Politecnico di Milano Facoltà del Design, Corso di Laurea in Disegno Industriale Toy Design Appuntamento al buio tra il gioco e la paura Primo Atlante di giocologia applicata Rel. Florian Tim Boje Aut. Joyce Bonafini, 185757 Anno Accademico 2004-2005 Indice dei contenuti 6� prefazione 8 Abstract 12 Il metodo 16 � il gioco 17 Papà, papà... Gioco cosa significa? 22 Teorie ed interpretazioni storiche del gioco 33 Perchè si gioca? A cosa serve? 36 � il bambino & il suo sviluppo: ad ogni età il suo gioco 37 Lo sviluppo del pensiero 37 La teoria Piagetiana | 38 Il periodo sensomotorio | 43 Il periodo preoperazionale | 46 Il periodo delle operazioni concrete | 49 Il periodo delle operazioni formali 51 La motricità infantile 53 Tappe dello sviluppo motorio | 66 Studi sulla coordiazione motoria | 71 La nascita di un movimento 76 Lo sviluppo psico–sessuale 76 Lo stadio pregenitale | 85 Lo stadio genitale 91 Lo sviluppo dei bisogni ludici 91 Da 0 a 1 anno: La nascita | 96 Da 1 a 2 anni: la curiosità | 100 Da 2 a 3 anni: l’autonomia | 105 Da 4 a 6 anni: l’esplorazione | 110 Da 6 a 10 anni: la vita sociale | 114 Da 10 a 12 anni: i primi turbamenti 114 Bambini e colori 122 � i giocattoli 123 Storia dei giocattoli 124 L’Antichità | 128 Il Medioevo | 129 Il Rinascimento | 130 Tra Seicento e Settecento | 134 L’Ottocento 138 Il Novecento 140 Il gioco e i giocattoli... Il giocattolo oggi 142 La stuttura | 149 Segmentazione di mercato | 152 Contenuti | 163 Situazioni d’uso | 164 Esperienza interiore | 166 Rapporto con gli altri 172 � la paura 173 Le emozioni 173 Lo studio delle emozioni | 174 A cosa servono le emozioni? | 174 Le emozioni fondamentali 175 La paura 175 Provare paura | 188 La paura come motore dell’apprendimento 191 Breve Bestario delle paure infantili 191 I primi tre anni | 197 Dai tre ai sei anni | 203 Dai sei ai dieci anni | 210 Le paure adolescenziali 211 Sogni e paure 214 Affrontare la paura 214 Consigli per affrontare la paura | 215 Reagire alla paura | 217 I meccanismi di difesa | 218 Le strategie per superare la paura | 232 Giocattoli e paure 236 � conclusioni 240 � ipotesi progettuali 242 Nannaganga 256 Mighty Light 272 Little Brite 292 Lightbook 302 � fonti e risorse 303 Bibliografia | 308 Link | 311 Tesi consultate Indice degli schemi 10 � enunciato della tesi 13 � schema di funzionamento della metodologia triz 15 � schema dello svolgimento della tesi 19 � contrari messi in atto nel gioco 28-29 � interpretazioni del gioco date da diverse discipline 40-41 | 44-45 | 48-49 � lo sviluppo del pensiero (la teoria piagetiana) 58-59 | 60-61 | 62-63 |64-65 � sviluppo motorio da 0 a 12 anni 72 � la genesi dei movimenti 74 � elaborazione dei compiti motori richiesti partendo da differenti modalità 75 � conoscenze necessarie ad attuare un movimento 80-81 | 82-83 | 88 � sviluppo sessuale 94-95 | 96-97 | 100-101 | 108-109 | 110-111 | 114 � sviluppo dei bisogni ludici 170-171 � tipologie e classi di analisi dei giocattoli 179 � provare paura 181 � reagire alla paura 187 � generi di paure 204-205 � evoluzione delle paure infantili 230-231 � affrontare le paure P e n o i z a f e r Scegliere di svolgere una tesi una tesi nell’ambito del gioco per bambini non è stato facile. Molti hanno cercato di dirottarmi verso ambiti progettuali più tradizionali mettendomi in guardia sulle tante insidie che questo tipo di ricerca nasconde e sullo scarso riconoscimento concesso a questa attività (in ambito istituzionale e non). Dando un occhiata alle tesi del CEDAR sull’argomento “Gioco” queste ipotesi tragiche mi sono sembrate piuttosto ben fondate. Ho cercato così di analizzare questi elaborati cercando di individuarne punti diforza e debolezze ponendomi come proposito quello di evitare di commettere gli stessi errori. A mio parere le analisi svolte muovevano prevalentemente sul piano filosofico senza considerare l’evoluzione storica e oggettuale dei giocattoli e anche le buone idee spesso si sono tradotte, purtroppo, in progetti di livello piuttosto basso poco legati alla quotidianità del bambino e soprattutto completamente distaccati dalla contemporaneità in cui viviamo. Non sono riuscita a spiegarmi il perché di questo rapporto difficile tra le tesi e il toydesign se non constatando che il gioco e il giocattolo sono ambiti progettuali molto difficili nei quali spesso bisogna commettere molti errori prima di giungere ad una buona idea. Tuttavia, come ogni volta, ho voluto fare di testa mia e provare comunque ponendomi come punto di partenza l’elaborazione di un metodo progettuale personale da applicare al design del giocattoli mixandolo con un pizzico di creatività. Mi sono serviti diversi mesi di indagine prima di individuare un percorso di lettura personale. Spesso mi sono trovata smarrita ai confini dell’universo del “gioco” tra filosofia, psicologia, marketing e ricordi d’infanzia. Quello del gioco è un ambito sconfinato ricco di spunti interessanti da approfondire e, nonostante questo curiosare mi abbia fatto perdere un po’ di tempo, devo riconoscere che perdermici è stato divertente e istruttivo. Nel frattempo ho avuto modo di familiarizzare con la progettazione di giocattoli durante il mio periodo di stage presso lo studio Gioforma (trasformatosi poi in un lavoro a tempo pieno) dove ho cominciato a riflettere sul valore che può avere il gioco nella pazza società in cui viviamo e su come siano cambiati bambini e giocattoli negli ultimi trenta anni. Dopo svariate false partenze e vicoli cechi ho scelto una chiave di lettura che mi aiutasse a limitare il campo di ricerca (avendo accettato l’ipotesi di non riuscire scrivere un’enciclopedia completa e onnicomprensiva sul gioco e sui giocattoli). Con la mia tesi ho deciso quindi di indagare i punti di contatto tra due ambiti apparentemente molto lontani tra loro: quello del gioco e quello della paura. Credo che l’osservazione delle influenze reciproche di questi due campi possa essere utile nella ricerca di spunti progettuali. Molto più spesso di quanto si crede infatti il gioco nasce e viene influenzato dalla paura così come la paura può essere allontanata e talvolta vinta giocando. Un esempio per tutti è il sonaglio; questo oggetto, che è tra l’altro il primo giocattolo di tutti i tempi, veniva usato in principio come strumento rituale e il suo rumore serviva a tenere lontani gli spiriti maligni dai neonati. Mi è sembrato interessante esplorare il mondo della paura, una delle emozioni più significative in rapporto allo sviluppo del pensiero e della crescita personale; questa scelta mi sembrava oltre perfettamente in linea con i risultati di molte recenti ricerche che sottolinea- no l’importanza a partire dalla prima infanzia di una corretta educazione emotiva. La paura è considerata una delle emozioni umane fondamentali a fianco di gioia, rabbia, tristezza e disgusto (l’elenco completo varia da studio a studio ma questi stati d’animo compaiono come costanti universali e facilmente riconoscibili). Sapere affrontare le paure, anche da bambini, è fondamentale per crescere sani e fiduciosi in se stessi e nel futuro. Parlare di paura tocca la parte più sensibile ed emotiva di ciascuno di noi specialmente in un momento storico delicato e difficile come quello che stiamo vivendo. La paura è un tema estremamente attuale e credo che sia giusto, anche da parte dei designer, cercare di trattarla in modo propositivo suggerendo progetti che sappiano fare leva su questa emozione così violenta trasformandola in un motore di crescita: domare una forza solitamente distruttiva incanalandone l’energia in un’attività ludica e produttiva. Abstract È davvero molto difficile cercare di definire in modo univoco cosa significhi giocare. Sotto la definizione di GIOCO fanno capolino le infinite manife- stazioni di questo fenomeno così diffuso. Ognuno di noi potrebbe cercare di spiegare il gioco suggerendo alcuni esempi di ciò che intende per gioca- re e sarebbero sicuramente tutti differenti e allo stesso tempo esatti (per qualcuno gioco sarà calciare un pallone, per altri vincerà il ricordo di una bambola da accarezzare, altri ancora penseranno alle corse in un prato o alla vertigine di un altalena, sicuramente ci sarà chi è patito della playstation e chi malato di superenalotto, ma ognuno di noi, anche chi come me è capace di perdere ore con un cubo di Rubik, conosce il significato del ter- mine giocare). L’analisi del lavoro svolto da numerosi studiosi che si sono confrontati con questo tema mi ha convinto che definire il gioco è impresa probabilmente impossibile e forse anche inutile: per dirlo con le parole del filosofo Immanuel Kant, il mondo delle idee (che lui chiama noumeni) è una realtà inconoscibile ed indescrivibile che, in qualche modo, si trova “al fondo”, dietro, al di là dell’apparenza che conosciamo, oltre ai fenomeni percebili che ben conosciamo e riconosciamo. Il fenomeno è infatti ciò che in una cosa appare ai sensi e alla coscienza; è l’aspetto percepito di un qualcosa che si manifesta alla percezione, sia essa fisica che psichica. Se dunque l’essenza del gioco non può che sfuggire, nel suo allegro cambiar di forma e nascondersi, la fenomenologia del gioco, il suo divenire, è chiara ed evidente a tutti e le manifestazioni del gioco sono facilmente identificabili. Il più delle volte bastano pochi secondi per riuscire a capire se una persona, adulto o bambino che sia, sta giocando. Il gioco è, in una certa misura, innegabile: per la gioia che procura, per l’attenzione costante e serena che impegna il giocatore, per le emozioni suscitate e facilmente leggibili, per la vitalità espressa nelle azioni e soprattutto per la natura di alcuni gesti ben conosciuti da ciascuno di noi. Vi è inoltre nel gioco una costante presenza di movimento e vita. Spostando l’attenzione dallo studio del gioco all’analisi di giochi e giocattoli emerge che il gioco in effetti possiede alcune caratteristiche e gesti costanti riscontrabili sin dall’antichità e tutt’oggi presenti sulla terra ad ogni latitudine e longitudine prescindendo dal livello di sviluppo economi- co e sociale del paese in cui si manifestano. Alcuni giochi, e con essi alcuni giocattoli, possono essere considerati universali e nascono evidentemente in risposta a bisogni fisici e psicologici legati alla crescita del bambino di cui spesso sono promotori. In una cera misura possiamo considerare il fenomeno gioco (inteso in senso fisico piuttosto che filosofico) come effetto di modificazioni interne al bambino che seguono un andamento piuttosto stan- dardizzato. Mi piace l’idea di riuscire a leggere la fenomenologia del gioco come un susseguirsi di gesti e giochi legati da rapporti di causa–effetto in cui si incontrano pulsioni interne ed esperienze esterne. Il gioco è espressio- ne e superamento di una dinamica di crescita attualmente in atto. Sebbene credo non sia possibile riuscire a immaginare un “giocattolo perfetto” credo che cominciare un progetto ponendosi di fronte agli obiettivi da raggiungere e alle scoperte già conquistate dal bambino sia un buon punto di partenza per cercare di progettare giocattoli stimolanti e soprattutto divertenti. Par- tendo da questo presupposto, ho cercato di indagare il mondo dell’infanzia costruendo una base imprescindibile sulla quale elaborare e valutare nuovi concept di gioco; ovviamente i primi aspetti considerati sono stati quelli universali, legati allo sviluppo nell’area motoria, psichica e affettiva. Si aggiunge a queste anche l’area dello sviluppo ludico in cui si intrecciano diversi fattori ed emergono le tipologie di giochi e giocattoli più adatte ai diversi momenti della crescita. Mi stimolava l’idea di cercare di leggere il gioco come un fenomeno che si manifesta in un preciso momento a partire dalla necessità di acquisire alcune capacità specifiche e continua divertendo il bambino fintantoché quella abilità non è stata assimilata (il divertimento del bambino si accompagna sempre alla crescita o all’acquisizione di nuove conoscenze–abilità). Lo scopo della mia ricerca è di leggere in quest’ottica le manifestazioni del gioco infantile cercando, su questa base logico–analiti- ca, di costruire una serie di tabelle/mappe che si possano porre alla base di una nuova metodologia di progetto, applicabile ai prodotti per l’infanzia. Per rendere questo materiale utilizzabile ho cercato di sintetizzarlo in mappe concettuali di facile consultazione, aspirando alla costruzione negli anni a venire di un vero e proprio “Atlante di Giocologia”. Lo sviluppo psicofisico del bambino non è certo l’unica chiave di lettura del toy–design. Se il gioco è un vettore di sviluppo indispensabile per superare i momenti più critici della crescita fisica, intellettuale e affettiva, probabilmente si può pensare di invertire i termini in gioco: progettare giochi partendo da problematiche reali da superare (nel rispetto dei vincoli posti dallo sviluppo stesso). Partendo di volta in volta da problematiche differenti, reali e sentite, non solo si risponde alle esigenze più profonde del bambino ma si riesce ad evitare di cadere nel facile errore del lasciarsi condizionare troppo da un sistema progettuale (che può portare ad irrigidirsi troppo su alcuni passaggi o soluzioni già sperimentate). Ogni nuovo problema da affrontare può essere combattuto attraverso un gioco studiato per la situazione specifica, così un gioco può guidare l’acquisizione di una nuova abilità (e può essere pensato a partire proprio dai contenuti che vuole trasmettere). Con la mia tesi vorrei provare ad avvicinarmi ad una tematica molto seria e attuale: il rapporto tra i bambini e la paura affrontandola attraverso il gioco cercando di incanalarne la forza in un’attività ludica. Oggi il sentimento della paura, un’emozione fondamentale e particolarmente importante ai fini della crescita e della sopravvivenza, trova terreno fertile in cui crescere e svilupparsi spesso oltre i limiti della normalità. La vita frenetica e solitaria delle metropoli, le vicissi- tudini internazionali non certo incoraggianti, l’allarmismo diffuso a gran voce dai mass–me- dia e i fantasmi del terrorismo certamente non aiutano i bambini a crescere in un mondo sereno. Troppo spesso oggi anche gli adulti sono vittima di fobie e forti stati di paura; aumenta infatti di anno in anno nel mondo occidenta- le il numero delle persone afflitte da patologie legate all’ansia e dalla sindrome da attacchi di 10 � enunciato della tesi: questo schema cerca di illustrare il ragionamento logico dal quale nasce l’ipotesi della mia tesi. Se consideriamo valida l’ipotesi che il gioco si manifesti in risposta a specifiche esigenze del bambino legate allo sviluppo e a particolari problemi da affrontare possiamo considerare la possibilità di progettare giochi partendo dall’analisi dei fattori di crescita e dei problemi legati allìinfanzia cercando di indagare su come questi possano essere tradotti in giocattoli. Essere idea di gioco Noumeni: il mondo delle essenze è inconoscibile e indescrivibile. non indagabile indagabile Divenire Fenomeni: la realtà che conosciamo attraverso i sensi è riconoscibile e identificabile fenomeno del gioco relazione il gioco cresce con il bambino Lo stadio di sviluppo in cui si trova il bambino determina la scelta dei giochi con i quali si intrattiene giocatore -bambino- gioco o giocattolo crescita sviluppo motorio sviluppo psichico sviluppo affettivo giocando si impara Il gioco è per il bambino un fattore di crescita determinante altre aree di crescita educazione gioco come gioco come effetto causa TOY DESIGN divertimento + crescita panico. Credo che oggi più che mai possa essere utile cercare di proporre gio- chi che aiutino il bambino ad imparare a affrontare la paura; è importante cominciare a confrontarsi con questo sentimento a partire dalla più tenera età. La ricerca tratta il tema della paura inquadrandola dapprima in un ot- tica generale (lo studio delle emozioni e la funzione evolutiva della paura); focalizzandosi poi, in modo più specifico sulle paure infantili più diffuse proponendo alcune strategie con le quali affrontarle. Per concludere ho deciso di affrontare la parte progettuale della tesi concentrandomi su una paura specifica: per il suo carattere universale e per la grande diffusione ho deciso di cominciare ad applicare i risultati della ricerca a partire dalla paura del buio. In proposito ho sviluppato alcuni progetti; ognuno dei quali corrisponde ad una specifica strategia per affrontare la paura. Le strategie prese in considerazione sono state: l’approccio cognitivo, ovvero la spiega- zione analitico–razionale degli eventi o l’evidenza dei fatti, sviluppato nel progetto NANNA–GANGA; la ritualità, ovvero la creazione di amuleti, riti e la rappresentazione, punto di partenza per MIGHTY–LIGHT; l’esperienza, come esperienza reale vissuta in prima persona o fruita attraverso la narrazione, che hanno ispirato il progetto di LITTLE–BRITE e di LIGHT–BOOK. Il metodo Nelle pagine di questa tesi è possibile incontrare molti grafici e tabelle riassuntive che rendono i contenuti evidenti anche a chi sfoglia questo volume per la prima volta. L’idea di schematizzare i risultati della mia indagine in mappe-tabelle al fine di rendere questo materiale utilizzabile in fase di progetto è stata ispirata dall’incontro con l’affascinante metodologia “triz”: un geniale approccio al “creative problem solving”. Questo metodo molto interessante nacque a partire dal 1946 ad opera del celebre ingegniere sovietico Genrich Altshul- ler. L’obiettivo del Triz (acronimo di “Teoriya Resheniya Izobreatatelskikh Zadatch”, traducibile in “Teoria per la Soluzione di Problemi Creativi”) è di riuscire a catturare e schematizzare sia il processo creativo che quello tecni- co, rendendo così questi processi ripetibili ed applicabili ai problemi futuri. Il mio lavoro ovviamente non pretende di analizzare un campo d’indagine così ampio; mi piacerebbe però riuscire a cogliere qualche meccanismo in12 problema concreto da risolvere soluzione concreta -PROGETTO- astrazione del problema metodologia triz -Contraddizioni -Principi ideativi � schema concettuale della metodologia triz: Il TRIZ è un metodo per il problem solving di problemni creativi. La sua struttura è molto interessante e i risultati che si pone l’obiettivo di raggiungere (innovazione, generazione di nuove idee, diminuzione e superamento dei fattori critici) sono simili a quelli che mi piacerebbe raggiungere un giorno elaborando un mio metodo progettaule. astrazione della soluzione -Idealtità -Soluzioni standard teressante che possa rivelarsi utile per cercare di portare un po’ di innovazione costruttiva nel campo del toy design. Altshuller, il padre della metodologia “triz”, lavo- rava nell’ufficio brevetti della Marina Militare Sovietica e decise di analizzare le innovazioni con cui aveva a che fare per cercare di dedurne delle costanti. Altshuller studiò più di 200.000 brevetti ed arrivò, attraverso un estenuante lavoro di schematizzazione e astrazione, ad indi- viduare alcuni schemi comuni che si ripetevano nei diversi ambiti fornendo “regole generali” (patterns of technological evolution) per l’evoluzione dei sistemi tecnici, e dei “principi” (inventive principles) che caratterizzano le modalità con cui i problemi, ovvero le contraddizioni tecniche, vengono risolte. Uno dei concetti alla base della metodologia TRIZ è il “risultato finale ideale”(Ideal Final Result). Secondo questo concetto, i sistemi tendono ad evolvere verso una sempre maggiore idealità, dove questo termine è da in- tendersi come il rapporto fra la somma di tutti i fattori utili (la funzione primaria del sistema e tutte le funzioni ausiliarie che aiutano a realizzare la funzione primaria) e la somma dei fattori inutili ed indesiderabili. La riso- luzione innovativa delle contraddizioni che ogni progetto tenta di risolvere (come ad esempio il tentativo di conciliare alta qualità con bassi costi di produzione) è per Altshuller la vera chiave di lettura della creatività. Cercando di applicare al mio studio sul gioco il concetto dell’idealità (come incontro tra funzioni primarie del gioco e problemi da superare) ho posto alla base del mio sistema personale l’ipotesi che la funzione primaria del gioco sia la crescita (da intendersi in tutte le possibili sfumature e in larga misura da 13 considerarsi come universale) e i problemi con cui la crescita si scontra potessero essere i più svariati (o semplicemente dei momenti particolarmente delicati del processo evolutivo stesso). La lista dei fattori indesiderabili è in effetti molto lunga e di difficile analisi ma a mio avviso può essere scissa in due grandi famiglie di problemi: i problemi relativi alla vita dei bambini di oggi (la solitudine, l’obesità, la paura, il rapporto con i media, lo scontro tra un modello di crescita ideale e una realtà contemporanea spesso troppo difficile da capire ed accettare anche per un adulto) e i problemi specifici che affliggono il mondo del giocattolo (come l’appiattimento dell’offerta, la globalizzazione, la violenza dei contenuti, l’alienazione legata alle for- me ludiche più diffuse, la mole di materiale ludico che invade le case dei bambini abituati a consumare in modo bulimico fin dalla più tenera età, ecc.). In questo primo step dello sviluppo del mio “Atlante di giocologia” ho deciso di concentrarmi solo su uno di questi aspetti critici e in particolare ho desiderato approfondire il tema della paura che considero particolarmente interessante. Per Altshuller ogni problema-soluzione per essere analizzato deve essere ricondotto, attraverso una astrazione, ad un modello generale al quale applicare un “principio risolutivo”. L’analisi effettuata sui brevetti sovietici aveva convinto lo studioso che i principi risolutivi prendessero le mosse da un numero finito di schemi risolutivi base da declinare di volta in volta adattandoli al problema specifico. Allo stesso modo ho cercato, nel mio piccolo, di riuscire ad individuare quelli che potessero essere nel toy design i modelli più ricorrenti e i principi risolutivi adottati (schematizzandoli in una mappa del giocattolo che ne pondera diversi aspetti costitutivi e funzionali). Devo riconoscere che l’idea di riuscire a costruire qualcosa di simile al triz, un sistema tanto complesso ed ingegnoso, è molto ambiziosa e sicuramente non può essere realizzata in pochi mesi (e nemmeno in un paio d’anni). Con questa tesi ho cercato di gettare le fondamenta di questa ricerca forse utopistica che spero di riuscire a portare avanti nel mio futuro professionale. Per il momento l’analisi si è mossa principalmente nell’ambito delle funzioni primarie che il gioco svolge all’interno del sistema di cre- scita del bambino, ha analizzato alcuni giochi attualmente in commercio evidenziandone i contenuti ludici e la loro correttezza rispetto al sistema di riferimento (il bambino) e ha indagato il ruolo e la funzione che il sentimento della paura riveste oggi nell’ottica di come questo possa essere affrontato attraverso il gioco. 14 � schema concettuale della tesi: in questo schema sono riportati i temi che andrò a toccare nella ricerca facendo particolarmente attenzione ai contenuti delle diverse sezioni della tesi e agli schei concettuali che sono stati realizzati. contenuti Definizione Funzioni Teorie ed interpretazioni temi il gioco schemi contraddizioni del gioco interpretazioni e funzioni + Sviluppo psichico Sviluppo fisico Sviluppo sessuale Sviluppo dei bisogni ludici il bambino Sviluppo Sviluppo Sviluppo Sviluppo psichico fisico sessuale dei bisogni ludici + Storia Tipologie e funzioni il giocattolo Classificazioni e specie + Definizione Manifestazioni Tipologie e differenze Le paure infantili Strategie per affrontarla la paura Paurometro Reagire alla paura Tipologie di paura Evoluzione delle paure infantili Strategie per affrontarla = scenari-ipotesi di progetto o c o i G l I Papà. papà... Gioco cosa significa? È davvero difficile cominciare parlare di un argomento smisurato e insidioso come il gioco. Il linguaggio comune chiama giochi una serie di attività molto diverse tra loro, come costruire una torre con dei cubi, agitare un campanello, giocare a carte, rincorrere un amico, fingere di volare, dondolarsi su un’altalena, spalmarsi un po’ di omogeneizzato tra i capelli, premere alcuni tasti di un computer, saltellare su numeri disegnati a terra, accarezzare un coniglio di pezza e persino acquistare un tagliandino del lotto in tabacche- ria. I giochi possibili sono praticamente infiniti e ogni attività può essere fatta “per gioco”. L’analisi dei comportamenti che si mettono in atto giocando non spiega assolutamente l’intensità dell’esperienza ludica né il perché della “tensione” e del “desiderio” che si provano giocando. La stessa sequenza dei gesti non dice nulla sul perché delle grida di piacere dei bambini che giocano, sulla passione dei giocatori incalliti, del delirio delle folle di sportivi rapiti da una competizione. Forse è una follia cercare di arginare il fiume di definizioni relative al verbo giocare ed alla parola gioco quali sono emerse ne corso dei secoli ed anche raccogliendole e ordinandole si potrebbero riempire decine e decine di pagine senza riuscire poi a sviscerarne l’essenza. Persino il dizionario, piuttosto che chiarire le idee, riesce in un certo modo a complicare la definizione e ad offuscare l’immagine più o meno chiara che ognuno di noi inevitabilmente ha del gioco. Questo viene definito ora come “esercizio compiuto da bambini o adulti per svago, divertimento o sviluppo di qualità fisiche e intellettuali” ora come “gara tra più persone, svolta secondo regole prestabilite”. Se da un lato il gioco si fa “Gioco da ragazzi, cosa molto facile” poche righe dopo si tra- sforma in “Attività intricata e rischiosa: il vostro è un gioco pericoloso” o anche “Scherzo, beffa: Per gioco, scherzosamente; Farsi, prendersi gioco di qualcuno”. Esso inoltre può essere un oggetto, vuoi un “Insieme di carte, pezzi o altro necessari per un gioco: gioco degli scacchi”, vuoi un’azione “Azione: Il gioco della fortuna; Combinazione di effetti, in fenomeni fisici: giochi d’acqua e di luce; Gioco di parole, bisticcio, doppio senso”. Forse ha ragione Marco Battacchi ( docente di Psicologia dell’età evolutiva dell’Università di Bologna ) quando afferma che: “La più semplice ed esatta de- finizione del gioco è tautologica: il gioco è il gioco. Il gioco in effetti è tutto un paradosso. È liberatorio ma insieme regolato, unisce ma insieme separa il reale dall’immaginario in uno 17 spazio transizionale in cui le cose sono ciò che non sono pur rimanendo quello che sono, è di1 Marco Battacchi, Il gioco nella formazione della personalità, estratto da Aa.Vv., Il gioco, la nuova Italia, Scandicci 1986. vertimento ma insieme bisogna prenderlo sul serio per divertirsi, non è lavoro ma insieme è 1 indispensabile per l’attività produttiva.” È proprio nella paradossalità del gioco che risiede il suo fascino, il suo valore, ma anche il suo pericolo. Se da una parte il gioco si collega alla creatività, alla logica e alla pedagogia dall’altra ammicca al sogno, alla fantasia, al delirio; col gioco si trascende il dato, ci si fa complici, si inganna e si è ingannati, si delude e si è delusi: “..con il ludico si allude, ma anche si collude, illude e delude”. La scandalosità del gioco sta forse nel cercare di definirlo, comprenderlo ed usarlo, come ha detto Huizinga: “… cercano di definire la natura e il significato del gio- co e di assegnargli il suo posto nell’ordine della vita. Tutte queste spiegazioni hanno in comune la supposizione che il gioco avvenga in funzione di un’altra cosa, che serva ad una data utilità biologica. Ci si chiede: perché e a che fine si gioca? E le conseguenti risposte non si escludono affatto. […] Ne consegue che tutte sono soltanto spiegazioni parziali […] La maggior parte di 2 Johan Huizinga, Homo Ludens, Il Saggiatore, Milano, 1964. questi tentativi d’interpretazione si occupa solo in un secondo tempo della domanda che cosa sia il gioco in se, che significhi per i giocatori stessi.” 2 Se per un adulto il gioco rappresenta un momento di svago e ricreazione per riprendersi dalla giornata di lavoro da cosa dovrebbe riprendersi un bambino? “I giochi dei bambini non sono dei giochi, bisogna invece valutarli come le loro azioni più serie” scrive Montagne. Spesso il gioco infantile viene visto come una modalità di essere del bambi- no e viene definito “il mestiere del bambino” che trasforma l’ambiente in una serie complessa ed avvolgente di giocattoli educativi. Cosa hanno in comune le bolle di sapone, il bingo, un flipper, la play–station e una girandola? Con questo non intendo negare le numerose teorie che vedono nel gioco l’attività caratteristica del bambino, con il quale si svi- luppano ed esercitano le funzioni e le abilità necessarie alla vita adulta, ma piuttosto vorrei sottolineare come si possa continuare a giocare tutta la vita anche quando le strutture fisiche e mentali sembrano perfettamente acquisite e funzionanti. Giocare è indubbiamente un’attività infantile ma, a dirla tutta, rimanere bambini è importante quanto crescere e diventare grandi. Spesso alcune attività adulte vengono paragonate, per lo spirito con cui vengono intraprese, al gioco infantile. Per potere creare, capire e crescere è necessario prendersi la libertà di fermare il tempo e rimescolare le proprie idee sporcandosi le mani e dimenticando tutto; come in un grande gioco intellettuale si intrecciano la capacità logica–combinatoria e la capacità di immaginare il teoricamente possibile, dando libero sfogo alla fantasia senza dimenticare i vincoli logici. Con questo intendo dire che la creatività in parte è gioco e che, come 18 Vs libertà competitività fa im nta ma sia gin azi Vs regole collaborazione à lt a e r on e Vs facile casualità Contrari messi in atto nel gioco Vs Vs difficile abilità insegnano li studiosi del “genio creativo” ( De Bono, Goleman ecc ), i campi di applicazione sono i più svariati. In fondo, come sostiene Schiller, “…l’uomo è pienamente tale solo quando gioca”. Proseguiamo quindi con la ricerca. Nella coscienza comune il gioco si oppone al concetto di serietà, ma anche in questo caso la definizione non è pienamente accettabile. Il gioco può essere preso molto sul serio ( provate a interrompere un bambino piccolo che gioca ) e nell’associare il gioco ad una certa non–serietà si rischierebbe di vederlo come un’attività necessariamente divertente, qualcosa con cui ridere. Un gioco di parole può sì fare ridere, ma una partita di scacchi decisamente no. È possibile affermare che ogni gioco è un atto libero; è libertà. Il gioco a comando non è gioco. Si può essere esortati o guidati ma l’espressione della libertà individuale nel decidere di giocare e nello sviluppo dell’azione è innegabile. C’è chi obietta che per i bambini e i per i cuccioli il gioco nasca da un istinto naturale che lo rende necessario annullando così la libertà di scelta. Per gli adulti sicuramente il discorso è valido ed è evidente che il gioco in questo caso è qualcosa di superfluo che si potrebbe tralasciare se non fosse per il desiderio stesso di farlo. Tuttavia il dibattito sul rapporto tra gioco e libertà è ancora aperto e nel corso dei secoli ha appassionato numerosi scienziati e pensatori come il celebre Gregory Bateson che proprio a questo argomento ha dedicato un libro molto interessante intitolato “Questo è un gioco. Perché non si può mai dire a qualcuno gioca”. Un’ulteriore diatriba legata alla definizione del concetto di gioco nasce dalla molteplicità dei termini con i quali nelle diverse lingue ci si riferisce a questa attività. Nel linguaggio comune ognuno è in grado di capire subito che parlando di gioco ci riferiamo ad un’azione volontaria compiuta entro determinati limi- ti di spazio e di tempo, secondo una serie di regole volontariamente assunte, che impegna in maniera assoluta, che ha fine in se stessa e si accompagna ad un senso di gioia e alla consapevolezza di essere in uno stato diverso dalla “vita ordinaria”. La lingua italiana accoglie sotto la definizione di gioco un numero immenso di varianti mentre in altre lingue non esiste un concetto generale al quale ricondurre le diverse forme ludiche. Mi sembra interessante sottolineare questi aspetti linguistici in quanto la nostra definizione “universalizzata” non mette in luce chiaramente alcune differenze tra i diversi giochi. Il greco antico ad esempio per parlare del gioco, che era una componente fondamentale anche della vita adulta, utilizzava non meno di tre termini. 20 Presentava una desinenza unica, — inda, per indicare il gioco infantile ( giocare alla palla —sfairinda, al tiro alla fune —helkusinda, ecc.. ). Il greco utilizzava innanzitutto la parola Paidìa per indicare la maggior parte dei significati della parola gioco, in particolare se inteso nelle sue accezioni allegre e spensierate come il gioco dei bambini e quant’altro venisse considerato non–serio. Tuttavia dalla definizione di Paidìa rimaneva escluso il campo delle giostre e delle gare per i quali veniva utilizzato il termine Agòn. In questo termine l’aspetto ludico ( inteso qui come svago e divertimento ) viene posto in secondo piano mentre l’attenzione si sposta sul concetto di regole e di competizione portando questo gioco ad occupare una postazione di grande rilievo nella cultura ellenica. Il sanscrito usava quattro termini per esprimere il concetto di gioco. Il vocabolo più utilizzato era kridati, utilizzato per il gioco di bambini, adulti ed animali. La parola si riferisce ad un’idea di movimento, di saltelli e danze, ma talvolta viene utilizzata anche per descrivere il movimento delle onde e di ciò che viene mosso dal vento. Ricadevano in questa area che le danze e le rappresentazioni. Con il termine divyati veniva indicato prima di tutti il gioco dei dadi ma anche in generale il concetto di scherzare, canzonare, trastullarsi. Il sostantivo lila indicava l’elemento arioso, spensierato e insignificante del gioco. Per ultimo il termine vilasa era legato al concetto di gioco ma forse significava più che altro “avere un’occupazione”. In cinese troviamo il termine wan che indica il gioco dei bambini e le mani- festazioni ludiche scherzose e di movimento. Questo termine non è adatto per il gioco di abilità, né per la gara ( cheng ), né per la rappresentazione e nemmeno per i dadi e gli altri giochi legati al caso. Il giapponese al contrario utilizza un termine unico per esprimere i diversi concetti. Allo stesso mondo anche nel latino troviamo un termine unico per esprime- re tutto il dominio del gioco e del giocare: ludus e ludere. Anche se esiste iocus con l’accezione più specifica di scherzo o burla, il significato di “ludus” è praticamente onnicomprensivo e si riferisce al gioco dei bambini, alle gare, alle rappresentazioni liturgiche e sceniche, al gioco d’azzardo o alla danza. Si arriva a trasformare in ludi i giochi olimpici e ludus ha pure il senso di scuola, probabilmente a partire dal concetto di esercizio. È molto interessante il caso della lingua inglese in cui troviamo la contrapposizione tra i termini game e play. Il verbo inglese to play, così come il tedesco pflegen significa gioco, e giocare e si lega qui a concetti di movimento come battere le mani, eseguire movimenti veloci, suonare uno strumento e anche recitare. Questo significato è legato perlopiù ad azioni concrete ma anticamente includeva senza dubbio 21 valenze cerimoniali come è riscontrabile nei “Plays” didascalici aventi per soggetto i Miracoli che furono a lungo le uniche rappresentazioni teatrali pensabili del Medio Evo. Possiamo affermare che nella lingua inglese il game sia essenzialmente il gioco strutturato mentre play sia anche il giocherellare fine a se stesso. Il game è la partita, di solito competitiva o – come nei videogiochi – una sor- ta di sfida a superare se stessi, caratterizzata da regole consensualmente accettate e spesso imposte dall’esterno o dalla situazione. Questa parola, che si giustifica in vari settori, è ancora e da sempre usata nella caccia che si esprime attraverso codici, regole e le finalità funzionali. La vittima – o la preda del gioco coordinato o individuale portato avanti dai cacciatori – viene definita essa stessa game. Teorie ed interpretazioni storiche del gioco Fatta questa inevitabile premessa sull’impossibilità di definire in modo esauriente il gioco mi sento libera di riportare alcune teorie sul gioco e di esprimere alcune opinioni in proposito. Ogni definizione, per quanto limitata, mette in luce un particolare aspetto della spinosa questione, aggiungendo un minuscolo tassello all’idea astratta che ognuno di noi si è fatto del gioco. La complessità che si incontra parlando di giochi è proporzionale alla complessità del ragionamento necessario a pensarlo: si dovrebbe quindi proce- dere su diversi livelli come l’estensione del fenomeno, la varietà delle forme in cui si presenta ai nostri occhi e per finire anche la mutevolezza dei punti di vista possibili poiché il numero delle discipline che si sono occupate e si occupano di studiare il fenomeno–gioco si allunga di giorno in giorno. Prima di ogni altra cosa è impressionante considerare l’estensione del fe- nomeno; il gioco non è una prerogativa infantile ma è riscontrabile anche nell’adulto e, come emerge sin dai primi studi etologici sull’argomento, è ampiamente diffuso anche nel mondo animale ( in diverse forme che spaziano dalla lotta tra cuccioli alle danze rituali di accoppiamento ). Vi è in esso qualcosa di universale che lo fa comparire ad ogni distanza spazio–temporale e che fa ricadere sotto questa definizione una varietà di comportamenti fortemente diversificata. Ogni essere pensante è in grado di giocare 22 e ciascuno è in grado di creare una rappresentazione mentale dell’idea di gioco. Il gioco è innegabile. “Si possono negare quasi tutte le astrazioni: la giustizia, la bellezza, la verità, la bontà, lo spirito, Dio. Si può negare la serietà. Ma non il gioco.” — Huizinga Per parlare delle teorie sul gioco è forse necessario partire da una breve sintesi storica per cercare di definire quando e come il gioco cominciò a entrare tra i campi di indagine umana. L’interesse umano per il gioco nasce con l’uomo stesso; già Platone ( 427–348 a.c. ) se ne interessò vedendo nel gioco una delle attività umane fondamen- tali e sottolineandone l’utilità e la funzione educativa. Egli considerava il gioco come un esercizio preparatorio ai compiti della vita: il bambino che gioca, attraverso la manipolazione di piccoli oggetti e la finzione apprende e sperimenta i gesti che compirà in futuro proiettandosi, attraverso il gioco dei mestieri, nei suoi futuri possibili. Anche Aristotele ( 324–322 a.c. ) è dell’idea che la maggior parte dei giochi nasca dall’imitazione delle occupazioni dell’età adulta e che svolga una funzione propedeutica: il bambino, stando a questa teoria, deve essere incoraggiato a giocare a quel tipo di attività che vorrebbe fare da grande. È facile notare come la nozione di gioco fosse nell’antichità legata solo alla sfera prelavorativa ( nella sua componente positiva da incoraggiare ). Non veniva ancora contemplata e apprezzata la valenza intrinseca del gioco come attività dilettevole non finalizzata al raggiungimento di un risultato; il bambino veniva esortato a giocare esclusivamente per imparare. Tommaso d’Aquino ( 1266–1274 ) considera il gioco come un bene in se stesso: “il divertimento certo non è ordinato a un fine estrinseco, è però ordinato al bene di chi si diverte, in quanto è cosa piacevole e riposante”. Lo studio delle successive teorie sul gioco credo debba partire dall’analisi di due correnti di pensiero tanto importanti da essere comunemente considerate le basi per ogni ulteriore teoria.Si tratta degli studi di Johan Huizinga e Roger Caillois che affrontano il tema della significazione del gioco all’interno di diverse società considerandolo il prodotto culturale per eccellenza. Per Huizinga il gioco permea ogni attività umana. La sua visione filosofi- ca parte dall’idea che la giusta definizione dell’uomo non sia homo faber o homo sapiens ma piuttosto homo ludens in quanto proprio il concetto di gioco permette alla cultura e alla società di nascere e svilupparsi. Seguendo questa interpretazione ogni produzione umana viene letta come manifesta- zione di gioco. Linguaggio, mito, culti religiosi e ogni altra manifestazione culturale vengono letti come un gioco. La società stessa è un gioco al quale bisogna partecipare, essendo costituita da un insieme di regole da rispettare e di compiti da svolgere. 23 Diversa è la posizione di Groos per il quale l’attività ludica è sì manifestazione della cultura, ma nel senso che ne costituisce una degenerazione. In altri termini, il fenomeno del gioco si determina come critica della cultura dogmatica, colta, e delle istituzioni, è quindi un otium che richiama l’altra polarità del negotium, in una prospettiva già classica, possiamo dire. Huizinga si sofferma in particolare sull’analisi della società rinascimentale nella quale gli aspetti ludici conoscono uno dei periodi di maggiore splendo- re. Partendo da questa prospettiva prosegue supponendo che un massimo di civiltà sociale significhi un massimo di presenza di gioco in essa e la sua tesi è supportata anche dal ruolo non secondario che questo ebbe nelle grandi civiltà del passato, come quella greca e romana. Il Rinascimento però resta sicuramente l’epoca in cui nel mondo occidentale è più evidente la presenza del gioco. Questa tendenza è documentata da diversi trattati sui giochi, sia da tavolo come gli scacchi e le carte, sia giochi sportivi che costituiscono anch’essi testimonianza del modo di vivere di uno dei periodi di maggiore splendore e attività intellettuale in Europa. Questo atteggiamento favorevole prende le mosse da una numerosa serie di concause; una è certamente la necessità di allentare le tensioni interne, sociali e psicologiche, sublimandole nel gioco; la società rinascimentale appare agli occhi dello studioso piena di conflitti tanto nella sfera quotidia- na quanto in quella degli eventi storici. La trasformazione della guerra nei duelli giocosi ravvisabili nei poemi cavallereschi ne è una prova. L’attenzione per il gioco inoltre cresce di pari passo con la contrapposizione tra lo spazio–tempo impegnato per il lavoro e quello dedicato alle attività ludiche, ovvero dal grande conflitto tra lavoro e riposo, contrasto particolarmente sentito anche nelle società occidentali contemporanee. È forse proprio la presenza di grandi conflitti e apparenti contraddizioni a giustificare anche ai giorni nostri una presenza così forte del gioco. Con Huizinga ( 1939 ) abbiamo un contributo teorico notevole e molto importante per la sfera dell’attività ludica. Egli sostiene che il gioco deve essere visto al di fuori della razionalità e della sfera dell’utile e del bisogni. “Il gioco è più antico della cultura” continua Huizinga, è anzi la fonte di ogni cul- tura che ha nelle sue stesse fasi iniziali il carattere di un gioco che conserva nelle tante sue manifestazioni ( arte, letteratura, teatro, musica, religione, politica ecc. ). La civiltà, quindi, sorge nel gioco e come gioco. Huizinga individua, inoltre, alcune caratteristiche dell’attività ludica, descrivendola come: —libera: il gioco deve essere spontaneo non obbligato pena lo snaturamento del gioco stesso; —separata: il gioco deve essere svolto in uno spazio e in un tempo rita24 gliati appositamente e anticipatamente; —incerta: lo svolgimento del gioco e il suo risultato non possono essere definiti in anticipo; —improduttiva: il gioco non crea ricchezza. Semplicemente provoca un passaggio di proprietà da un giocatore all’altro tale da ritornare ad una situazione identica a quella di partenza; —regolata: nel gioco sono annullate le regole reali e viene instaurata una convenzione nuova tra i giocatori; —fittizia: nel gioco è annullata la dimensione reale e si viene calati in una realtà altra. Huizinga non fa una classificazione né una descrizione dei vari giochi; invece Roger Caillois ( 1967 ) si colloca in un’ottica strutturale e propone una suddivisione dei giochi in quattro macro categorie: —l’Agon: il gioco è caratterizzato dalla competizione; —l’Alea: il gioco è caratterizzato dal caso, la fortuna, l’azzardo. Ci si abbandona qui ad una sorta di passività come ad esempio durante le filastrocche per fare la conta, il testa e croce, le lotterie, il gioco dei dadi ecc; —la Mimicry: il gioco è caratterizzato dalle ricerca della simulazione, della finzione, come nel teatro, nel gioco con la bambola, nel travestimento ecc; —l’Ilinx: il gioco è caratterizzato dalla ricerca del rischio, del brivido come nel dondolare con l’altalena, girare sulla giostra, andare sulle montagne russe ( vengono anche definiti giochi di vertigine ). Le quattro categorie descritte sono, inoltre, suddivise da Caillois in Paìdia ( gioco libero, improvvisato, spontaneo ) e Ludus ( gioco regolato, che richiede uno sforzo o una particolare abilità ), beninteso che la paidia è presente an- che nelle forme di gioco regolate proprie dell’età adulta. Callois, come Huizinga, vede il gioco come sintesi della cultura di un epoca. Caillois afferma che è possibile ricostruire le diversità tra società differenti sulla base dei giochi che in essa predominano. Egli pone anche l’accento sul gioco inteso come sistema di regole; questo determina una lettura integrale dei vari giochi, sia di carattere socio–motorio sia di tipo intellettuale tout court. Abbiamo visto finora come il gioco, nel corso del tempo, abbia svolto la funzione di rivelatore dell’intima natura delle diverse civiltà. Affrontiamo ora il discorso ponendo al centro dell’attenzione il bambino e facendo riferimento alle teorie in merito elaborate nel settecento a partire dalle opere di Rousseau. Jean–Jacques Rousseau ( Ginevra, 1712 – Ermenonville, 1778 ) partì da un atto di accusa nei confronti della società che degrada la natura umana propo- 25 ...nel pensiero di Rousseau troviamo, quale nota dominante, il tentativo di ritorno alla genuina spontaneità della natura.. nendo di salvaguardare il bambino dai pericoli della contami- nazione limitandolo nelle sue possibilità di espressione. È la prima volta che l’infanzia trova una collocazione effettiva nella vita degli adulti differenziandosi da essa. È a partire da questo momento che l’infanzia comincia ad essere considerata come una realtà diversa dalla vita adulta e sottoposta a meccanismi e regole differenti. I bambini non vengono più considerati come uomini e donne in miniatura ( o omuncoli ) ma semplicemente come bambini che stanno affrontando un percorso di formazione. Nel pensiero di Rousseau troviamo, quale nota dominante, il tentativo di ritorno alla genuina spontaneità della natura: affinché un individuo possa esprimersi secondo ciò che è realmente, è necessario che sin da piccolo sia libero di giocare, di scoprire il piacere dell’attività ludica. Viene così valoriz- zata l’iniziativa personale, l’attività ludica, individuale o di gruppo, intesa come bisogno espansionistico e come motivo educativo. Non bisogna quindi mai pretendere di vedere nel fanciullo l’uomo, bensì limitarsi ad assecondare e a favorire la maturazione di quelle facoltà conoscitive e pratiche cui la natura stessa ha predisposto l’essere umano secondo un certo ordine e una certa gradualità. 26 C’è in Rousseau, e negli uomini del suo tempo, una radicata concezione della natura come forza promotrice e contemporaneamente come guida dell’educazione: un atteggiamento di rispetto della spontaneità e della originalità del bambino e un adeguamento alle esigenze psicologiche delle successive fasi educative. Con il “mito del buon selvaggio” il pedagogo affer- ma la necessità di permettere al bambino la scoperta della sua naturalezza e della sua spontaneità come rivelatrici del suo proprio essere: per fare ciò il bambino ha bisogno di giocare, del gioco come fine a se stesso. La natura in Rousseau è intesa sia come natura esterna da cui il fanciullo “dipende” per ricevere stimoli o correzioni sia come natura interiore, l’insieme, cioè, delle sue attitudini, delle tendenze e degli istinti, motivi originari e intimi del bambino che lo spingono intensamente ad uno stato di attivismo personale. Su questa stessa linea di pensiero si colloca la teoria di Froebel. Egli parte dal concetto filosofico che in ogni bambino esiste uno spirito divino, una forza attiva di tensione che nel fanciullo si manifesta proprio sotto forma di gioco. Secondo Froebel “ci fidiamo troppo poco dell’energia del bambino”. Osservando un bambino che gioca si può notare come accanto alla spiccata capacità di interiorizzazione ( il desiderio costante di conoscere le cose, gli oggetti, le dinamiche ), ci sia la volontà di estrinsecare i propri sentimenti tramite la tendenza al gioco e all’imitazione della vita degli adulti.”Giocare, configurare, costruire sono i primi teneri fiori della giovinezza”. Froebel ama paragonare il bambino ad una pianta che cresce in piena libertà senza che l’adulto possa dirigerne o condizionarne la direzione dei rami. Non un’infanzia plasmabile dalla società, quindi, ma un giardino in cui il bambino vuole auto–educarsi e sperimentare le cose da solo, per esternare la forza divina che è in lui: “…il giuocare, il giuoco costituisce il più alto grado dello sviluppo del bambino poiché è la rappresentazione libera e spontanea dell’interno, la rappresentazione dell’interno per necessità ed esigenza dell’interno stesso. Il giuoco è la manifestazione più pura 3. Friedrich Froebel, L’educazione dell’uomo e scritti scelti, Cedam, Padova, 1937. e spirituale del fanciullo e insieme l’immagine e il modello della complessiva vita umana, dell’intima, segreta vita naturale nell’uomo e di tutte le cose. Esso procura quindi, gioia, libertà, contentezza, tranquillità in sé e fuori di sé, pace con il mondo. Le fonti di ogni bene giacciono 3 in esso, da esso sgorgano”. Nel gioco secondo Froebel confluiscono l’attività cognitiva e l’attività creati- va del bambino: l’attività ludica gli consente di conoscere la realtà, mentre la natura con le sue regole,e su questa base, gli permette di sperimentare la creazione di cose nuove. Ancora è molto interessante e originale l’interpretazione del fenomeno gioco data da alcuni studiosi darwiniani dell’ottocento che vedono in esso un residuo di funzioni ataviche, secondo cui il soggetto riproduce spontanea27 [^adhd[^V >a\^dXdeg^bVY^d\c^VaigVXdhV jcVY^bZch^dcZZh^hiZco^VaZZXdbZ iVaZhdiidhi|VgZ\daZegdeg^Z# AV[^adhd[^V^cYV\V^ah^\c^[^XVid egd[dcYdYZa\^dXd\^jc\ZcYdY^ kdaiV^ckdaiVVXdcXajh^dc^ Y^[[ZgZci^#8dhV\^dXd48dhV Y^[[ZgZco^V^a\^dXdYVacdc"\^dXd4 EZgX]h^\^dXV4 6XdhVhZgkZ4 eZYV\d\^V HZXdcYdfjZhiVY^hX^ea^cV^a\^dXd ^abZood[dcYVbZciVaZeZgad hk^ajeed[^h^XdZ^ciZaaZiijVaZYZa WVbW^cd#AVeZYV\d\^Vh^^ciZggd\V hjagjdadYZa\^dXdcZaaVXgZhX^iV XZgXVcYdY^gZcYZgZ^\^dX]^e^ ZYjXVi^k^ZaÉZYjXVo^dcZ e^\^dXdhV# Zidad\^V >a\^dXdjcXdbedgiVbZcid XdbjcZVaaÉjdbdZVaaÉVc^bVaZ# >a\^dXdcZXZhhVg^dV^XjXX^da^eZg h[d\VgZaZZcZg\^Z^cZXXZhhd!eZg VeegZcYZgZcjbZgdhZVW^a^i|!eZg hk^ajeeVgZ^a[^h^Xd^cbdYdXdggZiidZ eZgXdc[gdciVgh^Xdc^a\gjeedY^ VeeVgiZcZcoV# Interpretazioni del Gioco eh^Xdad\^V 6iigVkZghd^a\^dXd^aWVbW^cd bZiiZ^chXZcV^W^hd\c^ZaZ ejah^dc^e^egd[dcYZ#<^dXVcYd^a e^XXdadg^ZaVWdgV^hZci^bZci^ZaZ h^ijVo^dc^k^hhjiZ^ceg^bVeZghdcV ^beVgVcYdV\Zhi^gaZ#G^jhX^gZV \^dXVgZeZgjcWVbW^cd^cY^XZY^ WjdcVhVajiZbZciVaZ# a^c\j^hi^XV AVYZ[^c^o^dcZhiZhhVYZa\^dXd jcVfjZhi^dcZe^jiidhid XdcigdkZghV#AZY^kZghZa^c\jZYZa bdcYdhj\\Zg^hXdcd ^ciZgegZiVo^dcZYZa[ZcdbZcd egd[dcYVbZciZY^kZghZ#AZ eVgdaZji^a^ooViZhdcdbdaiZZ^a adgdh^\c^[^XVidkVg^dZ Y^[[ZgZco^Vid# Vcigdedad\^V hdX^dad\^V >a\^dXd!ZYhZbegZhiVid!jc [dgiZ[ViidgZY^V\\gZ\Vo^dcZ# D\c^\^dXdedgiVXdchZjc^ch^ZbZ Y^gZ\daZhdX^Va^ZY^XdbedgiV" bZcidX]Zg^heZXX]^VaVk^h^dcZYZa bdcYdYZaaVhdX^Zi|^cXj^k^ZcZ egVi^XVid# >a\^dXdjcVbVc^[ZhiVo^dcZ XjaijgVaZkVg^VW^aZcZaadheVo^d ZcZaiZbed#>\^dX]^ igV\\dcddg^\^cZZhZchd hidg^XdYVaaVh^ijVo^dcZ hdX^VaZX]Za^]V[Vii^cVhXZgZ Z^cfjZhidcdchdcdY^kZgh^ YVaaVgZa^\^dcZZYZ^g^i^# \^dXd mente alcune attività dei lontani predecessori che oggi appaiono inutili. Secondo l’interpretazione di Stanley Hall il soggetto in età evolutiva replica empiricamente nel fenomeno–gioco il percorso della specie umana. Le fasi del gioco, infatti, procedono da espressioni non complesse, di carattere sensomotorio, alle più mature, collegate ai processi imitativi e sociali. Buytendijk scorge nell’attività ludica la manifestazione normale dello sviluppo dei soggetti più giovani, radicata nelle pulsioni emozionali di attrazione e repulsione verso l’ignoto. Per Herbert Spencer l’attività ludica nasce dal bisogno di liberarsi di forze a base biologico–istintuale. In altre parole, il gioco è una strategia di simulazione che innesca, – per poi scaricarle – le energie represse. L’analisi del gioco in Spencer risponde ad una precisa filosofia evoluzionistica, che ne intuisce l’importanza per quanto riguarda le prime fasi dello sviluppo umano e quindi del percorso evolutivo della personalità. Per l’antropologo Manhardt si tratta di risalire alle componenti mitologiche che sottendono alla grande rilevanza che le culture di ogni tempo e paese hanno attribuito al fenomeno del gioco. Scopo dell’antropologo è di studiare presso le società arcaiche e di tipo tradizionale le occorrenze dell’attività ludica nel suo esercizio quotidiano. Dumazedier propone un nuovo modello per l’interpretazione in chiave sociologica dell’attività ludica, in stretta correlazione con la scoperta e l’invenzione del tempo libero nella Contemporaneità. Un importante apporto alle teorie sulla funzione del gioco nella vita del bambino è stato dato dalla pedagogista Rosa Agazzi ( 1866–1951 ) che, sulla scia del pensiero di Froebel, esalta l’importanza della spontaneità nell’attività ludica e considera il gioco come esperienza integrale e come forma di conoscenza e comunicazione peculiare per il bambino.”Nella scuola infantile”, sostiene “tutto deve essere giuoco: dai giuochi propriamente detti al lavoro manuale, dalle esercitazioni di lingua all’osservazione delle cose, dalle lezioni di morale al canto, dagli orientamenti di socialità all’educazione fisica”. Lo stesso concetto è il principio fondante sul quale è stato sviluppato il modello educativo delle scuole per l’infanzia di Reggio Emilia, tra le quali spicca l’asilo Diana, il cui il motto è “nulla senza gioia”. La Agazzi esalta inoltre “il carattere poetico produttivo” del gioco, intendendo la possibilità di soddisfare la capacità creativa del bambino. Quando un bambino co- struisce, ad esempio, un castello di sabbia, non solo si vede capace di realizzare qualcosa, ma stimola nel contempo anche il proprio senso estetico. Per la Agazzi è essenziale valorizzare l’attività spontanea infantile per la 30 trasformazione della materia in oggetti che siano gradevoli, belli da vedere. Il bambino ha così la possibilità di valutare le proprie attitudini creative e si sentirà spronato a mettersi continuamente alla prova. La completa libertà che Rousseau e Froebel lasciavano al fanciullo per esprimersi nel gioco è contemplata secondo un’accezione diversa nel metodo educativo di un’altra grande pedagogista: Maria Montessori ( 1870–1952 ). Se per Froebel il bambino è un bambino ludens, per la Montessori è invece un bambino scout, un’esploratore desideroso di scoprire il mondo. Il bambino montessoriano è felice perché è messo nelle condizioni di convertire la propria energia in laboriosità: “aiutetemi a fare da solo” sembra essere il monito che il bambino rivolge all’adulto. Nell’attività costruttiva la Montessori inserisce il lavoro manuale inteso come sviluppo delle capacità manipolative e punta alla produzione di oggetti che educhino alla conoscenza e soprattutto al rispetto della casa e dell’ambiente. Affinché il bambino si senta libero di scoprire e sperimentare è necessario calarlo in un ambiente speciale, fatto a sua misura ( materiali con proporzioni ridotte, stanze chiare e luminose con finestrine basse, mobili piccoli di ogni forma ecc. ). È proprio sull’ambiente che, secondo la pedagogista, bisogna intervenire per liberare le manifestazioni infantili, un ambiente in cui l’adulto deve adattarsi ai bisogni del bambino ed essere capace di renderlo indipendente per non essergli di ostacolo. In questa panoramica, seppur molto limitata, degli studi sul gioco non possiamo tralasciare l’immensa opera di Jean Piaget. Piaget stabilisce una corrispondenza diretta tra lo sviluppo del gioco e quello mentale, affermando che il gioco è lo strumento primario per lo studio del processo cognitivo del bambino. Piaget parte dalla convinzione