UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ bozza copertina n.67.indd 1 ari c ù i p i r t Con i nos i iscritti gl auguri a ettori del l i a e e r t i dell’Un un r e p o n a i Gabb le e a t a N n o Bu ovo u N o n n felice A IL GABBIANO FELICE n°67 Dicembre 2015 i A cura dei docenti, assistenti e alliev dell’Unitre di Mestre-Venezia 08/12/15 11:40 BILANCIO SINTETICO - 2014/2015 RICAVI QUOTE ASSOCIATIVE 59.355,00 CONTRIBUTI PER ATTIVITA' 2.440,71 ALTRE ENTRATE 187,08 61.982,79 COSTI RIMBORSO SPESE DOCUMENTATE 12.678,57 ASSICURAZIONI 1.014,50 ACQUISTO SERVIZI 3.428,85 MATERIALE DI CONSUMO 1.770,42 UTENZE 1.602,09 GODIMENTI TERZI 21.227,99 SPESE GENERALI 2.118,03 ONERI FINANZIARI 50,40 ONERI STRAORDINARI 752,00 ATTIVITA' ISTITUZIONALI 969,40 ORGANIZZ. MANIFESTAZIONI E CERIMONIE 3.943,45 STAMPATI 5.592,47 ACQUISTO BENI DUREVOLI 819,21 AMMORTAMENTI 2.210,32 ACQUISTO BENI NON DUREVOLI 816,56 ACCANTON. ACQUISTI FUTURI 2.800,00 61.794,26 Avanzo di Gestione 188,53 Lettera inviata al Signor Presidente e, per conoscenza, alla redazione di "Il Gabbiano Felice" Egregio Signor Presidente, ero tra i pochi presenti all'assemblea del 14 Novembre al Pacinotti. Mi interessava essere aggiornata e sentire i vari resoconti dalla viva voce di chi è a capo, perché i passaparola di corridoio sono spesso inaffidabili. Se ho capito bene, le risorse per "Il Gabbiano", se pur ridotto nel numero delle pagine per la perdita dello sponsor, ci sono. Ne sono felice perché, data la "gioventù" dell'utenza, la versione solo on-line mi lasciava perplessa. In primavera, dopo ciò che mi era stato detto da più parti, mi ero sentita quasi responsabile di una possibile "bancarotta" dell'UNI 3, per i costi di stampa! Per quanto riguarda i viaggi, nel futuro si chiederanno i preventivi a tre diverse agenzie, nell'intento di evitare l'assegnazione "a pioggia", un po' qui e un po' lì. Molto bene, spero che programmi e costi arriveranno contemporaneamente e in busta chiusa, per non autorizzare nessuno a pensare quello che vuole... Con osservanza e simpatia, Le auguro buon lavoro. Marilena Babato Grienti della redazione del "Gabbiano" bozza copertina n.67.indd 2 17 Novembre 2015 08/12/15 11:40 Numero 67 Dicembre 2015 Sommario Bollettino non periodico a cura dell’Unitre di MestreVenezia a diffusione interna gratuita II di copertina Estratto del Bilancio 2014-2015 a cura del Comitato di Gestione 2 Le matrioske Direttore Gianfranco Pontini Comitato di Redazione Marilena Babato Grienti Vanda Bacci Sandro Galante Antonio Socal Androniky Stavridis Segretaria di redazione Carla Tozzato Progetto grafico e impaginazione Sandro Galante di Marilena Babato Grienti 4 Dolci ricordi di un tempo passato di Anna Maria Campagnolo 6 Dammi la mano Orario segreteria: Lunedì, Mercoledì, Venerdì dalle ore 9.30 alle 11,30 Stampa Stamperia CETID via F.Mutinelli 9 30173 Venezia - Mestre. di SanBal 15 Fare chimigrammi di Sandro Galante 17 Cosa hanno detto dai partecipanti al workshop di Annabella Giri 7 Una bella.....quarta età di Chiara Canal 19 Viaggio in Istria (II e ultima parte) di Gianfranco Pontini 24 Libri - a cura di Niky 9 Non solo Expo III di copertina Musica - a cura di Annamaria 11 La danza orientale l’indirizzo email della redazione è: di Caterina Seguso di maria Grazia Carniello Università della Terza Età via Cardinal Massaia 30170 Venezia - Mestre Telefono: 041.95.08.44 www.unitre-mestre.it [email protected] [email protected] [email protected] 13 Poesie Casa Mia Il non altro [email protected] EDITORIALE L’accorcia vacanze Riuscito! L’esperimento “accorcia vacanze” ha funzionato ed è andato benissimo. Per la prima volta quest’anno il corso di fotografia del prof. Galante è iniziato un mese prima dell’apertura ufficiale dei corsi, l’ultima settimana di settembre per quattro incontri, il giovedì pomeriggio, sul tema: “Fotografia creativa. Dall’analogico al digitale attraverso i chimigrammi, fotogrammi e scansiogrammi”. Tutto ha avuto inizio quando, lo scorso anno alla fine del corso di fotografia, una signora ha verbalizzato quello che molti, da tanto tempo, pensavano: cinque mesi di (continua a pagina 14) Corsisti Unitre al lavoro durante il workshop di cui si parla nell’editoriale e nell’articolo a pagg. 14-18 1 Pagine corrette.indd 1 11/12/15 11:38 narrativa O gni anno, nell’ultimo fine settimana di Ottobre, a Castelmura, elegante cittadina ai piedi dei colli, si teneva un “Mercatino europeo”. Nell’occasione si trovavano, nei numerosi stand allineati lungo i portici del borgo storico, i più svariati prodotti provenienti da paesi più o meno lontani: alle birre danesi si alternavano i maglioni norvegesi, ai formaggi francesi le ceramiche inglesi, alle nacchere e ai ventagli spagnoli gli zoccoletti olandesi, ai dolci e salumi austriaci i leprecon, dispettosi folletti irlandesi con la barbetta color carota, vestiti di verde … C’era solo l’imbarazzo della scelta e il clima festoso invogliava a fare acquisti. Roberta, a passeggio con mamma e papà, passava da un banchetto all’altro, incuriosita. Davanti a uno degli stand russi si fermò di colpo, colpita da quelle strane bamboline di legno che facevano bella mostra di sé tra colbacchi di pelo di volpe e icone di santi e madonne. - Papà, guarda che bambole strane, si aprono e vanno una dentro l’altra. Come sono belle!- L’uomo ne prese in mano un paio, le guardò ben bene e si rese conto che erano prodotti abbastanza dozzinali, dipinti in modo approssimativo. - Ti piacciono? - Oh sì, me le comperi? - Ehi, signorina, pensi che basti chiedere per ottenere? Le matrioske LE MATRIOSKE 2 bozza impaginazione n.66.indd 2 di Marilena Babato Grienti 05/12/15 18:37 Tra un oh e un ah di meraviglia, vera o presunta, grida di bambini eccitati e tanta confusione la serata passò, in un surrogato di normalità. La mattina di Natale Roberta aiutò la mamma a mettere ordine nella stanza. Raccattando ciò che era stato sparpagliato la sera precedente si accorse che, vicino all’albero, nascosto da carte e cartine natalizie stropicciate, c’era un pacchetto non aperto. - Mamma, c’è un altro regalo qui, ieri non ce ne siamo accorti. - Chissà dov’era finito, guarda da chi viene e per chi è. - Non c’è biglietto. - Allora aprilo, vediamo un po’ cosa c’è. Roberta aprì il pacco e tirò fuori una grande matrioska: l’aprì e ne fece uscire le altre, sempre più piccole. Erano bellissime, avvolte nei loro splendidi costumi dipinti. – Mamma, mamma, guarda cos’ho trovato! Le matrioske! Me le manda papà, ero sicura che avrebbe mantenuto la promessa! Rimise le bamboline una dentro l’altra e strinse la più grande tra le braccia. Carla, di fronte a tanta beatitudine, si sentì ampiamente ripagata della fatica fatta, nelle ultime settimane, per procurarle “quel regalo”. Per condividere la gioia con sua figlia prese in mano la bambola: allibita, si rese conto che non era quella, coloratissima, che lei aveva scelto e poi nascosto con cura, ma un’altra, tutta bianca, azzurra, blu e argento. Forse la commessa aveva fatto confusione e aveva incartato un’altra scatola, forse non si erano capite, forse…ma cosa andava mai a pensare! Riaprì le matrioske, le mise in fila e le guardò: sui faccini tondi con le guance segnate da rosei pomelli, le bocche erano atteggiate a un sorriso enigmatico. narrativa piacciono anche a me, ma queste non mi sembrano un gran che. Facciamo un patto: tu continua a fare la brava e ti prometto che per Natale arriveranno.- Me lo prometti davvero? - Promesso, parola di papà, giurin giurello!Era sempre difficile, per lui, resistere ai desideri di quella cuccioletta che se lo “comprava” con un sorriso e una carezza. Il papà di Roberta lavorava per l’ufficio vendite di un’importante ditta di elettrodomestici. Viaggiava parecchio e ciò gli piaceva, anche se, qualche volta, dei posti dove lo mandavano non riusciva a vedere che aeroporti, hotel e sedi estere. A Novembre era in programma un incontro di lavoro in Russia, ecco perché aveva fatto quella promessa a sua figlia. Ricordava di aver visto delle matrioske molto belle, diverse dalle solite, dipinte di bianco, azzurro, blu e argento, a Mosca, in una delle boutique dell’hotel dove si era fermato altre volte. Quel viaggio in Russia, però, non ci fu, e non ce ne sarebbero stati altri perché, in un banale incidente, l’uomo perse la vita. Aveva macinato distanze enormi, tornando sempre sano e salvo, ed era desolante pensare che si fosse fermato in un modo così stupido, a due passi da casa. Passarono le settimane e si avvicinò Natale. Nonni e zii convinsero Carla, la mamma di Roberta, a ritrovarsi, come avevano sempre fatto, per la vigilia: avevano tutti il morale a terra ma lo dovevano fare soprattutto per i numerosi bambini del parentado che a quell’incontro, che anno dopo anno era diventato un vero rito familiare, ci tenevano moltissimo. Così, come negli anni precedenti, sotto l’albero addobbato si ammucchiarono, raccolti in un cestone laccato di rosso, pacchi e pacchettini coloratissimi e infiocchettati: ognuno aveva un bigliettino con il nome del destinatario e quello del donatore. 3 bozza impaginazione n.66.indd 3 05/12/15 18:37 Ricordi & riflessioni o t a s s a p o p i c i l m d o e D icor n t r iu d Oltre la cappella c’era anche la pesa pubblica. Il piazzale chiudeva a forma di conchiglia queste modeste abitazioni e tutto intorno era campagna. di Anna Maria Campagnolo L a grande e bella casa della mia infanzia doveva essere ristrutturata dopo il disastroso bombardamento nel giorno di Santo Stefano del ‘44, perciò la casa di periferia acquistata dai nonni, divenne anche la nostra. Li raggiungemmo circa due anni dopo la fine della guerra. L’abitazione faceva parte di un borgo di vecchie costruzioni a schiera, la nostra finiva il complesso ed era una porzione stretta e alta; c’erano: il piano terra, un primo piano e le soffitte. Era attorniata da un grande spazio verde. Prima che i nonni la acquistassero, era una locanda e la scritta sul muro s’intravvedeva, ancora, sotto la pittura data superficialmente. La cosa buffa era che ogni tanto, durante il mercato settimanale del bestiame nel vicino “foro-boario”, qualcuno entrava chiedendo a gran voce da bere. Con le mie sorelle eravamo molto divertite da questi equivoci, ma non solo questo ci rasserenava, eravamo tornate con i nonni in un ambiente rurale chiassoso e movimentato. Perfino le contrattazioni dei sensali, con il loro rituale, erano per noi fonte d’ilarità. Le abitazioni del borgo avevano tutte uno scoperto e davanti c’era un piazzale chiamato S. Antonio per una chiesetta in onore del Santo. 