondo. «Nadine.» Alzò il terzo. «Tu. Sei la mia terza moglie. In linea di principio, comunque. «Io posso anche non pensarla in questo modo, ma ai maghi che lanciarono l'incantesimo non doveva importare molto come avrei potuto pensarla. Predisposero un incantesimo che si sarebbe attivato nel momento in cui tutti gli elementi fossero andati al loro posto.» Kahlan sospirò. «Ti stai dimenticando un altro elemento molto importante. Non eravamo ancora sposati quando pronunciai il nome dei rintocchi ad alta voce. Non ero neanche la tua seconda moglie, figuriamoci la terza.» «Quando io fui costretto a sposare Nadine e tu Drefan, affinché io potessi entrare nel Tempio dei Venti, noi pensammo di sposarci tra di noi. Per quanto riguarda gli spiriti, noi eravamo sposati. Anche Ann ha detto che era così. «Come mi hai appena spiegato, la magia a volte funziona in base a regole molto ambigue. Non importa cosa pensiamo... ci sono tutti i requisiti stabiliti dal mago che nel corso della grande guerra profetizzò la venuta del Caharin.» «Ma...» Richard fece un cenno con la mano. «Mi dispiace, Kahlan, non ci ho pensato prima, ma ora dobbiamo arrenderci all'evidenza... i rintocchi sono liberi.» 28 Richard era sicuro che Kahlan non fosse convinta della validità del suo ragionamento, anzi, a dire il vero, lei non sembrava neanche dell'umore giusto per pensare: sembrava solo molto arrabbiata. «Hai detto di lei a Zedd?» chiese Kahlan indicando Du Chaillu con un cenno della mano colmo d'ira. «Devi avergli detto qualcosa, giusto?» Richard poteva capire come si sentiva. Non gli sarebbe piaciuto scoprire l'esistenza di un secondo marito che lei si era dimenticata di menzionare, non importa se era qualcosa di innocente come con Du Chaillu. La posta in gioco era molto più importante del fatto che la donna degli spiriti dei Baka Tau Mana continuava a pensare di essere la sua prima moglie. Si trattava di qualcosa di molto più pericoloso. Kahlan doveva capire che si trovavano veramente in un mare di guai. Avevano già perso un mucchio di tempo prezioso e pregò gli spiriti di riuscire a farle comprendere la verità senza doverle spiegare per filo e per segno l'estensione del problema. «Te l'ho detto, Kahlan. Mi sono ricordato di lei solo nel momento in cui l'ho rivista. Non ho mai pensato a lei come a una moglie, quindi per me non lo era. Inoltre, ragiona, quando mai avrei avuto il tempo di dirlo a Zedd? Juni è morto prima ancora che avessimo la possibilità di parlare, dopodiché lui ha messo in piedi la storia dell'Insidia.» «Come faceva a saperlo, allora? Come ha fatto a ingannarci se non lo sapeva? Come faceva a sapere che io ero la tua terza moglie... anche se si tratta solo...» Strinse i pugni «... di qualche stupida legge molto antica che, caso strano, ti sei dimenticato di menzionare.» Richard alzò le mani. «Non c'è bisogno di sapere che in cielo ci sono le nuvole se una notte comincia a piovere. Tutti sanno che la pioggia arriva dalle nuvole. Se Zedd è giunto alla mia stessa conclusione allora la sua prima preoccupazione sarà stata quella di arginare la falla e non di pensare come si è verificata.» Kahlan afferrò la base del naso tra il pollice e l'indice. «Richard, forse parlava sul serio quando ci ha raccontato dell'Insidia.» Lanciò l'ennesima occhiata alla prima moglie del marito. «Forse ci crede perché è vero.» Richard scosse la testa. «Dobbiamo affrontare la verità, Kahlan. Rischiamo solo di peggiorare le cose se la ignoriamo e speriamo in una menzogna. La gente sta già cominciando a morire.» «La morte di Juni non dimostra che i rintocchi siano liberi in questo mondo.» «Non si tratta solo di Juni, ma anche del bambino nato morto.» «Cosa?» Kahlan si passò una mano tra i capelli. Richard comprendeva il suo desiderio: anche lui avrebbe voluto che si trattasse di un'Insidia e non dei rintocchi, perché per la prima eventualità esisteva una soluzione, ma il solo desiderarlo non serviva a far sì che lo fosse nel secondo caso. «Prima ti dimentichi di una moglie, poi lasci che la fantasia vaghi a briglia sciolta. Cosa ti ha indotto a giungere a questa conclusione, Richard?» «Perché la magia sta già cominciando a sparire. Pensa al Popolo del Fango.» La tribù del Popolo del Fango viveva in una zona sperduta delle Terre Centrali e non pensava di possedere il dono, ma al contrario di molte altre etnie, era l'unica in grado di richiamare gli spiriti dei propri antenati da oltre i confini della Grazia e, seppure per breve tempo, parlare con loro. Se l'Ordine Imperiale avesse vinto la guerra, il Popolo del Fango sarebbe stato massacrato fino all'ultimo individuo perché possedeva una minima forma di magia. Con i rintocchi liberi c'era il rischio che dovessero affrontare quell'eventualità perché sarebbero morti prima. Richard notò che Chandalen ascoltava con attenzione. «I più deboli saranno i primi a morire, l'ha detto Zedd e ho letto la stessa cosa sul diario di Kolo.» La voce si colmò di dolore. «Chi è più debole di un neonato?» Kahlan toccò l'amuleto che portava al collo e distolse lo sguardo. Lasciò cadere la mano lungo il fianco e sembrò che stesse cercando di contenere la sua ira ricorrendo alla logica. «Non ho perso contatto con il mio potere... è tutto come al solito. Se i rintocchi fossero liberi, come sostieni, anche il mio potere comincerebbe a dare segni di cedimento. Non abbiamo nessuna prova che la magia stia sparendo. Non pensi che me ne accorgerei se stesse succedendo veramente? Pensi che non abbia la benché minima conoscenza del mio potere? «Non possiamo tirare delle conclusioni tanto facilmente, Richard. I neonati muoiono, purtroppo succede, ma questo non significa che la magia stia scomparendo.» Richard si girò verso Cara che si trovava poco lontano da loro due intenta a fissare la prateria, il Popolo del Fango e in particolare i Baka Tau Mana. «Da quanto tempo la tua Agiel è inservibile, Cara?» Sul volto della Mord-Sith apparve un'espressione carica di sgomento. Se Richard le avesse tirato uno schiaffo senza dirle niente avrebbe avuto un'aria meno sorpresa. Aprì la bocca, ma non disse nulla. Sporse il mento in fuori pensando che non fosse il caso di ammettere una simile debolezza. «Lord Rahl, come potete pensare che...» «Hai preso il coltello di Chandalen. Non ti avevo mai vista preferire un'altra arma all'Agiel. Nessuna Mord-Sith lo farebbe mai. Da quanto?» Cara si inumidì le labbra, chiuse gli occhi e si girò. «Negli ultimi giorni ho cominciato ad avere problemi nell'avvertire la vostra presenza. L'unica differenza che sento è una crescente difficoltà nel capire dove siete. In principio ho pensato che non significasse nulla, ma sembra che il legame si stia indebolendo giorno dopo giorno e l'Agiel è alimentata dal legame con lord Rahl.» Richard sapeva che Cara, come tutte le altre Mord-Sith, avvertiva la sua presenza entro una distanza ragionevole e il fatto di non sentire più quel legame doveva essere qualcosa che la disorientava parecchio. Cara si schiarì la gola e fissò le nuvole lontane con gli occhi colmi di lacrime. «L'Agiel è come morta.» Solo una Mord-Sith poteva piangere sulla fine di una magia che le provocava dolore ogni volta che vi entrava in contatto. Cara tornò a fissarlo con espressione fiera. «Il mio giuramento nei vostri confronti è ancora valido e vi proteggerò fino alla fine. Tutto questo non cambia nulla per una Mord-Sith.» «E l'esercito d'hariano?» sussurrò Richard, come se cercasse di considerare l'estensione del problema. I D'Hariani traevano gran parte della loro forza e risolutezza dal legame. «Jagang sta arrivando e senza l'esercito...» Il legame era soprattutto un'antica magia che proteggeva i fedeli alla casata dei Rahl dall'azione dei tiranni dei sogni. Senza di esso... Kahlan poteva anche avere ragione, forse, proprio come aveva detto Zedd, dovevano affrontare un'Insidia, ma anche in quel caso quell'essere avrebbe fatto sparire la magia. Richard sapeva bene che Zedd aveva dovuto inventare una storia molto prossima alla verità altrimenti non sarebbe riuscito a ingannarli. Kahlan strinse un braccio di Richard: presto o tardi anche lei si sarebbe accorta del decadimento della magia. «L'esercito potrà anche non sentire il legame come prima, Richard, ma è in ogni caso fedele. La maggior parte delle Terre Centrali sono dalla parte della Madre Depositaria e tra di noi non esiste nessun legame magico. Allo stesso modo i soldati ti seguono perché credono in te. Tu hai dimostrato la tua fiducia nei loro confronti e viceversa.» «La Madre Depositaria ha ragione» disse Cara. «L'esercito vi rimarrà leale perché voi siete il suo vero capo. Proprio come me, anche loro credono in voi.» Richard fece un lungo sospiro. «Lo apprezzo molto, Cara. Davvero, ma...» «Voi siete lord Rahl. Siete la magia contro la magia e noi l'acciaio contro l'acciaio. Non cambierà nulla.» «Già, il bello della faccenda è che non posso essere la magia contro la magia. Anche se avessimo a che fare con un'Insidia invece che con i rintocchi, la magia sarebbe comunque inservibile.» Cara scrollò le spalle. «Troverete un modo per risolvere la situazione. Siete lord Rahl, spetta a voi farlo.» «Richard» disse Kahlan «Zedd ci ha detto che sono state le Sorelle dell'Oscurità a evocare l'Insidia affinché distruggesse la magia. Non hai nessuna prova che sia opera dei rintocchi. Dobbiamo fare quello che ci ha detto Zedd, altrimenti non potremo contrastare la magia delle Sorelle. Tutto tornerà a posto appena avremo raggiunto Aydindril.» Richard non riusciva ancora a farle capire. «Vorrei che fosse come dici tu, Kahlan, ma non è così» le rispose, tranquillo. Le affermazioni di Richard stavano mettendo a dura prova la pazienza di Kahlan che cominciava a dare segni di cedimento. «Perché continui a pensare che si tratti dei rintocchi quando Zedd ha parlato di un'Insidia?» Richard le si avvicinò ulteriormente. «Pensaci bene. Mia nonna, la moglie di Zedd, una volta raccontò alla sua bambina, mia madre, una storia riguardo un gatto chiamato Insidia, la quale, a sua volta, la raccontò a me, ma Zedd non poteva saperlo. Si trattava di una di quelle centinaia di storie per consolare il figlio che tirano fuori le madri. Io non ne ho mai parlato con Zedd. «Per qualche motivo a noi sconosciuto, Zedd non voleva che sapessimo la verità. Un tempo aveva un gatto che si chiamava Insidia e forse ci ha detto quel nome perché era il primo che gli è venuto in mente. Ammettilo, non ti sembra che il nome 'Insidia' sia piuttosto buffo una volta che ci rifletti sopra?» Kahlan incrociò le braccia sul petto, ma sorrise suo malgrado. «Pensavo di essere l'unica a crederlo.» Tornò ad assumere un'aria risoluta. «Ma questo non prova nulla, potrebbe trattarsi di una coincidenza.» Richard sapeva che si trattava dei rintocchi perché, proprio come era successo con il pollo che non era un pollo, ne avvertiva la presenza e desiderava ardentemente che Kahlan gli credesse. «Cosa sono queste cose... questi... rintocchi?» chiese Cara. Richard distolse lo sguardo dalle due donne concentrandosi sull'orizzonte. Conosceva molto poco riguardo quelle creature, ma quel poco era sufficiente a fargli rizzare i capelli in testa. «Un tempo gli abitanti del Vecchio Mondo volevano porre fine alla magia. La pensavano come Jagang. Forse credevano che fosse più facile re- gnare sul mondo con la spada. Quelli del Nuovo Mondo, invece, volevano che la magia non scomparisse. I maghi delle due fazioni crearono delle armi terribili al fine di prevalere sul nemico nutrendo la disperata speranza che così facendo avrebbero posto fine alla guerra. «Molte di queste armi, come i mriswith, per esempio, venivano create usando le persone. Impiegavano la Magia Detrattiva per privarle di determinate caratteristiche e la Magia Aggiuntiva per aggiungere le caratteristiche volute. In altri casi, invece, si limitavano ad aggiungere delle peculiarità. «Io credo che i tiranni dei sogni appartenessero a quest'ultima categoria d'armi create con persone alle quali era stata aggiunta una caratteristica particolare. Jagang è l'ultimo discendente dei tiranni dei sogni che imperversarono nel corso della grande guerra. Ora è l'arma a fare la guerra e non chi la brandisce. «Al contrario di Jagang che usa la magia contro di noi, nel corso della grande guerra la gente del Vecchio Mondo voleva veramente farla finita con la questione. Tutti i generi di magia dovevano sparire. I rintocchi furono creati proprio a questo scopo: privare della magia il mondo dei vivi e per questo motivo furono evocati direttamente dall'aldilà, dal mondo dove il Guardiano regna incontrastato. «Come ci ha spiegato Zedd, una volta scatenati, questi esseri evocati dall'aldilà non solo possono mettere fine alla magia, ma anche alla vita stessa.» «Aveva anche detto che lui e Ann sapevano cosa fare» gli rammentò Kahlan. Richard girò la testa e la fissò. «Perché ci avrebbe mentito allora? Perché non avrebbe avuto fiducia in noi? Se veramente poteva occuparsene lui, perché non ci ha detto la verità?» scosse la testa. «C'è dell'altro.» Du Chaillu che aveva atteso in silenzio per lungo tempo, aprì le braccia con un gesto impaziente. «I maestri di lama uccideranno queste sporche...» «Zitta!» Richard le posò un dito sulle labbra. «Non aggiungere un'altra parola Du Chaillu. Non hai idea con che cosa abbiamo a che fare. Non hai idea dei problemi che potresti causare.» Quando Richard fu del tutto sicuro che Du Chaillu rimanesse in silenzio si girò a guardare verso nord-est, in direzione di Aydindril. Era stufo di discutere, sapeva che i rintocchi erano liberi. Aveva bisogno di pensare cosa poteva fare al riguardo. Aveva bisogno di una serie d'informazioni. Ricordava che mentre traduceva alcune parti del diario di Kolo gli era capitato di leggere dei riferimenti ai rintocchi. I maghi mandavano in continuazione rapporti al Mastio del Mago, non solo per riferire informazioni sui rintocchi, ma anche per mettere al corrente i compagni degli eventi che potevano essere potenzialmente catastrofici per l'esito della guerra. Kolo scriveva di queste comunicazioni, almeno di quelle che trovava interessanti, significanti o curiose, ma non si dilungava nei dettagli; non aveva nessun motivo per riportarli nel suo diario personale. Richard dubitava che Kolo volesse che qualcuno leggesse il diario. I brevi rimandi del mago riguardo i messaggi o determinate informazioni, erano telegrafici e decisamente di parte. Kolo aggiungeva più informazioni quando era spaventato. In quelle occasioni sembrava che usasse il diario per pensare e trovare una soluzione al problema. C'era stato un periodo nel quale i rapporti sulle chimere lo avevano spaventato molto. In diversi punti del diario Kolo riportava quanto aveva letto nei rapporti, quasi volesse giustificare le sue parole, quasi a sottolineare quei particolari che lo preoccupavano personalmente. Richard ricordava di aver letto il nome del mago che era stato mandato a occuparsi dei rintocchi: Ander, ma non ne ricordava il nome per intero. Il mago Ander aveva un soprannome molto altisonante: 'la Montagna'. Sembrava che fosse un uomo molto grosso. A Kolo non piaceva in maniera particolare e spesso si riferiva a lui in tono irridente chiamandolo 'la collinetta della talpa della morale'. Dalle righe del diario si evinceva che Ander doveva aveva una grande opinione di sé. Richard ricordava chiaramente un punto nel quale Kolo esprimeva la sua indignazione nei confronti di chi non applicava bene la Quinta Regola del mago: Bada a quello che fanno le persone, non solo a quello che dicono, perché gli atti sono rivelatori delle menzogne. Kolo sembrava irritato quando scrisse che non facendo attenzione alle azioni delle persone non si applicava correttamente la Quinta Regola a personaggi come il mago Ander e si lamentava che se l'avessero fatto, si sarebbero accorti con molta facilità che quell'uomo era fedele solo ai suoi scopi e non gliene importava nulla del benessere comune. «Non mi avete ancora detto cosa sono i rintocchi» insisté Cara. Richard sentì la brezza insistente che gli accarezzava i capelli e muoveva il mantello: era come se anche gli elementi della natura lo stessero spronando a continuare, verso dove, però, neanche lui lo sapeva. Qua e là gli insetti si alzavano in volo dall'erba umida. A est l'orizzonte era evidenziato dalle nuvole e dalla formazione a V delle anatre che migravano verso nord. Richard non aveva mai prestato molta attenzione all'argomento rintocchi quando era stato affrontato al matrimonio. Zedd aveva placato ogni sua preoccupazione e, in quei momenti aveva altro a cui pensare. In seguito aveva trovato un pollo morto fuori dalla casa degli spiriti, Juni era stato assassinato e ogni volta che vedeva la creatura-pollo nelle vicinanze gli veniva la pelle d'oca. Zedd gli aveva fornito gli ultimi dettagli e Richard si era allarmato ancora di più e da quel momento aveva cercato di ricordare tutto ciò che poteva sui rintocchi. Quando aveva letto il diario di Kolo in cerca di informazioni era incappato più volte in riferimenti riguardanti quelle creature ma, sebbene al tempo non avesse prestato loro molta attenzione, in quel momento riuscì a ricordare gran parte di quello che aveva letto. «I rintocchi sono creature molto antiche generate nel mondo sotterraneo. Possono penetrare in questo mondo solo se la Grazia è lacerata. Sono creature dell'aldilà, quindi sono frutto della Magia Detrattiva e ogni volta che entrano in questa dimensione creano uno squilibrio. La magia richiede sempre un equilibrio. Essendo degli esseri composti totalmente di Magia Detrattiva hanno bisogno di quella Aggiuntiva per poter continuare a sopravvivere in questa dimensione, quindi risucchiano la magia di questo mondo.» Cara, che non si era mai dimostrata molto portata per la magia, sembrò ancora più confusa dalla spiegazione e Richard comprendeva il suo stato d'animo. Neanche lui era molto addentro alla materia e quanto le aveva spiegato era tutto ciò che era riuscito a capire e non era neanche sicuro di essere stato abbastanza chiaro. «Ma come possono farlo?» gli chiese. «Pensa al mondo come a un barile d'acqua. I rintocchi sono il foro nel barile dal quale è stato tolto il tappo, quindi l'acqua esce. Una volta che l'acqua sarà fuoriuscita del tutto le doghe del barile si seccheranno. A quel punto si può dire che il barile sia diventato un guscio privo di vita che possiede una certa somiglianza con quello che era un tempo. «Il semplice fatto che i rintocchi esistano fa sì che la magia venga risucchiata dal mondo dei vivi, fungono da buco nel barile. Però, per entrare in questo mondo hanno bisogno di una forma. Sono creature che hanno una natura particolare e possono uccidere. «Essendo degli esseri magici, essi hanno la capacità di prendere le sembianze delle creature che uccidono, senza però perdere neanche una goccia del loro potere, proprio come successe con il pollo. Quando uccisi il pollo con la freccia, il rintocco si limitò ad abbandonare quella forma. Il vero pollo era quello che avevamo trovato morto dietro il muretto: il rintocco ha preso in prestito il suo aspetto e l'ha usato come travestimento per perseguitarci.» Cara cominciò a preoccuparsi. «Vorreste dire che chiunque di queste persone potrebbe essere un rintocco?» chiese, guardandosi intorno. «Da quello che ho appreso, queste creature non hanno un'anima e per questo motivo non possono prendere la forma umana, ma solo quella degli animali. Secondo Zedd è anche vero il contrario: Jagang ha un'anima quindi può entrare nella mente di una persona perché ha bisogno di un'anima. «Quando i maghi di un tempo usarono le persone per creare delle armi, questi esseri conservavano ancora l'anima ed era proprio per questo motivo che potevano essere controllati. Per questo motivo i rintocchi sono così pericolosi, sarebbe come cercare di ragionare con un fulmine.» «Tutto chiaro.» Cara alzò un dito come se stesse prendendo un appunto mentale. «Non possono assumere la forma di una persona. Perfetto.» Indicò il cielo. «Però potrebbero essere tra quelle allodole, giusto?» Richard diede un'occhiata agli uccelli dal petto giallo. «Forse. Sicuramente possono uccidere qualsiasi animale abbiano voglia e prenderne la forma. Non avrebbero bisogno di pensarci molto.» Richard indicò il terreno bagnato. «Potrebbero anche essere nascosti in quella pozzanghera ai tuoi piedi. Alcuni sembrano avere una certa familiarità con l'acqua.» Cara fissò la pozzanghera e fece un passo indietro. «Volete dire che il rintocco che ha ucciso Juni si era nascosto nell'acqua per tendergli un agguato?» Richard lanciò una rapida occhiata a Chandalen e rispose con un singolo cenno del capo facendo capire a Cara che confermava la sua ipotesi. «I rintocchi si nascondono, o aspettano, se preferisci, nei luoghi bui. Sembra che siano in grado di spostarsi lungo i bordi delle cose. Per esempio possono muoversi lungo le spaccature nelle rocce o sulla superficie dell'acqua. Le mie sono solo supposizioni, perché Kolo spiegava che si potevano muovere lungo i confini, dove questo incontra quello. Alcuni si nascondono nel fuoco e possono spostarsi nelle scintille.» Fissò Kahlan con la coda dell'occhio ricordando come avesse preso fuoco la casa dei morti. «A volte, se vengono disturbati o infastiditi possono bruciare un posto solo per capriccio. «Si dice che alcuni siano così belli da togliere il fiato... per sempre. Sono appena visibili, a meno che tu in qualche modo non attiri la loro attenzione. Da quanto ho letto nel diario sembra che i rintocchi possano prendere la forma dei nostri più ardenti desideri e renderli irresistibili. Deve essere così che seducono le persone conducendole fino alla morte. «Forse hanno fatto lo stesso con Juni. Probabilmente ha visto qualcosa di tanto bello che ha deciso di abbandonare le armi, il suo senso del dovere... il buonsenso e l'ha seguita fino al punto in cui è annegato. «Altre pretendono di essere adorate. Credo che succeda perché provenendo dal mondo sotterraneo condividono la stessa sete di venerazione del Guardiano. Ho letto che hanno anche protetto le persone che li adoravano senza riserve, ma credo che sia un contratto piuttosto pericoloso. L'adorazione li lusinga ma, sempre secondo Kolo, se smetti di farlo si rivoltano contro di te. «Amano cacciare, non si stufano mai. Cacciano le persone e non hanno pietà. Si divertono molto a uccidere con il fuoco. «La traduzione esatta dal D'Hariano Alto significa più o meno 'i rintocchi del destino' o 'i rintocchi della morte'.» Du Chaillu ascoltava in silenzio torva in volto. I maestri di spada continuavano a sembrare indifferenti e rilassati, ma la loro postura era in qualche modo incrinata da un'agitazione appena percettibile che Richard trovava inspiegabile. «Credo che abbiamo capito tutti» disse Cara. Chandalen che aveva ascoltato tutta la spiegazione con attenzione disse: «Tu credi a tutto questo, Madre Depositaria? Credi a quello che ha detto Zedd e che non si tratti dei rintocchi della morte, giusto?» Kahlan fissò Richard per un attimo, quindi si rivolse a Chandalen. «La spiegazione di Zedd è molto simile a quella che hai appena sentito» disse in tono duro «ma questo non significa che l'essere descritto dal mago sia meno pericoloso. La differenza rispetto a quello che ha detto Richard è che dobbiamo andare ad Aydindril per riuscire a porre rimedio al problema. Sono piuttosto riluttante nell'ammetterlo, ma credo che Zedd abbia ragione. Non abbiamo a che fare con i rintocchi.» «Vorrei tanto che fosse come dici tu» rispose Richard. «Ma sono loro. Io credo che Zedd volesse tenerci lontani dal pericoli, mentre cercava di rimandare nell'aldilà i rintocchi.» «Lord Rahl è la magia contro la magia» disse Cara rivolgendosi a Kahlan. «Sa bene di cosa si tratta. Se lui crede che si tratti dei rintocchi, allora devono essere proprio loro.» «Richard, stai cercando di convincerti che si tratta dei rintocchi e continuando a ripeterlo hai persuaso anche Cara. Ti stai concentrando troppo su quell'eventualità, perché temi che possa essere plausibile.» Era un riferimento voluto alla Prima Regola del Mago, gli stava suggerendo che aveva cominciato a credere a una menzogna. Richard valutò la fiera determinazione negli occhi della moglie. Aveva bisogno dell'aiuto di Kahlan per affrontare quella situazione, non poteva farlo da solo. Decise che non aveva più scelta. Chiese a tutti di aspettare, le mise una mano sulla spalla e si allontanò dal gruppo. Era necessario che lei gli credesse. Doveva dirle tutto. 29 Kahlan si allontanò con il marito di buon grado, contenta di poter discutere lontano dagli altri. Richard, invece, preferiva parlarle in privato perché quanto stava per dirle era molto importante. Richard diede un'occhiata alle sue spalle e vide i cacciatori di Chandalen che si appoggiavano con noncuranza alle lance dalle punte avvelenate. Sembravano aspettare con un certa indolenza che Kahlan e Richard finissero di parlare tra di loro e tornassero. Lui sapeva bene che non c'era nulla d'indolente in quei guerrieri che si erano disposti in maniera da poter controllare al meglio ogni movimento dei Baka Tau Mana. Quella era la loro terra e sebbene i nuovi arrivati conoscessero Richard, erano pur sempre stranieri. Da parte loro i Baka Tau Mana erano tranquilli. Alcuni parlavano tra di loro indicando le nubi all'orizzonte e altri si stiravano o sbadigliavano. Richard aveva combattuto contro quei guerrieri e sapeva che il più grande errore che si poteva commettere era di sottovalutare la postura rilassata e indifferente di quegli individui. Erano tutti uomini che avevano vissuto un'esistenza molto dura. Avevano sempre fronteggiato un altro popolo votato alla loro distruzione e grazie all'addestramento che ricevevano fin da bambini erano pronti a uccidere in ogni momento. Nel corso del primo incontro con i maestri di spada, Richard aveva chiesto a Sorella Verna se erano pericolosi e lei gli aveva raccontato che una volta uno di loro era entrato nelle caserme della guarnigione di Tanimura e aveva ucciso quasi cinquanta soldati ben armati prima di essere abbattuto. Verna gli aveva raccontato che combattevano come se fossero spiriti invincibili e più di una persona credeva che lo fossero veramente. Richard non voleva che un piccolo errore di giudizio da entrambe le par- ti portasse a uno scontro. Il Popolo del Fango e i Baka Tau Mana erano fin troppo bravi a combattere. Cara, tutt'altro che calma, non perdeva di vista neanche per un attimo nessuna delle due fazioni. La Mord-Sith, i Baka Tau Mana e il Popolo del Fango rappresentavano i tre vertici di un triangolo che avevano come punto in comune la stessa lotta. Erano alleati di Richard e Kahlan e avevano sposato la loro causa anche se sembravano appartenere a mondi molto distanti tra loro. Tutti tenevano in gran conto gli stessi valori: la famiglia, il lavoro duro, l'onestà, il senso del dovere, la lealtà e la libertà. Kahlan posò una mano sul petto del marito. «Richard, a dispetto di quanto sento in questo momento, so che stai agendo per il bene di tutti, solo che non sembri ragionare. Sei il Cercatore di Verità; devi smettere di voler avere ragione a tutti i costi e cominciare a cercare veramente la verità. Possiamo fermare la magia delle Sorelle e l'Insidia. Zedd e Ann sono in grado di contrastare l'incantesimo. Perché continui a ostinarti?» «Kahlan» esordì Richard, a voce bassa «la creatura-pollo era un rintocco.» La Madre Depositaria sfiorò con le dita il medaglione che portava al collo senza neanche rendersene conto. «Sai che ti amo e ti credo, Richard, solo che questa volta io...» «Kahlan» la interruppe Richard. Sapeva già cosa voleva dirgli, ma ora voleva solo essere ascoltato e attese che lo sguardo della moglie gli indicasse che era pronta a farlo. «Sei stata tu a richiamare i rintocchi in questo mondo. Non lo hai fatto per causare dei problemi... nessuno sarebbe disposto a crederlo. Lo hai fatto per salvare me. Ero quasi morto e avevo bisogno del tuo aiuto, quindi anch'io sono implicato in tutto questo. Senza di me tu non avresti dovuto compiere determinate azioni.» «Non ti dimenticare dei nostri antenati» gli rammentò Kahlan. «Noi non saremmo mai venuti al mondo se loro non avessero concepito dei figli. Suppongo che tu pensi che anche loro siano implicati, giusto?» Richard si inumidì le labbra e la prese delicatamente per le spalle. «Stavo solo dicendo che tutto questo è cominciato perché è stato portato dell'aiuto a qualcuno. Questo, in ogni caso, non ti rende colpevole. Non c'era alcuna malizia nelle tue intenzioni. Devi capirlo ed esserne cosciente. Hai pronunciato le parole che completavano l'incantesimo e questo, anche se in maniera indiretta, ti ha reso responsabile di quanto sta accadendo. Sei stata tu a far entrare i rintocchi in questo mondo. «Zedd deve avere avuto degli ottimi motivi per pensare che fosse meglio non dirci nulla. Vorrei che ci avesse detto la verità, ma non lo ha fatto. Te lo ripeto, sono sicuro che aveva le sue buone ragioni e per quello che ne so, forse erano delle ragioni più che valide.» Kahlan premette le dita sulle fronte, chiuse gli occhi e sospirò paziente. «Sono d'accordo con te sul fatto che il comportamento di Zedd è stato piuttosto bizzarro e che ci sono delle domande che sono rimaste prive di risposta, ma questo non significa che dobbiamo balzare a una conclusione diversa solo perché ne vogliamo una a tutti i costi. Zedd è il Primo Mago: dobbiamo avere fiducia in lui.» Richard le sfiorò una guancia. Desiderava essere da solo con lei, veramente da solo e cercare di porre rimedio alle sue dimenticanze. Non voleva dirle le parole che stava per pronunciare, ma non poteva fare altrimenti. «Ti prego, Kahlan, ascolta bene quanto sto per dirti, poi decidi. Vorrei essermi sbagliato. Davvero, lo vorrei. Decidi tu. «Quando i cacciatori sorvegliavano la casa degli spiriti i rintocchi erano fuori. Una di quelle creature ha ucciso il pollo perché in quel momento non aveva altro di meglio da fare e perché a loro piace uccidere. «Quando Juni ha udito il rumore, lo stesso che ho sentito anch'io, è andato a controllare, non ha trovato nulla e ha insultato l'assalitore invisibile affinché si manifestasse. Il rintocco lo ha preso in parola e lo ha ucciso per averlo insultato.» «Anch'io ho insultato la creatura dall'aspetto di pollo, perché allora non sono stata uccisa?» Kahlan si passò una mano sugli occhi. «Rispondi Richard, perché non mi ha uccisa?» Richard la fissò negli occhi per un lungo attimo mentre faceva appello a tutto il coraggio che gli serviva per rispondere alla domanda. «È stato il rintocco stesso a dirti il perché, Kahlan.» «Cosa?» disse Kahlan, socchiudendo gli occhi. «Di cosa stai parlando?» «La creatura-pollo non era un'Insidia. Era un rintocco e non si stava rivolgendo a te usando il titolo di Madre Depositaria. Era un rintocco e sapeva quello che stava dicendo. «Ti ha chiamata 'Madre'.» Kahlan strabuzzò gli occhi dalla sorpresa. «In un certo senso, essi ti rispettano perché sei stata tu a far sì che entrassero in questo mondo. Sei stata tu a dare loro la vita, quindi ti conside- rano come se fossi una madre. Hai solo supposto che la creatura avesse aggiunto la parola 'Depositaria' perché sei abituata a sentirti chiamare con quel titolo. «Ma il rintocco non si stava rivolgendo a te con il tuo appellativo ufficiale, Kahlan. Il rintocco lo intendeva nel senso più comune del termine.» Richard ebbe l'impressione di vedere le sue parole che demolivano la fortezza di razionalità costruita con molta cura dalla moglie. A un certo punto, certe verità sono avvertite in maniera tanto viscerale che si piantano in una persona con la potenza di un quadrello lanciato da una balestra. Gli occhi di Kahlan si colmarono di lacrime e si strinse al marito per cercare conforto in quell'abbraccio. Emise un singhiozzo e asciugò la lacrima che le aveva solcato la guancia. «Credo che ti sia salvata solo per quel motivo» disse a voce bassa, mentre la stringeva. «Non voglio che tu debba nuovamente confidare nella loro carità per rimanere in vita.» «Dobbiamo fermarli.» Represse un secondo singhiozzo. «Dolci spiriti, dobbiamo fermarli.» «Lo so». «Sai cosa bisogna fare?» gli chiese. «Hai una minima idea di come poterli rimandare nel mondo dei morti?» «Non ancora. Prima di trovare una soluzione è necessario riconoscere qual è il problema vero e proprio e adesso credo che ci siamo riusciti, giusto?» Kahlan annuì e si asciugò gli occhi. La comprensione le aveva fatto venire le lacrime gli occhi, ma allo stesso modo la determinazione le aveva bandite. «Perché i rintocchi si sarebbero appostati fuori dalla casa degli spiriti?» Il pensiero che mentre loro due esultavano per il loro amore dentro quell'edificio fuori c'erano degli esseri che gioivano solo quando uccidevano, le dava il voltastomaco. «Non lo so. Forse i rintocchi volevano stare vicino a te.» Ora che aveva capito tutto, Kahlan era d'accordo con la supposizione di Richard. Era così ovvio: volevano essere vicini alla madre. Richard ricordava ancora lo sguardo di Kahlan quando Nissel aveva portato il piccolo cadavere del neonato nella casa dei morti. Erano stati i rintocchi a causare quel decesso ed erano solo al principio. «Cos'è una Grazia Letale? Ne hai parlato ieri quando abbiamo incontrato Zedd e Ann.» «La maggior parte dei fatti che ho riferito sui rintocchi provengono dal diario di Kolo. Lui era molto spaventato da questi esseri e scrisse parecchio sulla loro natura. Alla fine aveva scritto: 'Ricorda bene le mie parole: guardati dai Rintocchi e se il pericolo fosse grande, traccia tre volte per terra una Grazia Letale con il sangue, la sabbia e il sale.'» «Cosa significa?» «Non lo so. Speravo che Zedd o Ann potessero darmi delle spiegazioni. Mio nonno sa tutto sulla Grazia.» «Pensi che la Grazia letale possa fermare i rintocchi?» «Non lo so, Kahlan. Mi è sembrato che fosse una specie di invito disperato al suicidio.» Kahlan prese a pensare alle parole del diario di Kolo. «Posso capire se avesse consigliato il suicidio. Ho sentito il male emanato da quelle creature» disse Kahlan, lasciando vagare lo sguardo nel vuoto. «Quando ero nella casa che il Popolo del Fango usa per comporre i cadaveri prima della sepoltura e il rintocco era con me, ho sentito tutta la sua malvagità. È stato spaventoso. «Stava cavando gli occhi di Juni. Era soltanto un cadavere, ma quell'essere continuava a infierire.» La strinse nuovamente tra le braccia. «Lo so.» Kahlan si allontanò leggermente dal petto del marito. Nei suoi occhi brillava una luce di speranza. «Ieri, quando eravamo con Zedd e Ann, hai detto che in un primo momento Kolo era piuttosto allarmato, ma dopo aver analizzato la situazione i maghi del Mastio avevano scoperto che i rintocchi erano un'arma piuttosto banale che poteva essere neutralizzata facilmente.» «Già, ma Kolo scriveva solo che tutti al Mastio erano più sollevati per via di quella scoperta, ma non ha detto quale fosse. Non ha scritto la soluzione. Ha solo riportato che fu inviato un mago, uno che chiamavano Montagna, a mettere a posto la situazione. Non ci sono dubbi sul fatto che ci sia riuscito.» «Pensi che ci sia qualche tipo d'arma efficace contro quelle creature? Juni era armato fino ai denti, ma non gli è servito a nulla. Potrebbero essercene altre?» «Kolo non dava nessuna indicazione. Le frecce non hanno ucciso la creatura-pollo e il fuoco non serve a nulla. «Zedd insisteva parecchio sul fatto che dovevo riprendere la Spada della Verità. Può aver mentito inventando la storia dell'Insidia per tenerci lonta- ni dai guai, ma non credo che mentirebbe sulla spada. Voleva che la riprendessi e ha detto che forse era l'unica magia in grado di proteggermi. Gli credo.» «Perché pensi che quella creatura scappasse da te? Voglio dire, capisco che mi considerino la loro madre e che nutrano una sorta di... rispetto nei miei confronti e per questo motivo non mi facciano del male, ma se sono così potenti, perché dovrebbero scappare al tuo cospetto? Li hai solo colpiti con una freccia e hai detto che non hai causato loro alcun danno. Perché scappano?» Richard si passò una mano tra i capelli. «Me lo sono chiesto anch'io e l'unica risposta che ho trovato plausibile è che essendo creature generate dalla Magia Detrattiva, esse mi temano perché sono l'unico mago esistente in grado di usare entrambi gli aspetti della magia. Forse temono che la mia parte Detrattiva possa danneggiarli, o almeno spero che sia così.» «E il fuoco? Quella parte di falò che bruciava nonostante la pioggia e che tu hai spento, era uno di loro, giusto?» Richard odiava l'idea che quelle creature si fossero nascoste in uno dei falò accesi per il matrimonio. «Sì. Era Sentrosi... il secondo rintocco. Significa 'fuoco'. Reechani, il primo vuol dire 'acqua' e il terzo, Vasi, significa 'aria'.» «Ma tu hai spento il fuoco e il rintocco non ti ha fatto nulla. Non ti sei limitato a un insulto come Juni, hai fatto qualcosa di ben più grave. Anche la creatura dall'aspetto di pollo scappava da te.» «Non lo so, Kahlan. Non so proprio cosa dire.» Kahlan lo fissò negli occhi, esitò per un istante, quindi disse: «Forse non ti hanno fatto del male per lo stesso motivo per cui non lo hanno fatto a me.» «Pensano che sia la loro madre?» «Padre» lo corresse Kahlan, carezzando il medaglione. «Ho usato l'incantesimo affinché tu potessi rimanere in vita, per impedirti di andare nel mondo dei morti. L'incantesimo ha richiamato i rintocchi perché avevano il potere di impedire la tua morte. Forse pensano che noi siamo i loro genitori.» Richard sospirò. «È possibile, ma quando ne avverto la vicinanza c'è qualcosa di più... qualcosa che mi fa rizzare i capelli in testa.» «Qualcosa di più? Cosa intendi dire?» «È come se ogni volta che si avvicinano io fossi in grado di avvertire la bramosia e l'odio mostruoso che li anima.» Kahlan strofinò una mano sul braccio e un sorriso carico d'amara ironia le apparve sulla bocca. «Shota ha sempre detto che avremmo concepito dei figli mostruosi.» Richard le posò una mano sulla guancia. «Un giorno, Kahlan. Un giorno.» La Madre Depositaria era sull'orlo delle lacrime, distolse lo sguardo, fissò l'orizzonte e si schiarì la gola. «Be', c'è un lato positivo in tutto questo. Se effettivamente la magia sta svanendo, anche Jagang perderà un prezioso aiuto per il suo esercito. «Ha usato un mago per cercare di ucciderci ed è stato in grado di impiegare le Sorelle della Luce per rubare l'incantesimo della peste dal Tempio dei Venti. Se la magia dovesse scomparire anche Jagang avrà i suoi problemi.» Richard si mordicchiò il labbro inferiore. «Ci ho pensato anch'io, ma se quella creatura aveva paura di me perché ho la Magia Detrattiva, il controllo che Jagang esercita su quelle persone che hanno tale prerogativa potrebbe venire meno, ma...» «Dolci spiriti» sussurrò Kahlan, girandosi. «Le Sorelle dell'Oscurità. Non sono nate con quella parte del dono, ma sanno come usarla.» Richard annuì riluttante. «Temo che Jagang abbia ancora le Sorelle dell'Oscurità e la loro magia funzionerebbe ancora.» «Allora, Ann e Zedd sono la nostra ultima speranza. Speriamo che siano in grado di contrastare i rintocchi.» Richard non poté fare a meno di sorridere. «E come? Nessuno di loro due è in grado di usare la Magia Detrattiva. La loro magia è destinata a sparire. Si ritroveranno a essere indifesi come quel neonato che è morto. Sono sicuro che sono andati da qualche parte, ma dove?» Kahlan lo gratificò con uno di quegli sguardi che lei definiva 'da Madre Depositaria'. «Se ti fossi ricordato della tua prima moglie al momento giusto, Richard, avremmo potuto dirlo a Zedd. Forse avrebbe fatto qualche differenza. Ora abbiamo perduto ogni possibilità. Hai scelto un bruttissimo momento per essere negligente.» Avrebbe voluto discutere con lei e dimostrarle che si stava sbagliando, ma sapeva benissimo che non era così. Zedd sarebbe andato ad affrontare le chimere da solo e Richard si chiese se fosse il caso di tornare indietro e seguirlo. Kahlan prese la mano del marito e insieme a lui tornò dagli altri. Sul volto era apparsa l'espressione piena d'autorità e priva d'espressione di una Depositaria. «Non ne sappiamo ancora molto» annunciò «ma sono convinta che i rintocchi vaghino liberi per questo mondo.» 30 Kahlan ripeté l'annuncio nella lingua del Popolo del Fango affinché anche i cacciatori potessero capire. Richard aveva sperato con tutto il cuore che la moglie avesse avuto ragione riguardo l'Insidia perché avrebbero avuto una soluzione per il problema. Tutti sembravano comprensibilmente spaesati nel sentire Kahlan che dava ragione alla tesi del marito dopo aver difeso con tanta veemenza la sua posizione. Il fatto che anche Kahlan fosse d'accordo con Richard fugò i dubbi di tutti i presenti. Le parole delle Madre Depositaria avevano cambiato radicalmente la situazione. Un silenzio carico di disagio scese sulla prateria. Richard sapeva che bisognava agire al più presto, ma non aveva la minima idea di quale potesse essere il prossimo passo da compiere. Non sapeva da dove iniziare. Solo in quel momento cominciava a capire cosa avrebbe dovuto fare quando ne aveva avuto la possibilità. Si era concentrato a tal punto sul pericolo che aveva ignorato tutto il resto. Era lontanissimo dai boschi in cui era nato e cresciuto e desiderava moltissimo potervi tornare. Era stato una guida e non aveva mai dimenticato il sentiero che stava seguendo o fatto cadere qualcuno in un dirupo. Rivolse la sua attenzione alla donna degli spiriti dei Baka Tau Mana. «Perché siete venuti fin qua, Du Chaillu?» «Ahh» disse Du Chaillu le dita di fronte al lei con un gesto lento e misurato. «Ora il Caharin desidera parlarmi?» La donna era un concentrato di rabbia. Richard non riusciva a capirne il motivo e, a dire il vero, non gliene importava molto. «Già. Come mai sei qua?» «Abbiamo viaggiato a lungo patendo un gran numero di privazioni. Abbiamo seppellito alcuni di quelli che avevano intrapreso il viaggio con noi. Siamo stati costretti ad aprirci la strada combattendo in terre ostili e abbiamo sparso molto sangue per raggiungerti. «Abbiamo lasciato la nostre famiglie e coloro che amavamo per mettere in guardia il Caharin. Siamo rimasti senza cibo e non abbiamo dormito. Abbiamo passato notti durante le quali abbiamo pianto per la nostalgia di casa. «Ho viaggiato con il bambino che il Caharin mi ha chiesto di tenere quando un'erborista mi avrebbe fornito il rimedio per liberarmi di lui e di tutti i ricordi terribili a cui è legato. E lui? Lui non riconosce neanche che ho tenuto fede alla parola che gli avevo dato accettando la responsabilità di tenere il bambino. «Il Caharin non ha neanche riconosciuto che il bambino mi ricorda ogni giorno che ho passato in catene in quella prigione puzzolente dei Majendie. Mi ricorda dove sono rimasta incinta. Mi ricorda di come quegli uomini mi hanno usata per fare i loro comodi per poi ridere di me. Mi ricorda la paura che avevo ogni giorno di essere sacrificata. Mi ricorda di quando piangevo per i miei bambini lasciati soli senza una madre. Mi ricorda che temevo di non vederli più sorridere e crescere. «Ma io ho onorato le parole del Caharin e ho tenuto il bambino di quei cani, solo perché mi era stato chiesto dal Caharin. «Il Caharin presta ben poca attenzione alla sua gente che ha viaggiato così a lungo. Per lui siamo solo pulci da grattare via. Non ha chiesto come vanno le cose nella nostra terra natia. Non ci invita a sedere con lui in modo che possiamo parlare con calma. Non ci chiede se siamo in pace, se in questo momento abbiamo fame o sete. «Lui urla e dice che non siamo la sua gente perché non conosce le leggi che ci hanno permesso di sopravvivere per un numero imprecisato di secoli, e non presta attenzione a queste leggi solo perché non gli erano state insegnate, come se questo fatto le rendesse poco importanti. Sono morti in molti affinché lui potesse imparare queste leggi e sopravvivere ancora un giorno. «Per lui la sua gente vale quanto lo sterco sotto i suoi stivali. Ha allontanato la sua sposa legittima in un attimo e la tratta come se fosse solo un fastidio da accantonare quando crede meglio. «Le leggi antiche ci avevano promesso un Caharin. Devo ammettere che non ci avevano promesso una persona che avrebbe vissuto onorando le nostre leggi, anche se ho sempre creduto che un uomo avrebbe onorato il sacrificio di coloro che hanno sofferto per lui. «Ho sofferto per la morte dei miei mariti e ho pianto lontana da te in modo che tu non fossi disturbato. I miei bambini hanno sofferto con coraggio per la perdita del padre. Piangevano nel loro letto per l'uomo che un tempo baciava loro la fronte e gli augurava la buonanotte. Tu non hai chiesto come mi sento senza i miei mariti e come stanno i bambini. «Non mi hai neanche chiesto come me la passavo mentre il mio nuovo marito era in giro a prendere altre mogli. Hai così poca considerazione di me che non ti sei preoccupato di dirmi che avevi una nuova moglie.» Du Chaillu alzò il mento indignata. «Posso parlare? Vorresti almeno sapere quello che ho passato io? O non vuoi ascoltare qualcosa che non è degno delle tue nobili orecchie?» Du Chaillu sputò ai suoi piedi. «Mi hai coperta di vergogna.» Incrociò le braccia sul petto e gli diede le spalle. Richard guardò alle spalle della donna. I maestri di spada sbirciavano con l'aria di chi avrebbe preferito essere sordo o avvistare un uccello nel cielo. «Du Chaillu» ringhiò Richard, che cominciava ad arrabbiarsi a sua volta «non puoi incolparmi per la morte di quei guerrieri. Ho cercato in tutti i modi di fermarli e di non fare loro del male e questo lo sai benissimo anche tu. Ti ho implorato di fermarti. Ero in tuo potere, ma non lo hai fatto. Ho odiato quello che ho fatto e tu sapevi bene che non avevo scelta.» La donna girò la testa fulminandolo con un'occhiata. «Non avevi scelta. Avresti potuto scegliere di morire. Ti avevo promesso che avresti ricevuto una morte rapida come ringraziamento per avermi liberata dai Majendie, ti bastava non resistere. Sarebbe stata la tua vita contro quella di trenta guerrieri: visto che tieni così tanto alla vita altrui avresti dovuto lasciarti uccidere.» Richard digrignò i denti agitando un dito in direzione della donna. «Prima mi fai attaccare dai tuoi uomini e poi ti aspetti che mi lasci assassinare senza neanche provare a difendermi? E tutto questo dopo averti salvato la vita? Se fossi morto al posto di quegli uomini, dopo i morti sarebbero stati molti di più. Sai che ho riportato la pace. Senza contare che non sai nulla di quello che stava succedendo.» La donna sbuffò. «Ti sbagli, marito.» Gli diede nuovamente la schiena. «Capisco molto di più di quello che tu non vorresti che capissi.» Cara alzò gli occhi al cielo. «Lord Rahl, dovete imparare a rispettare le vostre mogli, altrimenti non avrete un momento di tranquillità in casa» disse Cara, mentre lo superava. «Lasciate che parli con lei da donna a donna. Vediamo se posso aggiustare le cose.» Cara prese sottobraccio Du Chaillu per parlare a quattr'occhi e sei spade uscirono dai foderi. In un attimo il luccichio delle lame balenò nell'aria del mattino e i sei maestri di spada avanzarono facendo roteare le armi dalla mano sinistra alla destra e viceversa. I cacciatori del Popolo del Fango si fecero avanti per bloccarli. La tranquilla prateria rischiava di trasformarsi in un attimo nel teatro di uno scontro sanguinoso. Richard alzò le mani. «Fermi tutti!» Si parò di fronte alla Mord-Sith e Du Chaillu bloccando l'avanzata dei maestri di spada. «Lasciala andare, Cara. È la loro donna degli spiriti. Non ti è permesso toccarla. I Baka Ban Mana sono stati perseguitati e sacrificati dai Majendie per millenni ed è ovvio che diventino nervosi quando uno straniero mette loro le mani addosso.» Cara lasciò andare il braccio di Du Chaillu, ma entrambe le fazioni non volevano abbassare le armi. Il Popolo del Fango si era ritrovato con guerrieri ostili nelle loro terre e i Baka Tau Mana pensavano che qualcuno volesse attaccare la loro donna degli spiriti. La tensione era al massimo. C'era il pericolo che qualcuno sfruttasse il vantaggio del primo colpo preoccupandosi solo dopo dei morti. «Ascoltatemi! Tutti!» urlò Richard continuando a tenere una mano bene in vista, mentre con l'altra mano tirò il laccio che Du Chaillu portava al collo nella speranza di trovare quello che pensava fosse nascosto sotto l'abito della dorma. I cacciatori sgranarono gli occhi quando Richard tirò fuori il fischietto d'osso. «Questo è il fischietto dell'Uomo Uccello.» Lanciò una rapida occhiata dietro di sé, individuò Kahlan e le sussurrò a mezza voce di iniziare a tradurre per i cacciatori. «Tutti voi ricorderete che l'Uomo Uccello me lo donò come segno di pace. Questa donna, Du Chaillu, è una protettrice della sua gente. Per onorare l'Uomo Uccello e nella speranza che potesse servire alla pace, le ho donato il fischietto. Doveva usarlo in modo da richiamare gli uccelli affinché mangiassero i raccolti dei loro nemici. In questo modo ora i due popoli vivono in pace. «I Baka Tau Mana sono debitori nei confronti del Popolo del Fango e il Popolo del Fango è debitore nei loro confronti, perché essi hanno onorato il dono dell'Uomo Uccello usandolo per portare la pace invece della guerra. E. Popolo del Fango dovrebbe essere orgoglioso di sapere che i Baka Tau Mana devono la sicurezza delle loro famiglie a un dono fatto dal Popolo del Fango. «I vostri due popoli sono amici.» I contendenti rimasero immobili ponderando le parole di Richard. Jiaan rimise la spada nel fodero e aprì il vestito mostrando il petto a Chandalen. «Ringraziamo il tuo popolo per la pace e la prosperità che il vostro dono ha portato ai Baka Tau Mana. Non combatteremo contro di voi. Se desiderate riprendere la pace che ci avete dato, allora potrete colpirci al cuore, non ci difenderemo.» Chandalen posò l'estremità inferiore della lancia a terra. «Richard il Collerico ha ragione. Siamo contenti che un dono del nostro popolo sia stato usato... per portare la pace. Siete i benvenuti.» Chandalen si girò e impartì alcune istruzioni ai cacciatori sottolineandole con dei movimenti delle braccia. Richard fu grato agli spiriti per l'aiuto. Kahlan prese Du Chaillu per un braccio. «Voglio parlare con lei» disse in tono deciso. Era ovvio che ai Baka Tau Mana non andava giù quello che stava succedendo, ma non sapevano cosa fare. Neanche Richard era sicuro che fosse una buona idea. Avrebbe potuto essere l'inizio di un'altra guerra, tuttavia, anche se riluttante, decise che era meglio lasciare che le due donne si parlassero. Kahlan era risoluta e a lui non restò altro da fare che girarsi verso i maestri di spada. «Kahlan, mia moglie, è la Madre Depositaria, il capo della gente che vive nel Nuovo Mondo. È rispettata quanto la vostra donna degli spiriti, Du Chaillu. Avete la mia parola di Caharin che la Madre Depositaria non le farà alcun male. Se dovessi mentirvi la mia vita è nelle vostre mani.» Gli uomini annuirono per far capire che erano d'accordo. Richard non sapeva chi fosse più importante ai loro occhi, se lui o Du Chaillu, ma il suo tono rassicurante era riuscito almeno a evitare eventuali obiezioni. Inoltre, Richard sapeva che quegli uomini lo rispettavano perché aveva restituito loro la patria dalla quale erano venuti. Richard osservò insieme a Cara, Kahlan e Du Chaillu che si allontanavano di qualche metro da loro rimanendo parzialmente nascoste dall'erba umida di pioggia. «Pensate che sia saggio, lord Rahl?» gli chiese Cara, sottovoce. «Mi fido di Kahlan. Abbiamo un mucchio di problemi da risolvere e pochissimo tempo da perdere.» Cara roteò l'Agiel tra le dita fissandola per un lungo istante. «La vostra magia non è ancora scomparsa, lord Rahl?» «Speriamo di no.» Richard si avvicino ai Baka Tau Mana con Cara sempre al suo fianco. «Jiaan» esordì «Du Chaillu ha detto che alcuni di voi sono morti durante il viaggio per raggiungermi.» «Tre.» «In battaglia?» Il guerriero spostò una ciocca di capelli dalla fronte, con un gesto carico di disagio. «Uno. Gli altri due hanno avuto... degli incidenti.» «Che hanno avuto a che fare con il fuoco o l'acqua?» Jiaan sospirò. «Niente acqua. Ma uno è caduto nel fuoco ed è morto prima che potessimo fare qualcosa. Allora abbiamo creduto che fosse caduto e avesse battuto la testa, ma da quello che hai detto forse non è andata così. Che sia stato uno di quei rintocchi a ucciderlo?» Richard annuì e sussurrò tra sé e sé il nome del rintocco del fuoco, Sentrosi. «E il terzo?» Jiaan spostò il peso da un piede all'altro. «Stavamo camminando su un sentiero di montagna quando ha pensato di poter volare.» «Volare?» «Sì, ma è stato bravo quanto una pietra.» «Forse è scivolato.» «Ho visto il suo viso prima che si buttasse per provare a volare. Stava sorridendo come il giorno in cui rivide la nostra terra natia.» Richard sussurrò nuovamente i nomi dei tre rintocchi, quindi tornò a rivolgersi al maestro di spada. «I rintocchi hanno ucciso anche tra il Popolo del Fango. Speravo che fossero solo qua perché seguivano me e Kahlan, ma vedo che sono stati anche da altre parti.» Richard vide che dietro le spalle dei Baka Tau Mana, i cacciatori avevano spianato l'erba per accendere un fuoco e preparare un pasto da dividere con i nuovi amici. «Chandalen!» chiamò. L'anziano alzò la testa nel sentire il suo nome. «Non accendete il fuoco» continuò Richard raggiungendoli. «Qual è il problema?» chiese Chandalen. «Perché non vuoi che accendiamo un fuoco? È meglio mangiare visto che dobbiamo fermarci qua per qualche ora ancora». Richard si grattò la fronte. «Gli spiriti malvagi che hanno ucciso Juni possono muoversi attraverso l'acqua e il fuoco. Mi dispiace, ma d'ora in avanti dovrai impedire alla gente di usare il fuoco. Se lo farai altri spiriti malvagi uccideranno la tua gente.» «Ne sei sicuro?» Richard posò una mano sulla spalla di Jiaan. «Queste persone sono forti come il Popolo del Fango e mentre venivano qua uno di loro è stato ucciso da uno spirito malvagio annidato nel fuoco.» Chandalen fissò Jiaan. «È bruciato vivo prima ancora che potessimo capire cosa stava succedendo» spiegò nuovamente il maestro di spada. «Era un uomo forte e coraggioso. Non era uno che il nemico poteva prendere sottogamba, ma non abbiamo sentito una parola prima che morisse.» Chandalen fissò la pianura con uno sguardo colmo di frustrazione, quindi tornò a concentrarsi su Richard. «Come facciamo a mangiare se non possiamo accendere il fuoco? Dobbiamo cuocere il pane di tava. Non possiamo mangiare la carne cruda. Le donne usano il fuoco per fabbricare i vasi e le stoviglie e gli uomini per le armi. Come potremmo sopravvivere?» Richard sospirò. «Non lo so, Chandalen. So solo che il fuoco può far arrivare gli spiriti malvagi. Ti sto dicendo l'unica cosa che so per certo e che potrebbe evitare molti rischi alla nostra gente. «Credo che prima o poi sarete obbligati a usare il fuoco, ma state attenti ai pericoli che può ospitare. Se tutti sanno che c'è un pericolo, forse useranno il fuoco solo quando è strettamente necessario.» «E non dobbiamo bere per paura di avvicinarci all'acqua?» «Mi piacerebbe avere tutte le risposte che cerchi, Chandalen.» Richard si passò una mano sul viso stanco. «So solo che l'acqua, il fuoco e i posti molto in alto possono essere pericolosi. I rintocchi sono in grado di usare questi elementi per colpire. Più riusciamo a rimanere lontani da essi, meglio è.» «Ma anche se ci atteniamo a queste regole, i rintocchi possono ancora uccidere.» «Te lo ripeto, Chandalen, non ho tutte le risposte. Sto cercando di dirti tutto quello che credo sia utile per aiutare la nostra gente. Potrebbero esserci altri pericoli di cui non sono a conoscenza.» Chandalen portò le mani ai fianchi e fissò la prateria dove viveva la sua gente. Richard vide la mascella del cacciatore che si irrigidiva. «È vero quello che hai detto riguardo al neonato morto al villaggio?» «Mi dispiace, Chandalen, ma temo di sì.» Gli occhi del cacciatore lo fissarono intensamente. «Come hanno fatto ad arrivare nel nostro mondo questi spiriti malvagi?» Richard si leccò gli angoli della bocca. «Penso che sia stata Kahlan a farlo senza volerlo. Ha usato una magia per salvare la mia vita e nel farlo ha richiamato quelle creature, quindi è anche colpa mia se sono qua.» Chandalen valutò attentamente l'ammissione di Richard. «La Madre Depositaria non aveva intenzione di fare del male a nessuno. Anche tu eri della stessa idea, ma i rintocchi sono giunti qua a causa vostra, vero?» Il tono del cacciatore era diventato autoritario. Era un anziano e prendeva molto sul serio il compito di protettore della sua gente. In un certo senso i Baka Tau Mana e il Popolo del Fango condividevano gli stessi valori che, come era successo in principio tra Richard e Chandalen, poco prima li avevano condotti sull'orlo di uno scontro. Fortunatamente, tutti e due ora capivano che avevano moltissime cose in comune tra di loro. Richard diede un'occhiata alle nuvole all'orizzonte. «Temo di sì. Inoltre, non ho detto a Zedd alcune cose molto importanti, quando ne ho avuto l'opportunità e ora lui sarà andato a cercare i rintocchi.» Chandalen rifletté ancora qualche attimo prima di parlare. «Voi fate parte del Popolo del Fango e avete combattuto entrambi per proteggerci. Sappiamo che non avete richiamato i rintocchi intenzionalmente.» Chandalen si drizzò in tutta la sua altezza arrivando più o meno alla spalla di Richard. «Sappiamo che sia tu che la Madre Depositaria farete ciò che ritenete giusto per rimettere le cose a posto» proclamò l'anziano, in tono ufficiale. Richard comprendeva a pieno il codice di responsabilità, dovere e obbligo secondo il quale viveva quell'uomo. Lui e Chandalen erano persone molto diverse che provenivano da culture altrettanto differenti, ma Richard era cresciuto attenendosi a molti degli ideali del cacciatore. Non erano poi così diversi. Forse indossavano abiti differenti, ma tenevano più o meno alle stesse cose, avevano in comune gli stessi desideri... e anche molte paure. Richard aveva imparato molte delle regole della gente di Chandalen dal patrigno e da Zedd. Se aveva combinato un guaio, il suo dovere principale era quello di porvi rimedio al meglio delle sue possibilità. Era comprensibile che una persona avesse paura, e nessuno si aspettava il contrario, ma la cosa peggiore che si poteva fare, era scappare dai guai causati. Non importa quanto tutto fosse stato accidentale, non bisognava negare nulla. Non bisognava scappare. Bisognava porre rimedio alla situazione. Kahlan aveva agito per salvargli la vita, ma così facendo erano morte altre persone. Anche lei sapeva che era necessario fermare i rintocchi e non c'era nient'altro da dire. «Te lo giuro solennemente, anziano Chandalen. Non riposerò finché il Popolo del Fango e tutti gli altri popoli delle Terre Centrali non saranno al sicuro dai rintocchi. Non riposerò finché i rintocchi non torneranno nell'aldilà... o morirò nel tentativo.» Un sorriso colmo d'orgoglio apparve sulle labbra di Chandalen. «Sapevo che non era necessario ricordarti il tuo giuramento, ma è bello sentirtelo pronunciare nuovamente e sapere che non lo hai dimenticato.» Terminata la frase Chandalen gli diede un sonoro schiaffone. «Vigore a Richard il Collerico. Che la sua rabbia possa bruciare calda e rapida contro i nostri nemici.» Richard si massaggiò la mascella dolorante, si girò verso Chandalen, ma proprio in quel momento notò Kahlan che tornava insieme a Du Chaillu. «Vi siete ficcato in un bel mare di guai per essere solo una guida dei boschi» commentò Cara. «Credete che vi sarà rimasta ancora qualche moglie, adesso che hanno finito?» Sapeva che Cara lo stava stuzzicando per tenergli alto il morale. «Almeno una, spero.» «Be'» continuò la Mord-Sith, ammiccando «potremo sempre farci buona compagnia.» Richard si avvicinò alle due donne. «Il posto di moglie è già occupato, grazie.» Kahlan e Du Chaillu camminavano fianco a fianco, con un'espressione imperscrutabile dipinta sul volto. Almeno non vedo sangue, pensò Richard. «L'altra tua moglie mi ha convinta a parlarti» esordì Du Chaillu quando Richard fu abbastanza vicino. «Sei fortunato ad avere due donne come noi» aggiunse. Richard pensò bene di non aprire bocca, altrimenti non avrebbe potuto trattenere l'appunto acido che gli danzava sulla punta della lingua. 