che il gioco sia la “più spontanea abitudine del pensiero infantile”. Egli individua nel processo di crescita intellettivo del fanciullo due stadi: uno di assimilazione e uno di accomodamento. Il primo serve al bambino per rapportare la realtà al pro- prio Io, il secondo per adeguare le proprie esigenze ed aspettative alla realtà circostante. Il gioco, scrive Piaget, “è essenzialmente assimilazione, assimilazione che domina l’accomodamento”. Il bambino, infatti, con il gioco, cerca di affermare la propria presenza nel mondo, di sottomettere il mondo a se stesso: “dopo aver appreso ad afferrare, a dondolare, a lanciare ecc. […] si produce presto o tardi […] il fatto che il bambino afferri per il piacere di afferrare, faccia dondolare per il piacere di riuscire 4. Jean Piaget, La psicologia del bambino, Einaudi, Torino, 1970. a far dondolare, ecc., infine ripeta le sue condotte senza nuovo sforzo di apprendimento o di scoperta, ma per la gioia di dominarle, di offrirsi lo spettacolo della propria potenza e di sot4 tomettervi l’universo”. Se per Piaget il gioco è il mezzo attraverso cui apprende- re per Wiinnicot è anche strumento di indagine e cura delle psicopatologie 31 infantili. Per cui Winnicott sostiene che: “il gioco è sempre eccitante […] a causa della precarietà inerente a esso, perché è sempre sul filo del rasoio tra ciò che è soggettivo e ciò che è oggettivamente percepito”. Ma, continua Winnicott, esiste una grande differenza tra “il gioco felice dei bambini e il gioco dei bambini che si eccitano compulsivamente”. Ci sono, infatti, dei casi di bimbi che passano freneticamente da un gioco all’altro senza riuscire a completarne uno. Altri tendono a fare i pagliacci e talvolta arrivano ad essere aggressivi: dietro tanta iperattività si può nascondere una grande ansia. La capacità di un bambino di giocare con interesse e dedizione è prova di buona salute ( mentale e fisica ). Bisogna cominciare a preoccuparsi se il piccolo non dimostra curiosità verso gli altri, né inventiva nel gioco e usa le cose in modo meccanico e disinteressato. Winnicott concorda nell’attribuire al gioco una forte valenza terapeutica. Egli lo definisce come una forma di autoguarigione, dal momento che faci- lita l’espressione del vero Io del bambino: “è nel giocare e soltanto mentre gioca che 5. Winnicott D.W., Gioco e realtà, Roma Armando, 1974 . l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, 5 ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé”. È importante, però sottolineare che nulla va imposto al bambino, che deve essere piuttosto assecondato per dargli modo di esprimersi senza freni inibitori. Anche per Melanie Klein la capacità di giocare è indice della sanità mentale del bambino, come per l’adulto può esserlo la capacità di amare o lavorare. Può sembrare strano che esistano bambini che non provino il desiderio di giocare, eppure è un dato esistente e si verifica quando è presente un forte stato di angoscia che determina una eccessiva inibizione. La Klein considera le inibizioni al gioco come la spia di una “massiccia rimozione della pulsionalità”: il bambino, in pratica, convive con dei fantasmi interni così minacciosi che gli impediscono anche di esorcizzarli simbolicamente attraverso l’attività ludica. Le manifestazioni di questo disagio vanno dal vero e proprio rifiuto del gioco, all’avversione ai soli giochi di movimento, dalla resistenza a fare determinati giochi specifici all’incostanza in qualsiasi gioco. Normalmente i bambini che non giocano o che non lo fanno spesso, denotano un ipercontrollo delle loro funzioni, un adattamento totale al loro ambiente, una mancanza di fantasia e creatività. Spesso la loro incapacità di giocare viene compensata da un assiduo impegno nello studio, determinando un progressivo sviluppo della sfera intellettiva a scapito di quella emotiva. I danni di questa situazione sono facilmente ravvisabili nella fase adolescenziale. La Klein sostiene che si possono considerare “…tutte le inibizioni ulteriori – così im- portanti per la vita e lo sviluppo – un’evoluzione delle primissime inibizioni nel gioco” ( 1923 ). La Klein ha dato un contributo importante alla teoria del gioco come strumento terapeutico. La studiosa parte dal presupposto che il gioco sia la na32 turale forma di espressione dei bambini, così come per l’adulto è la parola, ed anche dal fatto che, essendo i più piccoli maggiormente sottoposti alle pulsioni dell’inconscio, tramite la loro attività ludica si possono leggere chiaramente i loro meccanismi interiori. Il gioco dei bambini per la Klein è come il sogno, in quanto rivelatore di fantasie inconsce: pertanto il metodo dell’interpretazione dei giochi infantili è analogo a quello dell’interpretazione dei sogni degli adulti. È comunque fondamentale, e su questo insite l’autrice, analizzare anche i più piccoli aspetti del gioco affinché l’interpretazione diventi efficace. Gli elementi da considerare sono sicuramente: —il materiale utilizzato e soprattutto quello prodotto dal bambino; —le modalità di svolgimento dell’attività; —il perché dell’eventuale passaggio da un gioco all’altro; —i mezzi che scelgono per le loro rappresentazioni. Perché si gioca? A cosa serve? Sul perché si giochi sono state formulate molte ipotesi. Per qualcuno si trat- ta semplicemente di doversi sbarazzare di forze in eccesso impiegandole in una qualche attività psicofisica. Per altri al contrario è una necessaria parentesi di relax nel quale reintegrare le proprie forze vitali. Secondo altri ancora una palestra di vita in cui imparare i gesti e l’operosità che la vita adulta richiederà ( Froebel, Claparède e Decroly ) o ancora la risposta all’innato istinto di imitazione della razza umana ( siamo scimmie al 97% in effetti ). Altri ancora vedono nel gioco la valvola di sfogo di istinti nocivi o violenti costantemente sedati o la ricerca di appagamento, tramite la finzione, di desideri non realizzabili. In ultimo c’è chi spiega il gioco con il gioco stesso: quale migliore motivazione al gioco se non il gioco stesso e il piacere che ne deriva? “La natura |…| avrebbe potuto dare alla sua prole tutte quelle funzioni utili di scarico di energia, di rilassamento, di preparazione, e di compenso, anche nella forma di esercizi e reazioni puramente meccanici. Invece no, ci dette il Gioco, con la sua tensione, con la gioia, col suo scherzo” ( Huizinga ). Il bisogno di gioco, nella sua accezione di distaccamento dalla realtà e di svago, è insito nell’uomo e nei bambini di tutti i tempi. Esso, infatti, rap- 33 presenta un mondo altro che ha la funzione di semplificare e spesso esorciz- zare la realtà. È facile supporre che una società che mostra molto interesse per il gioco sia una società che spesso presenta numerosi e acuti conflitti interni. Il ritagliarsi, quindi, uno spazio e un tempo per l’attività ludica, è un modo per scaricare tensioni sia sociali che psicologiche ( pensiamo alla funzione del Carnevale, in voga fin dal Medioevo ). Per i bambini, che giocano per divertirsi, non c’è nessuna differenza tra il gioco e ciò che un adulto potrebbe considerare come una azione, come un “fare”. Solo più tardi, una volta che giungono ad associare un’attività alla ricompensa, iniziano a considerare un comportamento mentre lo pongono in atto in vista di benefici a lungo termine piuttosto che per la gratificazione immediata a considerarlo cioè un lavoro o un passatempo. Ciò è dovuto allo sviluppo di abilità cognitive che consentono al bambino di vedere il legame tra causa ed effetto. Attraverso il gioco il bambino incomincia a comprendere come funzionano le cose, ciò che si può o non si può fare con gli oggetti, sperimenta le leggi del caso e della probabilità, attiva serie concatenate di reazioni causa effetto e mette in pratica le prime relazioni sociali. L’esperienza del gioco insegna al bambino ad essere perseverante e ad avere fiducia nelle proprie capacità; è un processo attraverso il quale diventa consapevole del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le legittime esigenze di queste sue due realtà. Il gioco è significativo per lo sviluppo intellettivo del bambino. Il bimbo, quando gioca, sorprende se stesso e nella sorpresa acquisisce nuove modali- tà per entrare in relazione con il mondo esterno. Nel gioco sviluppa anche le proprie potenzialità intellettive, affettive e relazionali. Il gioco non è solo appagamento dell’io ma anche “piacere della funzione” come dice Bulher. Sentire il proprio corpo che è attivo, ascoltarlo, agire sul proprio corpo, sono gli elementi portanti dell’evoluzione del bambino attivati dal gioco corporeo, dal dialogo tonico. In tal senso si sviluppano le prime emozioni, la curiosità lo guida alla scoperta attraverso il gioco e lo stesso gioco gli permette di interpretare le emozioni che ne derivano. Secondo dell’età, il bambino nel giocare impara ad essere creativo, a sperimentare le sue capacità cognitive, a scoprire se stesso , ad entrare in relazione con i suoi coetanei: tutto ciò sviluppa l’intera personalità. A ben vedere nel gioco si intrecciano molti aspetti differenti e un analisi dettagliata dei bisogni ludici può essere affrontata solo parallelamente ad un esame delle tappe fondamentali dello sviluppo infantile. 34 35 & o n i b m a Il b viluppo s o u il s à t e i co! n g io o d og A su il Volendo avvicinarmi alla progettazione di giochi per bambini mi sembra indispensabile indagare sia sulle valenze psicologiche del gioco sia sui i bisogni a cui deve rispondere, senza trascurare le tappe fondamentali della crescita fisica e dello sviluppo motorio nel bambino. Il gioco si modifica negli anni in relazione ai cambiamenti fisici ed al livello di sviluppo psichico raggiunto. Ad ogni età infatti corrispondono determinati comportamenti e abilità fisiche che un progetto di gioco dovrebbe rispettare proponendo contenuti e movimenti stimolanti adatti ai bambini delle diverse età. Questo accorgimento eviterebbe il rischio di annoiare i bambini o di frustrarli con richieste ina- deguateal grado di sviluppo psico–fisico in cui si trovano. Allo stesso modo ad ogni tappa della crescita corrispondono determinati “bisogni ludici” ed esperienze emotive che non possono essere trascurate da un progettista del settore. In questo capitolo mi propongo di analizzare in modo schematico gli aspetti fondamentali del- lo sviluppo motorio, psichico e affettivo dei bambini dalla nascita all’adolescenza in modo da avere presenti le conoscenze e le abilità di base per determinare i bisogni ludici e le soluzioni progettuali più indicate. Lo sviluppo del pensiero La teoria piagetiana Prima di stabilire quali siano i giochi più adatti ai diversi momenti della crescita mi sembra doveroso chiedermi quando, e come, nascano il movimento e il pensiero nei bambini appena nati. Per rispondere a questo interrogativo può essere di grande aiuto l’opera di Piaget, noto studioso della psicologia dello sviluppo, che si è dedicato allo studio e all’osservazione dell’apprendimento nei primi anni di vita. La sua teoria ha il merito di aver cercato di delineare la relazione che intercorre tra maturazione neurofisiologica e cognitivo–affettiva nel neonato e nel bambino, sottolineando come ciò avvenga soprattutto attraverso le esperienze di movimento, dal più semplice (riflesso ) al più complesso ( azione ). 37 Oggi, nonostante gli approfondimenti e le modifiche operate, il lavoro di questo autore rimane architrave negli studi dei processi di apprendimento. La stessa definizione di “apprendimento” può derivare dalle sue osservazioni, come inteso ad acquisire concetti, nozioni, elaborazioni, esperienze, ovvero “prendere qualcosa su di sé”. L’apprendimento è quel processo che permette di decodificare la realtà, produrre esperienze, operare un bilancio critico dell’esperienza. È in sostanza la capacità di costruire strutture conoscitive ovvero il mezzo per formare la mappa mentale–conoscitiva che ogni individuo si costruisce a partire dalla prima infanzia elaborando gli stimoli derivati dall’esperienza. Più saranno forti gli stimoli come basi, più saranno grandi , con il passare degli anni, le mappe conoscitive. Secondo Piaget è possibile individuare cinque fasi di sviluppo intellettivo: —il periodo senso–motorio ( 0 – 2 anni ); —il periodo preoperazionale ( 2 – 7 anni ) diviso a sua volta nella fase preconcettuale ( 2 – 4 anni ) e quella intuitiva ( 4 – 7 anni ); —il periodo delle operazioni concrete ( 7 – 11 anni ); —il periodo delle operazioni formali ( 11 – 15 anni ). Periodo senso–motorio ( da zero a due anni ) Durante il periodo senso–motorio, l’infante parte da un livello neonatale di puro riflesso, caratterizzato dalla completa assenza di differenziazione; il piccolo non distingue se stesso dalla madre o dal resto del mondo, per giungere solo in seguito ad una organizzazione relativamente coerente che lo renda capace di semplici azioni senso–motorie. Questa organizzazione è esclusivamente pratica e comporta semplici aggiustamenti percettivi e mo- tori relativi ai fenomeni circostanti, piuttosto che alla loro manipolazione simbolica. Piaget descrive sei sottostadi principali di questo periodo. Questi stadi riflettono, evolvendosi impercettibilmente, le transizioni organizzative che portano progressivamente alla capacità di simbolizzare azioni o eventi raggiunta alla fine del periodo senso–motorio. Il primo stadio, quello dei riflessi ( dalla nascita a un mese ), comporta una crescente efficienza nel funzionamento dei riflessi innati. Durante il secondo stadio dello sviluppo senso–motorio ( da due a quattro mesi ), avvengono le reazioni circolari primarie. Queste sono azioni non intenzionali e spontanee centrate sul corpo del bambino ( perciò sono state chiamate primarie ) che vengono ripetute più e più volte ( quindi circolari ) rafforzando e stabilendo l’adattamento. Il comportamento in questo 38 stadio è caratterizzato dalla comparsa della ripetizione di atti semplici ( assolutamente inintenzionali e fine a se stessi ). Esempi di reazione circolare primaria possono essere la ripetitiva suzione del pollice o l’azione ripetuta di tastare una coperta. Gli stadi successivi sono caratterizzati da una crescente intenzionalità da parte del bambino. Nel terzo stadio ( dai quattro agli otto mesi ) è di estrema importanza lo sviluppo delle rea- zioni circolari secondarie. Durante questo stadio si estende la consapevolezza dell’ambiente esterno da parte del bambino. Le sue reazioni implicano ora la manipolazione di eventi o di oggetti dell’ambiente esterno ( vengono perciò chiamate secondarie ). Le azioni vengono ancora ripetute più e più volte ma esiste una certa intenzionalità che mira a produrre un effetto di stimolo creato da qualche attività particolare. È in questa fase che possiamo collocare le prime manifestazioni di gioco. Dalla ripetizione di queste azioni ( scoperte per caso ) vengono appunto ottenuti risultati interessanti, tali da spingere alla produzione di nuove alterazioni dell’oggetto o dell’evento esterno. Un esempio di reazione circolare secondaria potrebbe essere costituito dal- l’agitare ripetutamente le braccia allo scopo di imprimere movimento ad un giocattolo sospeso sopra la sua culla. Cominciano ad attirare l’attenzione del bambino i giocattoli che producono effetti o suoni facilmente percepibili come ad esempio sonaglietti e carillon. Il quarto stadio senso–motorio ( dagli otto ai dodici mesi ) implica la coordinazione delle reazioni secondarie. I mezzi e i fini sono chiaramente differenziati; per la prima volta il comportamento del piccolo è di natura veramente intenzionale e il bambino comincia a risolvere semplici problemi producen- do nuovi schemi di comportamento ( uno schema è una risposta generale usata per risolvere un problema particolare ). Il bimbo applica uno schema come mezzo per raggiungere uno scopo; un altro schema è impiegato per instaurare un comportamento nei confronti dello scopo, una volta che questo sia stato raggiunto. Questa nuova coordinazione di reazioni secondarie è resa possibile grazie alla migliore capacità nel bambino di generalizzare o di trasferire uno schema usato in una situazione simile a quella nella quale era stato originariamente utilizzato. Durante il quarto stadio avviene la progressiva differenziazione tra sé e il mondo. Viene stabilita la permanenza dell’oggetto. Se il bambino osserva un oggetto che successivamente viene 39 PERIODO SENSOMOTORIO 0–2 Il bambino passa dalla totale indifferenziazione ad una prima forma di organizzazione coerente che gli permette di compiere semplici operazioni. 1° stadio (o–1 mese) MOVIMENTI RIFLESSI 2° stadio (2–4 mesi) REAZIONI CIRCOLARI PRIMARIE Migliorano i riflessi innati. Ripetizione di azioni semplici non intenzionali centrate sul corpo del neonato. sottratto alla sua vista, arriva a capire che questo oggetto ha ancora una esistenza obiettiva anche al di fuori del suo campo visivo. L’esempio seguente può chiarire la marcata intenzionalità delle azioni e il concetto di permanenza dell’oggetto che caratterizza il quarto stadio senso–motorio. Immaginiamo un bambino che guarda il suo giocattolo preferito e che questo, lentamente, venga ricoperto con un panno. Piaget afferma che un infante nel terzo stadio non riconosce ancora in questi casi l’oggettiva esistenza dell’oggetto; l’oggetto fuori dalla vista è fuori dalla mente. Data la stessa semplice situazione, un neonato nel quarto stadio è sufficientemente capace di comprendere l’esistenza indipendente del giocattolo. Entrambi possono arrivare a tirare via il panno dall’oggetto: il bambino del terzo stadio probabilmente solo per osser- vare il movimento del panno ( uno stimolo già in sé interessante ). Dopo che il panno è stato tirato via, il bambino del terzo stadio può magari scoprire accidentalmente la nuova esistenza dell’oggetto e mettere in atto una reazione secondaria cercando di raggiungerlo. Al contrario, il bambino nel quarto stadio del periodo senso–moto- baucette: un piccolo gioco importante per il bambino sotto l`anno, che ancora non concepisce un oggetto fuori dal suo campo percettivo. L`omino può sparire del tutto e rimbalzare fuori sulla molla nascosta che lo tiene saldato al fondo. In vendita presso Città del sole. 40 rio ha chiaramente in mente il giocattolo dall’inizio e non vi incap- pa per caso. Il tirare il panno è usato come mezzo per raggiungere la meta desiderata, il gesto è posto in relazione e coordinato con l’azione finale di raggiungere l’oggetto. Questa capacità di combinare unicamente schemi di azione precedentemente non connessi costituisce da parte del bambino la base di una semplice attività di soluzione dei problemi. 4° stadio (8–12 mesi) coordinazione delle REAZIONI SECONDARIE Nasce la consapevolezza della differenziazione del proprio corpo rispetto al mondo circostante. Il bambino agisce sugli oggetti e ricerca i primi contatti con essi. Nascono le prime forme di gioco. I movimenti sono finalmente di natura intenzionale. Il piccolo comincia a risolvere semplici problemi producendo nuovi schemi di comportamento. Viene stabilita la permanenza dell’oggetto. Il bambino riesce ad applicare questa conoscenza solo a casi molto semplici. � schema sullo sviluppo del pensiero: il grafico, che prosegue nelle pagine seguenti, cerca di sintetizzare le tappe fondamentali dello sviluppo intellettuale sulla base della teoria elaborata da Jean Piaget all’inizio del secolo scorso. teoria PIAGETTIANA 3° stadio (4–8 mesi) REAZIONI CIRCOLARI SECONDARIE Il concetto di permanenza dell’oggetto non è ancora pienamente articolato. Il bambino del quarto stadio incontra considerevoli difficoltà se i movimenti di un oggetto sono comples- si o se l’oggetto viene spostato nello spazio dall’area nella quale era stato inizialmente nascosto. Se un giocattolo viene ripetutamente nascosto sotto un cuscino, il bambino del quarto stadio lo cercherà lì; ma se l’oggetto viene nascosto sotto un secondo cuscino, il bambino lo continuerà a cercare sotto il primo cuscino ( anche se ha visto chiaramente che il giocattolo veniva nascosto sotto il secondo ). È come se la posizione associata ai precedenti tentativi felici di scoprire l’oggetto fossero un attributo dell’oggetto stesso. Il bambino in questo stadio è diventato capace di compiere numerose operazioni, manipolare oggetti, lanciarli, avvicinarli e interagire con loro. Sarà interessato a giochi di diversi materiali, alle palle, agli specchi, ai giocattoli sonori e a tutti i giochi che rendono possibile rafforzare la sua nuova consapevolezza della permanenza dell’oggetto ( scatole in cui nascondere i giocattoli, coperte, cuscini ecc ). Durante il quinto stadio del periodo senso–motorio ( dai dodici ai diciotto mesi ), il bambino diviene consapevole che un oggetto può essere spostato nello spazio conservando l’idea della permanenza dello stesso. La costanza di un oggetto è quindi più saldamente stabilita; la permanenza è ora qualcosa di assimilato. Un altro aspetto saliente del quinto stadio è lo sviluppo delle reazioni circolari terziarie. Queste reazioni sono definite in termini di metodi più con- creti e avanzati di esplorazione di oggetti nuovi o di eventi ambientali e per 41 mezzo di nuove sperimentazioni. L’interesse per la novità in se stessa è l’attributo primario di una reazione circolare terziaria. Attraverso sperimentazioni per prove ed errori, il piccolo scopre nuovi mezzi per raggiungere i suoi scopi. Se nel quarto stadio il comportamento che conduceva ad uno scopo era piuttosto stereotipato, nel quinto il bambino del cerca attivamente mezzi nuovi per raggiungere un particolare fine. Non solo si fida delle attività che precedentemente si sono dimostrate capaci di successo, ma si accosta al problema per nuove vie: non si limita a muovere con le mani un cuscino per raggiungere un giocattolo nascosto, ma tenta nuove strade ( può tenta- re ad esempio di spingere via il cuscino con un piede o può cercare di farlo per mezzo di un bastone ). Il piccolo è sempre interessato a nuove varianti operazionali e vede anche come queste varianti agiscono sull’oggetto o sulla possibilità di ottenere l’oggetto stesso.Il fine passa quasi in secondo piano. Il bambino di questo stadio che comincia è molto curioso di tutto ciò che il mondo ha da offrirgli e ama giocare con svariati oggetti. Il sesto stadio ( dai diciotto ai ventiquattro mesi ) è caratterizzato dalla transizione da un’azione evidente ad una rappresentazione mentale nascosta. Il bambino è in grado di utilizzare simboli mentali per riferirsi ad oggetti assenti dall’ambiente immediatamente circostante. Durante questo stadio il bambino è capace di imitazione differita, di riprodurre a memoria cioè il comportamento di un modello assente: di rappresentare il modello assente per mezzo di alcune forme simboliche. Comincia così il gioco del “fare per finta”. Il bambino, in questo stadio finale dello sviluppo senso–motorio, è capace di sperimentazione interiore che lo porta ad una esplorazione mentale interiorizzata delle relazioni tra modi e mezzi. Le soluzioni ai problemi sono considerate in termini di dimensione mentale piuttosto che fisica. Durante questo ultimo stadio del periodo sensomotorio il concetto di permanenza dell’oggetto è stabilito in modo più chiaro. Il bambino ora cercherà un oggetto spostato nello spazio dove questo è scomparso l’ultima volta riconoscendo che un oggetto può essere spostato e continuare a mantenere la sua oggettività. Il bambino arrivato a questo stadio è in grado di compiere svariate attività e i giochi con i quali si intrattiene sono diventati moltissimi. Ama le costruzioni di grandi dimensioni ( cubi, grandi incastri, casette con chiavi ), i giocattoli di grandi dimensioni ( palle, veicoli al traino, cuscini ), sperimenta le prime forme espressive ( ma- tite, pongo, colori a dita ) e ama giocare con l’acqua. 42 Dai due ai sette anni: il periodo preoperazionale Dai due ai quattro anni: lo stadio preconcettuale Evolvendosi dall’ultimo stadio del periodo senso–motorio, la genesi del pensiero per concetti avviene appunto nel periodo preconcettuale. Durante questo stadio il bambino sviluppa capacità linguistiche e abilità a costruire simboli; comincia a distinguere tra significanti ( parole e immagini che significano eventi oggettivi o oggetti ) e significati ( eventi percettivamente assenti ai quali si riferiscono quelle parole o immagini ). Il bambino è capace di distinguere «papà che si mette il cappotto» ( significante ) e il concetto del «papà che si mette il cappotto», riferito all’evento ancora percettivamente assente del papà che esce ( significato ). L’apparire della funzione simbolica ( uso dell’immagine mentale, del sim- bolo, della parola o di un oggetto che significa o rappresenta un evento che non è immediatamente presente ) libera il bambino dall’agire su fatti fisicamente presenti nell’immediato ambiente circostante. La funzione simbolica consente al bambino di applicare l’esperienza passata agli eventi presenti. Altra fondamentale caratteristica di questo stadio è che l’imitazione si fa meno esteriore e si rivela maggiormente interiorizzata. Diviene evidente durante questo periodo la presenza dell’immaginazione; il bambino sviluppa la sua abilità nel trattare gli oggetti come simboli di cose diverse da quello che sono in sé ( può usare una scopa come cavallo immaginario o una scatoletta come telefono cellulare ). Durante questo stadio il bambino comincia a sperimentare sempre più le rappresentazioni mentali del mondo esterno e delle sue proprie azioni. Molte caratteristiche del pensiero nello stadio preconcettuale differiscono ancora dai processi più tardi e più maturi. Il bambino, ad esempio, non è ancora in grado di formulare regole che gli consentano di includere un oggetto in una classe specifica di oggetti. Piaget definisce sincretismo la tendenza a raggruppare eventi e oggetti in insiemi confusi. Per esempio, invece di usare regole classificatorie di un insieme ( l’insieme degli oggetti impiegati come utensili per cucinare ) per definire quali oggetti particolari appartengono alla cucina, il bambino nel- lo stadio preconcettuale non cerca di determinare attributi particolari che siano comuni ad una serie di oggetti, ma classifica insieme oggetti che non 43 5° stadio (12-18 mesi) reazioni circolari TERZIARIE 6° stadio (18-24 mesi) la rappresentazione MENTALE La permanenza dell’oggetto è un concetto perfettamente acquisito. Il bambino esplora gli oggetti e il mondo circostante con modalità più concrete e avanzate per mezzo di nuove sperimentazioni. Il bambino non solo riesce ad ottenere gli scopi prefissati ma si adopera per scoprire varianti con le quali raggiungere gli stessi risultati, il periodo risulta caratterizzato da una grande curiosità. l bambino è in grado di riferirsi a oggetti assenti dall’ambiente immediatamente circostante. Il piccolo è capace di riprodurre a memoria il comportamento di un modello assente per mezzo di forme simboliche. Comincia il gioco di finzione. hanno rapporto tra loro ( biscotti, una donna, un orologio a muro, i fiammiferi, ecc., sono raggruppati insieme ed etichettati «cucina» ). Il pensiero preconcettuale è anche egocentrico: il bambino pensa solo secondo il suo punto di vista e non possiede la capacità di assumere il ruolo di un altro individuo. È anche incapace di valutare criticamente i suoi pensieri ( ad esem- pio, il bambino non pensa ai suoi pensieri né tenta di prendere in considerazione le possibili contraddizioni dei suoi processi di pensiero ). Il pensiero, durante lo stadio concettuale, tende anche ad essere centraliz- zato: il bambino si concentra su un particolare aspetto o su una dimensione di una serie di stimoli. Non considera mai simultaneamente le varie dimensioni di un problema: mentre centra un aspetto particolare di un evento, sorvola o trascura altre sue dimensioni rilevanti. Non combina mai le singole caratteristiche integrandole però in un disegno multidimensionale. Dai quattro ai sette anni: lo stadio intuitivo Lo stadio intuitivo è il secondo del periodo preoperazionale e va dai quattro ai sette anni circa. È un periodo di preparazione allo stadio delle operazioni concrete. Durante questo stadio vengono costruiti pensieri e immagini più complessi di quelli del periodo precedente e il bambino sviluppa progressivamente la sua capacità di concettualizzazione. Si stabilisce un rudimentale concetto di classificazione basato essenzialmente su somiglianze colte mediante la percezione piuttosto che su considerazioni logiche o di relazione. Per esempio, una stella marina non viene classificata in base ad una com44 LO STADIO PRECONCETTUALE (2-4 ANNI) LO STADIO INTUITIVO (4-7 ANNI) Con il miglioramento delle abilità linguistiche e simboliche il pensiero del bambino comincia a svilupparsi per concetti. Inizia a manifestarsi l’immaginazione; anche l’imitazione viene maggiormente interiorizzata. Gli eventi e gli ogetti risultano raggrupati in insiemi confusi (sincretismo), il pensiero in questo stadio è egocentrico e centralizzato (il bambino considera i fenomeni solo da un punto di vista e si concentra su un aspetto specifico e limitato del problema). Durante questo periodo il bambino costruisce un gran numero di pensieri e immagini piuttosto complessi. Viene stabilito un rudimentale concetto di classificazione basato sulle esperienze sensoriali del bambino piuttosto che su ragionamenti logici. Il pensiero nel complesso è ancora centralizzato e irreversibile (non considera cioè l’insieme delle operazioni inverse che possono ristabilire la situazione iniziale). teoria PIAGETTIANA PERIODO PREOPERAZIONALE 2-7 parazione filetica ma può essere classificata come una roccia o una pietra in base alla sua percepita somiglianza con tali oggetti. Il pensiero, a questo stadio, è ancora largamente legato al contesto delle esperienze percettive del bambino. La sua comprensione degli eventi è ancora ampiamente domi- nata da una certa incapacità di percepire nello stesso momento più di una dimensione saliente di una situazione. Un altro aspetto critico del pensiero nel periodo preoperazionale è l’irreversibilità. Il pensiero irreversibile è definito come l’incapacità a considerare una serie di operazioni inverse che possono reinstaurare una situazione ori- ginaria. Gli esperimenti classici di Piaget, che dimostrano l’incapacità del bambino ancora al livello preoperazionale a capire il fenomeno della conservazione ( che cioè la quantità di liquido e la massa o il numero degli oggetti di un insieme resta invariato anche se vi sono trasformazioni percettive ), servono a caratterizzare molti dei processi dominanti di pensiero dei bambini durante questo intero periodo. Alcune qualità del pensiero preoperazionale rendono impossibile ad un bambino di questo livello riconoscere che una quantità di acqua resta costante ( si conserva ) malgrado la diversità della forma del contenitore in cui l’acqua è versata. Se l’acqua è versata in due bicchieri identici e raggiunge in tutti e due lo stesso livello, il bambino capirà prontamente che la quantità d’acqua nei due bicchieri è la stessa: se l’acqua di un bicchiere viene poi versata in un bicchiere più alto e più stretto ( in modo che nel nuovo recipiente il livello dell’acqua sia più alto ) il bambino dello stadio preconcettuale del periodo preoperazionale insisterà col dire che il bicchiere più alto e più stretto con- tiene più acqua. Può darsi che il bambino dello stadio preconcettuale difetti 45 dell’idea di conservazione perché si occupa solo di un aspetto sa- liente del problema ( l’altezza del liquido nelle colonne d’acqua ), trascurando fatti ugualmente importanti, cioè che il secondo recipiente differisce dal primo in larghezza, oltre che in altezza. Dato che procede focalizzando l’attenzione percettiva su una di- mensione alla volta, il bambino è incapace della coordinazione simultanea di due o più attributi dimensionali del problema. Può darsi però che i bambini del secondo stadio ( intuitivo ) del periodo preoperazionale difettino dell’idea di conservazione perché la loro capacità di definire concetti astratti, come la quantità, è limitata agli attributi del problema che possono esse- re colti attraverso la percezione. Il bambino dello stadio intuitivo può intuitivamente stabilire una uguaglianza tra l’«altezza» e il suo concetto di quantità ( «di più» ). Così, il livello del liquido nei due recipienti determina il concetto di quantità del bambino. In ogni caso, il pensiero è marcato dalla sua irreversibilità. Il bambino del periodo preoperazionale è inconsapevole del fatto che esista una operazione che possa ripristinare la situazione originaria. Non ha la cognizione del fatto che se l’acqua del recipiente più alto e più stretto viene versata di nuovo nel primo dei recipienti identici, essa raggiungerà di nuovo la sua altezza originaria. Ovviamente questi proces- si di pensiero, quali la centralizzazione e l’irreversibilità, sono fortemente correlati. Ad esempio, un bambino del periodo preoperazionale può vedere che quando l’acqua è versata di nuovo nel contenitore originale ( operazione inversa ) raggiunge un’altezza uguale a quella dell’altro identico contenito- re. Il bambino può allora accorgersi che la quantità d acqua nei due bicchieri è uguale; tuttavia, quando avviene una nuova trasformazione ( ad esempio quando l’acqua è versata nel bicchiere alto e stretto ), per una ragione o per l’altra, il bambino, al livello preoperazionale, perde di vista questa operazione inversa; non la prende in considerazione e continua a fare assegnamento sulle caratteristiche percettive più evidenti. Dai sette agli undici anni: il periodo delle operazioni concrete A partire dalla nascita, le attività mentali dominanti sono passate dalle azioni evidenti ( nel periodo senso–motorio ) alle percezioni ( nel periodo preoperazionale ) e quindi alle operazioni intellettuali ( nel periodo delle operazioni concrete ). 46 Queste operazioni avvengono all’interno della struttura di ciò che Piaget chiama mobilità del pensiero: la capacità di spiegare la reversibilità, di decentrare, di assumere il punto di vista altrui e di concettualizzare le relazioni di classe. Durante il periodo delle operazioni concrete il bambino getta le basi del pensiero logico, che si identifica col successivo e ultimo periodo dello sviluppo intellettuale. Ci sono molte differenze tra il bambino del precedente periodo e quello del periodo delle operazioni concrete. Per quanto riguarda lo stesso problema della conservazione, rispetto ai bambini nel periodo preoperazionale, i bambini nel periodo delle operazioni concrete comprendono l’idea che la quanti- tà resta invariata malgrado le trasformazioni colte attraverso la percezione. Il pensiero del bambino in questo stadio è caratterizzato dalla comprensione delle operazioni inverse. Così il bambino può adesso rispondere correttamente a domande sulla conservazione del liquido affermando che la quan- tità d’acqua ( dopo la trasformazione ) è ancora la stessa, perché la si può versare nuovamente dal bicchiere stretto e alto in quello di partenza e che il livello dell’acqua nei due bicchieri identici sarà ancora lo stesso». Un’altra differenza tra il pensiero preoperazionale e quello del livello delle operazioni concrete è che il bambino nel periodo delle operazioni concrete ha sviluppato un concetto chiaramente definito di classe e classificazione. Lo sviluppo della abilità a pensare simultaneamente a relazioni parte–tutto è una componente di questa nuova capacità che si è stabilita. Ad esempio, se ai bambini nello stadio preoperazionale sono mostrate otto caramelle gialle e quattro marroni e viene loro chiesto: «Ci sono più caramelle gialle o più caramelle?». Probabilmente essi risponderanno: «Più caramelle gialle». I bambini al livello delle operazioni concrete probabilmente resteranno perplessi di fronte ad una domanda così assurda ed eventualmente risponderanno dicendo: «Ci sono più caramelle ( totali ) che caramelle gialle». La loro risposta a questa domanda indica una chiara differenziazione tra parti e tutto, una capacità di ragionare simultaneamente sulle relazioni parte–tutto e una conoscenza che sottoclassi di elementi ( caramelle gialle e marroni ) possono essere incluse in categorie più ampie ( caramelle in generale ). Le altre differenze più notevoli tra periodo preoperazionale e periodo del pensiero operazionale concreto sono le seguenti: —La capacità di utilizzare termini relazionali. Il bambino nello stadio preoperazionale guarda a espressioni relazionali come «più scuro» o «più grande» in termini di attributi assoluti di oggetti in opposizione ad attributi relativi. In questo caso «più scuro» significa «molto scuCi sono più caramelle gialle o più caramelle? . ro», non più scuro di un altro oggetto; «più grande» significa «molto grande» in contrasto con il concetto relativo di più grande di un secon47 PERIODO DELLE OPERAZIONI CONCRETE 7–11 Le attività mentali che prevalgono in questo periodo sono le operazioni intellettuali. Il pensiero ha acquistato notevole mobilità; il bambino è in grado di decentrare, cambiare il punto di vista, e comprende le operazioni inverse. I concetti di classi e classificazioni sono ben definiti. Il bambino usa in modo competente termini relazionali e possiede capacità di seriazione (è cioè in grado di ordinare insiemi di oggetti cosiderando una dimensione qualitativa specifica). Il bambino è in grado di rappresentare mentalmente fenomeni di una certa complessità e valutarli nel loro insieme; i fenomeni considerati sono però concreti, legati al presente o ad un futuro immediato. do o di un terzo oggetto. Il bambino è in grado, durante il periodo delle operazioni concrete, di vedere oggetti o avvenimenti in modo relativo. Dato il problema «se A è più piccolo di B e B è più piccolo di C, A è più piccolo di C?», il bambino nel periodo delle operazioni concrete ha la capacità di risolvere il problema considerando i rapporti relativi tra ciascuno degli oggetti materiali. —Il bambino in questo periodo possiede la capacità di ordinare gli oggetti secondo alcune dimensioni qualitative come il peso, la grandezza, la scala ordinale. Piaget chiama seriazione questa capacità concettua- le. La seriazione è fondamentale per la comprensione del fatto che la relazione d’un numero ha con gli altri ed è un requisito preliminare per lo sviluppo del pensiero matematico. —Il bambino nel periodo delle operazioni concrete è anche capace di utilizzare una rappresentazione mentale di una serie di atti. Il bam- bino nello stadio precedente può essere in grado dl coprire una breve distanza per andare a scuola se sa i punti precisi in cui deve voltare a destra o a sinistra, ma non ha il concetto dell’insieme della strada che fa quando va a scuola. Il bambino nel periodo delle operazioni concrete è capace di progettare l’intera serie di operazioni che gli sono necessarie per andare a scuola: è capace di concettualizzare in anticipo l’itinerario. Le operazioni concrete sono strutturate e organizzate in termini di fenomeni veramente concreti ( eventi che generalmente si verificano nell’immediato presente ). La considerazione della potenzialità ( del modo cioè in cui è possibile che gli eventi si producano ), o il riferimento a eventi o a situazioni 48 Questo è lo stadio finale dello sviluppo del pensiero. La realtà appare come una serie di infinite possibilità. Il pensiero in questo stadio è ipotetico-deduttivo (concettualizza un problema e lo affronta formulando ipotesi possibili da valutare con l’analisi logica), proposizionale (organizza i dati stabilendo relazioni e connessioni logiche), è in grado di svolgere un’analisi combinatoria (valutando l’intero insieme delle possibilità) e di applicare regole semplificanti (utilizzando il ragionamento senza dovere ricorrere all’esperienza diretta). I ragazzi a questa età manifestano un particolare interesse nei confronti dei meccanismi del pensiero. teoria PIAGETTIANA PERIODO DELLE OPERAZIONI FORMALI 11–15 future è piuttosto limitata. È questo approccio concreto alla realtà che differenzia il periodo delle operazioni concrete dal periodo finale dello sviluppo intellettuale. Dagli undici ai quindici anni: il periodo delle operazioni formali Questo periodo copre l’età dagli undici ai quindici anni. L’attributo più generale del pensiero formale è la comprensione che la realtà è solo una di una serie di infinite possibilità. Il ragionamento dell’adolescente è ipotetico–deduttivo; egli comincia con la considerazione di un dato problema in termini di concettualizzazione di tutte le relazioni che possono verificarsi ( una serie di ipotesi possibili ). Poi, attraverso un processo di sperimentazione combi- nato con l’analisi logica, ogni singola ipotesi viene confermata o respinta. La capacità di produrre tutte le possibili ipotesi risolutive e poi di verificare la validità d ognuna di esse attraverso una analisi logica è la caratteristica del periodo delle operazioni formali. A questo livello il pensiero è soprattutto proposizionale. L’adolescente manipola i dati grezzi nei quali si imbatte in relazioni organizzate o proposizioni e successivamente elabora connessioni logiche tra di loro. Inoltre il pensiero operazionale formale è interproposizionale, implica cioè delle relazioni logiche tra le proposizioni formate dai dati grezzi. Piaget si riferisce a queste operazioni come ad operazioni di secondo ordine, o operazioni sulle operazioni. L’individuo al livello di pensiero operaziona- 49 le formale è in grado di usare, per risolvere problemi specifici, un’analisi combinatoria. Supponiamo di dare a qualcuno quattro secchi di vernice, ognuna di un diverso colore. Il problema consiste nel combinare due di questi colori allo scopo di creare un colore unico. L’individuo nel periodo delle operazioni formali capisce che può combinare il colore numero uno con il colore numero due, il numero uno con il numero tre, il numero uno con il numero quattro, il numero due con il numero tre, ecc. Prende cioè in considerazione tutte le possibili combinazioni. Dato lo stesso problema, il bambino nel periodo delle operazioni concrete non è in grado di prendere in considerazione tutte le possibilità, ma solo quelle che sono in relazione con il presente tangibile. Di conseguenza questo bambino considererà solo, ad esempio, la combinazione dei secchi uno e due, due e tre e tre e quattro. L’adolescente ha anche la capacità di applicare regole sem- plifìcanti come operazioni di ordine più alto per arrivare alla soluzione di un problema. Supponiamo, ad esempio, che ad un individuo sia presentata una vasca d’acqua e una gran varietà di oggetti diversi e gli sia richiesto di selezionare gli oggetti che galleggiano. L’individuo nel periodo delle opera- zioni formali non è più legato al concreto, non deve mettere ogni oggetto nell’acqua per determinare quale galleggia e quale no; applica invece una regola semplificante. Sa che gli oggetti di legno gal- leggiano; può quindi determinare sperimentalmente quali degli oggetti che ha di fronte sono di legno, impiegando per far questo prove empiriche. È quindi eliminata la necessità di porre direttamente ogni oggetto nell’acqua. La capacità di impiegare analisi combinatorie e regole semplificanti forma il substrato fondamentale del pensiero algebrico ed è un requisito assolutamente necessario alla comprensione del ragionamento matematico superiore. Il dominio della realtà per mezzo della possibilità caratterizza inoltre le re- lazioni dell’individuo con il futuro. Il pensiero degli eventi futuri diviene bene articolato. L’evento remoto o distante può essere visto nei termini di una serie di possibilità ipotetiche: i processi individuali di pensiero non de- vono più essere limitati al presente o ai suoi dintorni immediati. Durante il periodo delle operazioni formali viene raggiunta la capacità di pensare in modo approfondito ad eventi futuri. Una caratteristica finale del pensiero al livello delle operazioni formali può essere sintetizzata da un’osservazione abbastanza frequente negli adolescenti: «Mi sono trovato a pensare al mio futuro, poi ho cominciato a pensare perché stavo pensando al mio futuro, poi ho cominciato a pensare perché 50 stavo pensando a perché stavo pensando al mio futuro». La caratteristica primaria del funzionamento cognitivo durante il periodo delle operazioni formali appare essere l’interesse nei confronti dei meccanismi del pensiero. Infine, per parlare in termini di interazione sociale, motivazioni e valutazioni dipendono per il ragazzo da ideali ed eventi. Questi ultimi tendono ad essere giudicati sulla base di approssimazioni della situazione teoretica che informa gli ideali. L’adolescente vede i suoi piani e le sue attività in rela- zione ad un gruppo sociale idealizzato; l’individuo comincia a pensare a se stesso come ad un membro a pieno diritto della società. La motricità infantile Lo studio probabilmente più completo per quel che riguarda lo sviluppo delle competenze gestuali è stato fornito dalla ricercatrice canadese Kaplan nel 1968. I risultati del suo lavoro indicano che lo sviluppo prassico normalmente segue un andamento ordinato e continuo dai 2 ai 12 anni, età, quest’ultima, nella quale si registrerebbero prestazioni del tutto simili a quelle dell’adulto. Recenti studi confermano il fatto che il raggiungimento della piena maturità dei processi motori avvenga intorno ai 12 anni ( Cer- mak, Larkin, Developmental coordination disorder, Del mar Thompson Learning, Albany NY 2001 ). Secondo alcuni studiosi la mancata acquisizione degli opportuni schemi motori entro questi limiti di età rappresenta una lacuna difficilmente colmabile successivamente. Il periodo che va da zero a 12 anni è caratterizzato da apprendimenti motori importanti: il comportamento di raggiungimento e afferramento di oggetti si osserva intorno ai 4 mesi, la capacità del bambino di stare seduto se sostenuto o in appoggio tra i 2 e i 6 mesi, la manipolazione di oggetti viene raggiunta intorno ai 10 mesi, la posizione eretta autonoma tra i 10 e i 12 mesi, mentre si impara a di solito camminare da soli tra i 12 e i 14 mesi. Negli anni successivi queste abilità si affinano e il bambino dimostra un maggior controllo posturale e mani- festa capacità di controllo anticipatorio su movimenti o azioni dimostrando di possedere una maturità visuomo- 51 toria simile a quella dell’adulto. Tuttavia, le possibilità di apprendimento nell’ambito del movimento sono così ampie e differenziate che le competenze motorie trovano modo di accrescersi per tutta la durata della vita. Solitamente si è soliti distinguere due piani paralleli di sviluppo motorio: il primo riguarda la motricità propriamente detta e comprende attività come muoversi, camminare, saltare ecc. Il secondo va riferito alla motricità fine o abilità manuale e si riferisce alle attività che i bambini sono in grado di svolgere con le proprie mani. Parlando di coordinazione motoria grossolana si intendono gli ampi movimenti del corpo facenti parte del repertorio del bambino, come il lancio e la conseguente ripresa di una palla, lo stato di equilibrio sul solo appoggio di una gamba, un saltello a piedi pari o la spinta di una scatola lungo un percorso. Dall’altra parte abbiamo i movimenti di coordinazione motoria fine che ri- guardano azioni di precisione come quella di infilare un laccio, disegnare il perimetro di una figura, prendere e riporre oggetti di piccole dimensioni. Questa suddivisione è più didattica che reale, nel senso che il comportamento motorio difficilmente può venire dicotomizzato in una dimensione fine e una grossolana: esiste invece una sorta di continuità tra le attività motorie grossolane e fini proprio perché molte attività implicano entrambi i tipi di conoscenze. Ad esempio, il compito di afferrare un oggetto o una palla si attua coinvolgendo entrambe le sfere. È interessante notare come lo sviluppo motorio evolva per tappe e che esistano unità basiche costitutive 52 dei movimenti da conquistare gradualmente. Esistono pattern motori che il bambino sperimenta ed impara durante i primi tre anni di vita e successivamente continua migliorare durante il resto della vita. Possiamo fare una prima distinzione tra pattern motori statici, dinamici e propriocezione cognitiva. Gli schemi posturali statici, movimenti semplici che coinvolgono gli arti e il busto, sono i primi gesti che devono essere imparati per potere affrontare le successive scoperte. È necessario imparare a piegare, stendere, flettere, addurre, addurre, torcere e slanciare gli arti inferiori prima di potere gattonare, camminare o correre. Allo stesso modo gli arti inferiori devono essere allenati per potersi piegare, estendere, flettersi, per ruotare, circondurre, oscillare, slanciare prima di potere affrontare compiti più complessi. Anche il busto deve essere educato alla flessione, alla torsione, ad essere inclinato e a sorregersi. Successivamente questi schemi, ancora non pienamente acquisiti vengono combinati in sequenze ordinate dando origine agli schemi motori dinamici che costituiscono la base dei movimenti complessi. Una volta conquistati i singoli movimenti il bambino procede con l’apprendimento degli schemi motori di base che sono otto: strisciare, gattonare ( quadrupedia ), rotolare, camminare, correre, arrampicarsi, saltare e lanciare. Contrariamente a quanto possiamo ricordare tutte queste abilità necessita- no di molto tempo per essere apprese e svolte in modo corretto specialmente in una società come la nostra in cui la motricità tarda molto a svilupparsi ed i bambini presentano un forte ritardo nelle acquisizioni motorie di base rispetto ai loro coetanei di 20–30 anni fa o a bimbi di altri continenti per i quali il gioco spontaneo all’aria aperta costituva e costituisce la norma. È importante quindi che anche il gioco possa favorire l’allenamento fisico del bambino che oggi spesso è limitato ad un paio d’ore di educazione fisica svolta a scuola e, nei migliori dei casi, altre 2–3 ore settimanali di attività sportiva presso strutture specializzate. Per ultimo è importante che il bambino impari ad essere consapevole del proprio corpo “sentendo” la propria posizione rispetto all’ambiente e ana- lizzando i movimenti in atto imparando a progettarli e ripeterli in modo sempre più preciso limitando la fatica nell’esecuzione. Non tutte le qualità motorie fondamentali possono essere allenate in età evolutiva. In particolare, al di sotto del quattordicesimo anno di età, è possibile allenare la destrezza, la mobilità articolare, la resistenza, l’equilibrio e la coordinazione. Lo sviluppo delle capacità coordinative e della flessibilità sarà particolarmente curato nelle prime fasce di età in quanto generalmente queste qualità motorie hanno un limitato margine di miglioramento dopo i dieci anni e ancora meno dopo la pubertà. La destrezza è la qualità fisica 53 caratterizzata principalmente dalla sollecitazione degli apparati neuro–sensoriali che concorrono nel realizzare atti motori estremamente precisi ( secondo la definizione suggerita da A. Dal Monte ). La destrezza, infatti, è la capacità di compiere determinati movimenti in maniera rapida, precisa e armonica. Lo sviluppo della coordinazione del movimento e la capacità di apprendere gesti nuovi e complessi dipende in gran parte dalla maturazione del sistema nervoso e in particolare dal processo di mielinizzazione delle fibre nervose motorie ( tra i 4 ed i 7 anni ). La resistenza è una altra qualità motoria importante per i bambini anche molto giovani ( già dai 4–5 anni di età ). La capacità di prestazioni prolungate aumenta in entrambi i sessi, senza variazioni significative fino ai 13 anni di età, raggiungendo il massimo valore nella femmina tra i 12 e i 14 anni, nel maschio tra i 14 e 17 anni Sono molto indicati quindi i giochi che sviluppano la velocità, l’agilità e la precisione del bambino mentre sono da avitare in età evolutiva esercizi e attività finalizzati all’allenamento della forza che a questa età può risultare pericoloso. Nel periodo che va dalla terza infanzia alla pubertà, non si è ancora raggiunta la completa e definitiva capacità di resistenza al carico delle strutture dell’apparato locomotore ed è quindi necessario cercare di evitare al bambino attività troppo pesanti. Il rischio dunque di arrecare danni a queste strutture impedisce la pratica di attività fisiche intense e prolungate ( senza limitare il bambino in attività normali ma evitando sforzi inutili come ad esempio il sollevamento pesi ). Cercherò di riassumere e schematizzare le principali scoperte e abilità motorie che caratterizzano l’età dello sviluppo ( dal concepimento fino all’adolescenza ). La grande disomogeneità dello sviluppo motorio rende questo com- pito molto difficile.Inoltre, come è già stato accennato, buona parte della crescita consiste nel miglioramento della qualità motoria piuttosto che nell’acquisizione di nuovi pattern. Tappe principali dello sviluppo motorio I movimenti prenatali Per studiare lo sviluppo della motricità infantile è necessario cominciare dai primi movimenti che il bambino compie quando ancora si trova nella pancia della mamma. 54 I giochi tradizionali, praticati spontaneamente dai bambini sono sempre stati alla base dello sviluppo delle abilità motorie e della coordinazione. I bambini di oggi spesso non hanno la possibilità di giocare liberamente per strada o nei cortili; la mancanza di questi giochi porta spesso ado sviluppo più lento e non sempre completo della motricità. 55 Si tratta inizialmente di lente oscillazioni del capo ed estensioni del col- lo osservabili dalla settima settimana di vita. Successivamente la gamma dei movimenti si arricchisce di contrazioni degli arti ( sussulti o startles ) e movimenti più lenti e complessi che coinvolgono, in varia sequenza, tutti i muscoli del corpo e che possono durare anche parecchi secondi ( movimenti globali ). Seguono rapidamente altri pattern o schemi motori: movimenti isolati delle braccia, delle gambe, delle dita, movimenti del capo, stiramenti, movimenti respiratori, singhiozzi, sbadigli, movimenti di suzione e de- glutizione. Gli studi effettuati da De Vries, Visser e Prechtl nel 1982 ( “The emergence of fetal behaviour” in “Early HumanDevelopment” ) hanno infatti verificato che il feto ha già maturato e sperimentato la maggior parte dei movimenti caratteristici della nostra specie prima del quarto mese di vita ( quando la madre in genere comincia ad avvertire i movimenti del suo bambino ). La maggioranza di questi movimenti sono assolutamente inutili alla vita in- trauterina ( come le rotazioni degli occhi, le suzioni e la deglutizione ) e sono svolte involontariamente dal feto come allenamento preparatorio ai futuri movimenti muscolari. La prima infanzia Dopo la nascita i tipi di movimenti riscontrabili nel neonato sono simili a quelli del feto ma, contrariamente ad essi, nascono in risposta ad uno stimolo esterno: si tratta quindi di movimenti riflessi non ancora volontari. Il progredire dello sviluppo motorio si manifesta sin dalle sue origini con una straordinaria variabilità interindividuale, non solo nei tempi ma anche nelle strategie con cui il bambino sviluppa determinate abilità motorie. Ognuno di noi infatti è, fin dalla nascita, dotato di uno stile di movimento proprio. Troviamo così bambini molto attivi e scattanti che si caratterizzano per gli ampi movimenti delle braccia vigorosi e veloci il cui maggior pro- blema, nelle prime settimane di vita, è quello di riuscire ad esercitare un maggior controllo della traiettoria e la velocità dei movimenti; altri neonati al contrario effettuano movimenti lenti, deboli, talvolta poco frequenti e dovranno imparare a mettere più energia e forza nella modulazione dei movimenti per riuscire ad effettuare con successo le prime operazioni volon- tarie di raggiungimento e afferramento. Queste operazioni vengono svolte con esiti positivi a partire dal quarto mese di vita e sono l’esito di un apprendimento raggiunto attraverso numerosi aggiustamenti spontanei nei movimenti preparatori ( chiamati tecnicamente movimenti di prereaching ). 