4 bozza impaginazione n.66.indd 4 05/12/15 18:37 Tina Modotti (1896-1942) Mani di lavandaia - 1929 Ricordi & riflessioni Nel grande orto oltre ogni tipo di ortaggi, c’erano diversi alberi da frutto come nocciolo, fico, melo e filari di vite. Sul retro, diviso da un recinto c’era il pollaio con galline, oche e tacchine; nelle gabbiette, conigli grigi e bianchi e, chiuso da uno steccato, grugniva perfino un maiale Oltre la cappella c’era anche la pesa pubblica. Il piazzale chiudeva a forma di conchiglia queste modeste abitazioni e tutto intorno era campagna. Dal cancello antistante, si entrava in casa attraverso un vialetto e in primavera nei bordi del viale fiorivano molti gigli e rose che inebriavano l’aria con il loro profumo. La nonna, un donnino dolce, con una crocchia di capelli bianchi, sempre vestita di nero, gestiva tutto. Solo in certe mansioni, più pesanti, era aiutata da qualche operaio contadino. Nel grande orto oltre ogni tipo di ortaggi, c’erano diversi alberi da frutto come nocciolo, fico, melo e filari di vite. Sul retro, diviso da un recinto c’era il pollaio con galline, oche e tacchine; nelle gabbiette, conigli grigi e bianchi e, chiuso da uno steccato, grugniva perfino un maiale. Quando il maiale o altri animali passavano, per la nostra sopravvivenza, a miglior vita, non mancavano i pianti delle mie sorelline che li consideravano di famiglia. Quando per casa si espandeva un buon profumo di pollame arrosto o in umido, secondo antiche ricette della nonna e in cantina facevano bella mostra tutte le delizie del maiale, nessuno resisteva e non si rimpiangeva più il sacrificio degli animali. La primavera portava nuove nascite, era una gioia veder uscire dalle covate batuffoli gialli di pulcini, ochette o tacchinelle; anche i coniglietti erano una delizia. Nel grande orto-giardino non c’era solo questo: la gatta allattava i suoi piccoli e un cagnolino correva libero. Intorno al borgo era campagna con case coloniche. Vicino a casa c’era un grande fossato alimentato da una sorgente, dove le donne, con grandi ceste di biancheria andavano a sciacquare i panni precedentemente immersi e lavati. Ogni giorno andavamo a rifornirci di latte da una famiglia di contadini che nella stalla sotto i nostri occhi mungevano le mucche. Il latte nel contenitore era tiepido e lo portavamo a casa per essere bollito. Una volta raffreddato formava in superficie un grosso strato di panna che, raccolta in una bottiglia di vetro e sbattuta a lungo, ci dava dell’ottimo burro. Dai contadini ci fornivamo anche di farina di granoturco per la polenta e di frumento per pane e dolci. Nella campagna c’erano molti alberi di gelso e noi bimbi ci divertivamo ad arrampicarci per mangiare 5 bozza impaginazione n.66.indd 5 05/12/15 18:37 Ricordi & riflessioni le gustose more bianche o nere. I contadini invece, con il fogliame del gelso facevano una raccolta per coprire le larve dei futuri bachi da seta. Le larve erano depositate nelle stuoie, in un ambiente caldo, in prossimità della stalla e deposte in grandi telai di legno accatastati. Dopo un certo periodo si formavano i bozzoli e questi venivano portati alla filanda per ricavarne preziosi fili di seta. Subito dopo Natale, nelle settimane che precedevano l’Epifania, i contadini nell’aia o in altro spazio aperto, accumulavano fasci di legna per fare un grande falò la sera del cinque gennaio. Verso il tramonto la gente del borgo andava ad assistere al rogo del falò. Cantavamo vecchi cori propiziatori di antica tradizione “evviva il pane e vin la festa sull’ arin, la pinza sul fondal, evviva il carneval……” Queste invocazioni servivano, perché la direzione del fumo fosse di buon auspicio per il raccolto. I contadini riconoscenti uscivano con grandi teglie di pinza e profumato vin- brulè che offrivano a tutti. Avevamo invece fretta di mangiare la pinza, per poi correre in un’altra campagna dove cantare ancora a squarciagola e farci offrire altra pinza. La sera del “Pan e Vin” era per noi una delle più belle serate dell’inverno, il caldo del fuoco, il profumo del vino e il dolce sapore della pinza ci riempivano l’anima di una gioia che a distanza di anni ancora mi commuove. Tutti quei fuochi di quella notte magica, illuminavano la pianura e la collina perché in ogni campo o casa c’era un falò. Finalmente, dopo la guerra, questo sapore di cose semplici dava un senso alla vita. Dammi La Mano di Annabella Giri U n gruppo di giovani (giovani di circa 50 anni or sono) mi chiese allora se volevo partecipare ad una missione di volontariato, accettai l’invito. Ci si doveva recare in un Istituto di bambini disabili. Dedicavamo a essi un giorno la settimana, assai poco in confronto alla gratificazione che questo semplice gesto ci procurava. I bimbi ci accoglievano con grande riconoscenza; noi, con i nostri esigui risparmi, acquistavamo per loro piccoli doni. L’Istituto era accogliente, piacevole, circondato da un bel giardino. Tra i piccoli disabili c’era anche una bambina del tutto particolare perché vittima del Talidomide, al posto delle braccia aveva due piccoli 6 Pagine corrette.indd 2 11/12/15 11:38 Io, presa dall’angoscia, mi fermai all’improvviso. La bimba disse: “Andiamo avanti”. Mentre attraversavo la stazione per recarmi accanto al primo binario, una miriade di pensieri si rincorrevano nella mia mente. Pensavo: “Anch’io sono tutta sbagliata, sbagliata come questa creatura, lei è sbagliata di fuori, io sono sbagliata di dentro”. Ho avuto fede nei grandi ideali, ideali ai quali non credo più dal momento in cui fui colpita da una grave ingiustizia. La bimba disse: “Dammi la mano!!” Un brivido di paura mi attraversò tutto il corpo, dovevo tendere il mio braccio verso quello che per me non era un braccio, accogliere nella mia mano quella che per me non era una mano. Quale sarebbe stata la mia reazione? Mi sarei messa a urlare contro le crudeli ingiustizie della vita? Niente di tutto questo, quando accarezzai le dita di Michela provai all’improvviso una serenità ed una pace indescrivibili, sentii che non c’era nulla di sbagliato né dentro di me né in lei. Era una sensazione bellissima che riportava dentro di me ciò che credevo d’aver perduto per sempre, sentii che la vita poteva essere affascinante se continuava ad essere sostenuta da grandi ideali. Doveva essere qualcosa di bello e di grande che mi faceva provare tutto ciò, qualcosa che regnava sopra di noi. Passò davanti a noi il treno veloce e silenzioso, il soffio d’aria fece tremolare una foglia verde e tre fili d’erba, spuntati tra i bianchi sassi vetrosi e appuntiti, accanto a una rotaia infuocata! Ricordi & riflessioni moncherini, da ciascuno di essi uscivano tre lunghe sottilissime dita. Se la vedevi all’improvviso, senza che nessuno ti preparasse a sostenerne la visione, non riuscivi a controllare l’emozione e sbarravi gli occhi per lo stupore. La piccola Michela si accorgeva di questo: arrossiva, abbassava il volto, chiudeva gli occhi manifestando una grande vergogna per ciò che lei non aveva affatto commesso. Michela allora aveva solo sette anni, era molto intelligente, te ne accorgevi quando la vedevi giocare a carte con i compagni anche se, per farlo, doveva usare la bocca. In quel lontano giorno pasquale avevo deciso di andarla a trovare. Lei mi sorrise e mi disse: “Mi porti a vedere il treno? Mi piacerebbe vederlo correre sulle rotaie”. Volli accontentarla subito. La stazione non era molto lontana dall’Istituto, si poteva raggiungere a piedi, vi arrivammo facilmente, una ragazzina adolescente stava uscendo, aveva il volto sereno ed era bella come un angelo, i capelli biondi (raccolti a coda di cavallo) le oscillavano sulle spalle seguendo il ritmo frettoloso dei suoi passi. Volse lo sguardo verso di noi e, come vide la bimba che avevo accanto, sbarrò all’improvviso i suoi bellissimi occhi azzurri, manifestando timore e sconcerto. Michela arrossì e abbassò il volto. Avanzammo ancora verso la stazione, un giovane soldato procedeva con un’andatura rilassata, il suo volto era sorridente e felice, probabilmente aveva ottenuto una licenza per trascorrere la Pasqua in famiglia, come vide Michela sbarrò lo sguardo, apri la bocca e fece cadere la sigaretta che teneva tra le labbra. S Una bella quarta età di Chiara Canal Pagine corrette.indd 3 ono passati ormai tre anni dall’incontro con un’amica di vecchia data, ed è stato molto emozionante scambiarsi notizie sui fatti delle nostre vite che hanno riempito lo scorrere del tempo che ci separava da quando ci eravamo perse di vista. E’ stato un momento di “amarcord” che ha rinfocolato, per un po’, i sentimenti accalorati di amicizia giovanile mai dimenticata: ricordare figli e nipoti, in particolare, conosciuti piccoli, adulti che l’età ha portato via, com’è nell’ordine naturale delle cose, giovani adulti con cui il destino è stato inclemente. In questo scambio affettuoso di notizie su presente e passato, ero molto titubante se chiedere a Daniela notizie della suocera: sapendola molto anziana, poteva essere mancata negli ultimi tempi. Lei ha prevenuto la mia domanda: “La nonna”, come lei la chiama, “sta ancora benissimo compatibilmente con i suoi 98 anni!!!!!”. Ho conosciuto la signora Lidia più di trent’anni fa: all’epoca era molto assidua la frequentazione della mia famiglia con quelle delle due mie amiche, Daniela e Paola, sue nuore, quindi la incontravo spesso. Allora aveva circa settant’anni, portati splendidamente. Era una personcina minuta, sciolta nei movimenti, passo svelto e “vivace” sotto gli immancabili tacchetti. Era sempre vestita con buon gusto, molto giovanile: in particolare in primavera, i colori anche accesi come rossi, gialli o verdi, non le conferivano mai una nota stonata. 