31 Du Chaillu si diresse dai maestri di spada dicendo loro di riposarsi, mentre parlava con il Caharin. Kahlan, dal canto suo, spinse lontano Richard in direzione dei loro zaini premendogli un dito contro le costole. «Prendi un coperta per Du Chaillu così si potrà sedere» gli ordinò Kahlan. «Perché ha bisogno di una delle nostre? Hanno le loro. Inoltre non ha bisogno di una coperta per sedersi e dirmi come mai è venuta fin qua.» Kahlan continuò a punzecchiargli le costole. «Prendila e basta» ripeté a bassa voce in modo che gli altri non potessero sentire. «Nel caso non l'avessi notato quella donna è incinta e ha bisogno di riposarsi.» «Be', questo non...» «Richard» sbottò Kahlan, spingendolo. «Quando vuoi sottomettere qualcuno al tuo volere, ci riesci meglio se gli concedi una piccola vittoria in modo che la persona ritenga di aver conservato la sua dignità mentre fa quello che gli chiedi. Se vuoi, gliela porto io.» «Va bene. Credo...» «Visto? Ne hai appena avuto la dimostrazione. Portale la coperta.» «Così Du Chaillu ottiene una piccola vittoria e io no?» «Tu sei un bravo ragazzo. Du Chaillu vuole la coperta come riconoscimento dopodiché ti spiegherà come mai è venuta a cercarti. Il prezzo da pagare è molto piccolo. Non continuare una guerra che abbiamo appena vinto solo per far sì che l'umiliazione del nemico sia totale e schiacciante.» «Ma lei...» «Lo so. Du Chaillu ha sbagliato a dirti quelle cose. Lo so io, lo sai tu e lo sa anche lei. Ma si sentiva ferita e aveva le sue buone ragioni. Tutti noi commettiamo degli errori. «Non comprendeva le dimensioni del pericolo che abbiamo appena scoperto di dover affrontare. Ha accettato di fare pace al prezzo di una coperta su cui sedersi. Vuole solo che tu le faccia una gentilezza. Non ti costerà nulla accontentarla.» Richard raggiunse gli zaini e lanciò una rapida occhiata alle sue spalle. Du Chaillu stava parlando con i maestri di lama. «L'hai minacciata?» le chiese Richard mentre tirava fuori la coperta dallo zaino. «Sì» rispose Kahlan, sussurrando. Appoggiò una mano sul suo braccio. «Cerca di essere gentile. È probabile che sia diventata molto più sensibile dopo la chiacchierata con me.» Richard prese la coperta, si allontanò dagli zaini, spianò un tratto d'erba, vi distese sopra la coperta, lisciò le pieghe più prominenti con il palmo della mano e vi pose nel centro una borraccia. Terminata l'operazione fece un cenno con la mano in direzione della donna per invitarla. «Per favore, Du Chaillu.» Non riusciva a chiamarla moglie, ma non pensava che fosse importante. «Vuoi sederti con me? Le tue parole sono importanti e il tempo è prezioso.» La donna osservò il modo in cui era stata piegata l'erba e la coperta per qualche secondo, poi, soddisfatta, si sedette e incrociò le gambe. Aveva la schiena dritta, il mento spinto in fuori e le mani incrociate in grembo. Quella postura le conferiva un'aria nobile e Richard suppose che, da un certo punto di vista, lei lo fosse veramente. Richard fece passare il mantello dorato dietro le spalle e si sedette all'altra estremità della coperta. Non era molto grossa e le loro ginocchia quasi si toccavano. Le sorrise educatamente e le offrì la borraccia. La donna l'accettò con piacere e in quel momento Richard ricordò la prima volta che si erano incontrati. Du Chaillu era stata incatenata al muro della prigione dei Majendie. Era nuda, sporca e puzzava come se fosse stata là dentro da mesi, ma anche in quella circostanza il suo portamento era stato quello nobile e impettito di quando era pulita e indossava il vestito delle preghiere. Richard ricordava che quando aveva cercato di liberarla, lei, per paura d'essere uccisa l'aveva morso. Il solo ricordo gli fece provare di nuovo quel dolore. Quella donna aveva il dono, non sapeva quanto fosse potente, ma l'aveva e questo pensiero lo turbava. Alle volte Richard riusciva a scorgerlo nei suoi occhi. Sorella Verna gli aveva detto di aver provato a sondare Du Chaillu, ma lei in qualche modo glielo aveva impedito, era come se gli incantesimi della Sorella fossero dei sassi lanciati in un pozzo senza fondo. Richard aveva capito che una componente del dono della donna comprendeva una capacità seppur primitiva di profetizzare. Visto che era stata tenuta in catene per mesi, dubitava che fosse in grado di influenzare gli eventi intorno a lei. I maghi con quel tipo di potere non avevano bisogno di mordere né sarebbero rimasti prigionieri in attesa di essere sacrificati. Du Chaillu, tuttavia, era in grado di impedire che gli altri usassero la magia contro di lei e, come Richard aveva avuto modo di apprendere, si trattava di una forma di protezione mistica piuttosto comune. I rintocchi erano liberi, quindi anche la magia di Du Chaillu presto avrebbe cominciato a sparire. «Du Chaillu» esordì Richard, appena la donna ebbe finito di bere e gli ebbe restituito la borraccia «ho bisogno...» «Chiedimi come sta il nostro popolo.» Richard lanciò un'occhiata a Kahlan che rispose con un cenno affermativo del capo. Richard posò la borraccia e si schiarì la gola. «Sono contento di vedere che stai bene, Du Chaillu. Grazie per aver tenuto fede alle mie parole e tenuto il bambino. So che è una grande responsabilità allevare un figlio. Sono sicuro che sarai ricompensata con una vita colma di gioia e il bambino sarà ricompensato dai tuoi insegnamenti. So anche che le mie parole non sono state importanti quanto la decisione che tu hai preso nel tuo cuore.» Richard non aveva bisogno di sembrare sincero, perché lo era. «Mi dispiace molto che tu abbia dovuto lasciare gli altri tuoi figli per intraprendere un viaggio così lungo e duro per portarmi le tue parole colme di saggezza. So che non ti saresti allontanata così tanto dalla nostra terra se non fosse stato tanto importante.» Du Chaillu aspettava, era ovvio che non fosse ancora soddisfatta. Richard cercò di stare al gioco, sospirò e continuò: «Ti prego, Du Chaillu, dimmi come stanno i Baka Tau Mana ora che sono tornati finalmente nella terra dei loro antenati.» La donna degli spiriti sorrise soddisfatta. «Il nostro popolo sta bene e vive felice nella sua terra natia, grazie a te, Caharin, ma ne parleremo più tardi. Devo dirti il motivo per cui sono venuta.» Richard si sforzò di non aggrottare la fronte. «Sono ansioso di ascoltare le tue parole.» Du Chaillu aprì la bocca, poi fu lei ad aggrottare la fronte. «Dov'è la spada?» «Non l'ho portata.» «Perché?» «Sono stato costretto a lasciarla ad Aydindril. È una lunga storia e non è...» «Sei ancora il Cercatore anche se non hai la spada?» «Il Cercatore di Verità è una persona. La Spada della Verità è lo strumento usato dal Cercatore, un po' come il fischietto che usi tu per riportare la pace. Io posso continuare a essere il Cercatore anche senza la spada, proprio come tu puoi essere la donna degli spiriti anche senza il fischietto.» «Non mi sembra giusto.» Sembrava dispiaciuta. «Mi piaceva la tua spada. Ha tagliato il collare lasciando la testa al suo posto e ti ha permesso di annunciarti come Caharin. Dovresti avere la tua spada.» Richard decise che aveva pazientato fin troppo, la posta in gioco era troppo alta per perdere altro tempo prezioso. «La riprenderò appena sarò tornato ad Aydindril. Stavo andando proprio là quando ti abbiamo incontrata. Meno tempo passo fermo, prima arriverò ad Aydindril e sarò in grado di recuperare la spada. «Mi dispiace, Du Chaillu, se ti sono sembrato frettoloso, non volevo mancarti di rispetto, ma temo per le vite di molti innocenti e per quelle di coloro che amo. Sono così ansioso di trovare una soluzione anche per la sicurezza dei Baka Tau Mana. «Ti sarei molto grata se mi dicessi come mai sei venuta da me. Ci sono stati dei morti. È successo anche alla tua gente. Devo trovare il modo di fermare i rintocchi. La Spada della Verità potrebbe aiutarmi. Possiamo andare avanti?» Du Chaillu sorrise, contenta che lui le avesse dimostrato il rispetto dovuto e, per la prima volta da quando si erano incontrati, sembrò spaventata. «Ho avuto delle visioni che ti riguardano, marito. Sono la donna degli spiriti e alle volte mi capita.» «Buon per te, ma non ne voglio sapere nulla.» Lei lo fissò. «Cosa?» «Hai detto di aver avuto una visione, giusto?» «Sì.» «Non ne voglio sapere nulla.» «Ma... ma... devi. Era una visione.» «Le visioni sono una sorta di profezia. Le profezie mi hanno anche aiutato, ma il più delle volte sono state solo fonte di dolore per me. Non ne voglio sapere.» «Ma le visioni aiutano.» «No.» «Rivelano la verità.» «Non sono più vere dei sogni.» «Anche i sogni possono essere veri.» «No, i sogni non sono reali, sono sogni e basta. Lo stesso vale per le visioni.» «Ma ti ho visto in una visione.» «Non mi importa. Non voglio sentire nulla al riguardo.» «Stavi bruciando.» Richard sospirò. «Alle volte ho sognato di poter volare, ma questo non significa che posso farlo.» Du Chaillu si inclinò in avanti. «Sogni di poter volare? Davvero? Intendi dire come un uccello?» Si raddrizzò. «Non ne ho mai sentito parlare.» «È solo un sogno Du Chaillu. Proprio come la tua visione.» «Ho avuto una visione e questo significa che si avvererà.» «Nei sogni posso volare, ma questo non significa che posso farlo veramente. Non vado in cima a uno strapiombo e mi getto nel vuoto battendo le braccia. È solo un sogno. Non posso volare, Du Chaillu.» «Ma puoi bruciare.» Richard posò le mani sulle ginocchia e si inclinò all'indietro emettendo un sospiro paziente. «Va bene. Cos'altro c'era nella visione?» «Nient'altro.» «Nient'altro. Tutto qua? Io che brucio? Hai sognato che bruciavo e basta?» «Non era un sogno.» Du Chaillu alzò un dito come per ribadire il concetto. «Era una visione.» «E hai fatto tutta questa strada per dirmelo? Be', grazie per il disturbo, ma adesso devo ripartire. Di' alla tua gente che il Caharin augura loro molta prosperità. Buon viaggio di ritorno.» Richard cercò di dare l'impressione di essere prossimo ad alzarsi. «A meno che non ci sia dell'altro.» aggiunse. Il rifiuto ammorbidì Du Chaillu. «La vista di mio marito che andava a fuoco mi ha spaventata.» «Anch'io sarei spaventato se stessi bruciando.» «Non mi piacerebbe vedere il Caharin che brucia.» «Neanche al Caharin piacerebbe bruciare. La tua visione ti faceva capire come avrei potuto evitare il fuoco?» Abbassò lo sguardo e toccò la coperta. «No.» «Vedi? A cosa serve, allora?» «È bene sapere queste cose» disse Du Chaillu, appallottolando un ciuffo di lanugine della coperta. «Possono aiutare.» Richard si grattò la fronte. La donna degli spiriti stava prendendo tempo e coraggio per dirgli qualcosa di più preoccupante. Ormai aveva capito che la visione era un pretesto. Ammorbidì il tono di voce nella speranza di riuscire a farla parlare. «Grazie per l'avvertimento, Du Chaillu. Me ne ricorderò, può darsi che si dimostri molto utile.» La fissò negli occhi. «Come hai fatto a trovarmi?» «Tu sei il Caharin e io sono la donna degli spiriti dei Baka Tau Mana, depositaria delle antiche leggi. Tua moglie.» Era tornata ad assumere un aspetto nobile. Richard comprese immediatamente. Du Chaillu gli aveva appena spiegato che tra di loro sussisteva un legame simile a quello che c'era tra lui e i D'Hariani. Du Chaillu in un certo senso era come Cara, poteva avvertire sempre la sua presenza. «Ero un giorno a sud di qua e per poco non mi hai mancato. Hai cominciato ad avere delle difficoltà a dire dove mi trovavo?» Distolse lo sguardo da Richard e annuì. «Sono sempre stata capace di fissare l'orizzonte, indicare una direzione e dire: 'il Caharin si trova laggiù'.» Fece una breve pausa. «Da un po' di tempo è diventato sempre più difficile capire la direzione.» «Fino a pochi giorni fa eravamo ad Aydindril» le spiegò Richard. «Devi aver cominciato il tuo viaggio molto prima che io venissi qua.» «Già, non ti trovi nel punto in cui eri quando ho deciso che era il momento di venire da te.» Indicò dietro la schiena. «Eri molto più a nord-est.» «Perché sei venuta qua se mi hai sentito ad Aydindril?» «Quando cominciai a sentirti sempre di meno, ho capito che c'erano dei problemi. La visione che ho avuto mi aveva fatto capire che dovevo raggiungerti prima che il legame fosse svanito del tutto. Se avessi continuato a viaggiare fino al punto in cui ti ho sentito la prima volta non ti avrei trovato. Ricorsi alle visioni, mentre potevo ancora averle, affinché mi dicessero dove ti trovavi. «Verso la fine del viaggio, ho sentito che eri in questo luogo e poco dopo non ho più avvertito la tua presenza. Eravamo ancora molto lontani, quindi l'unica cosa che potevo fare era continuare in questa direzione. Gli spiriti buoni hanno risposto alle mie preghiere e hanno fatto sì che il nostro cammino si incrociasse.» «Sono contento che gli spiriti buoni ti abbiano aiutata, Du Chaillu. Sei una brava persona e meritavi il loro aiuto.» «Ma mio marito non crede alle mie visioni.» Richard si umettò le labbra. «Mio padre mi diceva sempre di non mangiare i funghi che trovavo nel bosco. Diceva che mi vedeva mangiarli, sentirmi male e morire. Non significava che poteva vedere quello che mi stava accadendo veramente, solo che aveva paura per me. Mi stava mettendo in guardia dal mangiare i funghi.» «Ho capito» rispose la donna. «La tua era una visione vera e propria? Forse si trattava di una visione riguardo qualcosa che potrebbe accadere, un visione di pericolo, ma non è una certezza.» «Hai ragione, alcune visioni possono solo mostrare delle eventualità e non delle certezze. Può darsi che ne abbia avuta una di quel tipo.» Richard le strinse una mano. «Perché sei venuta, Du Chaillu? Ti prego, dimmelo.» La donna degli spiriti carezzò con fare riverente le frange di una manica come se volesse ricordare le preghiere affidatele dal suo popolo. Du Chaillu era la donna responsabile della comunicazione con gli spiriti e lei espletava il suo dovere con coraggio e dignità. «I Baka Tau Mana sono contenti di essere tornati nella loro terra natia dopo così tanti secoli di lontananza. La nostra patria è una terra fertile dove il clima è mite. È un buon posto per allevare i bambini. Un posto dove viviamo come persone libere. I nostri cuori cantano di gioia da quando siamo là. «Ogni persona dovrebbe ricevere il dono che ci hai fatto Caharin. Ogni persona dovrebbe essere libera di vivere come meglio crede.» Assunse un'espressione molto addolorata. «Tu e la gente del Nuovo Mondo non siete al sicuro. Sta per arrivare un grande esercito.» «Jagang» confermò Richard. «Hai avuto una visione sull'Ordine Imperiale?» «No, marito. Abbiamo visto quell'esercito con i nostri occhi. Mi vergogno a dirtelo, ma abbiamo avuto paura. «Quando ero incatenata nella prigione dei Majendie non ero così spaventata perché sapevo che sarei morta solo io e non tutta la mia gente. Il mio popolo è forte e avrebbe eletto una nuova donna degli spiriti al posto mio e avrebbero continuato a combattere i Majendie ogni volta che si fossero avventurati nella palude. Sarei morta sapendo che i Baka Ban Mana avrebbero continuato a vivere. «Ci addestriamo ogni giorno nell'uso delle armi in modo che nessuno possa distruggerci. Ci atteniamo all'antico codice e proteggiamo le nostre vite. L'unico uomo al mondo in grado di affrontare e sconfiggere un maestro di spada è il Caharin. «Ma in quel caso i nemici erano troppi e non potevamo combattere con- tro un esercito di quelle dimensioni. Non potremo mai respingerli quando metteranno gli occhi su di noi.» «Capisco, Du Chaillu. Cosa hai visto?» «Non ci sono parole per quello che ho visto. Non so come dirti quanti uomini, carri e armi sono sfilati lungo i confini delle nostre terre. «Era un esercito vasto quanto l'orizzonte e ha impiegato diversi giorni prima di passare tutto. Era impossibile contarli. È come se cercassi di dirti il numero esatto dei fili d'erba di questa prateria. Non esiste una cifra simile.» «Penso che ti sia spiegata benissimo» mormorò Richard. «Non vi hanno attaccato, vero?» «No. Ho paura per il futuro. Uomini simili non ci lasceranno in pace per sempre. Uomini simili prenderanno tutto, non ne hanno mai abbastanza. «I nostri uomini moriranno, i bambini saranno uccisi e le donne prese, non abbiamo speranza di resistere a quel nemico. «Tu sei il Caharin e io dovevo riferirti queste cose, è la legge. «Sono la donna degli spiriti dei Baka Tau Mana e mi vergogno di ammettere che io e la mia gente abbiamo paura all'idea di morire tra le fauci di quella bestia. Avrei voluto dirti che abbiamo guardato con coraggio le fauci della morte, ma non è stato così. I nostri cuori erano pavidi. «Tu non puoi sapere cosa abbiamo provato perché sei il Caharin e non sai cosa sia la paura.» Richard ridacchiò. «Temo che ti stia sbagliando, Du Chaillu. Mi capita spesso di avere paura.» «Tu? Impossibile.» Du Chaillu tornò a fissare la coperta. «Lo stai dicendo solo per non farmi vergognare troppo. Hai affrontato i trenta senza paura e li hai sconfitti. Solo il Caharin poteva farlo. Il Caharin non sa cosa sia la paura.» «Ho affrontato i trenta, ma ho avuto paura. Anzi, ero terrorizzato. Anche adesso lo sono all'idea di quello che possono fare i rintocchi e della guerra che ci aspetta. Ammettere le proprie paure non è segno di debolezza, Du Chaillu.» La donna sorrise. «Grazie, Caharin.» «L'Ordine Imperiale non ha cercato di attaccarvi, giusto?» «Per il momento siamo al sicuro. Sono venuta ad avvertirti perché sono entrati nel Nuovo Mondo. Vogliono te.» Richard annuì. L'Ordine Imperiale si stava dirigendo a nord, verso le Terre Centrali. Il contingente di centomila uomini al comando del generale Reibisch stava marciando a est per raggiungere e presidiare i confini meridionali delle Terre Centrali. Il generale aveva chiesto a Richard il permesso di non tornare ad Aydindril per sorvegliare quella zona del regno perché di là poteva anche controllare gli accessi al D'Hara. La fortuna aveva voluto che l'esercito d'hariano finisse per incrociare quello di Jagang. Il contingente di Reibisch non era abbastanza nutrito da eliminare l'Ordine Imperiale, ma i D'Hariani erano combattenti valorosi e avrebbero presidiato i passi a nord. Una volta che si fossero accorti dell'arrivo di Jagang avrebbero chiesto altri rinforzi. Jagang aveva anche i maghi e le Sorelle dell'Oscurità dalla sua parte, ma lo stesso valeva per Reibisch che poteva contare sulle Sorelle della Luce. Sorella Verna, la Priora Verna, aveva assicurato a Richard che le sue consorelle si sarebbero battute a fianco dell'esercito. La magia stava scomparendo, quindi anche i maghi a disposizione del nemico stavano perdendo i loro poteri, tranne forse le Sorelle dell'Oscurità che erano in grado di usare la Magia Detrattiva. Il generale Reibisch, come tutti gli ufficiali superiori di stanza ad Aydindril e nel D'Hara contavano sul talento delle Sorelle della Luce per ricevere informazioni aggiornate sulla posizione del nemico. Grazie a quelle informazioni l'esercito d'hariano poteva scegliere il punto migliore dove attestarsi ma, la scomparsa della magia li stava rendendo ciechi. Fortunatamente, Du Chaillu e i Baka Tau Mana avevano impedito all'Ordine di coglierli di sorpresa. «Il tuo aiuto è stato preziosissimo, Du Chaillu.» Richard le sorrise. «Le tue notizie sono utilissime. Adesso sappiamo cosa sta facendo Jagang. Si sono limitati a superarvi e basta?» «Avrebbero dovuto deviare per attaccarci. Le frange più esterne dell'esercito ci sono passate vicino e i nostri maestri di spada si sono comportati come il porcospino con il cane, facendo loro rimpiangere il momento in cui avevano avuto l'idea di strofinare la loro pancia contro di noi. «Abbiamo catturato alcuni capi di quella banda di cani a due zampe e ci hanno detto che il loro esercito non era interessato a noi, ma a una preda molto più grossa. Hanno promesso che un giorno sarebbero tornati per cancellare i Baka Tau Mana dalla faccia della terra.» «Vi hanno rivelato i loro piani?» «Tutti parlano se le domande sono rivolte nel modo giusto.» Sorrise. «I rintocchi non sono gli unici a usare il fuoco. Noi...» Richard alzò una mano. «Ho capito.» «Ci hanno detto che l'esercito era diretto in un luogo che poteva fornire molte provviste.» Richard si carezzò il labbro inferiore ponderando l'informazione molto importante che aveva appena ricevuto. «Sì, ha senso. Hanno raggruppato le loro forze nel Vecchio Mondo, ma un esercito simile non può rimanere a lungo nello stesso luogo, ha bisogno di muoversi in continuazione e di un flusso praticamente infinito di approvvigionamenti. Il Nuovo Mondo oltre a essere una terra di conquista rappresenta anche un serbatoio di cibo.» Fissò Kahlan che si trovava dietro di lui. «Dove potrebbero trovare gli approvvigionamenti?» «In diversi regni» spiegò Kahlan. «Potrebbero saccheggiare ogni luogo che invadono prima di colpire in profondità nelle Terre Centrali. Finché continuano a seguire la strada che hanno in mente potrebbero approvvigionare la truppa cammin facendo. «Però potrebbero anche colpire dei regni più interessanti. Lifany, per esempio, potrebbe fornire loro molto grano. La Sanderia è conosciuta per le sue greggi e mandrie. Se conquistano degli obiettivi in grado di fornire loro molti approvvigionamenti, allora potrebbero cominciare ad attaccare gli altri regni solo per motivi strategici, a quel punto saremmo veramente in difficoltà. «Se io fossi in loro cercherei di ottenere il maggior numero di provviste possibile per indurci ad affrettare l'attacco.» «Potremmo usare il generale Reibisch» disse Richard, come se stesse pensando a voce alta. «Forse potrebbe riuscire a bloccare l'Ordine o a rallentarlo, mentre noi evacuiamo la gente e le provviste prima che Jagang li possa raggiungere.» «Sarebbe un'impresa colossale spostare tutti quegli uomini e quelle provviste. Se Reibisch sorprende Jagang» disse Kahlan «e lo induce a uno stallo potremmo spostare altre truppe...» Du Chaillu scosse la testa. «Quando fummo banditi dalla nostra terra ci costrinsero a vivere in un luogo umido. La pioggia che arrivava dal Nord durava molti giorni e si verificavano delle inondazioni molto violente. I fiumi saltavano gli argini e allagavano tutto distruggendo ogni cosa che incontravano sul loro cammino. «Non potevamo resistere al peso e alla furia di tutta quell'acqua... nessu- no ci sarebbe riuscito. Si pensa di riuscirci finché non la si vede arrivare e allora o si trova un punto molto in alto dove rifugiarsi oppure si muore. «Quell'esercito è come un fiume in piena, non avete idea di quanto sia grosso.» L'espressione spaventata e preoccupata di Du Chaillu fece venire la pelle d'oca a Richard. Non era riuscita a esprimere il numero, ma quello era un particolare di secondaria importanza, perché l'immagine di un fiume in piena che travolgeva tutto ciò che incontrava sul suo cammino si adattava perfettamente all'esercito dell'Ordine Imperiale. «Ti ringrazio per le preziosissime informazioni che ci hai portato. Potranno salvare un mucchio di vite. Almeno non ci faremo cogliere alla sprovvista. Grazie.» «Il generale Reibisch è già diretto a est, e questo fatto ci aiuta» disse Kahlan. «Dobbiamo fargli arrivare la notizia.» Richard annuì. «Potremmo allungare la strada e raggiungerlo per decidere insieme cosa fare e ottenere dei cavalli freschi. In questo modo risparmieremmo un sacco di tempo. Vorrei solo che non fosse così distante. Il tempo è fondamentale.» Dopo la battaglia nella quale l'esercito d'hariano aveva sconfitto il contingente d'invasione inviato da Jagang, Reibisch aveva condotto l'esercito verso est. I D'Hariani stavano tornando a sorvegliare le strade che consentivano l'accesso al Vecchio Mondo, dove Jagang stava raggruppando le sue forze per poi farle marciare sulle Terre Centrali e sul D'Hara. «Se riusciamo ad avvertire il generale» suggerì Cara «allora lui potrà inviare dei messaggeri nel D'Hara per chiedere rinforzi.» «E anche nel Kelton, Jara e Grennidon» aggiunse Kahlan. «Alcuni dei nostri alleati hanno eserciti molto grandi e ben addestrati.» «Mi sembra giusto» concordò Richard. «Almeno sappiamo dove dobbiamo intervenire. Vorrei solo poter raggiungere Aydindril il più velocemente possibile.» «Sei sicuro che adesso possa fare qualche differenza?» chiese Kahlan. «Ricorda che stiamo affrontando i rintocchi non l'Insidia.» «Quello che Zedd ci ha chiesto di fare potrebbe essere del tutto inutile» ammise Richard. «Però non ne siamo sicuri, vero? Potrebbe aver avuto ragione riguardo l'urgenza e l'importanza della nostra missione, solo che ha usato il nome Insidia al posto dei rintocchi.» «Potremmo perdere Jagang prima che i rintocchi ci raggiungano» disse Kahlan, frustrata. «La morte è morte. Non so cosa aveva in mente Zedd, ma ci avrebbe aiutati molto di più se ci avesse detto la verità.» «Dobbiamo andare ad Aydindril» decise Richard. «Non abbiamo altra scelta.» La sua spada era ancora nel Mastio. Richard era legato a quell'arma e in un certo senso ne sentiva la mancanza. «Du Chaillu» disse Richard «quando l'esercito vi ha superato diretto a nord...» «Non ho mai detto che fosse diretto a nord.» Richard batté le palpebre. «Ma... è quella la direzione che avrebbero dovuto seguire. Stanno avanzando verso le Terre Centrali o il D'Hara. Prima o poi avranno deviato a nord.» Du Chaillu scosse la testa. «Non stavano andando a nord. Hanno attraversato le nostre terre passando a sud, vicino alle coste, dopodiché si sono diretti a ovest.» Richard la fissò confuso. «Ovest?» Kahlan si inginocchiò a fianco del marito. «Ne sei sicura, Du Chaillu?» «Certo. Li ho fatti seguire da alcuni esploratori perché le visioni mi avevano fatto capire che quegli uomini rappresentavano un pericolo per il Caharin. Alcuni dei capi che abbiamo catturato conoscevano il nome di Richard Rahl. Ecco perché sono venuta ad avvertirti. Quell'esercito ti conosce. «Li hai sconfitti più di una volta e hai vanificato i loro piani. Ti odiano. Sono stati quegli uomini a raccontarci queste cose.» «Potrebbe essere che il fuoco che hai visto nelle visioni che mi riguardano sia quello dell'odio che quegli uomini provano nei miei confronti?» Du Chaillu meditò sulla domanda per qualche attimo. «Tu comprendi il significato delle visioni, marito. Potrebbe essere. Una visione non sempre significa esattamente ciò che mostra. Alle volte indica qualcosa da cui guardarsi, ma in certi casi, come in questo, fornisce un simbolo, un'idea.» Kahlan afferrò Du Chaillu per una manica. «Ma dov'erano diretti? Devono aver deviato a nord da qualche parte. Ci sono molte vite in gioco. Avete scoperto il punto in cui hanno deviato? Dobbiamo saperlo.» «No» disse Du Chaillu, colpita dal loro stupore. «Hanno intenzione di seguire la terra che costeggia la grande acqua.» «L'oceano?» chiese Kahlan? «Sì, è così che lo chiamavano. Hanno intenzione di seguire la grande acqua in direzione ovest. Non sanno il luogo esatto dove sono diretti, ma hanno detto che si tratta di un posto che fornirà loro grandi riserve di cibo.» Kahlan lasciò andare la manica. «Dolci spiriti» sussurrò «siamo nei guai.» «Direi» confermò Richard, stringendo un pugno. «Il generale Reibisch si trova a est e sta marciando nella direzione sbagliata.» «Non si tratta di quello. È peggio di quanto credi» affermò Kahlan girandosi verso sud-ovest come se potesse vedere dov'era diretto l'esercito nemico. «È chiaro» disse Richard. «Stanno andando nel posto di cui ci ha parlato Zedd. Quel regno isolato a sud-ovest che si trova nei pressi della valle del Nareef e che è il maggiore produttore di grano delle Terre Centrali, giusto?» «Esatto» confermò Kahlan continuando a fissare l'orizzonte. «Jagang è diretto al serbatoio di pane delle Terre Centrali.» «Toscla» disse Richard, ricordando come l'aveva chiamata Zedd. Kahlan si girò verso di lui e annuì. «Si direbbe di sì» ammise. «Non credevo che Jagang avesse intenzione di spingersi così lontano in quella direzione. Credevo che avrebbe colpito il Nuovo Mondo il più velocemente possibile per impedirci di raggruppare le nostre forze.» «Era anche quello che io e il generale Reibisch ci aspettavamo. Reibisch sta correndo a sorvegliare un cancello dal quale Jagang non ha la minima intenzione di passare.» Richard tamburellò con le dita su un ginocchio mentre rifletteva sulle opzioni rimaste. «Be', almeno potremo guadagnare del tempo... adesso che sappiamo dove è diretto l'Ordine Imperiale. Toscla.» Kahlan fece un cenno di diniego con il capo. «Zedd conosceva il vecchio nome di quel regno. Gli abitanti lo hanno cambiato più volte nel corso degli anni. Vengren, Vendice, Turslan... sono passati diversi decenni da quando era conosciuto come Toscla.» «Davvero?» disse Richard, con il tono di voce di chi sta pensando a cose ben più importanti. «E adesso come si chiama?» «Anderith» rispose Kahlan. Richard alzò la testa e un brivido gelato lo attraversò. «Anderith? Perché hanno chiamato il regno in quel modo?» Kahlan osservò il viso del marito e corrugò la fronte. «È il nome di uno dei suoi fondatori, un certo Ander.» «Ander? Joseph Ander?» «Come fai a conoscere quel nome?» «Il mago chiamato Montagna, quello che Kolo diceva fosse stato mandato a sistemare i rintocchi, ti ricordi che ne ho parlato, vero?» Kahlan annuì. «'Montagna' era solo il soprannome con il quale era conosciuto da tutti. Il suo vero nome era Joseph Ander.» 32 Richard ebbe l'impressione che nella sua testa fosse scoppiata una guerra tra i pensieri. Nel momento stesso in cui cercava delle soluzioni per la minaccia rappresentata dai rintocchi veniva assalito dalle immagini delle orde nemiche che avanzavano dal Vecchio Mondo. «Va bene» esordì, allungando le mani di fronte a sé per impedire che tutti parlassero contemporaneamente. «Va bene. Calma. Ragioniamo.» «Tutto il mondo potrebbe essere distrutto dai rintocchi prima ancora che Jagang riesca a conquistare le Terre Centrali» disse Kahlan. «Prima di tutto dobbiamo occuparci dei rintocchi... sei stato tu a convincermi. Non si tratta solo di impedire la scomparsa della magia... la magia ci serve per contrastare Jagang. Non potremmo affrontarlo solo con le spade. «Dobbiamo raggiungere Aydindril. E se quello che Zedd ci ha detto riguardo la bottiglia è vero? Se non portiamo a termine quella missione, potremmo aiutare i rintocchi nella loro impresa. Se non agiamo in fretta potrebbe essere troppo tardi.» «Io ho bisogno che la mia Agiel tomi a funzionare» si intromise Cara, impaziente. «Altrimenti non potrò proteggervi entrambi. Io dico di andare ad Aydindril e fermare i rintocchi.» Richard guardò le donne. «Bene, ma come facciamo a fermare i rintocchi, se il compito affidatoci da Zedd è solo una scusa per tenerci lontani? E se fosse preoccupato e volesse tenerci lontano dai problemi mentre lui cerca di risolverli da solo? «Si è comportato un po' come un padre che vede uno straniero dall'aria sospetta avvicinarsi alla casa e dice ai figli di entrare a contare i rami per accendere il fuoco per sapere se bisogna prenderne altri.» Richard osservò le espressioni delle due donne e si sentì frustrato. «Voglio dire, Joseph Ander è il mago che fu mandato a fermare i rintocchi ed è anche stato tra i fondatori di Anderith, mi sembra che sia un'ottima informazione. Forse vuol dire qualcosa di cui Zedd non è al corrente. «Non sto dicendo che dobbiamo andare ad Anderith. Gli spiriti sanno che anch'io voglio tornare ad Aydindril. Solo che non voglio sottovalutare particolari che possono rivelarsi importanti.» Richard premette le dita contro le tempie. «Non so cosa fare.» «Dovremmo andare ad Aydindril» insisté Kahlan. «Almeno sappiamo che nella capitale abbiamo una possibilità.» Richard cominciò a ragionare ad alta voce. «Forse è la soluzione migliore. Dopo tutto, può darsi che Montagna, Joseph Ander abbia fermato i rintocchi in un punto imprecisato delle Terre Centrali e solo dopo, alla fine della guerra, magari, sia andato a fondare la terra che oggi è conosciuta come Anderith.» «Giusto. Allora dobbiamo raggiungere Aydindril il più in fretta possibile» disse Kahlan. «E sperare di riuscire a fermare i rintocchi.» «Ascolta» disse Richard alzando al contempo un dito come se le chiedesse di avere ancora un po' di pazienza «sono d'accordo con te, ma come potremo fermare i rintocchi se andare ad Aydindril fa parte del piano di Zedd? A questo punto non avremmo fatto nulla per fermare la minaccia. Dobbiamo considerare anche questa evenienza.» «Lord Rahl» si intromise Cara «andare ad Aydindril sarebbe comunque utile. Non solo potrete recuperare la spada e fare quello che vi ha chiesto Zedd, ma avrete di nuovo a disposizione il diario di Kolo. «Berdine vi aiuterà a tradurlo. È molto probabile che abbia continuato a lavorarci sopra mentre eravamo via. Forse ha scoperto altre cose riguardo i rintocchi. Forse ha trovato le risposte che state cercando. Senza contare che avreste a disposizione parecchi libri e adesso sapete cosa cercare.» «È vero» ammise Richard. «Ci sono i libri custoditi nel Mastio. Kolo aveva detto che l'eliminazione dei rintocchi fu più facile del previsto.» «Ma tutti i maghi di quel tempo erano dotati della Magia Detrattiva» gli fece notare Kahlan. Richard non sapeva molto su come usare il suo talento. Era da poco che aveva cominciato a capire come funzionava la spada. «Forse in uno dei libri del Mastio del Mago c'è la soluzione per eliminare le chimere» continuò Cara «e forse non è poi così complicata. Forse non è necessario ricorrere alla Magia Detrattiva.» La Mord-Sith incrociò le braccia sul petto. Il disgusto che provava nei confronti della magia era ovvio, quasi tangibile. «Forse dovrete solo agitare un dito in aria e ordinare loro di sparire.» «Già, tu possiedi la magia» azzardò Du Chaillu. «Potresti farlo.» «Mi dai più valore di quello che merito» disse Richard, rivolgendosi alla donna degli spiriti.» «Continuo a essere dell'opinione che non rimane altro da fare che andare ad Aydindril» disse Kahlan. Richard non ne era sicuro e scosse la testa desiderando che non fosse così difficile decidere. Gli sembrava di essere in equilibrio su uno spartiacque. Desiderò di poter ricevere quell'informazione in più che gli avrebbe permesso di scegliere da quale parte andare. A volte voleva gridare che era solo una guida dei boschi, che non sapeva cosa fare e che sperava arrivasse qualcuno a dirglielo. A volte gli sembrava di aver usurpato il ruolo di lord Rahl e gli veniva la tentazione di mollare tutto e tornare nei Territori dell'Ovest. Quello era uno di quei momenti. Desiderò che Zedd non gli avesse mentito. C'erano moltissime vite in gioco perché non conosceva la verità e perché lui non era ricorso alla saggezza del nonno quando ne aveva avuto la possibilità. Se solo avesse usato la testa e si fosse ricordato di Du Chaillu. «Perché sei contrario all'idea di andare ad Aydindril?» gli chiese Kahlan. «Vorrei saperlo anch'io» ammise Richard. «Ma adesso sappiamo dov'è diretto Jagang e dobbiamo fare qualcosa a riguardo. Se dovesse conquistare le Terre Centrali saremo tutti morti prima ancora di poter fare qualcosa riguardo i rintocchi.» Cominciò a camminare avanti e indietro. «E se i rintocchi non fossero poi la grande minaccia che pensiamo siano? Voglio dire, a lungo andare possono essere un pericolo, certo, ma se dovessero impiegarci degli anni per creare dei danni irreversibili? Per quello che ne sappiamo potrebbero volerci anche dei secoli.» «Cosa c'è che non va, Richard? Stanno uccidendo molte persone adesso.» Kahlan indicò la prateria in direzione del villaggio del Popolo del Fango. «Hanno ucciso Juni e due Baka Tau Mana. Dobbiamo fare tutto quello che è nelle nostre forze per fermarli. Sei stato tu a convincermi di questa necessità.» «Io sono d'accordo con la Madre Depositaria, lord Rahl» si intromise Cara. «Dobbiamo andare ad Aydindril.» Du Chaillu si alzò in piedi. «Posso parlare, Caharin?» Richard distolse l'attenzione dal flusso di pensieri che gli affollava la testa. «Certo.» Du Chaillu stava per parlare quando rimase a bocca aperta senza dire nulla e un'espressione interdetta le apparve sul volto. «L'uomo che li guida, questo Jagang, è un mago?» «Sì, in un certo senso lo è. Possiede il talento di entrare nelle menti degli altri e controllarle. È chiamato il tiranno dei sogni, ma non possiede nessun altro potere magico.» Du Chaillu rifletté su quanto aveva appena sentito per qualche secondo. «Un esercito non può durare a lungo se non ha l'appoggio della gente della sua terra. Lui controlla la gente della sua terra, quindi, in un certo senso... sono tutti dalla sua parte, giusto?» «No, non può controllare tutti contemporaneamente. Egli sceglie delle persone particolari. È simile ai maestri di spada che nel corso di una battaglia cercano di abbattere i bersagli più importanti. Egli sceglie quelli che hanno la magia e li controlla per poter sfruttare il loro potere per i suoi scopi.» «Quindi le streghe sono costrette a seguirlo. È con la loro magia che controlla le persone?» «No» spiegò Kahlan. «Le persone lo seguono di loro spontanea volontà.» Du Chaillu sembrava dubbiosa. «Credete che la gente sceglierebbe di farsi guidare da un uomo simile?» «I tiranni possono governare solo se hanno il consenso della popolazione.» «Allora anche loro sono malvagi, non solo il capo.» «Sono gente comune» disse Kahlan. «La gente si riunisce intorno ai tavoli dei tiranni come cani intorno al tavolo del banchetto, ansiosi di mangiare gli avanzi buttati sul pavimento. Sono pochi quelli che non scodinzolano di fronte a un tiranno. Quelli che lo fanno hanno il permesso di compiere gli atti dettati dagli istinti più bassi dell'uomo e questo fa credere loro di essere nel giusto. Molti preferiscono prendere piuttosto che guadagnare. «I tiranni fanno sì che gli invidiosi possano sfogare la loro avidità.» «Sciacalli» commentò Du Chaillu. «Sciacalli» concordò Kahlan. Dopo aver sentito quelle parole Du Chaillu abbassò lo sguardo turbata. «Allora è tutto ancora più orribile. Pensavo che quelle persone fossero possedute da una magia malvagia o dal Guardiano e non credevo che potessero farlo di loro spontanea volontà.» «Stavi per dire qualcosa?» chiese Richard. «Hai detto che volevi parlare. Mi piacerebbe sentire cosa hai da dire.» Du Chaillu intrecciò le dita della mani e l'aria costernata rendeva ancora più grave la sua espressione. «Mentre venivamo da te, Caharin, abbiamo continuato a seguire l'esercito per essere sicuri che non cambiassero strada. Abbiamo anche catturato alcuni dei loro uomini per sicurezza. Quell'esercito viaggia molto lentamente. «Il loro capo fa montare ogni notte delle tende apposta per lui e le sue donne. Tende così grosse da ospitare tantissime persone per un solo individuo. Montano anche tende per altri uomini importanti. Ogni notte fanno un banchetto. Il capo, Jagang, è come un grande e ricco re in viaggio. «Ci sono carri pieni di donne, alcune sono là volontariamente, altre no. La notte vengono distribuite tra i soldati. È un esercito dominato dalla lussuria oltre che dalla sete di conquista. Badano molto bene ai loro piaceri mentre dilagano per il mondo. «Sono ben equipaggiati. Hanno cavalli di riserva e mandrie di bestie per la carne. Un lungo convoglio di carri pieno di ogni genere di cibo. Hanno di tutto, dai mulini alle forge per i fabbri. Hanno portato tavoli, sedie, tappeti, piatti e bicchieri che tengono in casse di legno. Ogni notte tirano fuori tutto e fanno sì che la tenda di Jagang diventi simile al palazzo di un nobile circondato dai palazzi dei suoi uomini più importanti. «Sembra quasi una città in movimento.» Du Chaillu ondeggiò il dorso della mano in aria. «L'esercito si muove lento come un fiume, impiega molto tempo per gli spostamenti, ma è inarrestabile. Si avvicina ogni giorno sempre di più. Ripeto, è una città viaggiante. Sono moltissimi. «Sapevamo che dovevamo venire ad avvertirti Caharin così abbiamo smesso di seguire quegli uomini. I Baka Tau Mana possono camminare veloci quanto un uomo a cavallo.» Richard aveva viaggiato con Du Chaillu e sapeva che quella era una spacconata. Una volta l'aveva fatta cavalcare, ma lei pensava che i cavalli fossero bestie malvagie. «Mentre viaggiavamo in direzione nord-ovest per arrivare qua, ci imbattemmo inaspettatamente in una grande città dalle mura imponenti.» «Dovrebbe essere Renwold» disse Kahlan. «È l'unica grande città che si trova in quella zona delle praterie e sia dotata di mura simili a quelle che hai descritto.» Du Chaillu annuì. «Renwold. Non sapevamo come si chiamasse.» Il suo sguardo intenso sembrava quello di una regina che doveva portare notizie molto gravi a Richard e Kahlan. «Sono stati attaccati dall'esercito di Jagang.» La donna degli spiriti lasciò vagare lo sguardo in lontananza come se stesse rivedendo la scena. «Non ho mai pensato che potesse esistere gente tanto crudele. I Majendie, per quanto possiamo odiarli, non arriverebbero mai a fare cose simili.» Gli occhi di Du Chaillu sì riempirono di lacrime. «Li hanno massacrati tutti. Uomini, donne, vecchi e bambini, ma non prima di aver passato giorni interi a...» Scoppiò a piangere. Kahlan le cinse le spalle con un braccio. Du Chaillu sembrava diventata improvvisamente una bambina. Una bambina che aveva visto fin troppo. «Lo so» la consolò Kahlan, anche lei sull'orlo delle lacrime. «Lo so. Anch'io sono stata in una grande città dopo il passaggio degli uomini di Jagang. So cosa hai visto. «Ho camminato tra i morti che ricoprivano le strade di Ebinissia. Ho visto i massacri che sono in grado di compiere. E ho visto cosa quelle bestie hanno fatto ai prigionieri prima di ucciderli.» Du Chaillu, la donna che aveva guidato il suo popolo in anni molto duri, che aveva affrontato con coraggio i mesi di prigionia, le sevizie e la prospettiva di una morte imminente, che aveva osservato i propri mariti morire per tenere fede alle leggi di cui era la custode, che aveva affrontato la morte a viso aperto insieme a Richard per distruggere le Torri della Perdizione nella speranza di restituire la propria terra alla sua gente, seppellì il viso contro la spalla di Kahlan e pianse come una bambina al ricordo di quanto aveva visto a Renwold. I maestri di spada preferirono distogliere lo sguardo piuttosto che vedere la loro donna degli spiriti in quello stato. Chandalen e i suoi cacciatori si girarono a loro volta. Richard non credeva che ci fosse qualcosa in grado di far piangere Du Chaillu di fronte a tutti. «Laggiù c'era un uomo» continuò Du Chaillu singhiozzando. «L'unico che abbiamo trovato vivo.» «Come ha fatto a sopravvivere?» chiese Richard, stupefatto. «Ve lo ha detto?» «Era impazzito. Implorava gli spiriti buoni per la sua famiglia. Piangeva dicendo che era stato un pazzo e chiedeva agli spiriti di perdonarlo e restituirgli la famiglia. «Teneva in mano la testa marcia di un bambino. Le parlava come se fosse viva, implorando il suo perdono.» Il volto di Kahlan assunse un'espressione triste e lentamente, con riluttanza le chiese: «Aveva i capelli lunghi e bianchi, un vestito rosso con decorazioni dorate sulle spalle?» «Lo conosci?» chiese a sua volta Du Chaillu. «È l'ambasciatore Seldon. Non era in città durante l'attacco... perché era ad Aydindril.» Kahlan fissò Richard. «Gli chiesi di unirsi a noi, ma lui si rifiutò affermando che era della stessa idea dell'assemblea dei sette: per loro Mardovia sarebbe stata comunque vulnerabile sia che si fosse unita a noi che al nemico, quindi decise che la cosa più sicura era rimanere neutrali.» «E tu cosa gli hai detto?» domandò Richard. «Ho ripetuto le tue parole... non ci sono parti neutrali in questa guerra. Gli dissi che in qualità di Madre Depositaria avevo dichiarato guerra senza quartiere all'Ordine Imperiale. Riferii all'ambasciatore Seldon che sia io che tu la pensavamo come una sola persona a riguardo e che il regno da lui rappresentato poteva schierarsi solo con noi o contro di noi. Gli feci anche notare che l'Ordine Imperiale la pensava allo stesso modo. «Cercai di spiegargli quello che sarebbe successo se non mi avesse ascoltato. Lo implorai di pensare alla vita dei suoi familiari, ma lui mi rispose che erano al sicuro dietro le mura di Renwold.» «Vorrei che nessuno mai dovesse subire una simile lezione» sussurrò Richard. Du Chaillu riprese a singhiozzare. «Ho pregato che la testa non fosse quella del figlio. Non vorrei rivederla in sogno.» Richard sfiorò delicatamente il braccio della donna degli spiriti. «Comprendiamo quello che provi, Du Chaillu. Il terrore che incute l'Ordine serve per demoralizzare i nemici futuri e costringerli ad arrendersi. Ecco perché combattiamo quella gente.» Du Chaillu lo fissò, asciugò gli occhi con il dorso della mano e tirò su con il naso. «Allora ti chiedo di andare nel posto dove sta andando l'Ordine o almeno mandare qualcuno ad avvertirli. Quella gente deve scappare prima di essere massacrata come quelli che abbiamo visto a Renwold. Dovete avvertire gli Ander. Devono scappare.» Scoppiò nuovamente in lacrime e Richard la osservò allontanarsi da loro. Du Chaillu voleva restare sola con il suo dolore. Kahlan posò una mano sulla spalla del suo amato. «Anderith non si è ancora arresa a noi. Hanno degli ambasciatori ad Aydindril che hanno ascoltato la mia proposta, vero? Sanno come la pensiamo?» chiese Richard. «Sì» rispose Kahlan. «I loro rappresentati sono stati messi in guardia come tutti quelli degli altri regni. Sanno della minaccia e a cosa vanno incontro. «Anderith sa che l'alleanza delle Terre Centrali è terminata e che ci aspettiamo che si arrendano all'impero d'hariano.» 'Impero d'hariano' quelle due ultime parole gli sembrarono così dure e fredde. Si sentiva sempre di più un impostore sul trono di qualcuno che pensava non esistesse nemmeno, che fosse un titolo e basta. «Fino a poco tempo fa ero terrorizzato dal D'Hara. Temevo che conquistasse tutto. Ora è la nostra unica speranza.» Kahlan sorrise all'ironia di quella affermazione. «L'unica cosa rimasta uguale al D'Hara di un tempo è il nome, Richard. Tutti sanno che combatti contro la tirannia che vorrebbe imporre l'Ordine Imperiale. «Anderith conosce i termini e le condizioni che hai posto. Se si unirà a noi sarà trattato come tutti gli altri e ubbidirà alle leggi che tutti noi rispettiamo. Sanno che non ci saranno eccezioni e conoscono le sanzioni e le conseguenze alle quali andrebbero incontro se non si unissero a noi.» «Avevamo detto la stessa cosa agli abitanti di Renwold, ma non ci hanno creduto» le rammentò. «Non tutti hanno voglia di affrontare la verità. Non possiamo aspettarci che sia così, dobbiamo preoccuparci di coloro che condividono i nostri ideali e che vogliono combattere per la libertà. Non puoi sacrificare della brava gente e rischiare una giusta causa per dei ciechi. Fallo, e sarà come se tradissi il coraggio dei regni che si sono uniti a noi e di cui sei responsabile.» «Hai ragione.» Richard sospirò. Si sentiva sempre male, ma le parole della moglie l'avevano in qualche modo confortato. «L'esercito di Anderith è molto grande?» «Be'... sì» disse Kahlan. «La vera difesa di Anderith, però, non è l'esercito ma un'arma chiamata Dominie Dirtch.» Sembrava D'Hariano Alto, ma in quel momento a Richard non veniva in mente nessuna possibile traduzione. «È qualcosa che possiamo usare per bloccare l'Ordine?» Kahlan distolse lo sguardo e cominciò a piluccare le punte degli steli d'erba, assorta nei suoi pensieri. «È un'antica arma magica. Il Dominie Dirtch ha reso Anderith praticamente immune da ogni forma d'attacco. Sono parte delle Terre Centrali perché hanno bisogno di noi per commerciare, altrimenti non saprebbero a chi vendere le grandi quantità di cibo che producono, ma quell'arma li rende praticamente autonomi, in un certo senso è come se fossero sempre stati fuori dalle Terre Centrali. «Le relazioni con loro sono sempre state molto difficili. Io, come le Madri Depositarie che mi hanno preceduto, li abbiamo obbligati ad accettare le nostra autorità e le regole del Consiglio se volevano vendere le loro merci. Gli Ander sono un popolo orgoglioso con un'altissima opinione di loro stessi. Pensano di essere migliori degli altri.» «È quello che pensano loro, ma io e Jagang la pensiamo diversamente. Cosa mi sai dire di quell'arma? Credi che sia in grado di fermare l'Ordine?» «Sono secoli che non viene usata su larga scala.» Kahlan strofinò uno stelo d'erba sul mento. «Ma credo che potrebbe farlo. I suoi effetti hanno scoraggiato ogni attacco, almeno in tempi normali. Le ultime volte che l'hanno usata era per conflitti minori.» «Come funziona?» chiese Cara. «Il Dominie Dirtch è una linea difensiva situata nelle praterie a poca distanza dal confine di Anderith. È una lunga fila di gigantesche campane poste a una certa distanza tra loro e disposte lungo tutto il confine del regno.» «Campane?» disse Richard. «Com'è possibile che delle campane possano proteggerli? Sono usate per avvertire la gente e richiamare l'esercito?» Kahlan agitò il filo d'erba come se fosse un professore che cerca di far capire allo studente che sta sbagliando. Anche Zedd agitava l'indice in quel modo aggiungendo un sorriso impertinente come se non volesse dare a Richard l'idea che lo stesse correggendo. Kahlan, comunque, non lo stava correggendo, gli stava insegnando e Richard era conscio di non sapere quasi nulla sulle Terre Centrali. La parola 'insegnando' lo colpì immediatamente. «Non si tratta di quel genere di campane» spiegò Kahlan. «L'unica cosa che le accomuna alle campane è la forma. Sono state scolpite nella roccia e nel corso degli anni la superficie si è ricoperta di muschi e licheni. Sono simili a monumenti molto antichi. Formano una linea continua sull'orizzonte che ricorda lo scheletro di un mostro incredibilmente lungo morto da tempo.» Richard si grattò la mascella. «Quanto sono grandi?» «Sono posate su piedistalli che si trovano a due o tre metri di distanza l'uno dall'altro. I piedistalli sono alti più o meno così» disse Kahlan passandosi una mano sopra la testa. «I gradini per raggiungere le campane sono stati intagliati direttamente nella roccia e le campane saranno alte due metri e mezzo, forse tre. «La parte posteriore di ogni campana ricorda... uno scudo ed è stata lavorata come se facesse parte della stessa pietra del basamento. Anzi, ricorda il riflettore che viene messo dietro le lampade. Ogni campana è sorvegliata da un soldato giorno e notte. Quando viene dato l'ordine, il soldato si posiziona dietro il riparo e il Dominie Dirtch, le serie di campane, sono colpite con un lungo batacchio di legno. «Il rintocco che emettono è molto profondo, almeno così dicono quelli che lo hanno ascoltato stando dietro i ripari. Nessuno di quelli che hanno attaccato Anderith è stato mai in grado di dire come fosse il suono dall'altra parte perché nessuno è mai sopravvissuto.» Richard era stupefatto. «Cosa fanno quelle campane? Quali sono gli effetti del suono?» Kahlan accartocciò il filo d'erba. «Strappa la carne dalle ossa.» Richard non riusciva a immaginare qualcosa di più spaventoso. «È una leggenda o si tratta di qualcosa di comprovato?» «Io stessa ho visto gli effetti di quell'arma. Una volta un popolo primitivo che abitava le praterie cercò di compiere una scorreria perché un soldato di Anderith aveva infastidito una loro donna. «Fu una vista raccapricciante, Richard. Una pila di ossa insanguinate nel mezzo di una... una... montagnola di carne. Potevi vedere capelli, brandelli di vestito, qualche frammento d'unghia, ma tutto il resto era irriconoscibile. Se non fosse stato per qualche pezzo d'osso e per i particolari che ti ho appena riferito sarebbe stato difficile capire che fino a qualche secondo prima quel mucchio di carne sanguinolenta era un uomo.» «Quanto mi racconti fuga ogni dubbio: le campane usano la magia» affermò Richard. «Qual è la loro portata? A che velocità uccidono?» «Da quello che ho capito il Dominie Dirtch uccide ogni persona che si trova davanti a vista d'occhio. Una volta suonate le campane, l'invasore ha il tempo di fare uno o due passi prima di subire gli effetti dell'arma. I primi a lacerarsi sono la carne e i muscoli dopodiché gli organi interni escono dal corpo. Non c'è nessuna difesa e una volta suonato il Dominie Dirtch distrugge tutto ciò che si trova davanti a lui.» «Un invasore potrebbe sgattaiolare dietro le campane di notte?» chiese Richard. Kahlan scosse la testa. «Il terreno intorno è così piatto che i difensori sono in grado di scorgere chiunque s'avvicini per chilometri. La notte vengono accese le torce. Inoltre, davanti alla fila di campane si estende una trincea in modo che nessuno possa avvicinarsi strisciando tra l'erba e il grano. Il Dominie Dirtch ha proprio l'aria di essere insuperabile o almeno così è stato nel corso degli ultimi due o tremila anni.» «Il numero degli invasori è importante?» «Da quello che so il Dominie Dirtch può distruggere qualsiasi contingente che marci contro Anderith finché i soldati fanno suonare le campane.» «Come un esercito...» sussurrò con aria assorta Richard. «Ho capito cosa hai in mente, Richard, ma i rintocchi sono liberi e stanno distruggendo la magia. Sarebbe un rischio troppo grande dipendere dal Dominie Dirtch per cercare di fermare Jagang.» Richard fissò Du Chaillu che piangeva con la testa tra le mani poco distante da loro. «Ma hai detto che Anderith ha un esercito molto grosso.» Kahlan sospirò impaziente. «Richard, hai promesso a Zedd che saremmo andati dritti filati ad Aydindril.» «Vero, ma non gli ho detto quando.» «Era implicito.» Richard si girò per fissare la moglie in viso. «Non rompo nessuna promessa se prima vado da qualche altra parte.» «Richard...» «Kahlan, molto probabilmente Jagang sa che la magia sta scomparendo e forse pensa di occupare Anderith assicurandosi un'ottima riserva di vettovaglie.» «Questa eventualità rappresenterebbe indubbiamente un brutto colpo per la nostra fazione, ma le Terre Centrali hanno anche altre riserve di cibo.» «E se non fosse solo il cibo la ragione che spinge Jagang verso Anderith?» chiese, arcuando un sopracciglio. «Al suo seguito ci sono molte persone con il dono. Anche loro si saranno accorti che la magia sta scomparendo. E se si fossero resi conto che si tratta dei rintocchi? E se Jagang interpretasse questo fatto come un'occasione favorevole per conquistare una terra che altrimenti sarebbe imprendibile? E cosa succederebbe dopo... una volta banditi i rintocchi?» «Come potrebbe sapere che è opera dei rintocchi? Ma se anche fosse, come potrebbe sapere cosa è necessario fare per allontanarli?» «Alcuni maghi al suo seguito provengono dal Palazzo dei Profeti. Uomini e donne che hanno studiato i libri custoditi nei sotterranei di quel luogo. Hanno passato centinaia d'anni su quei volumi. Io non oso neanche immaginare quello che potrebbero conoscere, e tu?» L'allarme destato dalle implicazioni contenute nell'affermazione di Richard si dipinse sul volto di Kahlan. «Pensi che conoscano un sistema per bandire i rintocchi?» «Non lo so, ma se così fosse - o si stessero recando ad Anderith per cercare una soluzione al problema - pensa a cosa vorrebbe dire. L'esercito di Jagang schierato al gran completo dietro il Dominie Dirtch, libero di vagare per le Terre Centrali. Sai benissimo che a quel punto non potremmo più fermarli. «Potrebbero penetrare negli altri regni in qualsiasi momento, anzi, se la prenderebbero molto comoda. Controllando il Dominie Dirtch ci impedirebbero di mandare degli esploratori per capire il punto esatto dove l'esercito si sta ammassando e come mi hai spiegato tu stessa, Anderith è un regno molto grande. Noi non potremmo controllare tutto il confine, ma le sue spie sarebbero in grado di controllare le nostre mosse e riferire tutto a Jagang. «A quel punto, l'imperatore potrebbe decidere di sfruttare i punti dove la nostra rete difensiva è più debole. Se volessero potrebbero colpire molto duramente in più punti poi ritirarsi dietro il Dominie Dirtch. Oppure, con un po' di tempo e pazienza potrebbero scovare un punto debole del nostro schieramento che non può ricevere rinforzi in maniera rapida, sfondare e dilagare per tutte le Terre Centrali. Una volta superato il nostro esercito potrebbero distruggere e saccheggiare tutto quello che pare loro senza che nessuno li possa fermare. A quel punto potremmo solo cercare di inseguirli e riuscire di tanto in tanto a morder loro il sedere. «Una volta al sicuro dietro il Dominie Dirtch, il tempo sarebbe dalla loro parte. Potrebbero aspettare una settimana, un mese, un anno... anche dieci, se necessario. Aspetterebbero che lo sforzo di mantenere una sorveglianza continua ci indebolisca e a quel punto ci attaccherebbero quando meno ce lo aspettiamo.» «Dolci spiriti» sussurrò Kahlan. Lo fissò duramente. «Sono solo speculazioni. E se non sapessero come bandire i rintocchi?» «Non lo so, Kahlan. Sto solo giocando a 'e se?' Dobbiamo decidere come muoverci. Se facciamo la mossa sbagliata rischiamo di vanificare tutti gli sforzi e i sacrifici compiuti fino a oggi.» «Hai ragione» ammise Kahlan. Richard si girò a guardare Du Chaillu e vide che si era inginocchiata, assorta in preghiera. «Anderith ha qualche biblioteca importante?» «Sì, certo» disse Kahlan. «Hanno una gigantesca biblioteca. La Biblioteca della Cultura, come la chiamano loro.» «Se c'è una risposta» azzardò Richard arcuando un sopracciglio «perché deve essere per forza ad Aydindril? Nel diario di Kolo? E se la risposta si trovasse in una delle loro biblioteche?» «Sempre che esista un libro con la risposta» rispose stancamente, Kahlan prendendo una ciocca di capelli con una mano. «Lo scenario che hai prospettato è preoccupante, lo ammetto, ma abbiamo dei doveri nei confronti degli altri e dobbiamo comportarci in maniera responsabile. È in gioco il destino di diverse nazioni. Se dovessi mai sacrificare una nazione per salvare tutte le altre, lo farei, con riluttanza, ma lo farei. «Zedd ci ha detto di andare ad Aydindril perché da là potremo risolvere il problema. Può avergli anche dato un altro nome, ma il problema rimane sempre lo stesso. Se quello che ci ha detto di fare serve a fermare i rintocchi, allora dobbiamo attenerci alle sue istruzioni. Abbiamo il dovere di agire con buon senso e per il bene di tutti.» «Lo so.» Il peso della responsabilità era schiacciante. Avevano bisogno di recarsi in entrambi i luoghi. «C'è qualcosa in tutta questa faccenda che mi disturba, ma non riesco a capire cosa sia. Peggio, ho paura per il prezzo, in termini di vite umane, che dovremmo pagare se dovessimo compiere la scelta sbagliata.» Kahlan gli strinse un braccio. «Lo so Richard.» Richard alzò le mani al cielo e si girò. «Ho bisogno di dare un occhiata a quel libro: Il gemello della montagna.» «Ma non puoi, Ann dice di aver chiesto a Verna tramite il libro di viaggio e lei le ha risposto che è stato distrutto, giusto?» «Esatto, quindi non c'è modo di...» Richard si girò verso di lei. «Libro di viaggio.» Richard aveva capito qualcosa. «Kahlan, le Sorelle usano i libri di viaggio per comunicare durante i viaggi più lunghi.» «Lo so.» «I libri di viaggio furono creati appositamente per loro dai maghi di un tempo... durante i giorni della grande guerra.» «E...?» chiese Kahlan, interdetta. «I libri sono sempre appaiati. Puoi solo comunicare con il gemello di quello che possiedi.» «Richard, non capisco...» «E se anche i maghi avessero fatto lo stesso? Il Mastio del Mago di Aydindril mandava sempre in viaggio i maghi e come potevano sapere cosa stava succedendo ai compagni? Come facevano a coordinarsi? E se fossero ricorsi allo stesso sistema delle Sorelle della Luce? Dopo tutto i maghi di un tempo lanciarono un incantesimo intorno al Palazzo dei Profeti e crearono i libri di viaggio affinché le Sorelle potessero usarli.» Kahlan aggrottò la fronte. «Continuo a non capire...» Richard la prese per le spalle. «E se Il gemello della Montagna, il libro che è stato distrutto non fosse altro che un libro di viaggio? Quello di Joseph Ander?» 