56 I neonati, attraverso i primi movimenti casuali, esplorano differenti schemi di attivazione muscolare e di forza e selezionano di volta in volta quelle serie che occasionalmente hanno portato le loro mani nelle vicinanze del giocattolo desiderato o dell’oggetto verso il quale tentavano di muoversi. In que- sto modo, di tutti i tipi di movimento sperimentati, solo quelli di successo entrano col tempo a fare parte dei comportamenti motori stabili e flessibili alle variazioni dell’ambiente.I dati delle numerose ricerche sul campo per- mettono di affermare che è possibile individuare dei cambiamenti evolutivi nel comportamento motorio ordinabili in una sorta di gerarchia. I movimenti più semplici sono quelli riflessi, basati cioè su azioni riflesse, ai quali seguono le sequenze di movimenti intertask, che possono essere considerate di transizione tra i movimenti riflessi precoci e i movimen- ti controllati. Con il tempo e la pratica si giunge infine all’acquisizione di movimenti volontari sempre più controllati e raffinati all’interno di abilità specifiche più complesse come correre, lanciare, saltare, nonché a sequenze di movimento apprese ( che richiedono quindi un percorso di apprendimento e le necessarie competenze cognitive maggiori ) come scrivere, fare atleti- ca, ginnastica, danzare o suonare il pianoforte. Benché lo sviluppo delle abilità motorie segua percorsi strettamente personale si è soliti considerare come attendibili alcune tappe di sviluppo relative ai primi anni di vita. Appena nato il piccolo non è in grado di effettuare nessuna operazione volontaria e assume la classica posizione fetale. Dopo il primo mese di vita è in grado di sollevare il mento e nel secondo mese solleva il torace. Al terzo mese solitamente compaiono i primi movimen- ti semivolontari con i quali allunga le braccia e cerca invano di afferrare oggetti. Al quarto mese è in grado di sedersi con l’aiuto di altri mentre nel mese successivo può tranquillamente sedere grembo alla madre e afferrare oggetti. Al sesto mese il piccolo siede sul seggiolone e afferra correttamente gli oggetti appesi. A sette le abilità acquisite gli permettono di stare seduto da solo; successivamente comincia a sviluppare le capacità che gli permet- teranno , nel giro di poco, di camminare sulle proprie gambe. A otto mesi infatti resta in piedi con l’aiuto di un adulto e comincia ad esercitarsi nel reggersi in piedi appoggiandosi ai mobili o alle sponde del lettino. Attorno ai dieci mesi ha sviluppato la capacità di procedere carponi che pre- sto si trasforma nel sapere camminare tenuto per mano ( attorno agli 11–12 mesi ). Nello stesso periodo impara ad alzarsi in piedi appoggiandosi ai mo- bili e in media attorno al tredicesimo mese può salire con successo alcuni gradini. Gradualmente conquista la posizione eretta e solitamente comincia a camminare da solo attorno ai quindici mesi. Cammina sincronizzando braccia e gambe ma senza flessibilità verso la fine del secondo anno. 57 Il feto sperimenta la maggioranza dei movimenti in modo involontario 1° MESE 3° MESE solleva il mento allunga le braccia e cerca di afferrare 2° MESE solleva il torace 0 a t i sc na solo movimenti riflessi 4° MESE siede sorretto presitting movimenti interstack Arrivati a questo punto dello sviluppo, attorno ai due–tre anni, molti movi- menti sono stati sperimentati. Il lavoro è stato impostato e serviranno anni e anni di perfezionamento per riuscire a svolgere i compiti motori con perizia e senza sprechi energetici. Come tutti ben sanno i bambini amano ripetere molte volte i movimenti appresi, tuttavia ad un occhio attento non sfuggirà che, in bambini normali, le ripetizioni delle diverse funzioni motorie non sono mai identiche tra loro. Il bambino, specialmnte intorno ai 2 – 3 anni si esercita di volta in volta ad utilizzare diverse strategie per raggiungere lo stesso scopo. Quando pensiamo allo sviluppo motorio dobbiamo immaginare un processo lungo e complesso che nasce dalla combinazione più o meno fortunata di numerosi fattori ambientali alcuni dei quali interni, come la maturazione biologica, il patrimonio genetico, l’aumento delle capacità cognitive, la formazione della personalità; e altri esterni, come la quantità di stimoli che il bambino riceve, l’ambiente in cui cresce e l’educazione. Un esempio può mostrare come un pattern motorio appreso in questa fascia rappresenti la base di partenza per lo sviluppo di una abilità motoria più completa. Le abilità motorie si sviluppano infatti seguendo una gerarchia che parte dal facile per arrivare al difficile e dal semplice giunge al complesso. Una azione apparentemente semplice come il lanciare un oggetto, se si escludono i primi tentativi di lanciare i giochi fuori dal box, si ha attorno ai 2 – 3 anni, quando il bambino è in grado di gettare volontariamente un oggetto attraverso la spinta del braccio. La tecnica di questa operazione andrà migliorando con un progressivo movimento del braccio sul piano traverso ( 3 – 5 anni ), per giungere ad un posizionamento più stabile dei piedi e allo 58 7° MESE 9° MESE 11° MESE impugna gli oggetti siede solo si regge ai mobili e alle sponde del lettino cammina tenuto per mano 6° MESE afferra oggetti appesi 8° MESE 10° MESE si regge in piedi sorretto da un adulto procede carponi sv.MOTORIO 5° MESE movimenti intenzionali � schema sullo sviluppo motorio: ad ogni età corrispondono serie di movimenti acquisiti e abilità motorie non completamente sviluppate su cui lavorare. Lo schema, che prosegue su diverse pagine, cerca di riassumere alcuni aspetti salienti dello sviluppo delle abilità motorie e può essere utile per valutare l’adeguatezza di un giocattolo rispetto alla fascia d’età per cui è pensato. spostamento del corpo nella fase del lancio attorno ai 5 – 6 anni. Tuttavia manca ancora pre- cisione nel lancio della palla. Il lancio vero e proprio si ha al raggiungimento dei 7–8 anni, quando è possibile osservare una torsione e caricamento del tronco, il braccio da disteso dietro passa a disteso avanti, la gamba si sposta simultaneamente in avanti e migliora la capacità di valutare le distanze. L’ultima tappa ( 9–12 anni ), porterà la capacità di sommare la spinta degli arti inferiori a quella del lan- cio vero e proprio, un miglioramento della spinta e della direzione di tiro ed un’integrazione della componente forza. Dai tre ai sei anni La maggior parte dei bambini possiede a tre anni un repertorio di attività sufficiente a fronteggiare le richieste di base dell’ambiente. A 3 anni il bambino alterna movimenti globali a movimenti segmentari, sa fare giochi sedentari, sa ben inibire e controllare i movimenti, possiede tutte le unità basiche del movimento ma gli risulta difficile il rapporto con i piani obliqui. Sale le scale a piedi alternati, corre con sicurezza, manipola gli oggetti e par- la correttamente. Nel periodo 3 – 6 anni è importante che il bambino impari a coordinare e gestire diversi movimenti contemporaneamente e organizzarli in sequenze sempre più complesse e accurate. In questo modo i bambini in età prescolare imparano a vestirsi, lavarsi i denti, usare correttamente 59 1-2 ANNI Il bambino è concentrato sul miglioramento delle abilità linguistiche e motorie. Cammina, rotola, triscia, spinge, tira, sposta gli oggetti, li sovrappone, ecc. Comincia ad esercitarsi in compiti di motrictà fine (impugna matite e pennarelli per tracciare i primi segni, modella in modo rudimentale il pongo e gioca con il cibo). Al termine del secondo anno di vita è solitamente capace di camminare sincronizzando braccia e gambe. le posate per mangiare, fare brevi balletti, migliorano nel camminare, nella corsa e nei salti. Cominciano a disegnare, giocare con le costruzioni, modellare figure con il pongo, usare righelli forbici e pennelli , giocare con la palla intuendone in anticipo i movimenti, imparano ad andare in bicicletta ( per ora con l’aiuto delle rotelline ), con i primi pattini a rotelle e compiono un numero crescente di nuove attività. Con la crescita tutte queste attività ver- ranno rifinite, estese e ricombinate tra loro in azioni sempre più complesse e svolte con crescente precisione. A 4 anni i movimenti divengono meno massivi, le braccia si fanno più au- tonome rispetto al tronco. Il bambino sa variare il ritmo del suo passo, corre con variazioni di ritmo e di andature, sta in equilibrio su un piede, mantiene le difficoltà nel disegno obliquo, lancia una palla dall’alto in basso. A 5 anni raggiunge una tappa nodale degli schemi motori di base, si dice infatti che a questa età si concluda la prima infanzia. Il bambino ha ormai raggiunto un buon equilibrio statico; sa equilibrarsi sugli avampiedi, saltella su un piede, esercita un controllo centrale dell’azione di corsa, appren- de nuovi esercizi motori, continua ad avere difficoltà con i piani obliqui così come a muoversi aritmicamente pur sapendosi muovere seguendo la musica. A quattro–cinque anni i bambini possiedono ancora scarse capacità pro- gettuali, attribuiscono spesso un significato alle cose solo dopo averle fatte adattandosi al risultato ottenuto; i giochi preferiti risulteranno essere quin- di quelli più fisici, di immediata soddisfazione, nel quale le abilità motorie vengono messe alla prova in modo piuttosto libero per il semplice piacere di svolgerle. 60 sv.MOTORIO 2-3 ANNI La maggioranza dei movimenti è stata sperimentata e il bambino possiede grossolanamente tutte le unità basiche del movimento. Il piccolo deve ora concentrarsi sulle qualità formali dei gesti da compiere e sulla loro combinazione in sequenze armoniche sempre più complesse. I gesti verranno compiuti con crescente controllo e minore dispendio energetico. Il bambino è in grado di lanciare oggetti, salire le scale a piedi alternati, manipolare oggetti di picole dimensioni, usare le posate per mangiare, parlare correttamente, saltare, correre, ecc.. Quando i meccanismi base divengono meno variabili e più automatizzati parte dell’attenzione potrà essere rivolta altrove: alla progettazione, alla valutazione, al mglioramento. A partire da questo momento infatti il bambino ha sperimentato con successo tutti i movimenti e le combinazioni motorie di base e gli anni di crescita che lo attendono serviranno per migliorare la qualità dei movimenti e finalizzarli a dei risultati più precisi e armoniosi. Attraverso il gioco e i giocattoli è possibile andare ad agire sulle aree di sviluppo motorio non ancora acquisite in modo completo. Ad esempio risultano ancora piuttosto scarse, a questa età, le capacità di coordinare in modo equilibrato e consapevole i movimenti degli arti inferiori con quelli degli arti superiori rendendo l’esecuzione di movimenti complessi poco armonica nel suo insieme. Per questo attrezzi come la bicicletta o il monopattino possono risultare particolarmente istruttivi e interessanti per un bambino di questa età. Alcune difficoltà sono riscontrabili anche nell’afferrare oggetti in movimento. Prendere correttamente una palla che è stata lanciata richie- de una coordinazione oculo–manuale molto progredita e un buon controllo neuro–muscolare. Fino a 6 anni, il bambino incontra quindi grosse difficoltà nel porsi sulla traiettoria di un oggetto in arrivo, quanto nel coordinare la sua presa con la dinamica del movimento dell’oggetto stesso. Tenderà quindi, fino a 6 anni, ad abbracciare l’oggetto ( se riesce ) o piuttosto ad urtarlo respingendolo. Queste abilità potranno essere migliorate attra- verso giochi con la palla, giochi che revedono l’uso di mazze di vario tipo, racchettoni, freesby e altri giocattoli in movimento e in volo. 61 3-6 ANNI Il repertorio dei movimenti è articolato e piuttosto completo. Il bambino continua a migliorare nello svolgimento di tutte le attività motorie fini e grossolane. Possiede scarse capacità progettuali come si può vedere nei giochi che preferisce (piuttosto liberi e di immediata soddisfazione). Deve lavorare sul miglioramento della coordinazione motoria (specialmente nei movimenti sincronizzati braccia-gambe). Presenta alcune difficoltà nell’afferrare oggetti in movimento. Periodo intorno ai sei/sette anni In questo periodo il bambino cresce notevolmente in altezza diminuendo il peso corporeo. La crescita in lunghezza avviene soprattutto a carico degli arti inferiori la cui muscolatura risulta spesso poco tonica e poco sviluppata. È importante che il bambino abbia la possibilità di muoversi e giocare molto in questo periodo particolare in cui la crescita veloce può fare perdere momentaneamente parte delle capacità di coordinazione acquisite. Il gioco e la fantasia sono gli aspetti prevalenti di questa età in cui il bambino riesce a costituire semplici schemi operativi e ad apprendere nuovi movimenti con facilità. Il bambino di sei anni si rende disponibile ad accettare nuovi compiti da risolvere e si compiace dei propri progressi tuttavia è facile che tenda a rinunciare di fronte alle prime difficoltà. Per questo i giochi proposti non devono essere troppo difficili o lunghi perché il ragazzo ricerca una gratificazione immediata o, comunque, a breve scadenza ( non riesce ancora a mantenere la motivazione per obiettivi a lun- go periodo ). Il bambino di sei anni è molto attento al giudizio degli aduti, in particolare dei genitori, e tenderà ad essecondarli volentieri nelle loro richieste ( con notevole impegno e dedizione ). Gli obiettivi motori da raggiungere in questo periodo sono soprattutto di tipo percettivo. Il bambino deve imparare a orientarsi correttamente nello spazio e nel tempo. Affinché ciò sia possibile il ragazzo deve prestare particolare attenzione a tutte le informazioni sensoriali organizzando e migliorando i suoi sistemi percettivi. Lo sviluppo motorio è strettante legato all’apparato sensoriale che è com62 Il corpo del bambino si allunga molto: è importante allenare i sitemi percettivi e la coordinazione per non perdere con la crescita armonia nei movimenti e tono muscolare. Il bambino impara ad orientarsi nello spazio e nel tempo concentrandosi sulla posizione e i movimenti del proprio corpo cogliendone dimensioni, sequenze di azioni e collocandosi rispeto allo spazio e agli oggetti (propriocezione). Anche la lateralizzazione (sapere riconoscere destra e sinistra) comincia in questo periodo e deve essere migliorata. Cominciando a scrivere il bambino acquista moltissima precisione nei movimenti fino-motori e comincia, nelle sue espressioni artistiche, a rappresentare la realtà in modo verosimile. sv.MOTORIO 6-7 ANNI posto da cinque sistemi percettivi principali. L’analizzatore tattile informa delle pressioni nei diversi punti del corpo; quello visivo raccoglie le immagini provenienti dal mondo che ci circonda; l’analizzatore statico–dinamico percepisce le accelerazioni del corpo, la posizione della testa rispetto al corpo e concorre alla conservazione dell’equilibrio; l’analizzatore acustico permette di percepire i suoni che possono concorrere a stabilire il ritmo del movimento e per concludere l’analizzatore cinestetico fornisce informazioni sulle tensioni prodotte dai muscoli e la loro modulazione. Il gioco, in tutte le sue forme: individuale, a coppie, collettivo, è il perno sul quale si sviluppa la formazione fisica e si struttura lo “schema corporeo”, ovvero la conoscenza del proprio corpo in tutte le situazioni statiche e dinamiche nello spazio e nel tempo. Il bambino di sette anni deve saper riconoscere le dimensioni che compongono lo spazio e sapersi collocare in modo corretto rispetto a oggetti e compagni; deve riconoscere e collocare le dimensioni di una sequenza temporale e saper agire nel rispetto di queste dimensioni. Oltre alle abilità motorie di base come il camminare, correre, rotolare, lan- ciare, afferrare ( ecc. ), possono essere proposti a questi bambini movimenti combinati che richiedono la coordinazione simultanea di segmenti diver- si del corpo. In questo periodo si lavora molto anche sulla lateralizzazione. Con questo termine si intende la capacità di riconoscere destra e sinistra su se stessi, sugli altri, rispetto allo spazio e agli oggetti nello spazio. Le caratteristiche volitive, tipiche di questa età, non rendono gradite attivi- tà motorie che presentino impegni monotoni, ripetuti e prolungati inoltre i giochi per questa età vanno regolamentati in maniera semplice facilmente comprensibile dai bambini. 63 8-9 ANNI (femmine) 8-11 ANNI (maschi) Amenta il tono muscolare e la forza del bambino. Il sistema respiratorio diventa più efficiente e permette al bambino di affrontare attività sportive più impegnative. Le nuove capacità progettuali permettono al ragazzo di progettare ed eseguire programmi motori più impegativi (sono migliorate anche la percezione del corpo, la concentrazione e con essi la mira). La coordinazione è piuttosto buona ma sono da migliorare l’equilibrio statico e quello dinamico. La motricità fine è ben sviluppata e il ragazzo può affrontare compiti di qualsiasi tipo maneggiando elementi diversi anche di piccole dimensioni (per rendere il compito più interessante può insistere sulla velocità o sulla precisione). Dagli otto ai nove anni In questo momento della crescita i percorsi di sviluppo di maschi e femmene cominciano a differenziarsi leggermente. Infatti le abilità che i ragazzi conquistano tra gli otto e gli undici anni vengono apprese più veocemente dalle femmine tra gli otto e i nove anni. L’apparato locomotore tende a consolidarsi in quanto rallenta la forte spinta in altezza e aumentano i diametri trasversi del tronco ( aumenta il tono muscolare e il bambino è più forte ). Anche la resistenza aumenta notevolmente in seguito all’abbassamento delle costole ( con notevoli benefici sul- l’aumento dell’efficienza generale dell’apparato respiratorio ) e alla giusta proporzione riguadagnata tra il cuore e la massa corporea totale. Questo particolare momento della crescita è definito “età della ragione” in quanto ad una più concreta intelligenza fa riscontro una maggiore consapevolezza di sé. Il ragazzo riesce a formulare concetti astratti, analizzando e valutando oggetti e situazioni da vari punti di vista. Per questo è in grado di perfezionare le proprie abilità ed apprenderne altre più complesse, costruendo pro- grammi motori sempre più adeguati e rispondenti ai compiti da risolvere. È in grado di risolvere problemi e progettare piani d’azione da mettere in atto; in questo è aiutato anche dalla maggiore capacità di concentrazione nei movimenti e una maggiore consapevolezza del proprio corpo. Rispetto a ogni abilità motoria, il ragazzo deve avere una certa padronanza di sé, saper adattare o modificare il proprio comportamento motorio secondo variabili spazio–temporali e di rapporto con l’ambiente. 64 L’adolescenza inizia con una rapida crescita in altezza che comporta spesso una perdita momentanea di coordinazione e passeggere disamonie nei movimenti. Al termine di questo periodo si può considerare completo lo sviluppo delle abilità motorie. Queste ultime possono essere ora combinate in sequenze complesse come il lancio di un pallone a canestro nel quale si sommano la spinta degli arti inferiori, la previsione dell’azione che si sta per compiere, il lancio vero e proprio, la modulazione dell’intensità della forza, la direzione della spinta ecc. sv.MOTORIO 10-12 ANNI (femmine) 12-13 ANNI (maschi) Le regole dei giochi proposti diventano più strutturate e complesse. La socializzazione e la partecipazione all’attività del gruppo, entro il quale il ra- gazzo definisce il suo ruolo, avviene con entusiasmo e forte motivazione nel perseguire obiettivi comuni; per questo è possibile supporre che il bambino ami i giochi che gli permettono di confrontarsi e misurarsi con il gruppo. Tutte le nuove esperienze lasciano traccia nella memoria corporea del ragazzo che così migliora la capacità di fare e di apprendere. Le abilità motorie di base vengono arricchite di nuovi e diversi schemi motori. Il ragazzo diventa “più abile” e il suo schema corporeo diventa più maturo. Particolare attenzione va rivolta a questa età al miglioramento delle capacità di equilibrio in tutte le varianti:equilibrio statico, dinamico e in volo. Dai dieci ai dodici anni Anche in questa fascia d’età esistono differenze tra lo sviluppo di maschi e femmine, in particolare le ragazze reggiungono attorno ai dieci anni il livello di sviluppo motorio che i loro coestanei maschi raggiungono intorno ai dodici. In questo periodo inizia l’adolescenza che proseguirà fino a circa i sedici anni per i maschi e ai quattordici per le femmine. Per quanto concerne l’apparato locomotore si ha in questo periodo una crescita notevole in altezza con un forte incremento in lunghezza degli arti rispetto al busto ( la crescita è solitamente più accentuata nei ragazzi che tendono a diventare più alti ). Come conseguenza del forte allungamento si 65 determina una disarmonia morfocinetica; l’ossificazione non è ancora completa e alla notevole crescita delle ossa lunghe si contrappongono strutture articolari ancora in via di sviluppo. L’apparato muscolare, pur migliorando nel trofismo generale, non è in sintonia col notevole sviluppo scheletrico. L’immagine corporea subisce delle continue variazioni con influenze alterne sulla forza muscolare e sulle capacità coordinative che non riescono a trovare punti solidi di riferimento. I continui cambiamenti fisici contribuiscono ad alimentare le insicurezze che caratterizzano questa difficile età di passaggio. L’attività motoria e sportiva può assumere un ruolo determinante come canale di sfogo della natura- le esuberanza degli adolescenti e può essere utile anche per riconciliarli nel rapporto con il proprio corpo. Essendo il fisico sviluppato in modo pressoché completo la gamma di attività che è possibile proporre è totale. Tutte le ca- pacità motorie possono essere sviluppate senza pericolo purché si seguano sempre i criteri di progressività, gradualità e simmetria di lavoro muscolare. A partire dai tredici anni per le femmine e quattordici per i maschi l’apparato scheletrico va verso una progressiva definizione: i muscoli migliorano la propria forza ed efficienza ( soprattutto nei maschi ) e inizia la prima fase di quella che gli esperti considerano “l’età dell’armonia” riferendosi alle proporzioni somatiche ed alla funzionalità generale dell’organismo. Studi sulla coordinazione motoria La coordinazione motoria è la capacità di regolare l’interazione e il movi- mento di diversi gruppi muscolari: l’esatta coordinazione di un movimento implica l’adattamento della forza e della durata delle contrazioni dei muscoli, la perfetta regolazione delle contrazioni muscolari simultanee e successive, il corrispondente rilassamento dei muscoli e la correzione permanente del movimento mediante il gioco dei riflessi regolatori . La coordinazione motoria non richiede però solamente un sistema neuro–fisiologico integro ma necessita anche di un sistema nervoso centrale in grado di elaborare correttamente le informazioni sensoriali e di porre attenzione all’ambiente in modo tale da poter modulare i movimenti in rispondenza delle richieste ambientali stesse. Durante il periodo prescolastico, le competenze grosso–motorie così come quelle di coordinazione fine–motoria sono oggetto di osservazione e rappresentano importanti obiettivi didattici oltre che prerequisiti ai successivi apprendimenti scolastici. Gli studiosi Henderson e Sugden hanno elaborato nel 1992 un test per inda66 gare lo sviluppo motorio nei bambini che consisteva nella richiesta di svolgimento di alcuni compiti adatti a bambini di età diverse e nella verifica della loro corretta esecuzione. È inte- ressante riportare la struttura di questo studio americano in quanto credo che ci siano spunti interessanti per determinare l’adeguatezza di alcuni gesti e schemi motori che è possibile proporre nel gioco con le capacità dei bambini nelle diverse fasce d’età. Le prove incluse nel test Movement Assessment Battery for Children ( MABC ), si propongono di indagare tre specifiche aree di competenza mo- toria: la destrezza manuale, l’abilità nell’uso della palla e l’equilibrio statico e dinamico. Il test è stato sottoposto a diversi bambini ap- partenenti a quattro fasce di età: 4 – 6 anni, 7 – 8, 9 – 10 e 11 – 12. Ciascuna banda d’età prevede otto compiti mo- tori i cui esercizi si propongono di verificare diverse competenze motorie tra le quali quelle legate all’equilibrio, alla coordinazione, allo svolgimento di sequenze date di azioni complesse, dai movimenti piccoli e precisi alla grande mobilità. Le prime tre prove ( destrezza manuale ) sono state ideate per evidenziare come il bambino riesce a organizzare e controllare movimenti di precisione con richieste spaziali e temporali, come ad esempio inserire dei chiodini in una tavoletta o nel disegnare il contorno di una figura. Il secondo gruppo di prove, abilità nell’uso di una palla, richiede una combinazione complessa di movimenti fini e grossolani. Si tratta di due com- piti: uno di afferramento e l’altro di lancio. Ad esempio, nel primo caso al bambino viene chiesto di afferrare la palla lanciata dallo sperimentatore da una distanza di due metri senza bloccarla con parti del corpo ma prendendola con tutte e due le mani. Il bambino si trova così a doversi muovere, per essere sempre in grado di afferrare la palla, e a dover controllare la coordinazione delle dita della mano per assicurarsi che la palla non cada. Nel terzo gruppo di prove, relative all’equilibrio statico e dinamico, sono previsti tre compiti in cui il bambino deve cercare di mantenere l’equilibrio in diverse situazioni. La prima richiede di mantenere una postura statica per un numero di secondi prestabilito, mentre gli altri due compiti riguar67 dano l’equilibrio del corpo durante lo spostamento da un punto all’altro dello spazio, ad esempio una camminata punta–tacco lungo una linea, oppure la produzione e il controllo dei cosiddetti movimenti esplosivi, come quello di saltare a piedi pari oltre una cordicella posta davanti al bambino all’altezza del ginocchio. È interessante notare come sia stato necessario adattare la richiesta all’età del bambino esaminato e come gli otto compiti motori siano declinati per le fasce di età in modo da risultare stimolanti per ciascuno; compiti come quello di inserire dei gettoni nella fessura di una scatola, ad esempio, costituiscono una richiesta adeguata per un bambino dai 4 ai 6 anni mentre, dopo quest’età, è necessario proporre una prova più impegnativa come quella di infilare dei chiodini su una tavoletta, se si vuole verificare la presenza di un miglioramento delle capacità fini–motorie in termini di automatizzazione della prensione indice–pollice. Questo comportamento motorio implicitamente richiede anche la capacità di considerare attentamente le caratteristiche dell’oggetto da manipolare ( come la forma e il peso ) in modo tale che il movimento intrapreso ne tenga debitamente conto. Un compito troppo semplice non solo non può fornire dati interessanti sulle differenze personali e i livelli di sviluppo raggiunti ma risulta poco stimo- lante per il bambino che può considerarlo noioso se è entrato da tempo nei suoi schemi motori automatizzati. Per questo motivo solitamente si sottolinea la predilezione per i giocattoli di grandi dimensioni nei bambini piccoli e un graduale spostamento di interesse verso i giochi di dimensioni ridotte in cui il livello di precisione richiesta mantiene vivo l’interesse. Questo tipo di problema è emerso anche dall’analisi di compiti gros- so–motori: far rotolare una palla tra due pali costituisce un’attività adeguata per i bambini dai 4 ai 6 anni, mentre più tardi solo compiti più complessi, come quello di lanciare un sacchetto in una scatola posta a due metri di di- stanza, permettono di verificare se il bambino ha sviluppato adeguate capacità di controllo dell’azione in termini di abilità nel calcolare la distanza che lo separa dall’oggetto da raggiungere e di un sufficiente uso del feedback visivo. Anche per le attività di equilibrio stati- co, compiti come quello di stare in equilibrio 68 su una gamba devono arricchirsi dopo i 6 anni di ulte- riori richieste, aggiungendo all’attività una particolare postura che permetta di sottolineare il grado di abilità nel controllo della posizione del proprio corpo e nell’uso della sensibilità propriocettiva e cinestesica. Analoga- mente, nell’equilibrio dinamico si passa dalla richiesta di camminare sulle punte lungo una linea a quella di camminare punta–tacco con attenzione alle oscillazioni del corpo nel momento di avanzamento e riposizionamento del piede. I criteri di valutazione proposti dal test sono sia quantitativi sia qualitativi. Nel primo caso, le misure possono essere rappresentate dal tempo impiegato per l’esecuzione di un determina- to compito o dal numero dei lanci andati a segno. Nel secondo caso vengono proposte delle osservazioni rela- tive a possibili errori posturali, per esempio, “testa piegata in modo strano”, “corpo rigido o teso”, “braccia e mani non cooperanti nell’afferramento della palla” o al mancato “adattamento alle richieste proposte dal compito, per esempio “uso di una forza eccessiva per inserire i chiodini”, “estrema lentezza nell’esecuzione’’, “movimenti a scatti” e altri. Studiando i singoli movimenti inclusi nell’azione è emerso che questi non possano prescindere da numerosi fattori che intervengono nell’apprendi- mento di attività motorie e che richiedono, in quanto complesse, un alto grado di coordinazione. Uno di questi fattori è rappresentato dall’ambiente in cui il bambino cresce. È stato infatti riscontrato che nei diversi paesi i bambini raggiungono certe tappe di sviluppo motorio in età differenti o con una forte disuguaglianza nella prestazione. Prendendo in esame i movimenti fini–motori, ad esempio, il compito di “infilare i cubi” ( per i bambini dai 4 ai 6 anni ), quello di “infilare un laccio” ( per i bambini di 7 e 8 anni ), e quello di “infilare tre bulloni” ( richiesto ai ragazzi di 9 e 10 anni ), rileva una maggiore lentezza di esecuzione da parte dei bambini italiani rispetto al campione americano. All’età di 9 e 10 anni, anche nel compito “spostare di fila dei chiodini posti in una tavoletta” i tempi di esecuzione, ma anche l’accuratezza, sono diversi da ambiente ad ambiente. A quest’età l’accuratezza è elevata anche in compiti fini manuali come “ritagliare la figura di un elefante” e “trac- ciare la sagoma del fiore”. Il variare con l’età delle competenze di velocità e di precisione nell’esecuzione è dovuto molto probabilmente all’influenza di un metodo educativo che sottolinea di più la richiesta di accuratezza che 69 quella di velocità. Il ruolo dell’ambiente è confermato anche dal confronto di bambini di Hong Kong tra i 4 e i 6 anni con quelli americani ed europei: i primi mostrano competenze di velocità e accuratezza di esecuzione molto più precocemente. La spiegazione di queste differenze risiede nel bagaglio esperienziale di movimenti quantitativamente e qualitativamente diffe- renti; il sistema educativo cinese prevede infatti che i bambini si esercitino nella scrittura sin dai 3 anni e inizino a utilizzare i bastoncini per mangiare sin dall’età di 2 anni. In quanto detto è implicito anche un altro fattore: l’esperienza. L’esperienza più o meno continuativa di alcune attività di movimento sembrano infatti incentivare un buon sviluppo motorio. Osservando le risposte motorie dei bambini italiani emergono due princi- pali indicazioni: in compiti grosso–motori, cioè quelli in cui si chiede di far rotolare una palla in porta o di lanciarla e afferrarla, si osserva un maggior numero di movimenti ben coordinati e fluidi nella loro esecuzione; l’elegan- za di questi movimenti non è generalizzata, nel senso che in altri compiti, come quelli fino–motori o di equilibrio statico e dinamico, la variabilità e la scarsa fluidità di movimento si registrano piuttosto frequentemente con un incidenza perfettamente nella media. Sulla base di questi dati, sebbene non vi sia chiara evidenza scientifica, è piuttosto facile ipotizzare che la preferenza nel nostro paese per certi tipi di sport, come il calcio, la pallavolo, il basket e altri, rispetto a discipline come atletica leggera o danza ( che in questi ultimi anni è tuttavia molto popolare e in continua crescita ), contribuiscano a modellare le caratteristiche motorie nello sviluppo di abilità di coordinazione. Il fatto che a seconda del tipo di attività emergano migliori competenze grosso–motorie rispetto a quelle fino–motorie o di equilibrio dovrebbe far riflettere sulla reale validità del pensiero comune secondo cui nella prima e seconda infanzia qualsiasi tipo di attività motoria e sportiva, soprattutto nei casi di disordine di sviluppo della coordinazione, può aiutare il bambino a superare le sue difficoltà e crescere in modo sano. Oltre al condizionamento del background culturale anche le variabili quali il sesso o la costituzione fisica possono incidere sulle abilità motori del bambino. Per esempio, i maschi hanno generalmente più esperienza nel calciare o nel tirare una palla con le braccia alzate, mentre le ragazze hanno più facilità nel saltare. 70 Come nasce un movimento? Partendo dalla teoria di Piaget i primi movimenti volontari possono essere considerati l’iniziale espressione dello sviluppo intellettivo del bambino. I movimenti prodotti portano con se l’obbiettivo di raggiungere l’oggetto verso il quale sono effettuati. L’abilità di compiere esattamente un gesto è dunque espressione di una fun- zione cognitiva caratterizzata da una rappresentazione mentale specifica, contenente informazioni tattili, visive, propriocettive, lessicali e semantiche affinché il gesto possa essere compiuto in modo corretto. A questo pro- posito nel corso degli anni sono state svolte numerose ricerche indirizzate a indagare il rapporto tra i movimenti, le loro concettualizzazioni e le conoscenze culturali che portano a sapere utilizzare gli oggetti. Secondo il modello elaborato nel 1985 dai neurologi Roye e Square ogni movimento presuppone l’esistenza di un sistema concettuale e uno dedicato alla produzione. Il sistema concettuale fornisce una rappresentazione astratta dell’azione, mentre il sistema di produzione include la componente sensomotoria ( è una sorta di magazzino di schemi motori generalizzati pronti ad essere ricombinati ). Secondo questo modello per essere capaci di produrre un’azione volontaria sono indispensabili conoscenze semantiche sull’azione e sugli oggetti o artefatti inclusi in essa. In sostanza, i gesti volontari appresi possono essere eseguiti se è possibile recuperare dalla memoria motoria le specifiche informazioni. Il sistema concettuale è costituito proprio da tre differenti tipi di conoscenze, quelle relative alla funzione di oggetti in uso, quelle sui movimenti coinvolti nell’azione e per finire alle capacità di organizzazione dei singoli movimenti in una sequenza ordinata. In questo caso più esperienze il bambino avrà accumulato maggiore sarà la facilità con la quale potrà comporre le sue conoscenze in nuovi movimenti migliorando le proprie prestazioni. Il processo prassico non è comunque semplificabile in una rappresentazione che consideri solamente i due sistemi, quello concettuale e quello di produzione. Rothi, Ochipa e Heilman ( 1991 ) sostengono l’importanza di conside- rare anche il ruolo della modalità con cui si richiede di eseguire un gesto. Per testare le abilità motorie dei bambini infatti non è sufficiente basarsi sui movimenti spontanei ma è indispensabile chiedere di svolgere determinati compiti. Le modalità di richiesta possono essere: —imitativa: viene richiesto di copiare un’azione mostrata; — visuotattile: il bambino può manipolare oggetti e attrezzi implicati nell’azione; 71 Sistema di conoscenze: funzioni dell’oggetto, schemi e sequenze di movimenti sistema con c SO et de GG ll’a ET zio TO ne al e tu O pattern de GGE ll’a T zioTO ne o m to r io s pecifico Magazzino di movimenti da combinare — visiva: viene richiesta una pantomima dell’azione, gli oggetti sono visibili ma non possono essere utilizzati per la produzione del gesto; — verbale: in seguito a una richiesta del tipo “mostrami con le mani tutto quello che devi fare quando ti lavi i denti”, il bambino produce la pantomima del gesto senza alcun aiuto visivo o tattile. Una dimostrazione dell’esistenza di almeno due percorsi diversi per poter pianificare e produrre un’azione è stata offerta da Rumiati e Humphreys nel 1998 verificando attraverso lo studio di adulti sani come un gesto possa essere eseguito solo sulla base di informazioni percettive oppure solamente sulla base di conoscenze semantiche. Il modello di Rumiati e Humphreys dimostra proprio che a seconda dell’informazione sensoriale ( visiva o semantica ) è possibile recuperare dalla me- moria motoria il piano dell’azione richiesto. 72 È facile immaginare che questo modello non possa essere considerato pienamente valido nel caso in cui si parli di bambini i quali non hanno ancora avuto modo di accumulare un numero sufficientemente elevato di memorie percettive e piani d’azione motori. Una delle funzioni principali del gioco è infatti quella di presentare al bambino situazioni e azioni delle quali potrà fare tesoro nel corso della vita. Come si può osservare dal diagramma di flusso ( che segue nella prossima pagina ) i bambini possono giungere a prestazioni molto diverse a seconda delle informazioni sensoriali di cui dispongono: possono produrre un gesto osservando e manipolando gli oggetti ( modalità visuotattile ),oppure sulla base della sola visione degli oggetti ( modalità visiva ) o ancora possono recu- perare il piano d’azione sulla base esclusivamente del suggerimento verbale ( modalità verbale ), infine possono produrre un’azione imitando un gesto che è stato mostrato loro ( modalità imitativa ). A seconda della modalità con cui un gesto è richiesto e dell’età del bambino, si possono osservare differenti percorsi all’azione: a 3 anni, solo azioni sem- plici come pettinarsi possono essere prodotte anche su comando verbale, ma gesti più complessi come lavarsi i denti ( che richiedono l’uso di più oggetti e una sequenza di movimenti frutto di conoscenza culturale ) possono essere prodotti correttamente solo intorno ai 4 – 5 anni e solo se è possibile manipolare gli oggetti ( modalità visuotattile ). Già a partire dai tre anni è ri- scontrabile il gioco del fare “per finta” ma a quest’età nella maggioranza dei casi gli oggetti necessari alla messa in scena dell’azione vengono sostituiti da una parte del corpo del bambino o da un oggetto esterno differente da quello che la finzione esige. D’altra parte anche tra gli adulti alla richiesta di mimare il gesto di sparare credo che nessuno di noi si limiti a premere il grilletto a braccia tese; il gesto più ovvio è quello che trasforma l’indice della mano nella canna della pistola e il pollice nel cane. Gli stessi gesti che un bambino piccolo non riesce esattamente a mimare senza un adeguato supporto materiale possono essere prodotti correttamente su comando verbale verso gli 8 – 9 anni, ma anche intorno ai 7, se la pantomima è richiesta in modalità visiva, permettendo cioè di osservare gli oggetti e gli attrezzi inclusi nell’azione. Il processo prassico sembra quindi maturare gradualmente: all’età di 3 anni la rappresentazione di un’azione può essere recuperata solo se sono disponibili più informazioni, come quelle visive e tattili.Più tardi basterà l’informazione visiva e in ultimo anche la sola richiesta verbale sarà sufficiente a garantire il recupero e la produzione di un’azione partendo da un’immagine mentale consolidata. Un’attenzione particolare va posta nell’imitazione di un’azione, modalità nella quale il bambino copia un gesto visto poco prima. 73 modalità IMITATIVA modalità VERBALE modalità modalità VISIVA VISUOTATTILE Informazioni sensomotorie dei movimenti delle braccia Conoscenze semantiche Informazioni tattili sulle caratteristiche intrinseche di oggetti e attrezzi Riconoscimento visivo di ggetti e attrezzi memoria per i gesti PATTERN motori sistemi motori In questa modalità probabilmente il ruolo della memoria motoria è facilitato dal breve intervallo di tempo che intercorre tra la presentazione dell’azione e l’imitazione di quanto visto. Questa osservazione suggerisce di distin- guere tra modalità imitativa e quelle già discusse ( visiva e tattile, visiva e 74 VISTA NOME dell’oggetto dell’oggetto conoscenze strutturali conoscenza semantica Forma, colore, superficie... Corrispondenza nome-oggetto PATTERN di azioni memorizzate AZIONE verbale ) anche se le prestazioni gestuali di bambini dai 3 ai 14 anni rivelano che l’imitazione di un gesto è eseguita in modo analogo alla modalità visuotattile. 75 Sviluppo psicosessuale Mi sembra interessante ripercorrere anche gli stadi dello sviluppo psico–sessuale in quanto penso possa essere utile per cercare di comprendere meglio il mondo dei bambini e le loro necessità più profonde. Esistono diverse teorie sullo sviluppo psicosessuale e affettivo nei bambini nella maggior parte delle quali è strutturata a partire dagli studi condotti da Freud intorno al 1900. Fino al secolo scorso l’opinione comune voleva che nell’infanzia mancasse completamente la pulsione sessuale che si sarebbe sviluppata soltanto successivamente nel periodo che viene chiamato puber- tà. Freud fu il primo ad effettuare studi approfonditi delle manifestazioni sessuali nell’infanzia evidenziando i tratti essenziali della pulsione sessua- le. Prima di queste ricerche nessun autore aveva riconosciuto la normalità di una pulsione sessuale nell’infanzia considerando fenomeni sporadici e casuali le attività sessuali che si verificano nei primi anni di vita. Secondo Freud “Il bambino ha i suoi istinti e le sue attività sessuali sin dall’inizio, li porta con sé venendo al mondo, e da essi, attraverso uno sviluppo significativo, ricco di tappe, emerge la cosiddetta sessualità normale dell’adulto. Non è nemmeno difficile osservare le manifesta- zioni di quest’attività sessuale infantile; ci vuole piuttosto una certa arte per tralasciarla o per misconoscerla.” Credo sia interessante riportare i tratti salienti della sua teoria soprattutto perché le fasi evolutive che il bambino attraversa vengono spesso messe in relazione con i giochi svolti e con le paure provate dal bambino. È di particolare interesse per questo motivo leggere di come nasce e si sviluppa il complesso edipico. Stadio pregenitale Lo stadio orale: il primo anno di vita Il primo anno di vita viene comunemente associato allo stadio orale. Le diverse fasi che descriviamo non sono prettamente delimitate o separate 76 l’una dall’altra: gli stadi passano gradualmente l’uno nell’altro accavallandosi e sfumando. Così lo stadio orale non si estende solo al primo anno di vita del bambino, ma alcune frange possono prolungarsi per diverso tempo. È importante ricordare prima di tutto che la sessualità infantile è indiffe- renziata e poco organizzata; e soprattutto si distingue da quella dell’adulto per almeno tre punti. Prima di tutto le regioni corporee di maggiore sensibi- lità ( fonti pulsionali ) non sono le regioni genitali; predominano altre zone erogene come la bocca ad esempio che è in questo periodo la maggiore fonte di piacere. Inoltre sono diversi gli scopi: la sessualità infantile non mira a relazioni sessuali in senso stretto, ma a stabilire relazioni affettive. Anche il concetto di piacere è molto allargato e si riferisce più che altro alla ricerca di sensazioni fisiche piacevoli. Infine la sessualità infantile verte verso un aspetto autoerotico piuttosto che diretta sugli oggetti. Freud comincia a parlare di piacere infantile in questi temini: “Succhiarsi il pollice. Per ragioni che vedremo più tardi, io prenderò il succhiarsi il pollice ( o la suzione sensuale ) come un esempio delle manifestazioni sessuali dell’infanzia. La suzione del pollice ap- pare già nella primissima infanzia e può continuare sino alla maturità, o durare perfino tutta la vita. Consiste in una ripetizione ritmica di un contatto succhiante ad opera della bocca ( o labbra ). È certo che lo scopo di questo procedimento non è quello di nutrirsi. […] è chiaro che il comportamento del bambino che indulge a succhiarsi il pollice è determinato dalla ricerca di qualche piacere che ha già provato e che ora ricorda. Nel caso più semplice egli trova que- sta soddisfazione succhiando ritmicamente qualche parte della pelle o della mucosa. È facile anche indovinare le occasioni in cui il bambino ha fatto le prime esperienze del piacere che ora si sforza di ripetere. È stata la prima e più vitale attività del bambino, il succhiare il seno della madre, o un suo sostituto, che deve avergli reso familiare questo piacere…Il soddisfacimento della zona erogena è collegato, nel primo caso, al soddisfacimento del bisogno di nutrimento. Inizialmente, l’attività sessuale si appoggia a funzioni aventi per scopo la preservazione dell’individuo e diventa indipendente da esse solo più tardi. Chi abbia visto un poppante staccarsi sazio dal seno materno e cadere addormen1 Sigmund Freud, Sessualità infantile, tratto da Tre saggi sulla sessualità, 1905. tato con le guance arrossate e un sorriso beato non può rifiutarsi di riconoscere che questa immagine è il prototipo dell’espressione del soddisfacimento sessuale nella vita dell’adulto.” 1 Da questo brano si evince che in questo primo stadio di sviluppo le esperienze piacevoli sono legate all’oralità; parlare di stadio orale non significa che il fulcro delle sensazioni piacevoli sia limitato esclusivamente all’area della bocca. È possibile infatti individuare altre aree collegate al piacere orale in particolare: —l’impianto respiratorio e digestivo sino all’esofago ed allo stomaco, ma anche gli organi respiratori in gioco durante l’inspirazione e l’espirazione vanno considerati; 77 — gli organi della fonazione e quindi il linguaggio ( fenomeno particolarmente interessante in quanto spiega il divertimento tratto dai gridoli- ni e i gorgheggi tipici dei bambini più piccoli ); — tutti gli organi dei sensi in eguale misura: il gusto, il naso e l’olfatto, l’occhio e la vista che vengono utilizzati per introiettare gli elementi appartenenti al mondo esterno circostante; — il tatto e la pelle appartengono al mondo dell’oralità: non dimentichiamo che la mamma durante questo periodo di vita stimola il bambino, durante le frequenti poppate, non solo nell’apporto di cibo ma anche di coccole, carezze e baci. Karl Abraham divide il periodo orale in due sottostadi: lo stadio primitivo e quello tardivo. Nello stadio orale primitivo, orientativamente dalla nascita ai sei mesi, il bambino ricava sensazioni piacevoli in prevalenza della suzione e dall’aspirazione, il bambino tende a conoscere gli oggetti incorporandoli e trarre soddisfazione attraverso la suzione del pollice. Altre caratteristiche specifiche di questo stadio sono l’assenza di differenziazione tra il proprio corpo e l’oggetto esterno e l’assenza di distinzione tra il bambino che poppa dal seno ed il seno che lo nutre. Lo stadio orale tardivo o stadio sadico orale, dai sei ai dodici mesi, è caratterizzato dalla dominante delle pulsio- ni che Freud definisce cannibaliche. Questa fase della crescita è contrassegnata dallo spuntare dei denti, dal mordere gli oggetti: l’incorporazione sempre in gio- co è diventata sadica, vale a dire distruttiva; l’oggetto incorporato è vissuto nelle fantasie del bambino come attaccato, mutilato, assorbito e rigettato nel senso della distruzione. In questo periodo il bambino è portato a conoscere le cose attraverso la bocca e tende a succhiare e masticare giochi e oggetti. Lo sviluppo del linguaggio Lo sviluppo del linguaggio comincia durante la fase orale di cui è diretta conseguenza. In questo ambito si è soliti distinguere tre livelli: lo sviluppo fonetico, morfologico e semantico. Lo sviluppo fonetico di norma si conclude verso i tre anni secondo un ordine che rispetta il processo di maturazione dell’apparato fonatorio a partire dalla vocalizzazione prodotta dalla semplice espirazione. I primi suoni emessi sono quelli, prodotti con la modulazione dell’apertura 78 della, delle consonanti p–d e m: queste sono infatti le prime a comparire, ed per questo motivo che in molte le lingue sono presenti nelle parole che designano papà e mamma. Lo sviluppo morfologico è invece quello relativo all’apprendimento della struttura specifica della lingua e richiede molto tempo prima di compiersi. Lo sviluppo semantico,relativo cioè allo sviluppo quantitativo dei vocaboli utilizzati e compresi dal bambino, avviene inizialmente in modo molto veloce ma tende poi a rallentare. A tre anni il bambino padroneggia solitamente circa 2000 parole, per acquisirne gradualmente di nuove fino a giungere alle 20.000 considerate come media del linguaggio adulto intorno ai vent’anni. Dal punto di vista teorico esistono diverse ipotesi relative ai meccanismi responsabili dell’acquisizione e dello sviluppo del linguaggio. Secondo Piaget il linguaggio del bambino è prevalentemente egocentrico; le forme di questo linguaggio sono l’ecolalia ( cioè la ripetizione di parole già pronunciate da se o da altri che il bambino pronuncia più per gioco che per altro ) e il monologo in cui il bambino parla per sé come se pensasse ad alta voce. Possiamo trovare in questo periodo anche il monologo a due o collettivo in cui il bambino associa altri al suo pensiero o alla sua azione senza curarsi di essere inteso o compreso realmente. La condizione necessaria per passare dal linguaggio egocentrico a quello so- cializzato è costituito dallo sviluppo delle strutture del pensiero che nasce dall’azione e che si realizza come interiorizzazione di essa nelle operazioni intellettuali ed è stato trattato in modo approfondito nelle pagine precedenti. Il linguaggio ha una funzione ausiliaria in questo sviluppo dato che offre la possibilità di un crescente distacco dalla concretezza reale e una funzione organizzatrice delle strutture logiche in forme più rigorosamente codificate. La teoria del comportamentista F.Skinner spiega invece lo sviluppo del linguaggio a partire dal rinforzo proveniente dai genitori, e il pensiero come una forma subvocalica del linguaggio, inteso qui come forma di comportamento motorio. Man mano che il bambino avverte che le sue emissioni fonatorie provocano reazioni verso gli altri, prende avvio un processo irreversibile dove da una parte il bambino scopre le infinite possibilità del suo apparato fonatorio, dall’altra i genitori e l’ambiente producono un’interazione per cui, attraverso una serie di rinforzi positivi e negativi, avviene la progressiva correzione e strutturazione linguistica. L’approccio comportamentista viene criticato da N.A.Chomsky che ritiene che la teoria di Skinner possa spiegare l’acquisizione delle singole parole, ma non giustifica la complessità della condotta linguistica nel suo insieme. L’introduzione di un Dispositivo di Acquisizione Linguistica ( LAD ) come 79 STADIO PREGENITALE 0-3 STADIO ORALE (o-1 anno) Il bambino trae piacere da gesti ripetitivi incentrati sulle sue sensazioni corporali. La zona erogena di maggiore sensibilità è la bocca ma sono conivolte nel piacere orale molte altre aree, come l’apparato respiratorio, quello digestivo, gli organi della fonazione e del linguaggio e i cinque sensi (tra questi prevale il tatto). primitivo (0-6 mesi) tardivo o sadico orale (0-6 mesi) Il bambino ricava sensazioni piacevoli dalla suzione e dall’aspirazione; conosce gli oggetti incorporandoli e ama in modo particolare succhiarsi il pollice. Dominano le pulsioni cannibaliche; il bambino (al quale stanno spuntando i dentini) morde gli oggetti con vigore e tende a conoscerli masticandoli e succhiandoli. meccanismo innato, spiegherebbe, per questo studioso, la comprensione e la produzione del linguaggio. B. L. Whorf ritiene invece che la lingua abbia un’importanza determinante nel modellare e nello strutturare l’universo cognitivo del parlante. Di qui le conclusioni: il mondo è concepito in modo molto diverso da coloro che si servono di linguaggi dalla struttura completamente dissimile; la struttura del linguaggio è la causa di queste diverse concezioni del mondo. Lo stadio anale: dai due ai tre anni Nel corso del secondo e terzo anno le facoltà di camminare, parlare, pen- sare, controllare i propri sfinteri, ecc. si sviluppano ed offrono al bambino in modo progressivo un’indipendenza relativa ma già reale. Il piacere anale, secondo Freud, esiste già all’inizio della vita ma non costituisce inizialmente lo sfogo libidico principale; è soltanto con il controllo degli sfinteri e quindi della padronanza di essi che il bambino acquisisce il piacere legato alla defecazione. La fonte pulsionale corporea o zona erogena diventa tutta la mucosa della zona intestinale di escrezione. La massa fecale è anche considerata dal bambino come parte del proprio corpo che egli può tanto conservare all’interno quanto espellere separandosene, cosa che 80 STADIO FALLICO (3-4 anni) Il bambino si diverte ad urinare ed è molto interessato alle differenze anatomiche tra maschi e femmine (che valuta esclusivamente come presenza o assenza del pene). Secondo Freud la bambina, constatando di non possedere un fallo, può provare angoscia di castrazione che si traduce in desiderio di riconquistare l’attributo perso o nell’equazione pene=bambino. � schema sullo sviluppo sessuale: nello schema sono riportate le fasi principali che scandiscono lo sviluppo sessuale dalla nascita ai dodici anni. sv.AFFETTIVO-SESSUALE STADIO ANALE (2-3 anni) Il bambino impara a controllare i propri sfinteri traendone piacere. Coltiva un interesse particolare per la defecazione e i suo significato (svuotamento). permette al bambino di porre distinzione tra oggetto interno ed oggetto esterno; spesso rappresenta inoltre una moneta di scambio tra lui e gli adulti. Se la paura di essere mangiato co- stituiva l’angoscia orale specifica, quella di essere privato del contenuto del proprio corpo ( come avviene per esempio al lupo nella fiaba di cappuccetto rosso ) rappresenta l’angoscia anale tipica di questo periodo. Questo piacere si traduce in un generale interesse per l’argomento e una certa propensione ad inventare e diffondere barzellette e storielle diverten- ti di nascosto dagli adulti ( che generalmente disapprovano l’argomento ). Esistono tuttavia numerose canzoncine e filastrocche sull’argomento che si diffondono segretamente tra i bambini ( specialmente in età prescolare ). Lo stadio fallico: il periodo dai tre ai sei anni Dopo il terzo anno di età si presenta una certa evoluzioe rispetto agli stadi precedenti.Il superamento o la soluzione dei conflitti affettivi e non permette di arrivare allo stadio fallico che instaura una relativa unificazione delle pulsioni parziali sotto un certo primato degli organi genitali. I bambini di questa età cominciano ad essere molto interessati alle diversità dell’anatomia maschile e femminile ed è molto probabile che tendano a spogliarsi davanti agli amichetti o a volere denudare bambole e bambolotti. Si accentua in modo particolare la separazione tra maschi e femmine e sulle rispettive occupazioni; alcuni colori e giocattoli diventano appannaggio 81 STADIO GENITALE 3+ COMPLESSO EDIPICO (3-6 anni) Questo periodo è caratterizzato dal superamento della diade iniziale madre-figlio e dalla presa di coscienza del rapporto intimo che unisce i genitori. Solitamente a questa consapevolezza segue un periodo di forti tensioni emotive nel quale il piccolo diviene geloso del genitore del sesso opposto e comincia il processo si identificazione, come uomo o donna, con il genitore dello stesso sesso. Il superamento di questa fase segna un momento molto importante delo svluppo psichico (la nascita del Superio) e avviene quando il bambino rinuncia al “desiderio di avere” per “potere essere come”. Nell’immagine cicciobello ciccipipì. Questo gioco affronta una tematica cara al periodo fallico ( il momento della pipì ) e asseconda il bambino nella sua voglia di giocare con l’acqua ( che come vedremo nel prossimo capitolo è uno dei bisogni ludici più presenti dai 2 ai 4 anni ). di uno solo dei due sessi portando a vere e proprie fissazioni ( ad esempio per le bambine la preferenza per il colore rosa nell’abbigliamento che per anni non le abbandonerà ). L’in- teresse alle differenze fisiche non si traduce in una vera e propria genitalizzazione: infatti la parola sesso ha un significato ambiguo ed il bambino non prende in questo periodo co- scienza reale della differenziazione sessuale. Soltanto l’organo anatomico maschile, il pene, vale in quanto esistente sia per il bambino che ne è dotato, sia per la bambina che non l’ha. Il primo scopo di questo erotismo è il piacere di urinare, pur essendoci egualmente il piacere di ritenzione; inizialmente autoerotico, questo piacere si rivolge in seguito verso gli oggetti. Il piacere di urinare avrà quindi un doppio significato: da una parte un significato fallico ( legato quindi al concetto di potenza ), persino sadico, cor- rispondente ad un atteggiamento attivo, legato a fantasie di danneggiare e distruggere; dall’altra parte può essere sentita come un lasciar