7 11/12/15 11:38 ricordi & riflessioni Un giorno rimasi quanto mai sorpresa e divertita nel vederla indossare un giaccone a quadri bianchi e neri che risaltavano non poco, ma quel che più attirava in lei era un bel paio di occhiali da sole con vistosa montatura bianca: “faceva” molto Lina Wertmuller e la sua disinvoltura era disarmante. Quando la incontravo per strada, s’intratteneva volentieri con me brontolando bonariamente su figli, nuore e nipoti: la trovavo irresistibile per la sua simpatica loquacità colorita dal suo buffo accento marchigiano con qualche sfumatura romanesca. Ma tornando alle notizie di Daniela, in quell’incontro, questa nonna moderna aveva voluto mantenere la sua indipendenza vivendo ancora da sola e in buona salute. Aveva dedicato molti anni a figli e nipoti: le era mancato abbastanza presto il marito che non aveva fatto a tempo a conoscere il primo nipotino. Cercava quindi di godersi gli ultimi anni uscendo abbastanza spesso, lasciando a casa i tacchetti che un tempo amava molto, ma curando ancora molto il suo aspetto. Ogni tanto, con amiche di un ventennio più giovani di lei, data la perdita di molte sue coetanee, saliva da Feltrinelli alle Barche per gustarsi l’aperitivo. Da considerare che per raggiungere il suo appartamento, che è un attico, prima e dopo l’accesso all’ascensore ha qualche rampa di scale. I familiari erano sempre in apprensione e, quando non la portavano con loro, facevano turni per essere presenti in città: le avevano anche presentato un’eventuale badante ma lei con garbo disse alla signora: “Lei mi piace molto: la chiamerò quando sarò più vecchia”. So comunque che non molto tempo dopo l’ha accettata solo per la notte. Nonostante tutto questo senso di libertà ed autonomia, raccontava ancora Daniela, che la suocera essendo ancora molto lucida, si rendeva pienamente conto dei limiti dovuti alla sua età, di quello che s’inceppava nella sua mente nel parlare o ricordare, ed alla minor capacità nell’uso di molte cose. Allora, qualche volta, confidava alle nuore di sentirsi sola ma era molto grata verso di loro, e figli e nipoti, per la vicinanza e l’affetto che non le facevano mancare. Confidava anche di avere un cruccio costante: quando si prospettava una qualche novità, che si sarebbe realizzata nel prossimo futuro, era sicura che non avrebbe fatto in tempo a vederla. Era stato così con il tram di Mestre che poi ha potuto vedere ed anche sperimentare. E con la promessa dei figli di farle restaurare il suo bel terrazzo: “Non farò in tempo a godermelo!” era il suo ritornello, ma è arrivata a farlo rivestire di tante belle piante! Le notizie più recenti le ho avute da una sua nipote: “La nonna raggiungerà il traguardo dei 102 anni fra qualche mese. Ovviamente il declino è costante e rapido ma ha ancora un po’ di lucidità e la salute, nonostante l’età, ancora accettabile”. Cara signora Lidia, ho ammirato molto la sua persona, la sua indipendenza ma anche la sua grande generosità verso la sua famiglia. La saluto con affetto. La signora ritratta nella fotografia non è la protagonista del racconto ma è un ritratto generico, a fini illustrativi, di libero uso 8 bozza impaginazione n.66.indd 8 05/12/15 18:38 ricordi & riflessioni NON SOLO EXPO un percorso parallelo S Testo e fotografie di Caterina Seguso bozza impaginazione n.66.indd 9 ono nata a Milano, ma nel capoluogo lombardo ho vissuto solo pochi anni Qualche volta sono tornata per brevi periodi , ma con il pretesto dell’expò non potevo mancare. Alle emozioni più intense nella bolgia del decumano ho alternato tranquille passeggiate in centro, al duomo, e la visita ad alcune gallerie. Particolari soddisfazioni le ho provate al museo del Novecento da pochi anni rinnovato negli spazi dell’Arengario. Nel 2007 furono avviati i lavori di ristrutturazione affidati al gruppo Rota vincitore di un concorso internazionale e dal 2010 è stato aperto. Con un significativo affaccio su piazza Duomo l’edificio espone tantissime opere selezionate dedicate all’arte italiana del XX secolo Nel percorrere gli spazi ho attraversato e rigenerato alcune delle mie conoscenze pittoriche plastiche e architettoniche. 9 05/12/15 18:38 Arturo Martini (1889 - 1947) Adamo ed Eva. - 1931. Convento di Santa Caterina - Treviso Arturo Martini (Treviso 1889 - Milano 1947). Terzo di quattro figli di famiglia molto povera si forma prima nella sua città natale e poi a Venezia in qualità di ceramista e orafo. Curioso per natura e interessato all’arte si trasferisce per studiarla prima a Monaco, poi a Parigi. Nel 1914 fa parte della Secessione Romana ed espone alla Mostra Futurista. Nonostante le sue indubbie capacità, stentò a essere riconosciuto per il suo valore e dovette sopportare severe difficoltà economiche. Nel 1926, partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia. Nel 1929 viene chiamato a insegnare Plastica decorativa all’Istituto d’Arte di Monza. Nel 1931riceve il premio per la scultura alla I Quadriennale di Roma mentre, nel ’32, avrà una sala personale alla Biennale veneziana. Dal ’37 al ’39 è impegnato in importanti commissioni pubbliche a Milano. Infine nel 1942 è chiamato ad insegnare all’ Accademia di Belle Arti di Venezia. Artista poliedrico passa dalla pietra al legno, dalla creta al bronzo senza dimenticare il gesso e la pittura. Di questi anni sono opere come Il bevitore (‘26), La pisana (‘30), La sete (’34), Donna che nuota sott’acqua (’42). “Se la scultura vuol vivere, deve morire nell’astrazione” Così scrisse in “Scultura lingua morta” del 45, avvertendo il limite e la crisi della propria arte. Tra le due guerre, diventa lo scultore ufficiale del regime fascista, era letteralmente travolto dagli impegni: grandi opere celebrative e monumentali per palazzi di Giustizia, chiese ed Università (La Sapienza di Roma.) Il 22 marzo del ‘47 muore a seguito di una paralisi cerebrale. Ad un anno dalla morte gli viene tributato un omaggio postumo alla V Quadriennale. Nel 1967 la sua città, Treviso, gli dedica una grande mostra monografica; per l’allestimento viene chiamato l’architetto Carlo Scarpa che, nel Convento di Santa Maria, che è parte del più grande complesso di Santa Caterina, ne realizza uno da par suo tanto da convincere l’Amministrazione Comunale ad acquistarlo per farlo diventare sede principale dei Musei Civici di Treviso. (S.G) In particolare mi sono soffermata nelle sale dove sono esposte sculture e disegni di Arturo Martini. La produzione di questo artista mi aveva nel passato talmente coinvolto da proporre con alcuni colleghi di titolare con il nome dello scultore l’anonimo luogo dove un tempo lavoravo. L’obiettivo tra le varie diatribe, altre proposte e votazioni è stato raggiunto. Eravamo riusciti a convincere gli indifferenti e i contrari che il nome di Arturo Martini era il più indicato per il nostro istituto. Il trovare a distanza di anni le opere studiate e documentate e poterle “toccare con mano” mi, ha reso felice. Gli incontri più belli sono stati parecchi: Pellizza da Volpedo, Boccioni, Basilico, Fontana, Melotti, Munari e …. Se dovessi consigliare come spendere tre ore piacevoli a Milano il museo del Novecento di Milano sarebbe tra le prime scelte da considerare. Rientrata da poco da Milano ecco spuntare la ciliegina nella torta. A Treviso giovedì 29 ottobre riapre il museo Bailo dopo quasi 12 anni di chiusura e dopo interventi (studio Mas di Padova) architettonici e museografici che hanno completamente cambiato il volto dell’ex convento degli Scalzi si ripresenta ristrutturato. La fruizione dell’intero complesso sia con la luce naturale che illuminato alla sera rende la strutture e le opere esposte capaci di generare grandi suggestioni. Il filo conduttore che accompagna nel percorso esalta il nostro maggior creatore di immagini plastiche del secolo scorso: sto parlando di quel Arturo Martini che avevo da poco apprezzato a Milano. Il legame tra la città e il progetto moderno risulta evidente. Sono stati inseriti nuovi elementi con una forte identità che ridisegnano l’edificio e permettono un continuo dialogo tra i vuoti delle arcate dei chiostri e i pieni delle sculture martiniane. Ripeto il consiglio: andateci…è qui vicino e come dice il professor Galante: fotografate, fotografate, fotografate (di nascosto però, perché non è permesso). 10 bozza impaginazione n.66.indd 10 05/12/15 18:38 dai corsi 1863 La danse de l’almée. Jean-Léon Gérôme (1824 –1904) I n Europa la Danza Orientale è spesso considerata come una forma di danza minore, artisticamente ignorata e lasciata spesso a dubbi spettacoli. Questo modo di pensare apparentemente superficiale denota una ignoranza del pubblico ed una forma di tabù verso questa forma di danza. Allora la Danza Orientale, che cos’è? E’ una danza delle donne, una delle forme primitive e delle più naturali. Secondo diverse fonti, la Danza Orientale esiste già nel 5.500 a.C. in Persia, Mesopotamia, Fenicia, Turchia e nell’Egitto Antico: potrebbe essere la danza più antica e portarci nella preistoria, nel neolitico (7000-3500 a.C.) e forse oltre, nel paleolitico, ancorata alle prime immagini di potere divino esemplificate nella figura della Grande Madre, la “Venus”, rappresentata dalle statuine dal ventre fertile e fianchi e seno generosi, adorate dai nostri antenati, 20.000 anni fa. Altre testimonianze di danza come rituale sacro si trovano nelle pitture rupestri del Paleolitico, ma è probabilmente nel periodo Neolitico e nella nascita del culto della Dea Madre, diffuso in tutto il Medio-Oriente, che si trova la prima forma di danza con movimenti che imitano il momento del parto. Le sacerdotesse danzavano insieme durante le cerimonie sacre nei templi per la Dea della Fertilità. Le donne del villaggio danzavano in gruppo mimando i movimenti del ventre intorno alla loro compagna. Il ventre della donna è all’origine della danza orientale: esso non era solo importante, ma determinante per la tribù, per il suo futuro sviluppo o per la sua estinzione. La Dea Madre prende il nome di Ishtar (o Inanna) nella civiltà assirobabilonese, si chiama Iside in Egitto. 11 LA DANZA ORIENTALE Maria Grazia Carniello bozza impaginazione n.66.indd 11 05/12/15 18:38 dai corsi La Venere di Willendorf. Naturhistorisches Museum di Vienna. Nota anche come Donna di Willendorf è una statuetta alta 11cm. e rappresenta una donna secondo forme steatopigiche. 