33 Kahlan rimase senza parole. Richard aumentò la forza della presa. «E se l'altro libro usato da Joseph Ander esistesse ancora?» Kahlan si umettò le labbra. «È possibile che sia custodito da qualche parte ad Anderith.» «Devono. Dopotutto... ne rispettano la memoria, altrimenti non avrebbero dato il suo nome a un regno. Mi sembra logico pensare che custodiscano ancora l'altra metà del libro di viaggio, sempre che esista ancora.» «È possibile. Ma non va sempre così, Richard.» «Cosa vuoi dire?» «A volte una persona non viene apprezzata quando è ancora in vita. A volte il suo lavoro è compreso molto dopo e in più di un caso è usato per promuovere la causa delle persone che si trovano al potere in quel momento. In alcuni casi le opere di una persona possono essere manipolate o distrutte. «Non siamo di fronte a questo caso e quella gente rispetta veramente il pensiero del fondatore, quella terra ha cambiato il suo nome in Anderith dal periodo in cui Zedd ha lasciato le Terre Centrali. A volte una persona diviene oggetto di venerazione perché non rimane abbastanza della sua filosofia da permettere un giudizio veramente obbiettivo, a questo punto la persona diventa importante come simbolo. È molto probabile che non sia rimasto quasi nulla degli scritti di Joseph Ander.» Richard si grattò il mento pensieroso, la logica di Kahlan l'aveva colto alla sprovvista. «L'altra incognita» disse infine «è che le parole scritte sui libri di viaggio possono essere cancellate per fare posto a nuove comunicazioni. Anche se ho ragione e Ander scrisse al Mastio di aver trovato la soluzione per eliminare i rintocchi e il libro si trova effettivamente ad Anderith, non è detto che conservi ancora il passaggio che ci interessa perché ci sono moltissime probabilità che sia stato cancellato per far posto a nuovi messaggi. «Ma» aggiunse «sembra l'unica possibilità plausibile che ci resta.» «No, non lo è» insisté Kahlan. «C'è una seconda possibilità ed è quella più credibile: dobbiamo andare al Mastio del Mago.» Richard si sentiva sempre più attratto verso l'eredità lasciata da Joseph Ander. Se solo fosse riuscito a provare che quell'attrazione non era solo immaginazione... «Kahlan, so..» Non terminò la frase. Sentì i capelli che si rizzavano sulla nuca e pizzicavano come aghi ghiacciati. Il mantello dorato ondeggiava pigramente mosso dalla brezza schioccando ogni volta che una increspatura raggiungeva gli angoli. Gli venne la pelle d'oca sulle braccia ed ebbe l'impressione di sentire le gelide dita del male lungo la schiena. «Cosa succede?» chiese Kahlan, con un'espressione allarmata. Richard cominciò a guardare la prateria circostante senza parlare, ma visibilmente spaventato. Non c'era nulla, solo le verdi onde dell'erba alta illuminate dalla luce del sole. In lontananza le nubi continuavano a ribollire striate dai fulmini e anche se non poteva sentire il rumore del tuono, ne avvertiva la vibrazione sotto i piedi. «Dov'è Du Chaillu?» Cara, che si trovava a pochi passi da loro e continuava a sorvegliare i Baka Tau Mana, indicò una direzione. «L'ho vista andare da quella parte qualche minuto fa.» Richard cercò la donna con lo sguardo, ma non la trovò. «Per fare cosa?» «Stava piangendo, poi mi è sembrato che volesse sedersi per riposarsi o pregare.» Era la stessa cosa che aveva visto Richard. La chiamò, ma l'unica risposta che ricevette fu il trillo di un'allodola. Chiuse le mani a coppa intorno alla bocca e chiamò di nuovo. I maestri di spada non attesero oltre e cominciarono a cercare. Richard corse nella direzione indicatagli da Cara. Kahlan e la Mord-Sith lo seguirono senza esitare. Anche i cacciatori si unirono alle ricerche chiamando il nome di Du Chaillu a gran voce. L'erba, che sembrava essere diventata una sorta di essere senziente, li stuzzicava con il suo ondeggiare attirando lo sguardo un po' dovunque, ma senza mai rivelare dove stesse celando la donna degli spiriti. Richard vide con la coda dell'occhio una massa scura che spiccava in una zona dove l'erba era ricresciuta da poco. Tagliò verso destra, attraversando un punto ricoperto da uno spesso strato di fango che rallentò la sua andatura. Dopo qualche metro il fondo della prateria tornò compatto, rivide la forma scura e alterò leggermente la direzione per raggiungerla. Du Chaillu era sdraiata nell'erba e sembrava stesse riposando, solo che il viso era immerso in pochi centimetri d'acqua. Richard si lanciò su di lei, la prese per l'abito e la girò sulla schiena. Il vestito bagnato aderiva alla pelle delineando i contorni del ventre gravido. Ciuffi di capelli bagnati si erano appiccicati al viso esangue. Du Chaillu aveva lo sguardo fisso verso il cielo. Avevo lo stesso identico sguardo rapito di Juni. Richard scosse il corpo esanime. «No! Du Chaillu! No! Ti ho vista viva solo qualche minuto fa! Non puoi essere morta! Du Chaillu!» La bocca aveva una smorfia strana, le braccia goffamente abbandonate e non rispose: era morta. Quando Kahlan gli mise una mano sulla spalla per confortarlo, Richard lanciò un grido angosciato. «Era ancora viva qualche attimo fa» mormorò Cara. Richard seppellì il volto tra le mani. «Lo so. Dolci spiriti. Lo so. Se solo me ne fossi accorto prima.» Cara gli tolse le mani dal viso. «Il suo spirito potrebbe essere ancora nel corpo, lord Rahl.» I maestri di spada e i cacciatori si inginocchiarono intorno al cadavere. Richard scosse la testa. «Mi dispiace, Cara, ma è morta.» I ricordi di lei ancora viva cominciavano a emergere dalla memoria. «Lord Rahl...» «Non respira, Cara.» Allungò una mano per chiuderle gli occhi. «È morta.» Cara gli torse un polso con forza. «Denna non vi ha insegnato nulla? Una Mord-Sith insegna sempre al suo prigioniero a condividere il soffio della vita!» Richard fece una smorfia e distolse lo sguardo dai penetranti occhi azzurri di Cara. Era un rito crudele che consentiva di condividere il dolore. Il ricordo lo riempì di un orrore pari a quello che in quell'istante provava per la morte di Du Chaillu. Una Mord-Sith condivideva il respiro della vittima quando questa si trovava al confine tra la vita e la morte. Per una Mord-Sith quello era una sorta di rituale sacro, un modo per condividere il dolore, condividere l'ultimo respiro mentre la vittima stava per morire. Era come se con quel rituale riuscissero a scorgere cosa si trovava nell'aldilà. Quella sorta di cerimonia precedeva il momento in cui la vittima veniva uccisa ed era mirata a condividere e sperimentare l'ultimo alito di vita di una persona. Prima di uccidere la sua padrona, Richard aveva condiviso il respiro della vita con Denna. «Cara, non capisco cosa abbia a che fare...» «Restituiteglielo!» Richard non poteva fare altro che fissare la Mord-Sith. «Cosa?» Cara emise una sorta di ringhio, lo allontanò da Du Chaillu con una spinta e si inginocchiò a fianco del corpo facendo aderire la sua bocca a quella della donna. Richard pensava di essere riuscito a instillare un maggiore rispetto per la vita alle Mord-Sith. La vista fece riemergere dalla sua memoria una serie di ricordi osceni. Rimase molto stupito nel vedere Cara che si atteneva a uno dei rituali più macabri del suo passato e si arrabbiò molto per il fatto che la donna non si fosse elevata al di sopra dell'addestramento brutale che aveva subito da giovane, come sperava fosse successo. Cara chiuse il naso di Du Chaillu e le alitò nella bocca. Richard allungò una mano per afferrare le spalle larghe della Mord-Sith e strapparla dal corpo della donna degli spiriti, ma si fermò poco prima di toccarla. Cara aveva agito con una fretta e un comportamento tale che giunse alla conclusione che forse non era tutto come sembrava. La Mord-Sith fece scivolare una mano sotto il collo della donna senza togliere l'altra dal naso e le alitò nuovamente nella bocca. Il petto di Du Chaillu si gonfiò e si abbassò lentamente, mentre Cara riprendeva fiato. Un maestro di spada, rosso in viso dall'ira, vide che Richard aveva cambiato idea e fece per avventarsi su Cara, ma Richard gli bloccò il polso. Jiaan lo fissò con aria interrogativa e lui scosse la testa. Il maestro di spada ritirò la mano, riluttante. «Richard!» sussurrò Kahlan. «Che cosa sta facendo, nel nome del Creatore! Si tratta di qualche oscuro rituale di morte del D'Hara?» Cara soffiò nuovamente nella bocca di Du Chaillu. «Non lo so» rispose Richard, sussurrando a sua volta. «Ma non è quello che pensavo.» Non aveva voglia di spiegare quello che aveva creduto che fosse e fissò gli occhi verdi della moglie. Sentì Cara che respirava nella bocca del corpo senza vita e distolse lo sguardo: non ce la faceva a guardare. Non riusciva a capire dove volesse arrivare Cara, ma non poteva restare seduto come tutti gli altri. Cercò di convincersi che forse Kahlan aveva ragione. Probabilmente si trattava di un rituale d'hariano per aiutare lo spirito nel suo viaggio verso l'aldilà. Richard si alzò in piedi barcollando, ma nello stesso istante Kahlan gli afferrò la mano. Un colpo di tosse echeggiò nell'aria. Richard si voltò e vide Cara che girava Du Chaillu su un fianco e cominciava a darle delle forti pacche sulla schiena. La donna degli spiriti compì qualche respiro faticoso, dopodiché vomitò. Richard si inginocchiò e le spostò i capelli dal viso. «Cosa hai fatto?» le chiese, stupefatto per aver visto la donna tornare in vita. «Come ci sei riuscita?» Cara continuava a picchiare sulla schiena di Du Chaillu che sputò altra acqua. «Denna non vi ha insegnato a condividere il respiro della vita?» domandò la Mord-Sith, infastidita. «Sì, ma... ma non era...» Du Chaillu afferrò il braccio di Richard ansimando e lui le carezzò i capelli per farle sapere che era presente e la donna rispose stringendogli il braccio con una mano. «Cara» chiese Kahlan «come hai fatto? Come sei riuscita a farla rivivere? Hai usato la magia?» «Magia?» disse Cara in tono irridente. «No, nessuna magia. Tutto questo non ha nulla a che fare con la magia. Il suo spirito non aveva ancora lasciato il corpo, ecco tutto. In quel caso si può fare qualcosa, ma bisogna agire immediatamente. Con questa tecnica è possibile restituire alla vittima il respiro della vita.» Gli uomini gesticolavano e parlavano tra loro in tono concitato. Aveva- no appena assistito a un miracolo che sicuramente avrebbe dato vita a una leggenda. La loro donna degli spiriti aveva viaggiato nel mondo dei morti... ed era tornata. Richard fissava Cara attonito. «Tu puoi?... Puoi ridare ai morti il soffio della vita?» Kahlan spostò un ciuffo di capelli bagnati dal volto di Du Chaillu cercando di tranquillizzarla. La donna vomitò nuovamente, ma quando ebbe terminato respirava meglio, malgrado avesse ancora un aspetto piuttosto malconcio. Kahlan prese la coperta che le avevano passato gli uomini e l'avvolse intorno alle spalle della donna degli spiriti che aveva cominciato a tremare. Cara si avvicinò all'orecchio di Richard perché non voleva che nessun altro sentisse. «Come credevate che Denna vi avesse tenuto in vita quando vi torturava? Non c'era nessuno più bravo di lei. Io sono una Mord-Sith so quello che vi è stato fatto e conoscevo bene Denna. Deve averlo fatto più di una volta con voi perché non aveva ancora finito, ma in quei casi si trattava di sangue e non acqua.» Richard ricordava bene quel particolare; gli era capitato spesso di avere l'impressione di affogare nel suo stesso sangue mentre lo tossiva a fiotti. Denna era la preferita di Darken Rahl perché era la migliore, si diceva che fosse in grado di tenere la vittima sul confine tra la vita e la morte più a lungo di tutte le altre consorelle. Il rituale del respiro della vita faceva parte di tutto ciò. «Ma, io non pensavo...» Cara aggrottò la fronte. «Non pensavate cosa?» Richard scosse la testa. «Non pensavo che fosse possibile, non dopo che una persona è morta.» Cara aveva appena compiuto uno dei gesti più nobili che si potessero concepire e lui non se la sentiva di dirle che aveva pensato che stesse soddisfacendo uno sinistro appetito del passato. «Hai compiuto un miracolo, Cara. Sono orgoglioso di te.» La Mord-Sith lo fissò in cagnesco. «Smettetela di guardarmi come se fossi un grande spirito sceso tra gli uomini. Sono una Mord-Sith. Tutte le mie consorelle avrebbero potuto farlo.» Lo afferrò per il colletto della maglia e lo avvicinò al suo viso. «Anche voi lo sapete fare. Denna ve lo ha insegnato. Lo so. Avreste potuto farlo bene quanto me.» «Non lo so, Cara. Io ho sempre ricevuto il respiro della vita, ma non l'ho mai dato.» «Darlo è come riceverlo, basta invertire il processo» gli spiegò lasciando andare la maglia. Du Chaillu abbracciò Richard all'altezza della vita e lui cercò di calmarla. «Marito» riuscì a dire tra un colpo di tosse e l'altro «mi hai salvato... dal bacio della morte.» Kahlan stava stringendo una mano di Du Chaillu. Richard le prese l'altra e la posò sulla gamba della Mord-Sith. «Non sono stato io a salvarti. È stata Cara a restituirti il respiro.» Le dita di Du Chaillu strinsero la gamba avvolta nel cuoio, quindi salirono lungo la coscia finché non incontrarono la mano di Cara. «E il bambino del Caharin... Ci hai salvati entrambi... Grazie, Cara.» Tossì. «Il figlio di Richard vivrà grazie al tuo intervento. Grazie.» Richard pensò che non fosse il momento di mettersi a discutere sulla paternità del bambino. «Non è stato nulla. Anche lord Rahl l'avrebbe fatto, ma io ero più vicina e l'ho battuto sul tempo.» Cara le strinse rapidamente la mano, quindi si alzò per lasciare spazio ai maestri di spada ansiosi di poter avvicinarsi alla loro donna degli spiriti. «Grazie, Cara» ripeté Du Chaillu. Sulla bocca della Mord-Sith apparve una smorfia di disgusto, non le andava che qualcuno apprezzasse il fatto che aveva fatto un gesto compassionevole. «Siamo felici che il tuo spirito non ti abbia lasciata, così potrai rimanere tra noi. Lo stesso vale per il bambino di lord Rahl.» 34 Du Chaillu fu accudita dai maestri di spada e da alcuni cacciatori. La donna sacra dei Baka Tau Mana era tornata dal mondo degli spiriti, o da un luogo molto vicino a esso. Era ancora infreddolita. Le coperte erano insufficienti, così Richard disse agli uomini di accendere un fuoco per scaldarla, ma dovevano stare tutti vicini per ridurre le possibilità di sorpresa. Due cacciatori del Popolo del Fango spianarono un tratto d'erba e scavarono un buco nel terreno, mentre i compagni intrecciavano dei fasci d'erba per far sì che si asciugassero. Ricoprirono i fasci con una pece resinosa che portavano sempre con loro e ne sistemarono quattro nella buca formando una piramide. Una volta acceso il fuoco posarono gli altri fasci d'erba in prossimità delle fiamme per asciugarli e:nel volgere di una mezz'ora avevano un bel fuoco e il combustibile per alimentarlo. Du Chaillu era ancora molto provata dall'esperienza, ma almeno era ancora viva. Respirava meglio e i colpi di tosse erano sempre più rari. I maestri di spada si assicurarono che bevesse del tè caldo, mentre i cacciatori cucinavano le lepri e il porridge di tava. Sembrava che si sarebbe ripresa e rimasta nel mondo dei vivi ancora per molto tempo. Richard non riusciva a smettere di pensare al miracolo: una persona morta che tornava in vita. Se qualcuno glielo avesse raccontato prima di quel giorno, lui avrebbe dubitato fortemente di quelle parole: Quel giorno le sue convinzioni in fatto di vita e morte avevano subito un bello scossone. Richard non aveva più dubbi sul da fare. Cara osservava gli uomini che si affaccendavano intorno a Du Chaillu con le braccia conserte. Kahlan, come tutti gli altri, fissava con sguardo affascinato la donna degli spiriti. Solo la Mord-Sith non sembrava colpita da quanto era successo, per lei era qualcosa di perfettamente normale far tornare a respirare una persona considerata morta ma, quello che una Mord-Sith era solita considerare 'ordinario', non era ritenuto tale dalla maggior parte della gente. Richard prese Kahlan per un braccio e la trasse gentilmente a sé. «Prima mi stavi dicendo che nel corso degli ultimi secoli nessuno è mai riuscito a superare il Dominie Dirtch, vuoi dirmi che in passato qualcuno ci riuscì?» Kahlan si concentrò sulla domanda del marito. «Non è molto chiaro ed è un tema su cui si discute parecchio, ma solo fuori Anderith, è ovvio.» Fin dalla prima volta in cui l'aveva sentita nominare quel regno, Richard aveva avuto la netta impressione che Anderith non fosse uno dei luoghi preferiti da Kahlan. «Cosa successe?» «È un storia che richiede qualche spiegazione.» Richard prese tre pezzi di pane di tava dallo zaino, ne tenne uno per sé e passò gli altri due alla donna. «Sto ascoltando» disse infine, fissando la moglie. Kahlan mangiò un pezzo di pane, sembrava che stesse cercando il modo giusto per cominciare a raccontare. «Il regno che oggi è conosciuto come Anderith un tempo fu invaso da un popolo chiamato Haken. La gente di Anderith racconta che gli Haken usa- rono il Dominie Dirtch contro la popolazione che viveva su quelle terre che oggi noi conosciamo come Anderith. «Quando ero ragazzina e studiavo al Mastio, i maghi, però, mi raccontarono una storia diversa. In ogni caso, successe tutto molto tempo fa e la storia viene scritta dai vincitori che assumono il controllo di quanto deve essere insegnato. Per esempio, sono sicura che l'Ordine Imperiale darebbe una versione del massacro di Renwold molto diversa dalla nostra, se mai dovesse giungere a insegnarla come storia.» «Mi piacerebbe ascoltare la storia di Anderith» la incitò Richard addentando un pezzo di pane. «Quella che ti hanno raccontato i maghi, intendo.» Kahlan deglutì. «Molti secoli fa... forse si parla addirittura di due o tremila anni fa, gli Haken giunsero dalle praterie e invasero Anderith. Si pensa che fossero un popolo dalle origini sconosciute, la cui terra divenne per qualche motivo inospitale. È già successo in altri luoghi che un'inondazione o un terremoto cambiassero l'ambiente al punto da renderlo inadatto alla vita dell'uomo. Alle volte capita che una zona ricca di pascoli e campi coltivati diventi improduttiva e la gente che abita quelle aeree è costretta a emigrare. «Comunque, da quello che mi hanno insegnato, gli Haken riuscirono a superare il Dominie Dirtch, come, però, nessuno lo sa. Morirono in molti, ma alla fine riuscirono a passare e conquistarono la terra che oggi è conosciuta come Anderith. «Gli Ander erano più che altro un popolo nomade composto da tribù che combattevano in continuazione tra loro. Non sapevano né leggere né scrivere. Non sapevano lavorare il metallo o cose simili. Inoltre la loro organizzazione sociale era veramente primitiva. In poche parole, paragonati agli invasori, gli Ander erano un popolo molto arretrato. Non che non fossero in gamba, solo che gli Haken erano più avanzati. «Le loro armi erano più efficaci. Avevano la cavalleria, per esempio e avevano una migliore conoscenza della tattica e della coordinazione che deve avere un esercito nel corso di uno scontro su vasta scala. Avevano una gerarchia ben precisa, mentre gli Ander litigavano in continuazione tra di loro per decidere chi dovesse comandare. Questo fu uno dei motivi fondamentali che, una volta superato il Dominie Dirtch, permise agli Haken di mettere gli Ander rapidamente in ginocchio.» Richard passò a Kahlan la borraccia. «Se ho ben capito gli Haken erano un popolo di conquistatori, giusto?» Kahlan si asciugò l'acqua che le aveva bagnato il mento. «Non del tutto. Non appartenevano a quella categoria di conquistatori che soggiogano un altro popolo solo per il bottino e gli schiavi. Non facevano la guerra solo per depredare. «Essi portavano tutto il loro sapere, dalla lavorazione del cuoio per fare le scarpe a quella del metallo. Era un popolo di letterati. Conoscevano bene la matematica avanzata e la impiegavano per la costruzione dei palazzi. «Erano bravissimi nella coltivazione della terra su larga scala. Aravano i campi servendosi dei buoi e dai cavalli. Le loro colture erano ben diverse da quelle degli Ander che si limitavano a piccoli orti personali che servivano per incrementare i frutti della caccia. Gli Haken crearono una rete di canali per irrigare e introdussero il riso. Sapevano come selezionare le specie di grano migliori e come sfruttare al meglio il terreno. Erano anche esperti allevatori di cavalli e sapevano come gestire vaste mandrie di bovini.» Kahlan gli restituì la borraccia e mangiò un altro pezzo di pane. «Come spesso succede con le invasioni, gli usi e i costumi dei conquistatori soppiantano quelli dei conquistati. Lo stesso accadde tra gli Haken e gli Ander. Dopo l'invasione, seguì un lungo periodo di pace, anche se assicurata dai signori haken. I conquistatori erano severi, ma non brutali, invece di massacrare gli Ander come avrebbero fatto molti altri, li assorbirono nella loro società anche se affidarono loro lavori di poco conto.» «Quindi anche gli Ander beneficiarono degli usi e costumi degli Haken, giusto?» chiese Richard con la bocca ancora piena di pane. «Sì. Grazie alla direzione degli Haken il cibo non mancò per nessuno. Gli Ander erano sempre stati un popolo sull'orlo dell'estinzione, ma ben presto cominciarono a moltiplicarsi.» Sentirono Du Chaillu che tossiva con forza e si girarono verso di lei. Richard si acquattò vicino alla zaino e ne trasse il pacchetto fatto con un pezzo di tela che gli aveva dato Nissel. Al suo interno c'erano le foglie che l'erborista una volta gli aveva dato per calmare il dolore. Ne mise qualcuna in un altro pezzo di tela e lo passò a Cara. «Di' agli uomini di mettere queste foghe nel tè e lasciarle riposare per un po'. L'aiuteranno a calmare lo stomaco. Di' a Chandalen che è stata Nissel a darmele e che lo spieghi agli uomini di Du Chaillu in modo che non si preoccupino. «Dille che dopo aver bevuto il tè dovrà masticare una di queste. Le calmerà il dolore. Se dopo qualche tempo sente ancora male, allora dovrà masticarne un'altra.» Cara si allontanò velocemente. La Mord-Sith non l'avrebbe mai ammesso, ma Richard sapeva che era contenta di poter aiutare qualcuno. Lui non riusciva a immaginare una soddisfazione più grande di quella di riuscire a riportare in vita una persona. «Allora, cosa successe tra gli Haken e gli Ander? Tutto andò liscio come l'olio? Gli Ander impararono dagli Haken?» Diede un secondo morso al pane. «Pace, amore e fratellanza?» «In linea di massima, sì. Gli Haken portarono con loro un codice di leggi che servì anche a regolamentare le dispute sanguinose che scoppiavano continuamente tra gli Ander. Pur essendo il popolo aggressore, gli Haken avevano ucciso ben pochi Ander durante l'invasione. Le guerre fra le tribù ander erano molto più sanguinose, o almeno così mi dissero i maghi. «Non voglio dire che fossero del tutto giuste o equanimi, ma l'insieme delle leggi haken era qualcosa di più delle regole approssimative che si erano imposti gli Ander, tra i quali, comunque, l'unica legge veramente rispettata era quella del più forte. Una volta che li ebbero conquistati gli Haken insegnarono a leggere e a scrivere agli Ander. «Gli Ander erano sì un popolo piuttosto primitivo e ignorante, ma erano anche molto in gamba. Magari non riuscivano a esprimere concetti da parte loro, ma erano molti rapidi nell'afferrarli e considerarli sotto una nuova luce. Da quel punto di vista sono un popolo brillante.» Richard agitò il pezzo di pane in aria. «Perché allora non è chiamata Terra degli Haken o qualcosa di simile? Hai detto che la maggior parte degli abitanti di Anderith sono Haken.» «Un tempo era così. Ci stavo arrivando. I maghi mi spiegarono che gli Haken avevano un sistema di giustizia che, una volta stabilitisi ad Anderith, migliorò notevolmente.» «Giustizia? Da parte degli invasori?» «Una civiltà non si sviluppa in un solo momento, Richard. È un processo di costruzione molto lento e graduale. Parte di tale processo consiste nel mischiarsi con altri popoli. Può trattarsi di una fusione che avviene tramite la conquista, ma spesso porta a miglioramenti. Non si può giudicare la questione in maniera impulsiva e solo in termini di invasione e conquista.» «Ma se un popolo ne conquista un altro...» «Guarda il D'Hara. Grazie alla tua conquista, ora è diventato un luogo di giustizia dove la tortura e l'omicidio hanno smesso di essere la legge dominante.» Richard non aveva nulla da ridire a riguardo. «Suppongo che tu abbia ragione. Ma trovo vergognoso che una cultura sia distrutta da un'altra che la invade. Non è giusto.» Kahlan lo gratificò con uno sguardo che gli ricordò molto Zedd. Il nonno l'aveva guardato spesso in quel modo: sembrava dirgli di non ripetere credenze popolari del tutto errate e cercare di scoprire la verità. Fu per quel motivo che Richard ascoltò con attenzione. «Nessuna cultura ha il privilegio di esistere rispetto a un'altra. Le culture non hanno valore semplicemente per il fatto di esistere. Il mondo sarebbe un luogo decisamente migliore, se alcune culture sparissero.» Arcuò un sopracciglio. «Pensa all'Ordine Imperiale...» Richard sospirò. «Ho capito.» Kahlan diede un morso al pane e lui bevve un sorso d'acqua. Malgrado le ottime argomentazioni della moglie, Richard continuava a pensare che in qualche modo fosse ingiusto che una cultura fosse spazzata via da un'altra, tuttavia aveva compreso in parte gli argomenti di Kahlan. «Quindi gli usi e costumi degli Ander furono completamente soppiantati dal sistema giuridico degli Haken?» «A dispetto dell'attuale assetto politico di Anderith e della posizione che ora gli Haken occupano in quel regno, essi erano un popolo che teneva molto alla giustizia. Infatti la consideravano essenziale per permettere la nascita e la vita di una società ricca e ordinata. «Con il passare del tempo le nuove generazioni degli Haken concessero sempre più libertà agli Ander arrivando a trattarli quasi come dei loro pari. Le nuove generazione provavano una certa vergogna per quello che i loro antenati avevano fatto agli Ander.» Kahlan lasciò vagare lo sguardo per la pianura. «Certo, è molto facile provare vergogna se i colpevoli sono morti da secoli, specialmente quando tale discredito ti conferisce un'aura di civiltà senza bisogno di affrontare le prove dei propri antenati. «Comunque, l'attenersi strettamente al loro codice giuridico, fu l'inizio della fine per gli Haken. Gli Ander rimanevano sempre un popolo conquistato che odiava gli Haken e che non aveva mai smesso di pensare alla vendetta.» Uno dei cacciatori portò loro altro pane di tava e del porridge. Kahlan lo ringraziò. «Com'è possibile che il sistema giuridico degli Haken» disse Richard dopo aver ingurgitato qualche cucchiaiata di cibo «abbia fatto in modo che gli Haken ora siano virtualmente schiavi a causa del sistema giuridico degli Ander? Non mi sembra possibile.» Vide che Du Chaillu non voleva mangiare, ma accettava di buon grado il tè caldo offertole da Cara. «Il sistema giuridico degli Haken non fu la causa principale della loro caduta, Richard, ma solo un primo passo... una delle ossa scoperte della storia. Ti sto riferendo solo i punti salienti. I risultati. Capita spesso che una società subisca dei cambiamenti nel corso del tempo. «Gli Ander sfruttarono le leggi sempre più eque e riuscirono a raggiungere dei punti chiave dell'amministrazione. Gli Ander non sono diversi dagli altri popoli quando si tratta di acquisire potere.» «Come successe che gli Haken smisero di governare?» Richard scosse la testa. Non riusciva a credere a quanto stava sentendo. «C'è molto nel mezzo.» Kahlan si leccò il porridge da un dito. «Una volta ottenute dagli Haken leggi più giuste, gli Ander cominciarono a incunearsi nella società usando il loro status per guadagnare maggiore libertà. «In un primo tempo parteciparono ai commerci e dopo poco istituirono le gilde e i piccoli consigli locali. Un passo alla volta. «Non c'è dubbio, gli Ander lavorarono duramente. Dato che la legge era uguale per tutti, riuscirono a guadagnarsi lavorando gli stessi diritti degli Haken diventando persone degne di rispetto. «Ma il fatto più importante è che diventarono dei prestasoldi. «Vedi, gli Ander scoprirono di essere molto portati per il commercio. Con il passare del tempo passarono da classe lavoratrice a quelle dei mercanti e molti di loro guadagnarono vere e proprie fortune. «Diventando prestasoldi assunsero il potere finanziario. Le finanze era controllate da alcune grosse famiglie di Ander che fungevano da eminenza grigia dietro il potere degli Haken. Quest'ultimi divennero sempre più compiacenti, mentre gli Ander continuavano ad attenersi ai loro scopi. «Gli Ander divennero anche insegnanti. Gli Haken avevano sempre considerato l'insegnamento come un'attività di minore importanza e permisero agli Ander di esercitarla, perché ciò permetteva loro di concentrarsi di più sul governo. Gli Ander assunsero rapidamente il controllo dell'istituzione scolastica e istruirono nuovi insegnanti secondo le loro idee.» Richard ingoiò il boccone. «Fammi capire, quello sarebbe stato un errore?» «Oltre a leggere e a fare di conto, ai bambini fu insegnata la storia in modo che potessero crescere e comprendere il loro ruolo all'interno della società» spiegò Kahlan con un cenno della mano per enfatizzare il concetto. «Gli Haken volevano che tutti i bambini imparassero che c'era qualcosa di meglio rispetto alla guerra e alla conquista. Essi credevano che lasciando il permesso agli Ander di raccontare che gli Haken erano stati un popolo brutale che aveva conquistato i nobili e pacifici Ander, i bambini sarebbero cresciuti nutrendo un maggiore rispetto per gli altri. Ma, il senso di colpa instillato in quelle giovani menti contribuì all'erosione della società haken e diede vita a una progressiva perdita di rispetto per l'autorità del governo haken. «Poi successe un evento catastrofico... una siccità che durò dieci anni e fu proprio in quel periodo che gli Ander si affrancarono del tutto dal governo degli Haken. «L'intera economia era basata sui raccolti, grano più che altro. Fallirono diverse fattorie e i fattori non furono in grado di esportare il grano per il quale i mercanti li avevano già pagati. Venne chiesto il saldo dei debiti perché tutti dovevano sopravvivere. Le persone che non avevano grandi risorse finanziare persero le fattorie. «Il governo avrebbe potuto istituire un organo di controllo del sistema economico e rallentare il panico, ma avevano paura di contrariare i prestasoldi che li spalleggiavano. «A quel punto nacque il problema peggiore di tutti. «La gente cominciò a morire e ci furono dei disordini per il cibo. Fairfield fu rasa al suolo e bruciata. Haken e Ander si scontrarono senza rispettare nessuna legge. Il regno piombò nel caos più totale. Molti emigrarono in altri regni sperando di poter cominciare una nuova vita prima di morire di fame. «Gli Ander, però, usarono i soldi che avevano accumulato per comprare il cibo dall'estero. Solo loro potevano permetterselo e quella fu l'unica speranza di sopravvivenza per molta gente. Gli Ander furono considerati dei salvatori. «Gli Ander comprarono anche le fattorie in fallimento per quattro soldi. Il denaro degli Ander, per poco che potesse essere, e le provviste che avevano comprato furono le uniche cose che salvarono diverse famiglie dal morire di fame. «I conquistati cominciarono a vendicarsi. «Il governo, che allora era ancora in mano agli Haken, fu incolpato dalla folla per la penuria di cibo. Gli Ander, grazie ai loro appoggi finanziari, riuscirono a fomentare un'insurrezione che si allargò a macchia d'olio in tutto il regno. L'anarchia la fece da padrone, mentre i governatori haken erano uccisi nelle strade dal popolo esultante. «Gli intellettuali haken attirarono particolarmente la sete di sangue della folla che li considerava i maggiori responsabili di quanto era accaduto. Gli Haken di una certa cultura furono considerati nemici del popolo anche da quelli della loro stessa razza, che nella maggior parte dei casi erano fattori e contadini. La punizione ai danni degli Haken fu sanguinosa. Tutta la classe dirigente fu eliminata in maniera sistematica. Ogni Haken di un certo livello divenne sospettabile, quindi messo automaticamente a morte. «Grazie ai mezzi finanziari a loro disposizione e all'aiuto della folla inferocita, gli Ander distrussero velocemente tutti gli interessi degli Haken. «Il vuoto lasciato al governo fu colmato dagli Ander che riportarono ordine e sfamarono la gente. Quando la polvere sollevata dall'insurrezione scese del tutto a terra, gli Ander avevano raggiunto il controllo del regno stringendolo in una morsa ferrea grazie anche all'aiuto delle truppe mercenarie che avevano assoldato.» Richard aveva smesso di mangiare e fissava incredulo Kahlan che sottolineava con ampi gesti della mano la caduta della ragione. «Gli Ander cambiarono tutto. Ciò che un tempo era stato bianco divenne nero e viceversa. Dichiararono che gli Haken non potevano più giudicare correttamente gli Ander, a causa di quanto successo in passato, mentre loro, gli Ander intendo, potevano giudicare gli Haken perché essendo stati soggiogati per tanto tempo avevano sperimentato sulla loro pelle il concetto d'ingiustizia, quindi erano gli unici in grado di amministrare la giustizia. «Cominciarono a girare storie tremende sui misfatti degli Haken e tutti le accettarono come vere. gli Haken, spaventati non volendo essere uccisi dall'esercito, accettarono di sottomettersi ai nuovi padroni e ai loro mercenari spietati. «Gli Ander che per lungo tempo non avevano saputo cosa fosse il potere, lo presero senza pensarci due volte. «Nessun Haken poté più rivestire cariche politiche. Molto probabilmente i primi invasori Haken chiedevano agli Ander di rivolgersi loro chiamandoli per cognome e per questo una volta al potere quest'ultimi negarono agli haken il diritto di averne uno. Un Haken riceve il permesso di avere un cognome solo dopo che si è dimostrato meritevole.» «Ma non si erano mischiati?» chiese Richard. «Dopo tutto quel tempo non ci furono mai matrimoni tra Haken e Ander? Non diventarono un po- polo unico?» Kahlan scosse la testa. «Gli Ander sono un popolo in prevalenza alto e con i capelli scuri che fin dai primi tempi dell'invasione aveva sempre pensato che unirsi in matrimonio con gli Haken dai capelli rossi fosse un crimine contro il Creatore. Credevano che il Creatore, nella Sua saggezza, avesse differenziato i popoli per dei buoni motivi. Non credevano che le razze si dovessero incrociare, come succedeva con le bestie, per creare un nuovo ceppo... cosa che invece avevano fatto gli Haken. Non dico che non ci fu nessun matrimonio misto, ma furono rarissimi.» Richard usò il pane per raccogliere il porridge. «Qual è la situazione adesso?» chiese prima di addentare il boccone. «Visto che solo coloro che un tempo furono sottomessi, ovvero gli Ander, possono essere virtuosi, sono gli unici che hanno il permesso di regnare. Insegnano che l'oppressione haken continua ancora ai nostri giorni. Anche un'occhiata di un Haken può essere interpretata come un gesto carico d'odio. Al contrario gli Haken non possono essere tiranneggiati, quindi non diventeranno mai virtuosi perché sono corrotti. «È contro la legge insegnare a leggere o a scrivere a un Haken, perché una volta sconfitta la paura essi potrebbero riprendere il potere e continuare a brutalizzare gli Ander e questi ultimi non hanno dubbi a riguardo. Agli Haken è richiesto di partecipare a degli incontri chiamati penitenze al fine di poterli controllare. «Ormai i sistemi per tenere sotto controllo gli Haken sono tutti codificati e organizzati. «Ricorda una cosa, Richard: quanto ti ho appena raccontato è quello che mi fu insegnato dai maghi. Gli Ander insegnano qualcosa di diverso. Affermano di essere stati un popolo oppresso malgrado la loro superiorità intellettuale e che è stata proprio quella a permetter loro di riprendere il potere dopo secoli di dominazione. Per quello che ne so, la loro versione potrebbe anche essere quella vera.» Richard si era alzato in piedi e la fissava incredulo con le mani sui fianchi. «E il Concilio di Aydindril ha permesso tutto questo? Ha permesso che gli Ander schiavizzassero gli Haken in questo modo?» «Gli Haken si sono sottomessi da soli. Credono a quello che gli insegnano gli Ander e pensano che sia la cosa migliore da fare.» «Ma com'è possibile che il Concilio Centrale abbia permesso una simile perversione della giustizia?» «Non dimenticare, Richard, che le Terre Centrali erano un alleanza di regni sovrani. Le Depositarie aiutavano a fare in modo che le leggi fossero in qualche modo giuste. Non tolleravamo l'omicidio degli oppositori politici, ma se popoli come gli Haken accettavano la loro condizione, il Consiglio aveva ben poca voce in capitolo. Ci opponevamo alle leggi brutali non a quelle bizzarre.» Richard alzò le braccia al cielo. «Ma gli Haken le accettano solo perché hanno insegnato loro un mucchio di stupidaggini. Non sanno quanto siano ridicole quelle leggi. È come abusare di un ignorante.» «Tu lo consideri come un abuso, Richard, ma loro no. Essi lo considerano come un modo per conservare la pace nel regno e questo è un loro diritto.» «Il fatto che li mantengano deliberatamente nell'ignoranza è la prova che si tratta di un abuso.» Kahlan inclinò la testa di lato. «Non sei tu quello che poco fa mi aveva detto che gli Haken non avevano nessun diritto di distruggere la cultura degli Ander? E adesso mi vieni a dire che il Concilio avrebbe dovuto farlo?» Sul volto di Richard apparve un'espressione frustrata. «Stavi parlando del Consiglio delle Terre Centrali?» Kahlan bevette un altro sorso d'acqua e gli passò la borraccia. «Questo successe secoli fa, a quel tempo nessun regno era abbastanza forte da imporre una legge valida per tutte le Terre Centrali. Noi Depositarie siamo sempre intervenute quando un governante usciva dalle regole, altrimenti abbiamo sempre cercato di collaborare con il Concilio. «Se avessimo cercato di imporre il nostro punto di vista su come doveva essere governato un regno, l'alleanza si sarebbe spezzata e la guerra avrebbe preso il posto della ragione e della cooperazione. Non dico che fosse la soluzione perfetta, Richard, ma era quella che permetteva di vivere in pace a un grandissimo numero di persone.» Richard sospirò. «Suppongo che tu abbia ragione. Non sono un esperto di politica. Penso che il Concilio sia stato utile per migliaia di anni.» Kahlan piluccò il pane. «Cose come quelle successe ad Anderith sono uno dei motivi che mi hanno permesso di credere in quello che stai cercando di fare, Richard. Finché non sei arrivato tu e sei stato appoggiato dal D'Hara nessun regno era abbastanza forte da proclamare una legge giusta per tutti. L'alleanza delle Terre Centrali non avrebbe avuto nessuna speranza contro un nemico come Jagang.» Richard non poteva immaginare cosa avesse significato per Kahlan, in veste di Madre Depositaria, vedere che tutto quello per cui aveva lavorato per una vita era scomparso. Darken Rahl, il padre di Richard, aveva dato il via a una serie di eventi che avevano alterato gli equilibri del mondo. Kahlan, almeno, era riuscita a intravedere una possibilità in quel caos. Richard si grattò la fronte pensando a quale sarebbe stata la prossima mossa da fare. «Bene, adesso conosco meglio la storia di Anderith e sono sicuro che se conoscessi anche quelle del D'Hara la troverei decisamente più sordida. Tuttavia un popolo così bellicoso mi segue in una lotta per la giustizia, buffo, non trovi? Solo gli spiriti sanno quante persone mi avranno incolpato per tutti i crimini commessi in passato dal D'Hara solo perché sono un Rahl. «Da quello che mi hai detto, sembrerebbe che gli Ander non si sottometterebbero mai all'Ordine Imperiale. Pensi che potremo convincere Anderith a schierarsi dalla nostra parte?» Kahlan sospirò e meditò qualche attimo sulla domanda. Richard aveva sperato in cuor suo che la moglie gli rispondesse immediatamente in maniera affermativa. «Sono guidati da un sovrano che ha anche la funzione di capo religioso. È un personaggio che si attiene in maniera molto rigorosa al credo religioso degli Ander. I direttori dell'Ufficio per l'Amicizia Culturale hanno l'ultima parola su chi deve essere eletto come sovrano a vita. Si pensa che i direttori debbano garantire l'integrità morale del monarca... un po' come il Primo Mago che seleziona la persona giusta da nominare Cercatore. «La gente di Anderith crede che una volta nominato, il sovrano trascenda il suo mero aspetto fisico ed entri in contatto con il Creatore in persona. I più convinti credono che egli parli per bocca del Creatore e alcuni lo adorano come tale.» «Quindi è lui quello che dobbiamo convincere?» «In parte, ma il sovrano non governa nel senso stretto del termine. È più che altro un simbolo molto amato dal popolo che rappresenta. Al momento gli Ander compongono solo il quindici o venti per cento di tutta la popolazione, ma anche gli Haken guardano con rispetto al sovrano. «Ha il potere di decidere i membri del governo, ma il più delle volte approva le persone che gli vengono proposte. Uno degli organi più potenti di Anderith è il ministero della Cultura. È il ministro che stabilisce l'andamento del regno. Adesso dovrebbe essere un certo Bertrand Chanboor. «Il palazzo del ministero della Cultura si trova poco fuori Fairfield ed è il cuore del regno. I rappresentanti che ho incontrato ad Aydindril faranno rapporto al ministro Chanboor. «Non importa quanto sia oscura la storia del suo passato, il fatto è che oggi Anderith è una potenza economica e militare con la quale fare i conti. Un tempo, forse, gli Ander erano un popolo primitivo, ma adesso non lo sono più. Sono diventati dei mercanti ricchissimi che controllano una vasta rete commerciale. Sono molto bravi nel governare e la loro presa sul regno è molto solida.» Richard fissò la prateria. Nel momento stesso in cui i rintocchi avevano cercato di uccidere Du Chaillu aveva sentito i capelli che gli si rizzavano sulla testa. Ora era continuamente in stato di allerta, nella speranza di avvertire in tempo quella sensazione. Vide Cara che dava da mangiare a Du Chaillu. La donna degli spiriti doveva tornare dal suo popolo e non vagare per il mondo con un bambino nel grembo. «Gli Ander non sono un manipolo di mercanti facilmente malleabili» continuò Kahlan. «Eccettuato l'esercito, dove sembra rimanere ancora una parvenza di eguaglianza, solo gli Ander possono portare armi e sono piuttosto bravi nell'usarle. Gli Ander non sono degli stupidi e sono tutt'altro che facili da convincere.» Richard tornò a scrutare la prateria pensando a un piano. «A Ebinissia e Renwold» disse «Jagang ha mostrato cosa succede alla gente che rifiuta di unirsi a lui. Se Anderith si rifiuterà di unirsi a noi, cadrà di nuovo in mano a degli invasori. Solo che questa volta, gli invasori non hanno la minima idea di cosa sia la giustizia.» 35 Richard fissava l'orizzonte in direzione di Aydindril meditando su quanto gli aveva appena detto Kahlan e sul messaggio che i rintocchi gli avevano fatto giungere nello loro solita maniera brutale. Il fatto di aver appreso la storia di Anderith l'aveva convinto sempre di più che doveva recarsi in quel regno. «Sapevo che stavamo prendendo la strada sbagliata» disse, infine. Kahlan aggrottò la fronte e fissò il punto che il marito aveva guardato fino a quel momento. «Cosa vuoi dire?» «Zedd era solito dirmi che se la strada era facile molto probabilmente avevi imboccato quella sbagliata.» «Ne abbiamo già parlato, Richard» disse Kahlan, stufa di insistere, mentre spingeva il mantello dietro le spalle. «Ora più che mai dobbiamo recarci ad Aydindril. Devi capirlo.» «La Madre Depositaria ha ragione» concordò Cara, allontanandosi dal punto in cui Du Chaillu stava riposando. Richard notò che la Mord-Sith stava stringendo l'Agiel con tanta forza che le nocche delle dita erano sbiancate. «I rintocchi devono sparire. Dobbiamo aiutare Zedd a far tornare la magia.» «Davvero? Non hai idea quanto mi faccia felice sapere che hai così tanto a cuore il destino della magia, Cara.» Richard si voltò a controllare lo zaino. «Devo andare ad Anderith.» «Richard, c'è il rischio di lasciare inattivo un incantesimo che potrebbe risolvere il problema dei rintocchi.» «Sono il Cercatore, ricordi?» Richard era sempre contento dei consigli di Kahlan e li teneva sempre in grandissima considerazione, ma ora che aveva sentito tutto ciò che era necessario, analizzato tutte le possibilità e preso una decisone, era impaziente di partire perché era giunto il momento di agire. «Fammi fare il mio lavoro.» «Richard, questa è...» «Un tempo facesti un giuramento a Zedd... votasti la tua vita in difesa del Cercatore. Pensavi che fosse importante. Non ti sto chiedendo la vita, ma solo di capire che sto facendo ciò che devo.» Kahlan trasse un profondo respiro cercando di apparire calma e tollerante anche se lui la stava ascoltando appena. «Zedd ci ha scongiurati di andare ad Aydindril perché dopo sarebbe stato in grado di fermare la degenerazione della magia.» Tirò la manica per ottenere la sua attenzione. «Non possiamo correre tutti ad Anderith.» «Hai ragione.» Kahlan aggrottò la fronte con fare sospettoso. «Bene.» «Non andremo tutti ad Anderith.» Richard trovò la sua coperta e la prese. «Come hai giustamente fatto notare anche Aydindril è importante.» Kahlan lo prese per la maglia o lo trasse vicino. «Eh, no» disse agitando un dito di fronte al suo viso. «No, Richard, non ci pensare nemmeno. «Siamo sposati e ne abbiamo viste troppe per separarci di nuovo. Non adesso. E non solo perché sono arrabbiata con te perché non hai detto nulla a Zedd riguardo la tua prima moglie. Non ci sto, Richard, mi hai capita?» «Kahlan, questo non ha nulla a che fare...» La Madre Depositaria lo scosse per la maglia. «No! Non dopo tutto quello che abbiamo passato per stare insieme.» Richard lanciò un'occhiata a Cara che si trovava poco distante. «Basta che uno solo di noi vada ad Aydindril.» Le tolse la mano dalla maglia e gliela strinse per rassicurarla, prima che potesse dire altro. «Tu e io andremo ad Anderith.» Kahlan aggrottò la fronte. «Ma... se noi due...» Improvvisamente spostò lo sguardo su Cara. La Mord-Sith si allarmò. «Perché mi fissate in quel modo?» Richard le mise una mano sulla spalla, ma Cara gliela tolse immediatamente, non le piaceva affatto il comportamento assunto da lord Rahl. «Devi andare ad Aydindril, Cara.» «Tutti dobbiamo tornare alla capitale.» «No, io e Kahlan dobbiamo andare ad Anderith. Hanno il Dominie Dirtch e un grande esercito. Dobbiamo fare in modo che si uniscano a noi e prepararli per l'arrivo dell'Ordine. Inoltre voglio vedere se c'è qualcosa che ci può aiutare contro i rintocchi. Adesso siamo molto più vicini ad Anderith che alla capitale. Non posso evitare di andare a controllare. «Potremmo anche riuscire a fermare i rintocchi, e forse Anderith si arrenderà a noi dandoci la possibilità di usare il Dominie Dirtch per fermare o addirittura distruggere l'esercito di Jagang. La posta in gioco è troppo alta per lasciarci sfuggire questa opportunità. È troppo importante, Cara, capisci anche tu che non ho scelta.» «No, c'è una scelta. Andiamo tutti ad Aydindril. Voi siete lord Rahl e io vi devo proteggere. Sono una Mord-Sith.» «Preferiresti che mandassi Kahlan?» Cara non rispose. Kahlan lo prese per un braccio. «Richard, hai detto bene, sei il Cercatore... e in quanto tale hai bisogno della spada. Sei troppo vulnerabile senza. Ad Aydindril c'è la bottiglia con l'incantesimo, il diario di Kolo e tutte le biblioteche di cui puoi avere bisogno, e c'è la Spada della Verità. «Dobbiamo tornare alla capitale. Se non l'avessi promesso a Zedd non ci troveremmo con questo problema, ma adesso dobbiamo fare quanto ci è stato chiesto.» Richard si drizzò, la fissò dritta negli occhi incrociando le braccia sul petto. «Sono il Cercatore e devo fare ciò che ritengo giusto: è una delle mie prerogative. Ammetto di aver commesso degli errori e mi dispiace, ma non posso permettere a questi errori di rendermi restio a compiere il mio dovere se ritengo di essere nel giusto. «Sono il Cercatore e sto andando ad Anderith. Tu sei la Madre Depositaria e devi fare quello che ritieni più giusto. Cerca di capire. Ti voglio con me, ma continuerei ad amarti anche se dovessi prendere una strada diversa.» Le si avvicinò ulteriormente. «Scegli.» Kahlan osservò in silenzio il marito che continuava tenere le braccia conserte. Dopo qualche attimo la sua ira scomparve, fece un cenno d'assenso con il capo e fissò Cara. La Madre Depositaria pensò che due erano troppi per impartire l'ordine inevitabile. «Vado a vedere come sta Du Chaillu» disse a Richard. «Il mio dovere è quello di proteggere lord Rahl e...» esordì Cara appena Kahlan fu abbastanza lontana. Richard alzò una mano per zittirla. «Ti prego di ascoltarmi, Cara. Ne abbiamo viste delle belle noi tre. Tu sei mia amica. Voglio dire c'è qualcosa al di là del fatto che sono lord Rahl altrimenti non ti sentiresti più obbligata a stare con me visto che il legame sta sparendo. Noi siamo uniti dall'amicizia.» «Ecco perché non posso lasciarvi, lord Rahl. Vi proteggerò che lo vogliate o no.» «Come ti senti senza l'Agiel?» Cara non rispose, sembrava che non osasse neanche affrontare l'argomento. «Saresti molto sorpresa di sapere che io provo più o meno la stessa cosa nei confronti della Spada della Verità? Non la uso da molto più tempo della tua Agiel. È una sensazione tremenda che mi attanaglia lo stomaco. Una sorta di dolore dovuto a un vuoto, come se non volessi altro che stringere quell'oggetto terribile tra le mani. Succede anche a te, vero?» La Mord-Sith annuì. «Cara, io odio quell'arma come sono sicuro che c'è una parte di te che odia l'Agiel. Un giorno tu, Berdine e Raina volevate donarmele. Ricordi? Io vi chiesi di perdonarmi perché vi chiedevo di tenerle ancora in quanto ci avrebbero aiutato nella lotta.» «Lo ricordo bene.» «Piacerebbe anche a me non avere bisogno della spada. È una delle cose che desidero più ardentemente. Sarebbe bello che il mondo fosse in pace e io potessi lasciare quell'arma nel Mastio. «Ma ne ho bisogno, Cara, proprio come tu hai bisogno dell'Agiel, perché ti senti vuota senza di essa, vulnerabile, indifesa e, ti vergogni ad ammetterlo, spaventata. Lo stesso vale per me. Proprio come tu hai bisogno della tua Agiel per proteggerci, io necessito della spada per fare lo stesso con Kahlan. Se dovesse succederle qualcosa perché non avevo quell'arma a portata di mano... «Io tengo molto a te, Cara, ecco perché è importante che tu capisca. Non sei più solo una Mord-Sith, una protettrice. Sei molto di più. È importante che tu pensi oltre che limitarti semplicemente ad agire. Devi essere più di una Mord-Sith se vuoi aiutarci come protettrice. «Io spero che tu voglia continuare a essere una persona molto importante in questa lotta. Una persona che può fare la differenza. Adesso devi andare ad Aydindril al posto mio.» «Non eseguirò questo ordine.» «Non ti sto ordinando nulla, Cara. Te lo sto chiedendo.» «Non è giusto.» «Non stiamo giocando, Cara. Ti chiedo il tuo aiuto. Sei l'unica a cui possa rivolgermi.» La Mord-Sith lanciò un'occhiataccia al temporale all'orizzonte e spostò la lunga treccia bionda oltre la spalla, afferrandola con la stessa rabbia con la quale di tanto in tanto stringeva l'Agiel. Qualche ciuffo di capelli, sospinto dalla brezza, le frustò leggermente il viso. «Come desiderate, lord Rahl. Andrò ad Aydindril.» Richard le posò una mano sulla spalla per cercare di confortarla, questa volta la Mord-Sith non si tese. Era un gesto ben accetto. «Cosa volete che faccia un volta arrivata nella capitale?» «Voglio che tu torni il più in fretta possibile con la mia spada.» «Capisco.» Kahlan guardò nella loro direzione e Cara le fece cenno di raggiungerli. Appena fu arrivata, la Mord-Sith irrigidì la schiena e disse: «Lord Rahl mi ha ordinato di tornare ad Aydindril.» «Ordinato?» domandò Kahlan. Cara fece una smorfia irridente e puntò l'Agiel contro il petto della Madre Depositaria. «Si ficca in un mare di guai per essere una semplice guida. Vi chiederei di tenerlo d'occhio perché siete una sorella d'Agiel, ma so che non c'è bisogno che aggiunga altro.» «Non lo perderò di vista neanche un attimo.» «Prima di tutto è necessario che tu raggiunga il generale Reibisch» disse Richard. «Da lui potrai ottenere cavalli freschi e arrivare prima ad Aydin- dril. «Ma voglio anche che racconti tatto quello che stiamo facendo. Riferiscilo anche a Verna e alle Sorelle. Forse possono dare dei suggerimenti importanti.» Richard fissò l'orizzonte. «Ho anche bisogno di una scorta, se voglio entrare ad Anderith e chiedere che si arrendano.» «Non preoccupatevi, lord Rahl, ho intenzione di chiedere al generale Reibisch di mandare degli uomini a proteggervi, non sarà come avere una Mord-Sith nelle vicinanze, ma è meglio che niente.» «La scorta deve essere piuttosto nutrita. È meglio se sembriamo decisi quando entreremo ad Anderith. Non faremmo un gran impressione se fossimo solo io Kahlan e una decina di guardie, senza contare che il potere di Kahlan potrebbe svanire in ogni istante. Voglio che la gente di quel posto capisca che facciamo sul serio.» «Adesso cominciamo a ragionare» concordò Cara, soddisfatta. «Un migliaio di uomini dovrebbero formare una scorta che non passa inosservata» consigliò Kahlan. «Spadaccini, lancieri e arcieri, i migliori, in sella ai cavalli più belli, è ovvio. Inoltre avremo bisogno di messaggeri. Potremmo ottenere delle notizie molto importanti su Jagang e i rintocchi che dovranno essere riferite nel più breve tempo possibile. Dobbiamo coordinare le nostre forze e tenerci costantemente informati. Abbiamo diversi eserciti sparpagliati per i regni e potremmo aver bisogno di trasferirli a sud in fretta e furia.» Cara annuì. «Selezionerò personalmente i soldati per la scorta. Reibisch avrà un corpo scelto.» «Perfetto, ma non voglio che la sua capacità combattiva sia intaccata da questo» la avvertì Richard. «Di' al generale che mandi dei distaccamenti a sorvegliare le strade a nord che portano verso il Vecchio Mondo perché non si sa mai. «È importantissimo che il grosso delle truppe si diriga da questa parte.» «Ha il permesso di attaccare se lo ritiene necessario?» «No. Non voglio che si scontri con l'Ordine in queste pianure. Gli uomini di Reibisch sono tutti ottimi combattenti, ma non possono sconfiggere un esercito di quelle dimensioni. Inoltre, è importantissimo che non attacchi perché non voglio far sapere a Jagang dov'è schierato Reibisch. «Voglio che il generale segua Jagang andando a ovest, sempre rimanendo a nord e ben distante dal nemico. Dovrà impiegare pochissimi esploratori... solo quelli necessari a non perdere il contatto. L'imperatore non deve accorgersi di essere seguito. Quegli uomini saranno la nostra unica difesa se Jagang decidesse improvvisamente di deviare verso nord. La sorpresa sarà la nostra unica alleata finché non saranno arrivate le altre truppe. «Non voglio rischiare gli uomini di Reibisch a meno che non sia strettamente necessario, ma se le cose dovessero andare per il verso sbagliato voglio che agisca come tappo. «Se Anderith si dovesse arrendere, possiamo unire i nostri eserciti. Se riusciremo ad allontanare i rintocchi a quel punto potremmo riuscire a intrappolare Jagang tra noi e l'oceano. Potremmo usare le nostre forze per attirarli di fronte al Dominie Dirtch. Quell'arma potrebbe uccidere tutti i nemici senza che noi rischiamo di perdere un uomo.» «Cosa faccio una volta arrivata ad Aydindril?» chiese Cara. «Hai sentito la spiegazione di Zedd?» «Sì. Quinta colonna sulla sinistra all'interno degli Alloggi del Primo Mago. Prendere la bottiglia con la filigrana d'oro e romperla con la Spada della Verità. Io e Berdine siamo state con voi in quel posto e lo conosciamo bene.» «Ottimo. Non importa chi usa la spada per rompere la bottiglia, è importante che venga rotta. Posala per terra così sarai sicura di non mancarla.» «Va bene» disse Cara. Richard sapeva bene quanto la Mord-Sith odiasse avere a che fare con la magia. Ricordava molto bene che a lei e Berdine non era piaciuto andare in quella parte del Mastio. C'era ancora il problema degli scudi. «Se la magia del Mastio è veramente inattiva non avrai nessun problema con gli schermi.» «Mi ricordo la sensazione che ho provato quando li ho attraversati. Mi accorgerò se sono ancora attivi.» «Racconta a Berdine tutto quello che sai riguardo i rintocchi, può darsi che abbia trovato delle notizie importanti nel diario di Kolo, altrimenti saprà cosa cercare.» Richard agitò un dito in aria per enfatizzare quanto stava per dire e le strinse una spalla con l'altra mano. «Ma, prima ancora di Berdine, la spada e la bottiglia. Non aspettare un momento più del necessario. «I rintocchi potrebbero provare a fermarti. Attenta. Stai il più lontano possibile dall'acqua e dal fuoco. Rimani allerta, sempre. Non dare nulla per scontato. Possono sapere che l'incantesimo della bottiglia li può danneggiare. «Prima che tu parta, voglio parlare con Du Chaillu per vedere se ci può spiegare come agiscono quelle creature. Sarebbero delle informazioni molto utili.» Cara annuì. Se aveva paura non lo dava a vedere. «Una volta raggiunto il generale Reibisch cavalcherò come il vento. Prima di tutto andrò al Mastio e romperò la bottiglia, dopodiché, Berdine, il libro e poi vi porterò la spada. Dove vi troverò?» «A Fairfield» disse Kahlan. «Molto probabilmente saremo con le nostre truppe nei pressi del palazzo del ministero della Cultura. Se partiremo ti lasceremo un messaggio. Se non ci riusciremo cercheremo di farti sapere qualcosa tramite il generale Reibisch.» Richard esitò. «Cara... avrai bisogno d'estrarre la spada dal fodero per rompere la bottiglia.» «Certo.» «Stai attenta. È un'arma magica e Zedd pensa che sia ancora attiva...» Cara sospirò. «Cosa succederà quando l'avrò estratta?» «Non lo so con sicurezza» ammise Richard. «Può reagire in maniera diversa a seconda della persona che la maneggia, dipende da quello che le persone portano alla magia. Io sono ancora il Cercatore, ma può funzionare con chiunque la tenga in mano. Non ho idea di come quella magia ti possa influenzare. «Ma stai attenta, perché è un'arma che usa la rabbia. Più lei attingerà da te e più tu vorrai attingere da lei. Accenderà le tue emozioni, in particolar modo la rabbia.» «Non ci impiegherà più di tanto» rispose Cara. Richard sorrise. «Te lo ripeto: stai attenta. Dopo aver rotto la bottiglia estraila dal fodero solo se strettamente necessario. Se dovessi uccidere con quell'arma...» La Mord-Sith aggrottò la fronte nel sentire la voce di lord Rahl che si spegneva. «Se dovessi uccidere con quell'arma... cosa?» Richard doveva dirglielo, altrimenti sarebbe stato troppo pericoloso. «Provoca molto dolore.» «Come un Agiel?» Richard annuì, riluttante. «Forse peggio.» Abbassò la voce e una serie di ricordi affiorarono di nuovo dai recessi più oscuri della sua mente. «Se quella che cerchi è la rabbia di chi cerca giustizia, allora sarai protetta, ma proverai ugualmente un dolore insopportabile.» «Sono una Mord-Sith, il dolore è sempre il benvenuto.» Richard le batté un dito nel centro del petto. «Fa male qua, Cara. Non vorresti provare quel genere di dolore. Meglio l'Agiel.» Cara lo gratificò con un sorriso carico di comprensione e tristezza. «Avete bisogno della vostra spada. Ve la riporterò.» «Grazie, Cara.» «Ma non vi perdonerò mai di avermi costretta a lasciarvi privo di protezione.» «Non sarà privo di protezione.» Tutti si girarono e videro Du Chaillu. La donna era avvolta in una coperta. Era in uno stato pietoso, ma aveva smesso di tremare e sul suo volto era apparsa un'espressione determinata. Richard scosse la testa. «Hai bisogno di tornare dalla tua gente.» «Noi seguiamo mio marito e proteggiamo il Caharin.» Richard decise di non discutere sulla parte relativa al marito. «Saremo raggiunti da un buon numero di soldati prima di arrivare ad Anderith.» «Non sono maestri di spada. Prenderemo il posto di Cara e ti proteggeremo.» Cara rivolse un cenno d'assenso a Du Chaillu. «Mi piace. Dormirò meglio sapendo che lord Rahl è in compagnia tua e dei maestri di spada.» Richard lanciò un'occhiata infastidita alla Mord-Sith prima di tornare a concentrarsi nuovamente sulla donna degli spiriti dei Baka Tau Mana. «Du Chaillu non voglio che tu rischi la vita inutilmente, adesso che sei al sicuro. Hai già avuto a che fare con la morte. Loro hanno bisogno di te.» «Non ha più importanza perché ormai siamo dei morti che camminano.» «Di cosa stai parlando?» Du Chaillu giunse le mani e i maestri di spada si aprirono dietro di lei, simili alla scorta di una regina. I cacciatori del Popolo del Fango osservarono la scena. Pur essendo ancora scossa, Du Chaillu aveva riacquistato la sua aria nobile. «Prima di andare via dal villaggio, abbiamo detto alla nostra gente che eravamo morti. Spiegammo loro che non saremmo tornati in vita, finché non avremmo raggiunto il Caharin per avvertirlo del pericolo che incombeva su di lui. La nostra gente pianse e si lamentò prima che partissimo perché eravamo considerati già morti. Solo se porteremo a termine quanto ci eravamo prefissati potremo tornare. «Pochissimo tempo fa ho udito i rintocchi della morte. Cara, la protettrice del Caharin, mi ha riportata indietro dal mondo degli spiriti e questi ultimi, nella loro infinita saggezza, mi hanno permesso di tornare affinché potessi compiere il mio dovere. Le nostre vite ci saranno restituite solo quando Cara sarà tornata con la tua spada e tu sarai al sicuro. Solo allora potremo tornare a casa. Fino a quel momento siamo morti che camminano. «Non ti sto chiedendo il permesso di viaggiare con te. Ti sto dicendo che viaggeremo con te. Sono la donna degli spiriti dei Baka Tau Mana. Ho parlato.» Richard strinse i denti. Alzò una mano per scuotere un dito in aria, ma Kahlan gli bloccò il polso. «Du Chaillu» esordì la Madre Depositaria «anch'io ho fatto un giuramento simile. Quando entrai nella città di Ebinissia e vidi il massacro perpetrato dall'Ordine Imperiale, giurai vendetta. Chandalen e io raggiungemmo un distaccamento di giovani reclute che avevano visto quanto era accaduto alla loro città ed erano determinati a punire i responsabili. «Giurai che ero morta e che sarei tornata in vita solo quando gli uomini che avevano commesso quei crimini fossero stati puniti. Uno su cinque di quei ragazzi tornò tra i vivi insieme a me e a Chandalen, ma solo dopo aver ucciso tutti gli uomini che avevano preso parte al massacro di Ebinissia. «Comprendo la natura del tuo giuramento, Du Chaillu. Si tratta di qualcosa di sacro che non deve essere ignorato. Tu e i tuoi maestri di spada verrete con noi.» Du Chaillu fece un inchino a Kahlan. «Ti ringrazio per il rispetto che dimostri nei confronti degli usi del nostro popolo. Sei una donna saggia e meriti di essere la moglie di mio marito.» Richard sgranò gli occhi. «Kahlan...» «Il Popolo del Fango ha bisogno di Chandalen e dei suoi uomini. Cara deve raggiungere il generale Reibisch, quindi recarsi ad Aydindril. Fino a che non saremo raggiunti dagli uomini del generale saremo soli e vulnerabili. Du Chaillu e i suoi uomini saranno una valida protezione. «C'è troppo in gioco e il nostro orgoglio è l'ultima cosa a cui dobbiamo pensare. Stanno arrivando.» Richard fissò gli occhi colmi di risolutezza di Cara. A lei andava bene. Lo sguardo di Du Chaillu era duro come l'acciaio. Niente le avrebbe fatto cambiare idea. Gli occhi di Kahlan... be', non voleva neanche pensare a cosa ci fosse in quegli occhi verdi. «Va bene» si arrese. «Verranno con noi fino a che non saremo raggiunti dai soldati.» Du Chaillu fissò Kahlan con aria interrogativa. «Ti dice sempre quello che sai già?» 36 Fitch era seduto sulla panca con la testa chinata e poteva vedere gli stivali di mastro Spink che camminavano su e giù sul pavimento di tavole. Intorno alla stanza, diverse persone, in gran parte donne anziane, tiravano su con il naso mentre piangevano mestamente. Fitch non si sentiva di dare loro tutti i torti perché anche a lui era capitato di mettersi a piangere durante un'assemblea di penitenza. Capiva molto bene che quelle lezioni erano necessarie per contrastare la loro vile natura di Haken, ma neanche quella consapevolezza serviva a rendere le cose più facili. Ogni volta che mastro Spink parlava, Fitch preferiva guardare il pavimento piuttosto che incontrare lo sguardo dell'uomo. Incontrare lo sguardo di un Ander mentre raccontava degli orrori perpetrati ai danni suoi antenati dagli antenati di Fitch lo riempiva di vergogna. «E così accadde che» continuò mastro Spink «l'orda di Haken incappò per caso in un piccolo e povero villaggio di contadini. Gli uomini, temendo per le loro famiglie, si erano riuniti insieme agli altri Ander, gente comune, proveniente dalle fattorie e dai villaggi vicini. Tutti pregarono affinché il Creatore li aiutasse a respingere quegli invasori assetati di sangue. «Al colmo della disperazione avevano lasciato le scorte di cibo e le mandrie a disposizione degli Haken come offerta di pace. Avevano inviato anche dei messaggeri che avevano fatto quelle offerte perché non desideravano combattere, ma nessuno di quegli uomini coraggiosi fece mai ritorno. «Il piano era semplice: gli uomini sarebbero saliti sulla cresta della collina agitando le armi sopra la testa, per mostrare la loro forza, certo, ma questo non perché fossero ansiosi di combattere, in verità speravano di indurre gli Haken a passare oltre. Quegli uomini