scorrere, un piacere passivo di resa ed abbandono dei controlli. In questa fase dunque, il pene non è ancora percepito come un organo genitale, ma come un organo di potenza o completezza, cioè come un fallo, da cui il nome dato a questo periodo della crescita. È importante sottolineare che il bambino è diventato 82 bambina femmina Il bambino scopre che l’oggetto del desiderio materno si trova nel padre nel quale vede un rivale da soppiantare ma soprattutto un modello da imitare al quale somigliare. La bambina cambia il suo oggetto del desiderio operando un transfer dalla madre al padre. Questo spostamento può essere legato all’angoscia di castrazione poichè la bambina può avvicinarsi al padre in modo ricettivo nella speranza di ottenere da lui ciò che suppone la madre le abbia tolto (il fallo). Il superamento del complesso edipico è più complesso nelle bambine in quanto la paura di perdere l’amore della madre si mescola a sentimenti negativi dettati dalla gelosia causata dal fatto che questa sia l’oggetto dell’amore del padre. sv.AFFETTIVO-SESSUALE bambino maschio perfettamente capace di distinguere i sessi, ma lo fa soltanto a livello di una realtà anatomica esterna e falsamente interpretata; non si tratta della differenza di un ruolo in relazione ad una donna, ma della differenza tra la presenza e l’assenza di un solo termine. I due genitori saranno vissuti in funzione della loro potenza o della loro debolezza simbolizzate da questo possesso e da questa carenza. L’angoscia di castrazione È l’espressione utilizzata da Freud per designare la reazione affettiva che segue la constatazione dell’assenza del pene nella bambina, e questa constatazione comporta nel bambino la paura di poterlo perdere, e, talvolta nella bambina di acquisirlo. Secondo Freud il bambino che si scopre possessore di un pene ( che manca alle bambine ) lo superinveste libidicamente in quanto strumento della sua soddisfazione sessuale, in modo narcisistico con tendenze esibizionistiche predominanti in questo stadio ( il bambino è iden- tificato con il suo pene e ha la tendenza a volersi spogliare davanti a tutti chiedendo talvolta agli amici di fare lo stesso ). In un primo momento il bambino cerca di negare la realtà della differenza tra i sessi e ricorrendo ad un fiabesco rimedio magico, il nostro ometto cerca di rassicurarsi sulla differenza cercando di elimiarla: crescerà anche a loro, pensa delle bambine: egli accoglie ed accetta la differenza ed attribuisce la carenza femminile come una mutilazione subita ( in seguito ad una marachella ), come sanzione immaginaria per punire certi desideri e piaceri ana83 Giocare alla mamma è tipico del periodo edipico. Si può notare nelle bambine una preferenza per i bebè maschi come il Cicciobello ( nella foto a destra ). Nella seconda immagine le bambole delle Wich che assieme alle fate Winx sono tra le eroine più amate dalle giovanissime. loghi a quelli che egli stesso sente come proibiti. La bambina dopo un certo periodo di disconoscimento e di speranza si vede obbligata ad accettare abbastanza in fretta la propria mancanza del pene. Tuttavia si tratta per la bambina, prima di tutto, di una vera e profonda ferita narcisistica, che comporta un sentimento di inferiorità sul piano corporeo e genitale, complicato e rafforzato da fattori socioculturali. La nostra bambina si difenderà contro questo disagio nei seguenti modi: —rivendicazione fallica ( o desiderio del pene ) equiparabile alla negazione della differenza dal bambino; —penserà che senza dubbio possedeva un pene e lo ha perduto, cosa che rafforza l’idea di riconquistarlo; —non perdonerà a sua madre la carenza del pene e si avvicinerà al padre operando un cambiamento d’oggetto sul piano libidico. Il desiderio di avere un bambino sostituirà il desiderio di avere un pene. Si dice che la libido della bambina scivola lungo l’equazione pene = bambino; è a questo scopo che viene scelto il padre come oggetto d’amore abbandonan- do il primo oggetto libidico , la madre, la quale diventerà oggetto della sua gelosia, pur restando la rottura con la madre contrassegnata da un’estrema ambivalenza, per il fatto di essere stata la prima. Il gioco di finzione assume in questo periodo una grande importanza, la bambina si proietta a coprire completamente il ruolo della madre accudendo i bambolotti aspettando il padre–principe azzurro. È interessante notare come in questa fase le bambi- ne tendano a preferire bambolotti maschi, non colpiti dalla loro sfortunata mancanza, per giocare alla mamma ( il bambolotto Cicciobello ad esempio ). Le bambole di sesso femminile non sono quasi mai bebè ma bambine ( con le quali potere giocare ad essere amiche ) o ragazze più grandi con le quali iden84 tificarsi proiettandosi in un futuro possibile ( come avviene con le Barbie o con le più attuali bambole delle Winx ). Stadio genitale Il complesso di Edipo Per il suo ruolo fondamentale di organizzatore centrale nella strutturazio- ne della personalità, il complesso di Edipo, a cui Freud ha dato il nome per analogia con il mito antico, rappresenta l’asse di maggior riferimento della psicogenetica umana per gli psicanalisti freudiani. Il mito di Edipo La storia di Edipo, mitico eroe di Tebe, figlio di Laio e di Giocasta, comincia prima della sua nascita. Il padre Laio aveva infatti ricevuto dall’oracolo una terribile predizione:un figlio suo lo avrebbe ucciso e avrebbe sposato la madre. Cosicché, quando la moglie partorì un figlio, questi venne portato sul monte Citerone ed appeso per i piedi ad un albero. Il lamenti del bimbo svegliarono un pastore che portò il bimbo a Polibo, re di Corinto, che lo adottò e gli diede il nome Edipo ( che in greco significa “dai piedi gonfi” ). Edipo crebbe ignaro della sua origine, ma divenuto adulto gli giunsero voci che lo misero in dubbio circa il suo vero essere, per cui si recò a Delfo per interrogare l’oracolo: questi non gli rivelò di chi fosse figlio ma lo mise in guardia dal tornare in patria perché avrebbe ucciso il padre e sposato la madre. Edipo decise allora di abbandonare Corinto ma durante il cammino si imbatté con un carro che nel passargli accanto lo ferì ad un piede: preso dal furore uccise il cocchiere ed il padrone del carro che non era altro che suo padre Laio. Edipo proseguì per la sua strada e nei pressi di Tebe si imbatté nella Sfinge che con i suoi enig- mi tendeva tranelli mortali ai viandanti. Il fratello di Laio, Creonte per liberarsi dalla Sfinge, promise il trono di Tebe ed in sposa la vedova Giocasta. L’oracolo aveva predetto che la Sfinge sarebbe morta quando qualcuno avesse spiegato il senso del suo indovinello: Edipo si assunse il difficile compito e sciolse l’enigma raccogliendo il premio della sua impresa e sposando, a sua insaputa, la madre. Ignari della loro tremenda situazione, i due vissero felici sino a quando l’ira degli dei si abbatté su Tebe portando una mortale pestilenza; Edipo, disperato per tanta rovina, ricorse all’oracolo e seppe che la colpa era l’assassinio di Laio e dopo affannose ricerche venne a scoprire che egli era l’assassino di suo padre e sposo di sua madre. Alla notizia Giocasta si impiccò appendendosi ad una trave ed 85 Edipo si cavò gli occhi; ma i tebani lo obbligarono a lasciare la città ed egli, in compagnia di sua figlia Antigone, incominciò a vagare sino a Colono, in Attica, dove gli dei gli concessero di trovare riposo sino alla morte. Il complesso di Edipo può presentarsi in forma positiva, negativa o mista. Nel caso in cui il complesso di Edipo si presenterà nella forma detta positiva si paleserà nel suo aspetto positivo propriamente detto ( o meglio dire libidico ) come amore per la madre; e nel suo aspetto negativo ( o aggressivo ) in forma di odio per il padre. Il complesso edipico si può manifestare anche in forma negativa o inversa nella quale: l’aspetto positivo–libidico è rappresentato dall’atteggiamento femminile tenero del bambino nei riguardi del padre; mentre l’aspetto negativo–aggressivo è l’ostilità gelosa provata nei riguardi della madre. Più spesso si manifesta in tutta una serie di casi misti e anche periodi misti, dove le due forme precedenti possono agire contemporaneamente o separatamente in una relazione dialettica, mettendo in gioco, oltre l’ambivalenza nei riguardi di ciascuno dei due genitori, le componenti etero e omosessuali di ogni bambino. Il complesso di Edipo nel bambino maschio Lo sviluppo delle relazioni oggettuali è in questo caso relativamente semplice, poiché il maschio rimane attaccato al suo primo oggetto, la madre, sebbene questa si modifichi sul piano dell’investimento. Dapprima dipendente dalla madre, il bambino, raffrontato dalle relazioni con i genitori, introduce il padre nella diade iniziale madre–bambino; prende così coscienza che l’oggetto del desiderio materno si trova in realtà nel padre, il quale possiede il fallo, e che è attributo di autorità. Grazie ad un’identificazione con il padre, egli può anche sentirsi partecipe della sua potenza magica. Tuttavia, a partire da questo momento è a contatto con la realtà. Il bambino incontra quindi un rivale nella persona del padre che invidia per la sua superiorità reale e che sopravvaluta per il significato simbolico, mentre i fantasmi edipici non fanno che rinforzare i temi fantasmatici di castrazione. Il secondo tipo di attaccamento consiste in un attaccamento al padre, il quale deve essere capace di sostenere l’investimento fantasma- tico del suo bambino su due piani: quello di un rivale da soppiantare, certo, ma anche soprattutto di un modello da imitare, a cui somigliare ( con il processo di identificazione ). La competizione edipica però non è reale ma solo immaginaria, la madre infatti ha già scelto il padre e non può dare al bambino che consolazione: l’assicurazione dell’inutilità dei suoi sforzi permette al bambino di supera86 re la sua angoscia di castrazione determinando l’abbando- no del suo oggetto incestuoso, rinunciando alla seduzione della madre in competizione con il padre, permettendo di conquistare oggetti sostitutivi in concomitanza con il suo ingresso nel periodo di latenza. Anche attraverso il gioco si attuano una serie di identifi- cazioni con figure simbolo di virilità; difficilmente giocando il fanciullo interpreterà il ruolo di un semplice bambino ( a meno che non si tratti di un personaggio dei cartoni animati ) ma prefe- rirà piuttosto recitare la parte di un supereroe ( uomo ragno, hulk, i fantastici4, Ninja Turtles ) o di un giocatore di Wrestling. In gene- rale il gusto estetico tende a preferire forme aggressive e tecnologiche maggiormente aderenti ad un modello ideale di realtà al maschile; ad esempio le macchinine diven- Moto elettrica in scala ridota GPMotor. I bambini maschi sin da piccoli aspirano ad aderire a modelli spiccatamnte maschili. tano più realistiche e sportive tendendo a modelli esagerati ( Formula1, HotWheels ) piuttosto che utilitarie realistiche. L’Edipo della bambina: il cambiamento di oggetto Lo sviluppo oggettuale è qui più complesso, poiché bisogna che la bambina faccia un passo supplementare, il transfert dalla madre al padre. Le esperienze più importanti sono le delusioni che distolgono la bambina dalla madre: lo svezzamento, l’educazione alla pulizia, la nascita di altri fratelli ma soprattutto la bambina ha l’impressione di aver posseduto un pene e che sua madre glielo abbia preso. Il suo scopo è ora di ottenere dal padre ciò che la madre gli ha tolto. La rinuncia del pene non si realizza che dopo un tentativo di risarcimento: ottenere come regalo un bambino dal padre, oppure mettergli al mondo un bambino. La bambina va quindi verso il pa- dre in modo recettivo non più in un atteggiamento di rivendicazione virile, ma per accattivarsi l’ammirazione di colui che sua madre aveva scelto come oggetto d’amore, cioè per “sedurlo”. A tutto ciò si aggiunge, analogamente come per il bambino, un odio intriso di senso di colpa verso la madre primo oggetto di investimento. Nella bambina la rinuncia al complesso di Edipo è più graduale e meno completa che nel bambino; ciò deriva dalla paura di perdere l’amore della madre, che non risulta essere così incisiva come quella dell’angoscia di castrazione, la quale tuttavia gioca egualmente il suo ruo- lo; infine la ferita narcisistica ( legata all’inadeguatezza corporea ) interverrà per far scattare la rimozione del primo movimento edipico. 87 la pubertà (12 anni) Viene considerato (dal puto di vista della sessulità) un periodo di riposo e consolidamento delle posizioni acquisite. Il bambino incanala tutte le pulsioni verso attività intellettuali e conquiste educative (sublimazione). Le bambine tendono a giocare principalmente con le bambine e i bambini con i loro amici maschi. Tra i due gruppi spesso si instaura una certa rivalità. In questo periodo il corpo si modifica profondamente; compaiono i caratteri sessuali secondari e si completa lo sviluppo della funzione sessuale. sv.AFFETTIVO-SESSUALE il periodo di latenza (6-11 anni) “L’Edipo è il punto nodale attorno al quale si ordinano le relazioni che strutturano la famiglia umana nel significato ampio di società; è questa infatti la prima volta che l’essere umano è confrontato col fenomeno sociale. Si può osservare che uno degli effetti del complesso di Edipo è, attraverso la proibizione dell’incesto, l’instaurarsi della morale, questo effetto costituisce una vittoria della specie sull’individuo” ( Freud, 1924 ). La nascita di Io e Super–Io Il Super–Io è l’erede del complesso di Edipo. Con il processo di identificazione, secondo Laplanche e Pontalis, si designa un processo psicologico attra- verso il quale un soggetto assimila un aspetto, una proprietà, un attributo dell’altro e si trasforma totalmente o parzialmente, sul modello di costui: la personalità si costituisce e si differenzia con una serie di identificazioni. Nell’Edipo vi sono due attaccamenti simultanei: l’attaccamento oggettuale alla madre e l’identificazione con il padre; la forma positiva dell’Edipo nasce dall’incontro di questi due casi di attaccamento ( caso nel bambino maschio ). La dissoluzione del complesso di Edipo lascia il posto a due istanze morali:l’Ideale dell’Io ( erede del narcisismo: fai questo, sii come tuo padre, pensa come lui, senti come lui ) e il Super–Io, erede dell’Edipo ( non fare questo, non fare come tuo padre, sii come lui ma scegli un altro oggetto ). La soluzione è la rinuncia al desiderio di avere per potere essere come. Lo sviluppo del Super–Io è dunque l’interiorizzazione di tutte le proibizioni passate e presenti, in modo particolare riguardo alla pulsione sessuale, che completa la formazione dell’istanza psichica chiamata Super–Io. Bisogna notare che, per sfuggire ai conflitti centrati sull’amore, l’odio, il senso di colpa e l’angoscia, il bambino non si identifica con i genitori quali 88 essi sono in realtà, ma con dei genitori idealizzati e puri, senza difetti, fe- deli ai loro principi in modo così efficace che alla fine dei conti che è proprio il Super–Io dei genitori ad essere interiorizzato. Il periodo di latenza Il periodo successivo all’Edipo, dal quinto–sesto anno di età sino ai dodici, è considerato come una fase di riposo e di consolidamento delle posizioni acquisite. Non si può descrivere alcuna nuova organizzazione della sessualità durante questo periodo: il comportamento tende ad essere dominato da sublimazioni ( intellettualizzazione ). Il bambino si volge di preferenza verso altri settori diversi: in particolare la scuola ( alleanza tra istituzioni sociali e Super–Io ), i compagni di giochi, libri ed altri oggetti nel mondo reale, secondo Freud l’energia di questi nuovi interessi deriva comunque dal serbatoio delle pulsioni sessuali. Per J.Piaget questo periodo di latenza corrisponde alla fase delle operazioni concrete. Il bambino cerca di organizzare e razionalizzare al suo mondo per riuscire a placare, o almeno a controllare, le forti pulsioni emotive dalle quali si è sentito travolgere. Freud sostiene che alcune pulsioni di tipo sessuale vengano incanalate in altre attività attraverso il processo della Sublimazione. Con questo termine psicoanalitico viene indicato il meccanismo responsabile dello spostamento di una pulsione sessuale o aggressiva verso una meta non sessuale e non aggressiva che trova valorizzazione a livello sociale, come attività artistica o la ricerca intellettuale. Questo periodo è particolarmente favorevole dunque alle conquiste educative, scolari, culturali, questa età orisponde infatti ad un momento d’acquisizione in primo luogo recettiva nel campo intellettuale. In questo stadio di sviluppo psicosessuale si osserva, per una serie di moti- vi che vanno da impedimenti fisiologici ( inadeguatezza prepuberale ) che da impedimenti interni ( la legge ), ad una desessualizzazione in concomitanza dell’instaurarsi di relazioni oggettuali e, inoltre i sentimenti hanno una prevalenza della tenerezza sui desideri sessuali. In realtà questo riposo è apparente e spesso non reale, e la masturbazione, le tendenze edipiche e le regressioni pregenitali continuano in una certa misura. 89 La pubertà Al di là della diatriba relativa alla corretta denominazione ( chi lo chiama periodo, chi crisi adolescenziale, ... ) è evidente che si tratta di un momento nel quale si realizza un adattamento della personalità in risposta alle nuove condizioni prodotte dalle trasformazioni fisiche prodotte. La pubertà è caratterizzata dalla comparsa dei caratteri sessuali secondari e dalla maturazione della funzione sessuale. Come periodo di transizione e di rilevante modificazione fisiologica, la pubertà è caratterizzata da frequenti conflitti psicologici connessi all’accettazione o al rifiuto della modificazione corporea ( immagine di sé mutata ), che comporta una riconfigurazione della propria identità e del proprio modo di relazionarsi con il mondo circostante. In condizioni normali la pubertà genera crisi a livello sessuale per la rapida e violenta insorgenza dell’istintività in condizioni in cui mancano possibilità di contatto, stabilità di lega- mi, possibilità di far convivere necessità sessuali con atteggiamenti di forte idealizzazione. A livello sociologico questo periodo segna l’inizio del distacco definitivo dal gruppo domestico originario a favore di uno spazio sociale dove ricostruire la propria identità. Nell’ambito sintomatologico questa fase di passaggio è caratterizzata da malumori di solito di natura depressiva, perdita di iniziativa e di motivazione, atteggiamenti di protesta contro autorità, fugaci fenomeni isterici, ossessivi e eritrofobia ( paura di arrossire ). Consapevoli del carattere critico di questa fase di passaggio, già le culture primitive avevano provveduto ad accompagnare questa età con rituali di iniziazione, tra i più vari a seconda dei modelli culturali, ma tutti volti a facilitare il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Nei paesi occidentali stiamo assistendo ad un progressivo abbassamento dell’età dello sviluppo che sembra esseresi abbassata in media di due anni ripetto al solo secolo scorso. 90 Sviluppo dei bisogni ludici Come abbiamo visto le modalità di gioco sono legate allo sviluppo fisico ed emotivo del bambino e si modificano con il passare del tempo. Chiaramente ogni bambino segue percorsi personali, non necessariamente standardizzati e scanditi alla perfezione dal calendario, tuttavia è possibile individuare alcuni aspetti fondamentali dello sviluppo ludico. Ci sono giochi che durano tutta l’infanzia e giocattoli che non vengono mai abbandonati; giochi specifici che compaiono e scompaiono in momenti delicati in cui il bambino necessità di un particolare supporto alla sua esperienza, ci sono giochi e atteggiamenti propri dello sviluppo del bambino e altri che sono tipici di “quel” bambino. Ho cercato di delineare alcuni aspetti ricorrenti dello sviluppo dei bisogni ludici e dei giochi infantili, partendo da quanto detto nei paragrafi precedenti, collegandomi al succedersi delle tappe di crescita e dedicando particolare attenzione alle attività dei primi tre anni di vita. È proprio questo il periodo in cui il bambino impara più che in ogni altro periodo della sua vita assimilando i concetti più difficili e complessi ( si struttura il pensiero, il piccolo impara a camminare e muoversi nel mondo che lo circonda, comincia a parlare e svolgere i gesti della quotidianità ). Da zero a un anno: la nascita Durante i primi mesi di vita il bambino gioca soprattutto con il corpo della madre: il viso, la voce gli occhi. Inizialmente il gioco è fonte di sensazioni piacevoli che gratificano il piccolo, rientrano infatti nella sfera ludica le prime coccole, baci e carezze indispensabili alla crescita. Cominciano con la nascita anche i primi giochi con il proprio corpo ancora da scoprire ed esplorare. La manipolazione del proprio corpo proseguirà per un lungo periodo, non solo durante il primo anno ma per l’intero corso della vita, rivestendo un ruolo di primaria importanza per lo sviluppo del bambino. La percezione del proprio corpo aiuta il neonato a prendere coscienza della sua stessa esistenza: occupo uno spazio, ho un peso, una forma, faccio rumore, mi muovo, dunque esisto. La conoscenza dell’io corporeo permette inoltre di imparare a sfruttare al massimo le proprie risorse finalizzandole per uno scopo. Le risorse fisiche, le abilità motorie, il linguaggio saranno usate in futuro per giocare, studiare, comunicare e raggiungere i propri obiettivi. 91 La ripetizione dei primi gesti segna progressivamente il confine fra il SÉ e il NON–SÉ, e il piccolo comincia e distinguere dove finisce lui e inizia la madre, percepita inizialmente come parte di sé. Come abbiamo avuto modo di vedere prevalgono in questo periodo i giochi di esercizio. Nella fase cosiddetta “senso–motoria” il bambino attraverso l’afferrare, il dondolare, il portare alla bocca gli oggetti, l’aprire e chiudere le mani o gli occhi, impara a controllare i movimenti e a coordinare i gesti. Il piacere che deriva da questi giochi, spinge il bambino a ripeterli più volte. La fase di assimilazione, in questo periodo, prevale su quella di accomodaMordicchio Chicco con anello refrigerante per allevviare il dolore del bambino nel periodo della dentizione. mento: le nuove esperienze, infatti, vengono adeguate agli schemi mentali del bambino. Per capire l’importanza occupata da alcuni giocattoli nella vita del lattante è indispensabile introdurre il concetto di oggetto transizionale. L’area transizionale Durante i primi mesi di vita il bambino prende progressivamente coscienza di sé operando un distacco graduale dall’inziale simbiosi con la madre. Il distacco avviene molto lentamente e per i primi mesi e anni la dipendenza del piccolo dalla figura materna è pressoché totale. Esistono delle linee di espansione di questa diade originaria ( madre–figlio ) che secondo Winnicott sono: l’instaurarsi nel bambino dell’oggetto transizionale, l’accesso alla dimensione del gioco, e poi del gioco condiviso, ed infine l’armonizzarsi nell’individuo di quell’insieme di istanze ( lingua, usi, costumi, credenze, etc. ) che determinano la nostra appartenenza culturale. In questo modo, sostiene Winnicott, ci abituiamo gradualmente ad uscire dalla simbiosi, non per negarla, ma per espandere l’area della nostra appartenenza – che all’inizio è solo nella diade – verso insiemi più numerosi come la famiglia, la cerchia di amici e compagni fino ad arrivare a comprendere l’intera società. Il primo passo di questa importante presa di coscienza consiste nell’instaurarsi dell’oggetto transizionale; Winnicott definisce l’oggetto transizionale come il primo possesso non–me. Con il termine oggetto transizionale o fenomeno transizionale si designa l’area intermedia di esperienza tra la suzione del pollice ( operazione primaria autoerotica ) e l’instaurarsi di vera relazione con un oggetto. È l’uso, ca- ricato di importanti valenze affettive, di un oggetto che è riconosciuto come non facente parte del corpo del bambino ( non più appartenente a sé ) ma non ancora pienamente riconosciuto come appartenente alla realtà esterna. Winnicott data l’apparizione dei fenomeni transizionali tra i quattro mesi 92 e i dodici e ne descrive così la comparsa: “ È esperienza comune osservare, associato ad una attività autoerotica quale la suzione del pollice, uno dei seguenti comportamenti: Con l’altra mano il bambino prende in bocca un oggetto esterno, per esempio una parte del len- zuolo. Il pezzo di tessuto in qualche modo viene preso e succhiato o non realmente succhiato. Il bambino incomincia dai primi mesi a strappare fili di lana, a tenerli in mano ed usarli per accarezzarsi. Il bambino produce con la bocca mugolii, balbettii, rumori di tipo anale, le prime note musicale, ecc. Sono tutti questi che io chiamo fenomeni transizionali. Infatti in tutto questo può emergere un oggetto o un fenomeno – forse dei fili di lana, l’angolo di una coperta o una parola o un motivo, un manierismo– che assumono un’importanza vitale per il bambino piccolo al momento di addormentarsi e che costituisce una difesa contro l’ansia.( … ) Può darsi che il bambino scopra un oggetto o una copertina soffice, questo allora diventa ciò che io chiamo oggetto transizionale. Questo oggetto diventerà sempre più importante.( … ) Le modalità che si stabilizzano nella prima infanzia persistono nell’infanzia, l’oggetto morbi2. Donald Winnicott, Dalla pediatria alla psicoanalisi, Martinelli, Firenze, 1975. do continua ad essere indispensabile all’ora di andare a letto, in un momento di solitudine o quando sta per sopraggiungere la depressione.” 2 Un’immagine chiara e rappresentativa può essere quella di Linus, il famoso personaggio dei fumetti, con la sua coperta. Questa immagine è quella di un bambino con il suo oggetto transizionale, ma ci potremmo trovare anche di fronte ad un bambino che non ha, in apparenza un oggetto transizionale, il quale però – a ben vedere – pone sempre in atto un insieme di cerimonie tradizionali, magari meno visibili della coperta di Linus, ma che, come quella coperta, lo aiutano a transire, a conquistare una nuova condizione, ad uscire dalla simbiosi. La particolarità di questo oggetto è il suo essere nell’area intermedia tra sé e non–sé. La sua funzione non si esaurisce nell’essere un simbolo: il suo essere reale, sostanziale è altrettanto importante per il bambino. L’oggetto transizionale non è un oggetto interno, tuttavia per il bambino non è nemmeno un oggetto esterno: è una transizione tra i due. Per Winnicott: “L’oggetto transizionale non è mai sotto il controllo onnipotente come l’oggetto interno, né fuori controllo come la madre reale.” Quell’oggetto ( la coperta di Linus ) e quell’area ( l’area delle operazioni e dei fenomeni transizionali ) hanno un potere enorme per il bambino poiché rappresentano la madre anche in sua assenza. Si definisce così per tutta la vita un’area intermedia che non appartiene né al mondo interno e neanche a quello esterno di ciascuno di noi, che all’inizio è l’area dell’oggetto transizionale che poi diventerà quella del gioco e dell’appartenenza culturale. In “Gioco e realtà” Winnicott sottolinea come l’oggetto transizionale possa a volte degenerare in un oggetto feticistico e, come tale, persistere come caratteri- 93 0-12 mesi: la nascita AREA TRANSIZIONALE Il neonato prende gradualmente coscienza di sé operando un graduale distacco dalla simbiosi iniziale con la madre. Una delle tappe fondamentali di questo percorso è l’instaurarsi dell’oggetto transizionale; questo oggetto speciale è il primo oggetto considerato dal bambino (spesso il pupazzo preferito) e si colloca in un’area intermedia tra il sé e il non-sé. L’oggetto transizionale costituisce una potente difesa verso l’ansia: il suo potere risiede nella capacità di rappresentare la madre anche in sua assenza (come la famosa coperta di linus). - pupazzi, peluche, cuscini e copertine sono giochi adatti a diventare oggetti transizionali per le sensazioni tattili “calde” che trasmettono. stica della vita sessuale adulta.Ad un certo punto il bambino comincia a percepire di essere un individuo distinto dalla madre, dotato di propri confini corporei, e lo fa attraverso il gioco cominciando a capire che le mani che roteano attorno a lui sono sue, che egli può coordinarne il movimento osservandole con i propri occhi e imparando così le sue prime operazioni sul mondo, che all’inizio è rappresentato dalla madre, dal suo volto, dai suoi capelli, dagli oggetti che essa porge a lui. D’altra parte anche la madre che vuole la crescita psicologica del bambino e attraverso un’opera di illusione\disillusione, attraverso i limiti delle sue cure, lo spinge gradualmente ad uscire dalla simbiosi, rimanendo pronta ad accoglierlo tra sua braccia ogni volta che egli dovesse risultare angosciato. Le reazioni del bambino a questa nuova condizione, cui è condotto come abbiamo visto sia dalla sua crescita psicologica sia dalla madre, sono quelle di mettere in piedi delle nuove modalità difensive nei confronti dell’angoscia che deriva dalla percezione dell’essere separato dalla madre. A questo punto la costruzione nell’oggetto transizionale e soprattutto dell’area in cui tale oggetto si pone sono gli elementi che permettono la separazione ed avviano all’individuazione. Ecco che, sempre secondo Winnicott, avviene nel bambino l’integrazione di una vera e propria membrana individuale che continuerà ad essere plasmata nel corso della vita. Contemporaneamente comincia ad instaurarsi anche un’area intermedia, che lo aiuterà lungo la du94 � schema sullo sviluppo dei bisogni ludici: ad ogni età corrispondono giochi e giocattoli specifici. La preseza di tali giochi non è sicuramente casuale ma risponde alle esigenze proprie del bambino di quell’età. Nello schema, ch prosegue su diverse pagine, ho cercato di sintetizzare i bsogni più sentiti in riferimento a diverse fasce d’età e i giocattoli più adatti a soddisfarli. - palle, anelli da impilare, cubi di gomma, trottole, palestrine, semplici birilli, tappetoni, mordicchi ecc. stimolano la sensorialità del piccolo e favoriscono lo svilupo motorio. rata di tutto questo processo ( e che per questo è detta transizionale ), area che nel momento in cui è solo gli fa sentire la sua appartenenza, e che lo sosterrà nel suo cammino verso altre conquiste: da una parte la singolarità dell’individuo, dall’altra l’espandersi della sua appartenenza. Giocattoli per il periodo da zero ad un anno: — pupazzi, peluche, cuscini, copertine ( adatti a diventare og- getti transizionali per le caratteristiche fisiche che trasmettono il “calore” assimilabile alle sensazioni legate al contatto con la madre ); — sonagli, campanelli, carillons; — palle, oggetti da appende- re, torri da impilare, cubi di gomma, oggetti gonfiabili, trottole, specchi, pappe, palestrinem mobiles. 95 sv. BISOGNI LUDICI - sonagli, campanelli, carillons, specchi e mobiles (oggetti da appendere sopra al lettino) aiutano il bambino a prendere coscienza delle consegenze dei suoi movimenti. Durante i primi mesi il bambino gioca soprattutto con il suo corpo e con quello della madre attraverso gesti, carezze e coccole. Manipolando oggetti e giocattoli il bambino comincia ad operare una distinzione tra sé e il mondo; attraverso la ripetizione di semplici gesti intuisce le prime corrispondenze tra cause ed effetti e sviluppa i suoi schemi motori. Il gioco vero e proprio comicia con la comparsa dei movimenti volontari intorno ai 6-7 mesi. 1 anno: la curiosità Il bambino migliora soprattutto nell’area motoria e nelle abilità linguistiche. Imparando a camminare il bambino può cominciare ad esplorare il mondo circostante e sperimentare molti nuovi movimenti. La curiosità lo porta ad interagire con gli oggetti che incontra sul cammino in modo particolare con quelli a lui più vicini ovvero la pappa e l’acqua del bagnetto. La manipolazione degli oggetti migliora la motricità fine permettendo movimenti sempre più controllati. - primipassi, trainabili, palle, cuscini, dondoli, tricicli (senza pedali), sedie e sgabelli da spostare sono di grande aiuto per migliorare l’abilità nel camminare. -racconti musicali, ninnenanne, canzoncine, filastrocche, bolle di sapone e strumenti musicali a fiato aiutano lo sviluppo del linguaggio e dei sistemi muscolari di bocca e apparato respiratorio. - tutto l’occorrente per giocare con l’acqua. Da uno a due anni: la curiosità Bisogna sottolineare che in questo periodo il bambino concentra le sue forze soprattutto nel miglioramento di due abilità fondamentali: la comunicazione verbale e lo sviluppo motorio. Imparare a camminare significa conquistare progressivamente nuovi spazi in un percorso graduale verso l’autonomia. Molti giocattoli favoriscono lo sviluppo motorio e possono rivelarsi utili in questo momento. Sono molto consigliati i cosiddetti “primipassi”, tricicli senza pedali, tutti i tipi di palla, grandi cuscini sui quali rotolare, sedie, sgabelli, tutto ciò che il bambino può spingere e trainare, ecc. Il bambino sarà felice di mettere alla prova le abilità motorie recentemente acquisite in percorsi che gli permettono una ampia gamma di azioni diversificate, come arrampicarsi, saltare, strisciare, scavalcare, rimbalzare, rotolarsi, spingere ecc. questo avviene, ad esempio, nei parchi giochi dove i fortini dotati di reti, scivoli, funi, scalini pertiche permettono di mettersi alla prova in tutte queste attività ( spesso ancora sperimentate con l’aiuto dell’adulto ). Di pari importanza è lo sviluppo del linguaggio. Parlare è dire di sé, chiedere delle cose, esprimere desideri e stati d’animo, è manifestare il proprio pensiero e confron- tarlo con quello di un altro. Il bambino parla e ottiene qualcosa in cambio ( un gioco, un sorriso, una sgridata ) e queste risposte lo sollecitano a continuare a parlare ripetendo e migliorando le parole e le frasi che hanno pro96 sv. BISOGNI LUDICI -costruzioni con pezzi grandi, incastri, cubi, chiavi, pupazzi con vari tipi di allacciature, primi puzzle, pasta per modellare, matite, pennarelli, libri di legno, stoffa e cartone, riviste da sfogliare e strappare impegnano l bambino a migliorare la qualità dei movimenti. -pupazzi, peluche, bambolotti, veicoli di grandi dimensioni sono tutti giochi adatti al gioco del bambino a partire da questo periodo. dotto delle reazioni nell’adulto. Non bisogna dimenticare che il linguaggio non è fatto solo di parole ma di una serie più ampia di capacità espressive che possono essere migliorate attraverso numerosi giochi. I giocattoli che possono aiutare a sollecitarle sono: —la voce dell’adulto che dialoga con il bambino ( racconta, descrive, canta, parla, chiede ); —l’ascolto di musica e canzoncine; —la lettura di brevi racconti e filastrocche ( che introducono nuovi elementi nella conoscenza del bambino ) —l’uso di semplici strumenti musicali a fiato ( armoniche, fischietti ) e le bolle di sapone ( soffiando il bambino rinforza i muscoli della bocca e impara a modulare meglio il flusso d’aria che dai polmoni raggiunge la bocca ). Il bambino in questo periodo della crescita è molto curioso ed è fondamentale che gli sia data la possibilità di mettersi alla prova giocando con gli oggetti che lo circondano. In particola- re potranno essere molto divertenti il momento del pranzo ( e della sua preparazione ), e quello del bagno. Il bambino può imparare molto anche giocando con il cibo; oltre ad es- sere un buon esercizio per arricchire le capacità d’uso delle manine ( che impastano, tagliano, schiacciando e 97 spremono ) il piccolo comincia a conoscere e sperimentare le diverse proprietà del cibo: il colore, il sapore, la consistenza ecc. Un altro elemento della quotidianità che attira in modo particolare l’attenzione dei bambini di quest’età è l’acqua. È possibile organizzare un vasto numero di giochi acquatici durante il bagno e in altre occasione appositamente allestite. Può essere interessante immergere diversi oggetti nell’acqua e osservare le reazioni che si innescano ( qualcuno galleggia, altri vanno a fondo, si inzuppano, si sciolgono ) oppure travasare l’acqua da un contenitore all’altro ( scoprendo quali contenitori sono adatti e quali non si prestano a questo gioco ) ed anche mischiare diversi liquidi osservando le variazioni che si innescano. In questo stesso periodo cominciano le prime sperimentazione nell’ambito dell’espressione artistica; l’uso dei colori, dal pongo alle matite colorate, tutta la gamma dai colori a dita ai gessetti, offrono al bambino innumerevoli occasioni per scoprire, usare ed esprimere se stesso e la realtà che lo circonda. Esistono molti mezzi oggi per permettere ai bambini di divertirsi giocando con i colori e solitamente i più picco- li traggono molto piacere dallo sporcarsi le mani ( e non solo quelle ) in questo genere di attività; idealmente significa “entrare” nel colore, lasciare un impronta di se Libretto galleggiante per il bagno progettato durante il mio periodo di stage ( oggi in produzione per Primì ). sul foglio potendo trasgredire la regola dell’“attento a non sporcarti”. Il bambino inizialmente prenderà confidenza con i diversi oggetti capaci di tracciare un segno o colorare una superficie e soltanto dopo avere lasciato numerose macchie e avere tracciato diversi scarabocchi comincerà a sentire l’esigenza di trasporre sulla carta ciò che vede intorno a se, come sa farlo e come lo interpreta, in una visione del tutto personale della realtà. Lentamente, con il passare degli anni, arriverà anche la competenza relativa all’uso dei diversi utensili ( pennel- li, matite, colla e forbici ) ma nel primo periodo è bene lasciare massima libertà al bambino senza insistere nel volere insegnare il “modo giusto” di rappresentare una cosa ( a meno che non sia il bambino stesso a chiedere 98 suggerimenti ). Concludo ricordando che durante questo periodo il gioco è perlo- più gioco solitario. Nei giochi solitari l’attività è principalmente individuale, il bambino tende a non includere nei suoi giochi gli altri bambini. Gli studiosi non sono sempre concordi nel definire la quantità e il tipo di contatti sociali che vengono instaurati tra i dieci mesi e i due anni di vita. Sono stati fatti numerosi esperimenti per cercare di analizzare l’atteggiamento di bambini da cui è risultato, in linea generale, che un bambino di due anni non ha ancora appreso bene come giocare con gli altri. Dato che la sua attitudine sociale, finora, è stata basata sull’espe- rienza fatta con gli adulti ( i genitori, in particolare ), dovrà ora imparare ad instaurare un rapporto reciprocamente piacevole con un compagno di giochi volubile, come può esserlo un coetaneo. Giocattoli per il periodo da uno a due anni: —costruzioni con pezzi grandi, cubi, incastri, casette con chiavi, cubi sovrapponibili; —libri da bagno, di legno, di stoffa, riviste da sfogliare e strappare, primi puzzle; —matite, pennarelli, colori a dita, pasta colorata da modellare; —primipassi, palle, sedie e sgabelli da spostare, cesti e scatole, cavallo a dondolo, veicoli di grandi dimensioni; —pupazzi, peluche, bambole e bambolotti, pupazzi con vari tipi di allacciature; —tutto l’occorrente per giocare con l’acqua. In alto: I prelibri di Munari, ogni libro è realizzato in materiali diversi ed è studiato per stimolare la sensorialità e l’intelligenza dei più piccoli. A lato: ochetta primipassi in legno in vendita presso Città del Sole, Tavolo gioco attrezzato. 99 2-3 anni: l’autonomia A tre anni il bambino ha già vissuto molte esperienze ed assimilato parecchi concetti che devono ora essere elaborati e organizzati in un disegno armonico. È il momento dei perché e dei giochi che aiutano il bambino ad organizzare le informazioni. Il bambino è ancora molto interesato alle sperimentazioni materiali e con l’acqua. Le nuove capacià acquisite permetto al piccolo di realizzare le pime creazioni. - giochi didattici, tombole, sapientino, puzzle, domini e tutti i giochi che assecondano la voglia di imparare e fare ordine tra i tanti concetti acquisiti. - tricicli, cariole, veicoli a pedali, palle, palloni, palloncini. birilli, ponpon ecc. per proseguire lo sviluppo della motricità - materiale per colorare, dipingere e per il collage, gessetti, costruzioni ad incastro e sovrapponibili. - materiale per giocare con l’acqua. Tra i due e i tre anni: l’autonomia Due anni Il bambino in questa fase esplora la realtà che lo circonda sotto la spinta di una nuova curiosità. Dopo avere “visto” quello che c’è, imparato come si chiama, scoperto che è diverso da sé e dagli altri oggetti, dopo avere compreso –sia pure in modo empirico– la differenza tra i colori, le forme, le funzioni, i materiali, è il moneto dei “Perché?”. Questa domanda incalzante rivela la necessità, il bisogno di saperne di più e anche la capacità di assimilare nuovi concetti. Il bambino sente l’esigenza di cominciare a fare ordine nella sua mente nella quale dal momento della nascita ha “buttato” un gran numero di conoscenze. Il terzo anno è quindi dedicato il larga misura al riordino e alla rielaborazione delle informazioni ricevute in modo da poterne ricevere di più complesse. Cominciano a farsi strada agli occhi del bambino analogie, differenze, similitudini, associazio- ni che mettono in relazione oggetti e persone tra di loro e con lui. I materiali che possono aiutare il bambino ad organizzare il suo pensiero per sviluppare nuove abilità intellettuali sono le tombole, i domino, i puzzle, gli incastri, le carte logiche, e in generale quegli oggetti comunemente conosciuti come giocattoli didattici. Il bambino può mettersi alla prova nell’associazione di figure, nella capacità di scoprire relazioni, nell’apprendimento di nuovi 100 - pentoline, piatti, tazze, cucina, aspirapolvere, valigetta da dottore, cassetta degli attrezzi per immedesimarsi nei ruoli meglio conosciuti (la mamma, il dottore, il vigile ecc). - bambole, bamboloti, burattini, animali, specchi, travestimenti per arricchire il gioco simbolico. - libri gioco in cartone, stoffa, comma, legno... vocaboli e nella capacità di creare insiemi. È chiaro che per questo tipo di attività è indispensabile, almeno nella fase iniziale, la presenza dell’adulto che aiuti il bambino a comprendere come usare il gioco in modo corretto incentivando il suo interesse per questi oggetti. In ogni caso questo tipo di materiale non deve essere l’unico con il quale il bambino abbia la possibilità di giocare e soprattutto è importante che sia libero di usare questo materiale strutturato anche in modi impropri ( senza che sia necessariamente un gioco impegnato e produttivo ); l’apprendimento a questa età è infatti implicito in ogni tipo di gioco. Con l’inizio del secondo anno, come conseguenza della crescente autonomia acquisita, il bambino si trova di fronte al problema della separazione dalla madre e le conseguenti ansie d’abbandono. Il gioco può diventare espressione di questi problemi come ha ben eviden- ziato Freud nel suo saggio “Al di là del principio del piacere” in cui racconta il gioco del nipote Ernst su cui torneremo nei prossimi capitoli. Questo semplice giochino ( che consisteva nel lancio e nel recupero di un rocchetto accompagnato da numerosi gridolini ) che il bambino ripeteva puntualmente in assenza della madre, aveva la funzione di controllare un evento spiacevole: l’angoscia da separazione. Il ritorno del rocchet- to lo rassicurava sul fatto che la madre, anche se spariva, sarebbe poi ricomparsa. Freud osserva che una delle funzioni tipiche del gioco infantile è la ripro- duzione attiva e ripetuta di esperienze frustranti allo scopo di padroneg- giare e superare il trauma e la paura, chiama questo fenomeno coazione a ripetere, in questo caso il gioco rappresenta un meccanismo di difesa dal- 101 sv. BISOGNI LUDICI In questo periodo il bambino frequenta l’asilo dove vive i primi momenti di gioco con gli amici. Si tratta inizialmente di gioco in parallello. Compaiono (nel periodo dai due ai sei anni) i giochi simbolici e drammatici in cui il bambino rappresenta la realtà e le esperienze vissute (anche quelle negative e angoscianti) confrontandosi con i ruoli famigliari e sociali. Le dinamiche edipiche in atto spesso si trasformano nei primi giochi di lotta. l’angoscia provocata dalla separazione. Il periodo che va dai due ai sei anni di vita è caratterizzato dalla comparsa dei giochi simbolici e drammatici. Si collocano nella fase detta “rappresentati- va”, in cui il bambino acquisisce la capacità di rappresentare tramite gesti o oggetti una situazione non attuale. Si sviluppa la capacità di immaginazio- ne e di imitazione, per cui i giochi preferiti sono quelli in cui, ad esempio, il bambino si improvvisa attore ( finge di dormire, di cadere ) o magari regista ( chiede ad altri di fingere di dormire o cadere ). Il simbolismo che emerge da queste attività permette di riprodurre esperienze viste ma non ancora direttamente sperimentate. Nel gioco simbolico il bambino prende confidenza con i ruoli familiari e sociali ( i mestieri, la mamma il papà, i personaggi televisivi ) mentre attraver- so il gioco drammatico il piccolo interpreta le sue emozioni rappresentando a modo suo la realtà. Attraverso il gioco simbolico ripete i gesti e le parole di una situazione proponendosi di solito non come il soggetto che ha subito l’azione ma come il personaggio che è intervenuto su di lui ( è il medico che visita o fa la puntura, è la mamma che sgrida o coccola la bambola, il negoziante che vende, la maestra che insegna ecc.. ). Questo tipo di giochi proseguiranno molto a lungo per il duplice bisogno da un lato di capire come “funzionano “ le persone e dall’altro di gestire in qualche modo le tensioni emotive che nascono a partire dai primi rapporti con gli altri. Attraverso il gioco simbolico il bambino interpreta i primi ruoli e ripete gesti che ha compiuto in prima persona ho ha visto compiere. Inizialmente ripropone le sue stesse azioni, poi passa ad interpretare i ruoli familiari a cui seguono sucessivamente gli stereotipi dei ruoli sociali ( pompiere, poliziotto, maestra ) per arrivare in ultimo ai personaggi famosi o dei cartoni animati e a personaggi inventati. 102 Continuano ad essere molto interessanti anche le sperimentazioni materiali; i giochi con l’acqua si fanno più complessi e articolati, le conoscenze e le capacità aumentano e il bambino è per la prima volta in grado di sfruttare le sue capacità manuali per realizzare piccoli progetti ( semplici collage, realizzazioni di lego, infilare perline o pasta in un filo per fare una collana, rac- cogliere e incollare materiai i varia natura ). Continua anche il divertimento legato all’uso dei colori e alla rappresentazione pittorica. Tre anni Verso i tre anni emergono secondo Freud giochi che rivelano la dinamica edipica che il bambino affronta a questa età. I giochi possono essere di guerra o di lotta. Compaiono i primi giochi di socializzazione, il bambino è interessato a giocare con altri compagni, in particolare, prova piacere ad imitare il comportamento degli adulti, gioca ad essere mamma o papà indossando i loro abiti. Prevale anche in questo periodo la fase di assimilazione: il bambino, infatti, non riuscendo ad adattarsi ad una realtà ancora troppo difficile da capire, compie l’azione inversa, ovvero, la ricrea a suo piacimento. Attraverso questo processo di trasformazione basato sul “far finta”, il bambino delinea delle situazioni, delle scene, da un punto esclusivamente ego- centrico: un cucchiaio può diventare un telefono, la bambola una figlia e così via. Ciò che è importante sottolineare, però, è che il bambino è consapevole di fingere, di mettere in scena una realtà immaginata: è il suo modo, naturale e spontaneo, di “possedere” le regole del mondo. Nei giochi simbolici assume una notevole importanza il linguaggio: con una parola ogni oggetto può essere trasformato in qualcosa di diverso, più bello, più utile; qui si sviluppa inoltre un primo livello di dialogo, seppure unilaterale, con i giocattoli, che vengono coinvolti negli stati d’animo del momento. Si sviluppano in questa fase della crescita i cosiddetti giochi in parallelo. A partire dal secondo–terzo anno di vita infatti il bambino comincia a sentire il desiderio di integrarsi e comunicare con gli altri, di capire le cose che lo circondano: per farlo si serve dell’uso di simboli. Il bambino, meno assorbi- to in se stesso, desidera coinvolgere altri in giochi che diventano complessi, assegnando e scambiando ruoli, usando immagini, oggetti inventati ecc. Non si tratta tuttavia ancora di un vero e proprio giocare insieme: l’intera- zione scarsa e l’organizzazione ancora precaria non permettono che il gioco si sviluppi per più di qualche decina di secondi per poi procedere sul piano personale; per questo motivo si parla di gioco parallelo. Tuttavia il piccolo trae molto piacere dal giocare insieme con gli amichetti. 103 Giocattoli per il periodo dei due, tre anni: — palle ( anche di cuoio e spugna ), birilli, bocce; — tricicli, carriole, veicoli, macchinine a pedali; — pentole grandi e piccole ( vere o finte ); — libricini di cartone, stoffa, gomma ecc.; — bambole e bambolotti, burattini, teatrino, abiti per travesti- menti, specchi; — costruzioni varie a incastro e sovrapponibili; — materiale per colorare, dipingere e per il collage; — materiale per giocare con l’acqua. Alcuni esempi di giochi adatti a questa fascia d’età: – cucina, valigietta del dottore, carello della spesa, bambole per il gioco simbolico, – cariola, palle e trainabili per lo sviluppo della motricità – tombola domino e altri giochi didattici per ordinare i concetti acquisiti. 104 Dai quattro ai sei anni: l’esplorazione L’esercizio ludico si fa sempre più frenetico. L’autonomia del bambino è in continua espansione e i suoi desideri di affermarsi spesso portano a dei conflitti con l’utorità dell’adulto costretto a porre dei limiti alla libertà del bam- bino. I giochi sono sempre più elaborati e i confini del mondo del bambino sempre più ampi ( non più solo la casa e la famiglia ma anche gli amici, la scuola materna, il parco, il cortile ecc ). L’attività ludica comincia ad essere spinta dalla fantasia e le capacità precedentemente acquisite alimentano nuove scoperte, permettendo l’affermarsi di abilità sempre più complesse. È il momento della bicicletta, dei pattini a rotelle, dei giochi collettivi con gli altri bambini. Vengono introdotti i primi giochi regolamentati con i quali il piccolo familiarizza imparando a vincere, a perdere e a rispettare i turni. Il bambino è molto attento in questo periodo anche alle risorse dell’ambiente: valuta le dimensioni di un tronco d’albero o di una siepe se sta giocando a nascondino, scavalca siepi e panchine, cammina in equilibrio sui muretti, sta attento a non calpestare le righe del marciapiede, segue i disegni tracciati dalle ombre ecc. In questo periodo i giochi sono espressione delle dinamiche interne che il bambino sta vivendo quali il gioco della bambola, il gioco del dottore, il gio- co a nascondino, attraverso questi è evidente che continua nel processo di drammatizzazione mettendo in scena esperienze e punizioni subite. Il gioco interattivo o sociale compare fra i tre e i sei anni. I passaggi dal gioco simbolico individuale a quello sociale o sociodrammatico, in cui vengono “interpretati” personaggi riconoscibili e situazioni di vita reale, diventano sempre più frequenti. Il gioco sociodrammatico permette ai bambini di provare ruoli diversi e di organizzare il gioco secondo una sequenza strutturata, applicando quello che hanno imparato alle esigenze cognitive e sociali della vita quotidiana. Si tratta di uno dei più complessi generi di gioco dell’infanzia, poiché, probabilmente, comprende la maggior parte, se non tutte, le risorse a disposizione del bambino e le integra in un insieme. Una componente importante del gioco sociodrammatico è la intercoordinazione: il bambino deve saper costruire e mantenere la stessa struttura di fantasia del compagno di giochi. Edith Cobb, nel suo libro “Il genio dell’infanzia”, ha descritto questo periodo di presenza crescente del gioco sociale come l’età in cui il bambino può ri- fugiarsi fra le quinte del mondo circostante e trasformare se stesso in un 105 “teatro percettivo” nel quale è “ad un tempo impresario, autore e protagonista”. Altre componenti essenziali del gioco sociodrammatico sono la metacomunicazione e il role playing, due ulteriori strumenti che segnano il passaggio da un gioco solitario ed egocentrico ad uno sociale ed interattivo. La metacomunicazione viene definita da Bateson ( 1971 ) come la comunicazione che serve a rivelare la natura del “come se” del gioco simbolico. Il bambino ha la capacità di distinguere la realtà dalla finzione ma gioca su un livello in cui il confine non è netto, in cui, cioè, si instaura un’altra realtà. Come capiamo, per esempio, se una bambina sta “interpretando” il ruolo della fata o della strega cattiva? Con molta probabilità dichiarerà apertamente il suo stato al compagno di giochi ma tenterà anche di calarsi nel ruolo scelto, modificando la gestualità, la voce ecc. Si deve sempre essere in grado di dire se i bambini che giocano simulando dei ruoli possono e riescono a distinguere tra la situazione reale e quella trasformata: anche in questo caso, comunque, le indicazioni che gli “attori” del gioco danno sono piuttosto esplicite. Spesso, infatti, i bambini discutono gli aspetti della loro situazione immediata o prevista: “facciamo che io ero la mamma gatto e tu il gattino?”