12 Pagina a fianco: Gustave Moreau (1826-1898) L’Apparizione. Opera conosciuta anche come Salomè Acquerello. cm 106 x 72,2 Musée d’Orsay - Parigi La danza è presente come rituale sacro nelle cerimonie funerarie, nei “Testi delle piramidi”, incisi in alcune stanze sotterranee di alcune piramidi di Saqqara. Il greco Pausania parla di una danza praticata dalle sacerdotesse del tempio di Artemide ad Efeso, durante le cerimonie sacre, dove si compiono rotazioni di bacino. Tale danza era chiamata “Kordax”. Con il sopraggiungere dell’Impero Islamico questi riti sacerdotali scompaiono via via e la danza perde il suo carattere sacro. Va precisato che il Corano non proibisce musiche e danze, bensì sono state le autorità religiose che hanno cercato e tentano ancora di eliminarle. L’incontro con l’Europa invece risale alla fine del ‘700, quando i legionari di Napoleone e i viaggiatori europei, di ritorno dalla campagna d’Egitto, diffondono l’immagine di donne che danzano lasciando scoperto il ventre. La conquista delle colonie portava molti cittadini del vecchio continente a frequenti spostamenti. Neanche Oscar Wilde riuscì a resistere al fascino di questa danza e nel 1883 rappresentò una “Salomè” che ballava una danza dei sette veli. Le danzatrici “professionali” appartengono principalmente a tre tribù di tendenza matriarcale: i Ghawazee (zingari egiziani), gli Almèe in Egitto e gli Ouled Naids in Algeria. Presso queste tribù le ragazze sono educate per diventare danzatrici. In Turchia sono le donne di origine zingara che si esibiscono. Ad ogni modo la danza orientale non è appannaggio delle “professionali”: essa è una danza profana che trova radici molto profonde nella società, ed è tuttora praticata ed apprezzata nelle feste popolari, ed è così che si manifesta come espressione culturale dei singoli e non come semplice manifestazione folkloristica. Nel mondo arabo, in Turchia e in Grecia la danza e la musica sono una parte importante della vita: le donne del popolo danzano insieme quando sono tra loro, così pure gli uomini. E’ certo comunque che questa forma di danza ha perduto il suo primo significato, si è evoluta ed è divenuta bozza impaginazione n.66.indd 12 più elaborata, più sofisticata e completa. Il ventre e il bacino hanno ancora una certa importanza, ma tutte le parti del corpo sono in movimento, una dopo l’altra o contemporaneamente, risolvendosi in movimenti. Questa disciplina richiede una grande concentrazione ed allo stesso tempo una flessibilità ed una dolcezza tali da realizzare una soluzione armonica nei movimenti. Si pratica quasi sempre a piedi nudi per stabilire un contatto con la terra. Si danza inoltre sulla punta dei piedi per dare un senso di leggerezza e di eleganza. Inoltre esige dalla danzatrice un talento nell’improvvisazione ed una grande sensibilità. Esistono vari stili nella danza orientale, ogni regione ha le sue caratteristiche che sono influenzate dal folklore e dalla musica. Perché la danza orientale in Europa? Qual è il motivo del grande interesse per questa danza in Europa? Sicuramente esso è dovuto al fascino per il mistero che avvolge il mondo orientale e arabo. Attraverso l’apprendimento di questa meravigliosa disciplina si determina un’apertura culturale verso il mondo “chiuso” delle donne arabe, turche e le loro tradizioni. Un altro motivo molto valido è semplicemente il piacere di ballare, di riscoprire tutti quei movimenti semplici e originali del bacino e del ventre, la gioia di muovere tutto il corpo lasciato “libero”. Tutte queste attitudini che la civiltà moderna ci ha fatto dimenticare. Il ventre è il “centro” del corpo, ma le nostre regole estetiche lo nascondono, la danza orientale gli ridà la sua naturale collocazione. Infine il motivo della salute e della conoscenza del proprio corpo: si utilizzano con dolcezza, mai con aggressività, dei muscoli e delle parti del corpo che sono quasi mai in movimento. La pratica della danza orientale conduce alla riscoperta ed al controllo del proprio corpo (tanto è vero che viene usata anche in kinesiterapia). 05/12/15 18:38 A scuola di autostima CASA MIA IL NON ALTRO Ea me Venessia splendida cunada su una cuna Par stramasso, l’acqua che xe ea so laguna. Come cussin, giardini sconti da ‘na fodreta par goder in tranquilità quel’aria benedeta. Quel’acqua verdoina riflete i so palassi de quei fastosi ani ormai andai in ribassi. Venessia, a tuti quanti, ricordarà par sempre queo che mai più tornarà. Riflete tuto questo ea me fantastica cità. E ti penso, ma non sei lui, e non ti amo, e non sei bello, e non sei giovane, e non sei vigoroso, e non sei forte e non sei attraente. però mi son sentita amata e pensata forse come non mai. SanBal bozza impaginazione n.66.indd 13 Poesie dai corsi Si tratta di un’arte che permette un importante miglioramento per il benessere psico-fisico. “L’aspetto fisico va insieme alla dimensione psichica. Le persone si vedono più di buon umore ed il proprio corpo viene accettato molto di più”. Per quanto riguarda la sfera prettamente fisica, migliora la circolazione sanguigna, la respirazione, i dolori relativi alla colonna vertebrale, sia a livello lombare che cervicale, la postura ed il tono muscolare; mentre a livello psicologico i vantaggi ottenibili sono stati spesso indicati in termini di rilascio delle tensioni, di acquisizione di una maggiore consapevolezza corporea, di un senso di rinascita e di riscoperta della femminilità. E non finisce qui: la disciplina è a 360°. E’ facilmente intuibile come la scoperta del sapersi muovere implica anche una liberazione delle proprie energie, emozioni e potenzialità. La sua pratica regolare può aiutare a modellare l’addome, i glutei, le cosce. Un corso di danza del ventre può essere un modo per evadere dagli impegni quotidiani e l’occasione per ritagliare delle ore da dedicare a noi stesse, riscoprendo il nostro essere donna e risvegliando la “Dea” che c’è in noi. Ed allora a questo punto non mi resta che augurarvi: buona danza a tutte! SanBal 13 05/12/15 18:38 Continua l’editoriale da pag 1 sospensione dei corsi sono veramente troppi. E’ seguita una mail per capire se il prof. Galante era disponibile; sì, il docente era decisamente interessato e disponibile, se fosse stato possibile usare la sede dell’Unitre e gli iscritti al corso lo desideravano, si poteva fare. Un giro di telefonate ed ecco, alla data prestabilita, 22 persone fornite di grembiuli (bellissimi i signori con grembiulini da cucina) sono sedute attorno al lungo tavolo su cui sono disposte le vaschette con i “bagni” per lo sviluppo e il fissaggio, la carta fotografica, sacchetti trasparenti, foglie, carta e oggetti vari, pronti per iniziare un laboratorio di fotografia che li introdurrà nella magia dell’immagine realizzata dall’azione diretta dello sviluppo e/o del fissaggio su quei foglietti sensibili che, volutamente, erano stati esposti preventivamente alla luce. Molti già conoscevano la pratica dello sviluppo tradizionale, quello che si fa in camera oscura per capirci; quasi nessuno, però, conosceva quella faccia della medaglia dove ogni regola veniva sovvertita, capovolta. La camera oscura è diventata chiara e tutta la sede Unitre, come detto, s’è trasformata in un grande laboratorio. S’è sperimentato, verificato, “giocato” con l’azione dello sviluppo e/o fissaggio su quella carta sensibile che faceva emergere, magicamente, figure più o meno astratte vuoi bianche su fondo nero, vuoi nere su fondo bianco accompagnate sempre da una variata quantità di zone grigie. Quelle figure che apparivano sulla carta, sarebbero state poi modificate, dando loro nuove forme interpretative, grazie all’intervento del computer volontariamente pilotato a fare questa o quella trasformazione. Tutto è stato abbondantemente fotografato e ripreso con la videocamera per poter restituire in immagini l’esperienza fatta. Il fare, lo stare insieme, lo scambio di opinioni è stato il collante che ha permesso di vivere questa esperienza con interesse, vivacità e grande serenità. Non è la prima volta che parliamo dell’importanza fondamentale che la socializzazione riveste all’interno dell’Unitre, che non può e non deve limitarsi a fornire cultura, ma deve favorire anche i rapporti umani, la possibilità di condividere esperienze e nuove amicizie, dialogare. Molti sono gli anziani che vivono una situazione di solitudine o semplicemente la perdita di un ruolo attivo, e la possibilità di incontrare coetanei, con cui condividere interessi e percorsi, diventa fondamentale per dare nuovi stimoli alla vita. Ecco perché riteniamo che accorciare le vacanze, lunghe ben cinque mesi, sia cosa buona e auspicabile anche per altri corsi. Dall’alto Chimigramma di Caterina Seguso ottenuto imbibendo con lo sviluppo un oggetto tipo pettine e mosso sulla carta in modo tale da lasciare traccia del percorso. Dopo questa azione il foglio fotosensibile è stato immerso nell’acqua acidulata e poi passata per una decina di minuti in fissaggio e, infine, lavato in acqua corrente. Chimigramma di Luciano Bettini. Questo lavoro risulta piuttosto interessante perchè sulla stessa superficie sono state effettuate due azioni tra loro contrastanti; la forma bianca è stata ottenuta bagnando l’oggetto con il fissaggio e poi con lo spruzzino (o spazzolino da denti) è stato spruzzato dello sviluppo che ha agito solo sulle parti non precedentemente fissate. Poi La redazione lavato, nuovamente fissato e, infine lavato in acqua corrente bozza impaginazione n.66.indd 14 05/12/15 18:38 FARE CHIMIGRAMMI Il 15 maggio scorso, poco dopo la chiusura del corso, ho ricevuto una mail da una corsista che, talaltro, mi scriveva: “... Non ricordo in vita di essermi dispiaciuta della fine di un anno scolastico mentre, già da oggi, penso che cinque mesi prima di ricominciare il suo corso sono tanti, anzi tantissimi....per me è stato, ed è, importante tornare a confrontarmi con gli altri e ad imparare tanto anche dai miei compagni di corso. Prof. TUTTE QUESTE VACANZE mi “spaventano”, si fa per dire, (anzi mi stupisco di averlo detto!!!), un tempo le vacanze le avrei allungate di un bel po’!!”. Avuta la disponibilità dell’uso dei locali della segreteria dell’Unitre, dalla presidenza e direzione che subito ha sposato il progetto, ho proposto un seminario - oggi si dice workshop - sulla “Fotografia creativa dall’analogico al digitale: chimigrammi, fotogrammi, scansiogrammi”. Questo tema, (scansiogrammi a parte) mi è particolarmente caro perchè sono almeno 44-45 anni che lo pratico e l’ho proposto sia a bambini di prima elementare, sia a studenti di ogni ordine e grado, universitari pre e post laurea, adulti compresi. Chimigrammi e Fotogrammi sono stati i primi esercizi in assoluto che ho eseguito da studente del C.S.D.I. di Venezia come allievo del prof. Italo Zannier e, già da allora ne rimasi folgorato. L’esercitazione serviva a far prendere confidenza con i materiali della fotografia: la carta sensisbile, lo sviluppo, il fissaggio, l’ingranditore, ecc.. Ma il bello dei Chimigrammi (immagine prodotta dall’azione chimica sui sali d’argento della carta sensibile) è che si può fare tranquillamente alla luce del sole, non c’è bisogno di nessuna camera oscura, nessun ingranditore, bacinelle, termometri, timer, ecc....insomma niente di niente di ciò che può esserci nell’immaginario collettivo che risponde al fare in camera oscura. Un po’ diverso, invece, il discorso sui Fotogrammi che hanno bisogno, per essere prodotti, almeno della camera oscura. Tutte e due queste pratiche hanno nobili origini visto che risalgono gli albori della nascita della fotografia (ufficialmente 7 Pagine corrette.indd 4 gennaio 1839). Tutti, ma proprio tutti, possono fare esperienza di produzione di chimigrammi e le cose che servono sono proprio poche: quello che invece serve è voglia di essere “cre-attivi” ovvero di giocare creativamente senza paura di sbagliare, di fare cose poco opportune. Possiamo dire che sovvertire le regole potrà essere la stella polare dell’iniziativa. dai corsi di Sandro Galante Ma ‘sti Chimigrammi