erano contadini, non guerrieri, e le loro armi erano i semplici attrezzi da lavoro che si trovano in ogni fattoria. Non volevano combattere; volevano solo la pace. «Ecco, sono lassù, Shelby, Camden, Edgar, Newton, Kenway e tutti gli altri, brava gente che avete imparato a conoscere nel corso di queste settimane. Conoscete le loro storie, i loro amori, le loro vite, le loro speranze e i loro semplici sogni. Erano lassù, in cima a quella collina, con la speranza di riuscire a convincere l'orda di Haken ad andarsene. Erano lassù agitando in aria i loro attrezzi da lavoro: asce, vanghe, falci e forconi, nella speranza di poter salvare le proprie famiglie.» Fitch sentì dal rumore degli stivali sul pavimento che mastro Spink si stava avvicinando al suo posto. «L'esercito haken scelse di non passare oltre, anzi puntò il Dominie Dirtch in direzione di quelle brave persone ridendo e sghignazzando.» Alcune ragazze sussultarono. Altre piansero. Fitch sentì un groppo alla gola e la paura che gli attanagliava la bocca dello stomaco. Aveva cominciato a tirare su con il naso anche lui al solo pensiero della morte crudele che era toccata a quegli uomini. Ormai anche lui conosceva perfettamente la vita di quelle persone, i nomi delle mogli, dei figli e di tutti gli altri familiari. «E i vili Haken nelle loro belle uniformi...» Fitch vide gli stivali dell'insegnante che si erano fermati accanto a lui «... ridevano ed esultavano, mentre i rintocchi del Dominie Dirtch echeggiavano nell'aria con incredibile violenza, strappando via la carne dalle ossa di quegli uomini.» Fitch poteva sentire gli occhi scuri e infuocati di mastro Spink puntati sulla nuca. Gli uomini e le donne presenti cominciarono a piangere. «I lamenti di quei poveri contadini si levarono nel cielo di Anderith. Furono gli ultimi suoni che emisero prima di morire per mano degli Haken, gli unici così malvagi da poter inventare un'arma terribile come il Dominie Dirtch.» L'orrore fu tale che una delle donne più anziane urlò. Mastro Spink continuò a incombere su Fitch che in quel momento non era più orgoglioso della sua uniforme da messaggero come era stato fino a qualche minuto prima, quando, entrato nella stanza, tutte le persone avevano cominciato a parlottare tra loro a voce bassa. «Vedo che indossi una nuova uniforme, Fitch» disse l'insegnante, con un tono di voce che gli gelò il sangue nelle vene. Fitch sapeva che tutti aspettavano una risposta. «Sì, signore. Malgrado fossi solo uno sguattero haken senza nessun merito, mastro Campbell è stato così gentile da darmi un lavoro come messaggero. Ha voluto che indossassi un'uniforme in modo che tutti gli Haken potessero vedere che potevano migliorare grazie all'aiuto degli Ander. Vuole anche che i messaggeri riflettano l'efficienza del suo ufficio, mentre lo aiutiamo a portare avanti il lavoro che il ministero della Cultura svolge per la nostra gente.» Mastro Spink gli diede un ceffone facendolo cadere dalla panca. «Non rispondere! Non mi interessano le tue scuse da Haken!» «Mi dispiace, signore.» Sapeva bene che non era saggio alzarsi. «Gli Haken hanno sempre delle scuse pronte per i loro crimini dettati dall'odio. Tu indossi una bella uniforme come i signori haken e ti piace come piaceva a loro, però cerchi di far sembrare il contrario. «Ancora oggi, noi Ander soffriamo molto per gli sguardi d'odio che ci rivolgono gli Haken. Non ci sono dubbi a riguardo, ogni sguardo è come una freccia. Non riusciremo mai a liberarcene. Ci saranno sempre Haken con l'uniforme a cui piacerà indossarla come piaceva ai loro antenati. «Cercando di difendere l'indifendibile, non fai altro che provare quanto sia malvagia la tua natura di Haken e quanto sia grande l'arroganza, e l'orgoglio che provi per l'uniforme che indossi. Tu vorresti solo essere come gli Haken che un tempo dominavano questa terra. Ogni giorno, noi Ander, patiamo i vostri abusi.» «Perdonatemi, mastro Spink. Mi sbagliavo. La indossavo con orgoglio e ho permesso alla mia vile natura di Haken di guidarmi.» Mastro Spink emise un verso carico di disprezzo e riprese con la lezione. Fitch sospirò sollevato, sapeva di meritare una punizione peggiore ed era contento di essersela cavata con così poco. «Uccisi gli uomini, rimanevano le donne e i bambini all'interno di un villaggio indifeso.» L'insegnante riprese a camminare tra le file di panche. Fitch osò rialzarsi solo quando fu abbastanza lontano e si sedette. Le orecchie gli fischiavano come quando Beata l'aveva colpito e la voce di mastro Spink si faceva strada nel sibilo. «Gli Haken, data la loro natura, decisero di assalire il villaggio e soddisfare i loro bassi istinti.» «No!» urlò una donna seduta verso il fondo della stanza, dopodiché cominciò a singhiozzare. Mastro Spink continuò a camminare con le mani serrate dietro la schiena ignorando l'interruzione era solo una delle tante. «Gli Haken volevano banchettare e avevano voglia di carne arrostita.» La gente cadde in ginocchio tremando per le vite delle persone che avevano imparato a conoscere. Alcune panche si ribaltarono colpendo il pavimento. Tutti i presenti erano ormai in ginocchio, Fitch compreso. «Ma, come ben sapete, si trattava di un villaggio molto piccolo e dopo che gli Haken ebbero macellato le bestie si resero conto che non avevano abbastanza carne. Gli Haken essendo quello che sono, non si fecero molti scrupoli. «Furono presi i bambini.» Fitch sperava solo che la lezione finisse in quel momento, non sapeva se poteva sopportare di ascoltare altro. Sembrava che ci fossero molte altre donne della stessa idea. Alcune caddero con il viso a terra e scoppiarono a piangere, pregando gli spiriti buoni affinché vegliassero sui poveri Ander massacrati. «Tutti noi conosciamo i nomi di quei bambini. Adesso faremo un giro per la stanza e mi direte quei nomi, altrimenti rischiamo di perdere il ricordo di quelle vite terminate in maniera così dolorosa. Ognuno di voi mi dirà il nome di uno dei bambini del villaggio che furono arrostiti vivi sotto gli occhi delle madri.» Mastro Spink cominciò dall'ultima fila. Ogni persona indicata pronunciava il nome di un bambino, dopodiché, nella maggior parte dei casi, chiedeva al Creatore di vegliare sulla povera vittima. Prima che fosse permesso loro di andare via, mastro Spink descrisse a beneficio di tutti quanto fosse orribile finire bruciati vivi, le urla, il dolore e quanto tempo impiegarono i bambini a morire. Quanto tempo impiegarono quei corpi a cuocere. Era qualcosa di tanto sinistro e brutale che a un certo punto, ma solo per un breve attimo, Fitch pensò che forse la storia non era del tutto veritiera. Aveva dei problemi a immaginare l'esistenza di persone così crudeli. Era possibile che i suoi antenati, per quanto fossero stati dei bruti privi di ogni sentimento umano, arrivassero a concepire qualcosa di così orrendo? Spink, però, era un Ander e non avrebbe mai mentito riguardo qualcosa di così importante come la storia. «Dato che è tardi» disse l'insegnante, dopo che tutti ebbero pronunciato il nome di un bambino «lascio per la prossima assemblea il racconto del trattamento che subirono le donne. Forse i bambini sono stati fortunati a morire prima di vedere le perversioni che gli Haken sfogarono sulle loro madri.» Appena fu dato loro il permesso riuscire, Fitch schizzò fuori dalla porta contento che l'assemblea fosse finita. Non aveva mai gradito così tanto l'aria fresca della notte. Si sentiva accaldato e stava male. Nella sua mente sfilavano le immagini delle sofferenze patite dai bambini prima di morire. L'aria fresca sul viso era piacevole e la inalò a pieni polmoni. Si appoggiò contro un acero a fianco della strada per aspettare che le gambe smettessero di tremare e in quel momento vide Beata che usciva dalla porta. Fitch si raddrizzò. La luce che usciva dalla stanza era abba- stanza forte e lei non avrebbe avuto problemi a vederlo... a vederlo con indosso la divisa da messaggero. Sperava che Beata la trovasse più interessante di quanto aveva fatto mastro Spink. «Buonasera, Beata.» La ragazza si fermò squadrandolo con un'occhiata. «Fitch.» «Sei bellissima stasera, Beata.» «Sono sempre la stessa.» Piantò i pugni sui fianchi. «Vedo che ti sei innamorato della tua bella uniforme.» Fitch perse immediatamente la capacità di parlare o pensare. Gli era sempre piaciuto l'aspetto dei messaggeri e credeva che fosse lo stesso per la ragazza. Aveva sperato di vederla sorridere o qualcosa di simile, invece lei l'aveva fissato in cagnesco. In quel momento desiderò solo di essere andato via. «Mastro Dalton mi ha offerto un posto...» «E suppongo che tu sia ansioso di partecipare alla prossima penitenza in modo da sentire cosa fecero a quelle povere donne indifese quelle bestie di Haken con indosso le loro belle uniformi.» Si inclinò verso di lui. «Ti piacerà. Per te sarà come se stessi guardando.» Fitch rimase a bocca aperta e la osservò andarsene sbuffando. Le altre persone che camminavano avevano assistito all'acida lavata di capo subita da uno sporco Haken. Alcuni sorrisero, altri risero di gusto. Fitch cacciò le mani in tasca, si girò e appoggiò la schiena contro un albero attendendo che tutti fossero andati via. Era a un'ora di cammino dal palazzo. Voleva essere sicuro che le altre persone che lavoravano là fossero ben distanti in modo da poter tornare da solo e non dover parlare con qualcuno. Per un attimo valutò la possibilità di andare a bere qualcosa. Aveva ancora del denaro, altrimenti sarebbe andato da Morley e si sarebbero fatti una bella bevuta. Ubriacarsi gli sembrava la cosa più sensata da fare. L'aria si fece improvvisamente più fredda, provocandogli un brivido lungo la schiena. Sentì una mano che si posava sulla spalla e rischiò di saltare fuori dagli stivali per lo spavento. Si girò e vide che si trattava di una donna ander. Portava i capelli lunghi fino alle spalle tirati indietro e questo significava che era qualcuno d'importante. Le tempie ingrigite gli fecero capire che non era più molto giovane, ma la poca luce non gli permetteva di vederla bene. Fitch salutò la donna con un inchino. Temeva che volesse riprendere da dove Beata aveva finito o fargli fare qualche commissione. «È importante per te?» gli chiese la donna. Fitch fu colto alla sprovvista dalla domanda. «Non lo so» balbettò. «È stata piuttosto dura.» «Me lo meritavo, signora.» «Perché?» Fitch scrollò le spalle. «Non lo so.» Non riusciva a capire cosa volesse quella donna e il modo in cui lo scrutava gli faceva venire la pelle d'oca, sembrava che stesse scegliendo quale pollo uccidere per cena. Indossava un abito semplice che poteva essere marrone scuro. Al contrario delle altre donne ander che amavano mettersi in mostra, il vestito era abbottonato fino al collo. Dal vestito non sembrava una nobile, ma l'acconciatura e la lunghezza dei capelli facevano intuire che si trattava di un personaggio importante. Sembrava in qualche modo diversa da tutte le altre donne. C'era qualcosa di bizzarro in lei: indossava una larga fascia nera intorno al collo. «Alle volte le ragazze dicono cose spiacevoli perché hanno paura di ammettere che gli piace un ragazzo e temono che lui le rifiuti.» «E alle volte le dicono perché le pensano veramente.» «Vero.» La donna sorrise. «Vive al palazzo o qua a Farrfield?» «A Fairfield, lavora per Inger il macellaio.» La donna sembrò trovare la situazione divertente. «Forse è abituata a vedere più carne intorno alle ossa. Forse quando sarai cresciuto e più robusto ti troverà più attraente.» Fitch tornò a infilare le mani in tasca. «Forse.» Non lo credeva, inoltre, non pensava che si sarebbe mai irrobustito. Pensava di essere abbastanza vecchio e che il suo fisico fosse completamente sviluppato. La donna riprese a studiargli il volto per qualche attimo. «Vorresti piacergli, vero?» gli chiese. Fitch si schiarì la gola. «Be', sì, a volte credo di sì. Almeno vorrei che non mi odiasse.» La donna sorrise come se fosse contenta di qualcosa, ma Fitch era certo che non avrebbe mai capito di cosa si trattasse. «Si può fare.» «Signora?» «Se ti piace e vorresti essere ricambiato... si può fare.» Fitch la fissò attonito. «Come?» «Basta mischiare qualcosa a quello che beve o mangia.» In quel momento comprese tutto. Era una maga. Ecco perché era così strana. Aveva sentito dire che le persone con il dono erano bizzarre. «Mi state dicendo che potreste fare... non so... un incantesimo o qualcosa di simile?» Il sorriso della donna si allargò. «O qualcosa.» «Ho appena iniziato a lavorare per mastro Campbell. Mi dispiace, signora, ma temo di non potermelo permettere.» «Capisco.» Il sorriso si spense. «E se potessi permettertelo?» Prima che Fitch potesse rispondere, la donna socchiuse gli occhi e guardò il cielo con aria pensierosa. «Forse potrebbe essere pronto per quando sarai pagato.» La voce si era ridotta a un sussurro, come se stesse dando voce ai pensieri. «Devi darmi il tempo di trovare una soluzione al problema.» Lo fissò dritto negli occhi. «Cosa ne dici?» Fitch deglutì. Non voleva certo offendere una donna ander, una con il dono, tra l'altro. Esitò. «Be', signora, la verità è che se... devo piacere a una ragazza, vorrei che fosse perché le piaccio veramente... non voglio offenderla, signora. La sua è un'offerta molto gentile, ma non credo che mi piacerebbe essere guardato in un certo modo da una ragazza solo perché è sotto l'effetto di un incantesimo. Penso che non mi sentirei molto bene... sarebbe come dire che posso piacere a una ragazza solo se è stata stregata.» La donna rise e gli diede una pacca sulla spalla. Era un risata divertita per nulla carica di disprezzo. Fitch non avrebbe mai pensato che un Ander potesse parlare in quel modo e ridere in quella maniera. «Molto bene.» disse la donna. «Una volta sentii un mago che mi disse la stessa cosa, ma è stato tantissimo tempo fa.» «Un mago? Deve essere stato spaventoso. Incontrare un mago, voglio dire.» La donna scrollò le spalle. «No. Era un uomo gentile e al tempo ero una ragazzina. Io sono nata con il dono e lui mi disse di ricordarmi che la magia non poteva sostituire le persone che ti vogliono bene per quello che sei veramente.» «Non sapevo che ci fossero dei maghi da queste parti.» «Non lo incontrai qua» spiegò, agitando un dito nella notte «ma ad A- ydindril, nel Mastio del Mago.» Fitch tese le orecchie. «Aydindril? A nord-est?» «Ma guarda, sei un ragazzo intelligente, eh? Sì. A nord-est.» Allungò una mano. «Mi chiamo Franca e tu?» Fitch strinse appena la mano e fece un profondo inchino. «Fitch, signora.» «Franca.» «Signora?» «Franca. Ci siamo presentati, così possiamo chiamarci per nome.» «Scusate, signora... voglio dire, Franca.» La donna rise di nuovo. «È stato bello incontrarti, Fitch. Devo tornare a palazzo. Suppongo che stavi pensando di andarti a ubriacare. Sembra che piaccia molto ai ragazzi della tua età.» Fitch dovette ammettere che l'idea di una bella sbronza era molto buona, ma la possibilità di sentire parlare del Mastio di Aydindril era ancor più attraente. «Penso che tornerò anch'io a palazzo. Sarei contento di accompagnarvi, Franca, sempre che non le dia fastidio la presenza di un Haken al suo fianco» aggiunse Fitch, soprappensiero. La donna lo studiò nuovamente con quello sguardo che lo faceva rabbrividire. «Ho il dono, Fitch. Questo significa che sono diversa da tutti gli altri. Haken e Ander pensano di me quello che gli Ander pensano degli Haken.» «Davvero? Ma voi siete Ander.» «L'essere una Ander non è sufficiente a salvarmi dal fatto di essere nata con il dono. So come ci si sente a essere guardati con disprezzo senza che la gente sappia nulla di te. «Sarei contenta se mi accompagnassi, Fitch.» Fitch sorrise. Era sconvolto. Una donna ander stava intrattenendo una conversazione con lui... una conversazione vera e aveva scoperto che gli Ander la disprezzavano... lei, un'altra Ander, perché aveva il dono. «Ma non vi rispettano per la vostra magia?» «Mi temono. La paura è buona e cattiva. È buona perché la gente ti tratta con rispetto anche se ti disprezza. Cattiva, perché molto spesso la gente tende a distruggere ciò che teme.» «Non l'avevo mai pensata in questo modo.» Ricordò quanto gli avesse fatto piacere sentire Claudine Winthrop chiamarlo 'signore'. L'aveva fatto perché era spaventata, ma a lui era piaciuto. Tuttavia, non riusciva a capire le altre cose che le aveva detto Franca. «Sei molto saggia. La magia serve anche a quello? A rendere una persona più saggia?» La donna rise di nuovo, come se lo trovasse divertente come un pesce con le gambe. «Se così fosse allora il posto dove abitano i maghi si chiamerebbe il Mastio dei Saggi, invece che Mastio del Mago. Alcune persone forse sarebbero molto più sagge se non fossero nate con il dono.» Non aveva mai incontrato nessuno che era stato ad Aydindril, figuriamoci al Mastio del Mago. Quasi non credeva che una persona con il dono gli stesse parlando. Da un certo punto di vista era anche preoccupato perché non sapeva nulla della magia e temeva che facendola arrabbiare lei potesse fargli del male. Pensava che fosse una donna affascinante anche se non più giovane. Si incamminarono lungo la strada che portava a palazzo rimanendo in silenzio. A volte il silenzio lo innervosiva e si chiese se lei poteva leggergli nel pensiero. Fitch la guardò. Non aveva l'aria di una persona che stesse prestando attenzione ai suoi pensieri. Indicò la gola. «Vi dispiace se vi chiedo cos'è quella fascia che portate intorno alla gola, Franca? È qualcosa che ha a che fare con la magia?» La donna rise di gusto. «Sai una cosa, Fitch, sei la prima persona in tanti anni che me lo chiede. Forse è dovuto al fatto che non conosci abbastanza la magia per aver paura di porre una domanda personale a un'incantatrice.» «Scusatemi, Franca. Non avevo intenzione di essere offensivo.» Fitch cominciò a pensare di aver detto qualcosa di stupido. Non voleva far infuriare una Ander, specialmente una maga. La donna rimase in silenzio, e continuò a camminare. Fitch infilò le mani in tasca. «Vedi» disse Franca, dopo qualche passo «non c'è nulla d'offensivo nella domanda che mi hai fatto. Solo che mi fa ricordare brutti momenti.» «Mi dispiace tantissimo, Franca. Non avrei dovuto dirlo. A volte dico cose molto stupide. Mi dispiace.» In quel momento desiderò di essere andato a ubriacarsi. L'incantatrice fece ancora qualche passo, quindi si girò. «No, Fitch non sei uno stupido. Guarda.» Tirò giù la fascia con il pollice. Anche se era buio, la luna forniva abbastanza luce da illuminare quella che sembrava una bruttissima cicatrice che girava tutt'intorno alla gola formando uno spesso cordone biancastro che ricordava la cera. «Una volta delle persone cercarono di uccidermi perché ho il dono.» La luce lunare fece brillare le lacrime che le colmavano gli occhi. «Sono stati Serin Rajak e i suoi seguaci.» Fitch non aveva mai sentito quel nome. «Seguaci?» Franca risistemò la fascia. «Serin Rajak odia la magia e ha dei seguaci che la pensano come lui. Sobillano le persone contro quelli come me facendole diventare bestie selvagge piene di odio e assetate di sangue. «Non c'è niente di peggio al mondo di una folla inferocita che non pensa altro che a fare del male a qualcuno. Quando si riuniscono riescono a compiere molto facilmente quello che uno da solo non avrebbe mai il coraggio di fare. Una folla ha una vita propria... pensieri indipendenti. È come un branco di cani che si avventa su un animale solitario. «Rajak mi prese e mi mise una corda al collo. Gli altri mi legarono le mani dietro la schiena. Dopo cercarono un albero, fecero passare la corda intorno a un ramo e tirarono con forza.» Fitch inorridì. «Dolci spiriti... deve essere stato molto doloroso.» Franca guardava la strada davanti a sé e non sembrava averlo ascoltato. «Cominciarono ad ammassare della legna sotto di me. Volevano fare un bel falò, ma prima che potessero accenderlo, io riuscii a liberarmi.» Fitch immaginò una corda intorno al collo e si massaggiò la gola. «Quell'uomo... Serin Rajak... è un Haken?» La donna scosse la testa. «Non è necessario essere Haken per essere malvagi, Fitch.» Camminarono in silenzio per un po'. Fitch ebbe l'impressione che l'incantatrice stesse ancora ricordando i momenti in cui stava per morire. Si chiese come mai non fosse soffocata e decise che forse la corda non era stata stretta abbastanza. Si chiese anche come fosse riuscita a scappare, ma sapeva che si era già spinto troppo oltre ed era meglio non fare altre domande sull'argomento. Ascoltò la ghiaia che scricchiolava sotto gli stivali. Di tanto in tanto lanciava un'occhiata a Franca che non aveva più l'aria felice di quando si erano incontrati e desiderò di non aver mai fatto quelle domande. Giunse alla conclusione che poteva chiederle qualcosa riguardo gli argomenti che prima l'avevano fatta sorridere. Dopotutto, lei aveva deciso di camminare con lui proprio per quello. «Com'è il Mastio del Mago, Franca?» Aveva pensato bene, la donna aveva sorriso di nuovo. «Immenso. Non puoi neanche immaginare quanto sia grande. Si trova su una montagna che sovrasta Aydindril ed è collegato alla città da un ponte che attraversa un baratro profondo centinaia di metri. Parte del Mastio è stata ricavata scavando nella montagna stessa. Le mura si innalzano simili a scogliere. Gli spalti sono larghi quanto una strada e connettono le varie strutture. Ci sono anche le torri che svettano sulle mura. È un luogo magnifico.» «Hai mai visto un Cercatore di Verità? Hai mai visto la Spada della Verità quando eri laggiù?» La donna aggrottò la fronte. «Vedo che sai un sacco di cose. Mia madre era un'incantatrice e andò ad Aydindril per incontrare il Primo Mago riguardo un argomento di cui non ho la minima idea. Andammo negli appartamenti privati di quell'uomo. Era un luogo pieno di cose meravigliose e ricordo bene di aver visto quella spada brillante.» Sembrava contenta di parlare di quell'esperienza. «Come sono» la incalzò Fitch «la Spada della Verità e gli appartamenti del Primo Mago?» «Be', vediamo...» Portò un dito al mento per pensare, quindi cominciò il racconto. 37 Dalton Campbell abbassò la testa per intingere la penna nel calamaio quando vide le gambe di una donna entrare nel suo studio. Le caviglie grosse non lasciavano alcun dubbio sull'identità della visitatrice. Alzò lo sguardo e si trovò a fissare Hildemara Chanboor. Doveva ancora incontrare una donna con le gambe più brutte. Posò la penna e si alzò con un sorriso. «Lady Chanboor, vi prego, entrate.» Nell'ufficio accanto Rowley si stava dando da fare per convocare i messaggeri nel caso Dalton ne avesse avuto bisogno. In quel momento non erano necessari, ma dopo una visita di Hildemara Chanboor, era molto probabile che lo diventassero. Mentre la donna chiudeva la porta, Dalton aggirò la scrivania e le offrì una sedia dall'aria comoda. La moglie del ministro indossava un abito color fieno che, unito al pallore della pelle, le conferiva un'aria malaticcia. L'abito scendeva fino a metà dei polpacci simili a colonne. Hildemara diede una rapida occhiata alla sedia e rimase in piedi. «È così bello vedervi, lady Hildemara.» La donna sorrise. «Oh, Dalton, devi sempre essere tanto formale? Ci co- nosciamo da così tanto tempo che puoi chiamarmi Hildemara.» L'aiutante del ministro stava per ringraziare, ma la donna aggiunse: «Quando siamo soli.» «Ovviamente, Hildemara.» Hildemara Chanboor non faceva mai visita a qualcuno per discutere di qualcosa di tanto iniquo quanto il lavoro. Ogni volta che arrivava era simile alla brezza fredda che precede la tempesta. Dalton decise che era meglio lasciare che il maltempo si sviluppasse da solo senza il suo aiuto, come se fosse stato provocato da un mago. Decise anche che era necessario continuare a mantenere un certo tono formale, a dispetto di quanto gli era appena stato concesso. La donna arcuò le sopracciglia: qualcosa aveva attratto la sua attenzione. Allungò una mano e gli spazzolò una spalla come se volesse far cadere un filo staccato. Il sole si riflesse sulle dita ingioiellate e sul rubino incastonato nella collana che spiccava sulla pelle candida del petto. Il vestito era più o meno della stessa qualità di quello che aveva indossato al banchetto, solo meno elaborato. Hildemara continuò a passare la mano sulla spalla poi la strinse gentilmente tra le dita. Dalton non osò guardare direttamente, ma si limitò a sbirciare con la coda dell'occhio. «Hai delle belle spalle Dalton. Robuste e muscolose.» Lo fissò dritto negli occhi. «Tua moglie è fortunata ad avere un uomo con un fisico tanto bello.» «Grazie, Hildemara.» La prudenza lo indusse a non dire altro. La donna gli carezzò il volto. «Sì, è proprio una donna molto fortunata.» «Anche vostro marito è un uomo fortunato.» La donna ritrasse la mano. «Sì, è molto fortunato. Ma, sai come si dice, la fortuna è solo frutto di un allenamento costante e continuo.» «Sagge parole, Hildemara.» La risata cinica evaporò rapidamente nell'aria e Hildemara tornò a posare una mano sul colletto dell'abito di Dalton come se fosse necessario aggiustarlo, dopodiché gli carezzò il collo sfiorandogli il bordo di un orecchio con il dito. «Ho sentito dire che tua moglie è molto fedele.» «Sono un uomo fortunato, mia signora.» «E tu le sei altrettanto fedele.» «Tengo molto a lei ed entrambi rispettiamo il voto fatto.» «Quanta nobiltà d'animo.» Allargò il sorriso e gli pizzicò una guancia. Dalton ebbe l'impressione che fosse una sorta di rimprovero più che un gesto affettuoso. «Un giorno spero di riuscire a convincerti a essere un po' meno... rigido, riguardo i tuoi principi, diciamo.» «Se c'è una donna che può allargare i miei orizzonti, quella siete sicuramente voi, Hildemara.» La moglie del ministro gli batté la mano sulla guancia e tornò a ridere, cinica. «Oh, Dalton, sei un uomo eccezionale.» «Grazie, Hildemara. Detto da voi è qualcosa di più di un complimento.» La donna sospirò, sembrava che dovesse cambiare umore. «E tu hai fatto un ottimo lavoro con Claudine Winthrop e il direttore Linscott. Non pensavo che ci fosse qualcuno che potesse centrare due bersagli con una sola lancia.» «Faccio del mio meglio per il ministro e la sua amabile signora.» Hildemara lo gratificò con uno sguardo freddo e calcolatore. «La moglie del ministro è stata piuttosto umiliata dalla lingua un po' troppo sciolta di quella donna.» «Non credo che darà altri...» «Voglio che sia sistemata.» Dalton inclinò la testa di lato. «Chiedo scusa?» L'espressione di Hildemara Chanboor si indurì ulteriormente. «Uccidila.» Dalton si raddrizzò e portò le mani dietro la schiena. «Posso sapere il motivo di tale richiesta?» «Quello che fa mio marito sono esclusivamente affari suoi. Il Creatore sa che è fatto come è fatto e solo la castrazione potrebbe cambiarlo, ma non sopporto che una donna mi umili davanti a tutti facendomi fare la figura della stupida. Le chiacchiere discrete sono una cosa, voler parlare in pubblico è qualcosa di ben diverso.» «Hildemara, non credo che Claudine volesse mettervi in cattiva luce, il suo astio era diretto verso Bertrand. Tuttavia, vi assicuro che è stata trattata a dovere e non parlerà, senza contare che nessuna delle autorità avrà più fiducia in lei dopo quello che è successo l'altra sera.» «Ma non eri tu quello coraggioso, Dalton?» «Lo sono, Hildemara. Speravo solo di farvi capire che...» La donna gli prese nuovamente il colletto, ma questa volta non era un gesto delicato. «Delle persone molto stupide che credono a tutto il mucchio di letame riguardo i bambini affamati e via discorrendo hanno comin- ciato a riverirla. Si raggruppano davanti alla sua porta in cerca di una patrono per la loro causa. «Questo genere di riverenza da parte del popolo è molto pericolosa, Dalton. Le dà molto potere. Peggio ancora sono le accuse che ha mosso. È andata in giro dicendo che Bertrand l'ha obbligata ad andare con lui e questo si chiama stupro.» Dalton sapeva dove voleva arrivare, ma preferì che lei parlasse chiaro. Quella circostanza gli avrebbe fornito più frecce al suo arco nel caso in cui la donna decidesse di darlo in pasto ai lupi o a qualcosa di peggio. «Un'accusa di stupro farebbe appena sbadigliare la gente» disse Dalton. «Potrei far sembrare tutto come la prerogativa di un uomo di grande potere che di tanto in tanto ha bisogno di qualche svago innocuo per allentare la tensione. Nessuno potrebbe accusarlo di un simile atto. Potrei dimostrare che il ministro si trova ben al di sopra di leggi così comuni.» La donna aumentò la stretta. «Ma Claudine potrebbe essere portata nell'Ufficio dell'Amicizia Culturale per essere interrogata. I direttori temono il potere e l'abilità di Bertrand. Sono anche molto gelosi di me. Potrebbe usare la donna e dire che il ministro può anche essere al di sopra della legge, ma quell'atto offende il Creatore. «Con una simile accusa sulle spalle, Bertrand non sarebbe più eleggibile come sovrano. I direttori unirebbero le loro forze e noi ci troveremmo improvvisamente alla loro mercé. Potremmo ritrovarci in altri appartamenti prima ancora di capire cosa sta succedendo.» «Hildemara, credo che...» La donna avvicinò il volto al suo. «Voglio che sia uccisa.» Dalton aveva sempre pensato che la schiettezza e la generosità potevano rendere una donna molto affascinante. Il rovescio della medaglia era rappresentato da Hildemara: un individuo egoista e dispotico, mosso da un odio inestinguibile per chiunque si ponesse sul suo cammino per raggiungere il potere. Tutte quelle caratteristiche avevano corrotto la sua essenza marchiandola con una bruttezza per la quale non esisteva rimedio. «Certo, Hildemara. Sarà fatto, se lo desiderate.» Dalton le tolse la mano dal colletto con un gesto gentile. «Avete istruzioni particolari a riguardo?» «Sì» sibilò. «Non voglio che sembri un incidente. È un omicidio e non voglio che ci siano dubbi a riguardo. Voglio che le altre compagne di letto di mio marito comprendano la lezione fino in fondo, altrimenti non avreb- be senso farlo. «Voglio che sia truce. Qualcosa che faccia aprire bene gli occhi a quelle donne. Niente a che fare con una morte tranquilla e beata nel proprio letto.» «Capisco.» «Noi dobbiamo uscirne completamente lindi e immacolati. Nessuno deve sospettare che l'ordine è partito dall'ufficio del ministro... ma, ripeto, esigo che sia una lezione per tutti quelli che hanno la lingua sciolta.» Dalton aveva già un piano che si adattava alla perfezione ai requisiti richiesti. Nessuno avrebbe pensato a un incidente. Sarebbe stato un omicidio cruento e sapeva dove l'opinione pubblica avrebbe puntato il dito nel caso ci fosse stato bisogno di un capro espiatorio. Dovette ammettere che gli argomenti di Hildemara erano validi. I direttori avevano visto il bagliore dell'ascia del ministro, quindi potevano pensare che fosse giunto il momento di brandire le loro armi. Claudine poteva dare parecchi problemi. Non era saggio lasciare andare in giro un potenziale pericolo. Gli dispiaceva doverlo fare, ma non c'era altro modo per eliminare quella minaccia. «Come volete, Hildemara.» Il sorriso tornò sul volto della donna. «Sei qui da poco, Dalton, ma ho imparato a rispettare la tua abilità. Se c'è un aspetto di Bertrand per il quale nutro piena fiducia è la sua abilità nel trovare gli uomini giusti da mettere al posto giusto. Deve farlo altrimenti non potrebbe andare dietro le gonnelle di tutte le donne che lo affascinano. «Sono sicura che non sei arrivato a occupare la tua posizione facendo lo schizzinoso, vero, Dalton?» L'aiutante del ministro era sicuro che la moglie del suo superiore avesse svolto le sue indagini. Sapeva benissimo che era in grado di portare a termine quel compito. Non sarebbe stata così avventata da dare un simile ordine a una persona che non riteneva all'altezza della situazione. C'erano altri in grado di farlo. Dalton tirò un altro filo nella sua tela di contatti. «Mi avete chiesto un favore che sono in grado di farvi, Hildemara.» Entrambi sapevano che non si trattava di un favore: era un ordine, tuttavia, lui voleva che non sembrasse tale, almeno per Hildemara, in modo da piantare nella mente della donna un seme che col tempo avrebbe messo le radici. Ordinare un omicidio era qualcosa di decisamente peggiore di qualsiasi accusa di stupro. Un giorno potrebbe aver avuto bisogno dell'influenza della moglie del ministro. Hildemara sorrise soddisfatta e posò una mano sulla guancia. «Sapevo che eri l'uomo giusto per questo lavoro. Grazie, Dalton.» L'aiutante del ministro chinò la testa. La donna gli alzò il mento con un dito. Il volto era tornato cupo. «Ricorda, potrò anche non avere il poter per far castrare Bertrand, ma posso farlo con te, Dalton... quando mi pare e piace.» Dalton sorrise. «Allora farò in modo di non darvi alcuni motivo per farlo, mia signora.» 38 Fitch si grattò il braccio attraverso i suoi vecchi abiti da sguattero. Non si era reso conto di quanto fossero ruvidi fino a che non aveva indossato la divisa da messaggero per qualche giorno. Non che fosse diventato una persona importante, ma, al contrario di quanto gli succedeva quando era solo uno sguattero, sembrava che la gente lo rispettasse di più da quando era diventato un messaggero; forse perché lo consideravano come qualcuno al quale era stata affidata una grande responsabilità. Non avrebbe voluto indossare di nuovo i vecchi abiti. Era come se fosse tornato indietro, cosa che non avrebbe fatto per nulla al mondo. Gli piaceva lavorare per Dalton Campbell e avrebbe fatto di tutto per mantenere quel posto. Per questo, però, era necessario che in quel momento tornasse a indossare i suoi vecchi abiti. L'aria trasportò l'eco della dolce melodia di uno liuto. Molto probabilmente doveva venire dal Giullare, una taverna che si trovava in via Wavern perché sapeva che là si esibiva sempre un menestrello. I gorgheggi penetranti di un flauto di canne si levavano di tanto in tanto nella notte e quando smettevano era possibile sentire il menestrello che intonava una ballata di cui non poteva sentire le parole a causa della distanza. Il brano, tuttavia, era veloce e piacevole al punto da far battere più forte il cuore di Fitch. Si guardò dietro le spalle e vide i volti torvi degli altri messaggeri illuminati dalla luna. Anche loro indossavano gli abiti che avevano usato prima di cambiare lavoro. Fitch non aveva nessuna intenzione di tornare in- dietro. Non avrebbe deluso gli altri. Erano vestiti talmente male da sembrare un gruppo di straccioni e nessuno avrebbe potuto riconoscerli. Nessuno avrebbe notato se erano diversi da tutti gli altri straccioni haken dai capelli rossi. Ce n'era sempre qualcuno di loro che vagava nei dintorni di Fairfield in cerca di lavoro. Spesso venivano cacciati dalla strada nella quale si riunivano. Alcuni andavano nelle campagne per aiutare nelle fattorie, altri trovavano lavoro in città, ma solo per un giorno, alcuni si andavano a nascondere da qualche parte per bere e infine c'erano quelli che attendevano nell'oscurità per rapinare i passanti. Quest'ultimi non vivevano a lungo perché venivano immancabilmente catturati dalle guardie. Gli stivali di Morley scricchiolarono, mentre si acquattava vicino a Fitch. Anche lui, come tutti gli altri, indossava gli stivali perché erano necessari per portare a termine quella missione. Anche se gli Haken non portavano gli stivali, nessuno sarebbe potuto risalire a loro solo dalle calzature. Morley non era ancora un messaggero, ma mastro Campbell gli aveva chiesto di unirsi al gruppo di Fitch perché gli altri messaggeri erano troppo lontani per tornare in tempo per la missione. Morley era rimasto deluso dal fatto di non essere diventato anche lui un messaggero con Fitch, ma l'amico gli aveva assicurato che per ora mastro Campbell aveva bisogno di lui in quel posto e che un giorno l'avrebbe promosso. Per il momento Morley era più che contento di avere una simile speranza. Gli altri amici che Fitch si era fatto tra i messaggeri erano simpatici, ma in quel momento era contento di avere Morley al suo fianco. Erano stati insieme nelle cucine per anni e quel fatto significava ben qualcosa. Anni di sbronze con la stessa persona creano un legame molto forte, Fitch ne era convinto. Anche Morley sembrava pensarla allo stesso modo ed era contento di essere stato messo alla prova. Fitch aveva paura, ma non aveva nessuna intenzione di deludere mastro Campbell, senza contare che per lui e Morley quella missione aveva una connotazione fortemente personale. Aveva le mani così sudate che di tanto in tanto doveva asciugarle sui pantaloni. Morley gli diede una leggera gomitata, Fitch sbirciò la strada poco illuminata e vide Claudine Winthrop che usciva da un gruppo di palazzi alti due o tre piani. C'era un uomo con lei, un Ander ben vestito che portava al fianco una spada che, a giudicare dal fodero stretto, doveva essere leggera e veloce, ma letale. Fitch immaginò di compiere alcune stoccate con quel- l'arma. La presenza dell'uomo non era preoccupante perché mastro Campbell l'aveva prevista. Rowley, l'unico del gruppo che indossava gli abiti da messaggero, si avvicinò all'Ander e gli consegnò un messaggio. I due si parlarono, mentre l'uomo rompeva il sigillo e srotolava la pergamena, ma Fitch era troppo distante per capire cosa si stessero dicendo. La musica proveniente dalla taverna aumentò di volume. Al Giullare il menestrello continuava a cantare e suonare. Un gruppo di persone passò per la strada parlando e ridendo. Udirono altre risate provenire da una sala. Le carrozze e i carri non facevano altro che aggiungere ulteriore confusione. L'Ander infilò il messaggio nella tasca del farsetto scuro e si girò verso Claudine Winthrop gesticolando. La ragazza diede un'occhiata alle strade che portavano verso il centro di Fairfield, quindi scosse la testa e indicò il palazzo e la strada sulla quale Fitch e gli altri la stavano aspettando. Sorrideva e sembrava divertirsi. L'uomo che l'aveva accompagnata le strinse la mano e le augurò la buonanotte, quindi si incamminò velocemente per la sua strada, mentre Claudine lo salutava agitando la mano in aria. Dalton Campbell aveva dato a Rowley il compito di consegnare il messaggio. Portato a termine il suo compito, il messaggero era sparito. Era stato Rowley che aveva detto loro come avrebbero dovuto fare il lavoro. Era il braccio destro di mastro Campbell, era lui che diceva cosa fare se l'aiutante del ministro non era in circolazione. A Fitch piaceva Rowley. Per essere un Haken, aveva tutta l'aria di essere un ragazzo molto sicuro di sé. Dalton Campbell era rispettoso con tutti, ma sembrava che con lui lo fosse in maniera particolare. Se Fitch fosse stato cieco avrebbe creduto di avere a che fare con un Ander, l'unica differenza era che Rowley lo trattava bene. Claudine si incamminò lungo la strada che conduceva al palazzo. Due grosse guardie armate di manganello passarono per la strada e le lanciarono un'occhiata. Il palazzo non distava molto, poco meno di un'ora di cammino. La notte era piacevole, calda al punto giusto da non patire il freddo e fare una camminata senza sudare. Non c'era la luna. Claudine Winthrop si coprì le spalle con uno scialle color crema. Avrebbe potuto sedersi su una panchina e aspettare il passaggio di una delle tante carrozze che facevano la spola tra il palazzo e la città, ma non era necessario. Aveva voglia di camminare e se proprio si fosse stancata, si sarebbe fermata e ne avrebbe presa una. Rowley però, si stava occupando di far tardare le carrozze. Fitch diede un'occhiata agli altri uomini che attendevano al loro posto, quindi tornò a concentrarsi su Claudine che si avvicinava sempre di più. Il suono della musica gli rimbombava nella testa andando all'unisono con il battito del cuore. Cominciò a seguire il ritmo della canzone battendo un dito sul ginocchio flesso. Conosceva il titolo del brano era: Un giro intorno al pozzo e indietro. Raccontava la storia di un uomo innamorato di una donna che lo ignorava, che un giorno si fece coraggio e la inseguì intorno a un pozzo finché non la bloccò e le chiese di sposarlo. La donna acconsentì, ma a quel punto lui perse tutto il suo coraggio e toccò alla donna inseguirlo intorno al pozzo. A mano a mano che camminava, Claudine Winthrop sembrò sempre meno convinta della decisione che aveva preso. Si guardava nervosamente a destra e a sinistra e quando le luci della città scomparvero alle sue spalle aumentò la velocità dell'andatura. Fitch sentiva il cuore che gli batteva all'impazzata. In quel momento desiderava di non essere là. La missione che stava per compiere l'avrebbe cambiato, non c'erano dubbi a riguardo. Si chiese se era in grado di fare quanto gli avevano chiesto. Ne avrebbe avuto il coraggio? Comunque, non era solo, c'erano gli altri. Potevano farlo loro. Dalton Campbell, però voleva che fosse lui a farlo in modo che imparasse cosa era necessario fare quando una persona si rifiutava di mantenere una promessa. Voleva che fosse parte della squadra di messaggeri. Doveva farlo se voleva essere parte di quella squadra. Gli altri non erano spaventati come lui. Non poteva dimostrarsi un vile. Più Claudine si avvicinava, più lui sembrava paralizzarsi. L'idea cominciava a terrorizzarlo. Desiderò che la ragazza si girasse e scappasse. Era ancora abbastanza lontana. Era sembrato tutto così semplice quando aveva ascoltato le istruzioni del suo capo e aveva annuito. Nell'ufficio di Campbell gli era sembrato tutto chiaro. Tutto aveva avuto un senso alla luce del giorno. Fitch aveva cercato di dare una mano a Claudine Winthrop avvertendola, adesso non era colpa sua se lei non si era attenuta agli ordini ricevuti. Nel buio, però, in mezzo ai campi, intento a osservare la ragazza che si avvicinava sempre di più, era tutto diverso. Strinse i denti. Non poteva deludere i compagni e loro sarebbero stati orgogliosi di lui. Tutti avrebbero visto di che pasta era fatto. Non voleva tornare alla sua vecchia vita nelle cucine e da Gillie che gli tirava le orecchie insultandolo per i suoi modi di fare da Haken. Non voleva tornare a essere 'Fetch'. Fitch rischiò di urlare dallo spavento quando Morley balzò addosso alla donna. Claudine sussultò, cercò di urlare, ma lo sguattero le tappò la bocca con la grossa mano. Fitch la placcò e cadde a terra insieme alla donna e all'amico battendo il gomito. Morley crollò pesantemente su di lei strappandole un grugnito di dolore. Claudine Winthrop agitò le braccia e le gambe cercando inutilmente di urlare. Era piuttosto improbabile che qualcuno la sentisse. Sembrava tutta gomiti e ginocchia. Lottava e si contorceva per scappare. Fitch riuscì da afferrarle un braccio e a piegarlo dietro la schiena. Morley, che le aveva bloccato l'altro, la sollevò da terra. Fitch le legò i polsi con una corda, mentre l'amico le infilava uno straccio in bocca e la bendava. Terminata l'operazione, i due la sollevarono e si allontanarono dalla strada. Claudine piantò i piedi per terra cercando di opporre resistenza. Gli altri uomini uscirono dal punto in cui si erano nascosti. Due l'afferrarono per le gambe sollevandola da terra e un terzo la prese per i capelli. Il gruppo si allontanò di un chilometro abbondante dalla città. Claudine Winthrop era in preda al terrore più puro. Urlò nonostante il bavaglio, dimenandosi selvaggiamente per tutto il tragitto. Aveva tutte le ragione per essere spaventata dopo quello che aveva fatto. A un certo punto tagliarono a destra entrando in un campo di grano. Volevano essere lontani dalla strada nel caso passasse qualcuno. Non volevano che un carrozza giungesse inaspettata. Non avevano nessuna voglia di scappare. A Dalton Campbell non sarebbe piaciuto scoprire che non avevano portato a compimento il compito che aveva affidato loro. Aggirarono una montagnola di terra e, sicuri di essere al riparo da sguardi indiscreti, lasciarono cadere a terra la donna, Claudine continuava a urlare. Fitch le tolse la benda e vide gli occhi dilatati che gli ricordarono immediatamente un maiale prossimo alla macellazione. Fitch ansimava più che altro per l'orrore che gli ispirava il gesto che stava per compiere. Il cuore gli rimbombava nelle orecchie e batteva all'impazzata nel petto. Sentiva le ginocchia che tremavano. Morley sollevò Claudine Winthrop obbligandola a stare in piedi. «Ti avevo avvertita» disse Fitch. «Sei stupida? Ti avevo detto di non riferire a nessuno le accuse infami che avevi intenzione di rivolgere al ministro della Cultura. Il ministro non ti ha violentata, ma tu sei andata in giro a mentire. Non hai tenuto fede alla tua parola.» Claudine scosse la testa con vigore e Fitch si infuriò ulteriormente nel vedere tanta veemenza nel negare la verità. «Ti avevo detto di non pronunciare simili accuse nei confronti del ministro della Cultura! Mi avevi promesso che non l'avresti fatto! E adesso cosa fai? Te ne vai in giro a parlare con la lingua sciolta ripetendo quelle accuse odiose.» «Glielo avevi detto, Fitch» disse uno degli uomini. «È vero. Fitch ha ragione» rincarò un secondo. «Gli hai dato una possibilità» aggiunse un terzo. I compagni gli diedero delle pacche sulle spalle e a Fitch piacque che i suoi amici fossero orgogliosi di lui. Si sentiva importante. Claudine scosse la testa e aggrottò la fronte. «Hanno ragione» disse Morley, rivolgendosi alla donna mentre la scuoteva. «C'ero anch'io quella sera. Avresti dovuto fare quello che ti aveva detto. Fitch ti ha dato una possibilità.» Claudine cercò di parlare e Fitch le abbassò bruscamente il bavaglio. «No! Non ho parlato! Lo giuro, signore. Dovete credermi... non l'ho detto a nessuno... non ho parlato con nessuno dopo che mi avevate raccomandato di stare zitta... non l'ho fatto!» «Invece hai parlato!» Fitch strinse i pugni. «È stato mastro Campbell a riferircelo. Stai dicendo che mastro Campbell è un bugiardo?» «No! Signore, vi prego, dovete credermi!» Cominciò a singhiozzare. «Ho fatto come mi avevate detto.» Fitch non ce la faceva più a sentirla mentire. Era furibondo. L'aveva avvertita. Le aveva dato una possibilità. Anche mastro Campbell aveva cercato di aiutarla, ma lei li aveva ripagati tradendo la loro fiducia. Questa volta il fatto di sentirsi chiamare 'signore' non gli dava piacere. Gli uomini alle sue spalle lo incitavano ad agire. Fitch non ne poteva più di sentire quelle menzogne. «Ti avevo detto di tenere la bocca chiusa, ma non l'hai fatto!» «L'ho fatto» rispose piangendo, sporgendosi in avanti. «Non ho detto nulla...» Fitch le tirò un pugno in faccia con tutta la forza che aveva in corpo e sentì il rumore di un osso che si rompeva. Il colpo gli fece male alla mano, ma lo sentì appena. Il volto della donna era imbrattato di sangue. «Bel colpo, Fitch!» esultò Morley arretrando di un passo per la violenza dell'impatto. Gli altri uomini si complimentarono con lui. «Un altro!» L'orgoglio nei suoi confronti e l'approvazione degli amici servirono solo ad aumentare la rabbia di Fitch che caricò un secondo pugno. Quella donna stava cercando di danneggiare Dalton Campbell e il ministro... l'uomo che molto presto sarebbe diventato il sovrano. La sola idea lo indusse a sfogare la rabbia accumulata in quegli attimi. Il secondo pugno fu così violento da strapparla alla presa di Morley e farla crollare a terra con la mascella spaccata. Il volto era ridotto a una maschera di sangue e irriconoscibile. Fitch ebbe l'impressione di osservarsi da lontano. Gli altri uomini si avventarono su Claudine Winthrop come se fossero un branco di cani. Morley era il più violento. La sollevarono e sembrò che tutti la stessero colpendo nello stesso momento. La testa scattava in ogni direzione. Qualcuno le diede un pugno nello stomaco piegandola in due, poi presero a colpirla ai reni. I pugni piovevano da tutte le direzioni. Una volta caduta a terra la donna fu investita da una gragnola di calci. Morley la colpì alla nuca e un altro uomo alla tempia. Gli altri si accanirono sul corpo con calci tanto violenti da sollevarla da terra o farla rotolare. Il tonfo secco dei colpi ovattava i versi degli uomini sotto sforzo. Fitch le assestò un calcio nelle costole. Era tranquillo e gli sembrava di essere uno spettatore distante. Provava un misto di disgusto ed eccitazione. Insieme ai compagni stava svolgendo un lavoro molto importante per conto di Dalton Campbell. Una parte di lui era sconvolta per quanto stava succedendo e voleva scappare piangendo. Sempre quella parte desiderava che la donna non fosse mai uscita dal palazzo. L'altra parte, invece era molto eccitata... eccitata all'idea di compiere un atto tanto importante. Non seppe dire quanto andarono ancora avanti. L'odore del sangue gli riempiva le narici e sembrava impregnargli la bocca. Tutti avevano gli abiti, le mani e i volti sporchi di sangue. Era un'esperienza esaltante che diede a Fitch un profondo senso di cameratismo. Tutti ridevano, si sentivano come fratelli. Udirono il rumore di una carrozza e si bloccarono per ascoltare. Tutti avevano uno sguardo da invasati. La carrozza si fermò. Corsero via in direzione di un laghetto. Non volevano farsi scoprire e avevano bisogno di bere e lavare via il sangue. 39 Dalton sentì bussare e alzò la testa dal rapporto che stava leggendo. «Sì?» La porta si aprì parzialmente e la testa di Rowley fece capolino oltre il bordo. «C'è qualcuno che vi vuole parlare, mastro Campbell. Dice di essere Inger, il macellaio.» Dalton era troppo impegnato e non era dell'umore giusto per risolvere i problemi delle cucine. Di problemi ne aveva già fin sopra i capelli e di tutti i tipi, da quelli più stupidi fino a quelli più importanti. L'omicidio di Claudine Winthrop aveva suscitato molto scalpore. Era un personaggio molto importante e la città era in subbuglio, ma Dalton sapeva bene che una situazione simile poteva creare delle ottime opportunità se si era in grado di sfruttarla. In quei casi lui si trovava nel suo elemento. Aveva fatto in modo che Stein fosse ospite dei direttori in modo che avesse un alibi d'acciaio. Un uomo che andava in giro con un mantello di scalpi umani rendeva le persone sospettose; poco importava alla gente se quelle capigliature erano state prese in battaglia. La guardia cittadina aveva detto di aver visto Claudine Winthrop che lisciva a piedi da Fairfield per tornare al palazzo. Si trattava di un fatto molto comune, la strada era molto trafficata e, fino ad allora, ritenuta sicura anche di notte. Nel rapporto la guardia diceva anche di aver visto un gruppo di giovani haken intenti a bere. Ovviamente l'opinione pubblica era unanime nell'affermare che la donna era stata attaccata dagli Haken e che l'atto era una chiara dimostrazione dell'odio che quella razza provava per gli Ander. Ora le guardie scortavano quelli che passeggiavano di notte. L'opinione pubblica voleva che il ministro facesse qualcosa. La morte della moglie aveva sconvolto Edwin Winthrop a tal punto da farlo ammalare, ma pur costretto a letto domandava giustizia. Furono arrestati immediatamente alcuni giovani che furono altrettanto rapidamente liberati perché venne dimostrato senza ombra di dubbio che la notte dell'omicidio stavano lavorando in alcune fattorie. Degli uomini bevvero molto dopodiché uscirono da una taverna e, forti del rum ingollato, andarono alla ricerca degli 'assassini haken'. Trovarono alcuni giovani Haken e, sicuri che fossero i colpevoli, li picchiarono a morte di fronte a una folla esultante. Dalton scrisse discorsi molto severi per il ministro e impartì degli ordini sempre a nome del politico per risolvere alcune crisi. Nel corso degli infuocati discorsi che pronunciò in quei giorni, Bertrand Chanboor sfruttò l'omicidio di Claudine Winthrop, per puntare il dito contro gli oppositori del sovrano, accusandoli di essere stati loro i responsabili delle violenze di quei giorni, perché avevano soffiato sul fuoco del malcontento nei confronti di una legge giusta ed equa. Chiese norme severe che regolassero il 'linguaggio colmo di rancore'. Gli strali lanciati nei confronti dell'Ufficio dell'Amicizia Culturale uniti alle nuove leggi, fecero tremare le ginocchia a più di un direttore. Di fronte a una folla che si era riunita per ascoltare il discorso, il ministro chiese nuove misure, senza specificare quali, per affrontare i violenti. Tali misure erano sempre vaghe e raramente venivano attuate. Il solo fatto che il politico pronunciasse parole appassionate era tutto ciò che serviva a convincere le persone che fosse una persona decisa ed efficiente. Il fine ultimo di quei discorsi era quello di far percepire alla gente che il ministro si stava muovendo, una volta passato quel messaggio non era più necessario fare effettivamente qualcosa. Certo, le tasse sarebbero state aumentate al fine di trovare le risorse monetarie per mettere in atto tali misure. Era una formula perfetta: l'opposizione era vista come una forma di appoggio alla violenza ed equiparata alla malvagità dei signori haken che un tempo governavano Anderith. Il ministro e Dalton acquisirono il controllo di gran parte dell'economia e il controllo significava potere. Bertrand era contento di essere il centro di tutto questo, dava ordini, denunciava i malvagi, dava udienza a diversi gruppi di cittadini preoccupati, rassicurava le persone. Tutto sarebbe finito appena la situazione si fosse normalizzata e molto presto la gente si sarebbe dimenticata dell'omicidio. Hildemara era felice e questa, per Dalton almeno, era la cosa più importante. Rowley continuava ad aspettare fermo sulla porta. «Di' a Inger di esporre il problema a mastro Drummond» rispose Dalton, prendendo un altro messaggio. «Lui è il responsabile delle cucine e della preparazione del cibo per i banchetti. Gli ho fornito una lista di istruzioni. Quell'uomo ormai dovrebbe sapere quanta carne ordinare.» «Sì, signore.» La porta si chiuse e la stanza tornò a essere avvolta da un silenzio interrotto solo dal suono delicato della pioggia primaverile che era molto utile per le piantagioni. Un buon raccolto avrebbe aiutato tutti a sopportare l'aumento delle tasse. Dalton si rilassò sulla sedia e tornò a leggere. La persona che gli aveva inviato il messaggio aveva visto alcuni guaritori far visita al palazzo del sovrano. Non era riuscito a parlare con loro, ma questi si erano fermati nella residenza reale per tutta la notte. Può darsi che altri oltre il sovrano avessero avuto bisogno d'aiuto. Il monarca risiedeva in un palazzo grande quasi quanto quello del ministro, con l'unica eccezione che era tutto suo. Gli affari, almeno quelli che concernevano il re, erano condotti in un palazzo separato dove, di solito, dava udienza. Non c'era nulla di strano in uno o due guaritori che passavano la notte nel ministero della Cultura, ma questo non significava che il ministro fosse malato. La minaccia più grande per Bertrand Chanboor poteva essere rappresentata da qualche consorte geloso, ma si trattava di un pericolo alquanto remoto poiché i mariti tendevano a ottenere favori da uomini politici molto potenti grazie anche alle tresche che le mogli avevano con quest'ultimi. Obiettare non era molto saggio. Una volta che Bertrand fosse diventato sovrano la possibilità che un sentimento ferito spingesse un uomo a qualche gesto sconsiderato avrebbe smesso di essere una preoccupazione. Era un grande onore per una donna giacere con il sovrano, si trattava di un'esperienza quasi mistica. In molti credevano che tali accoppiamenti fossero benedetti dal Creatore. Ogni marito avrebbe spinto volentieri la moglie nel letto del sovrano, se la donna avesse ricevuto offerte in quel senso. Il prestigio di tale privilegio oltre alla sacralità dell'atto dava origine ad alcuni effetti collaterali che permettevano al marito di diventare il principale beneficiario di quell'unione. Nel caso in cui l'oggetto della sacra attenzione del sovrano era troppo giovane per aver marito, allora i benefici ricadevano sui genitori. Dalton rilesse il messaggio precedente. Erano ormai giorni che nessuno vedeva in circolazione la moglie del sovrano. Non si era fatta vedere neanche alla visita a un orfanotrofio. Forse era lei a essere malata. O, forse, vegliava il marito giorno e notte. Attendere la morte del sovrano era come camminare su una corda. L'at- tesa imperlava la fronte di sudore e accelerava le pulsazioni. Era anche qualcosa di delizioso, più che altro perché la morte del sovrano era uno dei pochissimi eventi che Dalton non era in grado di controllare. Quell'uomo era troppo sorvegliato per rischiare di aiutarlo a passare nell'aldilà. In quel momento sarebbe stato un rischio ancora più inutile perché la vita del monarca era comunque appesa a un filo. Bastava aspettare continuando però a fare in modo che gli eventi andassero secondo i suoi disegni. Dovevano essere pronti a cogliere l'opportunità nel momento stesso in cui si fosse presentata. Dalton passò al messaggio successivo, ma non si trattava di niente d'importante. Un uomo si era lamentato di una donna che, tramite un incantesimo, gli aveva fatto venire la gotta. L'uomo aveva chiesto pubblicamente l'aiuto di Hildemara Chanboor. Tutti sapevano che si trattava di una donna buona e pura e lui voleva avere un rapporto sessuale con la moglie del ministro al fine di scacciare il maleficio. Nella mente di Dalton si formò una breve immagine dell'atto e sulle labbra gli apparve un sorrisetto divertito. Oltre ad avere dei pessimi gusti in fatto di donne, era ovvio che quell'uomo fosse completamente pazzo. Dalton scrisse il nome dell'individuo su un foglio che avrebbe fatto consegnare alle guardie dopodiché sospirò: quelle insulsaggini gli facevano perdere solo tempo. Bussarono di nuovo. «Sì?» La testa di Rowley fece nuovamente capolino oltre la porta. «Mastro Campbell ho riferito le vostre istruzioni a Inger, ma lui dice che non si tratta di una questione legata alle cucine.» Il messaggero ridusse la voce a un sussurro. «Dice che si tratta di un problema con il palazzo e vuole parlarne con voi, ma se non lo riceverete si rivolgerà ai direttori.» Dalton aprì un cassetto, vi infilò i messaggi e lo richiuse, girò alcuni rapporti in modo che non potessero essere neanche sbirciati e si alzò in piedi. «Fallo entrare.» Inger, un Ander muscoloso che doveva avere una decina d'anni in più di Dalton entrò salutando con un breve cenno del capo. «Vi ringrazio di avermi ricevuto, mastro Campbell.» «Ci mancherebbe. Vi prego, entrate.» Inger si asciugò le mani e salutò nuovamente con un cenno della testa. Dalton rimase stupito dal fatto che l'uomo fosse così pulito, era qualcosa che non si aspettava da un macellaio. Sembrava più un mercante. Suppose che Inger ormai si occupasse dei conti e dell'organizzazione lasciando agli altri il compito di preparare la carne. L'aiutante del ministro fece cenno con la mano di accomodarsi. «Sedetevi, mastro Inger, vi prego.» Lo sguardo del macellaio vagava rapido per la stanza e poco ci mancò che commentasse il lusso con un fischio. Devo ricordarmi che è un piccolo mercante, pensò Dalton. «Grazie, mastro Campbell.» L'omone prese una sedia e l'avvicinò alla scrivania. «Vi prego di chiamarmi Inger e basta. Tutti mi chiamano così.» Accennò un sorriso. «C'era solo una persona che mi chiamava mastro Inger ed era il mio vecchio maestro, ma di solito lo faceva prima di darmi le bacchettate sulle dita, quando non stavo attendo durante le lezioni di lettura. Non mi hanno mai bacchettato le mani durante le lezioni di matematica perché mi piaceva e quello è stato un bene perché i numeri mi aiutano moltissimo con i miei affari.» «Lo capisco benissimo» disse Dalton. Inger lanciò una rapida occhiata alle bandiere e alle lance e continuò: «Non posso certo lamentarmi degli affari. Il palazzo del ministro è il cliente più importante. I numeri sono necessari per gli affari e bisogna conoscerli bene. Ho un certo numero di persone che lavorano per me e ho insegnato loro a contare in modo che non si facciano fregare durante le consegne.» «Posso dire che il palazzo è contento dei vostri servizi, ve l'assicuro. I banchetti non sarebbero un successo senza il vostro indispensabile aiuto. Voi prendete a cuore il lavoro e questo è dimostrato dal fatto che la carne e la selvaggina che fornite sono le migliori sul mercato.» Il macellaio sorrise come se fosse stato baciato da una bella ragazza durante la fiera. «Grazie, mastro Campbell. È molto gentile da parte vostra. Avete ragione quando dite che prendo a cuore il mio lavoro. La maggior parte della gente non è gentile come voi nel notarlo. Siete veramente il brav'uomo che tutti dicono.» «Sono solo un umile servitore della mia gente» si schernì Dalton, sorridendo con fare piacevole. «C'è qualcosa che posso fare per voi, Inger? Qualcosa che possa rendere il vostro lavoro con il palazzo più semplice?» Inger avvicinò ulteriormente la sedia, posò un gomito sulla scrivania e si sporse in avanti. Le braccia erano grosse come un barilotto di rum e il comportamento timido sembrò sparire nel momento stesso in cui aggrottò la fronte. «Il fatto è, mastro Campbell, che io non accetto frottole dalle persone che lavorano per me. Passo il mio tempo a insegnare loro come tagliare e preparare la carne, a contare e così via. Non mi circondo di persone che non prendono a cuore il loro lavoro. Io ripeto in continuazione che uno dei pilastri fondamentali per una buona attività commerciale è il fatto che il cliente debba essere sempre soddisfatto. Quelli che lavorano per me e non si adeguano ai miei modi o vedono il dorso della mia mano o la porta. Alcuni dicono che sono troppo severo, ma sono fatto così. Sono troppo vecchio per cambiare.» «Mi sembra che abbiate un'ottima attitudine nei confronti del lavoro.» «D'altro canto, però» continuò il macellaio «io ho molta stima delle persone che lavorano per me e faccio di tutto per farle stare bene. So come certi commercianti trattano i lavoranti, specialmente se Haken, ma questo non è il mio caso. La gente mi tratta bene e io tratto bene loro. Mi sembra giusto ed equo. «Così facendo si