. Si fa molte volte riferimento anche all’essere dentro o fuori da una conte- sto di finzione: “Non sono più il drago adesso, non mi spingere più!” O ancora “adesso io ero malato. Ma per finta”. Come fa notare Gianni Rodari in “Grammatica della fantasia” la consapevolezza della finzione è evidente e si manifesta a livello linguistico con l’uso dei verbi all’imperfetto, es. “facciamo che eravamo al mare?”, capaci di trasportare subito i bambini in un piano parallelo di finzione. Nel racconto proposto ( tratto da una vera giornata di gioco di due bambini: Roberta e Giorgio ), Rodari mettere in evidenza come l’imperfetto sia usato anche nello svolgimento del gioco e non slo nel momento in cui bisogna impostare lo scenario. “... noi ci nascondevamo... ccendevamo il fuoco e poi ci addormentavamo... Adesso era mattina e io cercavo i poli per cuocere il pranzo... e poi io mi suicidavo; diventavo una mummia etu scappavi....” Con il termine Role playing si intende il comportamento con il quale il bambino simula l’identità o le caratteristiche di un’altra persona. Garvey descrive i tre tipi di ruoli che i bambini adottano, di solito, nel gioco: —ruoli relazionali che riflettono determinate relazione sociali ( genito- 106 re–bambino, dottore–paziente ); —ruoli funzionali che si basano sull’imitazione di una specifica attività ( cucinare, fare la spesa ); —ruoli di personaggi che si basano sull’imitazione di stereotipi ( il pompiere spegne il fuoco, il poliziotto arresta il ladro o piuttosto le gesta di personaggi dei cartoni animati o delle fiabe ); I ruoli relazionali sono propri dei bambini più piccoli: intorno ai due–tre anni i ruoli sono quasi sempre riferiti a se stessi in rapporto, ad esempio, al genitore e si basano su situazioni riprese dalla vita reale. Intorno ai cinque anni i ruoli di relazione si estendono normalmente oltre alle esperienze di interazione strettamente personali e si esplicano nella rappresentazione di relazioni osservate in altri ( es: la moglie e il marito ). Inoltre, mentre i bambini di tre anni tendono a sviluppare i loro ruoli indi- pendentemente dai loro compagni ( ognuno ha la propria parte da recitare senza che sia collegata alle altre ), i bambini più grandi ( cinque–sei anni ) sono più abili a creare delle strutture di gioco in cui i ruoli si sviluppano l’uno in relazione con l’altro, denotando una maggiore “confidenza” con la relazione con la vita sociale reale. È frequente che a partire da questa età ( ma anche durante gli anni succes- sivi ) il bambino si intrattenga giocando con amici invisibili e immaginari. Da quanto emerso da una ricerca sviluppata dall’Università dell’Oregon e di Washington e divulgata in Italia dall’ANSA nel dicembre 2004, circa il 66% dei bambini con un’età compresa tra i 3 e i 7 anni possiede uno o più amici immaginari. Il 33% continua ad averne uno anche dopo quest’età. Per il 67% dei bimbi di 7 anni si tratta di amichetti invisibili, umani o animali, il più delle volte incarnati da bambole o pupazzi. Come spiega la dottoressa Tilde Giani Gallino, docente di psicologia dell’età evolutiva presso l’Università di Torino e autrice del libro “Il bambino e i suoi doppi. L’ombra e i compagni immaginari nello sviluppo di sé”, si tratta di un fenomeno decisamente nor- male, segnale di grande intelligenza, creatività e fantasia che nulla ha a che fare, con presunti disturbi del comporta- mento o con la solitudine. Il Doppio, ovvero il personaggio fantastico frutto della fantasia del bambino, nascerebbe dalla scoperta della propria ombra o dal rapporto instaurato con il peluche preferito. Tra i tre e i cinque anni i bambini iniziano a notare l’ombra, a osservarne le proprietà, a giocarci e un po’ alla volta a trattarla come essere a sé stante. La capacità di ideare un amico immaginario “stabile” con il quale giocare si colloca ad un’età più elevata, attorno ai sei, sette anni. L’inventore di tale personaggio sa fare una distinzione tra realtà e finzio107 4-6 anni: l’esplorazione Il mondo del bambino è sempre più ricco di ambienti, rapporti sociali, giochi ed esperienze. Il bambino è molto attento alla realtà che lo circonda fatta di oggetti, relazioni, dimensioni, materiali, esperienze. Compie notevoli miglioramenti sul piano della coordinazione motoria e il tempo dedicato al gioco copre la maggior parte della giornata. Il gioco simbolico scivola gradualmente nel gioco sociale nel quale il bambino interpreta un ruolo coordinandosi con gli amichetti che diventano parte integrante della sua vita. Il bambino comincia ad esercitare l’immaginazione. - bicicletta, pattini, freesbee, trampoli, monopattino, palloni, corda per saltare, kiwido, racchettoni, trotole, acquilone ecc. per migliorare la coordinazione motoria. - bambole, bambolotti, action fugures, travestimenti, burattini, attrezzi per i giochi dei mestieri, automobiline per i giochi di proiezione e rappresentazione. - materiale per colorare, dipingere e per il collage, costruzioni, colla, timbrini, forbici, lavagne, lente d’ingradimento... ne, è consapevole che il suo “doppio” è frutto della fantasia, ma nonostante ciò, egli ne trae grande conforto. L’influenza subita dal bambino da questo compagno fantasticato è tale che, non solo il suo piccolo inventore gli attri- buisce delle emozioni, ma è convinto che alcuni dei suoi stati d’animo siano stati determinati dal comportamento del personaggio fantasticato. La figura del “Doppio” è rilevante per lo sviluppo sociale del bambino non solo perché gli fa compagnia, ma perché è dotato di una personalità tutta sua che non rispecchia semplicemente quella del suo inventore. Il bambino attribuisce all’amico inventato delle caratteristiche che appartengono alle persone che lo circondano, come il padre, il fratello… in questo modo, nella relazione con il doppio il bambino può ritrovare non solo l’immagine che ha di sé stesso ma anche le opinioni che gli altri manifestano di lui. Su questo tema si sviluppa la serie televisiva “Gli amici immaginari di Casa Fosters” un cartone animato molto interessante di recente uscita che rac- conta le avventure che si svolgono all’interno di una casa molto speciale. La casa in questione è un ipotetico ospizio dove i bambini abbandonano gli amici immaginari nel momento in cui non ne hanno più bisogno o quando, come avviene al protagonista di otto anni MAC, la mamma non è più disposta ad accettare l’amichetto invisibile del figlio. Giocattoli per il periodo dai quattro ai sei anni: —giochi per la coordinazoine motoria: bicicletta, pattini a rotelle, monopattino, corda per saltare, trampoli, pompon ( pallone da salto ), freesby, volano, palloni vari; 108 - strumenti musicali, registratore di suoni, riproduttori musicali... - primi semplici giochi da tavolo: oca, memory, puzzle, roulette, domino e giochi didattici... L’inizio della scuola modifica profondamente le abitudini di vita del bambino. I nuovi contatti sociali vissuti evidenziano la necesità di adottare regole di comportamento necessarie alla convivenza sociale. Le regole diventano un aspetto fondamentale della vita del ragazzo che attraverso il gioco le sperimenta, le inventa, le rispetta o le trasgredisce. Il rapporto con gli amici diventa fondamentale e il giudizio degli altri risulta molto importante. La fantasia è molto ben sviluppata e si manifesta nel gioco simbolico e nei giochi di progettazione. Aumenta l’interesse per la narrazione. —personaggi per il gioco di proiezione e rappresentazione: bambole, bambolotti, action figures, travestimenti, burattini per teatrino; —attrezzatura per realizzare piccole costruzioni, utensili per attività manuali, colla, forbici; — tutto l’occorrente per disegnare e colorare, lavagne varie; —attrezzi per i vari giochi dei mestieri: valigia del dottore, mercanzia per la bancarella, garage, piste automobilistiche, aerei barche, astronavi, ecc.; —primi semplici giochi da tavolo: gioco dell’oca, shangai, pulce, biliardino ecc. —strumenti musicali. 109 sv. BISOGNI LUDICI 6-10 anni: la vita sociale - bicicletta, palla, salterello, trampoli, monopattino, skateboard, attrezzature per lo sport, yo-yo, diablo ecc. materiale vario per lo sviluppo motorio, della coordinazione e dell’equilibrio. - giochi in scatola, di fortuna (tombola, roulette), logica, strategia (scacchi, dama carte, tris, forza4), abilità (pulce, shangai, twister, tangram), di parole (cruciverba, scarabeo), rompicapi... Dai sei ai dieci anni: la vita sociale Bisogna premettere che in questa fase la vita del bambino attraversa grandi cambiamenti. L’inizio della scuola modifica rapidamente e in modo profondo le abitudini e il modo di pensare del bambino. Innanzitutto diminuisce fortemente il tempo libero dei bambini; il tempo passato in aula e dedica- to all’attenzione e allo studio assorbono parte del tempo prima dedicato al gioco; i programmi spesso rigidi delle scuole tradizionali creano una spac- catura molto forte tra l’attività educativa e il gioco ( che in qualche modo ne viene scoraggiato ). A scuola inoltre si finisce per trovarsi con compagni di classe non scelti in un ambiente ristretto e rigidamente strutturato; questa situazione porta molto spesso il bambino a cercare nuovi spazi e nuove modalità di gioco. Nell’età della fanciullezza i giochi diventano di gruppo e con regole, questo permette al bambino di sperimentare lo stare con gli altri attraverso giochi strutturati, in questo periodo le regole diventano funzionali ad un miglior funzionamento del gioco. Sono proprio i giochi fortemente regolati a carat- terizzare il periodo dai sette agli undici anni, nella fase detta “sociale”, in cui il bambino comincia a vivere pienamente il rapporto con gli altri. Questa fase è caratterizzata da una maggiore aderenza alla realtà, anche se continua a prevalere l’assimilazione sull’accomodamento. Il bambino, sperimentando la vita di gruppo, si trova di fronte a determinate regole che è tenuto a rispettare. Lo spirito di competizione o di cooperazione che derivano dalle relazioni interpersonali, soprattutto in ambienti 110 - materiale per l’attività grafico pittorica, altri giochi di espressione (creta, das, ricamo, colori per stoffa, vetro...). - kit per attività creative ( set per creare collanine, scubidù, spillette, cioccolatini, ovetti...), strumenti per esperimenti scientifici e sperimentazioni (terrario, caleidoscopio, erbario, telescopio, piccolo chimico, professor Horripilus)... - robot, veicoli radiocomandati, videogiochi, giochi elettronici di interazione, costruzioni varie anche complesse... -libri, fumetti, fiabe e avventure quali la scuola, la palestra ecc., portano il bambino a preferire giochi che rispecchiano tale realtà, in cui, cioè, le regole vengono viste non più come imposizioni da accettare, seppur malvolentieri, ma come mezzi necessari per il buon andamento del gioco stesso. La comparsa delle regole determina la fine del gioco infantile propriamente detto e inaugura una fase di crescita altamente educativa, in cui viene stimolato l’autocontrollo del bambino ed ancora le sue capacità di concentrazione, di memoria, di strategia ecc. Spesso il gioco si presenta anche come forma di trasgressione e provocazione. Ogni bambino sa che ogni gioco ha le sue regole e che, se queste non vengono rispettate, si rischia non solo di perdere ma anche di essere allontanato dal gruppo da parte degli amici ( o di essere rimproverati dai genitori ). Tuttavia la trasgressione rappresenta un momento molto importante del gioco; il bambino ha bisogno di scoprire se è proprio vero che quello che gli è stato detto. È necessario provare la sensazione di litigare con i compa- gni ( tanto più tardi si potrà fare pace ), di disturbare il gioco ignorando la legge, di venire meno all’impegno, di fare diversamente per vedere l’effetto che questo comportamento produce. Spesso questa volontà di trasgressione spinge anche alla distruzione del gioco che non sempre è spinta dalla curiosità del vedere cosa il giocattolo nasconda ma semplicemente per richiamare l’attenzione, per reagire alla noia, talvolta anche per verificare se la mamma è capace di mettere in atto il castigo promesso. Il bambino sente un richiamo per il rischio non per una forma di asocialità ma per misurarsi e misurare il possibile e l’impossibile. Spesso per un adulto è difficile capire il piacere del momento “distruttivo” 111 sv. BISOGNI LUDICI - materiale per il gioco simbolico: maschere, burattini, marionette, trucchi, travetimenti, action figures... del gioco infantile; generalmente si tende ad incoraggiare la costruzione più che la distruzione. La trasgressione può essere presente anche nella forma del gioco pericoloso. Il bambino quando gioca è sempre molto attento e per questo anche quando il rischio è pre- sente, se non addirittura cercato, il bambino misura i limiti e le risorse di cui è dotato e affronta la situazione in relazione a queste, in altre parole se e quando “sente di farcela”. È importante, una volta garantiti i limiti di sicurezza, che il bambino faccia esperienza della paura e del dolore fisico anche perché spesso l’acquisizione della realtà deve affrontare lo “scontro” con essa per essere credibile: bisogna arrivare a sapere cosa vuole dire che il fuoco brucia, che il gatto graffia, che l’ago punge, ecc.. Per imparare spesso è necessario anche correre qualche rischio e versare qualche lacrima: a conti fatti imparare ad andare in bicicletta vale una sbucciatura alle ginocchia. I bambini di quest’età sperimentano le regole non solo di gioco ma anche di comportamento, subentrano i primi concetti legati alla morale, alla vita sociale e all’etica. Parole come amicizia, compagnia, lealtà, invidia, disponibilità, indifferenza, amore spingono il bambino a chiedere spiegazioni sul loro significato e a confron- tarsi con la propria esperienza di vissuto quotidiano. È fondamentale che i bambini, specie i figli unici, abbiano la possibilità di passare molto tempo con gli amici condividendo con loro diverse esperienza. Anche i gio- cattoli dunque in questo periodo hanno una funzione aggregante, diventano belli e utili nella misura in cui riscuotono anche l’interesse degli amichetti ( è il periodo in cui i bambini sono più conformisti e vittime della pubblicità ). I contenuti specifici di questi giochi non si scostano molto dai precedenti ma si presentano più complessi e articolati. Da un lato si sviluppa il filone dei giochi da fare in compagnia, nasce quindi a quest’età l’interesse per i giochi da tavolo, mentre giochi più complessi di costruzione e progettazione permettono al bambino di fantasticare liberamente nei momenti di gioco solitario. 112 Pagina di sinistra: –pedalatore per lo sviluppo dell’equilibrio e della destrezza, – kit per giochi creativi, telaio ed elementi per la falegnameria, – gioco scientifico: ingranditore per l’osservazione degli insetti. Tutti in vendita presso Città del Sole Anche il gioco simbolico diventa più fantasioso e si scosta dalle esperienze In questa pagina: – Robosapiens Baby, – Divertigo: un rompicapo geometrico di media difficoltà La sete di esperienza caratteristica di quest’età si traduce anche in uno spic- vissute in prima persona, spesso il bambino crea situazioni ipotetiche non ancora sperimentate che lo proiettano nel futuro ( cosa farò da grande? ) o in realtà totalmente differenti di cui è il protagonista assoluto. Le vicende immaginate o messe in scena non rispecchiano più la vita vissuta e le dinamiche famigliari ma propongono una realtà futura o parallela in cui il bambino è indipendente e realizzato. È cambiato, attraverso l’esperienza scolastica, il punto di vista sulla realtà e, passato un primo momento di smarrimento, il bambino comincia sognare la vita di quando sarà grande e a seconda delle preferenze si immagina scienziato, inventore, cantante, insegnante, archeologo, poliziotto, veterinario ecc. cato interesse per le storie ( fiabe, racconti fantastici, libri, fumetti ) attra- verso i quali il ragazzino può misurare e migliorare le proprie esperienze fantastiche misurandosi con i sentimenti, le attese, i dispiaceri, le paure dei piccoli protagonisti delle vicende ai quali si sente vicino e nei quali si rivede. Giocattoli per il periodo dai sei ai dieci anni: —giochi per la motricità: bicicletta, trampoli, pattini, pinpong, freesby, skate board, monopattino. Attrezzature per lo sport; —utensili per le attività manuali: materiale per l’attività grafico–pittorica, altro materiale più complesso per l’attività artistica: das, gesso, ricamo, pirografo; —materiale per il gioco simbolico: maschere, burattini, travestimenti, action figures, piccolo chimico , materiale per esperimenti scientifici, caleidoscopio; —giochi di strategia, logica e tattica: scacchi, dama, dama cinese, risico, tris; —giochi di fortuna: tombola, roulette, backgammon; —giochi di abilità: shangai, pulce, twister, tangram; —giochi di parole e rompica- po: giochi di parole, giochi di carte, solitari, scarabeo; —libri, fumetti, fiabe avventure. 113 L’infanzia sta giungendo al termine, i rapporti con gli amici si fanno sempre più fitti ma c’è ancora voglia di giocare e scoprire il mondo (sottraendosi al controllo degli adulti). I giocattoli veri e propri cominciano a perdere interesse e l’attenzione si orienta verso altre attività come lo sport, gli hobby, le collezioni, la musica... - giochi di società, abilità... - modellismo, kit per il fai da te, materiale artistico vario, esperimenti scientifici. - rompicapi. - videogiochi. -attrezzature per lo sport. Da dieci a dodici anni: i primi turbamenti Continuano i sogni, le esplorazioni del mondo esterno, i rapporti con gli amici si fanno sempre più fitti ma l’infanzia sta giungendo alla fine. Il rapporto con gli amici è aggregazione di gruppo, soprattutto dello stesso sesso, mentre quello opposto diventa antagonista. Le regole di gioco sono più com- plesse perché vengono a coincidere con le regole di appartenenza al gruppo. Il gioco diventa un pretesto per stare insieme e sottrarsi possibilmente al- l’interferenza degli adulti emancipandosi per la prima volta dalla famiglia. Possono essere considerati giochi il ritrovarsi per andare a passeggio o per una partita di calcetto, così come il comperare da soli il materiale scolastico o un fumetto, gestire le prime paghette settimanali per tenere una collezione o coltivare un hobby. Per le ragazze può essere un gioco il truccarsi con le amiche mentre i ragazzi potrebbero prediligere attività più fisiche come l’esercitarsi insieme con lo skate. Cominciano le prime forme di aggrega- zione legate ad un tema specifico ( tifoserie di calcio, passione per un gioco o sport specifico, attori, gruppi musicali ). Gran parte dell’interesse ancora vivo per il gioco viene dirottato verso le attività sportive ( ritenute più idonee all’accettazione sociale ). A questa età è molto forte il desiderio di “fare da sè” e questa pulsione spesso trova sfogo in attività manuali che richiedono l’utilizzo di utensili prima considerati pericolosi per realizzare i propri progetti. I ragazzi possono rivelare grande abilità dedicandosi ad esempio alla mec- canica, ai computer e all’informatica, alla falegnameria, ai giochi di ruolo, 114 sv. BISOGNI LUDICI 10-12 anni: i primi turbamenti Prevalgono in questo periodo i giochi di società come Twister nell’immagine in basso ), gli esprimenti ( nelle immagini un orologio alimentato “a mela” ), le costruzioni impegnative, il materile per attività sportive, i rompicapi ( a destra la versione elettronica del famosissimo Sodoku ), attrezzature elettroniche ( in basso una mini Cam da ragazzi per le riprese video ), i videogiochi. alla decorazione della cameretta, alle piccole riparazioni, alla personalizzazione dei vestiti ecc. I giocattoli veri e propri cominciano e perdere di interesse e a venire conside rati come occupazioni adatte solo ai più piccoli. La voglia di giocare è ancora presente e viene dirottata su attività più complesse e impegnative come lo sport ( magari praticato a livello agonistico ), il modellismo e altre attività manuali, i giochi di ruolo e simulazione, l’enigmistica, i videogiochi, la musica, le collezioni, il teatro o i giochi di società ecc. 115 Bambini e colori. L’esperienza nella progettazione di giochi mi ha fatto scoprire che spesso le scelte cromatiche per gli artefatti destinati a bambini e ragazzi sono piuttosto limitate e spesso scontate. Esistono infatti colori e armonie cromatiche ricorrenti in tutta la produzione di materiale ludico capaci di identificarlo a prima vista come tale. Mi interessava scoprire se questo atteggiamento avesse dei fondamenti a livello psicologico o fosse più semplicemente un retaggio culturale o una scelta di marketing. I bambini sono fortemente attratti dai colori e sono molto sensibili alle qualità cromatiche degli oggetti che li circondano. Contrariamente agli adulti i fanciulli non hanno alle spalle alcuna esperienza artistica e culturale e il loro approccio ai colori risulta più spontaneo e incondizionato. La scelta dei colori preferiti, così come il rifiuto di alcune tonalità, hanno conseguentemente significati psicologici molto precisi. Max Lusher , un celebre psicologo svizzero del secolo scorso, mise a punto un test dei colori molto interessante ( valido anche per la valutazione dei bambini a partire dai quattro anni ) che viene utilizzato ed apprezzato in tutto il mondo da quasi un secolo. Il test consiste nello scegliere come preferiti o eliminare, a seconda del gusto personale, alcuni cartoncini colorati partendo da un arcobaleno di riferimento che propone una gamma di otto toni. Nonostante il test venga utilizzato principalmente per delineare un profilo psicologico del bambino che si avvicina ai colori, dallo studio dei risultati ottenuti sono emerse alcune considerazioni interessanti. I bambini dai tre ai sei anni ad esempio sono fortemente attratti dai colori ( più che dalla forma ) e prediligono le tonalità decise dai toni violenti. Per questo motivo i più piccoli scelgono spesso i colori primari in particolare il rosso e il giallo. Il bambino considera i colori in modo piuttosto superficiale e solo durante il periodo delle elementari è in grado di cogliere tutte le sfumature e creare delle scale cromatiche. Il bambino di 2–3 anni non si preoccupa molto che i colori dei suoi disegni corrispon- dano a quelli della realtà ( spesso anche il disegno è poco più di uno scarabocchio in cui è il gesto a contare ). La gioia di maneggiare il colore è fine a se stessa e il piacere che ne deriva è connesso all’attività motoria intrapresa. 116 Il colore ha quindi un ruolo ancora marginale ed è per questo che i risultati dei test di Lusher vengono sconsiderati validi a partire dai tre-quattro anni di età. Dai sei ai sette anni le scelte cromatiche si fanno meno violente, questo cambiamento è in parte conseguenza dell’insegnamento scolastico e in parte si lega allo sviluppo della razionalità. Il vero interesse per i colori inizia con i primi tentativi di rappresentazione. In questa fase che dura fino ai sette– otto anni, il fanciullo fa uso dei colori sotto la spinta delle emozioni, perciò il colore degli oggetti e delle persone non sempre corrisponde alle tinte della realtà. Il bambino vive ancora il colore in modo soggettivo: gli può piacere l’arancione per la vivacità e l’allegria che ispira e può decidere di utilizzarlo per disegnare un prato che nella realtà è verde. Crescendo il bambino coglie le relazioni tra i colori e gli oggetti , che inizialmente sono limitate quegli oggetti che hanno per lui un valore emotivo ( ad esempio può disegnare tutte le donne bionde come la mamma ). Con il passare del tempo il bambino scopre un numero sempre più vasto di relazioni e soprattutto comincia ad osservare la realtà e a volerla rappresentare. In questo momento molti oggetti vengono fissati nel disegno ricorrendo a stereotipi: il cielo è rappresentato sempre blu ( anche quando è grigio ), il tetto sempre rosso ( anche se non lo è ) e così via. Verso gli 11–12 anni il bambino scopre il variare dei colori degli oggetti e progressivamente proverà a riportarli in modo realistico sul foglio da disegno. Sulla falsariga degli studi di Lusher la dottoressa Paola Federici ha svolto una ricerca in alcune scuole elementari italiane cercando di scoprire quali fossero i colori preferiti dai bambini. Dallo suo studio è emerso che il colore preferito in assoluto dai sei a dieci anni, anche se pare strano, è risultato essere in assoluto il blu. Risulta infatti che in prima elementare il 27% dei bambini scelga il blu come primo colore preferito men- tre i restati si dividano equamente tra giallo ( 18% ); verde ( 18% ) e infine viola ( 18% che a ben vedere è una miscela di blu e rosso ). Molto bambini hanno scelto come secon- do colore preferito il rosso o il giallo stabilendo, nella valutazione complessiva della gamma dei colori scelti, un arcobaleno tendenzialmente rosso–giallo che rispecchia l’entusiasmo e l’energia dei bambini di sei anni. In seconda elementare la preferenza per il blu sale con- siderevolmente fino al 43% del totale. C’è una generale 117 preferenza per l’arcobaleno verde–blu che corrisponde ad un desiderio di calma e razionalità. In terza elementare il blu rimane il colore preferito ma viene scelto come primo colore solo dal 25% degli alunni; il 21% sceglie invece il rosso e un altro 21% il verde ( i rima- nenti sono suddivisi più o meno equamente tra gli altri colori della mappa ). In quarta il blu torna ad essere il colore più amato ben dal 47% dei bambini contro il 21% del rosso. Il resto si suddivide tra gli altri colori. Anche i colori scelti come secondi preferiti sono molto vari e l’insieme dei colori scelti rispecchia la varietà e la differenza tra le personalità dei bambini che a quest’età rappresentano già una micro–società vera e propria. Verso i dieci anni si assiste ad una vera e propria inverLe carte–colore utilizzate per il test di Lusher. I dati relativi ai colori preferiti dei bambini Italiani delle classi elemntari si riferiscono a questi stessi colori campione utilizzati dalla Dottoressa Federici nelle sue indagini. sione di tendenza; il blu, così amato dai più piccoli, è ormai relegato al solo 8% delle preferenze. Risulta quin- di superata la fase della crescita che porta a preferire questo colore solitamente legato al bisogno di quiete e tranquillità, alla ricerca di significati e di appartenenza al proprio ambiente. Le preferenze sono orientate a colori più brillanti come il verde ( 29% ); il rosso ( 29% ) e il giallo ( 16% ). A questa età stranamente anche il nero conquista un buon 8% ( in precedenza compariva sempre ai primi posti tra i colori più odiati ). Generalmente i colori più rifiutati sono risultati essere i l nero, il grigio e il marrone. A sei anni il nero è rifiutato dal 45% dei bambini seguito dal grigio al 27%. A sette anni il rifiuto per il nero raggiunge il 50% mentre i rimanenti bambini sono suddivisi tra il grigio ( 15% ) il viola( 15% ), e il marrone( 12% ). A otto anni scarta il colore nero ben il 62,5% dei bambini mentre il restante 38,5% dei rifiuti è molto confuso e si suddivide, con notevole dispersione, tra grigio, viola, marrone, blu, verde, giallo. A nove anni 34% dei bambini non ama il marrone, il 31,5% rifiuta il nero e il 25%il grigio. A 10 anni i bloc- chi più consistenti sono due: il 33% rifiuta il nero e il 33% il grigio. Segue il marrone con un buon 21%. Dai risultati di questo studio è emersa anche una sostanziale differenza tra le scelte dei maschi e delle femmine. I maschi ad esempio in prima elementare hanno scelto in blocco ( 100% ) co- lori freddi ( blu o verde ). Per le femmine al contrario la scelta di questi due colori equivale come peso a quella del colore giallo ( 35% dei casi ognuno ). Tra le scelte femminili si impone in modo particolare anche il colore vio118 la ( 23,5% ).A 7 anni i maschi rimangono orientati al blu–verde nel 74% dei casi mentre le bambine si dividono piuttosto equamente nel gruppo verde– blu( 39% ) e giallo–rosso( 46% ). Le posizioni risultano invertite l’anno successivo dove per i maschi abbiamo una prevalenza di rosso e giallo( 42% ) rispetto ai verdi blu( 33% ). Tra le ragazze al contrario il blu–verde raggiunge una quota pari al 50% mentre il giallo–rosso soltanto un 33%. I maschi di nove anni tornano a preferire il blu ( 61% ) seguito dal rosso( 22% ) e dal verde ( solo 11% ). La scelta delle ragazze rimane invariata rispetto all’anno precedente ( gruppo blu–verde 42,8% dei casi contro al 35% di scelte rosso–giallo ) ,a risulta piuttosto importante la scelta del colore viola( 15% ). Al contrario in quinta i ragazzi preferiscono il verde ( nel 44% dei casi ) se- guito dal rosso ( 25% ); e il giallo ( 15% ). Curiosamente a questa età nessun bambino ha preferito il blu che tra le ragazze conquista ancora un 25% di preferenze. Le bambine sono orientate più al gruppo rosso e giallo ( 62,5% ) mentre è completamente assente la scelta del colore verde. Per concludere questo breve e interessante excursus sul rapporto tra bambini e colori riporto alcune caratteristiche salienti relative ai colori più ricorrenti. La conoscenza di questi rimandi può essere molto utile nella scelta dei colori più appropriati da utilizzare in un progetto. Rosso è il colore della forza vitale, è il colore che attiva maggiormente la muscolatura, può accelerare il battito cardiaco e stimola l’appetito. Questo colore è solito caratterizzare le figure leader ( supereroii, leader carismatici, ecc ) in quanto simboleggia il coraggio, l’intraprendenza, la tendenza all’azione e la mascolinità. Talvolta l’eccitazione e l’irruenza dei tipo rosso può trasformarsi in collera. Nel rosa la forza energica del rosso è smorzata e il bianco, il cui significato è libertà, libera l’energia di questo colore dal vincolo di un obiettivo rendendo il rosa più seducente e pieno di charme del rosso. Blu Il blu rappresenta il bisogno fisiologico di quiete. È la calma, l’abbandono, l’appagamento fisico e la riflessione. È il colore della profondità di senti- menti, della femminilità,dell’empatia anche della vulnerabilità. Il blu, specialmente se scuro, simboleggia anche l’eternità, la tradizione, la fidu- cia e la dedizione. La scelta del colore blu oltre a favorire il rilassamento e la meditazione esprime il desiderio di immergersi in un ambiente tranquillo libero da conflitti e fastidi. L’azzurro è una versione alleggerita del blu, liberata della sua gravità, e corrisponde alla serenità senza preoccupazioni. 119 Il giallo È il più vivace dei colori e il suo effetto è di portare luce e allegria. Mentre il rosso appare molto pesante ( e quindi forte ) il giallo viene percepito come leggero ( e scattante ). Il giallo è un colore allegro, ricorda ai bambini il sole, e come il sole tende a irraggiare verso l’esterno sia a livello fisico ( le figure colorate di giallo appaiono più grosse ) sia psicologico ( le persone che prediligono il giallo tendono ad essere molto aperte ed estroverse ). Il giallo sim- boleggia leggerezza, libertà, ottimismo e un pizzico di superficialità; il tipo giallo si butta infatti con entusiasmo in molte attività peccando spesso di scarsa costanza. Allo stesso modo anche la preferenza per il giallo–arancione rinforza corrispondenza ad un carattere ottimista ed espansivo. Il verde Il verde contiene in sé il blu e il giallo ed esprime una certa tensione elastica. Il verde esprime spesso a livello psicologico la volontà, costanza, perseveranza e la tenacia. Esprime fermezza di intenti e resistenza ai cambiamenti. Per questo il verde viene considerato un colore statico( poco utilizzato ad esempio nel mercato dell’auto ), non possiede energia che agisce ma piut- tosto una forma di energia “accumulata”; il verde non conosce la quiete del blu ma tuttavia non si attiva portando all’azione come il giallo. Le persone verdi sono molto concentrate sull’IO, alla costante ricerca di sicu- rezza inseguono i loro obbiettivi con grande dedizione, sono molto esigenti ( verso di se ma anche verso gli altri ), poco influenzabili e tendenzialmente ritenuti egocentrici. Il viola Il viola è un mix di rosso e blu, dei quali miscela le caratteristiche maschili e femminili, tuttavia presenta alcune tratti propri che tendono a farlo con- siderare un colore a sè. La scelta del viola indica un animo particolarmente sensibile portato alla fusione e all’amore per gli altri, alla ricerca di approvazione e dal temperamento seduttivo. Il viola–porpora è un colore particolarmente apprezzato da bambini e artisti in quanto denota la capacità di lasciarsi andare alla sensibilità e alla fantasia senza averne paura. Può indicare anche trasformazione e ambiguità e per questo la preferenza per questo colore è più marcata durante le età di passaggio. Il marrone Il marrone è il risultato della mescolanza di rosso giallo e nero. Il marrone rimane, proprio come il rosso che è la base predominante, un colore vitale 120 tuttavia l’energia del marrone non stimola all’azione ma rappresenta un atteggiamento ricettivo che mira ad una soddisfazione fisica e sensoriale. Le persone che scelgono il marrone sentono il bisogno di rilassarsi e viziarsi ( può insorgere la preferenza per queste tinte in seguito ad un periodo di stress fisico o malattia ). Il grigio Il grigio non è né chiaro, né scuro e nella sua neutralità non presenta più né tensione né sbocco. Scegliere il grigio significa in realtà rimandare la scelta e nasconde spesso il bisogno di mascherarsi agli altri.. È il colore del distacco, della diffidenza, dell’intorpidimento, spesso è un muro dietro il quale proteggersi. Il nero Il nero è il più scuro dei colori ed è la negazione stessa del colore. Il nero simboleggia nella nostra cultura l’atteggiamento negativo, il “no” ( opposto al “si” del bianco ), la morte. Il nero è quindi la rinuncia, l’abbandono, ma anche l’ostinazione ossessiva, la ribellione, le forze negative, la violenza. 121 IG ! i l o tt a c io In questo capitolo intendo indagare il mondo dei giocattoli partendo da una panoramica storia degli artefatti ludici prodotti dall’uomo dall’antichità ai giorni nostri. Il giocattolo è differente dal gioco proprio per il suo carattere “strutturato”; un giocattolo è sempre costruito da un uomo, o un bambino, ed è pensato per un determinato gioco. Un giocattolo, in un certo senso è sempre un prodotto di design, e può essere quindi molto interessante osservarne le forme e gli sviluppi. La seconda parte del capitolo cerca di analizzare l’offerta dei giocattoli individuando famiglie e tipologie di giochi considerado diverse possibilità e punti di vista. Cominciamo dunque con un piccolo accenno alla storia dei balocchi. Storia dei giocattoli L’uso dei giocattoli ha origini lontane: i reperti archeologici rinvenuti nei siti più antichi presentano spesso sorprendenti analogie con alcuni giochi tuttora diffusi tra i bambini di tutto il mondo. Dai racconti tramandatici dai testi antichi sappiamo che si da epoche molto remote i bambini amavano intrattenersi in giochi del tutto simili a quelli dei bambini moderni. I bambini dell’antichità avevano a disposizione numerose opportunità di gioco, come dondolarsi sull’altalena, saltare alla cor- da, lanciare l’aquilone, giocare a rimbalzello, al tiro alla fune o cavalcare un astragali: La speciale conformazione di questi ossicini permetteva agli antichi Romani di riconoscere le facce e potere attribuire un valore specifico ad ognuna di esse per giocare a dadi. bastone. Rimaniamo colpiti dalle molte raffigurazioni di bambini che gio- cano a moscacieca, a nascondino, mentre corrono o si azzuffano tra di loro, oppure intenti al gioco delle noci o a quello degli astragali ( ossicini simili ai dadi molto usati in epoca romana ), che troviamo nella scultura, nella pittura, nella ceramica, nelle decorazioni delle tombe di tutte le civiltà antiche ( specialmente greca e romana ). Molti giochi antichi, giunti fino a noi, derivano direttamente da riti religiosi ancestrali. Erano infatti gesti magici il lancio di un pallone verso il cielo ( per stabilire una comunicazione con il divino ), il gioco del mondo o “campana” ( simbolo di un percorso iniziatico da inferno a paradiso ), le statuette votive molto simili a bambole, le danze, i girotondi. Dopo questo accenno al carattere universale e ricorrente di alcune forme di gioco passiamo ad occuparci degli strumenti di divertimento: i giocattoli delle epoche passate. 123 L’antichità Tra i risultati più interessanti degli scavi archeologici nei siti degli insediamenti di età preistorica, è di grande importanza per gli studiosi del gioco il rinvenimento di resti di antichissimi giocattoli che risalgono fino a circa 20.000 anni fa ( all’era Paleolitica ). Si tratta di piatte assicelle d’osso intagliate, che venivano legate a uno spago e fatte ruotare fino a produrre un rumore particolare. Tra i reperti archiviati come esempi di giocattoli antichi troviamo antiche statuine d’argilla rinvenute in Giap- pone, datate oltre 10.000 anni fa, che presentano tratti venere di Willendorf: c.a. 23.000–19.000 aC, roccia calcarea ,h.cm 11. somatici simili a quelli ancora oggi riprodotti nei moderni giocattoli giapponesi. Il significato originario di quegli oggetti, legato a riti di Il gioco del serpente: Uno dei giochi più antichi di cui si abbia conoscenza è il Mehen, nome che significa “Serpente arrotolato”. Il nome di questo gioco da tavolo deriva dal fatto che le caselle erano disposte come un serpente attorcigliato. I loro dadi erano gli astragali, costruiti con ossa di animali. Il gioco del serpente risale ad un epoca precedente la I dinastia. Si tratta di un gioco di probabile carattere religioso che si svolgeva su una tavola di forma circolare del diametro di circa 30cm che riproduceva le spire concentriche di un serpente avvolto su se stesso con le squame a rappresentare le caselle. Sulle regole di questo gioco si sono solo formulate alcune ipotesi ma ad oggi non si conoscono con precisione poichè le regole originali sono andate completamente perdute. fertilità, è ripreso dagli attuali feticci giapponesi cui si riconosce il potere di scacciare gli spiriti maligni e propiziare la fertilità delle donne, degli animali e della terra. Molti giocattoli antichi si sono conservati fino a noi perché deposti nelle tombe dei bambini: un’abitudine questa presente presso quasi tutte le grandi civiltà del passato ( e non solo ), che rivela l’esistenza di archetipi antropologici pressoché universali. Analizzando i reperti rinvenuti nei numerosi siti archeologici è possibile individuare alcune tipologie di giocat- toli ricorrenti presenti in civiltà distanti anche molto tra loro nel tempo e nello spazio. La bambola, la palla, il sonaglio, la trottola e le statuine di animali, i birilli, rocchetti simili allo yo–yo, carrettini a più ruote, cerchi vantano una storia lunghissima presso tutte le popolazioni antiche e, pur con variazioni di forma materiali e decori, continuano ancora oggi a divertire i bambini. In Egitto sono state rinvenute numerose palle, bambo- le, trottole e animali realizzati in creta, oro, bronzo, avorio e legno, risalenti all’epoca della prima dina- stia ( 3000 a.C. ). A Mohenjo Daro ( 2500–1500 a.C. ), il principale centro della civiltà preariana dell’Indo, nel- l’odierno Pakistan, sono stati trovati reperti analoghi, 124 tra cui spicca un toro dalla testa mobile. Altri giocattoli abbastanza diffusi presso i popoli antichi furono cerchi, carrettini e cavallucci, illustrati ad esempio su vasi greci ( l’arte antica è infatti un altro canale attraverso il quale possiamo apprendere qualcosa sul gioco nell’antichi- tà ). La bambola è un gioco “universale” e appare presso quasi tutte le civiltà antiche. La sua origine si riconduce alle statuine femminili simbolo di fertilità, ricorrenti in molte civiltà: la loro funzione inizialmente non era ludica ma bensì propiziatoria. Bambole dalle sembianze maschili furono realizzate solo in un secondo tempo antico tavolo da gioco egizio: questo gioco è conosciuto sotto diversi nomi: “Gioco dei trenta punti”, “Gioco dei cinquantotto fori”, “Cani e sciacalli”, o anche “Gioco della palma”. I primi due nomi derivano dal numero di fori che ogni giocatore doveva percorrere con i propri pezzi o dal totale dei fori realmente utilizzati, mentre gli altri due si riferiscono alla forma che spesso avevano i pezzi di gioco ed al disegno inciso su molti tavolieri. Questo esemplare è uno dei pezzi più antichi di cui si abbia conoscenza, risale infatti al 2000 a.C. e fu ritrovato a Tebe. Le regole del gioco non sono state tramandate esistono numerose teorie plausibili. Secondo le ipotesi più accreditate, ogni giocatore muoveva i propri pezzi lungo uno dei due lati del percorso e il raggiungimento di determinati punti, evidenziati da un bordo colorato o collegati fra di loro da linee, portava a situazioni particolari. Si potevano guadagnare o perdere turni di gioco oppure avanzare o retrocedere lungo i collegamenti, una regola, quest’ultima, molto simile a quella che ritroviamo nel moderno gioco chiamato Scale e serpenti, che in molti paesi è popolare almeno quanto il Gioco dell’Oca. I pezzi muovevano partendo dalla parte interna del tavoliere, scendendo lungo il tronco della “palma” per poi risalire verso il “cielo”, raggiungendo l’ultimo foro, che era anche l’unico in comune fra i due percorsi. dopo il Paleolitico. Tra i materiali più usati nell’anti- chità vanno citati pietra, creta, legno, cuoio e tessuto. La bambola intesa propriamente come giocattolo viene fatta risalire, grosso modo, al 2000 a . c., nell’Egitto faraonico ed era realizzata in diversi materiali come l’avorio, il legno e la terracotta. Le bambole simboleggiavano l’infanzia delle bambine; l’atto di abbandonar- le, donandole alle divinità, era sinonimo di abbandono dell’infanzia per iniziare la vita adulta, che coincideva con una precoce vita matrimoniale. La palla ( con le sue sottocategorie, biglie, palline, bocce ) è un giocattolo universale e di ogni tempo, confezionato di volta in volta in diverse tipologie con materiali dispo- nibili sul posto il che suggerisce che fossero destinate a giochi molto diversi tra loro. In Scozia sono stati ritrovati esemplari in pietra incisa, dal diametro di circa 6 centimetri, risalenti a 5000 anni fa. Nella valle dell’Indo erano in uso palle di cuoio e giunchi intrecciati, mentre in Egitto una pittura murale del periodo della dodicesima dinastia raffigura alcune bambine che giocano con una palla fatta di paglia e can- ne. Presso gli antichi greci è attestata la diffusione di giochi da eseguire con una vescica d’animale gonfiata. Per quanto sappiamo, presso le civiltà Greca e Romana, i giocattoli venivano regalati ai bambini in diverse occasioni: prima di tutto al momento della nascita, quando veniva imposto il nome al neonato ( come era costume romano ), durante le feste religiose ( le Antesterie in 125 Grecia o i Saturnali a Roma ), come ricompensa per i ri- sultati scolastici, come gratifica per qualche obbiettivo raggiunto, oppure come consolazione per un problema di malattia. Sia in Grecia che a Roma esistevano attività specializzate per la costruzione di giocattoli, come palle, trottole ed astragali, che venivano venduti nelle agorà greche o nelle piccole fiere romane del giocattolo. Persino personaggi di grande prestigio come i matematici Archimede o Archita si cimentarono nella creazioantichi sonagli rinvenuti a Pompei. ne di vari congegni per il gioco: in particolare, proprio Archita inventò i “crepitacula”, comunemente chiamati sonaglini. I crepitacula avevano però già numerosi predecessori; primi sonagli infatti altro non erano che zucche lasciate essiccare, scuotendo le quali i semi rimasti all’inter- no producevano il caratteristico rumore ( questo tipo di fattura del sonaglio è ancora diffuso in molti paesi del Sud del mondo ). Presso alcune civiltà il sonaglio aveva ( e spesso ha tuttora ) la funzione di allontanare gli spiriti maligni. Spesso questa funzione veniva anche affidata ad un fischietto intagliato nel manico. Le campanelle che spesso venivano fissate ai rattles per ingentilirne il senet: Il gioco del Senet era un passatempo molto diffuso nell’antico egitto. Questo gioco da tavolo, simile alla dama, consisteva in una sfida tra due giocatori su una sorta di scacchiera ed era praticato da tutte le classi sociali. Inizialmente il gioco svolgeva anche un’importante funzione religiosa: il percorso della pedina corrispondeva infatti al cammino dell’anima dei defunti nella discesa agli inferi; il successo al gioco garantiva al vincitore la rinascita dopo la morte. suono hanno anche una funzione portafortuna. Alcuni antichissimi esempi ci sono pervenuti da Chanhudaro, forse il principale centro per la produzione di giocattoli nell’antica valle dell’Indo: risalgono a 4500 anni fa. Sonagli decorati sono stati riportati alla luce anche in Grecia, Egitto, America e nei territori dell’Impero Romano. Sono note sin dall’antichità anche raganelle, sistri, tamburelli e “claquettes”. Assieme ai sonagli troviamo fin dalla notte dei tempi succhiotti e oggetti–giocattolo per sviluppare la dentizione anticamente realizzati in osso o radici intagliate ( una radice bianca commestibile piuttosto diffusa era definita “di viola” ). Molto frequenti sono stati anche i ritrovamenti di trot- tole; dalle più celebri greche e romane, alle analoghe in creta ritrovate durante gli scavi della città mesopotami- ca di Ur, sulle rive dell’Eufrate, e datati intorno al 4000 a.C. la tradizione delle trottole si è sviluppata molto in 126 epoche successive. Le prime trottole furono probabilmente quelle egizie in legno o vetro di colore turchese. I greci le chiamavano “strobilon” o “bembis” e presso i latini “turbo”. Le più celebri rimango quelle in legno con pun- ta di ferro ma ne sono esistite in pietra, giada, metallo, vetro, senza punta ( chiamate paleo ) e anche alcune riservate esclusivamente alle ragazze. Anche le Statuine di animali sono state realizzate presso tutte le civiltà antiche e moderne; al pari delle bambole, inizialmente ebbero spesso un valore rituale e religioso. Sin dai tempi più antichi gli animali sono stati i migliori amici dei bambini e sono quindi stati rappresentati in tutte le forme e situazioni. Presso molte civiltà antiche si usava seppellire i bambini deceduti con i loro giocattoli: dai reperti rinvenuti nelle tombe egizie e romane pare evidente che gli animali preferiti fossero quelli domestici ( con cui il bambino aveva spesso un legame reale come cani, gatti, cavalli, buoi ). Il cavallo in particolare guadagna il primato di animale più rappresentato in tutti i tempi ed è presente in ogni civiltà. Dalle statuine in creta, ai primi bastoni con testa equina scolpita da cavalcare correndo ( tipici del periodo medioevale in cui a figura del cavaliere veniva investita di un ruolo tavoliere del gioco geale di ur: Il nome deriva dallìomonima città babilonese dove son stati ritrovati diversi esemplari di questo gioco di società intatti ). Il tavoliere era suddiviso in 20 caselle con un “corridoio” centrale, comune ai due giocatori, corto che conduceva le pedine ad una sezione finale, nuovamente suddivisa in due parti. Cinque caselle erano contraddistinte da una rosetta e avevano un valore particolare. Il movimento dei pezzi era regolato dal lancio di curiosi “dadi” a forma di piramide a base triangolare, con due spigoli colorati e due neutri. Il colore della “cima” della piramide determinava il punteggio ottenuto e il conseguente movimento dei pezzi. Il tavoliere scoperto negli anni venti da Sir Leonard Wooley, oggi conservato presso il British Museum di Londra, è databile al 2600 a.C. ed è il più antico tavoliere di Gioco di cui si abbia conoscenza. molto importante e particolare ), alle elaborate carrozze trainate da esemplari in cartapesta, legno, cuoio metallo ecc.. fino ai più recenti cavalli a dondolo. Alcuni oggettini zoomorfi trovati in Mesopotamia sono dotati di una sorta di “guinzaglio” di cuoio, budello o paglia intrecciata, con il quale probabilmente i bambi- ni li trascinavano con sé. I cosiddetti trainabili possono essere quindi annoverati tra i giocattoli storicamente più ricorrenti: molti di questi esemplari riproducono fedelmente aspetti quotidiani e abitudini della vita adulta che i bambini hanno sempre cercato di riprodurre con il gioco. È particolarmente interessante la variante romana trainabile di mini cavalli di Troia. I reperti archeologi ci permettono di affermare che sin dai tempi più antichi era comune giocare con piccole ri- produzioni di oggetti di uso quotidiano ma anche armi ed aratri ( a simboleggiare le due attività principali delle primitive popolazioni, cioè la guerra e l’agricoltura ), rea- lizzati in miniatura ed in forme più rudimentali. Il balocco possedeva già allora un’importante valenza educativa perché era grazie soprattutto ai giochi e alle simulazioni che maschi e femmine imparavano a conoscere i propri ruoli. Ci sono dei giochi che bambini e bambi127 ne facevano insieme, come giocare alla palla, agli astragali e alla trottola, ma ce n’erano altri che segnavano la distinzione dei due sessi: alle bambine venivano dati gli utensili da cucina o le bambole con arredi e corredi, mentre ai maschietti si regalavano cerchi, carrettini e soldatini ( conosciuti universalmente da romani, etruschi, greci ed egizi ) in terracotta, legno e successivamente stagno. Il Medioevo Notizie sui tipi di giocattoli e la loro diffusione durante il Medioevo si tro- vano nell’opera “Indiculus Superstitionium”, del IX secolo, e nelle illustrazioni Giochi medioevali: In questa xilografia anonima del 1493, tratta da L.Claretie, les Jouets, Maison Quantin, ( Paris 1893 ) sono faffigurati alcuni giocattoli diffusi nl medioevo. Possiamo facilmente riconoscere un bastone con testa di cavallo da cavalcare, una specie di giradola e un carrellino a rotelle da spingere. a margine di alcuni testi: si trattava perlopiù di girandole, cavallucci, soldatini, armi, figure in cera o creta, trottole, aquiloni e sonagli. Nel Quat- trocento, le bambole di migliore fattura erano opera di artigiani tedeschi. I giocattoli venivano venduti soprattutto in occasione di fiere e feste; un’inte- ressante testimonianza circa i giocattoli in uso nel secolo successivo ci viene dal dipinto Giochi di bimbi ( 1560 ) di Pieter Bruegel il Vecchio, nel quale ne sono rappresentati alcuni. Il Medioevo non apportò nessun cambiamento rispetto ai secoli passati: i bambini avevano sempre molte possibilità di gioco, si divertivano a giocare con le biglie, con il cerchio e con I bastoni, si allenavano con la mazza e la boccia di legno, come facevano gli adulti nei tornei cavallereschi, o creavano giochi di abilità con la palla, imitando I saltimbanchi. In verità, nei primi secoli del Medioevo, il giocattolo e la bambola vissero un periodo incerto: pochi sono stati i rinvenimenti archeologici e scarse le notizie letterarie. Il vuoto, che contraddistingue questi secoli, può essere spiegato dai lunghi periodi di invasioni barbariche, che distrussero e condizionarono la vita delle po- polazioni, portando miseria sociale e povertà di commerci. Inoltre i gio- cattoli e le bambole erano costruiti in casa con mezzi di fortuna, in forme rozze e con materiali talmente deperibili da non lasciare traccia dopo il 128 loro temporaneo utilizzo. Le prime bambole medioevali che ci sono pervenute risalgono a non prima del 1200 – 1300. I giocattoli dei periodi successivi sembrano essere il riflesso delle conoscenze tecniche dell’epoca, come mulinelli ad alette, piccoli mulini a vento, chiuse e forni: esistevano degli artigiani che realizzavano oggetti appositamente creati per l’infanzia. Ma questa era una situazione molto privilegiava che apparteneva solo ai bambini delle case aristocratiche, perché i bambini degli altri ceti sociali, soprattutto quelli più miseri, realizzavano da soli i propri giocattoli, utilizzando i pochi materiali a loro disposizione, spesso ciottoli, pezzi di legno, erba, conchiglie e pezzi di stoffe che trovavano in casa. A differenza del giocattolo dell’antichità, quello medioevale probabilmente non presentava una precisa distinzione tra maschi e femmine: I bambini giocavano indistintamente con la bambola o con la palla. Ma sicuramente aveva un’altra funzione, veniva, cioè, utilizzato per influenzare il destino e la posizione sociale dei bambini: al futuro prete l’altare in miniatura o piccoli oggetti liturgici, al militare i soldatini di piombo o di terracotta oppure piccoli cannoni, spade di legno, archi con le frecce, cavalli, bastone. Alle bambine, invece, che dovevano prepararsi alla futura vita coniugale, venivano regalati fusi per filare, stoviglie ed arnesi per cucinare, ma soprattutto bambole per sognare il ruolo di mamma. Il Rinascimento Solo nel Rinascimento si realizza un vero salto di qualità per quanto riguardava il giocattolo. Per tutto il Rinascimento fino al XVIII secolo furono le corporazioni a dominare il mercato dei giocattoli, con articoli spesso complessi e di buona fattura. Comparve- ro allora i primi cavalli a dondolo, le case per le bambole, i soldatini di metallo. Le prime fabbriche di bambole di cui si ha notizia com- paiono nel XV° secolo in Germania, a Norimberga, dove già dal finire del 1300 si erano formate corporazioni di Questa incisione del 1599 ritrae una bambina con una bambola in un giardino assieme a due bambini. La xilografia è disegnata e incisa da Jost Amman ed è contenuta nel volume 293 Renaissance Woodcuts for Artist and Illustrators, Dover, New York, 1968. maestri artigiani specializzati nella fabbricazione delle bambole in legno. In seguito nel 1500 anche I Paesi Bassi cominciarono a produrre bambole in legno, cui si aggiunse alla fine del secolo la produzione francese in gesso e cartapesta. In particolare fu creato un modello 129 vestito in modo molto raffinato e costoso, realizzato solo per I reali e le classi aristocratiche, chiamato la “Parisienne”, perché fabbricato a Parigi. Insieme con la bambola e al suo corredo vestiario, inizia contestualmente anche una raffinata produzione di piccoli oggetti: preziose stoviglie, lussuosi corredi, elaborate case. Era nota da tempo l’importanza del gioco nello sviluppo psicofisico del bambino e i più illustri pensatori affermavano il ruolo educativo del gioco infantile. Già nel 1500 Montaigne ( 1533 – 92 ) sosteneva che “i giochi dei fanciulli non sono giochi e bisogna giudicarli come le loro azioni più serie”. Il clima della Controriforma si fece sentire anche in questo settore, e il repertorio dei giocattoli a disposizione dei bambini fu conseguentemente ri- stretto per eliminare tutto ciò che potesse distrarre da una condotta austera e una sana moralità. Tra i balocchi dei fanciulli delle colonie puritane in America l’Arca di Noè, ad esempio, fu tra i giochi privilegiati. Tra seicento e il Settecento Nel 1600 il filosofo e pedagogo inglese John Locke ( 1632 – 1704 ) riteneva fondamentale per il bambino apprendere attraverso il gioco: la sua concezione pedagogica risulta quindi straordinariamente moderna. “Tutti i giochi e tutti gli svaghi dei bambini debbono essere diretti a formare abitudini buone ed utili, altrimenti saranno la causa di quelle cattive. Ogni cosa che I bambini fanno, in quella tenera età lascia 1.John Locke, Pensieri sull’educazione, La nuova Italia, Firenze, 1992 loro qualche impressione, e da essa ricevono una tendenza al bene o la male; ed ogni cosa che 1 abbia un’influenza di questo genere non dovrebbe essere trascurata” . L’apparire del libro di Locke nel 1693 creò certo una piccolissima breccia nelle radicate convinzioni puritane in Inghilterra, ma il filosofo, sostenendo il valore positivo del gioco, fu il primo ad incoraggiare la curiosità dei bambini, considerandola un importante strumento di apprendimento. Meno di un secolo dopo, nel 1762, venne pubblicato l’“Emilio” di Jean Jacques Rousseau ( 1712 – 1778 ), nel quale venne sottolineato un altro aspetto molto importante: il gioco come fonte di gioia, il migliore degli stimoli per l’attività del bambino. Ma nonostante la straordinaria influenza della sua opera, Rousseau non poteva sconfiggere da solo le convinzioni più conser- vatrici sull’allevamento dei bambini e sul ruolo del gioco. Si facevano avanti nella società, soprattutto inglese, le idee del Metodismo e dell’Anglicanesi- mo Evangelico, che affermavano che la volontà dei bambini doveva essere fermata e, di conseguenza, scoraggiato il gioco e proibiti I giocattoli. Ma verso la seconda metà del XVIII secolo avvenne un cambiamento, una 130 inversione di rotta verso una maggiore espansione della fabbricazione dei giocattoli. La distribuzione avveniva ora attraverso diversi canali di vendita: i venditori ambulanti che smerciavano gli articoli nelle fiere e nei mercati e le nascenti botteghe specializzate che, oltre ai tradizio- nali giocattoli, incominciavano a proporre oggetti per l’infanzia come giochi di carte, tombole, giochi dell’oca, abbecedari, immagini a stampa con soggetti infantili. Questa svolta nella seconda metà del secolo significava che gli adulti prestavano maggiore attenzione al mondo dei bambini, dedicando loro più tempo e investendo in modo più cospicuo in materiale didattico. Ma il Settecento deve essere ricordato come il secolo nel quale incominciarono a fare la loro comparsa i giochi che derivavano dalle grandi invenzioni del secolo, come le gioco reale dell’assedio: questo gioco era diffus o in Francia alla fine del XII secolo. L’incisione anonima è tratta da H.R. D’Allemagne, Sports and Jeux d’Adresse, Hachette, Paris 1903. lanterne magiche, che utilizzavano le leggi dell’ottica per proiettare immagini, e i sorprendenti ed ingegnosi giocattoli animati, che sfruttavano le conoscenze delle leggi fisiche e i dinamismi della legge di gravità. Presso la corte francese del XVII secolo vennero costruiti numerosi giocattoli ( rigorosamente artigianali e creati ad hoc ) destinati ai figli della ricca aristocrazia. Tra i tanti sono arrivati a noi un gran numero di “sonagli reali” realizzati in oro, argento massiccio, avorio, cristallo e corallo. Ancora una volta il giocattolo, nella sua forma specifica, rispecchia a pieno il gusto della società in cui nasce. Il corredo delle bambole di questo periodo è completo di ogni accessorio possibile riferito allo stile del tempo e comprende arredi e corredi per le diverse stanze della casa e segue le mode più attuali; la varietà, le dimensioni e il grado di lusso delle case di bambola sono infiniti. Nel 1675 Madame de Thiange offre in dono al duca du Maine una camera da letto tutta dorata grande come un tavolo con mobili in filigrana d’oro e argento con dettagli e coperture in seta e legni pregiati. lanterna magica: questo esemplare di lanterna magica a petrolio in latta dipinta fu prodotto dalla casa Lapierre intorno 1900ma il modello si rifà ai suoi predecessori settecenteschi. È molto interessante soffermarci su un aspetto molto curioso che riguarda la bambola del 1600 e del 1700; in quel periodo storico la bambola ebbe anche una funzio- ne diversa da quella giocosa, e cioè diventò messaggera 131 della moda parigina in tutte le corti reali o principesche o nelle case dell’alta borghesia per fare conoscere le ultime novità in fatto di abbigliamento. La bambola è uno dei giochi che meglio rappresenta questo periodo storico ( nelle sue varianti estremamente rifinite e sfarzose ): il settecento in particolare sembra avere avuto una vera ossessione per questo oggetto. Nacquero infatti in questo periodo le “marottes” o “folie” bambole guarnite di sonagli montate su un manico di legno o avorio su cui girano producendo un particolare suono ( la loro funzione è esattamente quella del sonaglio che fino a questo momento aveva avuto forme più stilizzate, astretta o simili ai bezoar –usati nell’antichità e nel medioevo come oggetti di superstizione ). Il grande interesse del 1700 per le bambole unito alla spinta frenetica delle nuove scoperte cientifiche portò in questo secolo alla realizzazione delle prime bambole meccaniche. Nel 1701 in Inghilterra, che era diventato paese produttore di bambole so- prattutto in cera, fu venduto un bambolotto che, grazie ad un dispositivo interno, poteva girare gli occhi ed emettere vagiti: nel 1737 a Parigi furono costruite bambole semoventi e addirittura dotate di dispositivi musicali. L’interesse alla progettazione di giocattoli meccanici e interattivi è però molto più antica. Pare che già Leonardo da Vinci avesse costruito alcuni complicati giocattoli meccanici durante il suo soggiorno alla corte di Francesco I, all’inizio del Cinquecento. Alcuni esemplari di giocattoli meccanici molto rudimentali in ceramica sono stati riportati alla luce in Egitto, e si hanno notizie di complessi meccanismi in miniatura per bambini ideati in Grecia da Erone di Alessandria, il grande matematico vissuto intorno alla metà del I secolo a.C.. Animaletti meccanici e automatizzati erano anche il divertimento dei ragazzini privilegiati in Persia e nell’impero Bizantino. Nel 1207 vide la luce in Europa il libro “Ingegnosi congegni meccanici di Al–Jazari”, nel quale sono descritti giocattoli meccanici costruiti per i nobili dell’epoca. La progettazione dei giocattoli automatici richiese sempre maggiori competenze, ed è molto probabile che dal XVII secolo in poi dessero il loro contributo anche i maestri orologiai. Fu in questo secolo che i giocattoli meccanici fecero la loro comparsa in Giappone: uno dei più noti fu il teatro Karakuri di Takeda Omi. In Francia divenne famoso Jaquet–Droz, inventore di bambole in grado di scrivere, disegnare e suonare l’arpicordo; in Inghilterra grandi invenzioni si ebbero in epoca vittoriana. Si dovrà aspettare il 1823 per le bambole parlanti, e il 1826 per quelle che camminavano e aprivano e chiudevano gli occhi. Si arrivò anche bambole che mandavano baci, che piangevano e persino nuotavano. La produzione su larga scala di giocattoli automatici si accrebbe sul finire del Settecento. 