come si fanno? Cosa occorre per realizzarli? dall’alto: Chimigrammi realizzati da: Lucia Frasson, Magda Signorelli, Androniky Stavridis C’è bisogno di sviluppo e fissaggio fotografico (si comperano dai fotografi ben forniti o in internet) e carta fotosensibile. I primi vengono venduti in forma concentrata e hanno costo piuttosto contenuto (una trentina di euro per entrambi per avere una decina di litri di soluzione che faranno produrre centinaia di stampe fotografiche). Per la carta c’è quasi l’imbarazzo della scelta e si va da quella autocostruita (bisogna essere abbastanza esperti per farla) a quella industriale di varia misura e pezzatura. Da non escludere, infine, l’utilizzo di materiale scaduto: noi l’abbiamo fatto ottenendo così carta fotosensibile per qualche euro o, comperando altro, gratuitamente. Questo è tutto perchè le mitiche bacinelle da camera oscura sono state sostituite da quelle teglie da forno in alluminio, usa e getta, che tutti usiamo in casa. Da casa, poi, è arrivato di tutto: dalle spugnette per i piatti alla carta assorbente da cucina, dalle mollette per la biancheria al pluriball per l’imballaggio. E ancora, oggetti e oggettini di ogni tipo quali: fermagli, pennelli, foglie, fili d’erba, colini, rocchetti, suole di scarpe, ecc..... ma senza dimenticare le mani, le dita e, perchè no, anche i piedi! La caratteristica dell’oggetto deve essere quella della permeabilità, più o meno spiccata, al liquido di sviluppo e/o del fissaggio. Infine disporre davanti a sè tre vaschette: nella prima si verserà lo sviluppo; nella seconda vaschetta verseremo 1litro di acqua acidulata con un cucchiaio di aceto (i puristi vorrebbero l’acido acetico) per 15 11/12/15 11:38 dai corsi realizzare un buon arresto. Un acido neutralizza sempre un sale, ce lo hanno insegnato alla scuola media. La terza vaschetta infine conterrà il fissaggio (tiosolfato di sodio, comunemente chiamato iposolfito di sodio). Dopo aver organizzato la nostra postazione di lavoro coprendone la superficie con vecchi giornali o sacchetti di plastica aperti, aver indossato un bel grembiule per difendere i nostri abiti dagli schizzi dello sviluppo...e fate attenzione perchè questo macchia in maniera piuttosto decisa. Il grande sacrilegio. Ed eccoci al momento clou, quel momento che noi sacrileghi facciamo con sprezzo della maledizione dei puristi e farà mettere le mani nei capelli a tutti, ripeto tutti, i fotografi seri. Aprire alla luce del giorno la busta della carta sensibile, tirare fuori il pesante sacchetto nero che contiene quella carta e, infine, esporre alla luce quel prezioso foglio! Fare ciò significa sapere che quel foglio non potrà più essere usato per stampare alcuna fotografia perchè in fase di sviluppo darà sempre e comunque un’immagine nera! L’emulsionie sensibile contiene una miscela di bromuro e cloruro d’argento più una piccola quantità di ioduro d’argento. Lo sviluppo, che utilizza per la sua azione anche l’idrochinone, ha la capacità di separare l’argento delle parti esposte alla luce dalle parti rimaste al buio, diventando nero il primo e trasparente - quindi bianco - il secondo. Ecco da dove parte l’azione da farsi per ottenere il chimigramma. Il ragionamento è semplice: se lo sviluppo farà diventare nero quel foglio sensibile basterà farlo agire selettivamente e lui ci restituirà un’immagine assolutamente unica, irripetibile e, spesso, inaspettatamente affascinante. Dopo i primi tentativi liberi (vedi i chimigrammi riprodotti in questa pagina e in quella precedente) potrebbe venirvi il desiderio di prendere un pennello e cominciare a dipingere....che dirvi? fatelo ma fatelo, però, usando strumenti “improbabili” come le dita, un cotton fioc, un angolino di una spugna, una spazzolina... Non negatevi la possibilità di apprezzare la bellezza dell’azione dello sviluppo che creerà sfumature, trasparenze, laddove quella goccia ha disegnato il suo percorso. E il bello è che tutto avverrà sotto i vostri occhi, durante quei 30”- 40” necessari allo sviluppo per dare il meglio di sè. Passato comunque il tempo utile per dare un’immagine ricca di toni (mai oltre gli 80”), bisognerà passare quel foglio, immergendolo tutto, nella seconda vaschetta con l’acqua e aceto. Quì resterà pochissimi secondi poi, senza fretta, sgocciolandolo il più possibile, verrà immerso nella terza faschetta dall’alto: Chimigrammi realizzati da: Fernando Anzani, Gianfranco Ferla Silvana R. In basso, al centro. Chimigramma realizzato da Giorgio Bertoldi Nella pagina accanto Gruppo di corsisti al lavoro 16 bozza impaginazione n.66.indd 16 05/12/15 18:38 dove il bagno di fissaggio compirà l’azione risolutiva rendendo quell’immagine stabile nel tempo. E visto che in questa vaschetta rimarrà 10’-15’ avrò tutto il tempo per fare altri chimigrammi; unica accortezza sarà quella di controllarlo nella sua totale immersione. Ora, invece di immergere la mano (o la spugna, o la molletta, o....) nello sviluppo immergiamola nel fissaggio e appoggiamola con la stessa metodica di prima. Quando la solleverete non ci sarà l’immagine nera con tutti i suoi grigi ma, altresì un’immagine bianca su fondo....bianco (meglio giallino extrapallido). Quel foglio così trattato dovrà essere sviluppato e, quindi, dovrà essere immerso nella prima vaschetta che farà diventare nera tutta quella superficie che non è entrata in contatto con il fissaggio (meglio, molto meglio se, prima di quell’immersione, si farà un passaggio in acqua pulita: due tre immersioni saranno sufficienti per eliminare l’eccesso di fissaggio). Dopo aver passato il foglio nello sviluppo per quei 30”-40” rifarò il passaggio nell’acqua e aceto, nuovamente nel fissaggio per i canonici 10’-15’ e, infine, nel lavaggio. Un’ultima parola sul lavaggio. Questa azione di lavaggio deve essere moderatamente energica, in acqua corrente, mai ferma o stagnante. In casa si ottiene un ottimo lavaggio mettendo le fotografie in un catino o vaschetta con il “telefono” della doccia posto sul fondo; così facendo l’acqua dentro la vaschetta subirà un naturale e importante movimento dal basso verso l’alto eliminando in maniera definitiva i sali del tiosolfato di sodio. Un buon lavaggio fatto per 15’-20’ farà sì che quelle fotografie durino nel tempo senza creare sulla loro superficie irrimediabili macchie o formazione di “fiori di sali”. E gli Scansiogrammi? Ne scriverò dettagliatamente una delle prossime volte quando redigerò anche la scheda sui Fotogrammi. Cosa hanno detto alcuni dei partecipanti ANTONIO BORDIGNON “Carneade, chi era costui?“ disse Don Abbondio. “Chimigrammi, cosa sono costoro?” dissi io …., ma con le esaurienti spiegazioni di Sandro Galante, nelle sue lezioni tenute a Settembre nella sede Unitre di Mestre, sono riuscito ad entrare in un mondo nuovo dove la macchina fotografica non viene toccata e tutto si può fare con la chimica. Con un semplice foglio di carta fotografica magari vecchia ed ormai inutilizzabile per la fotografia usuale, possiamo creare delle immagini da oggetti di uso quotidiano, come forcine, tappi, mollette ed altro, senza limite di fantasia. Si immergono gli oggetti in un liquido, si imprimono sulla carta, si passa la carta in bacinelle con soluzioni chimiche e….sembra una magia: improvvisamente appaiono le immagini. Stupefacente! Si immergono gli oggetti in un liquido, si imprimono sulla carta, si passa la carta in bacinelle con soluzioni chimiche e….sembra una magia: improvvisamente appaiono le immagini. Stupefacente! La positività di questo workshop è che tutti gli allievi hanno potuto, praticamente ed insieme, eseguire le operazioni, meravigliandosi dei propri chimigrammi e di quelle dei compagni; questo ha sollecitato la curiosità nella ricerca di nuovi oggetti da impressionare sulla carta fotografica e ha dato un impulso di creatività personale che con l’età avevamo perso. In quei momenti siamo tutti tornati bambini, pronti a sperimentare ed a gioire per le nostre realizzazioni e sensazioni. Le ulteriori lezioni con scansiogrammi e fotoritocco hanno dato organicità e completezza al corso, ci hanno coinvolto positivamente aumentando il nostro bagaglio culturale relativo al mondo della fotografia. LUCIANO BETTINI Magie fotografiche. Chimigrammi, un’altra frontiera del magico mondo della fotografia mi si è spalancata grazie alle lezioni ed insegnamenti del nostro professore Sandro Galante. Poche e rudimentali sono le mie conoscenze di camera oscura, acquisite circa 40 anni fa e messe in pratica solo per pochi mesi. Per me una cosa era certa: per fare una fotografia bisognava partire da un negativo ottenuto con una macchina fotografica. E invece il prof. ci viene a spiegare e dimostrare che possiamo creare immagini senza l’ausilio di un negativo e lavorando alla luce del sole!!! Incredibile. La mia curiosità aumenta, sono pronto a cimentarmi, assieme ad altri compagni di corso, in questa nuova avventura “fotografica” sotto la sua guida esperta. Tutto è stato approntato presso la sede di Unitre: cinque postazioni con tre vaschette contenenti separatamente liquido di sviluppo, liquido di fissaggio ed 17 bozza impaginazione n.66.indd 17 05/12/15 18:38 dai corsi acqua e aceto. Sono gli elementi indispensabili per far comparire la magia. Galante, il grande illusionista con il suo “grembiule magico”, si appresta a mostrarci alcuni trucchi. Prende un foglio di carta fotografica e lo stende su un tavolo, intinge una mano in una delle tre vaschette, la appoggia velocemente sopra il foglio ed ecco apparire l’impronta di una mano bianca o nera. Illusione ottica, magia o miracolo??? Con i suoi insegnamenti e la sua pluriennale esperienza in breve tempo diventeremo anche noi maghi ed illusionisti. Quanta passione ed impegno vedo in tutti i partecipanti: che gran divertimento!!! MARIA CRISTINA IMPEROLI Ricordi di scuola. Riprendere ad usare sviluppo, fissaggio e carta fotografica mi ha riportato indietro nel tempo. Come allieva iscritta al Corso Superiore del Disegno Industriale mi divertivo, molto seriamente, assieme ai miei compagni, a sviluppare le fotografie relative agli esercizi che il prof. Italo Zannier mi aveva dato come esercitazione. Ricordo che era emozionante veder apparire, poco alla volta, le immagini catturate dalla mia macchina fotografica, allora analogica. Ed era una grande soddisfazione se il risultato era quello che mi aspettavo. FERNANDO ANZANI Chimigramma, chi era costui? Ora lo so, dopo aver partecipato al work-shop sulla “Fotografia creativa senza l’ausilio della fotocamera”. Un work-shop interessantissimo e divertentissimo da cui ho ricavato un’esperienza certamente positiva, istruttiva e affascinante. Un grazie al prof. Galante. SILVANA R. Per alcuni di noi le lezioni di fotografia sono cominciate in anticipo. Organizzato dal nostro insegnante abbiamo frequentato per quattro settimane un corso su Chimigrammi e Scansiogrammi. L’esperienza è stata senz’altro positiva e interessante. 