finisce per diventare amici con le persone che lavorano per te. Capite cosa intendo? Nel corso degli anni per me sono diventati quasi come una famiglia. Ti curi di loro, ma ti viene naturale se sei... un minimo umano.» «Capisco bene cosa...» «Alcuni dei lavoranti sono i figli di persone che lavoravano per me e che mi hanno aiutato a diventare un macellaio rispettabile.» Inger si inclinò ulteriormente. «Ho avuto due figli, due bravi ragazzi, ma alle volte mi capita di pensare che mi preoccupo più dei miei lavoranti che di loro. «Una delle persone che lavorano per me è una bella ragazza haken di nome Beata.» I campanelli d'allarme suonarono nella testa di Dalton. Ricordava bene la ragazzina haken che Bertrand e Stein avevano convocato nelle stanze dei piani superiori per divertirsi. «Beata... Beata... è un nome che sinceramente non mi ricorda nulla, Inger.» «Mi sembra più che logico, visto che lei si occupa sempre delle cucine. Oltre a questo fa le consegne per me. Mi fido di lei come se fosse una figlia. È in gamba con i numeri e ricorda tutto quello che le dico. Questo è importante perché gli Haken non possono leggere e io non posso darle una lista. È molto utile che abbiano buona memoria. Non ho mai dovuto caricarle il carro, mi basta dirle quello che serve e Beata sistema tutto. Non ho mai dovuto preoccuparmi.» «Capisco...» «Improvvisamente non ha più voluto consegnare a palazzo.» Dalton osservò i pugni dell'uomo che si stringevano. «Oggi dovevamo fare una consegna importante per il banchetto e io le ho detto di andare ad attaccare Brownie al carro perché volevo che consegnasse la carne a palazzo. «E lei si è rifiutata.» Il pugno di Inger si abbatté sulla scrivania. «Mi ha detto di no!» Il macellaio si raddrizzò leggermente e sistemò la candela che era caduta dal candelabro. «Non mi va per niente che i lavoranti mi dicano di no, ma Beata, be'... è come una figlia per me, così anziché darle uno schiaffo ho pensato bene di parlare. Ho pensato che forse si trattava di qualche ragazzo che non le piaceva più e non voleva vedere o qualcosa di simile. Alle volte non riesco a capire cosa passa per la testa di una ragazza da renderla tanto lunatica. «Mi sono seduto e le ho chiesto come mai non voleva consegnare a palazzo. Lei mi ha risposto che non voleva e basta. Io le ho detto che non era una scusa sufficiente e le mi ha detto che avrebbe fatto una consegna doppia da qualsiasi altra parte e che avrebbe farcito la selvaggina per tutta la notte come punizione, ma non sarebbe venuta a palazzo. «Le ho chiesto se il motivo del suo rifiuto era dovuto al fatto che qualcuno le aveva fatto del male e lei si è rifiutata di rispondere. Si è rifiutata! Mi ha detto che non avrebbe più fatto consegne a palazzo e basta. «Le ho risposto che dovevo capire il motivo del suo rifiuto, altrimenti, volente o nolente, avrebbe consegnato a palazzo. «A quel punto si è messa a piangere.» Inger strinse nuovamente il pugno. «Lasciate che vi spieghi una cosa: conosco Beata da quando sì succhiava il pollice e non credo di averla vista piangere una sola volta nel corso degli ultimi dodici anni. L'ho vista tagliarsi mentre macellava e non piangere neanche quando le ricucivo la ferita. Smorfie di dolore, quelle sì, ma neanche una lacrima. Pianse solo quando morì la madre. «Fino a oggi non ha mai fatto storie per venire a palazzo. «Allora ho deciso di consegnare io stesso. Ascoltate, mastro Campbell, non so cosa sia successo qua, ma posso dirvi che qualunque cosa sia stata ha fatto piangere Beata, quindi non è successo niente di buono. Le è sempre piaciuto venire a palazzo. Ha sempre avuto un'altissima opinione del ministro ed era orgogliosa di venire a consegnare qua. Ora non più. Cono- scendo Beata, direi che qualcuno si è divertito con lei, malgrado lei non lo volesse per niente. «Come vi ho già detto penso a quella ragazzina come a una figlia.» «È Haken?» domandò Dalton senza distogliere lo sguardo da Inger. «Sì» rispose il macellaio sostenendo lo sguardo dell'uomo di fronte a lui. «Ora, mastro Campbell, voglio che mi sia consegnato il giovane che ha fatto del male a Beata. Ho intenzione di appenderlo a un gancio per la carne. Dal modo in cui Beata stava piangendo, ho avuto la netta sensazione che non fosse stato solo uno. Forse si è trattato di una banda di ragazzi. «So che siete un uomo molto impegnato e che dovete risolvere il caso di lady Winthrop, possa la sua anima riposare in pace, ma apprezzerei molto se poteste occuparvi della faccenda. Non intendo dimenticarla.» Dalton si inclinò in avanti e intrecciò le dita sul tavolo. «Vi posso assicurare, Inger, che non posso tollerare che accadano questi fatti a palazzo. Si tratta di qualcosa di veramente serio. L'ufficio del ministro della Cultura esiste per servire la gente di Anderith. Sarebbe la cosa peggiore al mondo se uno o più uomini avessero fatto del male a una ragazza.» «Non, 'se'» lo corresse Inger «Hanno.» «Certo, certo. Vi assicuro che mi occuperò personalmente della questione e troverò i colpevoli. Non posso tollerare che un Haken o un Ander corra dei pericoli a palazzo. Questo deve essere il posto più sicuro al mondo. Non permetterò a nessuno, Haken o Ander che sia, di sfuggire alla giustizia. «Tuttavia, dovete capire, che fare luce e trovare i responsabili dell'omicidio di una donna importante è la priorità del momento. Sono il responsabile della sicurezza di tutti. La città è in subbuglio e si aspetta che un atto così raccapricciante venga punito.» Inger chinò il capo. «Capisco molto bene. Accetto la vostra personale assicurazione che troverete il nome del giovane o dei giovani responsabili di quello che è successo a Beata.» L'uomo si alzò facendo raschiare la sedia sul pavimento. «O dei non più tanto giovani.» Dalton si alzò a sua volta. «Giovane, vecchio, non importa. Farò tutto il necessario per trovare il colpevole. Avete la mia parola.» Il macellaio strinse la mano di Dalton con una presa degna di una morsa. «Sono contento di sapere di essermi rivolto all'uomo giusto, mastro Campbell.» «Avete fatto benissimo a venire da me.» «Sì?» disse Dalton sentendo qualcuno che bussava alla porta. Sapeva chi stava per entrare e continuò a scrivere le istruzioni per le guardie in città e per quelle che erano giunte di rinforzo alle guardie del palazzo. Una sorta di esercito privato formato da soli Ander. Non potevano fidarsi di nessun altro per sorvegliare un luogo così importante. «Mastro Campbell?» «Entra, Fitch» lo invitò, alzando lo sguardo. Il ragazzino raggiunse la scrivania camminando impettito. Sembrava che fosse diventato più alto da quando indossava l'uniforme e si era occupato di Claudine. Dalton era contento del modo in cui Fitch e il suo muscoloso amico avevano seguito le sue istruzioni. Alcuni degli altri appartenenti al gruppo che quella sera aveva preso parte all'azione gli avevano fornito un rapporto confidenziale e dettagliato. Dalton posò la penna. «Ricordi la prima volta che ci siamo parlati, Fitch?» La domanda lo colse alla sprovvista. «Sì... sì, signore» balbettò. «Lo ricordo.» «Il piano superiore, vicino al pianerottolo...» «Sì, mastro Campbell. Vi sono molto grato per il modo in cui mi avete trattato.» «Per il fatto che non ho detto di averti trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, vero?» «Sì, signore.» Si leccò le labbra. «È stato molto gentile da parte vostra.» Dalton si grattò la testa con un dito. «Se ben ricordo mi dicesti che il ministro era un brav'uomo e che non volevi che gli accadesse nulla o che qualcuno parlasse male di lui, giusto?» «Esatto, signore.» «Hai dimostrato di saper tenere fede a quanto dici... hai dimostrato di fare tutto ciò che è necessario per proteggerlo.» Dalton accennò un sorriso. «Ricordi cos'altro ti dissi quel giorno?» Fitch si schiarì la gola. «Riguardo il fatto che un giorno avrei potuto avere un nome da signore?» «Proprio quello. Fino a ora hai risposto molto bene, anzi benissimo, alle mie aspettative. Bene, ricordi cos'altro ancora successe quel giorno sul pianerottolo?» Dalton non aveva dubbi che il ragazzo ricordasse tutto, non erano cose che si dimenticavano facilmente. Fitch cercò un modo di dire tutto senza dover scendere troppo nei particolari. «Be', signore... c'era...» «Ti ricordi della ragazza che ti ha dato un ceffone, Fitch?» Il ragazzino si schiarì la gola. «Sì, signore, la ricordo.» «La conosci?» «Si chiama Beata e lavora per Inger il macellaio. Prendiamo parte alla stessa assemblea di penitenza.» «E sicuramente avrai visto quello che stava facendo lassù, vero? Sei stato visto da Stein e dal ministro. Devi aver visto che lei era con loro, giusto?» «Non è stata colpa del ministro. Lei stava ricevendo semplicemente quello che aveva chiesto. Niente di più. gli faceva gli occhi dolci e non smetteva mai di dire che era un uomo affascinante e fantastico. Ogni volta che menzionava il suo nome sospirava. Conoscendola, sarà stata lei a chiedere, signore.» Dalton sorrise. «Ti piace, vero, Fitch?» «Be', signore, non so. È difficile piacere a una persona che ti odia. Una di quelle che ti umilia di volta in volta.» Dalton vedeva chiaramente quali erano i veri sentimenti che il ragazzo provava nei confronti della giovane, anche se negava. «Vedi, Fitch, il fatto è che quella ragazza potrebbe causare qualche problema. Alle volte capita. Un giorno lo imparerai anche tu. Stai attento a fare quello che ti chiedono, perché può arrivare il momento in cui faranno di tutto per sembrare che non ti abbiano mai chiesto nulla.» Il ragazzo era stupito. «Non lo sapevo, signore. Grazie per il consiglio.» «Come hai giustamente messo in risalto, la ragazza ha avuto più di quanto avesse chiesto. Non è stata presa con la forza. Ora, prova pensare che dietro il suo atto ci fosse dell'altro e che ora voglia gridare allo stupro, né più e né meno di come ha fatto Claudine Winthrop. Alle volte le donne si comportano in questo modo con gli uomini importanti perché vogliono qualcosa da loro. Sono avide.» «Mastro Campbell, sono sicuro che lei non...» «Poco fa ho parlato con Inger.» Fitch impallidì. «Ha detto tutto a Inger?» «No, gli ha detto solo che non voleva più consegnare a palazzo, ma Inger è un uomo intelligente, ha capito il motivo e ora invoca giustizia. Se costringesse la ragazza, Beata, a muovere delle accuse, il ministro sarebbe nuovamente fatto oggetto di accuse a dir poco ingiuste.» Dalton si alzò in piedi. «Tu conosci la ragazza. Potrebbe essere necessa- rio che ti comporti con lei come hai fatto con Claudine Winthrop. Ti conosce e ti lascerebbe avvicinare.» Fitch impallidì del tutto. «Mastro Campbell... signore, io...» «Tu cosa, Fitch? Non hai più voglia di avere un nome da signore? Non ti va più di far parte dei messaggeri? Non ti piace più l'uniforme che ti ho dato?» «No, signore, non si tratta di questo.» «E di cosa, Fitch?» «Niente, signore. Io credo... come ho detto prima, che abbia ottenuto solo quello che cercava. So che non sarebbe giusto che accusasse il ministro di un gesto sbagliato quando non c'è stato nulla di sbagliato.» «Neanche da parte di Claudine Winthrop era giusto sollevare quelle accuse.» Fitch deglutì. «No, signore, non era giusto.» Dalton tornò a sedersi. «Sono contento di vedere che ci capiamo a vicenda. Ora so che posso contare su di te se dovesse diventare un problema, ma speriamo che non sia necessario. «Chi lo sa, forse capirà da sola che è meglio non muovere accuse tanto odiose. Forse qualcuno riuscirà metterle un po' di sale in zucca prima che diventi necessario proteggere nuovamente il ministro da accuse non vere. Forse potrebbe decidere che è giunto il momento di cambiare lavoro e andare in una fattoria.» Dalton succhiò pigramente la parte superiore della penna guardando Fitch che chiudeva la porta dietro di sé. Pensò che sarebbe stato interessante vedere come se la sarebbe cavata il ragazzo. Se non si comportava come doveva avrebbe affidato il compito a Rowley. Ma, se Fitch se ne fosse occupato, tutte le tessere del mosaico avrebbero combaciato alla perfezione dando vita a un'opera d'arte. 40 Gli stivali di mastro Spink battevano sulle tavole del pavimento mentre camminava con passo deciso tra le panche con le mani serrate dietro la schiena. I presenti alla riunione singhiozzavano ancora per il racconto del fato subito dalle donne ander e per quello che avevano dovuto subire dall'esercito haken. Fitch si era fatto un'idea del genere di lezione che sarebbe stato, ma la realtà dei fatti era stata così cruda da superare ogni sua immaginazione. Sentiva che il volto gli era diventato rosso come i capelli. Le descrizioni di mastro Spink aveva riempito molti dei buchi che Fitch credeva di avere in fatto di sesso. Non era stato piacevole venire a conoscenza in quel modo di un atto che avrebbe sempre voluto compiere. Dopo il racconto di quanto era successo alle donne ander, l'oggetto del desiderio si era trasformato in qualcosa di ripugnante. Fu tutto ancora peggio perché sedeva in mezzo a due donne. Sapendo che l'argomento della lezione sarebbe stato alquanto scabroso le donne e gli uomini avevano cercato di sedersi separati. A mastro Spink non importava mai molto come si disponevano nella stanza. Quella sera, però, l'insegnante li aveva fatti sedere secondo uno schema ben preciso: uomo, donna, uomo, donna. Conosceva tutti quelli che prendevano parte alle riunioni, sapeva dove vivevano e che lavoro facevano. Li aveva fatti sedere mischiati in modo che si trovassero a fianco di persone che erano virtualmente degli sconosciuti. L'aveva fatto apposta, per rendere ancora più imbarazzante la storia che stava per raccontare. Descrisse l'accaduto con dovizia di particolari e per quasi tutto il tempo nella stanza echeggiò il suono dei singhiozzi. I presenti erano tanto sconvolti da quanto avevano sentito da mettersi a piangere ma, al tempo stesso, erano anche troppo imbarazzati per richiamare l'attenzione su loro stessi. Fitch, per esempio, sapeva qualcosa sull'argomento per aver ascoltato i racconti degli altri sguatteri e dei messaggeri, ma non aveva mai saputo che potessero accadere cose simili tra un uomo e una donna. Certo, stavano parlando dei signori haken, che non erano davvero delle persone gentili e educate. Essi volevano solo fare del male alle donne ander, umiliarle perché gli haken erano per natura esseri odiosi. «So già cosa vi passa per la testa» continuò mastro Spink. «Pensate: 'È successo tantissimo tempo fa. Quelli erano i signori haken e adesso noi siamo migliori di loro.'» Mastro Spink si fermò di fronte a Fitch. «Non è vero che pensavi a queste cose, vestito con la tua bella uniforme, vero, Fitch? Pensi di essere migliore dei tuoi antenati? Credi che gli Haken siano migliorati?» «No, signore» rispose Fitch. «Non siamo cambiati per niente.» Mastro Spink emise una sorta di grugnito e proseguì. «C'è qualcuno tra di voi che pensa che gli Haken dei nostri giorni abbiano smesso di comportarsi in quella maniera odiosa? Qualcuno è convinto di essere migliore rispetto i suoi antenati?» Fitch lanciò una rapida occhiata a destra e a sinistra e vide che circa la metà dei presenti alzò timidamente la mano. «Guarda, guarda!» esplose Spink, furibondo. «Allora, pensate che gli Haken dei nostri giorni siano migliori? Voi, banda di arroganti, pensate di essere migliori?» Le mani si abbassarono rapidamente. «Non siete migliorati! Avete conservato il vostro modo di fare odioso!» Riprese a camminare tra le panche. «Non siete migliorati» ripeté più calmo. «Siete sempre gli stessi.» Fitch non ricordava di aver mai sentito un tono di voce tanto carico di sconfitta. Sembrava che l'insegnante stesse per mettersi a piangere. «Claudine Winthrop era una donna buona e rispettata. Quando era ancora viva aveva lavorato per gli Ander e per gli Haken. Una delle sue ultime opere fu quella di aiutare ad abolire una legge ormai obsoleta e così facendo ha permesso a un mucchio di gente, Haken soprattutto, di trovare un lavoro. «Ma prima di morire ha scoperto che voi non siete diversi dai vostri antenati. «Claudine ha qualcosa in comune con le donne di cui vi ho appena parlato. Hanno condiviso lo stesso fato.» Fitch aggrottò la fronte. Sapeva bene che Claudine non aveva condiviso lo stesso fato perché era morta molto più in fretta. «Anche Claudine Winthrop, proprio come quelle donne, è stata stuprata da una banda di Haken.» Fitch alzò la testa. La fronte era sempre più corrugata, ma la rilassò nel momento stesso in cui se ne rese conto e cambiò l'espressione del viso. Fortunatamente, mastro Spink era dall'altro lato della stanza e si stava concentrando sui ragazzi seduti in quel punto, quindi non aveva visto l'espressione stupita di Fitch. «Possiamo solo immaginare per quante ore Claudine Winthrop abbia dovuto subire le risate e lo scherno degli uomini che la stupravano. A giudicare dal modo in cui il terreno è stato calpestato si può pensare che dovevano esserci tra le trenta e le quaranta persone.» La classe intera sussultò inorridita. Anche Fitch, sussultò, ma non certo per l'orrore. Non erano stati neanche la metà. Avrebbe voluto alzarsi e dire che si sbagliavano, che non avevano abusato di Claudine e che meritava di morire perché voleva danneggiare il buon nome del ministro, un uomo che molto probabilmente sarebbe diventato sovrano. Voleva dire che aveva fatto il suo dovere e che aveva compiuto un atto per il bene di Anderith, invece abbassò il capo. «Ma non si è trattato di un'aggressione compiuta da trenta o quaranta uomini» disse mastro Spink comprendendo tutti i presenti con un dito. «Siete stati tutti voi. Siete stati tutti voi Haken a stuprarla e ucciderla.» L'insegnante diede le spalle alla classe. «Adesso uscite. Ho già sopportato fin troppo i vostri sguardi colmi di odio, per oggi. Non posso sopportare oltre i vostri crimini. Andate. Ci vedremo alla prossima riunione e nel frattempo pensate a un modo per migliorare.» Fitch scattò verso la porta, non voleva lasciarsi scappare Beata. La perse di vista nel momento stesso in cui gli altri si accalcavano all'uscita. Fitch si fece strada quasi a forza. Una volta uscito, il ragazzo si spostò di lato controllando la strada, ma non la vide. Attese nell'ombra osservando tutte le persone che uscivano. Le persone si spingevano per farsi largo e Beata uscì abbastanza vicino a lui. Non indossava più il vestito azzurro che a lui piaceva tanto, lo stesso abito che le aveva visto indossare il giorno in cui era andata dal ministro. Il vestito che aveva in quel momento era color grano con un corpetto marrone scuro sopra una gonna lunga. «Ti devo parlare, Beata.» «Fitch?» La ragazza posò le mani sui fianchi. «Sei tu?» «Sì» rispose con un sussurro. La ragazza si girò per andare via, ma lui la prese per un polso e la tirò con violenza nell'ombra. Le ultime persone uscirono dalla sala e si allontanarono frettolosamente ansiose di tornare a casa senza prestare la minima attenzione ai due giovani. Beata cercò di divincolarsi, ma Fitch aumentò la stretta e la portò al riparo tra gli alberi e i cespugli che crescevano a fianco della sala riunioni. «Lasciami! Lasciami andare o urlo.» «Ti devo parlare» gli sussurrò in tono concitato. «Seguimi!» La ragazza oppose resistenza, ma lui riuscì a trascinarla in un punto dove nessuno li avrebbe visti o sentiti, a patto di tener bassa la voce. La luce della luna penetrava da un varco tra le foglie. «Non permetterti di mettermi addosso le tue schifose mani da Haken.» Le lasciò andare il polso e lei cercò di dargli uno schiaffo, ma Fitch, che si aspettava una reazione simile, le bloccò nuovamente il polso e Beata lo colpì duramente con la mano libera. Fitch restituì immediatamente il ceffone. Non l'aveva colpita duramente, ma lei rimase di sasso. Un Haken che colpiva qualcuno commetteva un crimine, ma lui non aveva avuto intenzione di farle del male, voleva solo che gli prestasse attenzione. «Mi devi ascoltare» ringhiò Fitch. «Sei nei guai.» La luce della luna gli permise di scorgere l'espressione adirata di Beata. «Sei tu quello che si è cacciato nei guai. Dirò a Inger che mi hai trascinata tra i cespugli, mi hai dato una sberla, poi...» «Hai già detto troppe cose a Inger!» Beata si zittì per qualche istante. «Non so di cosa stai parlando. Me ne vado. Non rimarrò qua a farmi colpire di nuovo, visto che hai dimostrato che con le donne ti comporti come tutti gli altri Haken.» «Tu mi ascolterai, altrimenti ti sbatto per terra e mi siedo sopra.» «Provaci e ti spello l'anguilletta che hai tra le gambe.» Fitch premette le labbra con forza cercando di ignorare l'insulto. «Per favore, Beata, vuoi ascoltarmi? Devo dirti delle cose importantissime.» «Importanti per te, forse, ma non per me! Non voglio sentirti dire nulla. So come sei fatto. So che ti piace...» «Vuoi che alle persone che lavorano per Inger sia fatto del male? Vuoi che venga fatto del male anche a Inger? Tutto questo non mi riguarda. Non so come mai hai un'opinione così bassa di me, ma non è questo il momento adatto per parlarne. Tutto questo riguarda te.» Beata incrociò le braccia sbuffando e rifletté per qualche secondo. Fitch, nel frattempo sbirciò dal varco nelle foglie per essere sicuro che la strada fosse deserta. Beata fece passare un ciocca di capelli dietro un orecchio. «Parla, basta che non cominci a vantarti della tua bella uniforme come facevano i signori haken. Ho del lavoro da sbrigare.» Fitch si bagnò le labbra. «Oggi Inger è venuto a palazzo con la carne e ha detto che tu non vuoi più consegnare...» «Come fai a saperlo?» «Sento delle cose.» «E come...» «Mi ascolti? Sei in un mare di guai e corri un grave pericolo.» La ragazza piantò i pungi sui fianchi, ma non disse nulla. «Inger» proseguì Fitch «ha capito che ti è successo qualcosa a palazzo ed è venuto a chiedere che siano presi dei provvedimenti. Vuole sapere il nome della persona che ti ha fatto del male.» La ragazza lo squadrò dalla testa ai piedi. «Come fai a saperlo?» «Ti ho già detto che sento delle cose.» «Io non ho mai detto niente a Inger.» «Non importa. In qualche modo lo ha capito da solo o qualcosa di simile... che ne so... ma la cosa importante è che tiene a te ed è furibondo per quello che ti è stato fatto e vuole giustizia. Non mollerà l'osso finché non sarà soddisfatto e rischia di creare un mucchio di problemi.» Beata sospirò irritata. «Non avrei mai dovuto rifiutare, sarei dovuta andare e basta... non importa quello che mi sarebbe successo di nuovo.» «Non ti biasimo, Beata. Io al posto tuo avrei fatto lo stesso.» La ragazza gli lanciò un'occhiata sospettosa. «Voglio sapere chi ti ha detto queste cose.» «Adesso sono un messaggero e mi capita spesso di stare a fianco di persone molto importanti che parlano di quello che succede a palazzo. Sento quello che dicono, ecco tutto e mi è capitato di sentire parlare di questo argomento. Il problema è questo: se dirai quello che è successo, quella gente penserà che vuoi danneggiare il ministro.» «Dai, Fitch, piantala. Sono solo una ragazza haken. Come potrei mai danneggiare il ministro?» «Tu stessa mi hai detto che tutti sono convinti che sarà eletto sovrano. Hai mai sentito qualcuno dire qualcosa contro il sovrano? Bene, il ministro sta per essere eletto sovrano. «Come pensi che la prenderebbe la gente se tu cominciassi ad andare in giro a raccontare quanto è successo? Pensi che diranno che sei una brava ragazza che dice la verità, mentre il ministro è un bugiardo perché nega torto? Gli Ander non mentono, ecco quello che pensano. Se dovessi dire qualcosa contro il ministro saresti marchiata come bugiarda. Peggio ancora, una bugiarda che tenta di danneggiare il ministro della Cultura.» La ragazza meditò su quello che aveva appena sentito con l'aria di chi sembrava trovarsi di fronte a un problema privo di soluzione. «Be'... non lo farò, ma se dovessi dire qualcosa, il ministro ammetterebbe che ho detto la verità... perché lo è. Gli Ander non mentono. Solo gli Haken possiedono una natura corrotta. Se dovessi dire qualcosa, lui ammetterebbe che ho detto la verità.» Fitch sospirò frustrato. Sapeva bene che gli Ander erano migliori di loro e che gli Haken erano marchiati da una natura malvagia, ma stava cominciando a capire che non tutti gli Ander erano puri e perfetti. «Ascolta, Beata, so benissimo quello che ti hanno insegnato, ma non è sempre così. Alcune delle cose che ci insegnano non hanno senso. Non è tutto vero.» «Invece, lo è» rispose in tono piatto la ragazza. «Puoi anche pensare che lo sia, ma non lo è.» «Davvero? Secondo me non riesci ad ammettere con te stesso quanto possono essere disgustosi gli Haken. Vorresti solo non avere un animo tanto depravato. Vorresti che non fosse vero quello che è successo a quelle povere donne nel passato e che si è ripetuto con Claudine Winthrop solo qualche giorno fa.» Fitch spostò una ciocca di capelli dalla fronte. «Rifletti bene, Beata. Com'è possibile che mastro Spink sapesse per filo e per segno tutto quello che era stato fatto a ognuna di quelle donne?» «Lo ha appreso dai libri, asino. Nel caso te ne fossi dimenticato, gli Ander sanno leggere. Il palazzo è pieno di libri che...» «E tu pensi che gli uomini che stuprarono quelle donne di tanto in tanto si fermassero per scrivere quello che stavano facendo in modo che tutti potessero saperlo? Pensi abbiano chiesto alle donne come si chiamavano prima di stuprarle?» «Esatto, è proprio quello che hanno fatto. Proprio come tutti gli Haken maschi a loro è piaciuto fare quelle cose e si sono divertiti a scriverle. Lo sanno tutti. È scritto nei libri.» «E di Claudine Winthrop? Mi dici su quale libro è scritto che è stata stuprata prima di essere uccisa?» «È andata così. Non ci sono dubbi a riguardo. Sono stati gli Haken. Gli uomini haken fanno quelle cose. Tu dovresti saperlo bene, piccolo...» «Claudine Winthrop voleva accusare il ministro. Gli ronzava sempre intorno facendogli capire che lo trovava interessante. Dopo che lui si è accorto dell'interesse e lei ha accettato di andare a letto con lui di sua spontanea volontà, ha cominciato a dire che il ministro l'aveva costretta contro la sua volontà. Proprio come è successo con te. Ha cominciato a spargere in giro queste bugie infami e poco tempo dopo è stata trovata morta.» Beata non disse nulla. Fitch sapeva che Claudine Winthrop aveva cercato di creare problemi al ministro perché glielo aveva assicurato mastro Campbell. Con Beata, però era tutto diverso. La ragazza non si era concessa di sua spontanea volontà e comunque lei non stava cercando di causare problemi a nessuno. Il frinire dei grilli echeggiava nell'aria. La ragazza lo fissava e Fitch si guardò nuovamente intorno per essere sicuro che nessuno si stesse avvici- nando ai cespugli dietro i quali stavano parlando. «Inger non sa nulla e non ho intenzione di dirglielo» lo rassicurò Beata, dopo qualche secondo. «Troppo tardi. È già venuto a palazzo dicendo che sei stata violentata là e tutti sono in subbuglio. Inger è convinto che siano stati degli Haken e vuole i loro nomi. Lui è un Ander e dice che le cose sono andate in quel modo. Se non dirai nulla è molto probabile che ti arrestino finché non cambi idea. Anche se non lo facessero, il minimo che ti può capitare è di perdere il lavoro e saresti una reietta. «Mi hai detto che sogni di poter entrare nell'esercito. I criminali non possono far parte dell'esercito. Il tuo sogno sarebbe impossibile da realizzare e finiresti con il mendicare.» «Troverò un lavoro, sono una che lavora sodo, io.» «Sei una Haken. Il fatto stesso di rifiutare di collaborare con il magistrato ti bolla come criminale. Nessuno ti assumerebbe e andresti a fare la prostituta.» «No!» «Sì. Dovrai solo avere abbastanza fame e freddo, dopodiché comincerai a venderti agli uomini. Ai vecchi. Mastro Campbell mi ha detto che le prostitute prendono delle malattie terribili e muoiono. Morirai anche tu per essere stata con i vecchi...» «No, Fitch! No.» «Come pensi di guadagnarti da vivere, allora? Come pensi di sopravvivere quando verrai bollata come una Haken che si rifiuta di rispondere al magistrato? «E pensi che ti crederebbero se dicessi loro la verità? Direbbero che sei una bugiarda e anche in questo caso passeresti per una criminale che ha mentito a un pubblico ufficiale ander. Anche quello è un crimine e lo sai benissimo...» La ragazza lo fissò negli occhi per un attimo. «Ma non sono menzogne le mie. Tu potresti confermare tutto. «Mi avevi detto che volevi diventare il Cercatore di Verità, ricordi? È il tuo sogno. Il mio è quello di entrare nell'esercito. Se vuoi diventare Cercatore di Verità allora devi difendere la verità.» «Vedi? Poco fa hai detto che non avresti mai detto quello che è accaduto e adesso parli come se volessi spifferare tutto.» «Ma tu potresti confermare che sto dicendo il vero.» «Sono un Haken. Pensi che crederebbero alla parola di un Haken contro quella del ministro della Cultura in persona? Sei impazzita? «Beata, nessuno ha creduto a Claudine Winthrop e lei era una Ander e molto in vista, tra l'altro. Ha mosso delle accuse che potevano danneggiare il ministro e adesso è morta.» «Ma, se la verità...» «Qual è la verità, Beata? Che tu mi dicevi sempre che il ministro era una brava persona? Che continuavi a ripetere quanto fosse affascinante? Che alzavi gli occhi alla sua finestra sospirando e chiamandolo Bertrand? Che ti brillavano gli occhi quando fosti invitata da lui? Che Dalton Campbell doveva tenerti per un gomito per impedirti di volare all'idea di incontrare il ministro in modo che lui potesse dirti quanto è buona la carne di Inger? «Lo sappiamo solo io, tu e lui... Forse dopo hai cominciato a fare delle richieste. Da quello che ho sentito dire capita che cominciate a fare delle richieste. Prima agiscono di spontanea volontà poi fanno delle accuse per ottenere dei vantaggi. È così che la pensa la gente. «Per quello che ne so, forse eri così emozionata di incontrarlo che hai alzato la gonna per fargli vedere che eri disponibile chiedendogli se voleva averti. Non mi hai detto nulla, mi hai dato solo uno schiaffo... forse perché ho visto che ti sei divertita con il ministro, mentre avresti dovuto lavorare. Per quello che ne so, quanto ti ho appena detto potrebbe essere la verità.» Beata aveva gli occhi colmi di lacrime e le tremava il mento. Un attimo dopo crollò sulle ginocchia, nascose il volto tra le mani e cominciò a piangere. Fitch rimase fermo per circa un minuto chiedendosi cosa fosse necessario fare e alla fine si inginocchiò di fronte a lei. Era molto spaventato nel vederla piangere. La conosceva da tempo, non aveva mai sentito raccontare da qualcuno che Beata avesse mai pianto e in quel momento stava singhiozzando come una bambina. Fitch le posò una mano sulla spalla e lei la allontanò. Era ovvio che la ragazza non aveva voglia di essere consolata, quindi Fitch rimase seduto sui talloni, senza dire nulla. Pensò che forse era meglio lasciarla da sola a piangere, poi rifletté che forse era meglio rimanere nel caso lei gli avesse chiesto qualcosa. «Cosa posso fare, Fitch?» gli chiese tra i singhiozzi. «Provo tanta vergogna. Ho solo fatto un gran pasticcio. È stata tutta colpa mia... ho indotto in tentazione un buon Ander con la mia natura haken vile e capricciosa. Non l'ho fatto intenzionalmente, ma è successo. È stata solo colpa mia. «Ma non posso mentire e dire che lo volevo... non è così. Ho cercato di respingerli, ma loro erano così forti. Provo così tanta vergogna. Cosa devo fare?» Fitch deglutì il groppo che sentiva in gola. Non voleva dirle nulla, ma doveva parlarle. Se non l'avesse fatto l'amica rischiava di fare la fine di Claudine Winthrop e potevano chiedere a lui di farlo. A quel punto avrebbe rovinato tutto perché sapeva che non ci sarebbe riuscito e lui, nella migliore delle ipotesi, sarebbe tornato nelle cucine a pulire pentole. Però doveva farlo prima che qualcuno gli ordinasse di far del male a Beata. Fitch le prese la mano e gliela aprì. Prese il fermaglio a spirale e glielo appoggiò sul palmo. Era quello che Beata usava per chiudere il colletto del vestito. Il fermaglio che aveva perso quel giorno. «Secondo me sei in un mare di guai, Beata, e c'è una sola via d'uscita.» 41 Teresa sorrise. «Sì, grazie.» Dalton prese due polpette di carne dal vassoio portato dal paggio haken che si genuflesse, si rialzò e si allontanò con passo leggero. Dalton posò il cibo nel piatto che condivideva con Teresa, mentre lei terminava il coniglio, uno dei suoi piatti preferiti. Dalton era stanco e annoiato da quel banchetto che sembrava interminabile. Doveva occuparsi di lavori molto importanti. Certo, la sua prima responsabilità era quella di badare al ministro, ma quell'obiettivo poteva essere raggiunto molto meglio se poteva operare sotto l'egida del ministero piuttosto che annuire in pubblico e ridere dei capricci del ministro. Bertrand stava agitando un pezzo di cibo mentre raccontava una barzelletta a un gruppo di mercanti facoltosi che si trovavano alla fine del tavolo. A giudicare dalle risate roche e dal modo in cui agitava il cibo, Dalton suppose che si trattasse di una storiella piuttosto spinta. Stein sembrava apprezzarla particolarmente. Appena le risate si spensero, Bertrand si girò verso la moglie e le chiese scusa in maniera graziosa. La donna liquidò il tutto con un cenno della mano aggiungendo che il marito era incorreggibile e i mercanti ridacchiarono divertiti. Teresa toccò il fianco di Dalton con un gomito e gli chiese: «Qual era la barzelletta del ministro? Non sono riuscita a sentirla.» «Dovresti benedire il Creatore per non averti fornito un udito migliore. Era una delle barzellette di Bertrand, non so se hai capito...» «Me la racconti quando siamo a casa?» chiese Teresa, sorridendo. Dalton sorrise a sua volta e disse: «A casa ho intenzione di metterla in pratica.» La moglie si lasciò scappare una risatina gutturale. Dalton prese una delle polpette di carne e la immerse in una salsa di vino e zafferano. Lasciò che la moglie leccasse un po' della salsa dal suo dito e si mise a mangiare. Dalton masticò di gusto e si mise a fissare tre direttori dall'altra parte della sala, sembravano discutere un argomento molto serio. Gesticolavano in maniera evidente con la fronte corrugata e scuotevano la testa. Alle volte sollevavano un dito per sottolineare un punto. Dalton sapeva di cosa stavano parlando. Quasi tutte le discussioni della serata gravitavano intorno a un unico argomento: l'omicidio di Claudine Winthrop. Il ministro, che indossava un giustacuore aderente e senza maniche color porpora sopra un farsetto color grano, posò un braccio sulle spalle di Dalton e gli si avvicinò. Gli sbuffi delle maniche erano macchiati dal vino. «Tutti sono ancora piuttosto sconvolti per l'omicidio di Claudine» disse Bertrand. «E ne hanno tutte le ragioni.» Dalton intinse un cubetto di montone nella gelatina alla menta. «È stata una tragedia terribile.» «Sì. Ci ha fatto comprendere quanto poco abbiamo capito gli ideali di comportamento civile di cui ci vantiamo molto. Ci ha fatto capire quanto lavoro abbiamo ancora da fare in modo che gli Ander e gli Haken possano vivere insieme all'interno di una società pacifica.» «Ci riusciremo, ministro» disse Teresa genuinamente entusiasta, mentre il marito mangiava la carne. «Grazie alla vostra guida.» «Grazie per l'appoggio, mia cara» Bertrand si avvicinò ulteriormente all'orecchio di Dalton e abbassò ancora la voce. «Ho sentito dire che il sovrano potrebbe essere malato.» «Davvero?» disse Dalton, succhiando la gelatina di menta da un dito. «È una cosa seria?» Bertrand scosse la testa fingendosi addolorato. «Non ci sono parole.» «Pregheremo per lui» si intromise Teresa, mentre sceglieva un pezzo di carne pepato. «E per il povero Edwin Winthrop.» Bertrand sorrise. «Teresa siete la donna più dolce e caritatevole che io conosca.» Fissò il petto della donna come se volesse vedere il cuore che batteva attraverso la scollatura dell'abito. «Se mai dovessi ammalarmi non potrei desiderare di più se sapessi che una donna caritatevole come voi sta pregando il Creatore affinché mi aiuti. Non c'è dubbio che anche il Suo cuore si scioglierebbe nel sentire le vostre tenere suppliche.» Teresa si illuminò. Hildemara, che stava rosicchiando una fetta di pera, rivolse una domanda al marito e questi si girò. Stein si unì ai due e cominciò una conversazione. Il trio si aprì solo per far passare il vassoio colmo di carne. Stein prese una manciata di carne e Dalton fissò i direttori che continuavano a discutere. Lasciò vagare lo sguardo per la sala finché non incontrò quello di Franca Gowenlock. L'espressione sul volto dell'incantatrice gli fece capire che non stava sentendo nulla. Dalton non sapeva cosa non andasse nei suoi poteri, ma adesso quel fatto si stava trasformando in un serio impedimento. Un paggio portò un piatto d'argento al ministro che si servì diverse fette di maiale. Un altro giunse con un vassoio d'agnello e lenticchie, uno dei piatti favoriti da Hildemara e un terzo cameriere servì altro vino prima di allontanarsi. Il ministro posò un braccio sulla spalla della moglie e le sussurrò qualcosa nell'orecchio. Un servitore entrò portando un cesto pieno di piccole pagnotte di pane scuro che trasferì su alcuni vassoi d'argento. Dal punto in cui si trovava, Dalton non riusciva a capire se c'erano dei problemi con il pane. Una grande quantità di quest'ultimo era stata dichiarata inadatta al banchetto e donata ai poveri. Era la prassi donare tutti gli avanzi dei ricevimenti ai meno abbienti. Mastro Drummond aveva avuto diversi problemi giù in cucina riguardo la cottura del pane. Sembrava che il forno fosse 'impazzito', almeno così diceva il capo cuciniere. Una donna si era ustionata gravemente prima ancora che si potesse fare qualcosa per evitare che succedesse. «Dalton» disse il ministro, riportando l'attenzione al suo aiuto «stai indagando sull'omicidio della povera Claudine Winthrop?» Hildemara sembrava molto interessata alla sua risposta. «Sto prendendo in considerazione alcuni fatti molto interessanti» rispose Dalton, senza sbilanciarsi. «Spero di giungere molto presto a una conclusione positiva delle indagini.» Come al solito, dovevano stare molto attenti ai banchetti perché alcune parole che era meglio non fossero ripetute potevano giungere a orecchie indiscrete. Franca non era l'unica ad avere il dono. Dalton, per non parlare di Bertrand e la moglie, sapevano benissimo che i direttori potevano aver assoldato una persona con il dono in grado di 'origliare' le conversazioni altrui. «Vedi,» continuò il ministro «Hildemara mi ha detto che la gente comincia a preoccuparsi perché ha l'impressione che non ci stiamo occupando della cosa.» Dalton riferì dei fatti che mostravano l'esatto contrario e Bertrand alzò una mano. «Certo, non è per niente vero. So come sia difficile cercare di prendere i criminali.» «Vi assicuro, ministro Chanboor» intervenne Teresa «che Dalton lavora al caso notte e giorno. Torna a casa molto tardi da quando è stata uccisa la povera Claudine.» «Lo so» disse Hildemara, sporgendosi oltre il marito per posare una mano sul polso di Dalton in modo che tutti i presenti, Teresa per prima, potessero vedere. «So che Dalton lavora duramente. Tutti apprezziamo il suo lavoro. Sappiamo che ha fatto interrogare un gran numero di indiziati. «Solo che alcune persone stanno cominciando a chiedersi se lo sforzo produrrà mai un colpevole. La gente teme che gli assassini siano ancora in circolazione ed è ansiosa di vedere la chiusura del caso.» «Giusto» disse Bertrand «noi, più degli altri, vogliamo che l'omicidio sia risolto in modo che la nostra gente possa dormire sonni tranquilli.» «Esatto» confermò Hildemara con un bagliore gelido negli occhi. «Deve essere risolto.» Il tono di voce di lady Chanboor non lasciava dubbi: non era una richiesta, era un ordine. Dalton non sapeva se Hildemara aveva detto a Bertrand quello che lei gli aveva ordinato di fare a Claudine, ma a quel punto si trattava di un particolare poco importante. Il ministro aveva finito con quella donna e aveva rivolto le sue attenzioni verso altre prede. Non gli sarebbe dispiaciuto affatto sapere che la moglie aveva posto rimedio ai suoi guai riducendo al silenzio un potenziale problema. Dalton si era aspettato che il ministro e la moglie cominciassero a stancarsi di tutte le persone che andavano da loro per chiedere ragguagli sull'accaduto e su come procedevano le indagini. Aveva già preparato il piano e a quanto sembrava doveva solo attuarlo prima di quanto avesse previsto. Prima di tutto bisognava aspettare, sapeva bene che prima o poi l'argomento Claudine Winthrop avrebbe smesso di essere all'ordine del giorno, ma Bertrand amava dare l'impressione di essere un ministro efficiente. A lui importava poco se era qualcun altro a pagarla e anche per Hildemara quello era un particolare irrilevante. La loro impazienza, però, poteva esse- re pericolosa. «Io, come tutti, voglio che gli assassini siano trovati» spiegò Dalton. «Tuttavia, come uomo di legge, ho fatto un giuramento prima di insediarmi nel mio ufficio e sono vincolato dal fatto di trovare i veri assassini e non limitarmi ad accusare il primo che capita affinché ci sia qualcuno da punire. «So quante volte, in passato, mi avete ricordato questo fatto. E siete stato molto severo a riguardo.» Appena vide che Hildemara stava per obiettare che non avrebbero accettato ritardi, Dalton aggiunse a bassa voce, ma con tono indispettito: «Non solo sarebbe sbagliato accusare ingiustamente un innocente solo perché abbiamo fretta, ma se dovessimo giudicare qualcuno di fretta e furia e dopo la sentenza piombasse qua la Madre Depositaria e con il suo potere scoprisse che abbiamo condannato un innocente, la nostra incompetenza sarebbe palese non solo per la Madre Depositaria, ma anche agli occhi del sovrano e dei direttori.» Voleva essere sicuro che capissero i rischi. «Peggio, se condannassimo l'uomo a morte ed eseguissimo la sentenza prima che la Madre Depositaria avesse la possibilità di riesaminare il caso, lei potrebbe intervenire in modo da non far cadere solo il governo, ma anche volere che i suoi rappresentanti più in vista vengano toccati dal suo potere come punizione.» Il tetro scenario dipinto con tanta calma da Dalton zittì Hildemara e Bertrand. «Hai perfettamente ragione, Dalton. Certo, certo.» Le dita del ministro si agitarono in aria simili a pesci che sbattevano le pinne per nuotare all'indietro. «Non volevo dare l'impressione di essere affrettato, questo è ovvio. «Sono il ministro e non posso permettere che qualcuno sia accusato ingiustamente. Non vorrei mai che succedesse. Non solo sarebbe un'ingiustizia terribile nei confronti delle persone falsamente accusate, ma così facendo permetteremmo ai veri assassini di sfuggire alla giustizia dando loro l'opportunità di uccidere di nuovo.» «Ma, detto questo» si intromise Hildemara, nuovamente minacciosa «credo che tu sia prossimo a trovare il nome degli assassini, vero? Ho sentito parlare così bene di te che penso che tu sia una persona attenta. Non ci sono dubbi sul fatto che molto presto l'aiutante del ministro farà in modo che giustizia sia fatta, vero? La gente vuole sapere se il ministro della Cultura è in grado di occupare il suo seggio. Deve essere visto come un personaggio che ha trovato una soluzione a questo caso.» «Esatto» disse Bertrand, osservando la moglie con la coda dell'occhio per essere sicuro che si fosse seduta. «Vogliamo una giusta soluzione al caso.» «Inoltre» aggiunse Hildemara «sono cominciate a girare le voci di quella povera ragazza haken che è stata stuprata. Le parole corrono veloci. La gente pensa che i due crimini siano correlati.» «Anch'io ne ho sentito parlare» disse Teresa. «È terribile.» Dalton sapeva che Hildemara sarebbe potuta venire a conoscenza del fatto e volere che lui sistemasse il tutto, quindi si era preparato per l'evenienza, anche se sperava di evitare la questione. «Una ragazza haken? Come facciamo a sapere che dice la verità? Forse cerca di coprire una gravidanza indesiderata perché era stata promessa in sposa a qualcuno. Dicendo di essere stata stuprata raccoglie intorno a sé la solidarietà della gente.» Bertrand immerse un pezzo di carne nella scodella della mostarda. «Nessuno mi ha ancora detto il nome della vittima ma, a quanto sembra, la storia è vera. La gente sta cercando di sapere chi è in modo da portarla da un magistrato.» Bertrand aggrottò la fronte finché non fu del tutto sicuro che Dalton avesse capito che stavano parlando della ragazza del macellaio. «La mia paura è che non solo sia vero, ma che si tratti delle stesse persone che hanno assalito Claudine. La gente ha sempre più paura dei criminali adesso che hanno colpito due volte e temono che colpiranno ancora.» Bertrand inclinò la testa all'indietro e lasciò cadere il pezzo di carne in bocca. Stein, che si trovava a fianco di Hildemara, ascoltava la conversazione con crescente sdegno e continuava a mangiare. Quell'uomo avrebbe risolto il problema in maniera molto semplice, con la spada. Anche Dalton avrebbe voluto che fosse così semplice. «Ecco perché il crimine deve essere risolto» disse Hildemara sporgendosi nuovamente oltre il marito. «La gente deve sapere chi sono i responsabili.» Aveva dato un ordine e poteva tornare a sedersi. Bertrand strinse la spalla di Dalton. «Ti conosco, Dalton e so che non dirai nulla finché non sarai sicuro di quello che hai tra le mani. Sei una persona troppo modesta, ma so anche che presto ci porterai i nomi degli assassini. La gente non avrà bisogno di trascinare una povera ragazza haken di fronte al magistrato. Dopotutto, lei ha già sofferto molto e quella sarebbe solo un'ulteriore umiliazione.» Non potevano saperlo, ma Dalton aveva già parlato con Fitch per cominciare a far rotolare il masso già dalla collina. Dalla piega che stavano prendendo gli eventi, forse era meglio che intervenisse per deviarne la traiettoria. Stein lanciò il pane sul tavolo ovviamente disgustato. «È bruciato!» Dalton sospirò. A quell'uomo piaceva sbottare in quel modo, ma così facendo aveva dato solo l'impressione di essere un bambino offeso perché era stato tagliato fuori dalla conversazione. «Abbiamo avuto dei problemi con i forni delle cucine» spiegò Dalton. «Se non vi piace il pane scuro tagliate la crosta bruciata.» «Avete problemi con le streghe» ruggì Stein «e parlate di crosta bruciata? È questa la vostra soluzione?» «Abbiamo problemi con i forni» rispose Dalton a denti stretti, mentre lanciava delle occhiate furtive alla sala per vedere se qualcuno stava ascoltando. Alcune donne, troppo distanti per ascoltare, stavano facendo gli occhi dolci a Stein. «Forse si è intasata una canna fumaria. Sarà tutto sistemato entro domani.» «Streghe!» ripeté Stein. «Sono state loro a lanciare un incantesimo per bruciare il pane. Tutti sanno che quando c'è una strega nelle vicinanze, non può resistere alla tentazione di lanciare un incantesimo per bruciare il pane.» «Dalton» sussurrò Teresa «lui sa cos'è la magia. Forse è a conoscenza di fatti che non sappiamo.» «È solo una persona superstiziosa e basta.» Dalton sorrise alla moglie. «Conoscendo Stein è molto probabile che stia scherzando.» «Se volete posso aiutarvi a trovarla.» Stein si inclinò all'indietro sollevando le gambe anteriori della sedia e cominciò a pulirsi le unghie con uno dei suoi coltelli. «So tutto sulle streghe. Molto probabilmente sono state loro a uccidere quella donna e a stuprare l'altra. Le troverò io, visto che sembrate non riuscirci. Userò lo scalpo per il mantello.» Dalton posò il tovagliolo sul tavolo, chiese scusa a Teresa, si alzò e aggirati il ministro e la consorte, si avvicinò all'orecchio di Stein. L'uomo puzzava. «Ci sono degli ottimi motivi che mi spingono ad agire in un determinato modo. Ho i miei piani» sussurrò Dalton. «Facendo a modo mio faremo in modo che questo cavallo ari il terreno per noi, tiri il nostro carro e trasporti la nostra acqua. Se avessi voluto della carne di cavallo e basta, non avrei avuto bisogno di te: avrei macellato la bestia con le miei mani. «Ti avevo già avvertito di stare attento a come parlavi, ma sembra che non ci siamo capiti. Lascia che ti rispieghi tutto in modo che tu possa comprendere.» Stein sfoderò un sorriso ingiallito. Dalton si avvicinò ulteriormente. «Questo è un problema che è nato in parte perché tu sei incapace di godere in maniera discreta di quanto ti viene gentilmente e volontariamente offerto preferendo prendere una ragazzina che non ne ha voglia. Non posso cambiare il passato, ma se ti comporti di nuovo in questa maniera per attirare l'attenzione, io ti taglio la gola e mando la tua testa in un cesto all'imperatore insieme alla richiesta di mandare qualcuno che abbia più cervello di un maiale.» Dalton aveva nascosto il coltello che portava nello stivale nel palmo della mano facendo sì che la lama spuntasse di qualche millimetro dalle dita e la appoggiò sotto il mento di Stein. «Sei in presenza dei tuoi superiori. Adesso dovrai chiarire a tutti i presenti al tavolo che stavi scherzando. E, Stein... è meglio che tu sia convincente, altrimenti non vedrai il mattino, lo giuro.» Stein ridacchiò in tono rilassato. «Mi piaci, Campbell. Io e te siamo molto simili. Faremo dei buoni affari insieme. A te e al ministro piacerà l'Ordine. A dispetto dei tuoi modi da damerino io e te siamo uguali.» Dalton si girò verso Hildemara e Bertrand. «Stein ha qualcosa da dire. Appena avrà finito devo andare a controllare delle nuove informazioni. Credo di aver scoperto gli assassini.» 42 Fitch camminava con passo affrettato lungo il corridoio poco illuminato. Rowley gli aveva detto che era importante. I piedi scalzi di Morley emettevano un suono che Fitch trovava bizzarro. Non era più abituato a sentire il rumore dei piedi scalzi. Inoltre quel suono gli ricordava di quando era uno sguattero e quella era una parte della sua vita che voleva dimenticare. Fare il messaggero era un sogno diventato realtà. I suoni del banchetto giungevano dalla finestra aperta. La donna con l'arpa suonava e cantava. A Fitch piaceva la voce della donna e il timbro di quello strumento. «Hai qualche idea?» «No» disse Fitch. «Ma non credo che ci siano da inviare messaggi a quest'ora della notte, specialmente con un banchetto in corso.» «Spero che non ci voglia molto.» Fitch sapeva bene cosa intendeva Morley. Si erano appena appartati per ubriacarsi. Morley aveva trovato una bottiglia quasi piena di rum e gli aveva detto che una ragazza avrebbe voluto ubriacarsi con loro. Morley aveva detto a Fitch che prima di tutto avrebbero fatto ubriacare lei lasciandogli intendere il resto. Fitch aveva già pensato a una bella sbronza perché voleva dimenticare la conversazione con Beata. L'anticamera dello studio era vuota. Rowley li aveva solo avvertiti, ma non era andato con loro, quindi c'erano solo Fitch e Morley. Dalton Campbell camminava lentamente con le mani serrate dietro la schiena, li vide e fece loro cenno di entrare. «Siete arrivati. Bene.» «Cosa possiamo fare voi, mastro Campbell?» chiese Fitch. Le lampade che illuminavano lo studio gli conferivano un'atmosfera calda. La finestra era aperta e una leggera brezza faceva ondeggiare le tende e le bandiere. Dalton Campbell sospirò. «Abbiamo dei problemi riguardo l'omicidio di Claudine Winthrop.» «Che genere di problemi?» chiese Fitch. «Possiamo fare qualcosa per rimediare?» L'aiutante del ministro si passò una mano sul mento. «Siete stati visti.» Fitch sentì un brivido gelato lungo la schiena. «Visti? In che senso?» «Ricordi di avermi raccontato che siete scappati al laghetto quando avete sentito arrivare una carrozza?» «Sì, signore.» Dalton Campbell sospirò di nuovo. Tamburellò con le dita sulla scrivania come se cercasse un modo per esprimere quello che pensava. «Il conducente della carrozza è stato quello che ha trovato il corpo e sì è rivolto alla guardia cittadina.» «Questo lo sapevano già, mastro Campbell» disse Morley. «Giusto, ma solo poco fa sono venuto a sapere che prima di allontanarsi dalla carrozza aveva detto al suo aiutante di non muoversi. Quest'ultimo ha seguito le tracce del vostro passaggio nel grano e vi ha visti al laghetto.» «Dolci spiriti» esclamò Fitch. «Volete dire che ci ha visti nuotare e pulire gli abiti?» «Ha visto voi due e solo adesso ha fatto i vostri nomi. Ha detto che nel gruppo c'erano Fitch e Rowley, quelli che lavorano nelle cucine del palazzo.» Fitch sentiva il cuore che gli batteva all'impazzata. Cercò di ragionare, ma il panico prese il sopravvento più velocemente di quanto lui potesse controllarlo. Non importa se avevano agito per degli ottimi motivi: la pena per l'omicidio era la morte. «Perché quell'uomo non ha parlato prima?» «Cosa? Credo che non l'abbia fatto perché è rimasto sconvolto dalla vista del cadavere, quindi...» Dalton Campbell agitò una mano. «Ascolta, non c'è tempo di discutere i come e i perché. Per il momento non possiamo fare nulla.» L'aiutante del ministro aprì un cassetto. «Non mi piace affatto quello che sta succedendo. So che voi due avete fatto un ottimo lavoro per me... per Anderith, ma rimane il fatto che siete stati visti.» Prese un borsellino di cuoio spesso e lo appoggiò sulla scrivania. «Cosa ci succederà?» chiese Morley. Aveva gli occhi tanto dilatati da sembrare due sovrane d'oro. Fitch sapeva come si sentiva l'amico, anche le sue ginocchia tremavano all'idea di come sarebbero stati giustiziati. Una nuova ondata di paura lo investì facendogli correre il rischio di urlare. Ricordò il racconto di Franca riguardo l'impiccagione e il fuoco, solo che lui non poteva aiutarsi con la magia. Portò una mano al collo come se sentisse già la corda ruvida sulla pelle. Dalton Campbell fece scivolare il borsellino sul piano della scrivania. «Voglio che prendiate questa.» Fitch dovette concentrarsi per capire quanto gli aveva detto Dalton Campbell. «Cos'è?» «Come vi ho già detto mi sento in colpa. Qua dentro c'è dell'argento e anche qualche moneta d'oro. Mi siete stati di grande aiuto e avete dimostrato di essere persone degne di fiducia. Qualcuno vi ha visto e rischiate di essere condannati a morte per l'omicidio di Claudine Winthrop.» «Ma voi potreste dire...» «Non posso dire nulla. La mia responsabilità è nei confronti di Bertrand Chanboor e il futuro di Anderith. Il sovrano è ancora ammalato. Bertrand Chanboor potrebbe venire eletto al suo posto in qualsiasi momento. Non posso gettare tutto il regno nel caos a causa di Claudine Winthrop. Voi due siete come soldati in una guerra. Alle volte si perdono degli ottimi elementi. «In questo momento la gente è troppo infervorata e nessuno mi darebbe ascolto. Una folla inferocita vi trascinerebbe via e...» Fitch credette di essere sul punto di svenire. Stava respirando velocemente. «Volete dire che saremo condannati a morte?» Dalton Campbell sembrò distogliersi dal flusso dei suoi pensieri. «Cosa? No.» Diede un'altra spinta al sacchetto di cuoio. «Sono un sacco di soldi. Prendeteli e andate via. Avete capito. Dovete partire o sarete condannati a morte prima dell'alba.» «Ma dove andremo?» chiese Morley. Dalton Campbell indicò la finestra. «Lontano. Molto lontano, in modo che nessuno vi possa raggiungere.» «Ma sei voi chiariste tutto facendo capire loro che abbiamo fatto quello che era necessario...» «E stuprato Beata? Non dovevate farlo.» «Cosa!» esclamò Fitch stupefatto. «Io non farei mai... lo giuro, mastro Campbell, non lo farei mai. Vi prego, mastro Campbell.» «Non importa quello che non faresti mai. Per quello che riguarda la gente, voi siete colpevoli di entrambi i crimini. Non si fermeranno per lasciare che io ragioni con loro. Non ascolteranno nulla. Pensano che le stesse persone che hanno ucciso Claudine abbiamo violentato Beata. Non vi crederanno, specialmente dopo che l'uomo che vi ha visti vi avrà identificati come autori dell'omicidio di Claudine Winthrop. Non importa se non siete stati voi a stuprare Beata. L'uomo che vi ha visti è un Ander.» «La gente ci sta cercando?» chiese Morley pallido in volto e con le mani tremanti. «Volete dire che la gente ha già cominciato a cercarci?» Dalton annuì. «Se rimarrete sarete condannati a morte per entrambi i crimini. L'unica vostra speranza è quella di scappare... e velocemente. «Mi avete servito bene e siete stati indispensabili per la causa di Anderith, quindi ho voluto avvertirvi in modo che aveste una possibilità di fuggire. Vi sto dando i risparmi di tutta la mia vita.» «I vostri risparmi?» Fitch scosse la testa. «No, signore, mastro Campbell, non prenderemo i vostri risparmi. Avete una moglie e...» «Insisto. Se è necessario sono disposto a ordinarvelo. Sapere che sono riuscito in qualche modo ad aiutarvi mi aiuterà a dormire stanotte. Faccio tutto quello che è in mio potere per aiutare i miei uomini. Questo è il minimo che posso fare per uomini coraggiosi come voi.» Indicò il borsellino. «Prendetelo. Dividetevi il contenuto e usatelo per andare via e crearvi una nuova vita.» «Una nuova vita?» «Sì» confermò Campbell. «Potreste anche comprarvi una spada.» Morley annuì stupefatto. «Una spada?» «Certo. Qua dentro c'è abbastanza denaro per comprarvi una dozzina di spade. Se andrete in un altro regno non sarete considerati Haken. In molti posti sareste degli uomini liberi che si possono comprare una spada. Rifatevi una vita. Trovatevi un lavoro. Tutto. Con questi soldi potreste incontrare delle belle donne e corteggiarle come si deve.» «Ma non siamo mai stati fuori Fairfield» disse Morley, prossimo alle lacrime. Dalton Campbell posò le mani sulla scrivania e si sporse in avanti. «Se rimarrete vi uccideranno. Le guardie hanno i vostri nomi e molto probabilmente vi stanno già cercando. Saranno già sulle vostre tracce. Prego il Creatore che non vi trovino qua. Volete vivere? Allora prendete i soldi e andate via. Costruitevi una vita del tutto nuova.» Fitch lanciò una rapida occhiata alle sue spalle. Non vide né sentì nessuno, ma le guardie potevano piombare loro addosso in ogni istante. Dovevano seguire i consigli di Dalton Campbell: era l'unica cosa sensata. Fitch prese i soldi. «Mastro Campbell, siete le persona migliore che io abbia mai conosciuto. Avrei voluto lavorare per voi per tutta la vita. Grazie per averci avvertiti che ci sono alle costole e di averci fornito una soluzione.» Dalton Campbell allungò un mano. Fitch non aveva mai stretto la mano a un Ander e fu una bella sensazione. Lo faceva sentire come un uomo. L'aiutante del ministro strinse anche la mano di Morley. «Buona fortuna. Vi suggerirei di prendere due cavalli. Comprateli... non rubateli, altrimenti vi lascerete dietro una pista. So che sarà difficile, ma cercate di comportarvi come se non fosse successo nulla, altrimenti attirerete i sospetti della gente. «Tenete da conto il denaro, non spendetelo tutto in prostitute e rum o sarà finito prima ancora che ve ne possiate rendere conto. Se dovesse succedere vi catturerebbero e non vivreste a lungo per morire delle malattie attaccate dalle prostitute. «Usate il denaro con parsimonia, spendetelo in maniera frugale e vi permetterà di stare bene per parecchi anni finché non vi sarete sistemati bene.» Fitch gli strinse nuovamente la mano. «Grazie per i consigli, mastro Campbell. Li seguiremo alla lettera. Non vogliamo cadere nelle mani degli Ander.» Dalton Campbell sorrise. «Lo capisco benissimo. Che il Creatore vegli su di voi.» Dalton tornò al banchetto e trovò Teresa impegnata in una chiacchierata con il ministro. La risata argentina della moglie era più acuta rispetto a quella roca di Bertrand. Hildemara, Stein e i mercanti discutevano tra loro sussurrando all'altro capo del tavolo. Teresa allungò una mano sorridendo e prese quella di Dalton. «Sei arrivato, caro. Puoi rimanere, adesso? Bertrand, ti prego, di' a Dalton che lavora troppo e che ogni tanto bisogna mangiare.» «Tua moglie ha ragione, Dalton. Non ho mai conosciuto un uomo che lavorasse così tanto. Tua moglie si sente molto sola senza di te. Ho cercato di intrattenerla, ma non mi sembra molto interessata alle mie storie e non desidera altro che tessere le tue lodi.» Bertrand e Teresa lo incoraggiarono a sedersi. Dalton alzò un dito per chiedere ancora un attimo di pazienza alla moglie e si avvicinò al ministro e alla moglie posando loro un braccio sulle spalle. I due inclinarono la testa verso di lui. «Ho appena ricevuto alcune informazioni che confermano i miei sospetti. Come avevo pensato i primi rapporti sul crimine sono stati un po' troppo esagerati. Claudine Winthrop è stata uccisa solo da due uomini.» Passò al ministro un foglio di carta piegato e sigillato con la cera. «Questi sono i nomi.» Bertrand prese il foglio e la moglie sorrise. «Ora vi prego di ascoltarmi attentamente» aggiunse Dalton. «Gli ero addosso, ma sono riusciti a scappare prima che potessi acciuffarli rubando anche una grossa somma di denaro dalla cassa della cucina. Ho già ordinato che siano svolte ricerche capillari.» Arcuò un sopracciglio con aria interrogativa per assicurarsi che i due capissero che stava costruendo quella stona per un buon motivo. L'espressione dei coniugi Chanboor gli fece comprendere che avevano afferrato il concetto tra le righe. «Domani, annuncerete i nomi su quel pezzo di carta. Fatelo quando ritenete che sia il momento migliore. Lavoravano nelle cucine. Hanno stuprato e ucciso Claudine Winthrop e stuprato la ragazza che lavora per Inger e adesso hanno rubato il denaro.» «La ragazza haken non avrà nulla da dire?» chiese Bertrand, preoccupato che Beata potesse parlare e smentire tutto. «Lo stupro è stato troppo per lei ed è scappata. Non sappiamo dove sia andata. Forse è andata da qualche parente lontano e non tornerà più. La guardia cittadina ha il suo nome. Nel caso dovesse tornare mi occuperò personalmente dell'interrogatorio.» «Allora non è qua per contraddire le accuse a carico degli assassini.» Un'espressione torva apparve sul volto di Hildemara. «Perché dovremmo concedere loro una notte per scappare? È