132 Nei due secoli successivi le ditte americane Ives e Hull and Stafford, la fran- cese Fernand Martin, l’inglese W. H. Britain, la tedesca Ernst Planck e le aziende italiane Ingap e Bell lanciarono numerosi modellini di ogni tipo: cavalli, carri, rematori in barca, navi, treni e giostre, decisamente oggetti oggi molto ricercati oggi dai collezionisti. Successivamente molti di que- sti movimenti vennero applicati a preziose statuette montate su scatole musicali. Sobrie o riccamente decorate le scatole musicali consentivano la riproduzione di motivetti musicali ( da due a ventiquattro motivi diversi ) sfruttando una carica a molla sul tipo dell’orologio. Si distinse nel settore la produzione svizzerà di carillon, che fu di particolare pregio e varietà. Era molto ben sviluppata in questo periodo la produzione in serie di soldatini. La produzione risulta piuttosto varia e articolata ma è possibile individuare alcuni raggruppamenti partendo dai materiali utilizzati e dalla fattura. Primi tra tutti i soldatini in legno tornito e dipinto a cui erano applicate successivamente le armi. I maggiori centri di produzione erano in Obe- rammergau, Berchtesgaden, Sonnemberg e Erzgeirge. Molto diffusi anche i soldatini in carta ritagliata stampati o ,più anticamente, solo disegnati, ritagliati e dipinti. Il Delfino figlio di Luigi XIV possedette un’intera armata di soldatini di carta alla quale lavorarono numerosi artisti tra il 1663 e il 1671. In seguito furono realizzati numerosi set di carte, figuri- battaglia navale: questo esemplare di battaglia navale fu prodotto verso la fine del 1800 a Parigi dalla Marcial Goffin &co. I giochi ispirati alle imprese belliche sono tra i più diffusi in tutte le epoche; anticamente venivano utilizzati anche nelle scuole militari per allenare le giovani menti a valutare le strategie di attacco–difesa migliori. ne e tavole storiche rappresentanti le diverse armate. Furono realizzati anche soldatini in cartapesta e mate- riali compositi ( i più antichi risalgono all’epoca di Napoleone III ). I primi erano eleganti e riccamente decora- ti; il cartone veniva ricoperto da gesso per conferire un aspetto liscio e levigato. Furono ampiamente utilizzati nelle scuole militari ma i più piccoli apprezzarono mag- giormente le versioni a birillo di cui ci sono giunti molti pochi esemplari integri. I soldatini in cartapesta furono realizzati per un lungo periodo ma con il passare degli anni la fattura divenne più grezza e si cominciò a dipin- gere direttamente il materiale composito di partenza ( carta ma anche poltiglia di segatura, colla di caseina, gesso, caolino ) rendendo la produzione più economica e adatta anche ai periodi di crisi. Per ultimo vanno ricordati anche i soldatini di piombo. Pare che i più antichi risalgano al XIII secolo ma solo nel XVI secolo a Norimberga acquistarono un buongra- do di nobiltà. I primi realizzati erano di tipo “piatto”, finemente lavorati in filigrana di piombo e stagno ma 133 esistevano tipologie “semipiatte”, “semi–tonde” e a “tuttotondo” in stagno peltro e successivamente in plastica. L’ottocento giochi ottici: nell’Ottocento nacquero molti giochi capaci di produrre interessanti effetti ottici. Tra i più famosi ricordiamo lo zootrofio, il fenachistiscopio, il caleidoscopio, il prassinoscopio e le lanterne magiche. Sotto in ordine: uno zootrofio, alcune fasce di ricambio e poi un taumatropio del 1824. All’inizio dell’Ottocento la produzione di giocattoli rappresentava ormai un’importante attività imprendito- riale in molti paesi, per la quale esisteva un commercio fiorente. Questa tendenza economica era alimentata anche dal- la pedagogia del tempo che è infatti una pedagogia che esorta al gioco: Friederich Frobel ( 1782 – 1852 ), educatore e pedagogista tedesco affermava che “il gioco è la vera attività naturale del bambino”, riconoscendone l’insostitui- bile valore educativo. Inoltre sottolineava che “I giuochi dell’infanzia non sono da riguardarsi come frivolezze, ma come cosa di molta importanza e di un profondo significato. Essi sono, per così dire, il germe di tutta la vita avvenire, perché tutto l’uomo si svolge e quasi si rispecchia in essi, fino nelle più piccole disposizioni e nel più intimo dell’animo. Da essi dipendono le future relazioni del fanciullo, in conformità alle sue speciali e naturali disposizioni, col padre e col la madre, coi fratelli e sorelle, in generale colla famiglia, colla società civile, colla natura e con Dio”. Nel XIX secolo furono inventati i primi giocattoli in grado di produrre interessanti effetti ottici. Nel 1816 apparve il caleidoscopio, costituito da un piccolo tubo internamente ricoperto per tutta la lunghezza di superfici specchianti, all’estremità del quale è collocato un disco rotante trasparente contenente pezzetti di vetro colorati. Guardando attraverso un foro praticato all’altro estremo del tubo si vedono comporsi graziose figure geometriche, che cambiano in continuazione con il movimento dei vetri colorati nel disco. Un altro giocattolo molto interessante, inventato nel 1834, è lo zootropio, che sfrutta l’effetto ottico per il quale il nostro occhio continua a “vedere” un’immagine per qualche istante anche dopo che l’oggetto che l’ha determinata è scomparso. È composto da un cilindro all’in134 Nelle immagini un prassinoscopio ( si differenzia dallo zootrofio per l’eliminazione delle fessure verticali sosituite da un prisma a specchio centrale in cui guardare le animazioni riflesse ), dischi per fenachistiscopio e sotto un fenachistiscopio in legno. terno del quale viene incollata una sequenza di immagini, raffigurante per esempio un cavallo che si avvicina sempre più ad una staccionata e infine la supera con un salto. Il cilindro è forato a distanze regolari e, guardando attraverso queste fessure mentre il giocattolo viene fatto ruotare, si ha l’illusione del movimento della figura del cavallo. Questi giocattoli basati sulle riflessioni multiple delle immagini gettarono le basi della moderna cinematografia. Nella società e nell’economia ottocentesca il giocattolo diventò sempre più importante, tanto che soprattutto in Germania, Inghilterra e Francia nacquero fabbriche per la produzione in serie di materiale ludico, che incominciò ad essere suddiviso a seconda dei ceti, delle età e del sesso dei bambini. Vennero costruiti i primi giocattoli meccanici e si cominciò a diffondere la prima produzione di massa, concepita come attività industriale. Già nel 1793 il commerciante di giocattoli Bestelmeier di Norimberga aveva a disposizione nei suoi cataloghi più di 12000 articoli ( bambole, soldati, animali etc. ), in tutte le possibili varianti dalla più piccola alla più grande, dalla più economica alla più raffinata. In una fabbrica tedesca tra il 1754 e il 1884 si produssero un miliardo di bambole in porcellana, mentre in un solo anno, il 1893, a Sonnenberg furono fabbricate 2 milio- ni di testine di bambole. La cittadina di Sonnenberg in particolare passò alla storia per la produzione di piccoli animali in legno di circa tre, quattro centimetri di fattura particolarmente fine e riconoscibile che invadevano il mercato di arche di Noè, piccoli zoo, fattorie ecc. Da fabbriche di piccole e medie dimensioni uscivano og- getti raffinati, come case per bambole progettate da veri architetti,come pure articoli di valore più modesto e i giochi venduti poi dagli ambulanti alle fiere. Accanto al legno cominciarono a essere usati su larga scala anche la latta e vari tipi di metallo. La Germania rimase il principale centro di produzione, al quale si affiancarono sempre più Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. 135 In Italia l’industria del giocattolo rimase quasi inesi- stente fino agli anni Venti del Novecento, quando si svilupparono piccole aziende a conduzione familiare quali Bell, Agostino Marchesini e Alemanni. Per i gio- cattoli in legno la prima industria sembra essere nata ad Asiago nel 1885 ad opera di Giovanni Lobbia, mentre la prima industria di giocattoli e di bambole è stata la Furga di Canneto sull’Oglio ( Mantova ) fondata nel 1872 da Luigi Furga Gomini. Dopo la prima guerra mondiale cessarono la produzione francese e l’importazione tedesca: si imposero allora sul mercato italiano ditte nazionali quali la Ingap, la Cardini e la Ferrari Siro. I giocattoli militari, comparsi nella loro versione industriale nel XVIII secolo, raggiungono in questo periodo l’apice del loro successo. Si tratta soprattutto di giocat- toli nazionalistici rappresentanti i generali d’armata intorno al re al re e alla regina, o anche giochi a percor- so ( tipo gioco dell’oca ) ispirati alle battaglie più celebri. Nascono il “gioco del blasone” ( del 1655 ) e il “Gioco delle fortificazioni” che servivano all’apprendistato degli allievi e mostravano loro le migliori strategie da tenere sul campo di battaglia. Nel XIX secolo i giochi diventarono di vera e propria propaganda e non più giochi strategici. È il caso del gioco di carte “Battaglie del Primo Impero” che rappresentava ed esaltava le prime conquiste napoleoniche in Europa. Anche il regime fascista utilizzo il gioco come veicolo di propaganda; tra gli altri esisteva una tombola che esalta le conquiste etiopiche e i proponeva mille suggerimenti per i bravi balilla. Questo tipo di giochi scomparve con la presa di coscienza delle popolazioni ma proseguì, oltre il 1945, nei paesi a regime dittatoriale. Dopo la prima guerra mondiale arrivarono nuovi giochi come i “birilli tedeschi” soldati in cartapesta da atterra- re per mezzo di un piccolo cannone di legno e palle di sughero raffiguranti granate. A partire dal 1970, ad imitazione della rete ferroviaria che si era sviluppata nei precedenti cinquanta anni, cominciò la produzione di numerosi trenini giocattolo trainabili o i cosiddetti treni da “parquet”. Possiamo 136 distinguere tra una produzione di treni molto sempli- ci ( specialmente concentrata in Germania ) nei quali le locomotive avanzano a spinta. C’erano però produzione più complesse ( prevalentemente francesi e inglesi ) si- mili a vere riproduzioni in scala ridotta delle macchine a vapore . Questi giochi venivano spesso dotati di speciali marchingegni che permettevano il movimento auto- matizzato. La maggior parte disponeva di una dotazione di rotaie inizialmente circolari poi sempre più articolate sino a comprendere scambi e percorsi componibili. L’età dell’oro del treno–giocattolo è il periodo dal 1900 al 1920 nel quale vennero riprodotte tutte le linee ferroviarie attive all’epoca e i modelli relativi ai diversi paesi ( la produzione americana si contraddistingueva per la presenza degli scaccia–bufali ). Era possibile acquistare le locomotive e aggiungere successivamente vagoni per creare un vero convoglio completo simile ai treni reali. Naquero poi i trenini elettrici e cominciarono ad essere declinati anche nelle versioni urbane come la metrò di Parigi e le reti tranviarie di Basilea e Monaco. Un altro classico del giocattolo maschile in questo pe- riodo è la barchetta. Declinata sin da tempi antichi in numerose varianti in questo periodo venne proposta in numerose versioni riproducenti modelli reali e fu dotata di meccanismi di propulsione che sfruttavano le più diverse tecnologie. L’industria del giocattolo visse la sua stagione d’oro tra il Panoramica di giocattoli ottocenteschi; nella pagina a sinistra villaggio e zoo in legno tornito e dipinto a mano provenienti da Sonnemberg seguiti da una cromolitografia che mostra il funzionamento di una lanterna magica. In questa pagina trenini su rotaia dei primi anni del 1900 e tavola riassuntiva di alcuni giochi di motricità tratto da un album del 1880 ( possiamo facilmente riconoscere uno yo–yo, un diablo, una trottole, una corda per saltare, un biblioquet... ). per ultimo una scatola i soldatini a tutto tondo di alteza standard di 6,5cm. 1850 e il 1914, un periodo segnato da grandi mutamenti storici, sociali e culturali. Particolare successo riscossero i giocattoli in latta tra i bambini dell’epoca, perché oltre alla precisione nella fattura e nella ricerca di eleganza nelle forme e nei colori, riproducevano le grandi invenzioni avvenute nel campo della meccanica. Con questo materiale furono realizzati carrozze a cavallo, automobili, navi, trenini dotati di sofisticati meccanismi ed azionati dal vapore; inoltre furono realizzati con la latta an- che giochi meccanici che raffiguravano animali, clown, acrobati o curiose raffigurazioni di mestieri, in genere dotati di movimenti automatici molto semplici. Uno studioso ricorda in un suo saggio un gioco che ri137 produce un giocatore di biliardo che colpisce con la stec- ca una pallina mandandola dentro a varie buche, in cui con un semplice meccanismo la pallina ritorna nella posizione centrale del tavolo. Negli anni 20 e 30 del Novecento iniziarono e si svilup- parono industrie del settore, soprattutto tedesche, che proprio tra le due guerre raggiungono l’apice nella perfezione della costruzione, nella qualità dei materiali impiegati e nella scelta dei soggetti. Ma la seconda guerra mondiale sconvolse completamenCarte per l’anamorfosi: tavole litografate di Walter Grès ( stampatore francese della seconda metà del XIX sec. Le anamorfosi sono illustrazioni sviluppate su un piano orizzontale a 360° su quale appoggiare un cilindro specchiante sul quale i disegni appaiono con le giuste proporzioni. te ogni equilibrio possibile, segnando profondamente anche le produzioni di balocchi. Le fabbriche furono chiuse distrutte o adibite ad altri usi, le materie prime si esaurirono, non ci furono più ordini o richieste di giochi. In seguito, lentamente, nella faticosa fase di ricostruzione, cominciò a cambiare qualcosa: si iniziò soprattutto a fare uso di nuovi materiali , come la celluloide e la plastica, che quasi subito apportarono una vera rivoluzione nella produzione di bambole e balocchi. Il Novecento Come ben sappiamo l’industria del giocattolo ha continuato a svilupparsi per tutto il XX secolo. Alla produzione più tradizionale si sono affiancate forme di gioco “istituzionali” nate in seguito agli sviluppi sempre della pedagogia sempre più convinta del valore del gioco nell’apprendimento. Le teorie pedagogiche di Friedrich Froebel, di John Dewey ( 1859 – 1952 ), Sergej Hessen ( 1887 – 1950 ) e soprattutto di Jean Piaget ( 1896 ) e Maria Montes- sori all’inizio del Novecento misero in luce la forte valenza conoscitiva del gioco: attraverso il gioco il bambino impara ed interagisce con il mondo esterno. Da allora la fabbricazione dei giocattoli è stata sottoposta a un attento esame da parte di esperti dell’infanzia. Il gioco è inoltre un elemento essenziale per lo sviluppo della vita sociale del bambino, per cui molti giocattoli usati negli asili e nelle scuole vengono oggi progettati proprio per facilitare lo scambio e il confronto tra i piccoli. Esistono oggi numerosi giochi progettati esclusivamente per scuole d’infanzia e per altre strutture educative. 138 Sulla base delle idee innovative di Dewey e di Maria Montessori ( 1870 – 1952 ), nel 1899 nacque a Brooklyn il primo Children Museum ( Museo dei Bambini ), cui seguì a breve distanza il Children Museum di Boston. Questa rivoluzionaria sperimentazione fu dettata dalla consapevolezza che le metodologie di apprendimento infantile divergevano nettamente da quelle degli adulti e che i bambini apprendevano più facilmente attraverso il gioco e la partecipazione fattiva piuttosto che attraverso le attività tradizionali come leggere e scrivere. Dalle prime esperienze di struttura educativo–museale è stata fatta molta strada; attualmente solo negli Stati Uniti esistono 300 musei per bambini finalizzati a tre attività di apprendimento: imparare facendo, imparare esplorando, imparare toccando. Sono raggruppati sotto la definizione “Hands – on – museums” e possiedono una loro associazione AYM ( Association of Youth Museums ). Gli anni 70 hanno visto uno sviluppo straordinario di iniziative museali rivolte ai bambini in Europa, ma in Italia solo nel dicembre 1998 è stato aperto a Genova il primo Museo dei Bambini e sono in previsione le apertu- re di altri Musei a Milano ( che ha già organizzato alcune mostre, ma non ha ancora una propria sede ), a Roma, a Siena e a Napoli. Si conclude così l’analisi storica di quello che i giocattoli hanno rappresentato nel pasato. Come abbiamo potuto vedere la natura dei giocattoli è sempre stata molto varia e nei secoli sono emerse alcune forme e alcuni giochi universalmente praticati in tutti i tempi e in ogni luogo. Su queste basi possiamo procedere conl’analisi dell’offerta attuale affrontandola in modo approfondito delineando tipologie, funzioni e natura dei giochi contemporanei. In alto due giocattoli a molla tedeschi in latta litografata databili dal 1920 al 1930. Segue due bambole in carta cromolitografate con coredo di abitini da ritagliare, estratto da “La Poupéé modale”, Francia 1900 circa. A fianco birilli in legno dipinto del 1930 circa. 139 Il gioco e i giocattoli... Il giocattolo oggi Ma cos’è un giocattolo? Giocattolo è tutto ciò che il bambino maneggia, os- serva, usa e modifica in relazione al gioco che sta vivendo e inventando. Tutto ciò che stimola l’immaginazione e con cui si realizzano i sogni. Il giocattolo non è il gioco tuttavia è funzionale ad esso. Fatta questa premessa è possibile analizzare l’offerta di giocattoli presenti e individuare i bisogni di gioco che soddisfano. In generale possiamo affermare che molti giochi non abbiano bisogno di giocattoli e che buona parte in sostanza nasca dall’interazione fisica con gli altri bambini o dall’uso del proprio corpo come di un gioco. Questo avviene nei balletti, nelle filastrocche, nel nascondino, nel gioco del rincorrersi, nei saltelli e nelle piroette. Tuttavia il mio interesse è indirizzato in modo particolare al mondo del design e quindi l’interesse deve spostarsi dall’azione del giocare agli oggetti funzionali ad essa. Il mio percorso di analisi dei gio- chi parte dal desiderio di potere individuare alcuni bisogni ludici primari innegabili che delineino un campo d’azione entro il quale può avere senso elaborare nuovi concept di gioco legati alle esigenze e ai problemi più attuali legati all’infanzia ed al giocattolo e dal voler vedere svilupparsi queste idee nel rispetto della cultura progettuale propria del design. Per questo la mia attenzione è rivolta maggiormente ai giochi che nascono a partire da giocattoli in quanto i giochi “fisici” e di interazione ,che iniziano spesso per caso e che possono essere legati alla tradizione e alla situazione particolare in cui nascono; la loro nascita e il modo in cui si modificano non può rientrare in quello che comunemente si può definire percorso progettuale. Però molti giocattoli non sono altro che l’oggettualizzazione di un gioco preesistente che può essere giocato a prescindere dal prodotto stesso, come sottolinea Marilena Cadore “Il bambino senza pistola punta il dito, la banana, il tovagliolo, la molletta per stendere |…| perché l’arma non è il gioco ma lo strumento, il tramite con il quale si realizza un gioco in cui si deve inventare di tutto. Dalla situazione, ai nemici, agli alleati, alle strategie di attacco e difesa”. Secondo il quinto rapporto di Toy Industries of Europe, “Facts and Figures”, l’in- dustria del giocattolo nella stagione del mercato del giocattolo nell’Unione Europea nel 2003, nonostante il difficile clima economico europeo è rimasta vibrante e ha mostrato tutta la sua capacità di ripresa. Thomas Eichorn, presidente del TIE, sottolinea l’importanza della Creatività e dell’innovazione nel rapporto con i giovani consumatori, perché se il “valore del gioco” 140 resta universale e senza tempo, il modo in cui i bambini giocano e i giocattoli che li attraggono sono soggetti alla moda e alle circostanze. Nonostante l’industria del giocattolo rimanga una delle poche in costante crescita nonostante le difficoltà del mercato il rapporto con il design rimane piuttosto incerto. Specialmente in Italia il design del gioco è rimasto un campo scarsamente esplorato e ritenuto sicuramente design “di serie B”. Escludendo la lodevole attività del celebra artista–designer Bruno Munari, svolta ormai da troppi anni, non ci sono altre figure di spicco che si siano cimentate con altrettanto slancio e creatività in questo settore. Nonostante l’attenzione per gioco sia cresciuta notevolmente negli ultimi due secoli e i giocattoli commerciali siano entrati negli ultimi 30 anni a fare parte dei generi di consumo normalmente acquistati dalle famiglie dei pesi sviluppati è rimasto tuttavia uno scarto molto grande tra la presenza di giocattoli e il valore che viene ad essi attribuito. Se il design italiano non è stato in gra- Gianni a little man holding on tight: barattolo ermetico progettato da Mattia De Rosa per Alessi nel 1998. ugly doll: di David Horvath and Sun–Min Kim. do di entrare nel vivo dell’ideazione e progettazione di giochi ( forse per la connotazione piuttosto intellettuale che il disegno industriale ha sempre voluto avere nel no- stro paese ), il gioco per conto suo è riuscito a farsi strada piuttosto bene nel campo del design. Apparentemente l’attenzione per il gioco–giocattolo, al- meno per quanto riguarda l’estetica e le caratteristiche formali, è aumentata gradualmente negli anni e gli og- getti di design sono diventati sempre più ludici a partire dall’esperienza di Castiglioni passando per le follie di Memphis, le creazioni di Gaetano Pesce fino ad arrivare al caso Alessi in cui gli oggetti di uso comune si sono trasformati in giochi, ironizzando sui ritmi di vita e gli atteggiamenti adulti. Benchè pochi designer abbiano tentato dunque di disegnare giocattoli veri molti han- no tentato di rendere giocosi i loro costosi prodotti per adulti. Un altro caso di contaminazione tra mondo del gioco e mondo del design è il recente fenomeno dei designer– toys pupazzi e bamboline in plastica decisamente trendy 141 ( uglydolls, esserini.. ecc… ) che sono in sostanza prezio- si oggetti da collezione che riproducono i supercolorati tormentoni della grafica internazionale ( in modo parti- colare quella giapponese ) e poco hanno in realtà da condividere con i giochi propriamente detti se non il materiale plastico con cui sono realizzati. Molte attenzioni sono rivolte a trasformare in giocattoli tanti accessori per adulti lasciando il campo della progettazione di giocattoli per bambini in secondo piano considerandola di minore utilità e interesse o forse sempli- cemente poco trendy. Sono invece numerose le contaminazioni tra il mondo del giocattolo e quello dell’arte contemporanea che si av- vicina al mondo toy sia imitandone il linguaggio ( forme, colori, contenuti ) che criticando aspramente i contenuti scsarsamente educativi dei giochi moderni che rispiecchino appieno le contraddizioni della società contemporanea. Torniamo ad occuparci dei giocattoli per bambini: quelli attualmente in commercio sono veramente tanti e molto differenziati tra loro. Mi sembra utile e necessario cercare di individuare alcune classificazioni e sottofami- glie per esplorare il mondo dei giochi. Quelle che sto per proporre sono solo alcune tra le tante possibili catalogazioni dei giocattoli. Premetto che è possibile classificare i giochi secondo un unico criterioi: se ne può infatti considerare la struttura ( giochi commerciali, poveri, domestici ); i contenusandy: Cactus friends di Tokidoki. Un esempio di action figure cool per collezionisti amanti della grafica e del deign. barbie suicide bomber: l’artista giapponese Simon Tyszko propone la famosa bambola in un’attuale versione kamikaze. ti ( espressione, costruzione, coordinazione–movimento, manipolazione, narrazione, affettività, educazione, vertigine ); le situazioni d’uso ( gioco domestico–ricreativo, gioco istituzionale–educativo ); l’esperienza interiore ( proiezione, relazione, progetto ); il rapporto con gli altri ( gioco solitario, gioco sociale, sfida ), ecc... È sicuramente importante che le diverse tipo- logie di gioco coesistano e si alternino per rendere il più completa possibile l’esperienza ludica del bambino. Lo studio delle famiglie dei giochi può aiutate la progettazione in quanto può suggerire percorsi trasversali ad esse e mix inediti. La struttura La prima importante distinzione dei giochi è quella rispetto alla struttura; con questo termine intendo le circostanze della produzione e la forma–funzione per la quale l’oggetto è nato. Secondo questa chiave di lettura è possibile identificare tre grandi categorie: il giocattolo commerciale ( progettato, 142 prodotto e comperato come tale ), il giocattolo “povero” realizzato con materiale di recupero dal bambino in modo autonomo o con l’aiuto del genitore e il giocattolo domestico in cui gli oggetti di uso comune trovano nuova vita. Il giocattolo commerciale Oggi il giocattolo commerciale ha acquistato un ruolo fondamentale nell’esperienza ludica dei bambini. Le case si riempiono di giochi e questo fenomeno non è legato solo al generale atteggiamento consumistico che spinge ad ampliare e modificare regolarmente i propri bisogni sotto la pressione di stimoli commerciali, ma dipende anche alla riduzione dello spazio dedicato al gioco. Il gioco oggi purtroppo è spesso un gioco solitario che si consuma in spazi metropolitani ridotti; non è sempre possibile giocare con gli amici per mancanza di tempo e per la sovrapposizione dei mille impegni ai quali i bambini si dedicano: e per di più non esistono nella maggioranza dei casi strutture e spazi sicuri in cui giocare e crescere. Mancano luoghi di incontro e libertà di gioco come parchi , ludoteche, giar- dini e cortili. Nei cortili milanesi è frequente imbattersi nell’inquietante cartello “vietato giocare” che a mio avviso è sintomatico di un particolare atteggiamento piuttosto diffuso che vede nel gioco un elemento di disturbo e distruzione. Il gioco oggi è troppo spesso considerato un fattore di distur- bo intralciando il regolare svolgimento dei compiti propri della vita adulta. Troppo spesso i grandi sono spaventati dall’esuberanza dionisiaca del gioco infantile e cercano di porre limiti al processo di creazione–distruzione che si innesca nel gioco. I giochi diventano sempre di più giochi in isolamento e da appartamento. La tecnologia e le possibilità produttive ( unite ad una forte tendenza alla delocalizzazione della produzione in paesi a basso costo di manodopera ) han- no reso possibili produzioni molto economiche rendendo il consumo di giochi accessibile in larga misura anche alle famiglie meno agiate. Si unisce a questi fattori l’inevitabile senso di colpa che il ritmo della vita moderna fa provare ai genitori portando i bambini di oggi a possedere un numero di giocattoli veramente molto molto alto. I giochi cosiddetti commerciali sono molti ed è impossibile, ma soprattutto inutile, cercare di elencarli. Durante le successive descrizioni e suddivisioni delle tipologie di giocattoli cercherò far emergere molti aspetti dei giochi appartenenti a questa categoria. Il gioco industriale presenta molte caratteristiche difficilmente riproducibi- li artigianalmente: il materiale ( sensazioni, proprietà, colori, resistenza ), le forme ammiccanti, i meccanismi di funzionamento, la robustezza e la 143 complessità. Difficilmente sarebbe possibile realizzare in casa un palla da fare rimbalzare, una bambola aggraziata e femminile come la Barbie, una bicicletta robusta e sicura, materiale per costruzioni complesse come i Lego per non parlare poi di tutta la serie di giochi che ricadono sotto la definizione di “giochi elettronici” che non risulta nemmeno pensabile senza una tec- nologia adeguata. Sotto questa categoria possiamo trovare oggi un’ampia gamma di prodotti che vanno dai giochi educativi interattivi, da tipologia Sapientino alle bambole parlanti e derivati, dalle macchine e robot teleco- mandati e programmabili ai minicomputer a misura di bambino, dai giochi cosiddetti interattivi come il Simon ai videogiochi più elaborati. Credo che oggi si possano identificare all’interno della categoria dei giochi commerciali due sottocategorie; i giochi low–tech e giochi hi–tech. I giochi low–tech sono tutti quegli artefatti che siamo soliti chiamare gio- cattoli. Possono prendere la forma di un animaletto di peluche, di una palla di pongo o di un mazzo di carte; svolgono le più diverse funzioni ludiche e sono accomunati dal fatto di non contenere speciali tecnologie. I giochi “tecnologici” sono nati dall’industria del giocattolo – e per questo sono stati demonizzati a lungo sulla falsariga della denuncia di alienazione e persuasione occulta legate al modello di sviluppo capitalistico delle società contemporanea. Il fenomeno della criminalizzazione del giocattolo si inserisce indubbiamente nel quadro più ampio di denunce sociali a carico dell’organizzazione politico–economica occidentale e quindi ancora oggi è riscontrabile una certa diffidenza nei confronti del gioco industriale ( malvisto e criticato dalle élite culturali ) la quale posizione mentale a mio avviso deriva in larga mi- sura da alcune infiammate polemiche sorte a partire dagli anni 60 e 70 in reazione all’ingresso dei giocattoli nell’ambito dei consumi di massa. Non posso negare che alcune inquietanti ipotesi sugli sviluppi del gioco pro- poste in quegli anni si siano effettivamente verificate “con l’aria che tira, la gente giocherà sempre di più. Starà in casa anziché girare in macchina per il weekend. Starà attorno ad un tavolo |…| la gente giocherà certi giochi perché saranno pubblicizzati dalla televisione” 2 . 2.G.Dossena, R.Rinaldi, “A che gioco giochiamo?” in “Espresso”n 9 , 1977 ). Il gioco oggi riesce effettivamente ad occupare un ruolo importante anche nella vita adulta in quanto le nuove tecnologie ne permettono un consumo rapido e immersivo–distensivo. La forma in cui maggiormente si manifesta il gioco adolescenziale e adul- to è la forma del videogioco. Il videogioco oggi trova spazio principalmente sul monitor del computer nelle forme del gioco acquistato ( cd dvd ) o come servizio offerto in rete che dispone non solo di una gamma vasta e differenziata di giochi –puzzle, azione, simulazione, strategia ecc.– ma la cui vera 144 potenza risiede nel creare forti community di gioco e vere realtà virtuali. Il computer non è oggi l’unico “luogo” del gioco: effettivamente il videogioco vive da tempo anche nello schermo televisivo attraverso le consolle di nuova generazione ( playstation, x–box ) e pure nei piccoli display dei telefoni cellulari, oggi dotati di una collezione base di giochi che è possibile incrementare si attraverso l’acquisto di in rete o direttamente dagli operatori telefonici. Nascono continuamente tecnologie sempre più ibride in cui si confondono le funzioni di gioco e comunicazione: dal Nokia n–gage del 2003 ( telefono cellulare e console portatile ) alla più recente playStation3 ( una sorta di “media center da salotto” nel quale convergono le funzioni di console per i videogiochi, lettore cd e dvd e a cui non manca nemmeno la connessione internet a banda larga ). Credo che anche una buona parte della televisione interat- tiva, la cui affermazione sul territorio italiano sembra imminente, anche se piuttosto in ritardo rispetto ad altri paesi europei, si orienterà verso una fruizione di tipo ludico dei contenuti. In America sono già molto sviluppati i giochi interattivi che si svolgono parallelamente alla proiezione di telefilm e serie tv. Lo sviluppo tecnologico è oggi un fattore che non può essere trascurato e credo che uno dei compiti del design del gioco sia quello di individuare un possibile ruolo positivo dei nuovi prodotti tecnologici in campo ludico e di sviluppare percorsi didattici e interazioni che non lascino il bambino in balìa della macchina ma che gli permettano di capirla e interagire maggiormente partecipando alla creazione dei contenuti. Una tendenza interessante da notare rispetto ai giocattoli hi–tech è che il i–dog: prodotto da SegaToy è il primo cagnolino elettronico capace di ballare a ritmo di mp3. loro contenuto tecnologico tende a diventare sempre più invisibile. Se in un primo tempo i giochi ad alta tecnologia tendevano ad avere frequentemente forme spaziali e interazioni molto simili a quelle delle computer oggi i nuovi giochi robotici nascono principalmente per comunicare emozioni e sentimenti. Questa “nuova” generazione di giocattoli è in parte l’evoluzione e in parte la mutazione dei bambolotti parlanti di una volta ( quelli che dicevano mamma e gattonavano a scatti sul pavimento ). Dai peluche alle bambole fino agli automi umanoidi tutti devono qualcosa al primo esemplare di questa nuova razza di giochi che è sicuramente stato il Tamagochi, il pulcino elettronico giapponese che, collocato in un ovetto–portachiavi di plastica andava accudito e nutrito per evitarne la morte. Nella riedizione 2004 “tamagotchi connection” gli animalet- ti ( non più solo pulcini ) potevano comunicare tra loro, 145 scambiarsi regali, giocare insieme, diventare amici, innamorarsi e persino avere un figlio. Dopo i pulcini virtuali fu la volta dei Furby ( abbreviazione di fur–ball palla di pelo ) che presentavano già caratteristiche diverse e una maggiore complessità. Dotati di sei sensori sparsi per il corpo i Furby avevano non solo una voce ma anche udito tatto e senso dell’equilibrio. La caratteristica principale di questi esserini dal pelo lungo e gli occhi grandi era l’essere molto affettuosi, avere sempre voglia di scherzare, ridere e ballare. Appena comperato un Furby questo si esprimeva in un idioma bislacco detfurby to furbish ( letteralmente la lingua dei Furby ) poi con il tempo, giocandoci, “imparava” a parlare la lingua del paese in cui era stato acquistato arrivando a dire semplici frasi e canticchiare canzoncine. Nel 2005 è uscita una nuova versione del Furby potenziata e migliorata ( più memoria, più possibilità di apprendimento, riconoscimento vocale e uso della nuova tecnologia emo- to–tronics capace di simulare una gamma di espressioni e reazioni molto più ampia della precedente versione ). Da quel momento in poi sono stati sviluppati molti giochi con questo tipo di impostazione; dalla bambola Ally che ha fatto storia negli U.S.A. dotata di computer – nel quale annotava le cose da non dimenticare ( il compleanno della padroncina, i sui gusti alimentari, le date importanti ecc ) – la cui caratteristica era quella di raccontare storie buffe o di avventura e di proporre giochi a due basati sulla velocità di riflessi, al Lego “mindstorm” che combina mattoncini in plastica ed elementi del meccano con mattoncini elettronici programmabili permettendo ai bambini ( di tutte le età ) di progettare il proprio robot. Tra gli altri numerosi giochi di questa categoria va citata la serie AIBO, robotoys della Sony primo fra i quali fu il simpatico cagnolino programmabile – uscito prima in una versione più tecnologica e “Apple” ed qrio oggi in una più canina. Sono sviluppati da Sony anche i robot umanoidi della se- rie QRIO che pur essendo veri e propri dispositivi ad alta tecnologia ( come dimostra la presentazione dell’ultimo modello l’SDR–4X ), presentano diversi aspetti propriamente ludici. Sempre per parlare di tecnologia “mascherata” mi sembra interessante presentare le bambole gemelle Mytwinn. Queste bambole vengono realizzate in copia unica seguendo le indicazioni fornite dall’acquirente in modo tale da essere il più rassomigliante possibile alla bambina alla quale verranno affidate. Collegandosi via internet al sito http://www.mytwinn.com è possibile infatti scegliere una lunga serie di varianti ( una specie 146 di identikit dove specificare colore di occhi capelli, forma del viso, tipo di incarnato ecc.. ) visualizzare il possibile risultato e, previo pagamento minimo di 139$ mandarla in produzione ed aspettare che arrivi recapitata via posta. Sebbene questa bambola non racchiuda in se alta tecnologia mi pare evidente che la sua nascita sia a dir poco paragonabile alla manipolazione genetica! mytwinn Il giocattolo povero Con l’espressione giocattolo povero si intende quello realizzato con materiali di scarto o di recupero: ovviamente il termine povero si riferisce alla composizione e non al contenuto. L’esperienza di questo tipo di giocattolo è importante per il bambino quanto quella del giocattolo commerciale ma rispetto a quest’ultimo aiuta a sviluppare principalmente le capacità men- tali e la creatività del bambino. Se il gioco commerciale arriva nelle mani del piccolo utente a progettazione, produzione e montaggio ultimati ( almeno in larga misura ) nel gioco fai–da–te buona parte del divertimento consiste proprio nell’inventare il gioco e nella ricerca dei materiali realizzativi. L’atto di creazione e la costruzione del gioco assorbono tutte le capacità fisiche e intellettuali del bambino che a lavoro ultimato può dire con orgoglio “questo l’ho fatto io!”. La realizzazione domestica di un gioco è un’esperienza molto completa e stimolante per un bambino, gli permette infatti di mettere alla prova molte delle sue capacità partendo da un proprio bisogno ( il desiderio cioè di un certo tipo di gioco ). Il divertimento sta nella costruzione e nella “progettatazione” del giocattolo che in quanto tale spesso dura sì e no il tempo di un solo gioco. Bisogna sottolineare però che questo tipo di attività si svolge molto spesso, specie se i bambini sono piccoli, con un genitore o con un adulto–educatore. La presenza dell’adulto in questo tipo di attività è di grande aiuto per i bam- bini, che possono imparare molto dai consigli di chi ha esperienza. Così si arricchisce l’artefatto di una serie di ‘valori’ soprattutto emozionali che rendono il giocattolo povero molto amato e lo fanno spesso rientrare tra i giochi preferiti dei bambini, ormai assuefatti alla plastica e alla perfezione: forse queste creazioni godono anche del valore aggiunto costituito dal ricordo di uno dei rari momenti di gioco con l’adulto. Questi giochi anche se spesso bruttini rispetto agli standard commerciali conservano a lungo la memoria e il calore dell’esperienza che li ha creati. 147 giochi domestici: Questi giocattoli, in realtà commerciali, sono sipirati della tradizione del giocattolo povero. A destra ecodomino di Au ( Laura Olivieri ) fatto com materiali di recupero si usa seguendo le tradizionali regole del domino. Jingle Robot di Fresh Lab Creations ( Rosanna Murello ); tubi di cartone, imbuti di cafè, lampadine, forchette, cartone e tubi edili in plastica. Ricordo che quando ero piccola, prima che in commercio si potessero trovare action–figures e peluche di qualsiasi personaggio dei cartoon, mia sorella mia aveva costruito a partire da una vecchia t–shirt un pupazzo di HelloSpenk ( un cagnolino bianco e stilizzato ) e nonostante la somiglianza non fosse perfetta e si aprissero di tanto in tanto dei buchetti da rammendare nelle zampine adoravo quella maglietta disegnata a pennarello ripiena di lana. Il giocattolo domestico Per completare questo primo quadro delle possibilità ludiche il terzo tipo di giocattolo che presento è quello domestico presente sopratutto in casa sotto le “mentite spoglie” di attrezzi domestici. Piccoli arredi, pentole, sedie, ombrelli, stoviglie, scope, la vasca da bagno, il lettone sono in realtà splendidi giochi da riempire, cavalcare, guidare, parchi gioco in cui saltare, nascondere e molto altro ancora. Basta la fantasia a trasformare un qualsiasi oggetto in gioco e quando il sogno svanisce tutto torna tranquillamente al suo uso consueto. Contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare “non esiste il pericolo che il bambino avendo usato il cucchiaio per fare la catapulta in chissà quale battaglia, poi non lo riconosca come posata per mangiare. Egli sa distinguere perfettamente la differenza tra situazione di gioco e la normale routine quotidiana. In compenso permettergli di usare in modo diverso oggetti a lui familiari e abitualmente usati come utensili nell’attività domesti- ca gli consente di sviluppare quel tipo di fantasia comunemente conosciuta come capacità di 3. Marilena Cadore, Il cavallo a zonzolo. 148 adattamento.|…|in qualunque momento il bambino voglia giocare, in qualsiasi luogo o situa- zione si trovi, se è abituato ad avere una riserva di idee capaci di trasformare a suo vantaggio 3 la realtà, riesce a giocare” . Segmentazione del mercato. I giocattoli commerciali sono progettati e prodotti per essere immessi sul mercato e ne esiste dunque una possibile catalogazione a partire dal segmento di mercato di riferimento. Le macroaree commerciali di cui solitamente si tiene conto sono: prima infanzia, la fascia prescolare, i giochi tradizionali, i giochi in scatola e i giochi elettronici. Prima infanzia Appartengono a questo segmento tutti i giochi destinati ai più piccoli; questa fascia è la più controllata e sottoposta a regolamentazioni di sicurezza più rigide. Le peculiari caratteristiche di questa fascia di età ( da zero fino a 36 mesi ) e le tipologie di prodotto non permettono significative innovazioni al di là di operazioni di restyling. Prescolare All’interno dell’area del prescolare sembra essersi esaurita la fase di rivitalizzazione caratterizzata dall’utilizzo dell’elettronica che ha portato alla realizzazione di nuovi prodotti più evoluti, veri e propri piccoli computer. La tendenza è quella di un ritorno al gioco più tradizionale con una gamma di proposte sempre più completa. Il target prescolare ( dai 3 ai sei anni ) consente un buon margine di libertà di intervento ai progettisti: dai giochi all’aria aperta alle costruzioni, dai giochi da tavolo ai veicoli a pedali, dalle paste per modellare, ai cavalcabili, ecc. I Giochi in Scatola Nonostante la sostanziale maturità raggiunta dalle principali tipologie di prodotto, quest’area di business continua a riscoprire un ruolo importante all’interno del settore del giocattolo. I giochi di società hanno esaurito la fase di dinamismo che aveva contraddistinto il trend negli ultimi anni, caratterizzati dall’introduzione di alcune innovazioni ( ad esempio i giochi abbinati alle videocassette ) ed attual- mente sembrano soffrire di una certa “stanchezza”, soprattutto per quanto riguarda il segmento più tradizionale, mentre una decisa rivitalizzazione dell’intera area di business sta avvenendo con i giochi di ruolo con le carte, giochi per lo più di ispirazione “fantasy” e legati per lo più a serial televisivi o cinematografici di fantascienza. Gli activity games ( kit completi che permettono al bambino di cimentarsi in una certa attività ) continuano a fornire un positivo contributo all’area di business nel suo complesso, con 149 le aziende impegnate a ridare impulso al mercato attraverso una maggiore presenza di giochi che fanno leva sulle capacità manuali e sulla creatività.Questi prodotti rappresentano una “estensione” dei tradizionali giochi in scatola, dove viene enfatizzato il concetto legato alla manualità e alla manipolazione, in stretta connessione con la fantasia e la Creatività, che permettono al bambino di realizzare numerosi oggetti, creare disegni, ecc. Attualmente sono presenti sul mercato numerose referenze che vanno dalle tradizionali paste per modellare ( che possono essere considerate come i pri- mi prodotti a recuperare il concept di gioco manuale e creativo ), ai set per elaborare figure con la cartapesta o la sabbia, fino ai prodotti per dipingere. Infine, per i puzzle prosegue la tendenza alla stabilità, caratterizzata dalla presenza di prodotti ormai standardizzati in cui la variabile fondamentale rimane l’introduzione di soggetti “forti” da riprodurre. I Giochi Tradizionali L’area del gioco tradizionale risulta essere nella fase di rivitalizzazione, con la presenza,da un lato, di alcuni segmenti caratterizzati da andamenti ancora positivi grazie all’inserimento di novità sostenute da forti investimenti in comunicazione e, dall’altro, di prodotti ormai in fase di declino, come ad esempio le autopiste, gli strumenti musicali e i trenini elettrici. Per i personaggi d’azione le capacità di competere con successo in questo segmento sono sempre più strettamente correlate all’abbinamento con programmi televisivi che generano presso nei potenziali consumatori un effi- cace effetto di trascinamento sulle vendite del prodotto. La comunicazione pubblicitaria è concentrata nelle fasce orarie dedicate ai programmi per ra- gazzi e ai cartoni animati e la nascita di nuovi canali tematici dedicati ai più piccoli favorisce l’affermazione di nuovi personaggi pronti per essere venduti. Il segmento delle bambole tradizionali si è ampliato in termine di prodotti offerti con l’inserimento di numerose tipologie di bambole di dimensioni più piccole ( “mini–dolls” ) e inserite in un contesto di gioco particolare. Per le fashiondolls, le scelte relative al prodotto risultano condizionate dalle performance realizzate dal leader Mattel con Barbie e il fenomeno Bratz ormai in calo, anche se l’ingresso sul mercato di nuovi prodotti ha già modificato l’equilibrio esistente con l’introduzione di bambole simili a prezzi finali più contenuti. Il segmento dei peluche continua ad essere caratterizzato da un grande assortimento di prodotti sul mercato, differenziati, oltre che per prezzo e di- mensione, anche per i diversi momenti di consumo. Molti vengono infatti venduti come gadget, come i peluche e portachiavi Nici; questa tipologia di 150 prodotti si presta ad un consumo di impulso ed è quindi fruibile in molte occasioni che esulano le ricorrenze più tradizionali che solitamente accompagnano l’acquisto di un peluche di grandi dimensioni. Il segmento delle costruzioni, dopo avere attraversato un momento di difficoltà sul mercato interno, in stretta correlazione con le non soddisfacenti performance del leader Lego, è attualmente in fase di ripresa, trascinato da un lato dalle innovazioni di prodotto ( di cui l’esempio più evidente è il feno- meno Geomag e Supermag, due nuovi prodotti dell’industria nazionale del giocattolo ) e dall’altro dalla ripresa di Lego. Sono sempre presenti fenomeni di imitazione che si collocano su fasce di prezzo più basse. Gli automodelli si confermano come uno dei segmenti di rilievo all’interno del settore del giocattolo, sia in termini di giro d’affari sia di quantità di prodotti. Per i veicoli prosegue l’introduzione di nuovi modelli, realizzati ad imitazione dei veicoli reali con una sempre maggiore propensione verso prodotti jeep e i veicoli “agricoli”e specifico–settoriali, come trattori, camion, ecc. La tecnologia prevalente è quella di prodotti alimentati a batteria ( 6–12 volts ) anche se non è trascurabile la presenza di veicoli a pedale per un target di età più basso e di fascia di prezzo/dimensioni più contenute. In forte crescita anche il settore dei giocattoli elettronici nel quale trovano posto tipologie di giocattoli non propriamente tradizionali. Come sottoli- neato nel paragrafo precedente sono sempre più numerosi i giocattoli basati su un uso massiccio di tecnologie con i quali interagire mediante tastiera ( robot, tamagotchi, pixel chix, aqupets, q20, idog ). I Videogiochi L’evoluzione tecnologica continua a rappresentare la principale leva per lo sviluppo del segmento, sia dal lato del software ( titoli ), che da quello dell’hardware. I maggiori produttori continuano a sfidarsi lanciando sul mercato nuove piattaforme dotate di tecnologie davvero all’avanguardia. In relazione ai videogiochi, il mercato nazionale è simile ai mercati europei più avanzati tanto in termini di parco installato, quanto per numero di ti- toli venduti. Questa circostanza è legata all’introduzione di nuove console sempre più potenti, alle strategie di marketing del leader che ha innalza- to l’età media degli acquirenti e alle conseguenti politiche distributive che hanno abbandonato i negozi di giocattoli a vantaggio di altre tipologie distributive come negozi di elettronica di consumo, computer shop e grande distribuzione. 151 I contenuti Oltre alla struttura, che è stata analizzata nel paragrafo precedente, i giocattoli possono essere suddivisi rispetto ai contenuti che vengono veicolati. Ogni gioco esplora e migliora una o più aree di sviluppo; dunque una pos- sibile classificazione dei giocattoli è quella in base ai contenuti tra i quali possiamo annoverare i giochi di espressione, di costruzione, di coordinazione–movimento, di manipolazione, narrazione, affettività, educazione, musica, libri gioco e vertigine. A questo proposito è molto interessante notare come le categorie delineate attraverso lo studio dei contenuti ludici siano trasversali alla crescita. Queste maxiaree infatti vengono esplorate per molti anni e di volta in volta vengono affrontate in modo diverso a seconda dell’età del bambino. Espressione. Rientrano in questa famiglia tutti i materiali con i quali il bambino disegna e dipinge. Durante i primi due o tre anni di vita il bambino si avvicina a questo materiale cercando di esplorarne la forma e la funzione, per il pia- cere stesso del gioco che lo spinge ed esplorare il mondo che lo circonda. Lentamente scopre l’uso del colore nelle sue diverse forme, attraverso una lunga serie di sperimentazioni, diventando sempre più esperto e consapevole. Successivamente crescerà cercando di sviluppare l’abilità manuale ed espressiva, così come la capacità di utilizzare i materiali e le tecniche cercando di riprodurre la realtà che lo circonda o creando nuove immagini fantasiose ed irreali. Solo a partire dai tre anni di età i segni tracciati dal piccolo possono essere ricondotti a forme riconoscibili, è infatti partire d questo periodo che il bambino si impegna per riprodurre la realtà che lo circonda ( partendo da forme molto semplici come il sole, una stella, un cuore, la sua famiglia, una casa, una albero ecc ). Il disegno non solo stimola la creatività e la fantasia ma anche lo sviluppo della motricità fine ( cosa che avviene impugnando le matite, nel gioco del mettere e togliere i tappi dei pennarelli, nel temperare, nel calibrare la pressione del pennello ecc. ) e aiuta spesso il bambino anche ad osservare e pensare ( il nuovo occhio con cui guarda alla realtà lo spinge a prestare nuova attenzione alle forme ai colori, le dimensioni i rapporti ecc.). 152 Costruzione L’uso delle costruzioni stimola la fantasia e sviluppa le abilità manuali. Il bambino attraverso le prime costru- zioni impara le più importanti leggi fisiche che regolano i rapporti tra peso, volume, forma dimensione, altezza ed il loro equilibrio. Come per i giochi di espressione an- che nelle costruzioni il bambino esplorerà inizialmente le possibilità dei nuovi giocattoli ( incastrando e staccan- do numerose volte due pezzi di lego ad esempio ) e solo a partire dai 2–3 anni comincerà a dare forme conosciute o progettate alle sue creazioni. Come per molti altri giochi anche per le costruzioni as- sistiamo ad una graduale diminuzione delle dimensioni dei pezzi con il crescere dell’età del bambino. Nella prima infanzia le costruzioni sono piuttosto grandi e sem- plici ( anelli da infilare, cubetti da sovrapporre ) e vanno rimpicciolendosi con il passare degli anni con le prime figure geometriche ad incastro, le lavagne a chiodini o magnetiche, il lego ( dal più grande al più piccolo ), i le- gnetti fino ad arrivare alle costruzioni per i più grandi composte da pezzi anche molto piccoli e talvolta diffe- renziati come nel meccano e nel modellismo. Oltre alla forma dei singo- li pezzi varia anche la modalità di connessione; se nei giochi per la prima infanzia i cubetti possono essere solamente sovrapposti o affiancati con il lego già si possono creare strutture che grazie agli incastri robusti tra i mat- toncini sfidano la legge di gravità fino ad arrivare a giochi come il nuovo geomag le cui asticelle e palline magnetizzate possono realizzare strutture dalle geometrie complesse e non convenzionali sfruttando nuove modalità di attacco. Manipolazione Questo tipo di attività è piuttosto simile al gioco di costruzione tuttavia il materiale utilizzato è meno strutturato e l’attività svolta può essere para- gonata ai giochi di espressione. Questo tipo di esercizio aiuta senza dubbio a sviluppare competenze sensoriali oltre che manuali, creatività e spirito di concentrazione, aiutando anche il bambino a conoscere i materiali e le loro differenze. Durante il primo anno il bambino non è in grado di dare 153 forma agli oggetti ma si concentrerà sulla manipolazio- ne cominciando a distinguere le prime sensazioni tattili soprattutto attraverso la manipolazione del cibo. Dai due anni in poi potrà divertirsi con pongo e affini. Rientrano nella categoria dei giochi di manipolazione anche gli amatissimi giochi con la neve e con la sabbia ( pupazzi, formine, castelli, piccole sculture ecc ). Dopo i sei anni il repertorio dei materiali modellabili si amplifica in un crescendo continuo. Il gioco si può tra- sferire in cucina con giocattoli come il dolce forno, la macchina per lo zucchero filato e delle meringhe firmate “Prova del cuoco”, la macchina per gli ovetti di cioccolato ( con tanto di sorpresine ), per le gelatine o per i cioccolatini ecc. Possono essere utilizzati, con l’aiuto dei genitori, materiali da fa- legnameria ( seghetti, compensato, bastoncini ) ma anche attrezzature più artistiche come das, gesso da calco, argilla, attrezzi per sbalzo su rame, il pirografo, i colori per stoffa, ago e filo, carta e materiali vari per collage ecc. Coordinazione–movimento. Questo tipo di giochi aiutano il bambino a sviluppare le abilità motorie, sia a livello di conoscenza ed esplorazione del proprio corpo sia nell’abilità di saperlo usare in modo competente. Correre per fare alzare un aquilone, calciare la palla in direzione di un amico, strisciare dentro un tubo di cemen- to, fare ciclocross e molti altri giochi oltre ad essere fonte di divertimento danno al bambino l’opportunità di conoscere meglio se stesso e crescere in armonia con il proprio corpo e con l’ambiente. Attraverso l’uso di questi giocattoli il bambino rinforza il senso dell’equilibrio, la precisione dei movimenti, impara ad agire e muoversi nello spazio( chiuso, aperto, piccolo, grande ) acquisisce i concetti di lateralità, profondità, distanza, impara a collocarsi in un determinato spazio considerando le relazioni spaziali con gli oggetti e le altre persone. La giusta perce- zione dello spazio ( e anche del tempo ) consentono al bambino di costruire un proprio senso di realtà, e di appartenenza ad un determinato sistema di vita. È importane che nei giochi di movimento ci sia la possibilità di confrontarsi con gli aspetti ludici del rischio e della fatica, che possono aiutare a sentirsi sicuri , intraprendenti e capaci, in poche parole, di superare la paura e i futuri ostacoli fisici e mentali. Troviamo in questa famiglia un gran numero di giocattoli; nella prima infanzia aiutano a sviluppare questa fase di crescita i primi palloni e cuscini, il cavallo a dondolo, le trottole, i 154 trainabili, i primipassi, il triciclo, le automobili ( a pe- dali o da spingere ), le carriole, i carrettini e tutto ciò che il bambino sposta e maneggia. Passati i primi tre anni i giochi di movimenti si fanno più articolati e interes- santi e anche i giocattoli vanno modificandosi in questa direzione; rientrano in questa categoria di giochi la bi- cicletta, i pattini, il monopattino , lo skate, la corda per saltare, i trampoli, il freesby, il volano e gli altri giochi a racchetta, il pogo–stick, gli aquiloni, il boomerang e molti altri. Un ruolo di fondamentale interesse è da attribuire ad un giocattolo appartenente a questa categoria: la palla. La palla può essere considerato il giocattolo per eccellenza in quanto è presente in tutte le culture del mondo a partire dalle più antiche fino a quelle dei giorni nostri. Da sempre questo gioco favorisce la capacità di autonomia, l’autocontrollo e l’orientamento in una varietà smisurata di giochi che è possibile mettere in atto partendo da questo giocattolo. La palla diventa un tutt’uno con il bambino: insieme corrono, si rotolano, rimbalzano, saltano. Con la palla si può giocare da soli, in due, in tanti e a tutte le età. La presenza di una palla si traduce molto spesso in un invito a giocare e in un fattore aggregante. Esistono diverse palle realizzate in diversi materiali e colori alcune rim- balzano, altre rotolano per terra come le biglie, alcune galleggiano e altre ancora sono di grandi dimensioni e servono per essere cavalcate. La palla può essere lanciata, buttata contro un muro, al compagno, si può calciare, fare rimbalzare, si può prendere la mira per farle colpire un oggetto o per centrare un canestro, ma più di ogni altro gioco sollecita il bambino a socializzare con altri bambini. Ce ne sono di leggere e svolazzanti come i pal- loncini gonfiabili, di dure come quelle di cuoio usate per giocare a calcio, di soffici palle colorate di pezza o gommapiuma e anche ingegnose variazioni ipertecnologiche –e non– che spopolano soprattutto nel mercato americano tra cui palle che emettono rumori supersonici ( http://www.hasbro.com/ nerf/ ) e atre capaci di registrare i metri percorsi e la velocità di movimento , il che dimostra come anche un gioco antico come la palla possa ancora essere re–inventato. 