18 CATERINA SEGUSO L’attesa e la sorpresa, ma se ti scappa….. te la tieni! Pronti, via. Partenza anticipata. Grazie Magda, la tua petizione ha aperto la possibilità di iniziare un mese prima il corso di fotografia. Ci siamo inscritti a un workshop. Oggi si parla e ci si immerge nel chimigramma. Su una superficie fotosensibile (ma senza usare la macchina fotografica) ci divertiamo a creare (quasi) casualmente immagini astratte. La tecnica del chimigramma riscoperta e messa a punto nel 1956 da Pierre Cardier ci guida al gioco delle tre vaschette che non permette errori. Sui tavolini della segreteria (allestita a laboratorio) sono appoggiati tre contenitori rispettivamente con sviluppo; acqua e aceto; fissaggio. Due esperti cineasti (MaestroToni e Giorgione) riprendono documentando ogni fase. Più di 20 allievi indossano grembiuloni protettivi (lo sviluppo macchia) e hanno in mano curiosi materiali. Dopo le spiegazioni e gli esempi dell’insegnante iniziano le sperimentazioni. I tempi sono importanti. Fra noi i fotografi più esperti, anche nella casualità, cercano di portare a termine un percorso creativo guidati dall’esperienza, meglio dal gusto. Ma tutto ciò, secondo il nostro prof., sarebbe vietato. E in sottofondo, con il suo vocione, ci ripeteva: “Lasciatevi cogliere dal caso, dall’occasionalità…non cercate di comporre il ‘quadretto’, divertitevi a fare macchie, colature di sviluppo o fissaggio, gocce sparse, impronte improbabili di oggetti improbabili”…. Ed ecco che compaiono foglie, fili d’erba, spazzolini, spugne, retine, pennelli, mollette, bozza impaginazione n.66.indd 18 timbri, impronte e, come in una magia, dopo timide immersioni nel rivelatore o nel fissaggio, ecco l’immagine che si forma e si trasforma. L’ultima fase è la più concitata. Si sciacqua il tutto sotto l’acqua corrente nell’unico bagno e vedete voi:……. se ti scappa…..te la tieni. Se sarete incuriositi il prodotto ottenuto dai più di 20 “novelli bambini”sarà esposto, a breve, alle pareti dell nostra segreteria. GIORGIO BERTOLDI Quest’anno, per la prima volta, presso la nostra nuova sede Unitre, s’è tenuto un “Extra Corso” di immediato successo su “Chimigrammi e Scansiogrammi”, vocaboli forse sconosciuti a molte persone, cui altri corsisti sapranno meglio riferire. A me piace invece raccontare com’è nato questo corso: Magda Signorelli sosteneva via mail che il tempo che intercorreva tra la fine dei corsi e il loro nuovo inizio era troppo lungo e riteneva che anche a molti altri sarebbe piaciuto fare qualcosa assieme nell’ambito delle lezioni di fotografia. La generosa disponibilità del paziente prof. Galante, (lo dico con cognizione di causa) ha consentito di organizzare un breve ma completo corso di quattro lezioni, tenute di giovedì, tra settembre e ottobre. La lezione secondo me più divertente (preceduta dalle chiare spiegazioni di Sandro Galante) è stata quella della sperimentazione con i bagni chimici dello sviluppo e del fissaggio delle immagini “fotografiche” ottenute mediante o l’esposizione alla luce della carta sensibile per stampa fotografica sovrapponendovi oggetti imbevuti di sviluppo (o fissaggio) di cui sarebbe poi rimasta la silouette in bianco e nero. Oppure l’intervento diretto, sempre sulla carta fotografica, con spugnette, mollette, fili d’erba e altro ancora, precedentemente intinte nello sviluppo, quindi lavate e poi fissate con la soluzione apposita. Quel giovedì si è subito caratterizzato per l’atmosfera tra l’eccitazione e il fervore per questa opportunità di creare immagini originali e la divertita partecipazione collaborativa di tutti. Divertente infatti era vedere tutte queste persone con grandi grembiuli a protezione dei vestiti e la eccitata velocità esecutiva per non vanificare gli interventi fatti sulla carta fotografica. Tutti i tavoli e le scrivanie erano occupati da vaschette con l’acqua , lo sviluppo ed il fissaggio e si vedeva un frenetico alternarsi di noi corsisti nell’uso dei bagni chimici. Concludo dicendo che quel pomeriggio di creatività collettiva, i cui prodotti saranno presto esposti in sede, si è svolto senza “danni” chimici per tutti i partecipanti il corso. LUCIA FRASSON “Fotografare senza macchina fotografica” non è stata per me una novità. Nel Lontano 1979 - se non ricordo male - presso Palazzo Fortuny, a Venezia, partecipai a un laboratorio (allora si chiamavano così) condotto da Ando Gilardi e sperimentai questa tecnica. Anche ai miei alunni ho proposto questa attività e devo dire che l’entusiasmo che loro hanno provato è stato anche il mio. Cosa c’è stato di nuovo, di diverso questa volta? La consapevolezza ottenuta tramite l’analisi dei chimigrammi da noi creati. Vedere i chimigrammi proiettati e parlarne mi ha fatto comprendere l’importanza della “semplicità”, ma anche che in un’immagine caotica si possono celare forme impensate. E poi la postproduzione. È stato fantastico scoprire nei chimigrammi scansionati dei piccoli ”tesori”, è stato divertente ritagliare, ingrandire, invertire, scoprire, cambiare i colori… È stata un’esperienza molto bella che ripeterei subito, anche se con una diversa consapevolezza. 05/12/15 18:38 (seconda e ultima parte) di Gianfranco Pontini Fotografie di pubblico utilizzo tratte da internet bozza impaginazione n.66.indd 19 (continuazione dal numero 66 di Ottobre 2015) La leggenda narra che nella notte dei tempi i primi abitanti si resero conto che non era consigliabile abitare nella Valle del Quieto. L’aria era pestifera a causa degli acquitrini e delle zanzare che diffondevano la malaria; le bestie feroci assalivano e facevano scempio di uomini ed animali; non c’erano sentieri percorribili e luoghi in cui ripararsi dai predoni e dal maltempo. Allora decisero di andare a vivere sulla cima del colle dove ritirarsi la notte e durante la cattiva stagione, per cui si dettero da fare a squadrare dei grandi massi adatti alla costruzione delle mura del nuovo paese. In quella valle vivevano in molte caverne dei pacifici giganti ed uno di loro, Beppo, non dava fastidio a nessuno ed aveva una sua fissazione: non voleva essere visto e non intendeva frequentare gli umani. Osservò a lungo nascosto nella foresta gli sforzi disperati di quella gente, poveri cacciatori e contadini, e quando si rese conto che stavano per rinunciare al loro progetto uscì allo scoperto e si fece vedere. Senza dire neanche mezza parola, cominciò a sollevare i massi uno per uno come se fossero piume d’oca, e a lanciarli sulla sommità della collina. In poco tempo il gigante finì la sua buona azione, scomparve e nessuno lo rivide mai più. Da allora gli abitanti, grati al gigante buono, ogni anno al tempo del raccolto, e la tradizione persiste tutt’oggi, confezionano un grande pupazzo di paglia che rappresenta il loro benefattore e lo espongono su un muro della cinta muraria. Montona sorge sul luogo in cui i primi Istri costruirono uno dei tanti castellieri. Poi i Romani dominarono l’Istria per sei secoli ed usarono come base delle mura di cinta da loro edificate ciò che restava di quelle celtiche; lo stesso fecero i Veneziani, signori di Montona dal 1278, che a più riprese edificarono le mura attualmente esistenti. Esse testimoniano non solo l’antichità del luogo ma anche i numerosi conquistatori che si sono succeduti nei secoli. Molte lapidi romane sono emerse dagli scavi dei due ultimi secoli e la parte murata nel passo carraio del Torrione che porta al Castello, testimonia la traccia profonda che i Romani impressero qui, come in molti altri luoghi dell’Istria. Oggi, ammirando queste poderose fortificazioni, noi comprendiamo quale sia stata la loro importanza per la vita della gente pensando a quante volte hanno difeso il borgo fortificato dalle invasioni di Avari, Germanici, Longobardi, Slavi, Turchi ed Uscocchi. La spinta a darsi in dedizione a Venezia parte un po’ lontana: infatti nel 1265 Parenzo si ribellò ai patriarchi di Aquileia per ottenere la libertà di commercio assieme a Montona e Duecastelli. Ma furono tante e tali le aggressioni che il borgo fortificato subì non solo dai patriarchi di Aquileia ma anche dai conti di Gorizia che tutti compresero che non c’era altro da fare che mettersi sotto lo scudo forte di Venezia; la Dedizione fu firmata 19 viaggi Viaggio in Istria Montona 05/12/15 18:38 viaggi nel 1276 e portò a Montona protezione e certezza dei suoi confini. Da allora la città fu veneziana fino al 1797 e l’ultimo podestà fu Francesco Maria Badoer La Valle del Quieto era, con le sue immense riserve di legame, la principale riserva di provvista per la costruzione delle navi della Serenissima e, nello stesso tempo, fonte non piccola di guadagni per chi, sul posto ne esercitava il controllo e la difesa. A tal proposito una Parte (legge) del 1777 recitava così: “...le altre piante e ricavati non buoni per i lavori dell’Arsenale e le porzioni inutili separate dalle piante offese (dovranno) integralmente rimaner in natura dovendo a piacere (servire), uso, e benefizio dei Padroni dei Boschi, e Comuni, colla libertà anco della vendita alli Squeraroli ed a qualunque suddito...” La Serenissima definiva il Bosco di San Marco “la luce dei suoi occhi” e lo difendeva con leggi severissime; a riprova di ciò sono ancora visibili, come a Pinguente, le bocche per le denunce segrete contro chi rubava o danneggiava i boschi della Valle del Quieto. La nostra visita subì un improvviso cambio di programma perché non fu possibile visitare Pinguente, essendo la strada interrotta da lavori in corso. La nostra guida, il signor Adriano, ci suggerì allora di andare a visitare la chiesa di Santa Maria delle Lastre a Vermo, dove giungemmo attraverso una stradina da brivido e sotto la pioggia battente. Vermo: Madonna delle Lastre Pioveva che Dio la mandava quel mezzogiorno del 18 aprile, tanto che rinunciammo ad andare a Pinguente e così, con un po’ di contarietà della guida, dopo la visita di San Lorenzo, decidemmo di salire alla Chiesa della Madonna delle Lastre a Vermo. La stradina, sarebbe meglio dire il viottolo, sebbene 20 bozza impaginazione n.66.indd 20 asfaltato, era stettissimo e la valle del fiume Cipri lungo la quale si snoda è pressoché disabitata. Questa strada è chiamata Chizzer, che vuol dire pericolosa. Trovammo un piccolo tesoro immerso in uno bosco di pini e tigli formato da un portichetto a tre arcate ed un campanile a vela con la bifora che ospita la campana. Antichissimo villaggio, Vermo fu sede