una follia. La gente vorrà un'esecuzione pubblica. Potremmo farne un bello spettacolo. Non c'è niente di meglio di una bella esecuzione pubblica per far contento il popolo.» Dalton sospirò, paziente. «La gente vuole sapere chi è stato e Bertrand darà i nomi. Questo dimostrerà a tutti che l'ufficio del ministro ha scoperto gli assassini. Il fatto che siano scappati prima ancora che fosse detto chi erano non fa altro che provare la loro colpevolezza.» Dalton aggrottò la fronte a sua volta. «Se facessimo qualcosa di più potremmo solo attirare le attenzioni della Madre Depositaria e questo significherebbe avere a che fare con un problema che non potremmo controllare. «Un'esecuzione non farebbe altro che aumentare i rischi. La gente sarà soddisfatta di sapere che abbiamo risolto il crimine e che gli assassini sono scappati. Cercare di fare qualcosa di più sarebbe troppo rischioso, specialmente adesso che ci troviamo sulla porta del palazzo reale.» Hildemara fece per obbiettare. «Ha ragione» ammise Bertrand in tono autoritario. «Suppongo di sì» rispose la moglie. «Farò l'annuncio domani con Edwin Winthrop al mio fianco, sempre che se la senta» disse Bertrand. «Molto bene, Dalton. Veramente molto bene. Ti sei guadagnato un premio per come hai gestito la faccenda.» Dalton sorrise. «Oh, avevo già studiato tutto, ministro.» Bertrand ridacchiò. «Non ne dubito, Dalton. Non ne dubito.» La risatina si trasformò in una risata di gusto che contagiò anche la moglie. Fitch dovette asciugarsi le lacrime dagli occhi mentre correva lungo le sale del palazzo insieme a Morley. Si erano messi a correre, nonostante Dalton avesse detto loro di comportarsi come se non fosse successo nulla. Videro le guardie e cambiarono immediatamente strada perché non volevano farsi vedere troppo da vicino. Da lontano Fitch era solo un messaggero e Morley uno dei tanti lavoranti del palazzo. Se le guardie, però, avessero cercato di fermarli, allora sarebbero dovuti scappare. Fortunatamente il baccano del banchetto copriva il rumore dei piedi sul pavimento. Fitch ebbe un'idea che avrebbe potuto aiutarli a fuggire. Tirò Morley per la manica senza dire nulla facendogli capire che doveva seguirlo giù per le scale. Scesero le rampe due scalini alla volta finché non raggiunsero il piano più basso. Fitch trovò rapidamente la stanza che cercava. Era deserta. Presero una lampada, entrò insieme all'amico e chiuse la porta. «Sei impazzito?» gli chiese Morley. «Perché ci stiamo chiudendo qua dentro? A quest'ora potremmo essere a metà strada per Fairfield.» Fitch si leccò le labbra. «Chi stanno cercando, Morley?» «Noi!» «Voglio dire, stanno cercando un messaggero e uno sguattero, giusto?» Morley si grattò la testa e prese a fissare la porta. «Credo di sì.» «Questa è una delle stanze dove tengono le scorte del palazzo... ci sono anche delle divise. Prima che la sarta aggiustasse la mia, sono venuto qua sotto e me ne hanno data una provvisoria.» «Hai preso qua la tua uniforme, e allora...» «Spogliati.» «Perché?» Fitch grugnì al colmo della frustrazione. «Stanno cercando un messaggero e uno sguattero. Se ti metti anche tu una divisa da messaggero, allora saremo due messaggeri.» Morley arcuò entrambe le sopracciglia. «Buona idea.» Lo sguattero si spogliò rapidamente, mentre Fitch cercava le divise da messaggero sugli scaffali. Una volta trovate lanciò un paio di pantaloni marrone scuro all'amico. «Vanno bene!» Morley li infilò. «Abbastanza.» Fitch prese una maglia bianca. «E questa?» L'amico non riusciva ad abbottonarla, era troppo stretta di spalle. «Piegala» gli disse Fitch, mettendosi alla ricerca di un'altra maglia. Morley la gettò via. «Perché farsi tutti questi problemi.» «Prendila e ripiegala. Non vorrai farti beccare? Non voglio che si accorgano che siamo stati qua. Se non se ne accorgono è tutto di guadagnato per noi.» «Ah» disse Morley, dopodiché riprese la maglia e la ripiegò. Fitch gliene passò un'altra che era un po' troppo grande. Il terzo tentativo fu quello giusto che gli fece guadagnare una maglia dei messaggeri di Dalton Campbell. Era perfetta per Morley. «Come sto?» Fitch alzò la lampada e fischiò piano. L'amico era molto più robusto di lui e con l'uniforme addosso sembrava quasi un nobile. Fitch non aveva mai pensato che l'amico fosse un bel ragazzo, ma con quel vestito addosso faceva un figurone. «Stai meglio di Rowley, sai.» Morley sorrise. «Davvero?» Smise di sorridere. «Usciamo.» Fitch indicò con un dito. «Hai bisogno degli stivali o sembrerai uno scemo. Tieni, metti le calze o ti verranno le vesciche.» Morley si sedette sul pavimento e appoggiò le suole di diversi stivali contro la pianta del piede, finché non trovò quelli della sua misura. Fitch gli disse di prendere i vestiti vecchi per cancellare le tracce del passaggio. Molto probabilmente nessuno si sarebbe accorto della mancanza di una divisa perché nel magazzino ce n'erano parecchie. Il rumore dei passi echeggiò oltre la porta e Fitch spense immediatamente la lampada. Lui e Morley rimasero zitti e immobili come due statue. Avevano paura anche solo di respirare. Il suono dei passi si avvicinò. Fitch sarebbe voluto scappare, ma per farlo sarebbero dovuti uscire dalla stanza finendo tra le braccia delle guardie. Dal rumore degli stivali capì che erano due uomini. Dovevano essere le guardie della ronda. Fitch cominciò a sudare freddo all'idea di essere giustiziato di fronte a una folla esultante. La porta si aprì. La guardia rimase con la mano sulla maniglia, stagliandosi contro la luce che proveniva da oltre la porta. Portava una spada al fianco. Fitch e Morley si erano nascosti tra gli scaffali in fondo alla stanza. Il fascio di luce quasi lambiva gli stivali di Fitch che trattenne il respiro. Non osava muovere un muscolo. Forse la guardia ha ancora gli occhi abituati alla luce e non ci sta vedendo, pensò Fitch. L'uomo chiuse al porta, raggiunse il compagno che aveva controllato uno degli altri magazzini e insieme si allontanarono. «Fitch» sussurrò Morley. «Ho bisogno di rilassarmi. Usciamo di qua? Ti prego.» «Certo.» Fitch aveva fatto una certa fatica a ritrovare la voce. Si incamminò verso il punto in cui ricordava ci fosse la porta. La luce del locale antistante fu la benvenuta. I due si affrettarono a raggiungere l'uscita più vicina che si trovava accanto all'ufficio del vinaio e lungo la strada buttarono i vestiti di Morley in uno dei cesti per gli stracci. Sentirono il vecchio vinaio che intonava una canzone masticandone le parole. Era ubriaco. Morley voleva fermarsi per prendere qualcosa da bere, Fitch si leccò le labbra valutando l'idea per qualche attimo. Gli sembrava buona. Una bevuta era quello che ci voleva. «No» sussurrò infine. «Non mi andrebbe di finire impiccato per una bevuta. Abbiamo un sacco di soldi. Potremo comprarci da bere dopo. Non voglio rimanere qua un secondo in più del necessario.» Morley annuì riluttante e uscirono dalla porta di servizio. Superarono il punto dove avevano pestato Claudine per la prima volta e Fitch pensò che se la donna avesse dato loro ascolto sarebbe stata ancora viva. «Non ci fermiamo a prendere le nostre cose?» domandò Morley. Fitch si fermò e fissò l'amico. «Hai qualcosa per la quale vale la pena morire?» Morley si grattò un orecchio. «Be', no, non credo. Solo un bel bastone intagliato che mi aveva regalato papà. Ho altri vestiti, ma sono poco più che stracci. Questo è meglio di tutti quelli messi insieme... è anche meglio del vestito che indosso per le riunioni.» Le riunioni di penitenza. Fitch si rese conto con un gradissimo senso di sollievo che non avrebbe più dovuto parteciparvi. «Io ho solo qualche moneta di rame, ma non è nulla in confronto a quello che ci è stato dato. Io dico di andare a Fairfield e comprare un paio di cavalli.» Morley lo fissò in maniera strana. «Tu sai cavalcare?» Fitch si guardò intorno per assicurarsi che non ci fossero guardie in giro, quindi incitò l'amico a muoversi con una spintarella. «No, ma credo che impareremo in fretta.» «Sono d'accordo» concesse Morley. «Ma compriamo un paio di cavalli tranquilli, eh?» Giunti a un certo punto della strada, si girarono per guardare il palazzo per un ultima volta. «Sono contento di andare via» disse Morley. «Specialmente dopo quello che è successo oggi. Sono proprio contento di non dover più tornare nelle cucine.» Fitch si accigliò. «A cosa ti riferisci?» «Non lo hai saputo?» «Saputo cosa? Ero a Fairfield a consegnare alcuni messaggi.» Morley afferrò il braccio di Fitch e lo costrinse a fermarsi. «Non sai nulla del fuoco?» gli chiese, ansimando. «Davvero?» «Fuoco?» Fitch era stupefatto. «Di cosa stai parlando?» «Stamattina presto in cucina è successo il finimondo con i forni e il camino...» «Finimondo? Cosa vuoi dire?» Morley fece un gesto con le braccia come se volesse imitare le fiamme che si espandevano simulando al tempo stesso il suono di una vampata di fuoco. «Il fuoco è divampato per un attimo. È stato terribile. Il pane si è bruciato e il calore è stato tale da spaccare un pentolone.» «Davvero» esclamò Fitch stupefatto. «Si è fatto male qualcuno?» Un ghigno malefico apparve sulle labbra di Morley. «Gillie si è ustionata gravemente.» Diede una gomitata a Fitch nelle costole. «Stava cucinando un sugo quando il fuoco è impazzito e le ha bruciato quella faccia da prugna rinsecchita. Anche i capelli sono andati in fiamme.» Morley rideva soddisfatto, come se fossero anni che attendesse qualcosa di simile. «Dicono che forse non ce la farà, ma dovesse sopravvivere il dolore sarà fortissimo.» Fitch era combattuto. Non provava simpatia per Gillie, tuttavia... «Non dovresti essere tanto contento che un Ander si sia fatto male, Morley. Questo dimostra solo che sei un Haken odioso.» Sul volto di Morley apparve una smorfia irriverente e i due amici ripresero la fuga. Corsero per tutto il tragitto, tuffandosi nei campi di grano e sorgo ogni volta che sentivano un carro che si avvicinava e approfittando delle pause per riprendere fiato. In un certo senso, Fitch trovò la corsa come una sorta di rito liberatorio più che una fuga. Più si allontanava dal palazzo e più gli sembrava difficile che fossero catturati. Di notte, almeno. «Penso che durante il giorno dovremmo nasconderci» disse a Morley. «Almeno in principio. Troviamo un posto sicuro dal quale possiamo vedere chi arriva e scappare in tempo. Possiamo viaggiare di notte così la gente non ci vedrà o se capita non ci potranno riconoscere.» «E se qualcuno ci trova di giorno mentre dormiamo?» «Faremo i turni come i soldati. Uno sta di guardia e l'altro dorme, poi ci daremo il cambio.» Morley era convinto che la logica dei ragionamenti dell'amico fosse qualcosa di fantastico. «Non ci avevo mai pensato.» Giunti in prossimità di Fairfield si misero a camminare. In città sapevano bene come nascondersi. «Possiamo comprare i cavalli e allontanarci per un bel po'» disse Fitch. Morley rifletté qualche secondo. «Come facciamo a uscire da Anderith? Mastro Campbell ha detto che ci sono regni dove non è importante se siamo Haken, ma come facciamo a superare il Dominie Dirtch?» Fitch diede un paio di strattoni al farsetto di Morley. «Siamo messaggeri, ricordi?» «E allora?» «Siamo in missione ufficiale.» «Messaggeri in missione ufficiale fuori Anderith?» Fitch rifletté per qualche secondo. «Perché no? Se diciamo che dobbiamo consegnare dei messaggi importantissimi, non potranno mandare qualcuno fin qua a controllare. Ci impiegherebbe troppo tempo.» «Potrebbero chiederci di vedere i messaggi.» «Non possiamo mostrare loro dei messaggi segreti, giusto? Diremo loro che siamo in missione segreta in un altro regno e che portiamo delle missive che possono vedere solo i diretti interessati.» Morley sogghignò. «Io penso che possa funzionare. Secondo me ce la facciamo.» «Puoi scommetterci.» Morley fece fermare l'amico. «Dove andremo, Fitch? Hai qualche idea a riguardo?» Questa volta fu Fitch a sorridere. 43 Beata socchiuse gli occhi per proteggerli dal sole mentre posava a terra la sacca. Spostò i capelli che il vento le aveva spinto sul viso. Non sapeva leggere, quindi non aveva la minima idea di cosa significasse il segno che si trovava sopra il gigantesco cancello. La parola, però, aveva un numero vicino e lei lo conosceva, era il ventitré. Era arrivata nel posto giusto. Fissò la parola dopo il numero in modo da poterla riconoscere, ma non riuscì a darle un senso. Le sembrava un ammasso di segni incomprensibili incisi nel legno. Anche gli appunti che aveva visto in cucina non avevano senso per lei e non riusciva a capire come la gente potesse ricordare tutti quei simboli indecifrabili e unirli per formare le parole. Sollevò nuovamente la sacca. Era ingombrante e le batteva contro le co- sce, ma non era pesantissima e ogni volta che sentiva una mano affaticata la passava nell'altra. Non aveva molto da portare: alcuni vestiti, un paio di scarpe fatte da un calzolaio che era appartenute alla madre e che lei indossava solo nelle occasioni speciali per non rovinarle, un pettine d'osso, un pezzo di sapone datole da alcuni amici, dell'acqua, un laccio e ago e filo per cucire. Inger le aveva dato un mucchio di cibo, specialmente salsicce, di tutti i tipi di carne e di diverse dimensioni. Erano la parte più pesante del bagaglio. Ne aveva donata qualcuna alle persone affamate che aveva incontrato durante il viaggio e ai due contadini che le avevano dato un passaggio sul carro, tuttavia le sembrava di averne abbastanza ancora per un anno. Inger le aveva dato anche una lettera scritta su un foglio di carta molto bello piegato due volte. Beata non sapeva leggere e il macellaio l'aveva fatto per lei. Di tanto in tanto si fermava, la apriva e fingeva di leggerla. Cercava di ricordare le parole sentite da Inger e provava ad abbinarle ai segni sulla carta, ma non ci riusciva mai. Le sembrava di vedere solo tante zampe di gallina. Fitch una volta aveva fatto dei segni per terra e le aveva detto che erano la parola 'verità'. Fitch. Scosse la testa. Inger non voleva che lei andasse via e le aveva detto che aveva bisogno del suo aiuto. Beata aveva risposto che poteva assumere un uomo molto più forte e che lei non era necessaria. Inger aveva insistito che era brava nel suo lavoro aggiungendo che era come una figlia per lui. Le aveva raccontato che quando sua madre e suo padre erano andati da lui in cerca di lavoro, lei era poco più che una neonata. Inger aveva gli occhi rossi quando le aveva chiesto di rimanere. Beata avrebbe voluto rimettersi a piangere, ma si era trattenuta. Gli aveva detto che gli voleva bene come se fosse stato lo zio preferito e proprio per quel motivo doveva andare via altrimenti avrebbe solo causato guai. Il macellaio le aveva risposto che poteva occuparsene da solo, ma Beata gli aveva detto che avrebbe rischiato di morire e lei non voleva. Inger non aveva saputo cosa rispondere. Il macellaio l'aveva sempre fatta lavorare duramente, ma si era sempre comportato bene. Beata non aveva mia patito la fame e Inger non l'aveva mai picchiata. Alle volte il macellaio aveva dato un ceffone a uno dei ragazzi se questi gli aveva risposto, ma non aveva mai toccato una ragazza, anche perché le ragazze non rispondevano. Certo, una o due volte si era infuriato con lei, ma non l'aveva mai sfiorata. Quando proprio era troppo arrabbiato, Inger le aveva ordinato di togliere le interiora e disossare la cacciagione per tutta la notte, ma non era capitato molto spesso. Lei aveva sempre cercato di fare del suo meglio e non creare problemi. Beata riteneva che le cose più importanti da fare nella vita fossero due: eseguire tutto ciò che le veniva richiesto dal suo capo e non creare problemi. Era una Haken e, come tutti quelli della sua razza anche lei era malvagia per natura, quindi doveva fare di tutto per cercare di migliorare. Di tanto in tanto, Inger le aveva fatto l'occhiolino dicendole che aveva fatto un buon lavoro e Beata faceva di tutto pur di ricevere quei riconoscimenti. Prima di partire, il macellaio l'aveva abbracciata con forza e a lungo, dopodiché l'aveva fatta sedere vicino a lui, aveva scritto la lettera e gliela aveva letta. Beata aveva immaginato che l'uomo avesse avuto le lacrime agli occhi ed era stato quel pensiero a evitarle di scoppiare a piangere anche lei. I suoi genitori le avevano insegnato a non piangere di fronte agli altri, altrimenti tutti avrebbero pensato che era stupida e debole. Beata aveva imparato così bene la lezione che era in grado di trattenere le lacrime per ore e piangere solo di notte, quando era sola nel suo letto. Inger l'aveva fatta lavorare molto duramente, al punto che lei aveva imparato a non spaventarsi mai di fronte alla fatica. Avrebbe sentito molto la mancanza del macellaio... Beata si asciugò il naso e si fece da parte per far passare un carro. Era un posto molto grande che al tempo stesso, però, sembrava piccolo perché si trovava in cima a una collina solitaria. Il cancello sembrava l'unica via d'accesso. Attese che il carro superasse il cancello e lo seguì. L'interno ricordava una città. C'erano diverse costruzioni separate da strade e vicoli. La gente si muoveva con passo affrettato. La guardia finì di parlare con il conducente del carro, gli fece cenno di proseguire, quindi si concentrò su Beata squadrandola con una rapida occhiata senza far trapelare cosa pensasse veramente. «Buongiorno.» Aveva lo stesso tono di voce formale che aveva usato con il conducente. Stavano arrivando altri carri e la guardia aveva fretta. Beata rispose al saluto. L'Ander aveva i capelli tagliati con la sfumatura alta e madidi di sudore.' L'uniforme era pesante e aveva l'aria di tenere molto caldo. Il soldato indicò con un dito. «Laggiù. Seconda costruzione sulla destra.» Le fece l'occhiolino. «Buona fortuna.» Beata ringraziò la guardia con un cenno del capo e si sbrigò a passare attraverso una fila di cavalli prima che questi serrassero i ranghi e fosse costretta a fare il giro largo. Per poco non mise un piede in uno sterco fresco. La gente andava in tutte le direzioni. Cavalli e carri scendevano e risalivano le strade. L'aria puzzava di sudore, cavallo, cuoio, polvere, sterco e grano fresco. Beata non era mai stata fuori da Fairfield prima di allora e in quel momento si sentiva eccitata, ma anche intimidita. Trovò il luogo indicatole abbastanza facilmente. All'interno c'era una donna ander seduta dietro la scrivania intenta a scrivere su un pezzo di carta. Sul piano spiccava una pila di documenti, alcuni sembravano recenti, altri, a giudicare dal colore della carta, piuttosto vecchi. La donna alzò gli occhi e Beata fece un inchino. «Buon pomeriggio, mia cara.» Squadrò Beata come aveva fatto la guardia. «Un viaggio lungo?» «Arrivo da Fairfield, signora.» La donna posò la penna. «Fairfield. Eh, sì, allora è stata una lunga camminata. Non c'è da stupirsi che tu sia coperta di polvere.» Beata annuì. «Sei giorni, signora.» La donna corrugò la fronte e sembrava qualcosa a cui era abituata. «Perché sei venuta qua da Fairfield? Ci sono caserme più vicine.» Beata lo sapeva, ma non voleva essere vicina alla capitale. Voleva stare lontana dai problemi e Inger le aveva consigliato di recarsi laggiù, al ventitreesimo. «Ho lavorato per un macellaio di nome Inger, signora e quando gli ho detto quello che volevo, ha detto che sapeva che qua c'era brava gente. È stato lui a consigliarmi di venire qua.» Un sorriso increspò un angolo della bocca della donna. «Non ricordo di aver mai sentito un macellaio con quel nome, ma deve essere stato qua perché quello che ha detto sulla nostra gente è vero.» Beata posò la sacca e consegnò la lettera alla donna. «Come vi ho detto, è stato lui a suggerirmi di venire qua.» Inger le aveva consigliato di andare lontano da Fairfield e quel posto era abbastanza lontano. Aveva paura di avvicinarsi troppo alla scrivania e si inclinò in avanti sporgendo la preziosa missiva. «Mi ha dato questa lettera di presentazione.» La donna la aprì e si appoggiò allo schienale per leggerla. Beata cercò nuovamente di ricordare le parole di Inger, ma non ci riuscì del tutto e sapeva che molto presto avrebbe ricordato solo il senso generale di quelle parole. La donna posò la lettera. «Mastro Inger sembra avere un'ottima opinione di te, ragazza. Perché hai mollato un lavoro che andava così bene?» Beata non si aspettava che qualcuno le chiedesse il motivo della sua scelta. Rifletté per qualche attimo, quindi decise di essere onesta, ma non troppo. «È sempre stato il mio sogno, signora. Io credo che almeno una volta nella vita le persone debbano provare a far diventare realtà i loro sogni. Non serve a niente a vivere se uno non prova.» «E quale sarebbe il tuo sogno?» «Entrare nell'esercito perché voglio fare del bene e perché il mi... il ministro ha fatto in modo che in luoghi come questo le donne siano rispettate. Qua siamo uguali agli uomini.» «Il ministro è un grand'uomo.» Beata ingoiò l'orgoglio. Non le serviva a nulla. «Sì, signora, lo è. Tutti rispettano il ministro. Ha fatto passare la legge in modo che le donne haken possano servire al fianco delle donne degli uomini ander. Questa legge dimostra che egli rispetta moltissimo le donne haken che gli sono davvero debitrici. Il ministro Chanboor è un eroe per tutte le donne haken.» La donna la fissò con uno sguardo privo d'emozioni. «E tu hai dei problemi con un uomo, giusto? Certi uomini non sanno tenere le mani a posto, tu, finalmente, ne hai avuto abbastanza e hai trovato il coraggio di andartene.» Beata si schiarì la gola. «Esatto, signora, avete ragione, ma è vero quello che ho detto riguardo il sogno che diventa realtà. L'uomo ha solo accelerato la mia decisione, ecco tutto.» La donna sorrise. «Molto bene, come ti chiami?» «Beata, signora.» «Molto bene, Beata. Noi cerchiamo di seguire l'esempio del ministro e facciamo del nostro meglio.» «Ecco perché sono venuta qua, signora. Per fare del mio meglio.» «Sono il tenente Yarrow. Puoi chiamarmi tenente.» «Sì, sign... tenente. Sono... arruolata?» Il tenente Yarrow indicò con la penna. «Solleva quel sacco.» Beata sollevò il sacco di juta, che sembrava che fosse stato riempito di legna, e lo tenne appoggiato contro un fianco. «Cosa volete che faccia, tenente?» «Mettilo sulla spalla.» Beata lo sollevò e piegò il braccio intorno al sacco in modo che il legno appoggiasse sul muscolo e non sull'osso della spalla. Rimase in attesa. «Va bene» disse il tenente Yarrow. «Puoi metterlo giù.» Beata lo rimise a posto. «Arruolata» disse il tenente. «Congratulazioni. Il tuo sogno diventa realtà. Sei nell'esercito di Anderith. Gli Haken non saranno mai completamente mondati dalla loro vile natura, ma qua potete fare qualcosa di buono.» Beata si sentì improvvisamente orgogliosa e non poté evitarlo. «Grazie, tenente.» L'ufficiale indicò con la penna oltre la spalla di Beata. «Alla fine del corridoio qua fuori, troverai un mucchio di letame. Prendi la tua sacca e buttala là sopra.» Beata rimase muta. Nella sacca c'erano le scarpe di sua madre e costavano molto. I suoi genitori avevano risparmiato molto per comprarle e c'erano anche i doni degli amici. Trattenne le lacrime. «Devo gettare anche il cibo che mi ha dato Inger, tenente?» «Anche quello.» Beata sapeva che se una donna ander le dava quell'ordine era necessario eseguirlo perché era giusto. «Sì, tenente. Posso congedarmi ed eseguire l'ordine?» La donna la squadrò per un attimo. «È per il tuo bene, Beata» spiegò l'ufficiale in tono più tranquillo. «Queste cose appartengono alla tua vita passata. Ti farebbe solo del male ricordare la tua vecchia vita. Prima la dimentichi, cibo incluso, meglio è.» «Sì, tenente, ho capito.» Beata si sforzò di apparire coraggiosa. «La lettera di Inger posso tenerla?» Il tenente fissò la missiva sulla scrivania, la piegò e gliela passò. «È una lettera di raccomandazione. Non si tratta di un ricordo della vita passata, quindi puoi tenerla. Te la sei guadagnata in tutti gli anni di lavoro con quell'uomo.» Beata toccò la spilla a spirale che le aveva restituito Fitch. Il padre gliela aveva regalata prima di morire. L'aveva persa quando era stata trascinata via dal ministro e da quella bestia di Stein. Gliela avevano strappata per aprirle il vestito. «Devo buttare via anche la spilla, tenente Yarrow?» Da piccolina aveva osservato il padre mentre la faceva e lui le aveva spiegato che rappresentava come tutto fosse connesso, anche se si trovava in punto dal quale non poteva vederlo, un giorno sarebbe arrivata al centro. Le aveva detto di avere dei sogni e che se si fosse comportata bene questi sarebbero diventati realtà, magari non sarebbe successo in questa vita, ma nell'aldilà con l'aiuto degli spiriti buoni. Sapeva che si trattava di una storia per bambini, ma le piaceva. Il tenente socchiuse gli occhi per osservare la spilla. «Sì. Da questo momento in avanti il regno di Anderith provvederà a ogni tuo bisogno.» «Sì, tenente. Non vedo l'ora di poter iniziare a servire bene per ripagare dell'opportunità che mi è stata data.» Un sorriso ammorbidì i lineamenti della donna. «Io penso, che con un buon addestramento diventerai un ottimo soldato... forse un sergente. È molto più duro dell'addestramento che riceve un soldato semplice, ma se resisti, in una o due settimane potrai comandare la tua squadra.» «Il comando di una squadra in solo una o due settimane?» Il tenente scrollò le spalle. «Non è difficile stare nell'esercito. Secondo me è molto più complicato imparare a fare il macellaio.» «Non dovremmo imparare a combattere?» «Sì, ti verranno insegnati i rudimenti del combattimento, ma nella maggior parte dei casi si tratta di una funzione che nel nostro esercito è triviale e fuori moda. Un tempo l'esercito era il rifugio degli estremisti. Il fanatismo dei guerrieri soffocava la società che essi dovevano proteggere.» L'ufficiale sorrise di nuovo. «I cervelli sono la risorsa più richiesta e le donne non sono considerate inferiori nell'esercito. Grazie al Dominie Dirtch non c'è più bisogno dei muscoli. Quell'arma è i nostri muscoli e ci rende invincibili. «Le donne possiedono quella forma di compassione naturale che è richiesta agli ufficiali... per esempio, un uomo non ti avrebbe spiegato come mai ti dovevi liberare del tuo passato, ti avrebbe dato un ordine e basta, perché essi non ritengono necessario spiegarsi con le truppe. Comandare significa avere cura di quelli sotto di te. Le donne hanno cambiato quella che un tempo era solo una fratellanza per distruggere. «Alle donne che difendono Anderith viene riconosciuto ciò che si gua- dagnano. Ora l'esercito non è più una minaccia come in passato, ma un aiuto per la nostra cultura.» Beata lanciò un'occhiata alla spada del tenente. «Anch'io porterò una spada e tutto il resto?» «Certo, Beata. La spade sono concepite per ferire l'avversario in modo da scoraggiarlo. Ti insegneremo come si fa. Sarai un ottimo elemento del ventitreesimo reggimento. Siamo tutti orgogliosi di servire sotto Bertrand Chanboor, il ministro della Cultura.» Il ventitreesimo reggimento. Era il reggimento indicatole da Inger. Ecco cosa voleva dire la scritta sul cancello. Quel reggimento era addetto alla cura del Dominie Dirtch e Inger le aveva detto che quei soldati erano i migliori di tutto l'esercito. Beata ripensò al macellaio e le sembrò che fosse già molto lontano. Pochissimi attimi prima di uscire dalla macelleria per l'ultima volta, Inger l'aveva presa per un braccio e le aveva detto che credeva che fosse stato un uomo a palazzo a farle del male, quindi le aveva chiesto se aveva ragione. Beata si era limitata ad annuire. Inger le aveva chiesto il nome. Beata gli aveva raccontato la verità. Inger si era schiarito la gola e le aveva detto che ora capiva come mai voleva andare via. Quell'uomo era l'unico Ander che le avrebbe creduto e che si fosse sempre preoccupato per lei. Inger le aveva augurato ogni fortuna. «Di nuovo» ordinò il capitano. Beata, che si trovava nella prima fila, alzò la spada e corse verso il fantoccio di paglia che pendeva appeso a una corda. Questa volta la lama penetrò nella gamba. «Ottimo, Beata!» disse il capitano Tolbert. L'ufficiale li lodava sempre quando vedeva che facevano bene. Beata, che essendo una Haken non era abituata alle lodi, trovò che si trattasse di un'esperienza alquanto bizzarra. Svelse la spada dal fantoccio con un movimento goffo rischiando di cadere a terra, ma almeno, al contrario di molti altri, ci era riuscita. Beata aveva anni d'esperienza con le lame. Quella che maneggiava nell'esercito era più lunga, ma l'atto di colpire ed estrarre era praticamente lo stesso. Beata era una Haken e non avrebbe dovuto maneggiare neanche i coltelli perché erano armi, ma lei aveva potuto perché aveva lavorato per un macellaio ander che sapeva come tenere a bada i suoi dipendenti haken. I ma- cellai facevano tagliare la carne alle bambine e alle donne haken solo se in compagnia di un Ander. I ragazzi e gli uomini haken facevano invece i lavori di fatica come caricare o scaricare i carri e spostare pesi in generale, ma non dovevano mai venire a contatto con le lame. Le altre tre ragazze della squadra, Carine, Emmeline e Annette erano Haken ma, a giudicare da come si muovevano, l'unica lama che dovevano aver usato in vita loro doveva essere quella smussata che serviva per tagliare il pane. I quattro ragazzi, Turner, Norris, Karl e Bryce erano Ander e non provenivano da famiglie facoltose e pur non avendo mai toccato un coltello in vita loro, da bambini avevano sicuramente giocato ai guerrieri usando i bastoni come spade. Beata era consapevole che gli Ander erano migliori degli Haken sempre e comunque, ma aveva delle difficoltà a fare in modo di non offendere i quattro ragazzi della squadra che di solito tendevano a sghignazzare come degli idioti. I quattro passavano il tempo a gironzolare e a vantarsi l'uno con l'altro. Le due reclute ander, Estelle Ruffin e Marie Fauvel, non sapevano maneggiare la spada. Anzi, al contrario degli altri, a loro non piacevano le armi, però erano più brave dei ragazzi; a dire il vero anche le quattro ragazze haken erano più brave di loro. I ragazzi avevano più forza nei fendenti, ma le ragazze erano più precise nel centrare il bersaglio. Il capitano Tolbert fece notare questa peculiarità in modo che i ragazzi non si sentissero migliori delle loro compagne. Disse loro che non serviva a niente menare un fendente con tutta la forza che si aveva in corpo se poi non si colpiva nulla. Karl si era ferito a una gamba durante il primo giorno d'addestramento e dovette essere ricucito. Si aggirava per la caserma sorridendo: era un soldato che si era ferito nel corso del servizio. Emmeline cercò di colpire la gamba del fantoccio, ma la lama scivolò verso l'alto piantandosi nel fianco e lei cadde faccia in avanti. I quattro ragazzi scoppiarono a ridere, mentre le ragazze, incluse le Ander, rimasero impassibili. I ragazzi apostrofarono Emmeline con una serie di epiteti pronunciati a bassa voce, come, per esempio, vacca goffa. Il capitano Tolbert si infuriò e afferrò il ragazzo più vicino per il bavero. «Ve l'ho già detto prima, nella vita da civile potevate permettervi di ridere degli altri, ma qua no! Non si ride dei propri camerati, non importa se sono Haken. Nell'esercito siete tatti uguali!» Lo allontanò. «Una simile mancanza di rispetto nei confronti di un com- pagno ha bisogno di una punizione. Voglio che ognuno di voi mi dica quale crede sia la punizione più giusta.» L'ufficiale indicò Annette e le chiese di suggerire un provvedimento. La ragazza rifletté per un attimo, quindi disse che i ragazzi avrebbero dovuto scusarsi. Carine, Emmeline e le altre ragazze haken furono perfettamente d'accordo. Tolbert chiese a Estelle. La ragazza spostò una ciocca di capelli dalla fronte e disse che dovevano essere buttati fuori dall'esercito. Marie Fauvel era d'accordo con la compagna e aggiunse che sarebbero potuti tornare l'anno dopo. Una volta interrogati su quale fosse secondo loro una punizione giusta per quello che avevano fatto, i ragazzi dissero che bisognava redarguirli e dire loro di non farlo più. Il capitano Tolbert si rivolse a Beata. «Tu speri di diventare un sergente. Quale sarebbe una buona punizione se tu lo fossi già?» Beata rispose prontamente. «Visto che siamo tutti uguali è fondamentale che veniamo trattati come tali. Visto che quei quattro pensano sia divertente, tutta la squadra invece di cenare dovrebbe scavare una nuova latrina.» Incrociò le braccia sul petto. «Se qualcuno incomincia ad avere fame mentre si scava, bene, vuol dire che dovrà dire grazie a questi quattro.» Il capitano sorrise soddisfatto. «Beata ha appena trovato una punizione giusta. E sia, se qualcuno ha qualcosa in contrario allora può tornare a casa tra le gonne della mamma perché vuol dire che non ha il coraggio per diventare un soldato e stare dalla parte dei suoi compagni.» Estelle e Marie fulminarono con delle occhiatacce i quattro Ander che nel frattempo fissavano il terreno a testa bassa. Le ragazze haken non era contente della punizione, e i ragazzi erano molto preoccupati per i loro sguardi. «Adesso finiamo l'addestramento» disse il capitano Tolbert «così quando suonerà la campana potrete iniziare a scavare.» Nessuno si lamentò. Ormai avevano imparato che era meglio non farlo. Il sudore colava lungo il collo di Beata mentre marciavano in fila per due lungo la strada. A dire il vero, più che una strada, si trattava di una pista segnata dai carri. Il capitano Tolbert li guidava. Beata era in testa alla squadra di cinque soldati sul lato sinistro e Marie Fauvel marciava alla sua destra guidando altrettanti uomini. Beata era molto orgogliosa di sé. Aveva lavorato duramente nel corso delle due settimane d'addestramento e, proprio come le aveva detto il tenente Yarrow, era stata nominata sergente. I gradi spiccavano sulle spalle della divisa. Marie, una Ander, era stata nominata caporale... seconda in comando nella squadra. Gli altri otto si erano guadagnati il grado di soldato. Beata pensava che runica cosa buona che poteva esserci nel farsi buttare fuori era che sarebbe terminato l'addestramento, ma a quel punto non sarebbe mai diventata un buon soldato. Nessuno di loro, però, si era fatto buttare fuori. Beata si era abituata all'uniforme, ma quel pomeriggio faceva così caldo che la trovava insopportabile. Indossavano tutti i pantaloni verdi e una tunica imbottita di colore marrone sopra la quale aveva infilato una maglia di anelli metallici. Quest'ultima protezione era molto pesante e le donne avevano il permesso di indossare il modello senza maniche. Gli uomini invece ne indossavano un modello più lungo e dotato di maniche. Tutti avevano il collo e la testa protetti da un cappuccio di anelli metallici. Alle volte, quando richiesto dall'addestramento, indossavano anche un elmo di cuoio. Beata era contenta che le donne non dovessero indossare tutta quella roba. Essendo stata nominata sergente, di tanto in tanto doveva inquadrare gli uomini e ispezionare le cotte di maglia. Non poteva immaginare cosa volesse dire marciare tutto il giorno con quel peso addosso. La sua cotta sembrava pesare delle tonnellate. All'inizio le era piaciuto molto marciare con la spada, ma dopo qualche giorno si era abituata anche a quello. Il cinturone con il fodero era portato sopra la cotta, inoltre tutti portavano uno zaino sulle spalle, due lance e un coltello sistemato sulla stessa cintura della spada ma sul lato opposto. Beata pensava che fossero una squadra di persone in gamba. I picchieri del ventitreesimo reggimento erano i migliori che avesse mai visto. Erano uno spettacolo. Gli uomini erano bellissimi con quelle divise e aveva fatto più di un pensierino su di loro. Le donne sembravano più goffe in confronto ai compagni, anche se indossavano la stessa divisa. Beata vide qualcosa di scuro di fronte a loro che spiccava sopra l'erba. A mano a mano che si avvicinavano sembrava che si trattasse di una pietra molto vecchia. Dietro di essa sorgevano tre edifici bassi e tozzi dai tetti che sembravano essere ardesia. Quella vista fece rabbrividire Beata. Era il Dominie Dirtch. Quell'arma era una delle poche cose che gli Ander e gli Haken usavano insieme. Beata ricordava ancora le lezioni durante le quali aveva appreso di come la sua gente avesse usato quell'arma per massacrare migliaia e migliaia di Ander. Il Dominie Dirtch dimostrava tutti gli anni che doveva avere. I bordi erano stati smussati dagli agenti atmosferici. Fortunatamente adesso erano gli Ander i responsabili di quell'arma che veniva usata solo come strumento di pace. Il capitano Tolbert li fece fermare tra i casamenti. Beata vide dei soldati sulla base della campana e altri nelle costruzioni. La squadra aveva presidiato la stazione per mesi e ora era contenta che fosse arrivato il cambio. Il capitano Tolbert si rivolse alla squadra. «Queste sono le baracche. Una per gli uomini e una per le donne e facciamo in modo che rimangano tali, sergente Beata. Le altre costruzioni sono le cucine, il refettorio, la sala d'incontro, i ripari e tutto il resto.» Indicò l'edificio più lontano. «Quello è il magazzino.» L'ufficiale diede l'ordine di avanzare e le squadra ubbidì sfilando a fianco del Dominie Dirtch. La campana troneggiava su di loro oscura e minacciosa. Le tre donne e l'uomo sul piedistallo li osservarono passare. Superarono l'arma e il capitano fece fermare la squadra ordinando di allargarsi e formare una fila. «Questa è la frontiera. Il confine di Anderith.» Il capitano indicò la distesa d'erba che si perdeva a vista d'occhio. «Quella è la prateria. Oltre questo punto cominciano le terre degli altri popoli, quelli che teniamo lontani perché non vogliamo che vengano a depredare le nostre terre.» Beata sentì il petto che si gonfiava d'orgoglio. Era una di quelle persone che aveva ricevuto l'incarico di proteggere il confine. Se la stava cavando molto bene. «Nei prossimi due giorni, io e la squadra che sta presidiando la frontiera vi insegneremo tutto quello che c'è da sapere sul confine e sul Dominie Dirtch.» Camminò lungo la fila, si fermò di fronte a Beata fissandola dritta negli occhi e sorrise colmo d'orgoglio. «Sarete nelle capaci mani del sergente Beata. E seguirete i suoi ordini senza fiatare e se lei non dovesse esserci farete altrettanto con il caporale Fauvel.» Indicò alle sue spalle. «Riceverò un rapporto dalla squadra che riporterò al ventitreesimo reggimento e, vi avverto: sarò molto duro con chiunque non ubbidirà agli ordini del sergente.» Fulminò la fila con un'occhiata. «Ricordatelo, ma ricordate anche che il sergente deve accudire la squadra. Se non dovesse farlo, mi aspetto che voi facciate rapporto a riguardo così quando tornerà sarà sollevato dall'incari- co. «I carri con le provviste arrivano ogni due settimane. Sistematele con ordine e abbiatene cura perché devono durare parecchio. «Il vostro primo dovere è nei confronti del Dominie Dirtch. Siete la prima linea di difesa della nostra amata Anderith. Sopra ogni campana c'è un punto d'osservazione che vi permetterà di scorgere il Dominie Dirtch più vicino. L'arma si estende lungo tutto il confine. Le squadre in servizio non ricevano il cambio tutte lo stesso giorno così potrete avere al vostro fianco soldati esperti. «Sergente Beata, una volta che l'addestramento sarà terminato e io e l'altra squadra saremo partiti, la responsabilità di badare al Dominie Dirtch ricadrà su di voi. Adesso andiamo a conoscere l'altra squadra per iniziare l'addestramento.» Beata salutò portando una mano alla fronte. «Sì, capitano.» L'ufficiale sorrise. «Sono orgoglioso di tutti voi. Siete bravi soldati e so che farete il vostro dovere.» Quelle terribili armi torreggiavano sulla squadra e Beata ne era diventata responsabile per un certo periodo. Sentì un groppo alla gola. Per la prima volta nella sua vita sapeva che stava facendo qualcosa di buono. Il suo sogno era diventato realtà ed era bello. 44 Il rozzo soldato le diede un calcio nel sedere. La donna cercò di allontanarsi dalla traiettoria del piede, ma non fu abbastanza veloce e dovette premere le labbra con forza per non lasciarsi sfuggire il lamento. Se solo il potere del dono fosse stato ancora attivo, lei gli avrebbe risposto a dovere. Pensò di usare il bastone, ma doveva ricordarsi cos'era venuta a fare e che, anche se le pesava, quello non era il momento giusto per farsi giustizia. Annalina Aldurren, l'ex Priora delle Sorelle della Luce, una delle donne più potenti del Vecchio Mondo degli ultimi tre quarti di millennio, fece raschiare le tre monete di rame sul fondo della tazza di stagno spostandosi da un fuoco all'altro per chiedere la carità. Raggiunse un gruppo di soldati i quali, come tutti gli altri, all'inizio furono contenti di vedere una donna che si avvicinava al fuoco perché pensavano fosse una prostituta, poi tutto il loro ardore nei confronti della compagnia femminile svanì non appena le fiamme illuminarono una vecchia gobba e sdentata. La Priora riusciva ancora a mantenere quell'illusione. Aveva coperto i vestiti con una serie di stracci luridi e la testa avvolta in uno straccio sporco di letame... nel caso a qualcuno importasse poco del sorriso sdentato e del bastone. In un paio d'occasioni dei soldati avevano deciso che potevano passare sopra quei difetti e, data la scarsità di donne, approfittarne. A modo loro, pur in una maniera piuttosto selvaggia, avevano un certo fascino, ma lei aveva educatamente rifiutato le offerte. Rifiutare delle richieste tanto insistenti fu piuttosto difficile. Fortunatamente il campo era un tale pandemonio che nessuno avrebbe notato un paio di uomini morti, con la gola tagliata. Nessuno si prendeva il disturbo di indagare in quei casi perché simili fatti erano all'ordine del giorno. Ann era sempre riluttante nello spegnere una vita. In quel caso, però, visti i soggetti e quello che le avrebbero fatto prima di ucciderla se l'avessero scoperta, le remore erano state accantonate molto velocemente. I soldati intorno al fuoco mangiavano raccontando storie e nessuno la notò passare. Qualcuno le lanciò un'occhiata poi tornò a dedicarsi al cibo. Uno straccione valeva appena un grugnito. Un esercito di quelle dimensioni era seguito da un mucchio di persone. C'erano molti mercanti che offrivano servizi che l'Ordine non poteva fornire. Ann aveva visto anche un artista che dipingeva il ritratto di un ufficiale. Come ogni artista che desiderava un impiego fisso conservando al tempo stesso l'uso delle dita, anche quello usava il suo talento per incensare il cliente, ritraendolo in pose trionfali e, sempre seguendo le indicazione del committente, con un sorriso radioso sulle labbra... o circondato da un alone luminoso che rappresentava la gloria. I venditori ambulanti vendevano di tutto: carne, verdura e frutta. Ann stessa avrebbe voluto addentare uno di quei frutti succulenti che le ricordavano il Vecchio Mondo. Gli amuleti per la buona fortuna avevano un mercato decisamente fiorente. Se a un soldato non piaceva il cibo fornito dall'Ordine Imperiale e aveva abbastanza soldi da permetterselo c'erano persone in grado di cucinare quasi tutti i piatti che poteva desiderare. Infine, le prostitute, i bari e gli straccioni ronzavano intorno all'esercito simili a una nube di tafani. Travestita da accattona, Ann poteva attraversare facilmente il campo dell'Ordine in cerca di quello che le interessava. Fino a quel momento le era costato qualche calcio nel sedere. Trovare qualcuno in un esercito di quelle dimensioni era una bella impresa. Era una settimana che cercava e stava cominciando a stufarsi. In quel periodo di tempo era riuscita a vivere in una maniera piuttosto dignitosa pur essendo travestita da povera... sempre che non le facesse schifo mangiare carne piena di vermi e verdura ammuffita. Accettava quelle offerte con grazia, dopodiché le gettava via quando nessuno la vedeva. Era uno degli scherzi più crudeli dei soldati, dare agli accattoni i loro scarti. Alcuni mendicanti, tuttavia, avrebbero accettato quegli scarti molto volentieri, se solo fossero riusciti a mettervi le mani sopra. Ogni giorno, quando si rendeva conto che era troppo tardi per continuare le ricerche, tornava al campo delle persone che seguivano l'esercito e usava il denaro ricevuto in carità per acquistare del cibo povero, ma più dignitoso. A dire il vero non era una mendicante molto brava e alcuni 'colleghi' le avevano insegnato dei trucchi per migliorare la sua tecnica. Ann sopportò quelle distrazioni altrimenti avrebbero capito chi era. Alcuni dei poveri se la cavavano bene e il fatto stesso che riuscissero a spillare qualche moneta a quella gentaglia dell'Ordine dimostrava che sapevano fare il loro mestiere molto bene. L'ex Priora sapeva bene che in alcuni casi un destino crudele poteva ridurre sul lastrico un individuo costringendolo a mendicare per sopravvivere ma, centinaia d'anni di vita, le avevano insegnato che molto spesso gli accattoni si attaccavano ferocemente al loro stile di vita rifiutando qualsiasi tipo d'aiuto che potesse farli migliorare. Ann non si fidava di nessuno, tanto meno degli accattoni. Erano più pericolosi dei soldati, perché questi ultimi non facevano finta di essere quello che non erano. Se non la volevano intorno l'allontanavano con un calcio o mostravano le armi, insomma avvertivano sempre, prima di cercare di fare del male. Gli accattoni, invece, sopravvivevano grazie alle menzogne. Mentivano dal momento in cui aprivano gli occhi, fino a quello in cui pronunciavano le preghiere serali prima di addormentarsi. Tra tutti i figli del Creatore, i bugiardi erano quelli che Ann sopportava di meno... insieme a coloro che continuavano a dare fiducia a questi individui. I bugiardi erano gli sciacalli della Creazione. Ingannare per un fine nobile poteva essere un'azione esecrabile, ma almeno poteva ritenersi necessaria per il bene di tutti. Mentire per egoismo serviva solo a fertilizzare il campo dove cresceva l'immoralità. Gente apparentemente onesta che però aveva una certa tendenza alla menzogna ti faceva passare per stupido e un bugiardo considerava le sue vittime come la polvere sotto gli stivali... qualcosa da calpestare. Ann sapeva che anche i bugiardi erano figli del Creatore, proprio come lei ed era anche conscia che il suo dovere era quello di essere paziente e saperli perdonare, ma non ci riusciva. Non poteva permettere che le menzogne proliferassero e si era rassegnata al fatto che nell'aldilà ne avrebbe pagato le conseguenze. L'accattonaggio era un'attività che richiedeva parecchio tempo, quindi Ann cercò di praticarla il meno possibile. Le tende erano montate ogni notte in una posizione diversa da quella precedente. Il campo non aveva un disegno ben definito, però l'esercito era così grosso che muovendosi le posizioni variavano di poco e Ann poteva riprendere le ricerche più o meno dal punto in cui le aveva abbandonate. Al mattino la retroguardia si muoveva un'ora abbondante dopo la partenza delle prime file e di sera l'avanguardia aveva piantato le tende e cucinato la cena, molto prima che la retroguardia si fermasse. Non facevano molta strada, ma l'avanzata era inesorabile. L'esercito aveva preso una direzione che inquietava Ann. L'ordine era rimasto accampato per qualche tempo nella baia di Grafan nel Vecchio Mondo e quando aveva invaso il Nuovo Mondo aveva deviato a est, dove Ann l'aveva inaspettatamente incontrato. L'ex Priora non era un militare, ma quella scelta l'aveva lasciata perplessa perché aveva sempre pensato che il nemico volesse puntare a nord. Stavano andando a ovest verso una meta che sembrava apparentemente priva d'interesse, tuttavia, sapeva che doveva esserci una buona ragione, altrimenti Jagang non l'avrebbe fatto. L'imperatore era spietato, pieno di sé e spavaldo, ma non era avventato. Jagang conosceva molto bene l'arte della pazienza. I popoli del Vecchio Mondo non erano mai stati uniti tra loro. Ann, dopo nove secoli di vita, poteva dirlo a ragion veduta. Da persona educata qual era sosteneva che erano diversi, intrattabili e rissosi. Non c'erano mai stati due regni del Vecchio Mondo che fossero andati d'accordo tra loro. Negli ultimi vent'anni aveva assistito all'ascesa di Jagang, che, pur ricorrendo a metodi brutali, corrotti e ingiusti, era riuscito a creare una forma di coesione tra quelle terre, creando una forza di una potenza spaventosa: nessuno aveva mai visto nulla di simile prima d'allora. I genitori di un tempo erano fedeli solo ai loro piccoli regni, i figli no. Una larghissima percentuale dei soldati e dei comandanti dell'Ordine Imperiale erano dei bambini quando Jagang aveva preso il potere. Erano cresciuti sotto il governo dell'imperatore adottandone gli stessi valori morali. Le Sorelle della Luce, però, avevano degli scopi molto più alti della politica. Ann aveva visto ministri e re andare e venire, ma il suo compito e quello delle Sorelle era quello di addestrare le persone con il dono in modo che potessero aiutare l'umanità. Ann aveva sempre tenuto d'occhio i governanti perché non voleva che interferissero con il dono del Creatore. Jagang si era trasformato in una minaccia reale nel momento stesso in cui aveva dichiarato di voler distruggere ogni forma di magia e ora si stava muovendo nel Nuovo Mondo per portare a compimento i suoi disegni. Jagang annetteva un regno al suo impero dopodiché cominciava infiltrarsi in quello vicino riempiendo le orecchie delle persone disposte ad ascoltarlo con la promessa di grosse porzioni della torta che stava per uscire dal forno. Uno dei sistemi che usava per indebolire quelle menti era il ricorso a uno tra i più nobili degli ideali: la pace. Alcuni regni erano stati indeboliti a tal punto che all'arrivo di Jagang non poterono fare altre che stendere una passatoia rossa senza neanche osare sfidarlo. Altri, che un tempo erano stati delle vere e proprie potenze militari ed economiche, erano stati talmente erosi dall'interno che una volta attaccati avevano provato a resistere con l'unico risultato di farsi spazzar via come nebbia al sole. Il fatto che l'Ordine stesse seguendo una direzione inaspettata, fece pensare ad Ann che forse Jagang fosse riuscito a compiere qualcosa di inimmaginabile: doveva aver mandato i suoi inviati oltre la grande barriera usando delle navi molti anni prima che Richard distruggesse le Torri della Perdizione. Era una missione pericolosissima e Ann lo sapeva perché aveva intrapreso quel viaggio. Era probabile che Jagang avesse dei libri di profezie o dei maghi dotati di quel talento che gli avessero dato ragione di credere che la barriera sarebbe crollata. Dopotutto, anche Nathan l'aveva previsto. Se era così, allora Jagang non stava marciando in quella direzione solo per esplorare, sfruttare e conquistare. Ormai aveva imparato bene che l'imperatore non imboccava mai una strada che non fosse stata preparata e spianata in precedenza. Ann si fermò nell'oscurità e si guardò intorno. Sembrava impossibile, ma non aveva ancora visto i padiglioni di Jagang. Voleva trovarli perché spe- rava che le Sorelle della Luce fossero tenute là, perché l'imperatore non voleva perderle di vista. Sospirò esasperata. C'erano solo tende e fuochi da campo a perdita d'occhio. In quel campo vigeva una tale confusione che poteva essere vicina alle tende che cercava e non vederle. La cosa peggiore di tutte era che non poteva aiutarsi con il dono. Il suo talento le avrebbe permesso di ascoltare a distanza, lanciare piccoli incantesimi e avere così un piccolo aiuto. Senza di esso scoprì che la ricerca era un'esperienza frustrante che non dava alcun frutto. Non poteva accettare di essere a un passo dalle consorelle e non riuscire a trovarle. Se avesse avuto ancora il dono avrebbe avvertito la loro vicinanza. Oltre a non avere un aiuto nella ricerca, il dono le mancava anche per un altro motivo: era come se si sentisse privata dell'amore del Creatore. Il dedicarsi anima e corpo all'opera del Creatore insieme alla bellissima sensazione che provava ogni volta che entrava in contatto con il suo Han, la forza vitale, erano sempre state due componenti della sua vita molto gratificanti. Non che fossero mancate le frustrazioni, i fallimenti e le paure, ma la possibilità di potersi aprire al suo Han le aveva permesso di superare ogni prova. L'energia vitale era stata una compagnia costante nel corso dei suoi nove secoli di vita e l'attuale incapacità di raggiungere il proprio dono l'aveva portata sull'orlo delle lacrime più di una volta. Non si sentiva molto diversa, finché non ci pensava, ma ogni volta che i suoi pensieri si rivolgevano alla sua luce interiore aveva l'impressione che qualcosa le soffocasse la mente. Finché non provava a usarlo, aveva l'impressione che il dono continuasse a essere presente, simile a un buon amico sempre visibile con la coda dell'occhio. Ogni volta che cercava di raggiungerlo, però, aveva la sensazione che il terreno le si aprisse sotto i piedi facendola sprofondare in un abisso nero e terrificante. Senza il dono e privata della protezione dell'incantesimo che aveva circondato il Palazzo dei Profeti, Ann era diventata una persona comune. In quel momento era qualcosa di più di una Stracciona. Era semplicemente una donna anziana che invecchiava come tutti, con la stessa forza fisica di una persona della sua età. L'unico suo vantaggio era la saggezza che sperava di aver accumulato nel corso dei secoli e le sue conoscenze. Fino al momento in cui Zedd non avesse trovato il modo per bandire le chimere, lei sarebbe stata una donna praticamente indifesa. Sempre che Zedd riuscisse nella sua impresa... Ann sbagliò strada, si infilò tra due carri e si ritrovò di fronte a una persona. Si scusò e si fece da parte perché ogni mendicante degno di quel nome era remissivo e servizievole, almeno apparentemente. «Priora?» Ann si gelò. «Siete voi, Priora?» Ann fissò il volto stupito di Sorella Georgia Cifaro. Si conoscevano da cinquecento anni. La bocca della Sorella si muoveva, ma non riusciva a dire nulla. La Priora allungò un braccio e toccò la mano della consorella con la scodella di porridge fumante che reggeva nella sua. La donna sussultò. «Sorella Georgia, sia lode al Creatore, finalmente ho trovato una di voi.» La Sorella allungò una mano e toccò timidamente Ann come se volesse essere sicura di non avere a che fare con uno spettro. «Siete morta» disse Sorella Georgia. «Ho preso parte alla cerimonia. Ho visto... voi e Nathan... i vostri corpi furono consegnati alla Luce sulla pira funeraria. L'ho visto con i miei occhi. Abbiamo pregato per tutta la notte mentre osservavamo le fiamme che bruciavano i vostri corpi.» «Davvero? Siete state molto dolci e tu in particolare, sei sempre stata una Sorella molto attenta, Georgia. È proprio da te, rimanere di guardia nel buio a pregare per me. Sono così orgogliosa di te. «Solo che non ero io.» Sorella Georgia sussultò di nuovo. «Ma... Verna è stata nominata Priora.» «Sì, lo so. Sono stata io a scrivere quegli ordini, ricordi?» La donna annuì e Ann continuò: «Avevo le mie buone ragioni, comunque sono viva, come puoi ben vedere.» Sorella Georgia posò il secchio e le gettò le braccia al collo. «Oh, Priora! Priora!» Fu tutto quello che Sorella Georgia riuscì a dire prima di cominciare a piangere come una bambina. Ann riuscì a calmarla in fretta. Non potevano correre il rischio di essere viste in quell'atteggiamento. C'erano delle vite in gioco e Ann non poteva permettere a una donna in lacrime di vanificare tutti gli sforzi che aveva compiuto fino a quel momento. «Cosa vi è successo, Priora? Puzzate come un letamaio e siete un disastro.» Ann ridacchiò. «Non osavo mostrare la mia bellezza a tutti quegli uomini, altrimenti avrei ricevuto più offerte di matrimonio di quelle che potevo rifiutare.» Sorella Georgia rise e un attimo dopo si rimise a piangere. «Sono delle bestie. Tutti.» Ann la consolò. «Lo so, Sorella Georgia. Lo so.» Le sollevò il mento. «Sei una Sorella della Luce, contegno prima di tutto. Quello che fanno al tuo corpo non è importante. Dobbiamo preoccuparci della nostra anima eterna. Le bestie possono fare tutto ciò che vogliono del tuo corpo in questa vita, ma non possono intaccare la purezza della tua anima. «Adesso smettila e comportati per quello che sei: una Sorella della Luce.» Sorella Georgia sorrise. «Grazie, Priora. Avevo bisogno di qualcuno che mi ricordasse il mio dovere. Alle volte è troppo facile dimenticarlo.» Ann andò dritta al punto. «Dove sono le altre?» Sorella Georgia indicò un punto sulla destra alle spalle di Ann. «Laggiù.» «Ci siete tutte?» «No, Priora, alcune Sorelle hanno giurato fedeltà all'Innominato.» Si morse il labbro inferiore. «Ci sono Sorelle dell'Oscurità nel nostro ordine.» «Sì, lo so.» «Davvero? Jagang le tiene da un'altra parte. Le Sorelle della Luce sono insieme, ma non so dove siano le Sorelle dell'Oscurità, né ho voglia di saperlo.» «Sia lode al Creatore» disse Ann, con un sospiro. «Era quello che speravo, che nessuna di loro si fosse mischiata a voi.» Sorella Georgia si guardò alle spalle. «Dovete andare via di qua, Priora, altrimenti rischiate di essere catturata o uccisa.» Cominciò a spingere Ann per farla girare. Ann strinse la manica di Sorella Georgia per farsi ascoltare. «Sono qua per salvare le Sorelle. È successo qualcosa che vi permetterà di fuggire.» «Non c'è modo di...» «Silenzio» ringhiò Ann a bassa voce. «Ascoltami. I rintocchi sono liberi.» Sorella Georgia sussultò. «Non è possibile.» «Davvero? Ti sto dicendo che è così. Se non mi credi, allora perché pensi che il tuo potere sia sparito?» Sorella Georgia rimase zitta, mentre Ann ascoltava le risate gutturali degli uomini che giocavano poco lontano. Gli occhi della Sorella scrutavano incessantemente la zona di fronte al carro. Aveva paura di essere scoperta. «Allora?» la incalzò Ann. «Perché pensi che il tuo potere sia scomparso?» Sorella Georgia si umettò le labbra con la lingua. «Non possiamo usare il nostro Han, non abbiamo il permesso. Jagang ce lo consente solo se vuole che facciamo qualcosa per lui. È dentro le nostri menti... è un tiranno dei sogni, Priora. Sa se tocchiamo il nostro Han senza permesso. È qualcosa che nessuna di noi ha voglia di provare una seconda volta. «Può controllarlo e può infliggere punizioni molto spiacevoli se facciamo qualcosa che non vuole.» La donna pianse di nuovo. «Oh, Priora...» Ann appoggiò la testa della donna sulla spalla. «Qua, qua. Adesso basta. Va tutto bene, Georgia. Sono qua per sottrarvi a questa follia.» Sorella Georgia si allontanò. «Sottrarci? Non potete. Il tiranno dei sogni è nella nostra mente. Potrebbe osservarci in qualsiasi momento, anche adesso e voi lo sapete.» Ann scosse la testa. «Non può più, adesso. I rintocchi, ricordi? La tua magia è intaccata quanto la sua. Non è più nella tua testa, sei libera.» Sorella Georgia fece per obiettare, ma Ann l'afferrò per un braccio spronandola a muoversi. «Portami dalle altre Sorelle. Non voglio sentire storie, chiaro? Dobbiamo sfruttare quest'occasione finché possiamo.» «Ma, Priora, non possiamo...» Ann afferrò l'anello al labbro della ragazza. «Vuoi continuare a essere la schiava di queste bestie? Vuoi continuare a farti usare da lui e dai suoi uomini?» Diede uno strattone all'anello. «Lo vuoi?» Le lacrime colmarono gli occhi della donna. «No, Priora.» «Allora portami alla tenda delle altre Sorelle della Luce. Ho intenzione di portarvi via stanotte stessa.» «Ma, Priora...» «Sbrigati! Prima che ci trovino!» Sorella Georgia prese la pentola di porridge e si incamminò seguita dalla Priora. La donna camminava con passo sostenuto evitando il più possibile i fuochi da campo e gli uomini. Pur ricorrendo a quegli espedienti, non mancarono le occasioni in cui gli uomini allungarono le mani e cercarono di afferrarla per la gonna per poi ridere di gusto quando la vedevano allontanarsi. Un uomo afferrò la Sorella per un polso e Ann si interpose tra i due sorridendo al soldato. Questi rimase così sorpreso che mollò la presa e le due donne si allontanarono rapidamente. «Ci farete uccidere» sussurrò Sorella Georgia. «Be', non credevo che fossi dell'umore giusto per soddisfare quel brav'uomo.» «Se un soldato insiste dobbiamo farlo, altrimenti Jagang ci dà una lezione che non...» Ann la spinse avanti. «Lo so, ma sto per tirarvi fuori di qua. Sbrigati. Dobbiamo trovare le Sorelle e scappare. Quando sarà mattina saremo molto lontane e Jagang non saprà dove cercare.» La donna aprì nuovamente bocca per obiettare, ma Ann la spinse ancora. «Il Creatore mi è testimone, Sorella Georgia, hai frignato di più negli ultimi dieci minuti che nei tuoi cinquecento anni di vita in questo mondo. Adesso portami dalle Sorelle o ti farò desiderare di essere tra le grinfie di Jagang invece che tra le mie.» 45 Sorella Georgia alzò una falda della tenda, Ann diede una rapida occhiata intorno per assicurarsi che nessuno stesse guardando ed entrò. All'interno c'erano diverse donne. Alcune era sdraiate, altre sedute a terra con le ginocchia strette al petto come se fossero delle bambine spaventate. Nessuna si degnò di alzare gli occhi. Ann non riusciva a ricordare di aver mai visto un gruppo di donne tanto prostrate. La Priora si rimproverò, era ovvio che fossero in quello stato dopo quello che avevano passato. «Via! Fuori!» disse Sorella Rochelle senza fissare Ann in volto. «Vattene, Stracciona!» «Molto gentile da parte tua, figliola» disse Ann. «Sei molto gentile, Sorella Rochelle a tener lontani i poveri dalla tua umile dimora.» La metà delle donne alzò gli occhi nel sentire la voce di Ann e tutte la fissarono attonite. Altre tirarono una manica o diedero una pacca sulla spalla di quelle che non stavano prestando attenzione a quanto succedeva. Alcune indossavano degli abiti che le lasciavano praticamente nude e pronte all'uso. Altre, indossavano ancora l'abito dell'ordine, anche se molto logoro. Poche altre indossavano abiti che sembravano ricavati dagli stracci. Ann sorrise. «Sorella