155 Vertigine Una particolare declinazione dei giochi di movimento è costituita dai giochi di vertigine. Questa categoria è stata proposta per la prima volta da Roger Callois nel 1967 nel suo “I giochi e gli uomini” ma i bambini già da molti secoli amavano lasciarsi travolgere dalla sensazione di vertigine di giochi come l’altalena e le capriole. Rien- trano in questa un gran numero di giochi molti dei quali di grandi dimensioni e adatti soprattutto al gioco pubblico e arredo urbano come scivoli, pertiche, tappeti elastici, dondoli, giostre girevoli, oraswing ( giochi a molla da cavalcare sui quali dondolare velocemente ), giostre da luna park. Provocano la stessa sensazione i tuffi e i salti–acrobazie di vario tipo effettuati con skate, snowboard, pattini, bicicletta, cavallo, toto meccanico ecc. Esistono anche giochi di vertigine ad uso personale come il pogo, le versioni ridotte dei tappeti elastici, trampoli, il pompon, il pedalatore, gli anelli ecc. Lo stesso di piacere derivato dall’uso di questi giocattoli viene inseguito in attività destinate ad un pubblico più adulto come il freeclimbing, il bungee jumping, il paracadutismo e simili. Affettività Rientrano in questa categoria bambole pupazzi, peluche, animali di pezza e altri bambolotti a cui il bambino si affeziona. Le bambole usate nel periodo tra i sei mesi e i due anni devono avere alcune caratteristiche per soddisfare il bisogno di gioco affettivo rispettando le più elementari norme igieniche. Devono potersi lavare, non avere componenti estraibi- li, capelli che possano staccarsi ed essere ingoiati, parti che stringano acc. Per i peluche invece è bene controllare che il pelo sia resistente e che il colore non stinga ( soprattutto tenendo presente che il bambino tenderà a succhiare e mordicchiare i giocattoli in questo periodo. La bambola soprattutto ha un valore affettivo molto importante: su di lei la bambina trasferisce le ansie e le emozioni più significative, trascorrendo molte ore giocando e chiacchierando. Il bambolotto serve soprat- tutto per il gioco simbolico e la comprensione dei ruoli famigliari ( il papà la mamma, la nonna ) e la dramma156 tizzazione delle situazioni ad alto impatto emotivo ( la scuola, la pappa, le sgridate, la paura ). Ma i giochi di affettività non sono necessariamente soffici pupazzi di pezza e peluche, possono rientrare in questa famiglia anche i tecnologici furby, i “Bachuppa” ( miniburattini da infilare al dito che appoggiati sulla guancia emettono un sonoro smack e una risatina ) e i “Nintendogs” dolcissimi cagnolini virtuali da accudire in tutto e per tutto che vivono nell’ultimo videogioco per consolle portatile NintendoDS. Una categira a parte è quella della bambole “fashion doll” ( Barbie e derivati ) caratterizzate da un ricco guardaroba, capelli da pettinare, accessori vari. Queste bambole servono per imitare la vita e il mondo degli adulti: le ragazze più grandi, il marito e la moglie, la maestra, ecc. attraverso l’imitazione il bambino comprende il si- gnificato dei ruoli sociali sentendosi gradualmente più inserito nella sua realtà familiare e sociale. Giocare con le bambole è utile palestra anche per sviluppare abilità fino–motorie nel pettinare i capelli, allacciare e slacciare i vestiti, sfilare e infilare tutine, pantaloni, scarpine, cappelli ecc. Benché la bambola sia un giocattolo prevalentemente femminile esistono numerosi esempi di action–figures ( bambole che riprendono i personaggi di cartoon e serie televisive ) espressamente destinati ad un pubblico maschile: dalle tartarughe ninja all’uomo ragno fino ai più attuali eroi del wrestling. In questo ultimo caso è molto difficile stabilire se prevalga nel gioco la componente affettiva o quella narrativa. Narrazione I giochi di narrazione sono quelli in cui il bambino interpreta un ruolo o gestisce l’interazione di una serie di personaggi all’interno di una storia. Possiamo individuare due diversi tipi di gioco di narrazione: il primo è quello in cui il bambino attraverso l’uso di personaggi, maschere, burattini e travestimenti mette in scena la sua esperienza personale drammatizzando- la e liberandosi dalle tensioni emotive della sua vita reale, nel secondo caso 157 invece abbiamo i giochi di routine familiare o del “far finta”. Non sempre l’attività teatrale viene svolta per libera- re tensioni emotive, ma anche più semplicemente per manifestare gioia, per il piacere di esibirsi ed essere al centro dell’attenzione ( nel caso in cui si tratti di un tea- trino allestito per i parenti ), per l’emozione che si prova a vestire i panni di un altro anche solo per gioco. La sud- divisione dei giochi adatti a queste attività è data in base alle capacità espressive e manipolative del bambino dai pupazzi più grandi ai burattini ( facili da manovrare perché indossati come guanti ) elle marionette ( che richiedono un grande impegno in quanto manovrate da fili ), alle action–figures, ai travestimenti. Le situazioni messe in scena possono essere tratte dall’esperienza personale del piccolo o partire da spunti legati al mondo delle fiabe o della televisione o ancora, come nel caso del gioco simbolico, partire dall’imitazione del mon- do degli adulti. Attraverso l’uso di piccoli utensili che imitano gli oggetti di casa e del mondo adulto il bambino rivive le esperienze della quotidianità cercando di conoscere e simulare un punto di vista adulto. Attraverso il gio- ca la bambina diventa la mamma che stira, spolvera, cucina e imbocca il suo bebè, diventa il fruttivendolo che incarta le arance, il vigile che dirige il traffico, la maestra che sgrida una bambola troppo vivace. Giochi didattici In questi giocattoli risulta particolarmente evidente la componente istrut- tiva o educativa. Tendenzialmente la loro funzione è indirizzata ad un solo aspetto dello sviluppo infantile ( motricità, logica, linguaggio ecc ) e il loro uso principalmente istituzionale. Questo tipo di giochi viene largamente utilizzato da educatrici e insegnanti nelle scuole d’infanzia per sollecitare la crescita del bambino, incuriosirlo o per intervenire nel caso in cui si noti una certa carenza in determinato campo. I giochi educativi possono trovare spazio anche tra le mura domestiche ma proprio per i loro contenuti devono essere affrontati, almeno in un primo momento, sotto la guida del genitore che li propone, li spiega e li usa con il bambino. Sul mercato si possono trovare molti giochi educativi adatti ai bambini nel primo anni di vita, che sono strutturati in modo tale da proporre al neonato il maggior numero di stimoli possibili. Queste complesse palestrine non solo attirano l’attenzione visiva del bambino ma ne stimolano anche la 158 tattilità ,vista la presenza di numerosi materiali diversi come pure l’udito, essendo spesso dotate di carillon, o campanellini ed altri materiali sonori che arricchiscono le qualità dell’interazione con il playground. Lo stesso tipo di funzione è svolta anche dai mobiles; questi oggetti da appendere nelle camerette dei più pic- coli ( come le diffusissime api volanti ) stimolano l’attenzione verso le fonti di rumore e movimento e riempio- no anche una parte dello spazio che separa il piccolo dal soffitto affinché si senta più a suo agio in un ambiente maggiormente raccolto. Sono giochi educativi per la prima infanzia anche le figure geometriche ad incastro, gli strumenti musicali e successivamente anche i puzzle e il memory. Non necessariamente giocattolo didattico significa gioco noioso e la gamma delle possibilità non si limita ai soli “Grillo parlante” e “Sapientino” ( giochi elettronici a schede a scelta multipla con i quali il bambino interagisce attraverso una penna musicale che segnala le rispo- ste giuste e quelle sbagliate ). Una delle aziende leader in questo settore è la Clementoni. Possono rientrare tra i giochi didattici ed educativi i do- mini e le tombole nei quali il bambino deve accostare o sovrapporre figure simili, dello stesso colore, raffigu- ranti lo stesso animale o personaggio o appartenenti alla stessa categoria creando così i concetti di “famiglie di oggetti” e imparando a riconoscere le similitudini. Il bambino comprende i concetti di uguaglianza e diversi- tà, distingue oggetti contrari o affini, si confronta con i concetti di quantità e qualità. Con il passare degli anni e l’acquisizione dei concetti base i giochi educativi possono esplorare aree di interesse più specifiche come la scienza e la fisica a cui sono dedicati molti giochi ( piccolo chimico, microscopio, pe- riscopio, modellini del corpo umano ) libri e kit per effet- tuare semplici esperimenti scientifici a casa ( numerosi esempi di questo tipo di gioco sono reperibili in negozi specializzati in questo settore come “Città del sole”. 159 Libri gioco Negli ultimi anni sono andati moltiplicandosi i giocattoli a forma di libro. Parlo di giocattoli in quanto molti ritengono che questi primi artefatti a forma di libro non possano rientrare nella produzione libraria e quindi non possono essere considerati letteratura. Rientrano in questa categoria i libri da bagno galleggianti, i libri di stoffa, i prelibri di Munari. i libri tattili ricchi di mate- riali differenti, i libri di cartone con figure semplici, i portafoto, i primi racconti, i libri bucati, i libri puzzle, i libri da colorare o ritagliare, i libri pop–up, i libri teatrino i cui muovere personaggi di carta, gli attacca e stacca, gli album di figurine et similia. Con questi giochi il bambino familiarizza con i libri cominciando ad indagarne le possibilità formali e gradualmente i contenuti. Giocare con i libri non solo aumenta le capacità manuali ma aiuta a stabilire un primo contatto con uno strumento futuro per la conoscenza della realtà. Musicali Mi sembra interessante dedicare un paragrafo speciale ai giocattoli che permettono al bambino di divertirsi con il suono, usando la voce ed anche occasionali strumenti musicali. I bambini, già da molto piccoli, amano ascoltare musichette e canzoncine, e quest’abitudine li porta ad essere particolarmente sensibili alle armonie e ai sentimenti che la musica sa esprimere. Durante il primo anni di vita il bambino sente il suono, lo cerca intorno a sè, scopre la fonte dalla quale proviene e impara a provocarlo egli stesso. Scopre inoltre che il suo corpo produce diversi suoni e rumori e che tutti gli oggetti si possono manifestare attraverso il suono. Con gli anni im- parerà a distinguere il suono dal rumore e ad associare ai diversi suoni un oggetto o una situazione di riferimento. I primi giochi musicali con i quali il neonato viene in contatto sono i carillon e i sonagli, in uso già presso le popolazioni più antiche, e le loro numerose variazioni ( pupazzi e palle sonore, orsi parlanti, campanellini ecc ). Seguono a partire dai due anni i primi strumenti musicali a percussione ( tamburelli, xilofoni, timpani, triangolo, maracas ecc ) e a fiato come trombette, flauti, armonica a bocca, fischietti ecc. I bambini già nella prima infanzia sono abituati ad ascoltare musica e a partire dai primi anni di vita imparano velocemente ad utilizzare impianti ste160 reo e lettori cd. Già da molti anni si possono trovare sul mercato attrezzature specifiche per la fruizione musica- li dai bambini, a partire dai celebri mangiadischi degli anni ‘70 ( che il prezzo abbordabile e i colori sgargianti avevano reso da subito appannaggio dei più piccoli che amavano con essi ascoltare più e più volte le sigle dei primi cartoon giapponesi arrivati in Europa –Mazinga, Jeeg Robot, ecc. ), ai mangiacassette e registratori vocali Fisher–Price oggi ancora in commercio con i quali i più piccoli possono registrare e riascoltare la propria voce e gli altri suoni familiari, ai più recenti karaoke “Canta TU”, lettori cd ed mp3 come il futurista i–dog cagnoli- no mp3–player dal design che ammicca all’ipod. Anche i più piccoli risentono fortemente delle mode che spopolano tra genitori e fratelli maggiori: l’ultima tendenza è quella di unire in una sola console multimediali la funzione di riproduttore musicale, video e anche videogioco ( dalla ps2 al digiblast ). Un’altra moda contribuisce oggi allo sviluppo del settore dei giochi musicali legata al successo riscontrato dalla danza e dai giochi ad essa legati come bella ballerina ( kit completo per imparare la danza classica con tanto di musica, dvd con le lezioni, sbarra, pedana per gli esercizi e tutù ), e il dance re- volution ( videogioco interattivo che suggerisce i passi di danza da compiere per superare il livello ) che dalle sale giochi è entrato in salotto nelle versioni per consolle. Parlando di musica è piuttosto frequente che nei giocattoli ci sia una forte sovrapposizione tra contenuti ludici legati alla sfera musicale e di abilità motoria. Esistono molti altri videogiochi che aiutano a sviluppare il senso del ritmo e della musica tra questi mi sembra molto interessante citare il Donkey Konga videogioco musicale in commercio in Italia dal 2004 che prevede l’uso di una coppia di bonghi con i quali interagire con la console. Giochi in scatola Una classe a parte è costituita dai giochi in scatola che solo in rari casi possono rientrare nelle altre categorie citate ( pictionary ad esempio po’ essere considerato un gioco di espressione in quanto i giocatori sono tenuti, senza parlare, ad esprimersi attraverso il disegno schizzando oggetti e situazioni che i compagni di gioco devono indovinare ). Esistono molti tipi di giochi in scatola e tra di loro presentano numerose differenze. Tuttavia tutti i giochi 161 in scatola condividono alcune caratteristiche. Prima tra tutte è la struttura fortemente regolata; il bambino per potere giocare è portato a dovere conoscere e rispettare le regole del gioco. Una parte molto importante del gioco è infatti il momento in cui ci si avvicina alle “istruzioni” familiarizzando con il linguaggio del gioco. Spesso questa è la fase più difficile del gioco e non sempre si rivela rapida e indolore. I giochi da tavolo inoltre insegnano al bambino a giocare insieme agli altri comportandosi in modo civile sia nel caso in cui il gioco prometta bene sia che la sconfitta sia imminente. È molto importante che il bambino impari anche a perdere: il bambino piccolo infatti ,nonostante i suoi ovvi limiti, tendenzialmente riesce ad averla sempre vinta con i genitori ma in que- sta circostanza, specie se gioca con i coetanei impara a misurarsi con i suoi limiti. Il gioco in scatola lo pone di fronte non solo all’abilità degli avversari ma anche ad un fattore che fino a quel momento non era stato mai preso in considerazione: il caso o la fortuna. Il bambino impara a conoscere non solo il valore della competizione e della rivalità ma anche quello dell’alleanza e del gioco di squadra. Il più grande merito dei giochi in scatola è sicuramente quello di sapere riunire gruppi numerosi di bambini e adulti ribadendo la capacità e la voglia di stare insieme giocando. I giochi in scatola favoriscono lo sviluppo del pensiero logico sia deduttivo che intuitivo, l’acquisizione di concetti matematici e la gestione delle regole di gioco attraverso la creazione di piani d’azione. Ciò che rende i giochi di scatola diversi tra loro è invece la natura del gioco stesso. Tra i giochi in scatola possiamo individuare diverse tipologie come: — i giochi di percorso o fortuna come il gioco dell’oca: questo tipo di gioco non richiede alcuna abilità perchè è la sorte che deciderà chi vincerà superando ostacoli e vantaggi incontrati sul percorso secondo il capriccio dei dadi. Sono i giochi più facili adatti anche ai più piccoli; — giochi di tattica come dama e scacchi: costituiscono 162 un ottima palestra per la mente esercitando il pensiero logico–mate- matico; questi giochi abituano alla pazienza, alla concentrazione, ad avere una visione complessiva di ciò che avviene sul tavoliere. Il più delle volta questi giochi impegnano solo due persone. — giochi di simulazione ( risiko, allegro chirurgo ): questi giochi simula- no situazioni reali riproducendo sul tabellone avvenimenti presi dalla realtà ( battaglie, gare sportive ). — giochi di società ( monopoli, cluedo ): sono giochi che coinvolgono diverse persone per risolvere situazioni o avvenimenti ( compravendita di immobili, risolvere casi polizieschi ecc. ); — giochi di abilità ( twist, pictionary ): sono quelli che richiedono soprat- tutto abilità motorie, equilibrio, abitudine alla manualità e buona coordinazione tra corpo e mente; — giochi di ruolo ( Dungeons & Dragons ): sono tra i più diffusi e richiedo- no la guida di un direttore detto “master”. Le istruzioni suggeriscono una situazione di partenza, un’ipotesi che poi i giocatori, assumendo ruoli diversi come fossero attori protagonisti di una commedia, dovranno sostenere e portare a conclusione; — giochi di parole ( scarabeo, saltimente ): offrono una versione più di- vertente ma altrettanto impegnativa dei cruciverba. Questi giochi si svolgono solitamente in coppia o in squadre e la competitività ne aumenta il divertimento. Le situazioni d’uso. Come ho già avuto modo di dire a partire dai sei anni di età, quando il bam- bino comincia a frequentare la scuola dell’obbligo, si apre una spaccatura piuttosto profonda tra i giochi istituzionali–educativi e quelli domestico–ricreativi. Nella scuola elementare infatti, tendenzialmente piuttosto tradizionale, esistono pochi momenti da dedicare al gioco se si escludono i ritagli di tempo e gli intervalli e i giocattoli commerciali sono piuttosto malvisti. I giochi consentiti sono perlopiù giochi che non richiedono giocattoli: nascondino, rincorrersi, il “gioco del silenzio”. Esistono tuttavia materiali ludici che vivono a scuola e sono funzionali alle lezioni: abachi, blocchi numerici, carte con le lettere dell’alfabeto, flauti chitarre e altri strumenti musicali, materiali per esperimenti scientifici, lenti d’ingrandimento, 163 matite colorate, attrezzi per la ginnastica ecc. Il materiale ludico–educativo è molto presente durante gli anni dell’asilo e della scuola materna ma tende a scomparire passato il primo biennio delle elementari; nella migliore delle ipotesi il tempo dedicato a queste attività viene dirottato verso esperimenti didattici e attività di laboratorio. Mentre all’asilo i bambini possono portare da casa ogni giorno un giocattolo da usare in caso di malinconia alle elementari i bambini sono abbastanza grandi da potere resistere senza questo aiuto. I giocattoli tuttavia riescono spesso ad infiltrarsi come clandestini anche in territorio scolastico; il gio- cattolo undergroud, nascosto in tasca o negli anfratti del banco, funge per il bambino da “memoria personale” ricordandogli quello che ha lasciato fuori dal portone della scuola. I giocattoli di dimensioni ridotte ( personaggi collezionabili, minidolls, ecc ) sono molto amati dai ragazzi delle elementari proprio per la possibilità di essere nascosti e portati sempre con sè ). Non essendo ammesso a scuola il giocattolo propriamente detto i bambini spesso sfogano il loro desiderio di appartenenza al gruppo e rivendicazione di identità nell’acquisto del materiale scolastico e di cartoleria come cartelle, penne, astucci, pennarelli, ma anche portachiavi degli eroi della televisione, minipeluche da appendere alle cartelle ecc. L’esperienza interiore e il raporto con il giocattolo In questo paragrafo l’attenzione si sposta sull’esperienza interiore vissuta dal bambino durante il gioco e sul rapporto con il giocattolo che ne conse- gue. Una importante distinzione è quella tra il gioco di proiezione il gioco di relazione ( che apparentemente possono sembrare molto simili ). Nel gioco di relazione solitamente il bambino interpreta in prima persona un personaggio o un ruolo da cui dipende in modo diretto un certo tipo di comportamento. Un esempio di gioco di relazione può essere il Cicciobello: giocando la bambina si cala nel ruolo della mammina premurosa e le sue azioni sono dettate da uno standard di comportamento riconosciuto. Molti giocattoli di relazione suggeriscono in modo molto chiaro quale sia il comportamento migliore da tenere; ad esempio il bambolotto “baby Amore” piange e alza le braccia tranquillizandosi solo quando la bambina–mamma lo ha preso in braccio e coccolato; allo stesso modo alcuni bambolotti si ammalano ( come il “Cicciobello baby bua” ) e devono essere curati per tornare sani e sorridenti, alcuni peluche di cuccioli obbediscono a fischi e istruzioni ( cagnolini Bobby ) o piangono aspettando di essere accarezzati ( i Cercaffet164 to ) proprio come accade anche ai cuccioli vir- tuali tamagotchi e simili ( che rappresenta- rono una forma di gioco di relazione unisex adatto anche a bambini più grandi fino a 7–8 anni ). Questo tipo di gioco è prevalentemen- te femminile in quanto, per motivi storici, le bambine sono sempre state invitate ad imitare il com- portamento adulto di mamme–casalinghe mentre ai bambini maschi veniva concessa maggiore evasione e libertà anche nel gioco. Lo spartiacque che ha segnato il passaggio al gioco di relazione al gioco di proiezione anche per la bambine è stata la Barbie e le bambole di questo tipo. Per la prima volta anche le bambine hanno avuto una bambola con la quale identificarsi, un nuovo ruolo da interpretare più libero e spensierato, una giovane e at- traente ragazza bionda dalle curve mozzafiato e decine di scarpe con la quale affrontare le avventure più divertenti: gite al mare, corse al galoppo su scintillanti cavalli bianchi, scorribande in macchina, bagni in piscina, serate di gala e balli principeschi. In questo tipo di giochi la bambina si identifica completamente con il personaggio che impugna e vive le avventure fantastiche che inventa come fossero in prima persona ( rivolgendosi direttamente agli altri personaggi della scena ). I bambini compiono questo tipo di identificazione proiezione non solo con soldatini e personaggi di cartoon e videogiochi ma si identifica- no spesso anche con mostri e veicoli. Il gioco delle macchinine è spesso un gioco in cui il bambino si proietta all’interno della macchina come guidatore arrivando ad identificarsi con l’oggetto stesso. Per ragioni culturali i bambini maschi quando superano la prima infanzia non sono propensi ad accettare facilmente il loro bisogno di gioco di proiezione ( visto come un gioco da femmine, gioco di bambole ) e la tendenza è quella di fare compiere a character famosi azioni che non rientrano completamente nelle loro competenza, come a giustificare un certo tipo di gioco, giungendo a mix molto bizzarri come l’uomoragno–astronauta, hulk–pompiere, l’uomoroccia pilota di formula uno. Un tipo di esperienza interiore completamente differente è data dai giochi che consentono progettazione. Questo tipo di esperienza è legato all’uso di giocattoli di espressione, manipolazione o costruzioni con i quali il bambi- no può dare forma ad ambientazioni e personaggi nati nella sua fantasia. Dal lego alla creta, dal disegno alla falegnameria il bambino con questo tipo di gioco immagina il risultato finale del lavoro e si adopera per riuscire a 165 ricrearlo il più preciso possibile a come lo aveva immaginato. Per i bambini più grandi esistono giochi di pro- gettazione davvero molto complessi; mosaici a tasselli magnetici, kit per costruire collane e gioielli, materiale per la decorazione del vetro, paste modellabili simili all’argilla, plastilina con stampini speciali e consigli pratici per aiutare i bambini a costruire i loro personaggi. L’industria del giocattolo non manca di proporre nuove esperienze progettuali sempre più stravaganti e impe- gnative come nel gioco “brix” in cui i bambini ( età con- sigliata 9 anni o più ) sono invitati a costruire una vera fattoria in miniatura cominciando dalla fabbricazione dei mattoni: stampi, argilla in polvere, colla, tetto in cartone e progetti ( nel caso in cui si voglia ripetere il gioco basta risciogliere i mattoni in acqua calda e procedere a ristamparli ). Esiste infine un ultimo tipo di rapporto che il bambino può instaurare con il giocattolo: l’esperienza dell’interazione. L’interazione può essere obbligata e fortemente strutturata come nel caso di numerosi giochi elettronici di interazione e riflessi che richiedono al bambino di svolgere determinate azioni–reazioni ( come Simon, Bop–it, ecc. ) ma può trattarsi anche di interazioni semplici con oggetti la cui forma suggerisce un preciso uso ( una corda per saltare, un canestro da basket, un salterello ). Il rapporto con gli altri L’ultima possibile classificazione della quale intendo occuparmi riguarda il rapporto con gli altri che si instaura durante il gioco; questa variabile è strettamente legata al numero di giocatori previsti. Oggi la maggioranza dei giochi è pensata per una fruizione solitaria in quanto i bambini, sempre più spesso figli unici, passano buona parte del loro tempo chiusi in casa intrattenendosi con giocattoli di piccole dimensioni. Tuttavia molti di questi giocattoli solitari possono essere utilizzati anche insieme ad altri bambini ( diventando giochi sociali ); questo discorso vale per bambole, soldatini, macchinine mentre risulta più difficile per i giochi di costruzione ( con i quali non è sempre facile accordarsi su come debba pro- cedere il gioco ). Il gioco sociodrammatico, dove i bambini e interagiscono interpretando ruoli differenti, è particolarmente importante dai 4 ai 7–8. Il bambino durante queste “rappresentazioni” deve saper costruire e mantenere la stessa struttura di fantasia del compagno di giochi. Esiste una fase 166 di passaggio, tra i 2 e i 3 anni di età, in cui il bambino sperimenta il gioco in parallelo ( che si posiziona come fase di passaggio tra il gioco esclusivamente solitario e il gioco sociale ). I bambini a questa età non sono ancora in grado di giocare insieme agli altri interagendo in senso stretto ( mancano ancora molte strutture logiche, la capacità di adattarsi alle scelte degli altri, la concentrazione di proseguire lo stesso gioco per più di qualche minuto ) e spesso proseguono i propri giochi solitari intrecciandone di tanto in tanto le vicende nei rari momenti di contatto. Infine l’ultimo tipo di interazione possibile è la sfida che può declinarsi in scontro a due ( scacchi, forza4, ping pong ), sfida a più giocatori ( come nella maggioranza dei giochi di società ) o anche a squadre. Già da diversi anni i videogiochi più attuali prevedono la possibilità di giocare sia da casa che online entrando in contatto con gli avatar di altri giocatori che stanno prendendo parte, in quello stesso istante alla medesima partita. Questa tendenza si sta estendendo anche ai giocattoli tradizionali. Ultimamente stanno nascendo infatti giochi ( specialmente elettronici ) per uso solitario che prevedono funzionalità specifiche per trasformarsi in giochi sociali o sfide. Queste funzionalità si attivano solo nel momento in cui si hanno due o più giocattoli dello stesso tipo e sfruttano principalmente la tecnologia ad infrarossi ( o la connessione meccanica ). Sicuramente la possibilità di interazio- ne risponde a precisi piani commerciali che mirano a stimolare la collezionabilità e a perseguire la massima diffusione possibile del gioco elettronico ( i bambini sono costretti infatti a possedere 2 giochi distinti per potersi sfidare ) ma trovo interessante il tentativo di asgiungere variabili a giochi so- litamente piuttosto prevedibili. Trovo piuttosto rivoluzionaria l’idea che il gioco elettronico possa stimolare il bambino a non giocare solo ma a cercare la compagnia degli amici. Ad esempio la nuova edizione del Tamagotchi ( 2004 ) non deve solo essere accudito dalla padroncina ma può interagire con gli al- tri cuccioli virtuali giocando ( spesso si tratta di semplici sfide ) e scambiandosi regali. Il numero di interazioni tra Tamagochi viene registrato in una apposita rubrica di amici e ad ognuno viene associato un coefficiente di amicizia–interazione che prevede la scalata da “conoscenti” ad “amore vero” stadio in cui i due animaletti digitali possono decidere di riprodursi generando un nuovo uovo che nel giro di due giorni si schiuderà. Tuttavia per non penalizzare i Tamagotchi solitari , quelli che non hanno avuto la possibilità di incontrare altri 167 animaletti, il sistema materializza nel piccolo schermo la responsabile di un’agenzia matrimoniale che nel giro di pochi secondi saprà trovare l’ani- ma gemella ideale con la quale convolare a giuste nozze appena in tempo per riprodursi. Meno spinta è invece l’interazione tra le nuovissime “Pixel Chix” nuovissime virtual–doll della Mattel per ora in vendita solo sul mercato america- no. Le Pixel Chix sono bambole virtuali 2d che abitano vere case di bambola in plastica dotate di mobili e arredi con i quali la bambola interagisce ( in realtà la bambola si sposta su uno schermo posto tra la bambina e l’interno della casetta ). I giochi possibili sono molto simili a quelli fattibili con una “bambola vera”: si possono cambiare gli abiti ( senza nemmeno faticare con cernere e bottoni perché basta premere un tasto ), invitare le amiche per una chiacchierata o un te, portare a passeggio il cane ( o un’altra bestiolina a scelta rigorosamente fatta di pixel ), mangiare diverse pietanze presenti nel menù e persino dormire coricandosi nel letto o sul divano ( anche se ovviante si tratta soltanto di una illusione ottica ). Le case, che si distinguono per lo stile e appartengono a diverse ragazzine digitali, possono essere attaccate l’una all’altra per permettere alle piccole abitanti del comprensorio di conoscersi e interagire. Purtroppo queste prime interazioni sono ancora molto vincolate e non per- mettono molta libertà di gioco al bambino ma mi auguro che le cose possano cambiare e che il gioco elettronico perda la connotazione di gioco alienante e totalmente strutturato che lo caratterizza oggi. 168 169 Vertigine Musicali Costruzione Narrazione Espressione STRUTTURA Libri gioco Coordinazione movimento CONTENUTI Affettività t t a c io Giochi in scatola Didattici g Relazione ESPERIENZA interiore Proiezione Interazione Progetto Prescolare ero Prima infanzia pov Tradizionale Elettronico commerciale dom In scatola esti co Collezionabile Gadget M M M... Outdoor B R R U B R R U M M M... o l to Creativo Gioco solitario RAPORTO con gli altri Gioco parallelo SITUAZIONI d’uso Domestica ricreativa Istituzionale educativa Sfida Gioco sociale a r u a p La ... Per affrontare il tema della paura mi sembra necessario interrogarmi su cosa sia a la paura e cosa scateni a livello fisico e psicologico. Prima di cominciare a parlare di paura tuttavia mi sembra doveroso introdurre il valore delle emozioni nella vita umana per passare poi ad appro- fondire, in modo più specifico, cosa si intenda per paura e come questa si manifesti. L’analisi proseguirà mettendo in luce quali siano le caratteristiche di questo sentimento nei primi anni di vita evidenziando le paure più ricorrenti, le “età della paura” e le motivazioni profonde che portano al manifestarsi di tali emozioni. Le emozioni Lo studio delle emozioni Per lungo tempo lo studio delle emozioni è stato trascurato dal mondo scientifico e di conseguenza la letteratura in materia si è sviluppata abbondantemente solo negli ultimi anni rispetto a quella relativa ad altri aspetti della mente. Le cause di tale apparente disinteresse sono molteplici. Era opinione diffusa che le emozioni fossero un aspetto secondario e meno nobile della vita mentale di un individuo, che andava studiata nella sua componente razionale. I risultati della logica formale sembravano fornire una rigorosa piattaforma fondazionale per la descrizione analitica dei processi mentali, attirando l’attenzione degli studiosi come una base certa su cui costruire scienze certe. La stessa definizione di Homo Sapiens pone l’accento sulla ca- pacità umana di pensare tralasciando tutti gli aspetti della vita emotiva e fornendo quindi un quadro decisamente limitato di quella che è la natura umana (nella realtà dei fatti e fin troppo spesso a prendere il sopravvento su tutto sono le emozioni). Negli ultimi decenni però lo studio scientifico delle emozioni ha subito un notevole sviluppo che ha prodotto una quantità di conoscenze, provenienti soprattutto dalla neurobiologia e dalla psicologia sperimentale. Paradossalmente proprio l’emotività, considerata uno scomodo retaggio evolutivo e un’inutile interferenza nei processi intelligenti, ha iniziato ad essere considerata come un’ importante componente dell’intelligenza stes173 sa (dagli studi sulle intelligenze multiple di Gardner fino alla teorizzazione più completa nelle opere di Daniel Goleman). A cosa servono le emozioni? Con il tempo è stato accettato che le emozioni svolgono un ruolo fondamen- tale nel determinare i comportamenti umani e che, come spiega in modo molto chiaro Daniel Goleman nel suo “Intelligenza emotiva”, ogni emozione ci predispone all’azione in modo caratteristico; “…ciascuna di loro ci orienta in una direzione rivelatasi proficua per superare le sfide ricorrenti della vita umana– situazioni esterne che si ripetono infinite volte nella nostra storia evolutiva. Il valore del nostro repertorio emozionale ai fini della sopravvivenza trova conferma nel suo imprimersi nel nostro sistema 1.Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano , 1997. nervoso come bagaglio comportamentale innato: in altre parole nel fatto che le emozioni fini1 rono per diventare tendenze automatiche nel nostro cuore.” La radice stessa della parola emozione suggerisce la sua funzione suggeren- do che ogni emozione porti con se un invito ad agire; la parola infatti deriva dal latino Moveo (muovere) con l’aggiunta del prefisso E– (movimento da). Diversi studi si sono preoccupati di stendere un elenco delle emozioni fondamentali considerando l’emozione non solo come stato d’animo interno e come espressione facciale ed essa collegata. In particolare Paul Eckman ha studiato per molti anni le espressioni facciali legate alle emozioni, raccogliendo una grande quantità di dati: attraverso i suoi studi è stato possibile arrivare ad una descrizione particolareggiata del comportamento di molti muscoli facciali. Le emozioni segnalate dal volto sono state studiate attraverso l’osservazione attenta di fotografie e videofilmati, esaminati al rallentatore. I dati raccolti sono stati identificati in modo simile anche all’interno di culture molto diverse. E’ interessante notare come, per esempio, anche in un gruppo della Nuova Guinea di cultura primitiva le espressioni facciali relative a particolari emozioni somigliano molto a quelle delle società più avanzate; ciò accade in particolare per le emozioni biologicamente più primitive e dunque universali. Le emozioni fondamentali Benché ci siano alcune differenze tra i risultati delle diverse indagini alcune emozioni sono comparse nella maggioranza delle ricerche, anche a partire 174 da discipline diverse, e sono quindi candidate a prendere parte al gruppo delle “emozioni prime”. Le più ricorrenti risultano essere la rabbia, la paura, la felicità, il disgusto e la tristezza. Goleman aggiunge a queste anche l’amore e la sorpresa; altri ancora annoverano tra i sentimenti fondamen- tali anche la vergogna. Vediamo quali sono le più evidenti reazioni causate delle emozioni primarie: —Felicità: quando proviamo gioia aumenta l’attività di un centro cere- brale che inibisce i sentimenti negativi aumentando la disponibilità di energia. L’arrestarsi della produzione di pensieri angosciosi pone l’organismo in uno stato di quiete che consente all’organismo di riprendersi dall’attivazione biologica causata dalle emozioni più violen- te. La felicità insomma non porta sconvolgimenti particolari a livello fisico ma uno stato generale di riposo rende disponibili ed entusiasti rispetto a qualsiasi compito si debba svolgere. —Paura: se proviamo paura il sangue affluisce verso i grandi muscoli scheletrici, ad esempio quelli delle gambe, rendendo così più facile la fuga e al tempo stesso facendo impallidire il volto che momentaneamente risulta meno irrorato (è proprio per questa veloce diminuzione del flusso sanguino superficiale che si avverte la sensazioni che “si geli il sangue”). Allo stesso tempo il corpo si immobilizza, come congelato, probabilmente per valutare se convenga e se sia possibi- le nascondersi. I circuiti cerebrali preposti alla regolazione della vita emotiva scatenano un flusso di ormoni che mettono l’organismo in uno stato generale di allerta, preparandolo all’azione e fissando l’attenzione sulla minaccia che incombe per valutare quale sia la risposta migliore. —Rabbia: quando siamo in collera il sangue ci affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare un’arma o sferrare un pugno all’avversario; la frequenza cardiaca aumenta e una scarica di ormoni, tra i quali anche l’adrenalina, genera un impulso di energia abbastanza forte da permettere un’azione vigorosa. —Disgusto: l’espressione di disgusto è la stessa in tutto il mondo ed è decisamente una delle più facili da riconoscere. Qualcosa offende il gusto o l’olfatto deformando i tratti del volto facendo arricciare il naso e sollevando leggermente il lato del labbro superiore. Questo tipo di reazione deriva probabilmente da un primordiale tentativo di chiudere le narici per evitare un odore o sputare un cibo potenzialmente dannoso. —Tristezza: la funzione principale di questo spiacevole sentimento è quello di farci adeguare ad una perdita significativa (delusioni, lut- 175 ti e altre piccole grandi tragedie). L’effetto maggiormente visibile è la caduta dell’energia e dell’entusiasmo verso le attività della vita, in particolare le distrazioni e i piacere, e quando quella, peggiorando, si trasforma in depressione arriva a modificare persino il metabolismo della persona. Provare tristezza porta generalmente a chiudersi in se stessi probabilmente per avere ad esempio il tempo di rielaborare il lutto ed abituarsi alla nuova situazione. Si vogliono capire le cause e le conseguenze che quanto è accaduto porta con sé ed essere pronti, quando le energie torneranno, a reagire per dedicarsi ai nuovi progetti. Può darsi che la caduta di energia fosse utile ai nostri antenati per tenerli vicini ai loro rifugi, e quindi più al sicuro, quando erano più vulnerabili e distratti a causa della tristezza. —Sorpresa: il sollevamento del sopracciglio tipo dell’espressione sorpresa consente di avere una visuale più ampia consentendo ad una mag- giore quantità di luce di raggiungere la retina. E’ importante infatti, nel momento in cui si è sorpresi da uno stimolo visivo, potere, nel minore tempo possibile, raccogliere informazioni per comprendere la situazione e formulare un piano d’azione. La paura Provare paura Il dizionario Garzanti fornisce per il termine paura questa definizione: “In- tenso sentimento di apprensione e di inquietudine che s’insinua nell’individuo per l’azione, anche momentanea o improvvisa, di elementi concreti o immaginari da cui possano derivargli pericoli o danni: paura del temporale; paura degli esami; paura della morte; la paura non gli passa più; tremare, diventare pallido dalla paura; fare, mettere paura, atterrire. In loc. fig. iperb.: aver paura della propria ombra, essere molto pauroso; morto di paura, spaventatissimo; brutto da far paura, di persona o cosa bruttissima, orribile.” La paura è, secondo la definizione di Matte Blanco, una delle “sensazioni–sentimenti” più arcaiche e significative in quanto posta a salvaguardia dell’inte176 grità individuale e di gruppo. W.R. Bion considera la paura tra i “dispositivi psicobiologici elementari”, ricondu- cendola a quelli che lui chiama “assunti di base” ovvero strutture mentali che orientano le risposte dell’essere umano all’ambiente. In particolare quello che noi chiamiamo paura non è altro che il più primitivo e potente meccanismo di reazione ad uno stimolo esterno nello specifico è “l’attacco–fuga”. “La paura è una cosa difficile da combattere tant’è vero che non si vede ma si sente” scrive una bimba di nove anni coinvolta in un programma di laboratori condotti da Hamelin Associazione Culturale in varie città d’Italia nel corso del 1999 inizio 2000. Reazioni fisiche e psicologiche. Cercherò di chiarire quello che accade quando si prova paura a livello fisico che cerebrale.I neuroscienziati hanno analizzato i circuiti della paura nelle loro più sottili diramazioni, ma allo stato attuale delle ricerche non si può certo dire che sia stato svelato e compreso nella sua completezza il circuito neurale di nessuna emozione. Tuttavia la paura è il sentimento che meglio si presta ed essere studiato per comprendere le dinamiche emozionali in quanto resta il più potente e quello maggiormente è stato legato alle pos- sibilità di sopravvivenza dei nostri antenati. Sono state infatti le reazioni automatiche acquisite con l’esperienza che nell’arco di tutta la preistoria hanno rappresentato la differenza tra la vita e la morte. Fu proprio questo insieme di reazioni a garantire ai nostri antenati la possibilità di avere una progenie alla quale trasmettere queste specifiche predisposizioni genetiche fino ai giorni nostri.Oggi come oggi il retaggio delle paure ancestrali è un bagaglio piuttosto scomodo da portare; la maggior parte delle paure che ci sono state trasmesse nei secoli appaiono oggi ingiustificate e si trasformano spesso in malessere e patologie “moderne” quali attacchi di panico, fobie, ansia e disturbi ossessivo compulsavi. La paura è un’emozione che coinvolge l’organismo nella sua globalità e viene attivata da una particolare situazione circoscritta che funziona da stimolo esterno. E’ proprio questa caratteristica a differenziarla da altri sta- ti psico–fisici molto simili a livello di sensazione, come ad esempio l’ansia o il panico che solitamente non hanno un oggetto di riferimento preciso e si possono manifestare in qualsiasi momento. 177 Il provare paura porta a diversi tipi di reazioni sia fisiche che psichiche. Quando si prova paura è possibile riscontrare a livello fisico alterazioni dello stato di tensione somatica, agitazione con aumento del ritmo cardiaco, intensificazione della sudorazione, piloerezione (pelle d’oca) ecc… A queste mutazioni fisiche si affiancano difficoltà propriamente psicolo- giche quali una disorganizzazione cognitiva–emotiva, come ad esempio il ricordare eventi del passato, o difficoltà a collegare pensieri ed idee. Tali fenomeni dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter scappare o attaccare in modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza. L’ansia, quindi, non è solo un limite o un disturbo, ma costituisce una importante risorsa, perché è una condizione fisiologica efficace in molti momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni (ad es. sotto esame o in situazioni di rischio effettivo in cui è necessaria una risposta tempestiva). Se da un lato la paura sembra bloccarci completamente annullando la nostra capacità di organizzare i pensieri, quando appunto ci sentiamo paraliz- zati dalla paura, ad un livello cerebrale invisibile attiva una serie di risposte che favoriscono la reazione allo stimolo (tra queste risposte vanno ricordati anche comportamenti motori in quanto la prima reazione che si ha provando paura è quella della fuga). La paura è uno stato di intensa emozione che coinvolge tutto l’organismo; la persona impaurita presenta infatti particolari risposte ognuna delle quali interessa organizzazioni comportamentali. Quando una persona è impaurita diventa immediatamente molto vulnerabile, tende ad ampliare il valore effettivo dei fatti; la soglia dell’attenzione si alza a dismisura e si è portati ad allarmarsi con estrema facilità non conoscendo la reale fondatezza del pericolo in quanto questo dipende da un’azione che si sta sviluppando fuori dal proprio campo di conoscenza. Le forze operative non possono quindi entrare in azione come invece lo possono, con intensità esagerata, le forze intellettuali che sono chiamate ad esplorare i fatti che hanno determinato l’allarme. Una risposta di paura o ansia è costituita normalmente da tre componenti: —di carattere soggettivo che si manifesta come elevata tensione emotiva (il sentimento che tutti bene conosciamo); —di carattere psicofisiologico che si esplica in uno stato di attivazione fisiologica che interessa la componente simpatica del Sistema Nervoso; —di tipo comportamentale, con manifestazioni comportamentali spe178 + paralisi la paura tende ad aumentare nel tempo oggetto della paura per cez ion stim olo pau ed el p eric olo rog e no soggetto impaurito - + valutazione della situazione l’esito dell’attacco determina la diminuzione o l’aumento della paura padroneggiamento attivo risposta di attacco - fuga difesa cognitiva cifiche, che determina appunto l’elaborazione e la scelta di una data strategia come reazioni di fuga e di evitamento. Per quanto riguarda gli indici psicofisiologici la paura attiva all’interno dell’organismo una serie di processi neurovegetativi, controllati dal sistema simpatico e parasimpatico. Gli indici comunemente osservati sono: —la risposta psicogalvanica o elettrodermica (sudorazione) R.P.G. R.P.D., si fonda sulla qualità che ha l’epidermide di opporre resistenza al passaggio della corrente elettrica. Quando il soggetto è emozionato o impaurito tale resistenza tende ad abbassarsi portando a sudare di più. —La risposta pneumografica (respirazione) R.P: in stato di quiete la fase di inspirazione è simmetrica a quella di espirazione (genera un respi- ro regolare); mentre in stato di emozione forte il ritmo respiratorio è irregolare(il respiro si fa affannato e si ha la sensazione che “manchi l’aria”). —La risposta cardiaca R.C.: il ritmo cardiaco viene sollecitato anche dalla minima emozione. Per quanto riguarda la componente emotiva solitamente negli studi sull’argomento vengono considerati i racconti in prima persona di chi prova paura. Chiaramente l’autovalutazione delle paure indaga esclusivamente la componente soggettiva della paura, cioè i sottosistemi di risposte cogni- tivo–verbali propri del soggetto narrante. Gli stimoli esterni che attivano le componenti della paura possono essere di due tipi: stimoli specifici che hanno la possibilità di suscitare paura (un cane, un serpente) o stimoli sensibilizzanti, il cui effetto è quello di aumentare la sensibilità della persona nei confronti di specifici stimoli paurogeni (qualsiasi rumore o movimento appena percepito può peggiorare la situazione se si ha paura del buio). Que- ste classi di stimoli sono attive solo nel caso in cui la situazione si avverta come minacciosa, altrimenti non vengono attivate le risposte tipiche delle fobie. Ad ogni modo, nel caso in cui si cominci a provare paura, scattano diverse possibilità di comportamento: —il soggetto si difende cognitivamente passando dalla minaccia alla non minaccia. Il pensiero indebolisce la paura provata in risposta alla situazione stimolo. —il soggetto, attingendo al suo bagaglio di esperienza vissuta in situazioni analoghe, gestisce adeguatamente il suo comportamento. Anche in questo caso si passa dalla minaccia alla non minaccia; —il soggetto fugge dalla situazione o la evita. Questo comportamento pur riducendo momentaneamente lo stato di paura non la elimina ma, al contrario, la intensifica. —il soggetto emette le risposte tipiche di paura che sono di natura neurovegetativa, motoria, verbale soggettiva. Nel caso in cui il soggetto risponda fuggendo o lasciandosi prendere dalla pura senza reagire è molto probabile che tenda ad aumentare la sensibilità a quello stimolo e quell’individuo, in future situazioni analoghe, manifesterà uno stato crescente di agitazione. Può inoltre accadere che venga a costituirsi una paura condizionata nei con- fronti di alcuni elementi che fanno parte della risposta primaria di paura. I diversi feedbak producono effetti cumulativi di potenziamento della carica paurogena contenuta negli stimoli con un andamento circolare. Chi è impaurito in breve è tendenzialmente portato a provare una paura crescente se non compie uno sforzo per cercare di tranquillizzarsi (o se questo non è possibile). 180 STIMOLO ESTERNO per cez ion O SENSIBILIZZANTE stim olo pau ed el p eric olo rog e no ale rebr ina per e c al ione le e dren reaz to della nortaività cerebrlai SOGGETTO impaurito en eat oria – aum orare la r ioni sens rvoso i e z g e mil erc ma n e le p del siste atico r i u c a lle mp one n ta de arasi ivazi – att atico e p accelera fronto co n simp etazione iali e co rpr sor tro – inte zioni sen ssate ques e c pa al “se sce e e z per n n dispo eagi perie le es llo si pre il quale r o e e iv v t t r e n n isti ura – il c odo ale” d neur moli in m ti agli s a otiv m e ione nte reaz di allerta tale e appare en to to – sta sione m ionamen a fu g ur – con oltà di ra della pa azione diffic evolezza a della re re pid sap tua – con azione ra ale da at t t u n l e a v m – por ta com r a fisicazione e n r o lo o di ge a sud eazi dell zione ento ensa – aum d’oca e s o o at le lerat – pel ro affann acce nguinea i o c p s a – re ardi zione sa a tito c – bat ima irror li o s s s a u m c –m andi ai gr Reazioni a livello cerebrale Per cercare di spiegare cosa si scatena nella nostra corteccia cerebrale quan- do proviamo paura mi servirò di un esempio pratico cercando di spiegare step by step cosa avviene in una situazione di possibile pericolo. Immaginate di essere a casa soli di notte e di sentire all’improvviso un rumore sospetto provenire dall’altra stanza. Il primo circuito cerebrale coin- volto si limita a ricevere il suono nella sua natura fisica e trasmetterlo al cervello tradotto in impulsi elettrici capaci di mettervi in allarme. Questo primo circuito va dall’orecchio e al tronco encefalico e poi al talamo. Di lì si dipartono due vie nervose: una diramazione più piccola conduce all’ami- gdala e al vicino ippocampo mentre l’altra più grande porta alla corteggia uditiva del lobo temporale dove i suoni vengono classificati e compresi. L’ippocampo, che potremmo considerare come un fondamentale magazzino per la memoria, confronta rapidamente quel “rumore” con altri suoni simi- li già uditi in passato e verificare se è un suono conosciuto. Nel frattempo la corteccia uditiva sta analizzando il suono ricevuto in modo più sofisticato cercando di formulare velocemente un’ipotesi su cosa ha scatenato il rumore e trasmetterlo velocemente all’amigdala e all’ippocampo che potranno paragonarlo ai suoni “in memoria” – verificando in tal modo se è già stato associato a situazioni i pericolo. Se la conclusione è rassicurante (se ad esempio vi tranquillizzate dopo avere capito che si trattava solo di una persiana mossa dal vento) allora l’allarme generale non si innalza ulteriormente. Se non sono state prodotte risposte soddisfacenti un altro circuito tra l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia prefrontale accresce ulteriormente l’incertezza inducendovi a cercare con crescente preoccupazione ed urgenza una spiegazione plausibile del rumore che avete sentito. Se da questa ulteriore analisi non si ricava una risposta soddisfacente allora l’amigdala fa scattare un allarme e la sua area centrale attiva l’ippotalamo, il tronco encefalico e il sistema neurovegetativo. Ogni fascio di neuroni dell’amigdala ha varie diramazioni per differenti neurotrasmettitori per potere trasmettere e ricevere informazioni diversificate. Al nucleo laterale dell’amigdala pervengono diramazioni dal talamo e dalla corteccia uditiva e visiva. Gli odori, attraverso il bulbo olfattivo, arrivano all’area corticomediale dell’amigdala mentre i sapori e i segnali viscerali fi- niscono nell’area centrale. Questi segnali in arrivo fanno si che l’amigdala sia come una sentinella pronta ad analizzare ogni esperienza sensoriale. Da questo centro emozionale si diramano collegamenti verso ogni area prin- cipale del cervello. Dalle aree centrale e mediale un fascio va verso le aree dell’ippotalamo che secernono l’ormone corticotropo (Crh), la sostanza con 182 la quale l’organismo reagisce alle emergenze, attivando la reazione di combattimento i fuga attraverso una serie di altri ormoni. L’area basale dell’amigdala invia diramazioni al corpo striato, collegando- si così al sistema cerebrale che regola il movimento. E, mediante il vicino nucleo centrale, l’amigdala invia segnali anche al sistema neurovegetativo attraverso il midollo spinale, attivando una vasta serie di reazioni a largo raggio che riguardano il sistema cardiovascolare, i muscoli e l’intestino. Dall’area basolaterale dell’amigdala si diramano fasci nervosi verso la corteccia del cingolo e verso le fibre conosciute come il “grigio cerebrale”, struttura che regola la muscolatura scheletrica. Sono queste cellule che fanno ringhiare il cane o inarcare il gatto per minacciare l’intruso che ha invaso il loro territo- rio. Negli uomini questi stessi circuiti tendono i muscoli delle corde vocali e creano il tono altro di voce emessa quando si ha paura. Un’altra via che si diparte dall’amigdala conduce al “locus ceruleus”, nel tronco cerebrale – che a sua volta produce la noradrenalina e la diffonde nel cervello. L’effetto della noradrenalina è di aumentare la reattività complessiva di aree cerebrali che la ricevono, rendendo molto più sensibili i circuiti sensoriali. La noradrena- lina si diffonde nella coreteccia, nel tronco encefalico e nel sistema libico mettendo in tensione l’intero cervello. In questo stato fisico il più piccolo scricchiolio può fare tremare di paura. Questi mutamenti sfuggono alla consapevolezza e spesso nonostante un sacco di sostanze si siano già scatenate per metterci all’erta non siamo ancora consapevoli di provare paura. Lentamente l’ansia che era rimasta inconscia comincia a penetrare nella coscienza rendendoci consapevoli del provare paura. A questo punto l’ami- gdala ordina all’istante una reazione di ampia portata; segnala alle cellule del tronco encefalico di fare assumere ai muscoli del viso una espressione di paura, di rendervi nervosi e allarmati, di bloccare i movimenti già in corso non legati alla reazione allo stimolo ricevuto, di accelerare il battito cardiaco, alzare la pressione cardiaca e rallentare la respirazione (fino ad arrivare quasi a trattenere il fiato proprio per udire più distintamente eventuali altri rumori provocati da ciò che vi ha impaurito). Nel frattempo l’amigdala, insieme all’ippocampo ad essa collegato, ordina alle cellule che inviano i neurotrasmettitori di provocare scariche, ad esempio, di dopamina, che vi inducono a concentrare l’attenzione sulla fonte della vostra paura e predispongono i muscoli a reagire. Nel frattempo vengono sollecitate anche le aree sensoriali della visione e dell’attenzione, facendo in modo che gli occhi cerchino tutto ciò che è rilevante per l’emergenza. Simultaneamente i sistemi mnemonici corticali vengono riorganizzati in modo che le conoscenze e i ricordi più pertinenti all’attuale emergenza emo183 zionale possano essere evocati velocemente e ciò conferisce loro la precedenza su altre linee di pensiero momentaneamente meno pertinenti. Questa serie di reazioni a catena vengono definiti “sequestri neurali” proprio per il loro carattere inconscio che porta però a modificazioni visibili a livello di stato fisico e d’azione. In questi momenti è come se venisse dichiarato uno stato si emergenza e il cervello, senza avere la possibilità di comprende- re a pieno ciò che sta accadendo, si trovasse appunto sequestrato dall’onda delle reazioni a catena che una forte emozione ha scatenato. Le persone che ne sono vittima spesso hanno la sensazione di non sapere esattamente cosa sia capitato loro e capita che non si sappiano spiegare la velocità e la prontezza della loro reazione avvenuta a livello praticamente inconscio. Tornando alla nostra descrizione dei processi mentali innescati dalla pau- ra possiamo affermare che arrivati a questo punto del racconto il livello di paura è alto e completamente consapevole; si è consapevoli del livello di ten- sione muscolare anche a livello di stomaco e intestino, il cuore batte più in fretta, la tensione dei muscoli del collo e delle spalle è tangibile e si avvertono scariche e tremiti nelle membra; il corpo è immobilizzato e l’attenzione è al massimo. Sembra sbalorditivo ma questa intera sequenza di azioni e reazioni si può verificare anche in un arco di tempo di circa un secondo. Ma come nasce la paura? A cosa serve? Come ho già avuto modo di dire la paura è un’emozione primitiva e complessa, preziosa per la nostra sopravvivenza sin dalla notte dei tempi. Le paure dei bambini in particolare, come l’ansia da separazione e il timore degli estranei sono adattive. cioè utili alla loro stessa sopravvivenza. Molte paure hanno un’evoluzione, e si sviluppano in precisi momenti della crescita, di pari passo con le nuove abilità che il bambino apprende. Nel momento in cui il piccolo impara a camminare e si accorge di potersi allonta- nare fisicamente dalla madre, ad esempio, insorge l’ansia da separazione. La reazione segue una logica precisa: se si allontanerà senza farsi notare presto si perderà e rimarrà solo (e indifeso); la paura serve al limitare queste possibilità. Alcune paure sono scritte infatti nel nostro patrimonio genetico mentre altre compaiono in seguito ad esperienze negative. Le paure innate diverse ricerche mettono in evidenza come alcune paure siano innate e compaiano a prescindere dall’esperienza. A questo proposito vanno citate le os- servazioni del celebre etologo Konrad Lorenz riguardanti i caratteri genetici della paura. 