anche di un’antica abbazia dei Benedettini intorno all’anno mille. Il pavimento, la facciata e l’acquasantiera sono originali di quel periodo. I monaci lasciarono l’abbazia intorno al XIII secolo, poi tutto andò in rovina eccetto la chiesetta cimiteriale. Al suo interno un arco a sesto acuto divide il presbiterio dallo spazio dei fedeli e conserva bellissimi affreschi del 1747 di Vincenzo da Castua, coetaneo (qualcuno dice padre) di quel Giovanni da Castua che affrescò Cristoglie. La mano e la scuola pittorica tirolesecarinziana è la stessa. Uguale la tematica dell’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla morte e l’ansia di giustizia che animava il popolo contadino di quei duri tempi. La Danza Macabra si snoda sopra la porta: due scheletri danzanti tengono per mano un vescovo ed un re; un terzo abbraccia una regina e così via. Belli da non dire anche i 05/12/15 18:38 Magi a cavallo con donne e cavalieri, l’Annunciazione, la Nascita, il Battesimo e la Passione nelle altre pareti. C’è un però: la trascuratezza dell’interno della chiesetta priva d’illuminazione, priva di qualunque cartolina o piccolo foglietto illustrativo del tesoro di Santa Maria delle Lastre. Sarebbe da segnalare, se esiste in Istria, a qualche sovrintendenza artistica, questa grave trascuratezza! viaggi SECONDO VIAGGIO 23-25 Ottobre 2015 Rovigno Santa Eufemia (Calcedonia 289-303 d. C.), arrestata durante le persecuzioni di Diocleziano il 16 settembre 303 fu data in pasto ai leoni che, mangiatale solo una mano, si fermarono percependo la sua santità. Nel’800 il suo corpo sparì da Costantinopoli ed apparve miracolosamente sulle spiagge di Rovigno. Invano i pescatori del luogo cercarono di sollevare il sarcofago e ci riuscì soltanto un giovinetto con l’aiuto di due paia di buoi. Da allora S. Eufemia è stata proclamata patrona di Rovigno ed il sarcofago è custodito nel duomo che svetta sulla cima del paese. In quei secoli i pirati narentani e saraceni tormentavano l’Istria orientale ed erano per Rovigno una vera Via Crucis ma anche i pirati croati di Demagoi almeno due volte, nel’880 e nel’887, saccheggiarono la città. Dopo il X secolo conobbe periodi meno duri, come testimonia il fatto che riprese a pagare le decime agli ingordi suoi canonici: 1/15 di biade, uve e legumi; 1/10 di agnelli e capretti; 1⁄2 staio di frumento per ogni capo di buoi; 1 capo di animale per ogni mandria. La relativa tregua alle scorrerie si deve alla Serenissima che protesse Rovigno dalla pirateria che vendeva come schiavi i suoi marinai, ma la città dovette subito rendersi conto che il Communis Venetiarum non faceva niente per niente. Temendo di essere caduti dalla padella alla brace i Rovignesi cercarono più volte ma invano di togliersi di dosso il giogo della città lagunare. Poi si rassegnarono. Da allora le navi e la città furono più al sicuro in cambio di un contributo annuo per la costruzione della basilica di San Marco e l’esenzione dai dazi nel suo porto per le navi veneziane. Non era finalmente pace ma non era nemmeno guerra permanente. E’ da credere che i Rovignesi fossero abbastanza stanchi dell’insicurezza della loro città e della loro vita, così Venezia ottenne, anche se non proprio spontaneamente, l’Atto di dedizione nel 1283. Venne nominato un podestà al quale i cittadini dovevano procurare un alloggio condecente e corrispondere un compenso di 400 marche d’argento all’anno. Da allora Rovigno stette stabilmente sotto il vessillo di bozza impaginazione n.66.indd 21 San Marco fino al 1797. Per contrastare la crisi dell’agricoltura, dovuta alla scarsità di braccia ed alla poca attitudine al lavoro dei campi dei locali, Venezia provò ad aumentare la popolazione attirando molti immigrati dal Friuli e dalla Dalmazia. Le città cercava di uscire dalla miseria ricorrendo alle più variate ed illegali attività quali il commercio degli schiavi, vietato da Venezia da almeno quattrocento anni. Venezia voleva dall’Istria solo marinai per le sue navi, e schiavoni per il suo esercito; il suo olio, il vino, le biave e l’uso degli scali marittimi. Per questo i loro rapporti non sono sempre stati tranquilli! Un grande subbuglio si ebbe, ad esempio, nel 1695 e negli anni seguenti. Un certo Biasio Caenazzo, detto Toto, di Chioggia ebbe l’idea di allargare la pesca del pesce azzurro, sardine, acciughe, tonni, in alto mare verso l’Istria. Da questa grande abbondanza prese avvio un redditizio commercio di sardelle salate ma anche la guerra delle sardelle con Chioggia. Si pensi che la faccenda era così acutamente percepita dai rovignesi, ne andava infatti della loro sopravvivenza economica, che dal 1776 al 1778 ci furono ben quattro interventi del governo veneziano per arginare la pesca illegale, la vendita delle sardelle salate, ed il contrabbando di sale. Nell’agosto del 1767 per arginare il fenomeno del contrabbando del sale e delle sardelle il governo veneto aveva mandato altri cinque dazieri di rinforzo alla guarnigione locale. Ma quando cercarono d’indagare sul contrabbando furono circondati da un’accozzaglia di popolani, per 21 05/12/15 18:38 viaggi lo più donne, in atteggiamento minaccioso e dovettero sparare per disperdere la folla, ferendo uno degli assalitori. In definitiva nessuno risolse mai il problema del contrabbando di Rovigno, né Venezia né Napoleone né gli Austriaci nel XIX secolo. Un grande sole graziò la nostra seconda visita in Istria che ci ripagò dell’acqua che ci aveva afflitto durante la prima. Passeggiare per le vecchie calli veneziane che ricordano scorci di Chioggia, di Murano e certe calli di Castello attorno all’Arsenale, ahimè desolatamente disabitate, è stato un grandissimo piacere. Altrettanto emozionante è ammirare il mare di Rovigno dal piazzale della basilica di Sant’Eufemia ed è anche divertente farsi fotografare con i padroni di casa, enormi uccelli (cocai, cormorani?), impertinenti ed esibizionisti che, in cambio di un biscotto, si lasciano fotografare con i turisti dritti sulla spalletta del piazzale. Colmo Recandosi a Colmo, la più piccola città del mondo entrata nel Guisness dei primati, si è accolti dal viale dei Glagoliti, dieci monumenti che ricordano gli intellettuali ed i preti che hanno fatto rinascere la loro antica lingua protoslava: il glagolitico. Colmo ha una piazzetta con chiesa e campanile che sembrano una miniatura e non potrebbe essere altrimenti, visto che la città è lunga cento metri e larga trenta! Fu abitata dagli antichi Istri e dai Romani, poi dal 1202 al 1405 fu feudo dei patriarchi. Le stradine in sassi di fiume, le piccole scale, le tettoie fiorite, tutto fa pensare ad un mondo di marzapane o alla quinta di uno spettacolo per bambini della scenografia di uno scorcio di architettura urbana minore veneziana. Anche la storia di Colmo è però fatta di lacrime e sangue: i suoi abitanti erano i discendenti degli antichi Celti e Venezia ci impiegò un bel po’ per domarli (dal 1420 al 1523). Al loro primo apparire, i Veneziani furono accolti male e loro, tanto per chiarire, abbatterono le antiche mura della città, costruite sui resti di quelle celtiche. Poi, dopo il 1523, a possesso definitivo della città, le ricostruirono e sono quelle che ammiriamo ancora oggi. Prima la città aveva conosciuto una grande peste nel 1423 e tre devastanti incursioni turche tra il 1471 ed il 1511. Colmo fu un importante presidio militare di confine e fece parte di cinque castelli alle dipendenze del capitano militare di Pinguente. Le due grandi pestilenze, quella citata e quella del 1630, la spopolarono quasi completamente e Venezia la ripopolò trasferendovi friulani e veneti, oltre a croati e bosniaci, dando vita ad una commistione di razze e lingue poco gradita dagli Istriani. La chiesa di San Girolamo, di stile romanico con pregevoli affreschi del XIII secolo ed il bel cimitero della stessa epoca sono state le due sole cose che abbiamo potuto visitare. Duecastelli Il cambio di programma del primo giorno ci costrinse ad una visita un po’ frettolosa di Colmo perché ci aspettava il Canal di Leme e le rovine di Duecastelli. Si tratta delle imponenti rovine nel Vallone della Draga di un castello fortificato formato in origine da due fortificazioni poi riunite in una: Moncastello e Castel Parentino. Nei tempi migliori aveva anche mille abitanti ed era a guardia della Valle della Draga che portava a sua volta in quella del fiume Quieto e dunque proteggeva il Bosco di San Marco, Pinguente, Canfanaro e Montona. Fu la grande peste del 1630 a dargli il colpo di 22 bozza impaginazione n.66.indd 22 05/12/15 18:38 Pinguente Ormai i nostri lettori hanno capito che l’Istria veneziana è tutta figlia della stessa storia: le mura delle città poggiano su antiche mura celtiche, poi modificate dagli Istri, poi dai Romani e nell’età feudale, poi spesso abbattute e rifatte da Venezia, come avvenne a Colmo. Quando la visita di Pinguente sembrava allontanarsi per la seconda volta come quella di Montona nel pomeriggio, dopo il pranzo a Pisino, decidemmo di modificare il programma sacrificando Sanvincenti (un gran peccato perché ha la piazza veneziana più grande dell’Istria) pur di raggiungere Pinguente, sebbene nel pomeriggio un po’ inoltrato. La nostra soddisfazione fu grande quando percorremmo il lungo viale in salita che termina con un bellissimo portale veneziano del XVI secolo che ci portò in città. Pinguente è un dei luoghi più antichi dell’Istria e sarebbe interessante ripercorrerne la storia dai tempi dei Celti, fu infatti un antico castelliere, in poi. Ma le pagine del Gabbiano non sono molte e dobbiamo limitarci a qualche breve cenno del periodo veneziano. Pinguente con Montona era il nume tutelare della Valle del Quieto e del Bosco di San Marco, oltre che dei confini con i territori imperiali. La Bocca per le denunce segrete contro chi danneggiava il bosco, murata sul palazzo di quella che fu la sede del Capitano di Raspo, è ancora là a testimoniarlo. Era per questo curatissima da Venezia che la possedette ininterrottamente dal 1421 per 286 anni e la città è tutta veneziana e si vede benissimo. Dopo la caduta del Castello di Raspo, Pinguente nel 1511 divenne la magistratura del Pasenatico con 40 cavalieri ed un comandante militare che continuò a chiamarsi Capitano di Raspo, ed aveva giurisdizione su ben dodici villaggi, oltre che il controllo dell’integrità del Bosco di San Marco. Pinguente passò un brutto momento nel 1614 quando gli Uscocchi l’assalirono, la distrussero, incendiarono, massacrarono gli abitanti, la guardia veneziana e rubarono ottomila pecore. Venezia provvide subito a rinforzarne le difese distruggendo orti e camminamenti fuori le mura e di Uscocchi non se ne videro più. Ma