Fionola, mi sembri in ottima forma, considerato quello che hai passato. Sorella Kerena. Sorella Aubrey. Sorella Cherna avete messo qualche capello grigio. Sta succedendo a tutte noi, ma devo dire che li portate bene.» Le donne intorno alla Priora sbatterono le palpebre, incredule. «È lei» confermò Sorella Georgia. «È viva. Non era morta come pensavamo. La Priora Annalina Aldurren è viva.» «Be'» precisò Ann «in questo momento è Verna la Priora, ma...» Le donne scattarono in piedi e ad Ann venne in mente l'immagine di alcuni agnelli che guardavano un lupo scendere dalle colline. Sembrava che tutte fossero prossime a scappare via. Le Sorelle della Luce erano donne forti, di grande moralità e intelligenza. Ann non voleva sapere quello che dovevano aver passato per essere state ridotte in quello stato pietoso. Carezzò dolcemente la testa più vicina. «Sorella Lucy. Sei uno spettacolo per i miei occhi stanchi.» Ann sorrise, era veramente contenta. «Lo siete tutte.» Sentì una lacrima che le solcava la guancia. «Sorelle, siete una vista benedetta per i miei occhi. Ringrazio il Creatore per avermi guidato fino a voi.» Le donne cominciarono a inchinarsi di fronte a lei sussurrando preghiere e piangendo incredule. «Va bene, va bene. Adesso basta» disse Ann, asciugando le lacrime di Sorella Lucy. «Adesso basta. Abbiamo un lavoro molto importante da fare e non c'è tempo per piangere, non dico che non abbiate le vostre buone ragioni, ma potrete farlo dopo.» Le Sorelle le baciarono i lembi del vestito. Altri si avvicinarono in ginocchio per farlo. Erano delle anime perse che ora si erano ritrovate. La vista quasi spezzò il cuore di Ann. Sfoderò il suo sorriso migliore e si attardò ancora qualche secondo a toccare le teste delle consorelle benedicendole per nome e ringraziando il Creatore per aver salvato loro la vita. Era una sorta di udienza informale delle Sorelle della Luce con la Priora. Ad Ann non sembrava il momento giusto per ricordare loro che aveva ceduto il suo ufficio a Verna per ragioni di sicurezza. Era un momento di gioia e quel particolare era secondario. L'ex Priora attese ancora qualche istante poi fu costretta a mettere fine alle dimostrazioni d'affetto. «Silenzio. Ascoltatemi. Avremo fin troppo tempo per godere della gioia del nostro incontro. Adesso voglio dirvi perché sono venuta. «È successo qualcosa di terribile, ma come voi sapete bene per tutto esiste un equilibrio. Questo evento terribile, facendo parte dell'equilibrio voluto dal Creatore e vi permetterà di fuggire.» «La Priora è convinta che i rintocchi siano liberi» si intromise Sorella Georgia. La Sorella non ci credeva e voleva che le altre compagne la pensassero come lei. «Dovete ascoltarmi.» Ann aggrottò la fronte in un modo che sapeva avrebbe fatto sudare freddo tutte le donne presenti nella tenda. «Vi ricordate di Richard?» Tutte annuirono. «Be', è una lunga storia, ma Jagang ha scatenato una pestilenza che ha ucciso migliaia di persone creando un numero imprecisato di orfani. È stato terribile. «Sorella Amelia...» «Ha giurato fedeltà al Guardiano!» diverse Sorelle arretrarono sussultando. «Lo so» disse Ann. «È quella che si è recata nel mondo sotterraneo per prendere la peste per conto di Jagang. Ha ucciso così tante persone innocenti... «Richard è stato in grado di usare il suo potere per fermare la peste.» Gli sguardi stupefatti delle donne furono accompagnati da una serie di sussurri. Ann sapeva che forse stava dicendo loro un po' troppo e tutto in una volta, ma doveva spiegare loro tutto il possibile perché la posta in gioco era altissima. «Richard contrasse la peste e al fine di salvargli la vita, la Madre Depositaria.» Ann alzò un dito per chiedere silenzio. «Nathan è fuggita» Le Sorelle sussultarono nuovamente e Ann le zittì nuovamente. «Nathan disse i nomi dei rintocchi alla Madre Depositaria perché quello era l'unico modo per salvare Richard. È stata una scelta terribile, ma credo che non potesse fare altro. La Madre Depositaria ha pronunciato ad alta voce i nomi dei rintocchi per completare l'incantesimo e salvare il suo amato. «I rintocchi sono nel nostro mondo. È stata lei a evocarli. Io li ho visti uccidere.» Questa volta nessuno protestò. Anche Sorella Georgia sembrava convinta. In quel momento Ann sentì di aver fatto bene a spiegare loro tutto. «Come tutte voi sapete, i rintocchi hanno il potenziale per far sì che si verifichi un cataclisma senza precedenti. E. decadimento della magia è già cominciato. Tutta la nostra magia è diminuita al punto tale da essere inutile, ma questo significa che anche la magia di Jagang è sparita. «Adesso voi potete andare via.» «Ma che differenza fanno i rintocchi?» chiese qualcuno. Ann sospirò paziente. «Con i rintocchi liberi, la magia sta decadendo. Il che vuol dire che le capacità di Jagang sono inutili tanto quanto il nostro dono. Le vostre menti sono libere dall'influenza del tiranno dei sogni.» Sorella Georgia la fissò incredula per un lungo momento. «Ma cosa succederà se i rintocchi torneranno nel mondo sotterraneo? Potrebbe succedere in qualsiasi momento e Jagang tornerebbe nelle nostre menti. Voi non potete sapere se è già qua, Priora. «I rintocchi potrebbero già essere tornati nel mondo dei morti. Forse non sono riusciti a procurarsi un'anima. Forse sono tornati sotto l'ala protettrice dell'Innominato. Il tiranno dei sogni potrebbe essere nella mia testa e ascoltare i discorsi che stiamo facendo osservando la scena attraverso i miei occhi.» Ann la prese per un braccio. «No, non lo è. Adesso ascoltatemi. La magia sta sparendo, la sua quanto la nostra. Tutte noi siamo private del dono. Io, come tutte voi, sono in grado di capire se c'è o è assente. Per il momento è sparito e questo vale anche per il tiranno dei sogni.» «Ma non ci è permesso di usare il nostro dono» disse una Sorella sulla destra. «Non potremmo mai sapere quando i rintocchi saranno spariti da questo mondo e capire che il nostro potere è tornato.» «Io lo saprei immediatamente» assicurò Ann. «Jagang non può impedirmi di raggiungere il mio Han.» Sorella Kerna fece una passo avanti. «Ma se i rintocchi dovessero essere respinti allora sua eccellenza ritornerebbe a...» «No. Ascoltatemi. Esiste un modo per impedire al tiranno dei sogni di penetrare nelle vostre menti.» «È impossibile» dichiarò Sorella Cherna mentre lo sguardo vagava rapidamente per la tenda come se Jagang fosse nascosto nell'ombra ad ascoltare. «Dovete andare via di qua, Priora. Non dovete essere presa. Qualcuno avrebbe potuto vedervi. Jagang potrebbe già saperlo.» «Ascoltatemi!» ringhiò Ann. «È possibile evitare che il tiranno dei sogni entri nelle vostre menti. Possiamo sfuggire alla sua presa malvagia.» Sorella Georgia non riusciva a crederci. «Ma non riesco a capire come...» «Come mai pensate che non sia entrato nella mia mente? Non pensate che vorrebbe mettere le mani su di me? Sulla Priora in persona? Non lo farebbe se potesse?» Le Sorelle rifletterono in silenzio. «Be', credo proprio che lo farebbe» ammise Sorella Aubrey aggrottando la fronte. «Com'è possibile che non sia entrato nella vostra mente?» «Sono protetta. È quello che sto cercando di dirvi. Richard è un mago guerriero e tutte voi sapete cosa significa: possiede entrambe le parti del dono.» Le Sorelle batterono le palpebre stupite, dopodiché cominciarono a sussurrare tra di loro. «Inoltre» continuò Ann, zittendo le donne di fronte a lei «è un Rahl.» «Che differenza fa?» chiese Sorella Fionola. «I tiranni dei sogni sono armi che furono impiegate nella grande guerra. Un mago di allora, un antenato di Richard, creò un legame in grado di proteggere la sua gente dall'influenza dei tiranni. Uno come Jagang non può entrare nella mente di qualcuno che sia legato a lord Rahl.» «Ma non siamo D'Hariane» protestarono le donne intorno a lei. Ann alzò una mano. «Non importa. Dovete solo giurare lealtà a Richard... giurarla in maniera sincera, con il cuore. Egli ci guida nella lotta contro quel mostro di Jagang che vuole porre fine a ogni forma di magia in questo mondo. Io sono fedele a Richard e questo impedisce al tiranno dei sogni di entrare nella mia mente.» «Ma se quanto ci avete detto è vero e i rintocchi stanno distruggendo la magia» piagnucolò una delle Sorelle più lontane «allora la magia del legame non servirà più e saremo prive di protezione.» Ann sospirò cercando di essere paziente. Erano tutte troppo spaventate. Si rammentò quello che avevano subito. «Non capite che stanno sparendo tutte le forme di magia?» Ann girò i palmi delle mani verso l'alto facendoli ondeggiare lentamente come se fossero i piatti di una bilancia. «Finché i rintocchi sono in questo mondo, la magia di Jagang non ha effetto e lui non può entrare nelle vostre menti.» Mosse le mani in direzioni opposte. «Se avrete giurato fedeltà a Richard una volta che i rintocchi saranno banditi Jagang non avrà più alcuna influenza su di voi. «Non lo capite? Dovete solo giurare fedeltà a Richard, è lui la guida nella causa contro Jagang. Combattete con noi... per la causa della Luce... e non dovrete più avere paura che il tiranno dei sogni vi possa raggiungere. «Possiamo scappare, Sorelle. Stanotte. Adesso. Riuscite a capirlo? Potete essere libere.» Tutte le Sorelle la fissarono come inebetite. «Ma non siamo tutte qua» disse Sorella Rochelle. Ann si guardò intorno. «Dove sono le altre? Andiamo a prenderle e partiamo.» Le donne si chiusero nuovamente in un silenzio spaventato. Ann schioccò le dita e indicò Sorella Rochelle: esigeva una risposta. «Le tende.» Le donne abbassarono lo sguardo facendo brillare l'anello d'oro che portavano al labbro. Sorella Rochelle si schiarì la gola cercando di non piangere e continuò: «Quando una di noi non soddisfa Jagang, o lui si arrabbia o vuole impartire una lezione ci manda nelle tende. Alle volte lo fa semplicemente perché vuole essere crudele. I soldati ci usano e ci fanno passare tra loro.» Sorella Cherna crollò a terra in lacrime. «Siamo le prostitute del suo esercito.» Ann fece appello a tutta la sua risolutezza. «Ascoltate, tutte. Questa storia finisce adesso. Siete libere. Siete di nuovo Sorelle della Luce. Mi avete sentita? Non siete più sue schiave!» «E le altre?» chiese Sorella Rochelle. «Potete andare a prenderle?» Sorella Georgia si alzò in piedi impettita. «Aspettate qua, Priora. Le Sorelle Kerena, Aubrey e Rochelle verranno con me e vedremo quello che potremo fare.» Lanciò un'occhiata alla tre consorelle che aveva nominato. «O no? Sappiamo quello che dobbiamo fare.» Le tre annuirono in segno d'assenso. Sorella Kerena mise una mano sotto il braccio di Ann. «Aspetterete qua, vero? Aspetterete fino al nostro ritorno.» «Sì» le rassicurò Ann. «Sbrigatevi, però. Dobbiamo uscire di qua il più presto possibile. Se ci muoviamo a notte troppo inoltrata faremmo sorgere troppi sospetti. Non possiamo aspettare che...» «Aspettate» disse Sorella Rochelle in tono tranquillo. «Ce ne occuperemo noi. Tutto andrà a posto.» Sorella Georgia disse alle consorelle. «Fate in modo che aspetti.» Le Sorelle annuirono. Ann portò i pugni sui fianchi. «Se ci impiegate troppo dovremo partire senza di voi. Capito? Non possiamo...» Sorella Rochelle posò una mano sulla spalla di Ann. «Torneremo prestissimo. Aspettate.» Ann sospirò. «Che il Creatore sia con voi.» Ann era seduta in mezzo alle Sorelle che sembravano assorte nei loro pensieri. La gioia che avevano mostrato nel vederla era scomparsa ed erano tornate a essere distanti. Tutte fissavano il vuoto senza ascoltare Ann che raccontava loro alcune delle storie più allegre delle sue avventure. Alle volte ridacchiò nel ricordare le situazioni più buffe e divertenti, ma nessuna delle consorelle rise. Sembrava che fossero tutte in un altro mondo. Non la fissavano neanche. Erano come animali terrorizzati che attendevano solo di scappare. Ann si sentiva sempre più a disagio. In quel momento sentì i capelli che le si rizzavano sulla nuca e cominciò a pensare che forse non le conosceva tanto bene come credeva. A volte capitava che un animale in trappola non riuscisse a scappare anche quando gli veniva offerta una possibilità di farlo. La falda della tenda si aprì e le donne si fecero da parte. Quattro giganteschi soldati armati fino ai denti entrarono seguiti dalle Sorelle che erano uscite poco prima. Il modo di fare dei nuovi arrivati fece capire ad Ann che si trattava di persone di una certa autorità piuttosto che di soldati qualunque. «È lei» disse Sorella Rochelle indicandola. «La Priora delle Sorelle della Luce.» «Cosa significa, Rochelle?» ringhiò Ann. «Cosa pensi di...» L'uomo che sembrava al comando dei quattro le strinse la mascella girandole la testa a destra e a sinistra. «Sei sicura?» Fulminò Sorella Rochelle con un'occhiataccia. «A me sembra una Stracciona come le altre.» Sorella Georgia indicò Ann. «Vi assicuro che è lei.» L'uomo fissò Georgia e lei continuò. «Si è conciata in quel modo per poter entrare nel campo.» L'uomo fece cenno agli altri soldati di muoversi. Ann cercò di resistere, ma un uomo la bloccò senza sforzo e le allungò le braccia in modo che il suo compagno potesse serrarle le manette ai polsi. La spinsero giù in due mentre un terzo uomo posava a terra l'incudine e le piantava i chiodi nei fori dei bracciali sigillando le manette in maniera permanente. Erano così strette che ad Ann sfuggì un grido di dolore. L'ex Priora sapeva bene che a volte era meglio non combattere e rimanere immobile. Senza l'uso dell'Han era come una bambina indifesa. Le Sorelle si erano raggruppate tutte in un angolo della tenda senza guardare. Gli uomini la buttarono a terra del tutto, le misero i ceppi alle caviglie dopodiché la sollevarono di peso. Le catene che partivano dai ceppi e dalle manette si collegavano a quella stretta intorno alla vita. Ann non era neanche più in grado di nutrirsi da sola. Uno degli uomini si grattò la barba incolta. «Non c'era nessun altro con lei?» Le Sorelle Georgia e Rochelle scrollarono la testa. L'uomo sghignazzò. «Come ha fatto a diventare Priora se è tanto stupida?» Sorella Georgia fece un inchino per non guardarlo negli occhi. «Non lo sappiamo signore, ma questa donna è la Priora.» Il soldato scrollò le spalle. Stava per uscire quando si girò, diede un'occhiata alle donne tremanti e indicò una delle Sorelle che indossavano l'abito trasparente. «Tu.» Sorella Theola sussultò. Chiuse gli occhi e le labbra cominciarono a muoversi in quella che senza dubbio era una preghiera diretta al Creatore. «Vieni» comandò l'uomo. Sorella Theola si alzò tremando. Gli altri tre soldati ridacchiarono. La scelta del capo era piaciuta loro. «Avevate detto che non l'avreste fatto» disse Sorella Georgia, mesta. «Davvero?» chiese l'uomo. Sulle labbra gli apparve un sorriso malvagio. «Ho cambiato idea.» «Lasciate che venga al posto suo» disse Georgia, mentre stavano per uscire. L'uomo si girò. «Bene, bene, tu devi essere la nobile d'animo del gruppo.» La prese per una mano e la fece uscire dalla tenda. «Visto che sei così ansiosa di venire, terrai compagnia alla tua amica.» Quando gli uomini furono usciti portando con loro le due donne, nella tenda scese un silenzio terribile. Nessuna delle Sorelle aveva il coraggio di guardare Ann seduta a terra in catene. «Perché?» chiese Ann, tranquilla, ma la sua voce echeggiò nella tenda con la stessa potenza della campana che si trovava nella torre più alta del Palazzo dei Profeti. Alcune Sorelle si misero a tremare, altre scoppiarono a piangere. «Sappiamo che è meglio non scappare» spiegò dopo qualche attimo Sorella Rochelle. «Ci abbiamo provato, davvero, Priora. Alcune di noi sono morte nel tentativo. È stata una fine lunga e orribile. «Sua eccellenza ci ha fatto capire che scappare è inutile. Aiutare qualcu- no a fuggire è un'offesa tra le peggiori. Nessuna di noi desidera ricevere nuovamente quella lezione.» «Ma potevo liberarvi!» «Sappiamo che non è possibile. Ormai apparteniamo tutte a sua eccellenza» proclamò Sorella Rochelle. «In un primo momento come vittime» commentò Ann «ma con il gesto che avete appena compiuto lo state facendo per scelta. Ho rischiato la mia vita per cercare di liberarvi. Vi era stata data una possibilità di scelta e voi avete preferito rimanere schiave piuttosto che cercare di tornare libere. «La cosa peggiore è che avete mentito. Avete mentito a favore del male.» Le donne nascosero il volto nel vedere lo sguardo furibondo di Ann. «E tutte voi sapete cosa penso dei mentitori... sapete anche cosa ne pensa il Creatore di gente che mente in favore della causa di chi gli è nemico.» «Ma, Priora...» piagnucolò Sorella Cherna. «Silenzio. Le vostre parole sono inutili. Non avete più il diritto di essere ascoltate da me. «Se mai riuscirò a uscire da queste catene sarà solo grazie all'aiuto di chi serve sinceramente la causa della Luce. Non siete migliori delle Sorelle dell'Oscurità. Almeno loro sono oneste nei confronti del loro infame padrone.» Ann vide entrare un uomo nella tenda e si zittì. Era di altezza media con il petto e le braccia possenti. L'abito di pelliccia era aperto sul davanti mettendo in evidenza le dozzine di catene d'oro con diamanti incastonati che pendevano dal collo taurino sul petto. Ognuno degli anelli che portava alle dita delle mani valeva il riscatto di un re. La testa rasata era così lucida da riflettere la luce delle candele. Una catenella d'oro univa l'orecchino appeso al lobo sinistro e quello alla narice sinistra. I lunghi baffi scendevano oltre la mascella e le estremità erano intrecciate come il pizzetto che spiccava sotto il labbro inferiore. Erano gli occhi di quell'uomo la parte del corpo a essere stata segnata dal marchio immondo del tiranno dei sogni. Il bianco era stato sostituito da una sorta di mare color inchiostro dentro il quale era possibile scorgere i contorni delle pupille che si muovevano in continuazione. Ann non aveva dubbi che la stesse fissando e sapeva che lo sguardo del Guardiano poteva essere di poco peggiore. «Una visitatrice» la voce dell'imperatore era forte quanto i suoi muscoli. «Il porco sa parlare» ribatté Ann. «Affascinante.» Jagang rise. Non si trattava di un suono piacevole. «Oh, dolcezza tu sei una di quelle insolenti. Georgia mi ha detto che sei la Priora in persona. È vero, dolcezza?» Ann vide con la coda dell'occhio che tutte le donne si erano inginocchiate premendo il volto a terra. In quel momento non si sentì di biasimarle per non voler fissare gli occhi di quell'uomo. Sorrise. «Annalina Aldurren, ex Priora delle Sorelle della Luce, al vostro servizio.» L'apertura tra i pettorali divenne più profonda quando l'imperatore giunse le mani come se dovesse pregare e fece un inchino profondo, ma irriverente. «Imperatore Jagang, al vostro servizio.» Ann sospirò irritata. «Allora come la mettiamo, Jagang? Tortura? Stupro? Impiccagione, decapitazione... rogo?» Un sorriso torvo aleggiò sulle labbra di Jagang. «Ah, dolcezza, tu sì che sai come tentare un uomo.» Afferrò Sorella Cherna per i capelli e la sollevò da terra. «Vedi, il fatto è che ne ho un mucchio di queste Sorelle regolari e altrettante dell'altro tipo, quelle che sono fedeli al Guardiano. Ti confesso che preferisco le seconde.» Arcuò un sopracciglio. «Sono ancora in grado di usare parte della loro magia.» Gli occhi di Sorella Cherna si riempirono di lacrime quando l'imperatore l'afferrò per la gola. «Ma ho solo una Priora.» L'imperatore aveva sollevato Cherna di parecchi centimetri dal suolo. «Quindi» disse Jagang, rivolgendosi alle altre «ha confermato tutto riguardo i rintocchi? Vi ha detto tutto?» «Sì» risposero alcune Sorelle all'unisono nella speranza di far liberare Cherna. Non tutto, pensò Ann sperando con tutto il cuore che Zedd non riuscisse a ricacciarli indietro. «Bene.» Jagang lasciò cadere la donna. Sorella Cherna si raggomitolò a terra portando le mani alla gola. Sembrava che avesse difficoltà a respirare. Jagang le aveva spezzato la trachea. Le donna si artigliava la gola con le dita e il volto assumeva un colorito bluastro con il passare del tempo. Raggiunse Ann con uno sforzo disperato. L'ex Priora le carezzò i capelli e sussurrò una preghiera rivolta al Creatore affinché perdonasse la povera donna. Sorella Cherna le cinse i fianchi in segno di gratitudine. Ann non poteva fare altro che pregare e attendere che la morte liberasse quella povera creatura dal tormento. Qualche secondo dopo Sorella Cherna si immobilizzò. Jagang spostò il corpo con un calcio, afferrò la catena intorno al collo di Ann e l'alzò in piedi senza sforzo. Quegli occhi la fissavano in una maniera che le dava il voltastomaco. «Penso che potresti essermi utile. Forse potrei tagliarti braccia e gambe e mandarti da Richard Rahl solo per fargli avere degli incubi. Forse potrei scambiarti con qualcosa di valore, ma temo che non sia possibile. Troverò un impiego utile per te, Priora. Ora sei una mia proprietà.» «Puoi anche possedere la mia esistenza in questo mondo» disse Ann, torva e decisa «ma non puoi toccare la mia anima. Quel dono del Creatore è mio e solo mio.» Jagang rise. «Un bel discorso.» Avvicinò il volto a quello della Priora. «Uno che ho già sentito.» Arcuò le sopracciglia deliziato. «Sai? Tutte le donne in questa tenda mi hanno detto la stessa cosa. Ma vuoi sapere una cosa, Priora? Non trovi che abbiano venduto tutto ciò in cui credevano oggi, eh? «Ti hanno consegnata quando avrebbero potuto fuggire o almeno salvare la tua vita senza rischiare la loro. Ma hanno preferito rimanere schiave piuttosto che essere libere. «Oserei dire che adesso sono anch'io il padrone delle loro anime, giusto?» «Sorella Cherna ha cercato me in punto di morte, non te, Jagang. Ha cercato il Creatore e l'amore, anche se mi aveva tradita e questo, mio imperatore, è un segno chiaro che indica a chi era rivolta la sua anima.» «Una differenza d'opinioni, allora.» Scrollò le spalle. «Che ne dici se le uccido una alla volta e vediamo a chi va la loro devozione negli ultimi istanti di vita? Anzi, faremo a turno, non voglio essere ingiusto. La mia l'ho uccisa ora tocca a te.» Ann non poté fare altre che fissare in cagnesco quella bestia. Jagang rise di gusto «No? Visto che non hai fiducia riguardo la fede delle tue Sorelle?» Si girò verso le donne inginocchiate. «Siete fortunate, dolcezze. La Priora sembra avermi ceduto i diritti sulla vostra anima.» Tornò a concentrarsi su Ann. «Comunque tu speri che i rintocchi siano banditi. È una speranza che abbiamo in comune. La magia mi serve, ma posso vincere anche con i sistemi convenzionali. «Non ti servirà a molto se i rintocchi spariranno da questo mondo. Vedi, le manette e le catene sono... come dire... imbevute di un incantesimo lanciato dalle altre Sorelle. Sai di chi parlo. Come ben saprai le Sorelle dell'Oscurità possiedono la Magia Detrattiva e quella, mia cara Priora, funziona ancora. «Te l'ho detto perché non voglio che tu nutra false speranze.» «Come sei gentile.» «Non ti preoccupare, troverò un modo per usarti.» Piegò un braccio e i bicipiti, che erano più grossi della vita di alcune Sorelle, si gonfiarono. «Per il momento credo che mi sarai più utile se dormi.» Ann cercò di ricorrere al suo potere, ma non successe nulla e fu costretta a osservare il pugno che si abbatteva su di lei senza poter fare nulla per fermarlo. 46 Zedd si grattò il mento guardandosi intorno. Non c'era nessuno. Era un vicolo particolare, stretto e buio. Fissò l'abitazione che si trovava in fondo alla strada. Sembrava buia e deserta. Quello era un buon segno. Zedd carezzò il naso di Spider. «Aspetta qua. Hai capito? Aspettami.» La cavalla scosse la testa per assentire e Zedd sorridendo la grattò dietro le orecchie. Spider premette la fronte contro il petto del vecchio mago per fargli capire che sarebbe stata contenta di farsi grattare dietro le orecchie per tutto il pomeriggio. Le aveva scelto quel nome, ispirato dalla macchia di pelo scuro dall'aria sinistra che spiccava sulla groppa e che ricordava bene un ragno. Spider era stata un buon affare, a dispetto della cifra esagerata che aveva dovuto spendere per comprarla. Era una cavalla giovane e forte che di tanto in tanto aveva voglia di lanciarsi al galoppo, desiderio che Zedd aveva soddisfatto più di una volta e che gli aveva permesso di raggiungere Toscla in breve tempo. Appena arrivato gli avevano detto che Toscla aveva cambiato nome in Anderith. Infatti Zedd aveva rischiato di essere tirato giù a forza da un uomo che lo aveva accusato di usare il vecchio nome del regno come se fosse un insulto. Fortunatamente a Spider non importava nulla della sensibilità tipicamente umana alle parole ed era stata ben contenta di lanciarsi al galoppo. Zedd era vulnerabile ma, pur avendo una certa età si era rassegnato a viaggiare a piedi. Tre giorni dopo aver lasciato il Popolo del Fango, la fortuna gli fu propizia e incappò in un uomo che si dimostrò essere un procacciatore d'affari. Quell'uomo faceva spesso la spola tra i clienti e viaggiava con diversi cavalli al seguito. Poteva permettersi di rinunciare a uno dei cavalli e dopo aver sentito l'offerta di Zedd fu ben contento di cedergli Spider. Un viaggio che Zedd aveva previsto essere lungo a faticoso si rivelò invece piuttosto breve e per nulla spiacevole, bastava che non si mettesse a pensare a cosa poteva fare una volta giunto ad Anderith. Zedd aveva indossato un abito marrone e nero con sbuffi argentati sui polsini, il colletto dorato e una cintura di velluto rosso. L'abito, insieme alla storia di essere un mercante di frutta che si stava recando a Fairfield per affari, gli aveva permesso di superare facilmente la frontiera. A giudicare dal comportamento dei soldati alla frontiera, era ovvio che gli abitanti di Anderith avessero fin troppa fiducia nel Dominie Dirtch. Era passato molto tempo dall'ultima volta che si era recato in quel regno. Allora Anderith era difeso da un esercito formidabile e ben addestrato che non aveva nulla a che fare con il manipolo di soldati resi ignoranti dalla troppa fiducia che aveva visto in quei giorni. Zedd notò che Spider piegava le orecchie in direzione della casa in fondo al vicolo. La cavalla era tesa e allerta. Zedd pensò che la bestia poteva avvertire la magia. Anch'io potevo farlo fino a qualche tempo fa, pensò. Dopodiché fece un cenno con la mano per allontanare quel pensiero. Il vecchio mago carezzò Spider ancora per qualche attimo per rassicurarla, le ripeté di attendere e si incamminò lungo il vicolo. Lo alte tavole dello steccato tenevano lontana gran parte della luce, ma Zedd vide che lungo il vialetto crescevano una buona varietà d'erbe molte delle quali erano rarissime e rifiutavano la luce. Non sembrava che avessero un aspetto sano. Zedd salì tutti e tre i gradini senza saltarne uno. Se la persona che abitava oltre la porta alla quale stava per bussare era quella che lui sperava, allora era meglio non dare l'impressione di volersi avvicinare in maniera furtiva, altrimenti avrebbe potuto rivelarsi un gravissimo errore. Diede un'occhiata dalla finestra e vide che dentro era tutto buio. Non avvertiva nessuno sguardo indagatore, ma sospettava che ci fossero un paio d'occhi che lo stavano valutando. Non aveva bisogno della magia per giungere a quella conclusione, il buon senso era più che sufficiente. Diede un'ultima occhiata dietro di lui e vide che Spider lo fissava allerta con le orecchie tese in avanti. La cavalla emise un basso nitrito. Zedd bussò alla porta che si aprì senza che ci fosse nessuno dietro. «Entra» lo invitò una voce dall'ombra «e dimmi perché sei qua.» Zedd entrò. La luce che penetrava dalla porta non illuminava più di tanto la stanza avvolta nel buio. Non vedeva nessun mobile, solo il pavimento che si perdeva nell'oscurità che proteggeva la donna. Il vecchio mago si girò, fissò la parte superiore della porta per qualche attimo, quindi la indicò con un dito ossuto. «Bel trucco. Usi una corda per aprire la porta mentre sei lontana. Fa sempre un certo effetto.» «Chi sei tu per tentare la mia ira?» «Tentare la tua ira? O no, mia cara. Hai sbagliato tutto. Sto cercando un'incantatrice.» «Stai attento ai tuoi desideri, straniero. Alle volte i desideri si avverano in maniera piuttosto spiacevole. Dimmi come ti chiami.» Zedd fece un inchino teatrale. «Zeddicus Zu'l Zorander.» Inclinò la testa di lato. «Il Primo Mago.» La donna avanzò nella luce con passo incerto e sguardo attonito. «Primo Mago...» Zedd sfoggiò un sorriso disarmante. «Franca Gowenlock, spero?» La donna rimase a bocca aperta e riuscì solo ad annuire. «Guarda, quanto sei cresciuta.» Zedd portò una mano alla cintura. «L'ultima volta che ti ho vista mi arrivavi qua.» Sorrise, sinceramente ammirato. «Mi sembra che tu sia diventata una donna molto bella.» Franca arrossì e si toccò i capelli. «Ho i capelli grigi.» «Non fanno altro che valorizzarti, davvero.» Non la stava adulando. Era veramente una donna attraente. I capelli quasi lunghi fino alle spalle incorniciavano un volto dai lineamenti orgogliosi e la spruzzata di grigio non faceva altro che aumentare una bellezza già matura. «E tu...» «Eh, già» sospirò Zedd. «Lo so. Non sono del tutto sicuro di quando sia successo, ma un giorno sono diventato vecchio.» La donna fece un passo avanti sorridendo, alzò i lembi del vestito e fece un profondo inchino. «Sono onorata che il Primo Mago sia venuto in visita alla mia umile dimora.» Zedd agitò una mano in aria. «Ah, piantala. Siamo vecchie conoscenze. Zedd andrà benissimo.» Franca si drizzò. «Zedd, allora. Stento a credere che il Creatore abbia risposto alle mie preghiere in maniera tanto diretta. Oh, come vorrei che mia madre fosse ancora viva.» «Anche lei era una bella donna. Che gli spiriti buoni veglino sulla sua anima.» Franca, raggiante, chiuse tra le mani il volto di Zedd. «E tu sei bello come ricordavo.» «Trovi?» Zedd drizzò le spalle. «Grazie Franca. Cerco di avere cura di me. Mi faccio il bagno regolarmente e cose simili... alle volte aggiungo olii ed erbe particolari nell'acqua. Credo che siano quelli ad aver reso la mia pelle ancora elastica.» «Oh, Zedd, non puoi immaginare quanto sia felice di vederti. Sia ringraziato il Creatore.» Gli occhi dell'incantatrice si riempirono di lacrime. «Ho bisogno di aiuto, Primo Mago.» Zedd le prese le mani. «Strano che tu lo dica.» «Tu una volta hai aiutato mia madre e ora ti chiedo di aiutare me. Il mio potere è svanito. Ho consultato tutti i libri di stregoneria, incantesimi e magia che ho, ma non ho trovato nulla di utile. Ho dovuto ricorrere al trucco della corda per aprire la porta per fare in modo che la gente continui a stare attenta a come si comporta con me. «Sono molto preoccupata. Ormai non dormo quasi più. Ho provato a...» «I rintocchi sono liberi.» La donna batté le palpebre. Anche la casa sembrò tendere un orecchio e trattenere il respiro come la donna che l'abitava. «Cosa hai detto?» «I rintocchi sono liberi.» «No!» esclamò Franca, visibilmente scioccata. «No, non credo che siano loro. Forse è il sangue che si riscalda. Forse si tratta di un sortilegio minore che mi è stato lanciato addosso da una donna di poco talento, ma molto ambiziosa. Non ho mai cercato di pestare i piedi a nessuno, ma un tempo...» Zedd la prese per le spalle. «Franca, sono venuto qua nella speranza che tu mi possa aiutare. La Madre... mia nuora... a liberato senza volerlo i rintocchi mentre stava compiendo una magia per salvare la vita di mio nipote. «Sono venuto fin qua perché ho bisogno del tuo aiuto. Anche il mio dono è scomparso. Il mondo dei vivi corre un pericolo terribile. Non ho bisogno di spiegare a una donna del tuo talento le conseguenze di un simile evento. Dobbiamo vedere se siamo in grado di fare qualcosa per bandire i rintocchi. Sono venuto qua in veste di Primo Mago e come tale richiedo il tuo aiuto.» «Tuo nipote? Sta... è sopravvissuto alla prova? Si è ripreso?» «Sì, ci è riuscito grazie all'aiuto di sua moglie.» Franca appoggiò un unghia contro i denti lasciando vagare lo sguardo intorno per un attimo. «Sono contenta che sia sopravvissuto, ma questo significa che i rintocchi hanno attraversato il velo...» La donna aggrottò la fronte. «Tuo nipote hai detto? Ha il dono?» «Sì» rispose semplicemente Zedd, mentre un migliaio di pensieri gli balenavano nella mente. Franca sorrise ed entrò in azione. Aprì le tende, prese Zedd per un braccio e lo portò vicino a un tavolo, aprì un'altra tenda e la luce del sole illuminò la Grazia d'argento incastonata nel piano in mogano del tavolo. Gli fece cenno di accomodarsi e mentre Zedd si sedeva, Franca prese due tazze, le riempì di tè e ne offrì una all'ospite. Si sedette e disse: «Sospetto che ci sia dell'altro.» Zedd sospirò. «C'è molto di più, ma abbiamo pochissimo tempo.» «Ti dispiacerebbe spiegarmi qualcosa?» «Allora.» Zedd bevve un sorso di te. «Ti ricordi il D'Hara?» La tazza di Franca si fermò a metà strada dalle labbra. «E come potrei non ricordarmi il D'Hara?» «Mia figlia era la madre di Richard... Richard è il nome di mio nipote. Ma, mio nipote fu concepito in seguito a uno stupro.» «Mi dispiace» disse Franca. «Ma tutto questo cosa ha a che fare con il D'Hara?» «L'uomo che la stuprò fu Darken Rahl del D'Hara.» Le mani di Franca cominciarono a tremare visibilmente e lei dovette posare la tazza per evitare di versarne il contenuto. «Vuoi dirmi che tuo nipote è nato da due linee di maghi... ed è lo stesso lord Rahl che sta chiedendo la resa incondizionata di tutti i regni delle Terre Centrali?» «Proprio lui.» «E questo tuo nipote, lord Rahl, sarebbe quello che si dovrebbe sposare con la Madre Depositaria?» «È stata una bella cerimonia» disse Zedd. «Particolare, ma decisamente piena di stile.» Franca portò le mani alla fronte. «Dolci spiriti, questo sì che è un bel boccone da ingoiare.» «Ah, mi ero dimenticato di dirti che è anche un mago guerriero... scusa. È nato con entrambi gli aspetti del dono.» «Cosa?» disse Franca alzando la testa. «Sai cosa intendo, no? La Magia Detrattiva e quella Aggiuntiva.» «So cosa vuol dire 'entrambi gli aspetti'.» «Oh.» Franca deglutì. «Aspetta un minuto. I rintocchi... vuoi dire che è stata la Madre Depositaria a richiamarli?» «Be', lei...» La donna si alzò di scatto facendo raschiare la sedia contro il pavimento. «È il lord Rahl che... dolci spiriti, la Madre Depositaria ha votato l'anima di lord Rahl - un mago guerriero con entrambi gli aspetti del dono - ai rintocchi?» «Non è brutta come sembra. Lei non sapeva nulla dell'incantesimo e non ha agito in maniera intenzionale. È una brava persona e non farebbe mai una cosa simile in maniera deliberata.» «Deliberata o no se i rintocchi si impossessano di lui...» «Li ho spediti entrambi in un luogo sicuro... dove i rintocchi non potranno prenderli. Di quello, almeno, non dobbiamo preoccuparci.» Franca sospirò sollevata. «Sia lode al Creatore.» Zedd bevve un altro sorso di tè. «Comunque continuiamo a rimanere privi del nostro potere, in un mondo privo di magia che si trova sull'orlo della catastrofe. Come ti ho detto: ho bisogno d'aiuto.» Franca si abbandonò sulla sua sedia. Zedd annuì, sorrise, le disse che il tè era ottimo e che doveva berne un po' anche lei. «Zedd credo che l'unico che possa darti una mano sia il Creatore in persona. Cosa pensi che possa fare? Sono solo una maga qualunque che esercita in un regno lontano. Perché sei venuto qua?» Zedd socchiuse gli occhi e indicò con un dito. «Cosa nascondi con quella fascia al collo?» La donna carezzò la fascia. «Una cicatrice. Ti ricordi la Stirpe dei Fedeli?» Zedd annuì. «Be', ci sono uomini simili in quasi tutti i regni. Uomini che odiano la magia e che credono che le persone con il dono siano le responsabili di tutte le disgrazie che succedono.» «Ogni regno ha i suoi zeloti.» «Già, e lo zelota di questo regno si chiamava Serin Rajak. È il classico malvagio vendicativo. Ha un talento particolare per esprimere le sue fru- strazioni in modo da infiammare gli animi di quelli che lo ascoltano e coinvolgerli nelle sue folli crociate.» «E voleva ucciderti per ripulire il mondo?» «Me e quelli come me.» Abbassò la fascia mostrando la cicatrice. «Mi appese per il collo mentre lui e i suoi seguaci cominciarono ad accatastare legna sotto i miei piedi. Prova un'attrazione particolare per i roghi. Pensa che purghino il mondo dalla magia... e impediscano a quelli come noi di far ritorno dal mondo dei morti. Zedd sospirò. «Non finirà mai. Però, mi sembra che tu l'abbia convinto a lasciarti in pace.» Franca sorrise. «Gli è costato un occhio.» «Non posso dire che ti biasimo.» «È successo molto tempo fa.» Zedd cercò di cambiare argomento. «Penso che tu abbia sentito della guerra contro il Vecchio Mondo?» «Certo. C'è un inviato dell'Ordine Imperiale che è venuto a parlare con i nostri politici.» Zedd si raddrizzò. «Cosa? L'Ordine ha mandato dei suoi rappresentanti fin qua?» «Proprio così. Ci sono alcuni personaggi del governo che ascoltano con un certo interesse quegli argomenti. Temo che l'ordine stia facendo loro delle offerte. E temo che la cosa stia andando avanti da un certo tempo.» Lo osservò da oltre il bordo della tazza. Sembrava che stesse pensando se fosse saggio aggiungere altro. «Certe persone hanno cominciato a pensare di mandare un messaggio alla Madre Depositaria, per chiederle di venire a investigare.» «Con i rintocchi in circolazione, anche lei ha perso tutti i suoi poteri. Finché non troverò il modo di rimandarli da dove sono venuti, neanche la Madre Depositaria potrà aiutarci.» «Nel frattempo potrebbero occuparsene le autorità del regno.» «Chi pensi avrebbe voglia di mettersi contro l'ufficio del ministero della Cultura?» gli chiese Franca, posando la tazza. «I direttori» azzardò Zedd. La maga fece volteggiare la tazza su se stessa. «Forse.» Vedendo che Zedd non diceva nulla, Franca si decise a continuare. «Ad Anderith si fa quello che si può per tirare avanti.» «C'è sempre qualcuno che ama la verità.» Zedd si abbandonò contro lo schienale. «Alla fine sarà tutto inutile: Anderith dovrà unirsi a Richard e al nuovo impero d'hariano se vuole resistere all'invasione dell'Ordine Imperiale.» Zedd bevve un altro sorso. «Ti ho detto che Richard è anche il Cercatore di Verità?» Franca alzò lo sguardo. «No.» «Richard non permetterà che ci siano dei membri del governo in combutta con l'Ordine. Lui e la Madre Depositaria metteranno fine agli accordi sottobanco. Questo è uno dei motivi per i quali è stato costretto a prendere il potere in quel modo. Vuole consolidare il potere con leggi giuste e trasparenti.» «Leggi giuste.» Franca pensò per qualche attimo. Sembrava una bambina che sognava a occhi aperti. «Questo è un regno prosperoso, Zedd. Gli Ander se la passano bene. Se fossero gli Haken ad ascoltare l'Ordine Imperiale, potrei capirli, perché avrebbero una causa per la quale combattere, ma sono gli Ander a comandare e ascoltare.» Zedd contemplò il tè. «Alle volte la gente si indispone tantissimo nel vedere che un altro popolo è libero quanto loro. In un certo senso i governanti sono come quel Serin Rajak che odia tanto la magia, solo che loro disprezzano la libertà e si divertono solo nel perpetuare la miseria.» Zedd cercò di cambiare discorso. «Allora, Franca, hai un marito o il più bell'uomo del mondo ha ancora una possibilità di corteggiarti?» Franca sorrise prima di parlare. «Il mio cuore appartiene a qualcuno...» Zedd le strinse le mani. «Ottimo.» La donna scosse la testa e il sorriso scomparve. «No. È sposato e non mi posso permettere di mostrare i miei veri sentimenti. Mi odierei per sempre se per colpa mia dovesse lasciare la sua bellissima moglie e prendere una vecchia come me. Non oso neanche fargli capire i miei sentimenti.» «Mi dispiace, Franca» disse Zedd, sincero. «La vita... o forse sarebbe meglio dire l'amore, a volte sembra così ingiusto. Almeno adesso, ma chissà... forse... un giorno...» «Zedd, sono lusingata che tu sia venuto da me e che ti ricordi ancora il mio nome, ma non riesco ancora a capire come posso aiutarti. Tu sei molto più potente di me. O almeno lo eri.» «A dire il vero, non sono venuto a qua a chiederti il tipo di aiuto che pensavi. Sono venuto qua perché da giovane ho letto che Toscla... Anderith era il luogo nel quale furono seppelliti i rintocchi.» «Davvero? Non lo sapevo. E dove?» Zedd allargò le mani. «Speravo che fossi tu a dirmelo. Sei l'unica persona che conosca da queste parti, quindi sono venuto subito da te in cerca d'aiuto.» «Mi dispiace, Zedd, ti ripeto, non sapevo neanche che i rintocchi fossero stati seppelliti in questo regno.» Sorseggiò il tè, pensierosa. «Comunque, se come dici, i rintocchi non possono impossessarsi dell'anima di tuo nipote, allora c'è la possibilità che possano tornare nell'aldilà. Forse non dovremo fare nulla e limitarci ad aspettare.» «Sì, hai ragione, è una possibilità, ma devi anche tenere in conto la natura del mondo sotterraneo.» «Sarebbe a dire?» Zedd tamburellò con un dito sulla Grazia. «Qua, nel punto in cui termina la vita, inizia il mondo sotterraneo.» Fece scivolare la mano oltre il bordo del tavolo. «Oltre c'è solo l'eternità. Il tempo non ha alcun significato in quella dimensione. Può esserci un principio quando attraversiamo il confine, ma non c'è nessuna fine. Il tempo ha significato solo nel mondo dei vivi. «I rintocchi sono stati evocati da quel luogo senza tempo il che vuol dire che il tempo non conta nulla. «Forse hai ragione, non riuscendo a ottenere l'anima per la quale è stato richiesto il loro aiuto, c'è la possibilità che tornino indietro. Potrebbero decidere in un istante e tornare da dove sono venuti, ma quello che loro concepiscono come istante per noi potrebbe essere un millennio. In quel lasso di tempo potrebbero portare morte e distruzione. Potrebbero rimanere su questo piano d'esistenza per diecimila anni e per loro non cambierebbe nulla... anche perché non hanno l'anima e non sanno cosa sia la vita.» «Capisco le tue paure» concesse Franca, alzando un dito. «Ma, sempre seguendo il tuo ragionamento, potrebbero sparire anche oggi... anche adesso, mentre stiamo parlando perché provano una grandissima frustrazione per il fatto di trovarsi in un mondo legato al tempo. Dopotutto, l'anima che stano cercando, si fermerà in questo mondo per poco tempo e loro devo inseguirla e catturarla mentre ha ancora un corpo.» «Sono degli ottimi argomenti, ma quanto tempo dovremo attendere? A un certo punto la magia sarà danneggiata a tal punto che non potremo più tornare indietro. Ci sono delle creature che in questo momento staranno morendo. Quanto tempo ci vorrà prima che spariscano del tutto? «Ho visto i tuoi fiori che appassivano.» Zedd arcuò un sopracciglio. «Quanto tempo ci vorrà prima che la magia delle falene-baro venga meno? E si i raccolti dovessero diventare velenosi?» Franca distolse lo sguardo, preoccupata. Zedd non la conosceva bene, quindi non aggiunse che senza la magia Jagang e l'Ordine Imperiale sarebbe stato solo più potente. Senza la magia dalla parte del D'Hara ci sarebbero state un mucchio di morti mutili. «Franca, siamo i guardiani del velo, i protettori delle creature magiche indifese e i rappresentanti della magia per il genere umano, quindi dobbiamo agire in fretta. Non sappiamo quando il nostro aiuto diventerà inutile.» La maga annuì pensierosa. «Hai ragione, certo. Perché hai bisogno di sapere dove sono stati sepolti i rintocchi? A cosa ti servirebbe?» «Per rimandarli indietro, anche in passato deve essere stato necessario infrangere il velo. Un simile contro incantesimo deve essere stato per forza bilanciato da un incantesimo ancillare per permettere il loro ritorno nel mondo dei vivi. L'incantesimo di ritorno deve essere stato una formula molto breve... un'invocazione di tre... o qualcosa di simile, ma questo non importa. L'incantesimo per bandire i rintocchi non poteva esistere senza un sorta di meccanismo di ritorno, altrimenti non ci sarebbe equilibrio.» Zedd fece scorrere lentamente il dito intorno al bordo della tazza. «Da quello che so in materia, io credo che i rintocchi possano tornare nel mondo dei vivi solo quando si siano verificate determinate condizioni ed esclusivamente attraverso il cancello dal quale sono stati banditi. Ecco perché sono tornato qua.» La donna rifletté per qualche secondo. «Sì, mi sembra sensato. Il cancello, ovunque si trovi, dovrebbe essere aperto.» «Non sai dove sono stati seppelliti i rintocchi, però potresti darmi altre indicazioni.» «Dove potremmo guardare? Hai pensato a un posto in particolare?» Zedd bevve un sorso di tè e posò la tazza. «Forse potresti aiutarmi a entrare nella biblioteca.» «La Biblioteca della Cultura? Nel palazzo del ministero della Cultura?» «Proprio quella. È la dentro che tengono i testi più antichi. O almeno una volta era così. Visto che i rintocchi furono banditi qua ad Anderith, nella biblioteca potrebbero esserci delle informazioni utili. Forse potrei scoprire dove sono stati banditi, e quindi dove si trova il cancello.» «Conosci i titoli dei libri che potrebbero interessarti? Forse so quali sono.» «Non so se esistono simili testi o dove possono essere. Vorrei comincia- re con il dare un'occhiata a quei volumi e vedere quello che scopro.» La donna si sporse in avanti. «Zedd, là dentro ci sono migliaia di volumi.» «Lo so. Ci sono già stato.» «E una volta che trovi il libro che cita il posto?» Zedd scrollò le spalle. «Un passo alla volta.» Se non fosse riuscito a trovare un incantesimo per bandirli, aveva un'idea su quello che poteva essere fatto, ma doveva trovare il luogo nel quale i rintocchi erano stati seppelliti. Anche se avesse trovato le informazioni che gli servivano e l'incantesimo fosse stato molto semplice, non aveva più la magia per risolvere il problema, ma poteva sempre ricorrere a misure drastiche e disperate. «Allora? Posso entrare nella Biblioteca della Cultura?» «Penso di poterti aiutare. Sono una Ander molto conosciuta nel palazzo del ministro e posso entrarvi. Non è da tutti, sai? Le autorità hanno alterato la storia a tal punto che quelli che ne hanno vissuto un pezzo stentano a riconoscere il passato e tanto meno si fidano di quello che è stato loro raccontato riguardo la storia antica.» Rifletté ancora qualche attimo poi sorrise e chiese: «Quando vuoi andare?» «Prima andiamo, meglio sarà per tutti.» «Pensi di riuscire a spacciarti per uno studioso?» «Pensi di riuscire a spacciarmi per qualunque persona talmente bene al punto che potrei dimenticarmi come mi chiamo?» 47 «Siete gentilissima!» esclamò Zedd fingendosi deliziato mentre la donna posava il grosso volume sul tavolo illuminato da una lampada. «Adesso sono sicuro. Non ho più dubbi a riguardo. Signorina Firkin, siete uno spirito buono che è venuto ad assistermi.» La donna arrossì assumendo un'espressione simile a quella di una ragazzina. «È il mio lavoro, mastro Rybnik.» Si chinò vicino all'orecchio della donna e sussurrò: «A me piace che le belle donne mi chiamino Ruben.» Quando era necessario, Zedd ricorreva al nome di Ruben Rybnik perché pensava che fosse bello. Aveva sempre condotto una vita di privazioni e di tanto in tanto si permetteva qualche stravaganza per mantenere un certo equilibrio e qualcosa di semplice come usare il nome di Ruben Rybnik, soddisfaceva tale bisogno. La donna batté le palpebre senza rendersi conto del complimento. Zedd lo trovò sorprendente visto che era carina quanto bastava da avere abbastanza pretendenti per tutta la vita. Zedd si sforzò di essere più chiaro. «Quindi, signorina Firkin, preferisco che mi chiamiate Ruben.» Lei lo fissò con sguardo piatto, poi comprese quanto le era stato detto e scoppiò in un risolino. Gli altri lettori della biblioteca alzarono gli occhi dai tavoli e Zedd notò che diversi sguardi si girarono verso di loro. La signorina Firkin portò una mano alla bocca diventando rossa in volto. «Ruben.» Ridacchiò di nuovo. Si diede un'occhiata intorno, quindi si avvicinò all'orecchio del mago. «Vedetta.» «Ah, Vedetta. Che nome bellissimo» la lusingò Zedd. La donna si allontanò attraversando la gigantesca sala che occupava il piano inferiore della Biblioteca di Anderith. Zedd aveva osservato il sole che tramontava. Alcuni inservienti avevano acceso le lampade per coloro che preferivano divorare le parole piuttosto che la cena. Zedd tirò di fronte a sé il grosso volume che Vedetta Firkin aveva trovato per lui. Gli diede una rapida occhiata e capì immediatamente che non era quello che stava cercando, comunque lo aprì per far vedere che lo interessava parecchio. Il libro che stava leggendo veramente era quello che aveva posato a destra in alto sul tavolo e anche se aveva la testa bassa, poteva ancora girare gli occhi verso destra e leggere quello che lo interessava in modo da ingannare chiunque gli fosse passato vicino. C'erano così poche persone in giro a quell'ora nella biblioteca. Aveva già attirato l'attenzione di tutti con un'entrata spettacolare durante la quale si era fermato sulla porta dichiarando ad alta voce di avere una ipotesi di leggi riguardante la responsabilità dei fornitori di merci di secondo rango nei confronti dei firmatari di accordi commerciali annullati da clausole concernenti atti della Creazione non specificatamente specificate nel sottotesto, ma implicite nella legge comune di antichi principi commerciali. Lui sosteneva di essere in grado di provare tutto questo scovando degli esempi di leggi razionali e studiando la storia del diritto di Anderith. Nessuno aveva avuto abbastanza coraggio da controbattere le sue affermazioni. Tutti nella libreria furono contenti di lasciarlo alla sua ricerca. A Zedd era tornata utile Franca perché era ben conosciuta nella biblioteca. Era tardi e le persone che mandavano avanti la biblioteca volevano anda- re a casa, ma temevano di incorrere nell'ira di una persona che aveva una conoscenza tanto approfondita della legge. Altre persone ne approfittarono per attardarsi un po' e Zedd non sapeva se stavano studiando o lo stavano tenendo d'occhio. Franca sedeva dall'altra parte del tavolo per lasciare spazio ai libri aperti di fronte a loro due. Consultava i volumi e di tanto in tanto gli faceva vedere delle cose che potevano essere interessanti. Franca era in gamba e gli indicava dei passi che pochi altri avrebbero potuto capire e di poco uso pratico. Zedd non era esattamente sicuro di quello che stava cercando, ma era certo di non averlo ancora trovato. Qualcuno gli toccò una spalla e lui sussultò. «Scusa» sussurrò Vedetta. Zedd sorrise. «Tutto a posto, cara Vedetta.» Arcuò le sopracciglia. «Oh.» La donna infilò una mano nella tasca del grembiule. «L'ho trovato.» «Cosa?» sussurrò Zedd. La donna si avvicinò ulteriormente abbassando ancora di più la voce. Zedd notò che Franca li osservava continuando a tenere la testa china su un libro. «Di solito non viene mostrato a tutti. È un libro molto prezioso e raro.» Il volto di Vedetta divenne nuovamente rosso. «Ma tu sei un uomo speciale, Ruben, sei così intelligente che sono andata a prenderlo nei sotterranei per mostrartelo, ma solo per un minuto.» «Davvero, Vedetta? Sei gentilissima. Di cosa si tratta?» «Non lo so con esattezza, ma apparteneva a Joseph Ander in persona.» «Davvero» disse Zedd, strascicando. La donna annuì decisa. «La Montagna.» «Cosa?» «La Montagna. È così che lo chiamavano alcune persone del suo tempo. Quando non ho nulla da fare, a volte mi metto a leggere dei testi antichi... per imparare qualcosa di più sul nostro antenato, Joseph Ander. Così sono giunta alla conclusione che alcuni personaggi del suo tempo lo chiamavano Montagna.» Zedd non distoglieva gli occhi dalla mano che usciva dal grembiule, ma quando vide che si trattava di un libricino rimase molto deluso. Un attimo dopo comprese quello che stava osservando e il cuore mancò un battito. Era un libro di viaggio. Aveva anche lo stilo. Zedd si umettò le labbra, mentre la donna glielo porgeva tenendolo con entrambe le mani. Zedd posò un dito sul labbro inferiore. La bibliotecaria non aveva nessuna intenzione di lasciare in mano sua un libro tanto importante, non importa se lui era un grande studioso. Vicino alla porta che dava accesso ai sotterranei due guardie sorvegliavano la sala senza prestare molta attenzione a Zedd. «Posso guardare dentro, Vedetta?» le chiese, sussurrando. «Be'... credo che non ci sia nulla di male.» La donna aprì con molta cautela la copertina. Era un libro antichissimo ma, proprio come quello di Ann, sembrava essere stato rilegato il giorno prima. Molto probabilmente l'ottimo stato di conservazione era da imputare all'incantesimo che avvolgeva quel tipo di libri e alla cura con la quale le Sorelle li usavano. Nella biblioteca gli rivolgevano lo stesso tipo d'attenzioni. Zedd smise di respirare. Montagna. Aveva capito tutto. Il gemello della Montagna era l'altro libro di viaggio. Tutti i pezzi del rompicapo andarono al loro posto. Il gemello della Montagna era stato distrutto ed era molto probabile che con esso fosse anche scomparso il sistema per bandire i rintocchi. Ma, se quello era il libro di viaggio di Joseph Ander, allora dovevano esserci le stesse parole... sempre che non fossero state cancellate con lo stilo. Il vecchio mago fissava incantato Vedetta Firkin che girava la prima pagina. Un mago di tremila anni prima gli stava per parlare. Zedd osservò le parole nella pagina che seguì, ma per quanto si sforzasse di interpretarle si rese conto che non avevano nessun senso per lui. Pensò che Ander avesse usato un incantesimo per impedire a occhi indesiderati di leggere quanto aveva scritto. No, non era così, inoltre la magia stava scomparendo, quindi anche l'incantesimo. Studiò quel linguaggio ancora per qualche istante e si rese conto che non riconosceva neanche una parola. Comprese che si trattava di D'Hariano Alto. Il cuore di Zedd mancò nuovamente un colpo. Richard era l'unico a conoscere quella lingua antica e dimenticata. Il vecchio mago non aveva dubbi sul fatto che il nipote lo sapesse, ma lui era a migliaia di chilometri di distanza, sulla strada per Aydindril e non avrebbe potuto raggiungerlo. I bibliotecari non gli avrebbero mai permesso di portarlo via. «Che oggetto carico di gloria e storia» disse Zedd, mentre osservava le pagine che scorrevano sotto i suoi occhi. «Hai ragione» concordò la bibliotecaria, con un tono colmo di riverenza. «Alle volte scendo nei sotterranei e mi siedo a guardare le opere scritte da Joseph Ander e immagino le sue dita che girano le pagine. Mi vengono i brividi» gli confidò. «Anche a me» disse Zedd. La donna sembrò contenta di sentire che qualcuno condivideva le sue emozioni su quell'argomento. «È un vero peccato che nessuno sia mai stato in grado di tradurli. Non abbiamo neanche idea di quale lingua si tratti. Ci sono alcuni studiosi che sospettano che si tratti di un antico codice usato dai maghi. «Joseph Ander era un mago» gli confidò la donna, abbassando ancora di più il tono di voce. «Non tutti lo sanno, ma è così. Ander era un uomo davvero grande.» Zedd si chiese come potessero sostenere che era un grande se non sapevano neanche quello che aveva scritto, ma poi si rese conto che quello era uno dei motivi per il quale lo consideravano un grande. «Un mago» ripeté Zedd. «Uno potrebbe pensare che un mago volesse far conoscere il suo pensiero.» Vedetta agitò un dito in segno di diniego. «Oh, tu non sai nulla sui maghi, Ruben. Sono personaggi misteriosi.» «Suppongo che tu abbia ragione» disse in tono assente Zedd cercando al tempo stesso di carpire qualche parola che per lui avesse un senso mentre le pagine scorrevano sotto i suoi occhi. Niente. «Io, però» gli confidò Vedetta, mentre lanciava delle rapide occhiate a destra e sinistra «ho capito queste.» Batté un dito sul fondo della pagina. «Sono riuscita a decifrare queste due parole, quasi per caso.» «Davvero?» Zedd socchiuse gli occhi. «Fuer Owbens.» Fissò gli occhi eccitati della donna. «Tu sai cosa significhino queste parole con esattezza o ti basi su delle supposizioni?» La donna aggrottò la fronte seria. «Conosco il loro vero significato. Un giorno stavo leggendo un libro intitolato il Dominio di stagno dove ci sono le stesse due parole con la traduzione di fianco. Riguardava...» «Cosa significano questi due termini?» La donna gli avvicinò le labbra all'orecchio. «I Forni.» Zedd girò la testa e la fissò negli occhi. «I Forni?» Vedetta annui. «Proprio così: i Forni.» Zedd aggrottò la fronte. «Hai qualche idea di cosa significhi?» Vedetta chiuse di scatto il libro di viaggio. «No, mi dispiace.» Si raddrizzò. «Si sta facendo tardi, Ruben. Le guardie mi hanno detto che dopo averti mostrato il libro bisognava chiudere.» Zedd cercò di nascondere la sua delusione. «Certo. Tutti vogliono andare a casa a mangiare e dormire.» «Ma tu puoi tornare domani, Ruben. Mi piacerebbe aiutarti ancora.» Zedd si stava carezzando un labbro con il dito cercando di mettere insieme tutte le cose che aveva appreso fino a quel momento, ma gli sembrava che non servissero a nulla. «Cosa?» Alzò lo sguardo. «Cosa hai detto?» «Ho detto che spero che torni domani. Mi piacerebbe aiutarti di nuovo.» Sorrise timida. «Per me sei come una sfida. Ci sono poche persone che consultano i testi antichi come fai tu. Io penso che sia una vergogna. La gente di oggi non rispetta più la conoscenza del passato.» «Hai perfettamente ragione» concordò Zedd, serio. «Domani tornerò con molto piacere, Vedetta.» La bibliotecaria arrossì in viso. «Forse... se vuoi, potresti venire a cena da me?» Zedd sorrise. «Mi piacerebbe, Vedetta, sei una donna gentilissima, ma temo non sia possibile. Sono ospite di Franca e dobbiamo tornare a Fairfield per discutere dei risultati delle nostre ricerche. Il mio progetto di legge, ricordi?» La donna sembrò delusa. «Capisco. Be', spero di rivederti domani.» La bibliotecaria fece per girarsi, ma Zedd la prese per un braccio e la fermò. «Che ne dici se facciamo domani, Vedetta? Sempre che l'offerta sia ancora valida.» Un sorriso radioso apparve sulle labbra della bibliotecaria. «Domani è ancora meglio. Così avrò modo di... domani andrà benissimo. Domani sera mia figlia esce e sono sicura che ci gusteremo una cenetta buonissima. «Mio marito è morto sei anni fa» aggiunse, giocherellando con il colletto dell'abito. «Era un brav'uomo.» «Ne sono sicuro.» Zedd si alzò in piedi e fece un profondo inchino. «A domani, allora.» Alzò un dito. «E grazie per avermi mostrato quel libro del sotterraneo. È stato un vero onore.» La donna si girò sorridendo. «Buonanotte, Ruben.» Zedd agitò le dita in segno di saluto e la gratificò con un sorriso. Appena la donna scomparve tra gli scaffali, Zedd si girò e fece un cenno a Franca. «Andiamo.» Franca chiuse i libri, si alzò prese il braccio che le offrì Zedd e insieme scesero le scale. La balaustra di quercia lucida finemente lavorata rifletteva la luce delle lampade che illuminavano la scalinata. «Hai avuto fortuna?» gli chiese Franca quando fu abbastanza sicura da essere lontana da orecchie indiscrete. Zedd si guardò alle spalle per assicurarsi che nessuno fosse troppo vicino. C'erano tre individui che il vecchio mago riteneva sospetti, ma erano molto lontani e stavano mettendo a posto le loro cose prima di uscire. A quella distanza non rappresentavano un problema, sempre che non avessero il dono... Ma la magia non funzionava più per nessuno, quindi non doveva temerli. Uno dei piccoli vantaggi di quella situazione. «No» sussurrò Zedd rassegnato. «Non ho trovato nulla.» «Cos'era il libretto che la bibliotecaria ti ha portato dai sotterranei? Quello che non ti ha fatto tenere in mano?» «Niente di utile. Era scritto in D'Hariano Alto.» Si guardò intorno con la coda dell'occhio. «A meno che tu non lo conosca.» «No, l'ho solo visto un paio di volte.» Zedd sospirò. «Quella donna conosceva il significato di due parole: 'I Forni'.» Franca si fermò. «I Forni?» Zedd aggrottò la fronte. «Sai cosa significa?» Franca annuì. «È un posto. Non sono in molti a conoscerlo tra la gente comune, ma quelli che hanno il dono sanno dove si trova. Mia madre mi portò lassù una volta.» «Che razza di posto è?» Franca dovette andare a rovistare tra i ricordi per qualche attimo. «... È un luogo incredibilmente caldo. Una caverna. Puoi sentire il potere... la magia... in quella caverna, ma non c'è nient'altro.» «Non capisco.» Franca scrollò le spalle. «Neanche io. C'è qualcosa là dentro, ma si tratta di qualcosa che solo quelli con il dono possono apprezzare. Ti dà qualcosa di simile a... non saprei. Quando sei vicino a quel luogo sei attraversato come da una sorta di brivido di potere. Quelli che non hanno il dono non sentono nulla. «È un luogo che noi con il dono teniamo segreto. Non sappiamo cosa ci sia lassù, quindi preferiamo non correre rischi.» «Devo andare a vedere quel posto. Possiamo andare adesso?» «Si trova sulle montagne a diversi giorni di viaggio da qua. Se vuoi possiamo partire domani mattina.» Zedd rifletté per qualche attimo. «No, credo che andrò da solo.» Franca sembrò offesa, ma lui non sapeva a cosa stava andando incontro e non voleva che la donna corresse rischi inutili. Inoltre, non poteva dire di conoscere a fondo l'incantatrice e non sapeva se poteva fidarsi di lei. «Ascolta, Franca, potrebbe essere pericoloso e non mi perdonerei mai se ti succedesse qualcosa. Mi hai già dedicato troppo tempo... hai già rischiato abbastanza.» Le sue parole sembrarono farla sentire meglio. «Credo che qualcuno dovrà dire a Vedetta che domani non potrò andare a cena. Sarà molto dispiaciuta.» Franca sorrise. «Io lo sarei fossi in lei.» 48 Zedd scese dalla sella di Spider, decise tra sé e sé che era diventato troppo vecchio per quel genere di sforzi e sorrise. Tolse la sella e la posò su un ceppo. Spider fu contenta di essere liberata dal resto dei finimenti che Zedd mise sulla sella e avvolse in una coperta. Il ceppo era appoggiato contro il tronco di un vecchio abete rosso. Zedd ricoprì i finimenti e la sella con uno strato di aghi di pino per tenerli più asciutti che poteva, perché la pioggerella sottile che ora scendeva si sarebbe trasformata