non c’era muro che potesse fermare la peste e così poco dopo, nel 1630, anche Pinguente conobbe una seconda tragedia ma non fece la fine di Duecastelli perché era strategicamente e militarmente troppo importante per Venezia. Gli Uscocchi furono allontanati dall’Istria dopo la Pace di Madrid del 1617 e, passata la buriana della peste del 1630, queste tormentate terre poterono finalmente godere di un po’ di benessere, sempre relativo a quei tempi difficili, beninteso. Grazie anche ai nuovi coloni non istriani che Venezia aveva trasferito nelle campagne incolte dando loro in uso terreni da coltivare, case coloniche abbandonate e stanzie isolate. Il Magistero dei Beni Inculti dal Palazzo Ducale vigilava e governava la rinascita di Pinguente con la protezione dell’agricoltura, l’invio di torchi ed il potenziamento della coltura degli ulivi e delle vigne, così da poter trarre da questi miglioramenti ogni vantaggio possibile. Venezia, non va dimenticato, chiedeva ai suoi territori d’oltremare solo ciò che le serviva (l’ulivo ed il grano da Pinguente, gli schiavi ed i galeotti per le sua navi da Rovigno e così via) e non si è mai preoccupata del benessere dei suoi sudditi non veneziani di nascita. Ma qualche volta anche per loro faceva qualcosa di positivo, come a Pinguente dopo il 1630 mentre lasciò morire Duecastelli perché il suo interesse preminente guardava a Canfanaro. viaggi grazia: il castello venne abbandonato, la malaria riprese il sopravvento nella valle, e le opere d’arte della chiesa di Santa Sofia e del Battistero furono trasferite a Canfanaro dove si trovano tuttora. Si narra che in una tomba del cimitero del castello sia stato ritrovato un documento che descrive il disastro della peste del 1630. Solo per rendere un’idea e dar conto della decadenza: nove paesi del circondario completamente privati di abitanti; i superstiti di Duecastelli furono 121; dal 1630 al 1635 i matrimoni furono in tutto diciotto ed i nati trentasette. Le rovine di Duecastelli sono imponenti ed in parte ben tenute; il luogo fu abitato fin dalla preistoria, come dimostrano i reperti rinvenuti nella grotta di San Romualdo nel Canal di Leme, e poi da Celti, Romani, feudatari Bizantini e Franchi, Patriarchini e Veneziani. Il percorso della visita si snoda tra imponenti ruderi di case e stalle; s’intuiscono resti di fornaci, di camini e di cucine finché si giunge all’antico complesso romanico della chiesa di Santa Sofia. Nonostante l’abbandono plurisecolare le sue possenti fortificazioni resistono ancora in gran parte e risalgono al restauro fatto da Marco Loredan nel XVII secolo. Il luogo è di una bellezza intrigante e quando si lascia si desidera già di tornarci, magari con più calma. La grande assente delle nostre passeggiate istriane è stata Montona: non siamo riusciti a trovare il tempo di arrivarci, la pioggia ed i disguidi ci sono stati avversi! Ecco il motivo per cui l’ho voluta inserire, comunque, come se ci fossimo andati, all’inizio questo testo. 23 bozza impaginazione n.66.indd 23 05/12/15 18:38 Libri - a cura di niky LA CONGIURA BEDMAR CONTRO VENEZIA DEL 1618 di Gianfranco Pontini Edizioni Alcione In questo libro Gianfranco Pontini traduce dal francese La congiura Bedmar del 1618 secondo la narrazione di César Vichard Abbé de Saint-Réal, che indaga sul delirio di onnipotenza dell’ambasciatore spagnolo e del vicerè di Napoli duca d’Ossuna.” Il testo, pressoché inedito in Italia, consiste in una documentata analisi dell’ideazione del complotto, dei personaggi che ne furono protagonisti, dello svolgersi della vicenda e dell’imprevedibile fallimento della congiura stessa dovuta al repentino pentimento di un congiurato. Intorno al fatto si sono sviluppate nel XIX secolo le più fantasiose ipotesi circa la sua reale esistenza e la tesi, soprattutto francese, di un grande inganno messo in atto dalla Repubblica di Venezia per farla credere tale, giustificando così l’incredibile massacro di alcune centinaia di presunti congiurati, in realtà incolpevoli.Saint-Réal costituisce un caso: sembra infatti esistere una sola traduzione in italiano del romanzosaggio di Saint-Réal che risale al XIX secolo, peraltro di difficile lettura.In quegli anni, 1617 e 1618, Venezia corse il più grande rischio della sua storia di venire cancellata dalla carta politica dell’Italia e dell’Europa. Mai la Spagna fu più vicina ad ottenere l’egemonia completa sull’Italia e sui mari, dove Venezia esercitava il suo dominio del Golfo. In ogni caso la congiura Bedmar fu senza dubbio uno degli episodi più disonorevoli dell’intera storia della Spagna dell’età moderna. OGNUNO POTREBBE di Michele Serra Edizioni Feltrinelli “Perché la parola “io” è diventata un’ossessione?Perché fare spettacolo di ogni istante del proprio vivacchiare? Giulio non lo sopporta, e soprattutto non lo capisce. Si sente fuori posto e fuori tempo.” Ognuno potrebbe è la riflessione tragicomica di un individuo, intensamente insofferente al mondo che lo circonda, che denuncia la profonda crisi di una società che il narcisismo digitale non basta a mitigare. Una società in cui tutti parlano nell’egofono (altrimenti noto come smartphone), tutti fotografano, tutti sembrano più piccoli degli avvenimenti che li coinvolgono. Il protagonista, Giulio Maria, sociologo ricercatore impegnato a interpretare i gesti di esultanza dei calciatori, vive in un paese del nord Italia, regno delle rotonde, degli ipermercati, dei Suv e dell’anonimato sociale; ha un amico, grande ottimista che, come molti, considera il “piuttosto bene” alternativa realistica al “piuttosto male”. Il mondo che Michele Serra racconta in “Ognuno potrebbe” non è altro che il nostro. Serra ne analizza i piccoli gesti, i comportamenti comuni, l’uso esagerato del telefonino, il chiacchiericcio inconcludente, raccontando una umanità sempre più demotivata e narcisista. YOSHE KALB. Edizizione integrale di Israel Joshua Singer Newton Compton Ed. “Nel romanzo del fratello maggiore di Isaac Singer, Nobel per la letteratura, una ironica e precisa parabola sulla crisi d’identità del 900.” Ambientato nel XIX sec., nella Galizia austriaca e ispirato a una leggenda popolare polacca, questo romanzo è la storia di un ebreo, diviso tra una profonda spiritualità e una morbosa passione erotica, e costantemente in fuga alla ricerca di sé stesso. Tra il misticismo e la carnalità, il lusso e la miseria, l’ignoranza e la conoscenza, il suo destino è quello dell’Ebreo errante. Chi è l’uomo, assente e impenetrabile, che alla domanda «Chi sei?» dei settanta rabbini appositamente convenuti dalle grandi città della Polonia russa e della Galizia risponde solo, con flebile voce: «Non lo so»?. Nahum, il fragile e giovane marito della figlia del Rabbi , e Yoshe Kalb, il tonto, il più miserabile dei mendicanti, sono davvero la stessa persona? È un asceta, un santo o un peccatore, uno spergiuro? L’impossibilità di decidere del proprio destino, l’esilio da se stessi, l’angosciosa ricerca di una patria, trovano in questo personaggio una struggente, indimenticabile incarnazione. 24 bozza impaginazione n.66.indd 24 05/12/15 18:38 FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA a cura di Anna Maria STAGIONE LIRICA e BALLETTO 2015 - 2016 TEATRO LA FENICE gennaio 22-24-28-30 / 3 febbraio 2016 Stiffelio Melodramma in tre atti. musica di: Giuseppe Verdi libretto di: Francesco Maria Piave maestro concertatore e direttore: Daniele Rustioni regia di: Johannes Weigand Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Personaggi e interpreti principali Siffelio: Stefano Secco – Lina: Julianna Di Giacomo Stiffelio è un pastore protestante, uomo di chiesa che, scoperto il tradimento della moglie Lina, contro ogni convenzione sceglie di perdonare l’adultera durante un sermone domenicale. TEATRO MALIBRAN gennaio 23-26-31 / febbraio 2,4 - 2016 Dittico Agenzia matrimoniale Opera buffa in un atto musica e libretto di: Roberto Hazon Il segreto di Susanna Intermezzo in un atto musica di: Ermanno Wolf Ferrari libretto di: Enrico Golisciani maestro concertatore e direttore: Enrico Calesso regia di: Bepi Morassi scene e costumi Accademia Belle Arti di Venezia Orchestra del Teatro La Fenice Due piccole opere che tratteggiano con intelligente leggerezza i rapporti di coppia. TEATRO MALIBRAN febbraio 7-9-11-12-13, 2016 Les Chevaliers de la Table ronde (I cavalieri della tavola rotonda) Opéra bouffe in tre atti musica di: Hervé libretto di: Henri Chivot e Alfred Duru trascrizione per tredici cantanti e dodici strumentisti di: Thibault Perrine maestro concertatore e direttore: Christophe Grapperon regia, scene e costumi di: Pierre-André Weitz strumentisti della compagnia Les Brigantes Andata in scena per la prima volta nel 1866 al Théâtre des Bouffes-Parisiens. Cavalieri e dame, eroi del ciclo bretone, vengono messi in ridicolo con perizia e maestria. bozza copertina n.67.indd 3 TEATRO LA FENICE marzo 18-20-22-24-26, 2016 Madama Butterfly tragedia giapponese in due atti musica di: Giacomo Puccini libretto di: Giuseppe Giacosa e Luigi Illica maestro concertatore e direttore: Myung-Whun Chung regia di: Àlex Rigola scene e costumi di: Mariko Mori Orchestra e Coro del Teatro La Fenice Progetto speciale nel 2013 della 55. Esposizione internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. STAGIONE SINFONICA 2014 - 2015 TEATRO LA FENICE venerdì 26 febbraio 2016 ore 20.00 turno S sabato 27 febbraio 2016 ore 17.00 turno U direttore Eliahu Inbal Orchestra del Teatro La Fenice Anton Bruckner / Sinfonia n.8 in do minore WAB 108 TEATRO LA FENICE venerdì 4 marzo 2016 ore 20.00 turno S sabato 5 marzo 2016 ore 17.00 turno U direttore Omer Meir Wellber pianoforte: Alessandro Marchetti (vincitore del Premio Venezia 2014) Orchestra del Teatro La Fenice Zeno Baldi / Lo sciame all’interno / nuova commissione nell’ambito del progetto “Nuova musica alla Fenice” con il sostegno della Fondazione Amici della Fenice / prima esecuzione assoluta. Wolfgang Amedeus Mozart / concerto per pianoforte e orchestra n.23 in la maggiore KV 488 Anton Bruckner / Sinfonia n.6 in la maggiore WAB 106 TEATRO LA FENICE venerdì 25 marzo 2016 ore 20.00 turno S direttore: Myung-Whun Chung Orchestra e Coro del Teatro La Fenice maestro del Coro: Claudio Marino Moretti Gioachino Rossini / Stabat Mater per soli, coro e orchestra 08/12/15 11:40 UNIVERSITÀ DELLA TERZA ETÀ bozza copertina n.67.indd 4 ri a c ù i p i r t Con i nos i iscritti gl a i r u g u a del i r o t t e l i ea e r t i n U ’ l l de n u r e p o n a Gabbi ee l a t a N n Buo ovo u N o n n felice A 7 IL GABBIANO FELICE n°6 Dicembre 2015 nti e allievi A cura dei docenti, assiste ia nez -Ve stre Me di itre dell’Un 08/12/15 11:40