molto presto in pioggia. Spider cominciò a brucare l'erba continuando però a tenerlo d'occhio. Aveva impiegato quattro giorni per arrivare sulle montagne. Il viaggio lungo la pianura del fiume Drun era stato più duro per Zedd che per la cavalla. Il mago vide che la bestia stava mangiando tranquilla e si dedicò ai suoi impegni. Un boschetto di una mezza dozzina di abeti rossi nascondeva alla vista la destinazione finale. Camminò rapidamente lungo le sponde di un torrente che costeggiava gli alberi e una volta superato il boschetto salì in cima a una formazione rocciosa che sembrava un podio. Zedd portò le mani ai fianchi e scrutò il lago. Era un luogo di una bellezza seducente. Il boschetto terminava molto prima del lago, quasi avesse paura d'avvicinarsi troppo all'acqua, lasciando un tratto di terreno che declinava dolcemente verso la riva: una penisola coperta di cespugli, erba e punteggiata qua e là di fiori blu e rosa. Gli altri tre lati del lago erano circondati da ripide pareti rocciose. Quella distesa d'acqua lontana e isolata aveva un nome che lui non conosceva. Il lago era raggiungibile solo grazie alla penisola. Sulle montagne scorgeva degli sprazzi di verde sui quali avevano attecchito degli alberi che affondavano tenacemente le radici nella pietra. Alla sua destra c'era una parete di roccia scura dietro la quale c'erano altre montagne. Dall'altro lato del lago una cascata si tuffava nell'acqua cadendo dallo sperone roccioso più alto. L'acqua di fronte a Zedd faceva da specchio a una scena idilliaca. Le acque gelide della cascata provenivano dal lago che si trovava sull'altopiano soprastante, la zona in cui nidificavano gli uccelli wafer. La cascata faceva parte delle sorgenti del Dammar che a sua volta si fondeva con il Drun. Quell'acqua fredda che proveniva da un luogo morto e desolato sarebbe scesa fino alla valle del Nareef e avrebbe creato la vita. I Forni si trovavano dietro la cascata. Tremila anni prima un mago aveva aperto un cancello che dava accesso al mondo sotterraneo nella roccia dietro la cortina d'acqua e vi aveva seppellito i rintocchi. Adesso quelle creature erano di nuovo libere. E aspettavano un'anima. Il solo pensiero faceva venire la pelle d'oca a Zedd. Cercò di richiamare il dono dicendosi che questa volta sarebbe tornato. Allargò le braccia alzandole con i palmi rivolti al cielo, mentre cercava di fare appello al suo potere. Le acque placide del lago e le altre montagne antistanti assistettero silenziose al suo fallimento. Zedd si sentiva solo e molto vecchio. Era riuscito a immaginarla in migliaia di modi diversi, ma non aveva mai pensato che avrebbe fatto una fine simile. Il vecchio mago non aveva detto a Richard che i rintocchi erano liberi, perché lui non avrebbe accettato quello che il nonno aveva intenzione di fare, quello che era necessario fare. Zedd allontanò la malinconia e fissò le acque del lago. Doveva stare molto attento altrimenti avrebbe sbagliato e il suo sacrificio sarebbe stato inutile. Non voleva sprecare tutto. Un lavoro ben fatto, qualunque fosse, dava sempre una certa soddisfazione. Studiò il paesaggio circostante con occhio attento ed esperto e si rese conto che non torto era tranquillo come poteva sembrare a prima vista. L'acqua era percorsa da piccoli esseri praticamente invisibili, creature minacciose e animate da oscuri intenti in agguato nell'acqua. Lo specchio d'acqua era pieno di rintocchi di morte. Zedd osservò con attenzione oltre la cascata e intravide i contorni bui della caverna. Quello era il luogo che doveva raggiungere. «Sentrosi!» chiamò Zedd aprendo le braccia. «Sono venuto a offrirvi liberamente l'anima che cercate! La mia! Vi cedo ciò che è mio!» Le fiamme avvamparono intorno alla colonna d'acqua rotolando fuori dal luogo chiamato i Forni. Il fuoco riempì l'acqua di riflessi arancioni e per un attimo la cascata si trasformò in un getto di vapore e fumo nero inchiostro, sembrava una colonna che marcava l'accesso alla caverna della morte. Un rintocco echeggiò contro le pareti della montagna. Sentrosi aveva risposto. Sì. «Reechani! Vasi!» chiamò nuovamente Zedd, rivolgendosi all'acqua e all'aria. «Fatemi passare poiché sono venuto a cedere la mia anima a tutti voi, spontaneamente.» L'acqua prese a turbinare quasi fosse un pesce ammaestrato. A Zedd sembrò che il lago si fosse trasformato in un essere vivo, affamato, ansioso e molto probabilmente lo era. L'aria diventò più densa e lo spinse in avanti. L'acqua si alzò e sembrò fargli cenno di avanzare verso i Forni. L'aria puzzava di bruciato ed era pervasa da migliaia e migliaia di rintocchi separati che tuttavia formavano un unico suono cristallino. Zedd mise un piede in acqua. Non gli importava molto di bagnarsi ulteriormente perché aveva iniziato a piovere. Si era aspettato di dover nuotare, ma scoprì che la superficie era diventata abbastanza solida da sorreggerlo. Sembrava ghiaccio solo che era in movimento continuo. Ogni passo creava delle piccole onde che lo toccavano e si ritiravano. Era come se stesse mettendo i piedi in tante piccole pozzanghere. Era aiutato dai rintocchi di Reechani che lo guidavano verso il suo destino, mentre Vasi, i rintocchi dell'aria, lo scortavano simili a un mantello di morte. Zedd ricordò Juni, il cacciatore del Popolo del Fango e si chiese se prima di morire aveva raggiunto la pace a cui aveva dato la caccia. Sapendo quale fosse la natura di quelle creature, il vecchio mago sospettava che prima l'avrebbero tentato con la tranquillità per poi paralizzarlo dal terrore un attimo prima di ucciderlo. Poco prima di raggiungere la cascata mani invisibili separarono la colonna d'acqua rivelando l'accesso alla caverna e Zedd suppose che Sentrosi, il fuoco, preferisse i luoghi asciutti. Mise un piede sulla roccia e sentì uno sbuffò provenire dalla riva. Era Spider. Zedd si girò. La cavalla lo aspettava sulla sponda con le orecchie schiacciate contro la testa e gli occhi dilatati dalla paura. La coda frustava l'aria e i fianchi. «Va tutto bene, Spider» disse Zedd per tranquillizzare l'animale. «Sei libera.» Sorrise. «Goditi la vita, amica mia.» Spider emise un nitrito arrabbiato. Zedd la salutò con un ultimo cenno del braccio, quindi si girò, entrò nell'oscurità e la cascata si richiuse alle sue spalle. Non aveva esitato. Aveva intenzione di dare ai rintocchi quello che volevano: un'anima. Se fosse riuscito a farlo rimanendo vivo sarebbe stato molto contento, ma senza la magia aveva ben poche speranze di compiere quella missione e rimanere integro. In quanto Primo Mago, aveva una certa conoscenza del problema in questione. I rintocchi avevano bisogno di un'anima per rimanere nel mondo dei vivi perché quello era uno dei requisiti dell'incantesimo per evocarli. Però, avevano bisogno di un'anima in particolare: quella che era stata loro promessa. Essendo delle creature del mondo sotterraneo, erano esseri senza anima che non avevano la minima idea di cosa volesse dire averne una né conoscevano a fondo le peculiarità della cosa che era stata loro promessa. I rintocchi si ritrovavano in un mondo alieno e l'unica speranza di Zedd era la loro ignoranza. Il vecchio mago era un parente stretto di Richard. Zedd aveva avuto moltissima influenza sulla vita del nipote, quindi, in un certo senso, le loro anime erano simili e strettamente legate. Le loro essenze avevano diverse caratteristiche in comune, ma Richard e Zedd continuavano a essere delle persone ben distinte ed era proprio quello il pericolo. Zedd sperava che i rintocchi scambiassero la sua anima per quella di Richard e, per così dire, andasse loro per traverso. Era l'unica speranza che animava il mago. Non conosceva nessun altro modo per fermare i rintocchi. La situazione diventava sempre più grave ogni giorno che passava. Ogni giorno moriva qualcuno e la magia si indeboliva. Desiderava moltissimo vivere, ma non riusciva a pensare a un altro modo per fermare i rintocchi prima che fosse troppo tardi. Una volta che quelle creature si fossero aperte all'anima che stavano cercando sarebbero diventate vulnerabili e lui sperava che la sua anima interrompesse il flusso dell'incantesimo che aveva fatto entrare i rintocchi nel mondo dei vivi. Era un mago e quella non era una speranza, ma il frutto di un approccio ragionato. Dubbioso, ma ragionato. In ogni caso, comunque fosse andata, Zedd sapeva che la sua iniziativa avrebbe in qualche modo ritardato gli effetti dell'incantesimo. Era come tirare una freccia a un daino per ucciderlo e riuscire solo a ferirlo. L'unico fatto di cui non sapeva nulla era quello che i rintocchi gli avrebbero fatto. Non si faceva illusioni a riguardo. Forse non gli avrebbero strappato l'anima dal corpo uccidendolo, ma sicuramente avrebbero trovato il modo di fargliela pagare. Zedd sorrise. C'era un lato buono in tutta quella storia: se fosse morto avrebbe potuto rivedere la sua amata Erilyn che sicuramente lo aspettava nel mondo degli spiriti. Il calore era soffocante. Le pareti della caverna sembravano diventate di fuoco liquido. Era nel corpo della bestia. Nel centro della caverna pulsante, Sentrosi, la regina del fuoco posò gli occhi su di lui. Lingue di fuoco lambirono l'aria intorno al mago. Un turbine di fiamme gialle balenò nell'aria: era un sorriso. Zedd cercò per l'ultima volta di fare appello alla sua magia. Sentrosi si precipitò su di lui a una velocità spaventosa tanto quanto il suo bisogno di possedere un'anima. Zedd provò un dolore bruciante in tutto il corpo mentre la creatura gli stringeva l'animo. Il mondo prese fuoco e l'urlo del mago esplose come un rintocco assordante. Richard urlò. Il dolore del rintocco gli attraversò il cranio. Si rese appena conto di crollare da cavallo e il dolore della caduta fu solo un piacevole diversivo rispetto a quello che lo stava investendo in quel momento strappandogli urla strazianti. Tenne la testa tra le mani e si raggomitolò sulla strada. Il mondo era solo agonia. I soldati saltarono giù da cavallo, qualcuno impartì ordini secchi. Richard vedeva solo delle figure confuse che danzavano nel suo campo visivo. Non distingueva i cavalli e non riusciva a riconoscere nessuno. L'unica cosa chiara era il dolore. Poteva solo cercare di mantenere la sua sanità mentale legata alla vita da un esile filo mentre lottava contro quell'impietoso torrente d'agonia. Il fatto che avesse superato la prova del dolore alla quale si dovevano sottoporre tutti i maghi, era l'unica cosa che lo manteneva ancora in vita. Se non avesse sostenuto quella prova sarebbe già morto. Era solo nel suo inferno privato. Non sapeva come tenere stretta la vita. Sembrava che tutto il mondo fosse impazzito in un istante. Beata corse attraverso il prato più velocemente che poteva. Era terrorizzata. Turner aveva smesso di gridare. Le urla erano durate solo qualche secondo, ma erano state terribili. «Basta!» urlò Beata a squarciagola. «Basta! Siete impazziti? Basta!» Nell'aria echeggiava ancora il suono del Dominie Dirtch. Il rintocco basso e cupo aveva sollevato una nuvola di terra e aveva abbattuto il piccolo albero piantato dalla squadra che li aveva preceduti. Il suono aveva fatto vibrare tutto il mondo con un sinistro riverbero. Beata correva per il prato con le guance solcate dalle lacrime continuando a urlare ai suoi uomini di smettere di suonare la campana. Turner era di fronte all'arma impegnato nel solito giro d'esplorazione per assicurarsi che il terreno di fronte al Dominie Dirtch fosse sgombro. Le urla erano terminate qualche attimo dopo il rintocco della campana, ma il dolore e l'orrore di cui erano permeate continuava a echeggiare nella mente di Beata. Era un urlo che non avrebbe mai dimenticato per tutta la vita. «Basta!» urlò afferrando la ringhiera mentre saliva precipitosamente i gradini. Beata raggiunse la piattaforma con i pugni chiusi, pronta a colpire chi aveva fatto suonare la campana. Emmeline e Bryce erano immobilizzati dalla paura e la fissavano con gli occhi sbarrati. Il lungo batacchio usato per colpire il Dominie Dirtch era ancora nel fodero e le due persone di servizio sulla campana erano ben lontane da esso. L'attrezzo non era stato usato. «Cosa avete fatto!» urlò Beata. «Come vi è venuto in mente di farla suonare? Siete impazziti?» Diede un'occhiata dietro di sé alla massa informe di carne e ossa che fino a un attimo prima era stata Turner. Beata indicò con un braccio. «Siete stati voi a ucciderlo! Perché?» Emmeline scosse la testa. «Non mi sono mossa di un passo da dove mi trovo.» Bryce cominciava a tremare. «Anche io. Non abbiamo suonato noi la campana, sergente. Non eravamo neanche vicini. Non siamo stati noi.» Il silenzio scese sulla piattaforma e in quel momento Beata si rese conto che stava udendo delle urla provenire lontano. Diede un'occhiata all'altro Dominie Dirtch e vide delle persone che correvano avanti e indietro come impazzite. Si girò nella direzione opposta e la scena non cambio. Beata usò una mano per riparare gli occhi dalla luce del sole, osservò la distesa erbosa di fronte alle armi e vide i resti di altri due soldati. Estelle Ruffin e il caporale Marie Fauvel raggiunsero i resti di Turner. Estelle prese una ciocca di capelli e si mise a piangere, Marie si girò e vomitò. Quello era il frutto del loro addestramento. Ecco cosa succedeva quando quell'arma entrava in azione. Dicevano che non era stata usata da millenni. Ognuna delle squadre che sorvegliava il Dominie Dirtch mandava fuori le sue pattuglie contemporaneamente in modo che nessuno potesse passare inosservato o nascondersi tra l'erba alta. Beata si rese conto che il suo non era stato l'unico Dominie Dirtch a suonare. Sembrava che l'arma fosse entrata in azione di sua spontanea volontà. Kahlan afferrò la maglia di Richard. Il marito giaceva a terra raggomitolato e lei non sapeva cosa fare. Sapeva solo che stava correndo un pericolo mortale. L'aveva sentito gridare e crollare giù dal cavallo senza sapere perché. In un primo momento aveva pensato a una freccia ed era terrorizzata all'idea che un assassino avesse potuto ucciderlo. Però non c'erano macchie di sangue. L'aveva cercato, ma non aveva trovato nulla. Kahlan lanciò un'occhiata al migliaio di soldati d'hariani intorno a lei. Quegli uomini erano entrati in azione nel momento stesso in cui Richard aveva urlato ed era caduto da cavallo senza che lei dovesse impartire un ordine. In un attimo spade, lance e asce erano state pronte all'uso. Gli uomini più vicini erano scesi da cavallo in un batter d'occhio pronti al combattimento. Quelli più distanti erano rimasti in sella e avevano girato i cavalli verso l'esterno pronti a caricare, mentre le frange più esterne dello schieramento erano scattate in avanti per stanare il nemico e annientarlo. Kahlan aveva passato tutta la vita vicina agli eserciti e sapeva tutto quello che era necessario sull'argomento. Il modo in cui avevano reagito gli uomini le aveva fatto capire che erano addestrati in maniera esemplare e che sapevano cosa era necessario fare senza che lei dovesse impartire un ordine. Intorno a lei e Richard i maestri di spada aveva formato un ulteriore cerchio protettivo. Kahlan non sapeva se erano stati attaccati con una freccia o un quadrello, ma era consapevole che le persone intorno a loro non avrebbero permesso un secondo attacco. Erano così tanti e così ben posizionati che un altro dardo non sarebbe potuto andare a segno. Kahlan si sentì in colpa nei confronti di Cara. Non aveva mantenuto la promessa che le aveva fatto di proteggere lord Rahl e la Mord-Sith si sarebbe sicuramente arrabbiata. Du Chaillu si fece largo tra i maestri di spada portando una borraccia e delle bende. «Hai trovato la ferita?» «No» disse Kahlan continuando a controllare il corpo del marito. Gli premette una mano sulla fronte e quel gesto le ricordò di quando Richard era stato colpito dalla peste, e aveva delirato in preda alla febbre. Ma ora non poteva trattarsi di una malattia, non visto il modo in cui aveva urlato cadendo da cavallo, anche se ardeva come se avesse la febbre. Du Chaillu passò uno straccio sul volto di Richard e Kahlan si accorse che la donna degli spiriti era preoccupata. Kahlan continuò a esaminare il corpo. Forse si era trattato di una balestra. Cercò la ferita in maniera frenetica lungo tutto il corpo concentrandosi sul suo lavoro per non cedere alla paura. Lo girò sulla schiena e Du Chaillu gli accarezzò il viso. Sembrava che la donna degli spiriti non pensasse si trattasse di una ferita. Du Chaillu si inclinò in avanti e cominciò a salmodiare dolcemente un'invocazione in una lingua che Kahlan non capiva. «Non trovo nulla» disse Kahlan, esasperata. «E non lo troverai» rispose Du Chaillu, distante. «Perché?» Du Chaillu mormorò alcune parole affettuose a Richard. Kahlan non riuscì a comprenderne il significato letterale, ma capiva benissimo i sentimenti dietro di esse. «Non è una ferita di questo mondo» disse Du Chaillu. Kahlan diede una rapida occhiata ai soldati che li circondavano e posò le mani con fare protettivo sul petto di Richard. «Cosa significa?» Du Chaillu spostò gentilmente le mani di Kahlan. «Si tratta di una ferita dello spirito. Qualcosa ha colpito la sua anima. Lasciami fare.» Kahlan posò una mano sul volto di Richard. «Come fai a saperlo?» «Io sono una donna degli spiriti e so riconoscere certe cose.» «Solo perché...» «Hai trovato una ferita?» Kahlan rimase in silenzio per qualche attimo riflettendo sulle sue sensazioni. «Sai se c'è qualcosa che possiamo fare per aiutarlo?» «Questo è qualcosa che va al di là delle tue competenze.» Du Chaillu chinò il capo e premette una mano sul petto di Richard. «Lascialo a me» mormorò Du Chaillu «o nostro marito morirà.» Kahlan si sedette sui talloni e osservò la donna degli spiriti dei Baka Tau Mana che chiudeva gli occhi ed entrava in una sorta di trance per cominciare a sussurrare delle parole. Dopo qualche attimo cominciò a tremare. Il volto di Du Chaillu si contorse dal dolore. La donna degli spiriti cadde improvvisamente all'indietro interrompendo il contatto e Kahlan l'afferrò prima che cadesse. «Stai bene?» «Il mio potere è tornato e ha funzionato» dichiarò Du Chaillu. Kahlan fissò il viso della donna e quello di Richard e vide che il marito sembrava più calmo. «Cosa hai fatto? Cosa è successo?» «Qualcosa stava cercando di privarlo del suo spirito. Ho usato il mio talento per annullare quel potere e tenere lontane le mani della morte.» «Il tuo potere è tornato?» Kahlan era dubbiosa. «Ma come potrebbe es- sere?» Du Chaillu scosse la testa. «Non lo so. È tornato nel momento in cui il Caharin è caduto da cavallo. Lo so perché sono riuscita a sentire di nuovo il legame con lui.» «Forse i rintocchi sono tornati nel mondo sotterraneo.» Du Chaillu scosse nuovamente la testa. «Non so cosa sia stato, ma si è trattato di un fenomeno passeggero. Il mio potere è nuovamente scomparso.» Lasciò vagare lo sguardo nel vuoto. «È durato quel tanto che bastava per permettermi d'aiutarlo.» Du Chaillu ordinò ai suoi uomini di tranquillizzarsi perché era tutto finito. Kahlan non era convinta. Diede un'altra occhiata a Richard. Sembrava che fosse più calmo e il respiro era regolare. Richard aprì improvvisamente gli occhi e li socchiuse subito dopo per proteggerli dalla luce. Du Chaillu gli passò un panno umido sulla fronte. «Stai bene, marito?» gli chiese. «Du Chaillu» mormorò Richard «quante volte ti devo dire che non sono tuo marito. Hai male interpretato delle leggi molto antiche.» Du Chaillu sorrise a Kahlan. «Visto? Sta meglio.» «Ringrazio gli spiriti buoni per la tua presenza, Du Chaillu» sussurrò Kahlan. «Digli che la prossima volta che ha bisogno di me, io non mi farò vedere.» Kahlan non poté fare a meno di sorridere per la frustrazione che Richard provava nei confronti di Du Chaillu e per il sollievo che lei provava. Stava per scoppiare in lacrime, ma si trattenne. «Stai bene, Richard? Cosa è successo? Cosa ti ha fatto cadere da cavallo?» Richard cercò di sedersi, ma le due donne lo costrinsero a terra. «Le tue mogli vogliono che riposi» ordinò Du Chaillu. Richard non cercò più di alzarsi e fissò Kahlan che nel frattempo gli aveva stretto un braccio continuando a ringraziare silenziosamente gli spiriti buoni. «Non sono sicuro di quello che è successo» spiegò dopo qualche attimo. «È come se qualcuno avesse fatto risuonare una campana nella mia testa. Il dolore era come...» Il volto perse parte del colorito. «Non saprei come spiegarlo, non ho mai sentito nulla di simile prima di oggi.» Si sedette allontanando le mani delle donne. «Va tutto bene, adesso. Qualunque cosa sia stata è sparita. È passata.» «Non ne sono così sicura» disse Kahlan. «Io sì» disse Richard. Sembrava invasato. «Era come se qualcosa avesse cercato di ghermirmi l'anima.» «Ci ha provato» confermò Du Chaillu «ma non ci è riuscita.» Era molto seria e Kahlan le credette. La cavalla attendeva immobile con il pelo che fremeva battendo al tempo stesso uno zoccolo sul terreno erboso. Il suo istinto le suggeriva di scappare. Tremava dalla paura, ma rimase immobile. L'uomo era oltre la cascata nel buco buio. A lei non piacevano i buchi. A nessun cavallo piacevano. Lui aveva urlato e il terreno aveva tremato, ma era successo tutto molto tempo fa e lei non si era mossa da allora. Adesso era tutto silenzioso. La cavalla sapeva che l'amico era vivo. Emise un lungo e basso nitrito. Era ancora vivo, ma non usciva. La cavalla era sola. Non c'era cosa peggiore per un cavallo che rimanere solo. 49 Ann riaprì gli occhi e fu molto sorpresa di trovarsi di fronte a un volto che non vedeva da mesi, da quando era ancora la Priora e guidava il Palazzo dei Profeti a Tanimura. La Sorella di mezza età la guardava. Mezza età, pensò Ann, è un po' difficile considerare una persona di cinquecento anni di mezza età. «Sorella Alessandra.» Le labbra le facevano male e la mascella non si era ripresa ancora del tutto dal pugno. Ann non sapeva se era rotta. Se lo fosse stata non poteva farci niente e doveva aspettare che guarisse da sola senza l'aiuto della magia. «Priora» l'accolse la donna, con il tono di voce di chi vuole mantenere le distanze. Un tempo quella donna portava una lunga treccia che teneva arrotolata sulla nuca. Ann la ricordava bene. Ora aveva i capelli tagliati poco sopra le spalle e la Priora trovò che bilanciassero l'effetto del naso prominente. «Vi ho portato qualcosa da mangiare, Priora. Sempre che ne abbiate voglia.» «Perché?» «È sua eccellenza a volerlo.» «Perché tu?» La donna accennò un sorriso. «Voi mi disprezzate, Priora.» Ann fece del suo meglio per assumere un'espressione adirata, ma aveva il viso gonfio e non sapeva se stava ottenendo l'impressione voluta. «Ti amo come amo tutti figli e le figlie del Creatore, ma aborro il fatto che tu ti sia votata all'Innominato.» «Guardiano del mondo sotterraneo.» Il sorriso di Sorella Alessandra si allargò. «Quindi vi preoccupate ancora per una donna che è una Sorella dell'Oscurità?» Ann allontanò la bocca anche se il contenuto della scodella aveva un'aria appetitosa. Non voleva parlare con una Sorella decaduta. Era in catene, non poteva mangiare da sola, ma aveva rifiutato testardamente di essere nutrita dalle consorelle che l'avevano tradita piuttosto che essere liberate. Fino a quel momento era stata nutrita dai soldati, ma a questi ultimi non piaceva nutrire una vecchia e questo loro disgusto sembrava aver portato all'apparizione di Sorella Alessandra. La donna portò il cucchiaio alle labbra di Ann. «Ecco, l'ho fatto con le mie mani.» «Perché?» «Perché pensavo che potesse piacervi.» «Ti sei stufata di strappare le zampe alle formiche, Sorella?» «Non si può dire che non abbiate buona memoria, Priora. Non l'ho più fatto da quando ero una bambina e arrivai al Palazzo dei Profeti. Se ben ricordo foste voi a convincermi a smettere riconoscendo che ero infelice per aver lasciato casa mia. «Ecco, mangiate. Vi prego.» Ann rimase sinceramente colpita nel sentire la donna che la pregava di mangiare. Se non si nutriva si sarebbe indebolita troppo. Avrebbe potuto rifiutare il cibo o fare qualcosa per farsi uccidere, ma sapeva di avere una missione, quindi era meglio vivere ancora un po'. «Non male, Sorella Alessandra.» Sorella Alessandra sorrise apparentemente orgogliosa. «Ve l'avevo detto. Avanti, mangiate ancora.» Ann mangiò lentamente, masticando con cura le verdure per non sentire male alla mascella e ingoiò i pezzi di carne più dura per non interrompere il processo di guarigione che era già cominciato. «Credo che vi rimarrà la cicatrice sulle labbra.» «I miei svariati amanti saranno piuttosto delusi nel vedere che la mia bellezza è stata deturpata.» Sorella Alessandra rise genuinamente divertita. «Mi avete sempre fatto ridere, Priora.» «Già» rispose Ann in tono velenoso «ecco perché per tanto tempo non mi sono resa conto che ti eri unita al male. Pensavo che la mia piccola Alessandra, la mia piccola e felice Alessandra non si facesse attirare nel cuore del male. Pensavo che amassi la Luce.» Il sorriso di Alessandra avvizzì sulle labbra. «L'amavo, Priora.» «Bah» sbottò Ann. «Hai solo e sempre amato te stessa.» La donna mescolò la minestra per qualche attimo e le offrì l'ennesimo cucchiaio. «Forse avete ragione come sempre, Priora.» Ann masticò piano guardando la piccola tenda che la circondava: aveva causato così tanti problemi alle Sorelle della Luce che Jagang aveva ordinato di tenerla in una tenda più piccola. Ogni notte la incatenavano a un lungo piolo di metallo piantato per terra e le erigevano la tenda intorno. Durante il giorno veniva chiusa in una sorta di baule che a sua volta era caricato in un carro senza finestrini o altre aperture per il ricambio dell'aria. Sapeva che si trattava di un carro perché poteva osservare attraverso le crepe del coperchio. Quando si fermavano per la notte, la facevano prendere da alcune Sorelle e la scortavano alle latrine prima di incatenarla a terra. Se le capitava di avere necessità di espletare i suoi bisogni fisiologici durante il viaggio aveva due scelte: tenere il tutto o lasciarsi andare. Alle volte non si prendevano neanche il disturbo di erigere la tenda e la lasciavano incatenata all'aperto come se fosse un cane. Ann aveva cominciato a trovare piacevole la tenda, ed era contenta quando gliela erigevano intorno. Era diventato il suo rifugio privato dove poteva distendere le gambe e le braccia, sdraiarsi e pregare. Ann ingoiò il boccone. «Così Jagang ha pensato bene di mandarti a nutrirmi, eh? Per il suo o per il mio divertimento?» «No.» Sorella Alessandra sospirò. «Devo solo darvi da mangiare. Da quello che ho capito non ha ancora deciso cosa fare di voi, ma nel frattempo vuole che rimaniate viva perché potreste tornargli utile.» Ann osservò la donna che mescolava la minestra. «Sai che in questo momento non può entrare nella tua mente, vero?» Sorella Alessandra alzò lo sguardo. «Cosa ve lo fa pensare?» «I rintocchi sono liberi.» Il cucchiaio si fermò a mezz'aria. «Così ho sentito dire.» Il cucchiaio riprese a girare. «Nient'altro che voci, ecco tutto.» Ann cercò di assumere una posizione più comoda. Aveva sempre pensato che i suoi cuscinetti naturali le avrebbero permesso di sedersi ovunque. «Vorrei anch'io che fossero solo voci. Perché credi che la tua magia non funzioni?» «Funziona.» «Parlavo di quella Aggiuntiva.» La donna abbassò lo sguardo. «Be', non ho ancora provato a usarla, ecco tutto. Se dovessi farlo funzionerebbe, non ho dubbi.» «Provaci, allora e vedrai che ho ragione.» La donna scosse la testa. «Sua eccellenza non ci permette di usare la magia a meno che non siamo noi a richiederlo. Non è... saggio fare quello che sua eccellenza ha vietato.» Ann si inclinò verso la donna. «Alessandra, i rintocchi sono liberi. La magia sta scomparendo. Sia benedetta la Creazione, perché credi sia in questo stato? Non credi che se avessi potuto avrei creato un po' più di scompiglio quando sono stata catturata? «Usa la testa, Alessandra. Non sei stupida, quindi non comportarti come tale.» Quest'ultima affermazione era l'unica sicurezza che ora Ann aveva nei confronti della donna che le stava di fronte. Non riusciva a capire come una persona in gamba come lei avesse creduto alle promesse del Guardiano, ma ormai era convinta che le menzogne potessero incantare anche le persone più in gamba. Ann evitò l'appellativo 'Sorella' non solo perché era un termine di rispetto, ma perché chiamandola solo per nome le sembrava di parlarle in maniera più diretta e immediata. Conosceva quella donna da quasi cinquecento anni. Il fatto di usare il termine 'Sorella' le dava l'impressione di voler richiamare il suo legame con le Sorelle dell'Oscurità. «Jagang non può entrare nella tua mente, Alessandra. Il suo potere di tiranno dei sogni è scomparso come il mio.» Sorella Alessandra la fissò con sguardo privo d'emozione. «Forse il suo potere funziona in congiunzione o tramite il potere delle Sorelle dell'Oscurità, quindi è ancora attivo.» «Bah. Pensi come una schiava. Vattene e continua a pensarla così... come le Sorelle della Luce, mi rincresce ammettere.» La donna sembrava riluttante all'idea di dover andare via e porre fine alla discussione. «Non vi credo. Jagang è onnipotente. In questo momento starà osservando la scena attraverso i miei occhi e io non me ne rendo neanche conto.» Ann fu costretta a prendere il cucchiaio di zuppa che si materializzò inaspettatamente di fronte alla sua bocca e cominciò a studiare il volto dell'ex consorella masticando lentamente. «Potresti tornare alla Luce, Alessandra.» «Cosa?» La rabbia della donna si mutò immediatamente in divertimento. «Siete impazzita, Priora?» «Ti sembro impazzita?» Sorella Alessandra premette un'altra cucchiaiata di cibo sulle labbra della donna. «Ora sono fedele al signore del mondo sotterraneo. Servo il Guardiano. Mangiate.» Ann si trovò un'altra cucchiaiata di cibo di fronte alla bocca prima ancora di aver inghiottito quella precedente. Ne mangiò altre sei prima di riuscire a parlare di nuovo. «Il Creatore ti perdonerà Alessandra. Ti riprenderà tra le sue braccia. Egli ama tutti e perdona tutti. Ti prenderebbe con lui. Non ti piacerebbe tornare nell'amorevole stretta del Creatore?» Alessandra le diede uno schiaffo e Ann, che non si era aspettata una simile reazione, cadde a terra su un fianco. La Sorella dell'Oscurità troneggiò su di lei. «Il Guardiano è il mio signore! Non pronuncerete altre eresie. Sua eccellenza è il mio padrone in questo mondo, nell'altro io sono votata al Guardiano. Non vi ascolterò mentre cercherete di farmi profanare il giuramento al mio signore. Mi avete sentita?» Ann temette che la mascella fosse tornata nelle condizioni di quando era stata colpita la prima volta. Le faceva malissimo. Aveva gli occhi colmi di lacrime. Sorella Alessandra la prese per un braccio e la raddrizzò a forza. «Non vi permetterò più di dire cose simili. Capito?» Ann rimase silenziosa per paura di scatenare nuovamente l'ira della donna. A giudicare dalla reazione, per la Sorella quello che aveva appena toccato doveva essere un punto dolente quanto la sua mascella. Sorella Alessandra prese la scodella di minestra. «È quasi finita.» La donna fissò la scodella come se stesse osservando il cucchiaio che gi- rava. Si schiarì la gola. «Mi dispiace di avervi colpita.» «Ti perdono, Alessandra.» Gli occhi della donna si alzarono. Non erano più colmi d'ira. «Davvero» sussurrò Ann, sincera, chiedendosi quanto dovesse essere violenta la lotta intestina che dilaniava la sua ex discepola. Sorella Alessandra abbassò nuovamente gli occhi. «Sono quello che sono e non posso fare nulla per cambiare. Non avete idea delle cose che ho fatto per diventare una Sorella dell'Oscurità.» Lasciò vagare lo sguardo nel vuoto. «E non avete idea del potere che ho ricevuto in cambio. Non potete neanche immaginarlo, Priora.» Ann stava per chiederle quanto bene le avesse fatto, ma tenne a freno la lingua e finì di mangiare in silenzio sussultando dal dolore a ogni boccone. Il cucchiaio batté sul fondo della scodella. «Molto buona, Alessandra. Il pasto migliore che abbia mangiato da... quando sono qua. Ormai credo si tratti di settimane.» Sorella Alessandra annuì e si alzò. «Tornerò domani sempre che non abbia altro da fare.» «Alessandra.» La donna si girò. «Non vorresti sederti un po' con me?» «Perché?» Sulle labbra di Ann apparve un sorriso amaro. «Mi ficcano in una scatola di giorno e mi mettono alla catena ogni notte. Mi piacerebbe avere qualcuno che conosco vicino per qualche attimo.» «Sono una Sorella dell'Oscurità.» Ann scrollò le spalle. «E io sono una Sorella della Luce, ma tu mi hai portato da mangiare.» «Me lo hanno ordinato.» «Ah, anche se mi dispiace ammetterlo è una risposta più onesta di quelle che ho ricevuto dalle Sorella della Luce.» Ann si adagiò su un fianco distogliendo lo sguardo da Alessandra. «Mi dispiace che tu abbia dovuto interrompere le tue faccende per prenderti cura di me. Probabilmente Jagang vuole che torni a prostituirti per i suoi uomini.» Il silenzio calò nella tenda. Fuori i soldati ridevano, bevevano e giocavano. L'odore della carne arrostita entrò nella tenda, ma almeno questa volta Ann era sazia e non sentiva lo stomaco che borbottava. Ann sentì l'urlo di una donna in lontananza che dopo qualche attimo si trasformò in una risata argentina. Doveva essere una di quelle che seguivano l'esercito di loro volontà. Alle volte le urla erano di puro terrore. A volte Ann le sentiva e sudava freddo al pensiero di quello che stava succedendo alla povera donna. Dopo qualche tentennamento, Alessandra tornò indietro. «Siederò con voi per qualche attimo.» Ann si girò. «Mi farebbe molto piacere, davvero.» Sorella Alessandra la aiutò ad alzarsi dopodiché le due donne rimasero in silenzio ad ascoltare i suoni del campo. «Mi hanno detto che la tenda di Jagang è qualcosa da vedere» esordì Ann. «Sì, è vero. È una sorta di palazzo che viene eretto ogni notte, però non posso dire che mi piaccia frequentarlo.» «No, immagino che dopo il mio incontro con quell'uomo non sia un bel posto. Sai dove stiamo andando?» La donna scosse la testa. «Qua. Là. Non fa nessuna differenza. Siamo schiavi che servono sua eccellenza.» Quelle parole erano prive di speranza e Ann pensò di infonderne un poco. «Sai che lui non può entrare nella mia mente, Alessandra?» Sorella Alessandra aggrottò la fronte e si girò a fissarla e Ann le spiegò la funzione del legame con Richard Rahl. La Sorella dell'Oscurità ascoltò senza sollevare nessuna obiezione. «È vero in questo momento neanche il legame che ho con Richard è attivo, ma se è per questo non lo è neanche la magia di Jagang, quindi continuo a essere al sicuro.» Ridacchiò. «A meno che non entri nella tenda, è ovvio.» Le due donne scoppiarono a ridere. Ann sistemò le catene in grembo in modo da avere più libertà di movimento alle gambe. «Quando i rintocchi saranno rispediti nel loro mondo, allora anche il legame con Richard tornerà attivo e io sarò nuovamente protetta e questa è una grande consolazione per me... so che Jagang non può entrare nella mia mente.» Sorella Alessandra rimase seduta in silenzio. «Certo» aggiunse Ann «dovrebbe essere un bel sollievo anche per te, sapere che Jagang non potrebbe più entrare nella tua mente.» «Non si sa quando lui c'è. Non si sente nessuna differenza finché non vuole... palesarsi.» Ann rimase in silenzio e la Sorella lisciò un lembo dell'abito con una mano. «Ma io credo che non sappiate di cosa state parlando, Priora. Il tiranno dei sogni in questo momento è nella mia mente e ci sta osservando.» Fissò Ann aspettandosi che ribattesse, ma lei si limitò a rispondere: «Pensaci, Alessandra. Riflettici sopra.» Sorella Alessandra prese la scodella. «Meglio che vada via.» «Grazie per essere venuta e per aver fatto quattro chiacchiere con me. È stato bello incontrarti di nuovo.» Sorella Alessandra annuì, quindi uscì dalla tenda. 50 Era difficile da notare, ma il terreno erboso che si stendeva di fronte al Dominie Dirtch sorvegliato da Beata e dalla sua squadra era leggermente più alto rispetto al punto in cui si trovava l'enorme arma di pietra, quindi forniva un terreno fermo, specialmente per i cavalli. Dopo le piogge il terreno era diventato fangoso. Proprio perché il Dominie Dirtch affidato a Beata si trovava in una posizione particolare, la gente tendeva a passare di là per attraversare la frontiera. I viaggiatori non erano tantissimi, ma a Beata piaceva poter giudicare chi doveva passare e chi no. Se le persone che arrivavano al confine non le piacevano poteva mandarle alla stazione di confine e là avrebbero deciso cosa era meglio fare. Avere una tale responsabilità la faceva sentire bene, adesso era lei a decidere. Era bello vedere gli stranieri che passavano il confine con il loro linguaggio e i loro abiti strani. Di solito non c'erano più di due o tre persone, ma tutti alzavano gli occhi per guardarla perché sapevano che era lei a comandare. Questa volta però, la situazione era del tutto diversa e Beata sentiva il cuore che le batteva forte nel petto. Questa volta i viaggiatori avevano tutta l'aria di essere una minaccia. «Carina, stai pronta con il batacchio» ordinò Beata. La donna haken socchiuse gli occhi. «Siete sicura, sergente?» Carina aveva una vista pessima e raramente distingueva qualsiasi oggetto che si muovesse a una distanza superiore a trenta passi da lei. Mai prima d'allora, Beata aveva ordinato che il batacchio fosse sfilato dal suo alloggiamento. Certo, si erano esercitati in quell'attività, ma quella volta facevano sul serio. Beata era quella di turno, quindi toccava a lei impartire l'ordine. Tutti i suoi uomini dipendevano dalla sua decisione. Dopo l'incidente avevano chiuso l'alloggiamento del batacchio con una sbarra in più, anche se tutti sapevano che nessuno aveva colpito l'arma, né detto loro di farlo. Beata si sentiva più tranquilla con un'altra sicurezza per l'alloggiamento. Le dava l'impressione che stessero facendo qualcosa affinché quell'incidente non si verificasse più. Nessuno sapeva come mai il Dominie Dirtch aveva suonato. Beata si asciugò le mani sui fianchi. «Sono sicura. Fallo.» Altre volte era stato facile capire se le persone che si avvicinavano erano innocue. Commercianti con i loro carri, nomadi che volevano commerciare con i soldati delle stazioni, quelli, però, Beata non li aveva mai lasciati passare, e drappelli dei corpi speciali dell'esercito formati esclusivamente da Ander. Si trattava di un corpo speciale formato di soli uomini e Beata aveva l'impressione che si occupassero di faccende particolari e non avevano nulla a che fare con l'esercito regolare di Anderith. Una volta aveva ordinato loro di fermarsi. Beata sapeva chi erano perché il capitano Tolbert aveva insegnato loro che quegli uomini avevano il diritto di andare e venire come meglio credevano. Voleva solo chiedere loro se avevano bisogno di qualcosa. Nessuno si fermò e l'uomo che guidava il drappello le fece l'occhiolino. Quelli che si stavano avvicinando, però, non erano truppe della guardia. Beata non sapeva bene cosa fare. Rappresentavano una minaccia, quella era l'unica cosa di cui era sicura. Poteva vedere centinaia di soldati a cavallo in uniforme scura disposti in file ordinate. La colonna si era fermata lontano, ma anche da quella distanza era una vista formidabile. Beata diede un'occhiata al suo fianco e vide Carine e Annette che afferravano il batacchio. Beata si buttò su di loro e fermò il batacchio prima che potessero usarlo. «Non vi ho dato nessun ordine! Cosa vi è preso? Giù.» «Ma, sergente» si lamentò Annette «sono molti soldati e non sono dei nostri.» Beata la spinse indietro. «Stanno dando il segnale. Non lo vedi?» «Ma, sergente Beata» piagnucolò Annette «non sono dei nostri. Non...» «Non sai neanche perché sono qua.» Beata era infuriata e spaventata. Le due ragazze erano andate a un passo dal colpire la campana. «Siete impazzite. Non sapete neanche chi sono. Potreste uccidere degli innocenti. «A partire da stasera e per una settimana di fila farete dei turni in più. Chiaro?» Annette abbassò la testa. Carina, non sapendo come doveva reagire alla punizione, salutò. Beata si sarebbe infuriata parecchio se fosse stato qualcun altro della squadra a cercare di usare il Dominie Dirtch ma, in cuor suo, era contenta che le due ragazze fossero Haken e non Ander. Uno dei nuovi arrivati aveva una bandiera bianca appesa a un palo o a una lancia. Beata non sapeva fino a che distanza era letale il Dominie Dirtch. Se Carine e Annette lo avessero suonato c'era il rischio che quelle persone morissero tutte, ma dopo quello che era successo a Turner, lei sperò di non sentire più il rintocco dell'arma a meno che, chiaramente, non fossero sotto attacco. Beata osservò gli strani soldati che aspettavano all'orizzonte, mentre un gruppetto si avvicinava. Le persone dovevano sventolare qualche tipo di bandiera prima di avvicinarsi e se erano in tanti si poteva avvicinare solo un gruppetto per chiarire le loro intenzioni e chiedere il permesso di passare. Non era rischioso permettere a un piccolo drappello di avvicinarsi. Il Dominie Dirtch poteva uccidere il nemico anche se si trovava solo a un passo di distanza. La vicinanza e il numero erano due fattori irrilevanti per l'arma posta a guardia dei confini di Anderith. Quattro persone, due a piedi e due a cavallo, vennero avanti lasciandosi dietro le altre. Appena furono più vicini poté vedere che si trattava di due uomini e di due donne. Un uomo e una donna erano a cavallo mentre l'altra coppia camminava. C'era qualcosa riguardo la donna a cavallo... Beata si rese conto dell'identità di quella persona e il cuore le balzò in gola. «Avete visto?» disse rivolgendosi a Carine e Annette. «Riuscite a immaginare cosa sarebbe successo se aveste suonato la campana? Ci riuscite?» Le due ragazze osservarono a bocca aperta le persone che si avvicinavano. Beata sentiva le ginocchia che le tremavano al solo pensiero di quello che sarebbe potuto accadere. Si girò e agitò un pugno di fronte al viso delle due ragazze. «Rimettete a posto quella cosa. E non provate neanche ad avvicinarvi al Dominie Dirtch! Chiaro?» Le due ragazze salutarono. Beata sì girò e scese gli scalini due alla volta. Non aveva mai immaginato che potesse accaderle una cosa simile. Non aveva mai pensato di poter incontrare la Madre Depositaria in persona. Rimase a bocca aperta come il resto della squadra che era uscita a guar- dare la donna con indosso il lungo abito bianco che stava arrivando. Un uomo cavalcava al suo fianco. La donna a piedi era incinta e l'uomo al suo fianco indossava degli abiti bizzarri, aveva una spada, ma la teneva nel fodero. L'uomo che cavalcava a fianco della Madre Depositaria era anche lui uno spettacolo da vedere. Beata non aveva mai visto un uomo con indosso un vestito completamente nero e il mantello dorato. Era una vista che toglieva il fiato. Si chiese se quello era l'uomo che, come aveva sentito dire, aveva sposato la Madre Depositaria: lord Rahl. L'aspetto e il portamento, non c'erano dubbi a riguardo, erano quelli di un nobile. Era l'uomo dall'aspetto più imponente che Beata avesse mai visto. «Scendete!» ordinò alle ragazze sulla piattaforma. Le due donne si unirono ai compagni e Beata si allineò con il resto della squadra. Appena la Madre Depositaria smontò da cavallo la squadra si inginocchiò senza che nessuno dovesse dare l'ordine. Prima di abbassarsi Beata aveva lanciato un'occhiata al bellissimo vestito bianco della donna e ai capelli. Non ne aveva mai visti di così lunghi. Era abituata a vedere i capelli scuri degli Ander o quelli rossi degli Haken, la vista di quella chioma castano chiara era un fatto talmente raro che conferiva a quella donna un alone sovraumano. Beata era contenta di abbassare la testa perché temeva di dover incontrare lo sguardo della Madre Depositaria e solo quella paura le aveva impedito di fissarla a bocca aperta. Aveva passato una vita ad ascoltare i racconti riguardo i poteri magici di quella donna. Le avevano detto che poteva trasformare una persona in una statua di pietra o in qualcosa di peggio con una sola occhiata se questa non le piaceva. Beata respirava a fatica in preda al panico. Era solo una ragazza haken e si sentiva incredibilmente fuori posto. Non aveva mai immaginato di potersi trovare al cospetto della Madre Depositaria. «Alzatevi, figlioli» disse una voce dall'alto. Il suono di quella voce gentile e chiara alleviò le paure di Beata. Non credeva che una donna tanto potente potesse avere una voce così... così femminile. Aveva pensato che dovesse essere simile a quella di uno spirito che urlava dal mondo dei morti. Beata si alzò imitata dalla squadra, ma tutti continuarono a tenere la testa bassa per la paura di fissare negli occhi la Madre Depositaria. Beata non sapeva come bisognava comportarsi con una simile autorità, non glielo avevano spiegato durante l'addestramento. «Chi è in comando?» domandò la Madre Depositaria con quella voce chiara ma venata da un'autorità che non poteva essere messa in dubbio. Non sembrava che volesse fulminare qualcuno. Beata fece un passo avanti continuando a fissare il terreno. «Io, Madre Depositaria.» «E tu saresti?» Beata non riusciva a calmare il cuore e non riusciva a smettere di tremare. «La vostra umile servitrice, Madre Depositaria. Sono il sergente Beata.» Beata ebbe l'impressione che il corpo volesse saltare fuori dalla pelle e scappare quando la donna le alzò il mento con un dito e lei si ritrovò a fissare gli occhi verdi della Madre Depositaria. Era come fissare uno spirito buono, bellissimo e sorridente. Spirito buono o no, Beata rimase paralizzata dal terrore. «Siamo felici di incontrarti, sergente Beata.» La Madre Depositaria indicò alla sua sinistra. «Questa è Du Chaillu, un'amica e questo è Jiaan un altro amico.» Posò una mano sulla spalla dell'uomo al suo fianco. «Questo è lord Rahl» il sorriso si allargò «mio marito.» Lo sguardo di Beata si posò sull'uomo che le sorrideva. Beata non aveva mai pensato che delle persone così importanti potessero sorridere in un modo tanto piacevole. Tutto quello stava succedendo perché aveva preso la decisione giusta ed era entrata nell'esercito. «Ti dispiace se salgo e do un'occhiata al Dominie Dirtch, sergente Beata?» chiese lord Rahl. Beata si schiarì la gola. «Uh... be'... no, signore. Sarò felice di mostrarvi il Dominie Dirtch. Voglio dire... sarò onorata.» «I nostri uomini si possono avvicinare, sergente?» Beata chinò il capo. «Perdonatemi! Chiedo scusa. Certo che si possono avvicinare. Chiedo scusa, se permettete me ne occuperò immediatamente.» Dopo aver visto il cenno affermativo della Madre Depositaria, Beata salì i gradini di corsa sentendosi una sciocca per non aver dato loro il benvenuto ufficiale ad Anderith. Prese il corno e vi soffiò dentro il segnale che il suo distaccamento dava il permesso di passare per far capire alle altre postazioni che era tutto a posto, dopodiché si girò verso i soldati in attesa quasi all'orizzonte e lanciò un lungo squillo per avvertirli che potevano avvicinarsi senza paura. Lord Rahl stava salendo gli ultimi gradini. Beata si tolse il corno dalla bocca e si premette contro la ringhiera. C'era qualcosa nell'atteggiamento di quell'uomo che toglieva il fiato. Neanche il ministro della Cultura l'aveva colpita in quel modo. Non era solo l'aspetto fisico, i penetranti occhi grigi e l'abito dalla foggia strana. Non sembrava un damerino come molti rappresentanti del governo di Anderith, come Dalton Campbell o il ministro della Cultura, quell'uomo sembrava nobile, animato da intenti ancora più nobili del suo portamento e, allo stesso tempo... pericoloso. Letale. Era bello e dall'aspetto gentile, ma lei sapeva che uno sguardo adirato di quegli occhi avrebbe potuta ucciderla. Se esisteva un uomo in grado di stare al fianco della Madre Depositaria era proprio quello che si trovava sulla piattaforma in quel momento. La donna incinta lo seguì fissando con attenzione tutto ciò che avevano intorno. C'era un che di nobile anche in quella persona. Era in compagnia di un uomo con i capelli scuri che somigliava a un Ander. Le frange colorate che pendevano dal vestito della donna attirarono l'attenzione di Beata era l'abito più bizzarro che avesse mai visto. Beata allungò una mano. «Questo, lord Rahl, è il Dominie Dirtch.» Avrebbe voluto ripetere anche il nome della donna, ma non riusciva a ricordarlo. Lo sguardo di lord Rahl scivolò lungo la superficie della campana. «Fu creato migliaia di anni fa dagli Haken» spiegò Beata «come arma per sterminare gli Ander, ma adesso viene usata solo per mantenere la pace.» Lord Rahl serrò le mani dietro la schiena e continuò a fissare il Dominie Dirtch soffermandosi su ogni particolare. Beata si aspettava che quell'uomo rivolgesse una domanda all'arma e questa gli rispondesse. «E come pensate che sia andata, sergente?» le chiese senza guardarla. «Signore?» Quando lord Rahl si girò lo sguardo degli occhi grigi le fece mancare il fiato. «Sono stati gli Haken a invadere Anderith, giusto?» Beata non riusciva a parlare con quegli occhi puntati addosso. «Sì, signore» riuscì a rispondere dopo qualche attimo. Lord Rahl alzò un pollice e indicò la campana di pietra alle sue spalle. «E pensate che gli Haken si siano portati il Dominie Dirtch sulla schiena, sergente?» Beata sentì le ginocchia che cominciavano a tremare e desiderò che non le avesse mai rivolto quella domanda. Voleva che quell'uomo se ne andasse e ponesse le domande alle persone importanti che abitavano a Fairfield, erano loro quelli che conoscevano le risposte. «Signore?» Lord Rahl si girò e indicò nuovamente l'arma. «È ovvio che queste armi non sono state trasportate fin qua, sergente. Sono troppo grandi e sono troppe. Devono essere state costruite sul posto e con l'aiuto della magia, su questo non c'è dubbio.» «Ma gli Haken che invasero...» «Sono orientate verso l'esterno, verso gli invasori, sergente, non verso la gente di Anderith. È ovvio che quest'arma è stata costruita a scopo difensivo.» Beata deglutì. «Ma ci hanno insegnato che...» «Vi hanno insegnato una menzogna.» L'uomo sembrava decisamente scontento di quello che stava vedendo. «È un'arma difensiva.» Osservò la disposizione delle altre campane con occhio critico. «Lavorano insieme. Sono state sistemate in questo modo per formare una linea difensiva, non sono armi d'attacco.» Beata ebbe l'impressione che lord Rahl avesse parlato più per dare voce a un ragionamento che si era concretizzato nella sua mente che per criticare. «Ma gli Haken...» disse Beata con la voce ridotta a poco più di un sussurro. Lord Rahl attendeva educatamente una risposta, ma Beata era troppo confusa per riuscire a formulare un pensiero coerente. «Non sono una persona che ha studiato, lord Rahl. Sono solo una Haken e quelli della mia razza sono malvagi per natura. Perdonatemi per non saperne abbastanza da poter rispondere alle vostre domande.» Lord Rahl sospirò. «Non c'è bisogno di aver studiato per vedere quello che si para di fronte ai tuoi occhi, sergente Beata. Usa il cervello.» Beata rimase zitta, incapace di riprendere la conversazione. Quello era un uomo importante. Aveva sentito dire che era un mago potentissimo in grado di tramutare la notte in giorno e scambiare l'alto con il basso. Non era un uomo che governava su un unico regno come il ministro della Cul- tura e il sovrano, era il condottiero del misterioso impero del D'Hara e ora stava conquistando tutte le Terre Centrali. Era anche l'uomo che aveva sposato la Madre Depositaria. Beata aveva osservato lo sguardo della donna quando fissava il marito. Quello era amore ed era chiaro come il sole. «Ascolta le sue parole» le consigliò la donna incinta. «Lui è anche il Cercatore di Verità.» Beata rimase a bocca aperta e parlò prima che la paura potesse zittirla del tutto. «Volete dire che quella al vostro fianco è la Spada della Verità, signore?» Sembrava una spada comune, non molto diversa dalla sua. Lord Rahl abbassò lo sguardo ed estrasse l'arma. «Questa? No... non si tratta della Spada della Verità. Non l'ho con me... al momento.» Beata non aveva il coraggio di chiedergli come mai. Avrebbe voluto vedere quell'arma perché era magica. Fitch pensava sempre molto a quell'arma e ora era lei a vederla. Si era arruolata nell'esercito e ora stava prendendo parte a eventi che non avrebbe mai potuto immaginare. Lord Rahl si era girato verso la campana. Sembrava che si stesse concentrando sulla pietra coperta di licheni e muschio come se non esistesse nient'altro. Era immobile come una statua, sembrava che fosse diventato tutt'uno con la campana. Allungò una mano per toccarla. La donna incinta gli afferrò il polso per trattenerlo. «No, marito. Non toccarla. È...» Lord Rahl si girò verso la donna e finì la frase per lei: «Malvagia.» «Anche tu lo senti.» Lui annuì. Certo che è malvagia, avrebbe voluto dire, Beata. È stata costruita dagli Haken. Beata aggrottò la fronte. La donna l'aveva chiamato 'marito', ma la Madre Depositaria aveva presentato lord Rahl come il suo sposo. Lord Rahl vide le sue truppe che si avvicinavano e cominciò a scendere gli scalini due alla volta. La donna rivolse un'ultima occhiata al Dominie Dirtch e lo seguì. «Marito?» chiese Beata alla donna, incapace di resistere. Du Chaillu alzò il mento. «Sì, io sono la moglie di lord Rahl, il Cercatore, il Caharin, Richard.» «Ma la Madre Depositaria ha detto...» La donna scrollò le spalle. «Sì, siamo le sue mogli.» «Ne ha... due?» La donna scese dalle scale. «È uomo molto importante e può avere più di una donna.» Du Chaillu si girò. «Una volta avevo cinque mariti.» Beata sgranò gli occhi mentre osservava la donna che terminava di scendere. L'aria del mattino era scossa dal rumore dei soldati che si avvicinavano. Beata non aveva mai pensato che potessero esistere degli uomini dall'aspetto tanto feroce. Era contenta dell'addestramento che le avevano impartito, perché grazie a esso, le aveva assicurato il capitano Tolbert, avrebbe potuto difendere Anderith da tutti, anche da uomini di quella fatta. «Sergente Beata» la chiamò lord Rahl. Beata si sporse dalla ringhiera di fronte alla campana. Il signore del D'Hara si era fermato e si era girato. La Madre Depositaria aveva afferrato le redini e messo un piede in una staffa. «Sì, signore?» «Non credo che abbiate fatto suonare quella cosa una settimana fa, giusto?» «No, signore, non l'abbiamo fatto.» Si girò verso il cavallo. «Grazie, sergente.» «Una settimana fa ha suonato da sola.» Lord Rahl si irrigidì sul posto. La donna incinta si girò, e la Madre Depositaria che si era quasi issata del tutto sul cavallo scese a terra. Beata scese di corsa le scale in modo da non dover urlare i dettagli della vicenda. Il resto della squadra quasi si nascose dietro il Dominie Dirtch temendo di trovarsi sulla strada di persone tanto importanti. Beata ebbe l'impressione che i suoi uomini avessero anche paura di essere inceneriti da uno sguardo della Madre Depositaria. Le poche parole che si erano scambiate le avevano permesso di provare meno paura per un personaggio così importante. Lord Rahl fischiò ai soldati e fece loro cenno con un braccio di superare immediatamente lo schieramento del Dominie Dirtch per paura che la campane si rimettessero a suonare di loro spontanea volontà. Mentre le centinaia di cavalieri scemavano intorno al basamento, lord Rahl si sbrigò a condurre la due donne e l'altro uomo vicino ai soldati. Una volta che tutti furono al sicuro, prese Beata e la trascinò via dal raggio d'azione del Dominie Dirtch e lei si mise sull'attenti di fronte a lui. La fronte dell'uomo era così corrugata che Beata cominciò a tremare. «Cosa è successo?» gli chiese in tono calmo, come se avesse paura di far suonare ancora il Dominie Dirtch. La Madre Depositaria e l'altra moglie, quella incinta, erano al suo fianco. «Non lo sappiamo signore.» Beata si leccò le labbra. «Uno dei miei uomini... Turner, era...» Indicò oltre lord Rahl. «Era fuori di pattuglia quando la cosa ha cominciato a suonare. Era un suono terribile. Terribile. E Turner...» Beata sentì una lacrima che le scivolava lungo la guancia. Non voleva far vedere a due persone così importanti che era debole, ma al tempo stesso non riusciva a trattenere il pianto. «Nel tardo pomeriggio?» chiese lord Rahl. Beata annuì. «Come fate a saperlo?» Ignorò la domanda. «Sono suonate tutte, giusto? Non solo questa, vero?» «Sì, signore. Nessuno sa il perché. Alcuni ufficiali hanno ispezionato tutta la linea, ma non hanno detto nulla.» «Sono morte parecchie persone?» Beata distolse lo sguardo. «Sì, signore. Uno dei miei uomini e molti altri da quello che mi hanno detto. Altri soldati e mercanti che stavano per passare il confine... tutti quelli che si trovavano di fronte al Dominie Dirtch... È stato spaventoso. Morire in quel modo...» «Ti capiamo» disse la Madre Depositaria in tono compassionevole. «Ci dispiace per la perdita del tuo uomo.» «Quindi nessuno sa perché sono suonate?» la incalzò lord Rahl. «No, signore, o comunque, se lo sanno, non ci hanno detto niente. Ho parlato con le squadre dei due Dominie Dirtch più vicini a questo e anche a loro è successa la stessa cosa: le campane si sono messe a suonare da sole e nessuno sa perché. Neanche gli ufficiali che sono venuti a ispezionare devono aver capito cosa è successo perché lo hanno chiesto a noi.» Lord Rahl aveva assunto un'aria pensierosa. Il vento faceva sventolare il mantello. La Madre Depositaria e la donna incinta spostarono i capelli dal viso. Lord Rahl indicò il resto della squadra. «In ogni stazione ci sono così pochi soldati? Così pochi per controllare... il confine?» Beata lanciò un'occhiata alla torre che troneggiava su di loro. «Signore, è sufficiente una persona per mettere in funzione il Dominie Dirtch.» Richard Rahl squadrò con un'occhiata la squadra. «Penso che sia sufficiente. Grazie per l'aiuto, sergente.» Lui e la Madre Depositaria montarono rapidamente in sella e insieme alle due persone a piedi si avvicinarono nuovamente ai soldati. Lord Rahl si rivolse un'ultima volta a Beata. «Dimmi una cosa, sergente, pensi che io e la Madre Depositaria non siamo all'altezza degli Ander? Pensi che anche noi siamo malvagi?» «Oh, no, signore. Solo gli Haken sono nati con l'animo offuscato dalla malvagità. Non potremo mai essere all'altezza degli Ander. Le nostre anime sono corrotte e non possono essere pure, mentre le loro sono pure e impossibili da corrompere. Non potremo mai essere del tutto mondi; l'unica speranza che ci rimane è di controllare la nostra vile natura.» Lord Rahl le sorrise. «Beata» esordì in tono tranquillo «il Creatore non genera il male. Non vi avrebbe creati per poi darvi un'anima malvagia. Siete uguali a tutti gli altri. Potete fare del bene e del male tanto quanto possono gli Ander.» «Non è quanto ci hanno insegnato, signore.» Il cavallo girò la testa di lato e scalpitò, impaziente di raggiungere gli altri. Lord Rahl gli carezzò il collo e la bestia si tranquillizzò. «Come ti ho detto prima, non ti hanno insegnato bene. Tu sei brava come tutti gli altri. Questo è uno degli scopi della nostra lotta: essere sicuri che tutti siano uguali e abbiano le stesse possibilità. «Stai attenta al Dominie Dirtch.» Beata lo salutò portando una mano alla fronte. «Sì, signore. È il mio dovere.» Lord Rahl la fissò dritta negli occhi e portò il pugno al petto per rispondere al saluto, quindi si lanciò al galoppo per raggiungere gli altri. Beata lo osservava allontanarsi e si rese conto che aveva appena avuto l'esperienza più eccitante di tutta la sua vita... aveva parlato con la Madre Depositaria e lord Rahl. 51 Bertrand Chanboor alzò gli occhi quando sentì Dalton entrare nella sua stanza. L'aiutante del ministro rimase piuttosto stupito quando vide anche Hildemara nello studio del marito. «Allora?» chiese Bertrand. «Hanno confermato tutto» disse Dalton. «Li hanno visti con i loro occhi.» «E i soldati? Ci sono anche quelli?» chiese Hildemara. «Sì, dovrebbero essere circa un migliaio.» La donna imprecò sottovoce e tamburellò con un dito sulla scrivania. «E quegli stupidi al confine li hanno fatti passare come se niente fosse.» «Con l'esercito che ci ritroviamo» le rammentò Bertrand mentre si alzava in piedi. «Sono passati anche attraverso le postazioni della 'guardia scelta', dopotutto.» «Non possiamo incolpare i soldati al confine» si intromise Dalton. «Non potevano certo vietare alla Madre Depositaria di entrare. L'uomo con lei non può essere che lord Rahl in persona.» Il ministro alzò la penna di vetro e, infuriato, la scagliò a terra. La penna scivolò sul pavimento e andò a infrangersi contro una parete. Bertrand andò alla finestra e si appoggiò al davanzale per guardare fuori. «Per il Creatore, Bertrand, controllati» ringhiò lady Chanboor. Il ministro si girò a fissare la moglie, rosso in volto dall'ira. «Questo potrebbe rovinare tutto! Abbiamo lavorato anni per arrivare dove siamo adesso. Abbiamo arato il campo, seminato ed estirpato le erbacce quando era necessario e quando eravamo prossimi a mietere il raccolto ed ecco che arriva lei insieme a quel... quel... bastardo di un D'Hariano: lord Rahl!» Hildemara incrociò le braccia sul petto. «Eh, sì, insultare risolve proprio ogni problema. Lo giuro, Bertrand, a volte hai meno buon senso di un marinaio ubriaco.» «E una moglie piena di boria che me lo fa perdere del tutto.» Il ministro digrignò i denti e spostò di lato la sua sedia, non c'erano dubbi riguardo al fatto che stava per lanciarsi in una delle sue solite tirate. Dalton ebbe l'impressione che Hildemara avesse arcuato la schiena. La donna ricordava un felino con il pelo dritto e gli artigli snudati. Durante quelle litigate, Dalton veniva regolarmente ignorato e sembrava diventare parte dell'arredamento. Quella volta però, l'aiutante del ministro aveva ben altre cose da fare e non c'era tempo da perdere perché ogni minuto era prezioso. Aveva bisogno di decisioni perché doveva inviare gli ord