184 Quando Lorenz fece volare sul capo degli anatroccoli appena nati un model- lino di aereo, i pulcini diedero segni di paura perché il volo rassomigliava a quello di un uccello rapace dal collo corto. Benché non avessero mai visto ne un avvoltoio né un falco i nostri anatroccoli ne sapevano già abbastanza da impaurirsi davanti ad una sagoma che ricordava questi uccelli predatori. Successivamente lo spe- rimentatore modificò la forma dell’aereoplanino e la posizione della fonte luminosa in modo che si formasse un ombra più simile a quella di un uccello dal collo lungo, come quella di un oca ad esempio. Gli anatroccoli naturalmente non avevano mai visto neppure le oche ma non misero in atto nessun comportamento di fuga o timore. Eleanor Gibson e R.d.Walk hanno condotto un’altra serie di esperimenti affascinanti utilizzando una “scogliera visiva”. Questo dispositivo consiste- va di una semplice pedana trasparente alta circa trenta centimetri divisa in due parti: la prima ricoperta con un panno, la seconda trasparente. Diverse specie di animali, tra cui pulcini, cuccioli di scimmia, di capra e an- che bambini di età compresa tra i sei e i quattordici mesi, evitarono il lato “profondo” (dove il pavimento era trasparente) e si spostarono sul lato che a prima vista appariva più solido (quello coperto dal panno). Anche la paura dei serpenti è innata in molte specie e il fatto di vivere più o meno vicino alle zone tropicali o rocciose, che costituiscono l’habitat naturale delle specie più velenose, è del tutto ininfluente. Molte persone, che non hanno mai visto un serpente e probabilmente non avranno mai occasione di vederlo se non allo zoo, ne hanno un istintivo timore. Le paure che si imparano: il “condizionamento” E’ evidente che le paure che non rientrano nella serie della paure innate vengano acquisite in seguito a determinate esperienze. Questo tipo i paure che si sviluppano in risposta al dolore o ad incidenti prodotti da una situazione sono quelle che più frequentemente, se non affrontate nel modo corretto, possono trasformarsi negli anni in fobie. Sono possibili tre differenti percorsi per “imparare una paura”: —Il condizionamento classico: nel condizionamento classico l’ansia e la paura verrebbero acquisite grazie alla contiguità che si verrebbe ad instaurare tra uno stimolo incondizionato ed uno stimolo in precedenza neutro, che acquista in tal molo la capacità di provocare la risposta incondizionata; —Il condizionamento operante: il comportamento di ognuno di noi è regolato dalle conseguenze che esso produce; l’organismo infatti ten- derà a ripetere le azioni che hanno portato sensazioni piacevoli e ad evitare quelle che producono effetti spiacevoli; 185 —Il modellamento: per il modellamento invece, ognuno di noi apprende determinati comportamenti osservando il comportamento di altre persone. Per meglio chiarire la differenza tra i due tipi di condizionamento che ho citato, che potrebbe non apparire evidente, riporterò due esperienze condotte in laboratorio da Ivan Pavlov (un noto studioso russo del secolo scorso). L’esperimento originale, che portò a determinare i meccanismi del condizionamento classico consisteva nell’insegnare ad una cane a salivare quando sentiva una musichetta. Naturalmente il cane risponde salivando alla vista del cibo ma in questo caso si tratta di un riflesso; lo stimolo che ha la capacità di produrre un certo risultato viene chiamato “stimolo incondizionato” e la risposta che riceviamo e una “risposta incondizionata”. Pavlov procedette così: ogni giorno momento del pasto associò un ritornello musicale alla distribuzione di un boccone di cibo (la musica era legata ad uno stimolo positivo). Non ci volle molto perché il cane imparasse ad aspet- tarsi un prelibato bocconcino di cibo in seguito al jingle. Pavlov ottenne una risposta condizionata nel cane: bastava che risuonasse la musica perché il cane salivasse, senza cibo. Si trattava dunque di un fenomeno artificiale provocato e manipolato dallo sperimentatore. In questo caso lo stimolo e le sue conseguenze derivano dalla volontà dello sperimentatore e non del il cane (che non ha la possibilità di modificare la sequenza). In questo caso possiamo dire che il cane riceve uno “stimolo condizionato” e in reagiva con una “risposta condizionata”. L’intensità della risposta (salivazione) provocata dallo stimolo sonoro cresce con il crescere del numero delle associazioni e contemporaneamente diminuisce il tempo di reazione, cioè il tempo che intercorre tra la presentazione dello stimolo sonoro e la salivazione. Il secondo esperimento riguarda invece un topolino messo in una gabbietta con il pavimento elettrizzato attraverso il quale è possibile inviare lievi scosse. All’interno della gabbietta è posta una leva che può bloccare il passaggio di elettricità. Se immediatamente prima della scossa (stimolo doloroso) si fa suonare un segnale (ad esempio un campanello), l’animaletto imparerà presto a temere il suono esattamente quanto il dolore della scossa. Fino a questo punto nessuna non c’è nessuna differenza dall’esperimento precedente un animale impara ad associare il suono che precede un determinato evento con l’evento che seguirà (sia esso positivo o negativo). Ma il condizionamento può arrivare a plasmare e modificare il comportamento il topo infatti imparava a fermare la scossa premendo la levetta. Anzi ben presto l’animale fu in grado di compiere questa azione non appena sentiva il suono 186 innate modellamento Paure universali e/o funzionali alla crescita Esperienze non dirette acquisite condizionamento operante classico le paure Semplice reazione (Pavlov) Azione-reazione (Skinner) ansia Non si riferisce ad un oggetto identificabile altri fenomeni di simile attivazione panico Stato di ansia insopportabile fobia Stato di paura molto accentuato che si manifesta in assenza dell’oggetto scatenante diffuse Oggetto vago e indefinito identificabili Riferite ad un oggetto preciso che innescava la risposta di paura– prima cioè che la scossa si verificasse ed è proprio in questo caso che possiamo parlare di condizionamento operante. La paura di un avvenimento che il topino non poteva gestire lo aveva portato ad imparare a reagire appena il suono veniva identificato attraverso una reazione adeguata (azionare la leva). Gli stessi risultati furono raggiunti da Skinner con la sua celebre scatola. In questo caso era posta davanti al topolino una scatola all’interno della quale stava una levetta che, se azionata, determinava l’introduzione di una certa quantità di cibo nella scatola. Inizialmente il topo appariva piuttosto diffidente rispetto alla scatola (continuava a girare intorno annusandola) ma una volta scoperto casualmente il magico meccanismo i gesti di esplora- zione diminuivano mentre aumentava di frequenza il gesto del premere la leva. Un apposito strumento era collegato alla leva e consentiva di tracciare su di un nastro di carta la frequenza del comportamento in funzione del tempo. Il grafico risultante, chiamato “curva di apprendimento”, è una curva di andamento crescente. E’ stato notato che lo stimolo positivo che il topo riceve con il cibo funziona da “stimolo rafforzatore” aumentando le possibilità che il comportamento messo in atto si ripeta. Questo tipo di comportamen- to viene definito operante per mettere in evidenza il fatto che esso opera sull’ambiente generando certe conseguenze. Il topo, inizialmente timoroso nei confronti della scatola, perdeva di volta in volta parte dell’incertezza ricevendo una gratificazione. E’ chiaro che così come le paure si imparano attraverso esperienze negative così è possibile disimpararle con la rieducazione; creando cioè nuovi condizionamenti che sostituiscano i precedenti. La paura come motore dell’apprendimento L’emozione “paura” è strettamente legata alla capacità di attribuire significati alla propria esperienza, mettendoli in relazione con avvenimenti pre- cedenti e determinando in che modo dobbiamo rispondere agli stimoli che riceviamo dal mondo circostante. Il provare paura implica la costruzione di un grande data–base di avveni- menti, relazioni causa–effetto, una classificazione di sensazioni e stati d’animo e un range di possibili condotte da tenere in reazione allo stimolo ricevuto. La paura, benché si manifesti a livello fisico anche in modo molto, molto violento, è un’esperienza che si collega a concetti e significati tipici della nostra vita intellettuale. E’proprio per questo motivo che i neonati non 188 conoscono la paura (il loro pianto si collega più alla sen- sazione di non–gioia/dolore) fino a che le loro strutture mentali non sono pronte per affrontare i primi ragio- namenti. Le paure crescono con i bambini e si fanno di anno in anno più complesse e fantasiose. Le esperienze di vita si trasformano in modelli riconoscibili che si ripe- tono ed è solo attraverso questa classificazione continua che possiamo imparare a prevedere e modellare le nostre risposte adattive. L’esperienza interiore della paura è per i bambino uno dei più efficaci fattori di apprendimento proprio perché stimola alla ricerca di connessioni e significati sotto la spinta della leva emotiva. La paura diventa l’elemento capace di legare esperien- ze tanto dissimili: il buio, l’incontro con un cane, il primo giorno di scuola. Il significato che lui collega a queste esperienze è la sensazione del pericolo incombente, la sensazione che la sua sicurezza stia per essere minacciata e quindi la necessità di disporsi a reagire per proteggersi. Paura e attaccamento Tra i significati che il bambino deve apprendere il primo a farsi strada è sicuramente quello dell’attaccamento. Il suo benessere dipende dalla relazione con qualcuno che è in grado di farsi carico di lui e che è disponibile al momento del bisogno. In altri termini di qualcuno che sa e che vuole aiutarlo a crescere con una relazione di aiuto competente. Solitamente questo ruolo viene svolto dai genitori, in particolare dalla madre. Il termine genitore in questo caso può essere anche sostituito dalla più gene- rale parola anglosassone caregiver che indica l’oggetto del rapporto di attaccamento. Questo rapporto costituisce il nucleo centrale delle preoccupazioni durante l’infanzia e le sue insicurezze irrisolte possono durare per tutta la vita. In passato Klein, Sitz, Winnicot e Bowlby hanno analizzato le reazioni di angoscia connesse al rapporto del bambino con la madre, in particolare Bowlby ha studiato l’ansietà del bambino nelle prime fasi di sviluppo ed ha rilevato come essa appaia ogni qual volta egli avverte una possibilità di separazione dalla propria figura di attaccamento. 189 L’apprendimento del bambino nell’infanzia gravita attorno a questa relazione di attaccamento; attraverso il rapporto con il caregiver il bambino misura il suo potere e i suoi limiti, individua alleati e nemici, scopre la necessità di negoziare l’aiuto di cui ha bisogno e impara ad ottenere perché impara a chiedere. Il bambino impara a chiedere per ottenere affinando sistemi che gli permettono di soddisfare tutti i suoi bisogni e desideri. Possiamo identificare due principali tipi di strategie per ottenere: da un lato il pianto, il capriccio, la rabbia, l’opposizione; dall’altro il sorriso, la grazia, la tenerezza ch corrispondono all’approccio seduttivo. A seconda della risposte che riceve dalla sua figura di attaccamento maturerà e svilupperà maggiormente un tipo di strategia piuttosto che un altro. In ogni caso imparerà ad adattare i suoi comportamenti sulla base delle risposte che riceve selezionando con il tempo quelle che si rivelano più efficaci. L’ansietà è quindi uno stato che deriva dalla constatazione di non poter soddisfare le proprie esigenze in modi socialmente accettabili. Ogni nuova esperienza, ogni situazione che esce dagli schemi che il bambino possiede rappresenta un momento di incertezza in cui l’intero sistema viene messo in discussione, il momento in cui il bambino deve verificare se le sua strategia funziona in questo nuovo contesto e deve misurare il prezzo che processo di adattamento presuppone. L’insicurezza sorge quando il bambino non riesce a comprendere cosa fare e dura per tutto il tempo ne- cessario ad elaborare nuovi significarti e nuove risposte. L’incertezza rivela l’incapacità del bambino a organizzare nuovi significati che si affacciano alla sua esperienza affettiva e cognitiva e vanno ad incidere profondamente nella sua relazione con la figura di attaccamento perché è da lei che riceve la luce per comprendere e il coraggio per affrontare le difficoltà. La vera pau- ra del bambino non sta tanto nell’intensità della situazione di pericolo che sperimenta , quanto nella consapevolezza di essere solo a dovervi fare fronte se il genitore non è disponibile o non è all’altezza della situazione. Lo studio sulle paure infantili ha messo in evidenza come ci siano relazioni forti tra le diverse paure e gli stili di attaccamento, che determinano ora quale tipo di personalità il bambino stia modellando come risposta adattiva al contesto. La paure del bambino sono quindi un sistema rivelatore delle circostanze in cui il suo stile di attaccamento entra in crisi; l’intensità della crisi è la misura della solidità di questo rapporto. La rapidità con cui la crisi si risolve è un indicatore della capacità di adattamento del bambino e la ti- pologia degli eventi scatenanti dipende così anche dalla flessibilità e dalla maturità cognitivo–relazionale del bambino. 190 Breve Bestiario delle paure infantili Nei capitoli precedeni è stato trattato in modo approfondito l’andamento dello sviluppo del bambino; le paure del bambino derivano in larga misura dalle tappe di crescita che si trova ad affrontare. Nella breve catalogazione delle paure che segue è possibile individuare molti paralleli e connessioni con i momenti salienti dello sviluppo del pensiero (paura di creature che non esistono, paura dei cattivi pensieri...), dell’affettività (paura di essere stati adottati, ansia da separazione) e della motricità (paura di cadere, ecc..). I primi 3 anni Da zero a dodici mesi Le paure dei primi dodici mesi affondano le radici nella vulnerabilità del bambino e nella biologia. Benché questo sia il tempo in cui è necessario che egli ponga le basi della fiducia nell’ambiente e nelle persone che lo circondano, varie paure affiorano; quella della separazione, degli sconosciuti, dei rumori improvvisi, della mancanza di sostegno (cioè di cadere), del sonno, degli animali, delle visite mediche. L’ansia da separazione (Dalla nascita ai 3 anni) Questa è la prima paura che compare nel bambino e si presenta quando viene separato dalla madre come ho già avuto modo di descrivere in precedenza parlando del fenomeno dell’attaccamento. E’ chiaro che questa separazione può essere necessaria in diverse circostanza (il ritorno della mamma al lavoro è uno dei casi in cui si sviluppa più frequentemente) e solitamente compare nelle forme tipiche attorno agli otto, tredici o venti mesi. Raggiunge il suo apice verso i due anni per poi tendere a scomparire. Si scatena, in modo più o meno grave, immediatamen- te dopo la scomparsa del genitore o al suo ritorno con pianti disperati rabbia e depressione. L’ansia da separazione insorge tra il sesto e il decimo mese proprio perché il bambino comincia distinguere e differenziare l’io dal 191 non–io (oggetti e altri esseri umani) e a ricordare i visi di chi si occupa di lui. E’ in questo periodo che impara a trattenere nella mente l’immagine di una persona anche quando questa è lontana dal suo campo visivo. Il vecchio gio- co del “cucù” incanta i più piccoli proprio perché riproduce in forme ludiche e controllabili il fenomeno della scomparsa e della ricomparsa di un oggetto o di una persona. Alcuni considerano l’ansia da separazione l’unica vera paura; il sentimento universale e originario generato dalla non–presenza dell’Oggetto d’Amore che viene nel tempo declinata in tante varianti fobiche a seconda delle espe- rienze di ciascuno (paura dell’abbandono, della solitudine, dei cataclismi, del buio, degli animali ecc.) L’ansia verso gli sconosciuti: la paura degli estranei (Dalla nascita ai tre anni) La paura degli estranei, proprio come l’ansia da separazione, è un fatto del tutto normale, un sintomo di apprensione verso qualcuno che il bambino non conosce o vede raramente. Il fenomeno fa la sua comparsa intorno ai sei mesi. G.A.Morgan e H.N Ricciuti, studiosi delle paure infantili negli anni sessanta, sostengono che la paura degli estranei si può manifestare a partire dal primo mese di vita in concomitanza con la comparsa dei primi segni di attaccamento. Secondo H.R.Schaffer questo sentimento compare nel 69% dei bambini entro i primi 36 mesi; entro i 4 anni nel 94% e che prima o poi tutti ne soffrono. E’ emersa una correlazione diretta tra l’insorgenza del fe- nomeno e il numero di persone con cui il bambino ha familiarità: più sono numerosi i contatti, più tarda ad insorgere la paura degli estranei. Renè Spitz alla fine della seconda guerra mondiale scoprì che gli unici bambini a non dare segni di ansia di fronte a sconosciuti non aggressivi erano i bambini cresciuti in orfanotrofio o in altre istituzioni. Questi bambini infatti non avevano sviluppato un legame esclusivo con nessuno non si era venuto ad instaurare il rapporto di attaccamento che la presenza di uno sconosciuto poteva minacciare. Normalmente un bambi- no impara a riconoscere l’odore della madre entro i primi sette giorni dalla nascita e ne individua la faccia entro le due settimane. Questa capacità ser- viva, in un passato fatto di migrazioni e lunghe ricerche per il cibo, a fagli Illustrazioni di Claudia Melotti tratte da: S.Ziliotto, M.Forti, Ho Pa...Paura, Emme Edizioni, Tieste, 1997. riconoscere l’odore di chi lo nutriva proteggendolo dai malintenzionati. È interessante notare che il viso della madre visto da davanti è uno dei primi elementi che il bambino impara a riconoscere e con il quale impara a placare l’ansia: qusto spiega il perchè dei numerosi visi stilizzati (occhi sorriso) presenti nei giochi per la prima infanzia (rispondendo anche alla tendenza animistica dei bambini). 192 La paura dei rumori forti e improvvisi (Primo anno) La paura dei rumori violenti è un riflesso innato. Ognuno di noi sussulta dopo un rumore inaspettato e violento. Per un bambino è uno stadio obbligato in quanto solo l’esperienza può spiegare la natura innocua di rumori molto forti (motori, frullatori, aspirapolvere, ambulanze, tuoni ecc..). Una tattica usata di frequente per limitare le reazioni di paura verso i rumori sco- nosciuti è quella di attirare l’attenzione del bambino su un suono costante che ipnotizzando il bambino maschera i rumori provenienti dall’esterno. Questa funzione può essere svolta dai carillon piuttosto che da vaporizzatori e condizionatori d’aria ma esistono in commercio appositi dispositivi per l’emissione di “rumore bianco” (il cui suono è paragonabile ad un sibilo sordo o una vibrazione che funziona da sfondo ). La paura di cadere (Primo anno) La paura di cadere è un paura al tempo stessa innata e appresa e può dipendere in parte anche da come si sorregge il bambino. Per capire cosa prova pensiamo a come i bambini prendono in braccio un cane: lo afferrano, nel- la migliore delle ipotesi, con le due mani in mezzo al corpo, con la testa e le zampine penzoloni. Più o meno è la sensazione che potrebbe provare un neonato se non è preso in braccio nel modo migliore. Quando il piccolo comincia a muoversi per la casa, o anche semplicemente quando impara a stare seduto da solo; inevitabilmente cade con grande facilità dal letto, nella vasca da bagno, per le scale. Con l’esperienza, quando il bambino imparerà meglio a camminare e muoversi per casa, questa paura tenderà a diminuire tuttavia non è detto che scompaia del tutto perché quando si è bambini, come tutti ben ricordiamo, la possibilità di cadere e sbucciarsi un ginocchio è sempre in agguato. Questa paura può essere anche in parte indotta dai genitori, specie dalle madri particolarmente apprensive. Se ripetuto troppo frequentemente l’ammonimento “stai attento a non cadere” potrebbe portare il bambino ad associare alla caduta conseguenze più gravi di quanto non siano in realtà. Le paure che insorgono all’ora di andare a letto e durante il sonno (Dai sei ai ventiquattro mesi) Il sonno è come il cibo una delle sfere in cui più spesso insorgono i problemi dell’infanzia più sentiti dalle famiglie. Questa paura si manifesta solita- mente quando si avvicina l’ora di andare a letto e i bambini adottano diverse strategie per cercare di rallentare i preparativi o evitare di rimanere a letto (accampando crescendo le scuse più fantasiose). Solitamente quando finalmente si riesce a fare coricare il bambino comincia una serie di richieste di 193 acqua, latte, biscotti, andare in bagno e così via. Questa paura si può manifestare a qualsiasi età e per le ragioni più disparate. Nei bambini tra i 2 e i 3 anni fra le cause più comuni troviamo l’ansia da separazione, gli incubi,le malattie, i disturbi fisici (i dolori della dentizione) o la paura di bagnare il letto (per chi ha già imparato a controllare questa funzione). È noto che gli adulti dormono e sognano seguendo cicli di 90 minuti e che durante il 20% di questo tempo sono immersi nel sonno profondo rem (Ra- pid Eye Movement) durante il quale avvengono i sogni. È stato osservato che i bambini invece dedicano al sogno il 50% del loro sonno. Il sonno dei bam- bini scorre quindi profondo ma inquieto. L’antropologo R.Stewart racconta con quanta saggezza i Senoi, una tribù malese, reagisca quando un bambi- no dice impaurito di avere sognato di cadere , di trovarsi su una montagna alta o di volare. “È un sogno bellissimo” gli dicono, “uno dei più bei sogni che si possono fare. Dove sei caduto? Che cosa hai scoperto?”. Prendere coscienza di questo evento allarmante , e se possibile abbandonarvisi, trasforma l’incubo in un sogno di dominio. Queste paure vengono solitamente affrontate con “rituali della buona notte” tra cui ninnananne e filastrocche o altri riti (bagnetto, riordinare la camera ecc). Un’ulteriore aiuto ad affrontare il momento di andare a letto viene spesso dato dalla presenza di un pupazzo o di un altro oggetto morbido “transizionale” che rende più dolce il passaggio dalla mamma al letto. È importante non sottovalutare i disturbi del sonno nei bambini perché le abitudini che si prendono nei primi anni di vita potrebbero influenzare pesantemente il rapporto futuro con il sonno e i ritmi di sonno–veglia. La paura degli animali (Dalla nascita ai tre anni) La paura degli animali è una cosa piuttosto normale e ricorrente nei bam- bini. Spesso è associata a un’esperienza negativa che è difficile da evitare. Durante il primo incontro ravvicinato con un animale domestico, infatti, i bambini spesso si gettano con discreta violenza su quello che a prima vista potrebbe apparire una versione più calda e viva degli animaletti di pelouche con i quali sono soliti giocare. La reazione negativa dell’animale alla manifestazione d’affetto ricevuta sciocca il bambino e spesso si trasforma in pau- ra che perdura fino a quando l’esperienza negativa non viene sostituita con una positiva o semplicemente con il tempo (i tempi e i modi in cui questa paura può finire dipendono in larga misura dall’intensità delle esperienze vissute). Isaac Marks nel suo libro “Paure e fobie” sostiene che la paura degli animali è molto ricorrente in quanto in essa confluiscono tre paure innate: quella dei rumori improvvisi e violenti, quella dei movimenti bruchi e quella degli approcci improvvisi e molto ravvicinati. 194 Il secondo anno Durante questo periodo possono comparire la paura del buio, dei tuoni e dei lampi, di fare il bagno, di imparare ad usare il vasino e altre che vanno ad affiancarsi a quelle precedentemente descritte che possono perdurare anche per lunghi periodi. Scomparire con l’acqua: la paura dell’annientamento, in particolare durante il bagno. (Primo e secondo anno). Alcuni bambini intorno ai due anni cominciano a temere il momento del bagno e dello shampoo. Questa paura è piuttosto comune e speso è legata alla paura di scivolare nello scarico insieme all’acqua e scomparire nei condotti. Questa paura, che nasce probabilmente vedendo che tutta l’acqua della vasca scompare miracolosamente in un buchino tanto piccolo può manifestarsi come rifiuto di entrare nella vasca da bagno o anche come dif- ficoltà a sedersi sul wc. Il lato più terribile del momento dello shampoo è la necessità di dovere tenere gli occhi chiusi. Il bambino si trova ad occhi chiusi immerso in un ambiente a cui non è abituato (l’acqua), in cui non si sente sicuro (il sapone e l’acqua rendono le superfici scivolose) e l’equilibrio ancora precario con il quale mantiene la posizione potrebbe mancare e farlo precipitare in acqua dove, oltre a cadere, rischierebbe di annaspare o anche di ingerire acqua. Il bambino in questo periodo comincia a capire in modo sempre più preciso uno dei principi fondamentali dell’universo quello di causa–effetto. A questa consapevolezza si accompagna la sensazione forte e frustrante che gran parte del mondo sfugge al loro controllo. Per compensare questa frustrazione il bambino comincia a fantasticare di avere poteri magici che gli permettono di ottenere ciò che vuole. Ecco allora il desiderio di volare sbattendo le braccia, di evitare una sgridata rimpicciolendosi o diventando invisibile, oppure di diventare fortissimo indossando gli abiti di superman o Mr. Incre- dibile (tutti esempi del lato utilitaristico della magia infantile). Dall’altro lato una visione magica della realtà può portare a temere di essere risucchiati dall’aspirapolvere o scivolare via con l’acqua dello sciacquone. La paura del medico (Da uno a tre anni) Questa paura, quando è presente a questa età, si manifesta nello studio medico o in ospedale specialmente in occasione di analisi o interventi chirurgici. Le reazione negative al personale medico sono frequenti nei bambini fra gli uno e i tre anni e sono in parte connesse alla paura degli estranei. Alla vista del dottore – uno sconosciuto che, oltretutto lo tocca e gli fa doman- 195 de– il bambino si irrigidisce scoppia a piangere. L’esperienza della visita ha un impatto emotivo molto forte sui bambini per questo molti di loro amano giocare al dottore utilizzando i kit di strumenti che si trovano comunemen- te in vendita. Questo tipo di gioco non solo mettere in scena l’esperienza evidenziandone l’innocuità ma serve anche al bambino per capire cosa sono gli strumenti che il dottore userà su di lui (il bambino amerà ripetere al genitore a cosa serve ogni strumento contenuto nella valigetta). Il terzo anno Il bambino, raggiunti i tre anni, è in grado di pensare e parlare correttamente e svolge in modo autonomo un buon numero di attività. Tuttavia si tratta ancora i un bambino molto piccolo al quale il mondo appare immenso e per il quale alcuni compiti sono difficili da supe- rare. Ogni volta che viene messo alla prova, e con impegno riesce a realizzare il suo obbiettivo, sente una grande gioia (anche con compiti relativamente piccoli come svitare–avvitare un tappo o colorare una figura entro i contorni). Le paure del terzo anno vanno di pari passo con lo sviluppo del bambino che a questa età acquisisce tantissime nuove abilità; comincia ad interagire con i coetanei, va alla toilette, inventa nuovi giochi e abusa con energia della parola “No!”. Tutte queste nuove conoscenze si accompagnano ad un grande incremento delle paure. Non sono infatti ancora scomparse quelle precedenti e già ne compaiono di nuove (come la paura dell’annientamento e quella delle situazioni inconsuete). L’oggetto della paura in questo periodo tende a cambiare in modo molto rapido e misterioso. Le paure legate al controllo delle funzioni corporali (Secondo e terzo anno) Solitamente un bambino di tre anni è relativamente abile nel controllare le sue funzioni corporali e addestrato all’uso della toilette. Ciò colma di gioia immensa i genitori che spesso premiano e lodano le prestazioni del piccolo capace di usare il vasino o il WC. La felicità per questo cambiamento dei genitori (che spesso attribuiscono ad esso un valore decisamente superiore al reale ), contagia il bambino. Che altro potrebbe fare, a due anni, per suscitare tanta gioia e applausi? Questo controllo muscolare porta spesso con se ansia perché ad ogni fallimento si accompagna il timore della delusione di papà e mamma. Le paure mutevoli e insensate: intensificazione della risposta–paura (Da ventiquattro a trentasei mesi) Talvolta a quest’età i genitori sono preoccupate dalle risposte di paura, in- sensate, che i figli hanno nei confronti di situazioni che fino a poco tempo prima erano percepite come sicure. Un personaggio dei cartoni animati, un 196 passante per strada, un oggetto di casa; tutto può provocare, anche solo per un giorno, reazioni di improvvisa paura. Questa moltiplicazione degli stimoli di paura è dovuto alla nascita e all’uso ad ampio raggio dell’immaginazione. La mente non inventa però solo giochi piacevoli ma può giocare brutti scherzi portando a confondere le situa- zioni reali con altre create con la fantasia. Il mondo fantastico che sono in grado di immaginare li porta a cadere frequentemente in preda a paure la cui incoerenza spesso li turba. Eventuali disturbi nell’alimentazione o nel ciclo del sonno possono intensificare queste paure. Dai tre ai sei anni Attorno ai tre anni le paure più comuni sono quelle legate alle situazioni nuove, il buio, i cani, i rumori allarmanti (sirene dei pompieri, ambulanze ecc.), i mostri visti in tv. Possono affiancarsi a queste anche le prime preoccupazioni relative alla morte. Tra le paure di situazioni nuove possiamo trovare anche la paura della scuola materna (per quelli che stanno cominciando e non hanno frequentato l’asilo). Verso i quattro anni compaiono nuove paure, incluse quella di avere cattivi pensieri e di farsi la pipì addosso, connesse a temi edipici, al desiderio di aggressione verso uno dei genitori di cui si immagina, in certe circostanze, la morte. Intorno ai cinque anni le paure diminuiscono e si fanno più realistiche rispetto a mostri e fantasmi che popolano la fantasia dei più piccoli. Fra la paure che possono insorgere a cinque anni c’è quella dei cani, di alcuni rumori (come il tuono e le voci inespressive), e dello spazio (paura di perdersi). Il primato spetta, come già a partire dai quattro anni, alla paura di perdere la mamma o la persona che più si ama. La paura del buio e di andare a letto La paura del buio si manifesta quando il bambino si sveglia a notte fonda oppure quando lo si obbliga ad andare a letto a luci spente. Se il bambino non è turbato né da incubi ne da strane creature immaginarie, la paura del buio nasce di solito in seguito alla perdita di controllo che si verifica quando tutto scompare nell’oscurità. Il bambino ha cominciato ad organizzare il suo mondo imparando a distinguere il vero dall’immaginario tenendo a bada l’ansia scacciando i pensieri che gli fanno paura. La presenza del buio e delle ombre finiscono per vanificare questi buoni propositi e rigettare il piccolo in un mondo di forme strane e rumori sospetti. Siccome a quattro anni raggiunge l’apice anche la paura dell’abbandono, che è strettamente legata anche all’ansia da separazione, il buio e il silenzio 197 contribuisco a fare nascere preoccupazioni ulteriori (dove sono tutti? Cosa stanno facendo? Mi hanno abbandonato?). A quest’età abbandono significa separazione definitiva dalle persone amate, separazione ce appare totale e senza ritorno. A cinque o sei anni compare inoltre anche il complesso edipi- co, così ben analizzato da Freud, per cui il bambino desidera di stare solo con il genitore del sesso opposto escludendo il più possibile quello del suo stesso sesso. Sono pochi però i bambini che riescono a vivere queste fantasie, peraltro inevitabili, senza provare senso di colpa o temere la punizione del genitore che viene respinto. Nel buio queste paure si possono intensificare a tal punto che il bambino giunge a temere l’oscurità in se stessa. Mostri, fantasmi, streghe e altre strane creature Benché in questi casi la paura nasca da “fantasmi della mente”, in momenti di allucinazione in cui la fantasia prende il sopravvento, la paura generata non potrebbe essere più reale.La paura di questi esseri immaginari prende il sopravvento quando il bambino si sente vulnerabile, come accede la notte, e teme che creature mostruose possano fare del male a lui e alle persone che ama. Spesso la paura dei mostri copre altre paure più profonde, provenienti dall’esterno o dall’interno, che prendono forma in esseri fantastici e accettabili. Il bambino potrebbe tentare di formalizzare in questi “demoni” notturni i sentimenti di rabbia, odio e il desiderio di vendetta che cova dentro di lui e cominciano a diventare stressanti proiettandoli all’esterno di se come attributi del mostro. 198 La paura degli animali Anche se tutta l’infanzia è caratterizzata dalla paura degli animali questa può portare, nel tempo, a reazioni diverse. Il bambino di 4 anni esprime la paura piangendo o paralizzandosi di fronte all’animale. Per molti bambini gli animali, amati o temuti, diventano figure importanti quanto, se non più, delle persone. I bambini tendono ad instaurare con gli animali di casa un legame molto profondo. A differenza di genitori e parenti questi sono sempre disponibi- li e pronti a giocare o farsi coccolare. Spesso i bambini tendono quindi ad attribuire agli animali pensieri e che nulla hanno a che vedere con la real- tà. Inoltre i più piccoli sono molto colpiti anche dalle caratteristiche fisiche degli animali quali la forza, la grandezza, le grandi unghie i baffi, il saper volare o galoppare veloci come il vento. La paura nel complesso colpisce la maggioranza dei bambini e tende a diminuire con l’età. Ada Maurer, una ricercatrice ame- ricana dell’Università di Berkley (California), ha rivolto a ragazzi dai 5 a 12 anni la domanda “Quali sono le cose di cui si deve avere paura?” ricevendo queste risposte: nel 50% dei casi com- pare una singola categoria: gli animali. Fra qesti primeggiano i serpenti. Seguono poi, nel- l’ordine, i leoni, i topi e gli orsi. L’80% dei bambini dei bambini dai 5 ai 6 anni risponde in modo analogo, facendo il nome di una o più bestie feroci. Fra i 7 e i 12 anni sono il 60% a temere gli animali mentre dopo i 12 anni è improbabile che questa categoria rientri tra le cose che il ragazzo teme maggiormente. Paure uditive (Dai quattro ai sei anni) Quella intorno ai tre anni e mezzo può essere considerata l’età dell’ansia. È intorno a quest’età che la paura comincia a mostrare tutte le reazioni del- la paura tipiche dell’adulto (aumento della pressione cardiaca e si libera il glucosio immagazzinato nel fegato). È proprio intorno ai quattro anni si accentuano le paure uditive; in special modo quelle legate a rumori improvvisi e violenti (sirene, boati, tuoni) diventando così intense da essere insopportabili. Il bambino appare, non solo spaventato, ma preso da un vero e proprio senso di disorientamento che dura finché non cessano i rumori. 199 Paure riguardanti la sfera genitale (dai tre ai cinque anni) I bambini di quest’età spesso sono preoccupati dai loro genitali, delle diffe- renze tra maschi a femmine che a volte si associa a provare senso di colpa e porta a parlare spesso dell’argomento (le bambine chiedono in genere quale sarà la punizione per averlo perso e allo stesso modo i bambini temono di poterlo perdere come, nella loro immaginazione, è successo alle femmine). A quest’età, una volta tolto il pannolino, l’interesse per i genitali aumenta e può indirizzarsi anche verso le prime forme di masturbazione. I bambini sono stupiti e preoccupati di queste differenze perché i corpi infantili sono molto simili per tutti gli altri aspetti. Questa fase della crescita deve essere accompagnata da un’adeguata informazione ed educazione sessuale adatta all’età del bambino e strutturata in modo da non sommergerlo con una mole i informazioni inutili. È proprio questa inoltre la fase in cui solitamente si sviluppa il complesso di edipo con le sue conseguenze a livello psicologico che tendono a fare aumentare i sensi di colpa. La paura che i genitori si ammalino, la paura di perdere i genitori e la paura della morte Capita a tutti di ammalarsi ma i genitori tendono a volere minimizzare la cosa con i figli per non preoccuparli inutilmente. Tuttavia il bambino il più delle volte è perfettamente consapevole di quello che sta succedendo. Il bambino può manifestare questo tipo di paura quando osserva situazioni che gli sembrano, dalle reazioni degli adulti, pericoloso o brutte. È importante in questo caso cercare di rasserenare il bambino con previsioni ottimistiche, convincerlo che non sta per succedere niente “di brutto”; “La mamma non sta tanto bene ma adesso è venuto il dottore che le ha dato delle medicine e vedrai che guarirà presto”. Il bambino può sdrammatizzare la situazione, attraverso il gioco, giocando al dottore o curando le bambole. Verso i quattro cinque anni è facile che questa paura evol- va nella paura di perdere i genitori (un timore sicuramente irrazionale ma moto presente). Questo tema riprende ed amplifica l’ansia da separazione che il bambino provava da piccolo quando è preso dal timore di perdere la madre (anche se la lontananza era solo momentanea). La curiosità intorno alla nascita e alla morte è normale in un no 200 bambino che cresce e la comprensione i questo fenomeattraversa diverse fasi. Per i più piccoli coincide con la separazione dalla persona amata. Fino a cinque anni infatti la morte è vista come una partenza verso un mondo diverso, un’altra realtà. Non sembra un evento definitivo. Tra i cinque e i dieci anni la morte viene talora personificata e vista come qualcuno che ti porta via: è il preludio alla comprensione dei fattori che ne sono le cause. Pensare alla morte è quindi normale per un bambino ma questa attenzione può trasformarsi in paura portando il bambino a temere per la sua stessa sopravvivenza e per quella delle persone care. La paura di perdere il controllo e dei cattivi pensieri I bambini piccoli spesso sono spaventati da alcune loro emozioni (soprattutto se queste li portano ad agire impulsivamente provocando conseguenze negative). Il bambino spesso rimane sbigottito dalla sua stessa irritabilità, dalla rabbia e dalla violenza di cui è capace quando perde il controllo. Troppo spesso infatti il bambino viene incoraggiato a vedere il mondo e catalogare gli avvenimenti in modo dualistico (bianco/ero, bene/male) sen- za lasciare spazio alle sfumature. Se il bambino conosce solo le categorie di bene e male, in seguito ad una sfuriata si sentirà meschino e inguaribile. Contrariamente a quanto credono molti genitori è bene che il bambino ven- ga a conoscenza del “lato oscuro della vita”, prima o poi dovrà faci i conti, ovviante in modo adeguato alla sua età (attraverso le fiabe ad esempio nelle quale i contenuti sono ad alto impatto emotivo e non edulcorate fino alla superficialità come alcune storie che mirano esclusivamente a divertire i bambini). I bambini sono preda di emozioni fortissime e in questo periodo non sono ancora in grado di dominarle. Dopo un litigio con i genitori, i cui esiti possono essere anche molto pe- santi, il bambino può temere una terribile punizione da parte del genitore ferito o anche una spaventosa vendetta. Più che le conseguenze di questi momenti è l’esistenza stessa della sua parte cattiva e indomabile a preoccupare il bambino (il diavoletto che siede sulla nostra spalla nei cartoni animatati e ci suggerisce come comportarci). Questo tipo di inquietudine si accentua se l’educazione che il bambino riceve non è coerente (uno dei genitori, ad esempio, potrebbe essere molto rigido e l’altro per bilanciare molto permissivo) provocando non poca confusione su cosa sia lecito fare e cosa no. Paradossalmente il piccolo risulta molto più turbato rispetto alle sue reazioni se i genitori sono molto permissivi. La paura degli storpi e degli handicappati Questa paura si manifesta come preoccupazione costante nel bambino di qualche menomazione fisica: di diventare zoppo, cieco, essere costretto su 201 una sedia a rotelle o essere colpito da altre malattie o handicap. I questo caso il bambino, se si sente già vulnerabile, teme di potere “contrarre quella malattia”. Paura di farsi male e cadere (Cinque anni) A qust’età i bambini si feriscono ancora molto spesso. I movimenti non sono ancora precisi e la disattenzione ai particolari riguardanti la posizione degli oggetti nello spazio li porta a sbattere spesso contro le cose facendosi male. Capita giocando di non vedere oggetti sul pavimento, irregolarità del pavimento, piccoli gradini e si finisce per cadere. Il bambino di cinque anni sa compiere la maggior parte delle attività (anche molto complesse come arrampicarsi sugli alberi o scalare una roccia) ma non ha ancora la capacità di discernimento di quello di sette anni. Spesso non sa togliersi da una situa- zione difficile ne valutarne i rischi. La paura, razionale di compiere azioni pericolose, contrasta con i drammi scatenati dal più piccolo graffio. La paura di perdersi (Cinque anni) Questa forma di paura spaziale si verifica frequentemente in luoghi dispersivi come la strada (piena di folla), i grandi magazzini, le fiere , i boschi. Questo eccesso di immagini porta il bambino, magari stanco, a sentirsi sopraffatto dall’ambiente. Le reazioni travolgenti che questa paura produce possono essere esasperanti per i genitori, i quali, ragionevolmente, concludono che non è successo niente. 202 In realtà qualcosa è successo; il bambino si è reso conto di essere ancora vulnerabile e incapace di stare da solo. Il momento in cui è più facile che si verifichi questa paura è intorno ai 5 anni. Nel caso in cui a perdersi fosse un bambino più piccolo l’inconsapevolezza, probabilmente, lo porterebbe a giocare un po’, prima di lasciarsi prendere dal panico. Al contrario un bambino più grande saprebbe valutare meglio la situazione e pianificare una reazione efficace (a chi rivolgersi, che cosa fare) senza cadere in preda al terrore. La paura dell’asilo o della scuola materna Questa paura è normale, in particolare il primo giorno di scuola o dopo una malattia. Solitamente scompare quando il bambino comincia ad ambientarsi e familiarizza con insegnanti e compagni. Diversa è la situazione se la paura è stata provocata da eventi traumatici avvenuti a scuola. Solitamente è una paura legata all’ansia da separazione dalla famiglia. Talvolta questa paura è potenziata dal fatto che i genitori, forse inconsciamente, non sempre desiderino che il bambino si allontani e siano in apprensione all’idea che il figlio passi così tanto tempo in un ambiente diverso. Dai sei ai dieci anni Paure tipiche dei sei–sette anni Attorno ai sei anni le paure si intensificano e si specializzano. La paura dei cani si specializza su quelli “grossi”; le paure spaziali si concentrano su un ambiente in articolare (la soffitta, la cantina, una via, ecc). Tipico di quest’età è il terrore dei mostri, delle bestie feroci, degli insetti, delle ferite, e ancora di ammalarsi, di tardare a scuola, della morte dei genitori. A sette anni invece scompaiono molte della paure appena elencate. Il bambino impara infatti ad essere più calmo e a destreggiarsi con maggiore abilità nelle situazioni difficili (è più attento, trova soluzioni risolutive, impara a contrattare, adotta preventivamente misure protettive). Sono tipiche di quest’età la paura dei fantasmi (ombre visive), dell’altezza, delle spie e dei ladri, dell’adozione e compare la paura di non essere accettati dal gruppo. 203 0-12 mesi ansia da separazione degli sconosciuti dei rumori forti e improvvisi di cadere, farsi male di andare a dormire degli animali di scomparire con l’acqua del dottore di perdere il controllo delle funzioni corporali mutevole e insensata del buio di mostri streghe e fantasmi della malattia e della morte dei cattivi pensieri di farsi male di perdersi della scuola degli spazi della novità di essere stati adottati paure legate alla sessualità delle critiche della solitudine 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 paure infantili 13 La paura dei mostri (Sei sette anni) La paura degli esseri immaginari tende ad intensificarsi durante il settimo anno; talvolta ciò è dovuto all’influenza della televisione o delle letture ma in generale riamane strettamente connessa allo sviluppo. Spesso a quest’età i bambini, chiaramente consapevoli della realtà, ricorrono ancora all’immaginazione per risolvere i conflitti, attribuendo caratteristiche umane ad esseri fantastici sui quali proietta il potere di cui sente di avere bisogno per affrontare un mondo che gli appare così grande e complesso. Esempi di creature di questo genere possono essere il genio della lampada o il fantasma del sottotetto. I mostri infatti per i ragazzi di quest’età non sono più liberi di colpire in qualunque situa- zione (come avveniva intorno ai 3 anni) ma circoscritti al loro ambiente. La paura degli spazi Questa paura riguarda alcuni spazi (della casa o del quartiere) che per un certo periodo di tempo possono risultare paurosi. Nella categoria dei luoghi a rischio possono comparire lo sgabuzzino, gli armadi, una casa abbando- nata, il solaio, una grotta, la cantina, un tronco cavo, sotto il letto ecc… La comparsa di questi esseri ostili all’interno di un ambiente familiare è segnale della sana immaginazione del bambino che , ancora una volta, usa questo espediente come valvola di scarico per i suoi sentimenti aggressivi e sgradevoli. Solitamente questi mostri vengono nascosti in oggetti familiari (all’interno dei quali non è sempre possibile vedere) ma il pericolo rimane isolato e circoscritto. La paura dei ritardi a scuola (Dai sei anni) Questa paura, a differenza della altre descritte, è una paura situazionale quindi non connessa al livello di sviluppo psichico del bambino ma piuttosto legata ad una particolare esperienza negativa vissuta. Solitamente un bambino è in ansia se, ad esempio, è stato rimproverato davanti a tutta la classe in seguito ad un ritardo. In questo caso la vergogna tende a trasformarsi in paura. La scuola diventa infatti a quest’età il fulcro della vita sociale del bambino. La paura delle situazioni nuove (Sette anni) Le nuove situazioni possono essere molte e la paura suscitata dipende, chiaramente, dall’entità del cambiamento in atto. L’impatto di un trasloco, per esempio, può essere molto violento perché può cambiare radicalmente 206 la vita di un bambino. I ragazzi di questa età si sono tendono a vivere una realtà fatta di routine e rituali dai quali dipende la loro sicurezza e il senso di realtà. Le situazioni nuove spaventano perché minano la base di queste certezze. A sette anni infatti i bambini tendono ad essere molto cauti e a pensare in modo molto logico e concreto. La paura dell’adozione (Sette anni) Il bambino di sette anni, come ho avuto modo di dire, pensa in modo concre- to e prende le cose molto alla lettera. A questa età è facile che si interroghi su temi come quello dell’adozione. A quest’età, infatti, pur essendo perfettamente in grado di compiere la maggior parte dei compiti e avendo rag- giunto una pressoché totale autonomia il bambino si interroga sulla natura degli eventi di cui non ha memoria (come la nascita). Spesso questa paura si trasforma in una sorta di gioco di immaginazione con cui immaginare una famiglia alternativa (magari fatta di supereroi o personaggi famosi). Le paure degli otto anni Anziché esprimere apertamente i proprio timori, a quest’età il bambino tende a lasciarsi prendere dal panico, e reagisce in modo compulsivo ripetendo le stesse azioni per tranquil- lizzarsi. Così fa ad esempio quando percorre ostinatamente una certa strada per esorcizzare o dominare una certe paura legata a quel luogo. A quest’età infatti il bambino è portato a ricreare deliberatamente una situazione terrorizzante come mezzo per superarla. Il bambino si costringe ad affrontare le paure per superarle. A otto anni i bambini temono molto di essere criticati (dagli amici –che in questo periodo cominciano ad essere davvero molto importanti– o dai genitori), di essere respinti, di fallire a scuola. Sia maschi che femmine si divertono molto a spaventare i più piccoli. La paura di non essere accettato e delle critiche Il bambino è consapevole, e di conseguenza timoroso, che le sue azioni creano delle reazioni all’interno del gruppo dei coetanei. Può cominciare così a preoccuparsi i non essere simpatico, di non vestire nel modo “giusto”, desidera più che mai di omologarsi indipendentemente dal giudizio degli adulti e tende a “fare la spia” su tutti i giochi e i rapporti interpersonali dai quali si sente escluso. I sette anni segnano lo spartiacque fra una vita tutta incentrata sulla famiglia e la realtà domestica e una vita più ampia e complessa fatta di rapporti con i coetanei, intensificata dal processo di socializzazione che si attua a 207 scuola. È in questo periodo in cui diventa essenziale aderire ai modelli proposti dai coetanei (dello stesso sesso ma fuori dall’ambito familiare), segui- re il leader (avere gli stessi giochi, gli stessi vestiti, ecc.). Nasce in questo periodo la passione per gli sport e i giochi organizzati ad alto livello di strutturazione che implicano collaborazione fra i partecipanti e gioco di squadra. L’insieme di questi fattori determina il formarsi e lo sciogliersi di gerarchie all’interno del gruppo (in questo periodo i cambiamenti possono essere molto rapidi e generalmente tutto può essere recuperato). Può capitare che un giorno pianga per essere stato escluso da una festa e che l’indomani magari faccia ancora parte di quello stesso gruppo. La cerchia degli amici si può trasformare in una banda e contrapporsi ad un’altra banda. Generalmente i ra- gazzi rifiutano di confrontarsi con i genitori sul tema dell’esclusione sociale. È umiliante ammettere che i compagni che conosci da anni all’improvviso non ti guardino più o ti infastidiscano. Queste paure sociali, sebbene in prima istanza rivelino una grande insicurezza nel bambino, lo aiutano, con il tempo, a diventare indipendente ed autonomo. Queste insicurezze portano il bambino ad essere molto severo verso se stesso. Anche in campo scolastico a quest’età i ragazzi cercano di dare il meglio e rifiutano spesso di fare controllare i compiti ai genitori per la paura di ricevere critiche. Paura dei ladri (Otto anni) Questa paura in genere non pregiudica la funzionalità del bambino. La molla che la fa scattare è la consapevolezza che altri hanno il potere di agire al di fuori del suo controllo e dei suoi desideri; l’immaginazione completa l’opera. Il bambino teme che qualcuno possa introdursi in casa e può assumere le caratteristiche della paura spaziale (il timore che qualcuno se ne stia acquattato in un angolo particolare della casa). Gli intrighi e le congetture a cui è capace di arrivare un bambino a quest’età possono apparire paranoi- che agli occhi di un adulto ma sono invece assolutamente normali. Talvolta queste ansie vengono messe in scena in giochi marziali di vario genere (soldatini, spade, pistole, tute mimetiche, battaglie di vario genere, “spie in azione”, ecc). La paura di farsi male La paura di farsi male provoca, intorno ai sei anni, reazioni spropositate alla causa, qualunque essa sia: un taglietto, una scheggia, una lieve escoriazione, il caldo e il freddo. Dai sette anni in poi l’apprensione si estende ai rischi ambientali o di origine naturale (scogli, rocce, temporali) oppure di origine meccanica (macchine, treni, ecc.). Dai sette anni in poi le scenate tendono a diradarsi. Molte culture ritengono che a sette anni si raggiunga 208 l’età della ragione: il bambino riflette prima di agire (non si butta a capofitto nelle cose come accedeva in precedenza). Pur non pianificando ancora le sue attività in modo piena- mente cosciente (come comincerà a fare dagli otto anni) il rappor- to di causa effetto appare più chiaro e molti problemi possono essere evitati (sono acquisiti concetti base come “se tiro la coda al cane è possibile che mi morda”). Le paure dei nove–dieci anni Le paure in genere diminuiscono di intensità e numero di pari passo con la crescita. Il bambino cresce ad acquista maggiore capacità di affrontare la realtà, dominare l’ansia e sviluppare difese. Le paure si riversano a quest’età, realisticamente, su situazioni domestiche o scolastiche, rischi naturali e crimini di vario genere. Può capitare che riaffiori qualche paura apparentemente scomparsa (magari in seguito ad avvenimenti che rendono il bambino particolarmente vulnerabile). Se identica è la situazione diversa è però la reazione. Come sostenuto anche da Piaget il bambino di 10 anni ha abbandonato il pensiero magico a favore di quello razionale fatto di nozioni logiche e rapporti di causa–effetto; ha acquisito la capacità di distinguere la grandezza, il peso, il volume degli oggetti inclusi quelli che teme. è meno propenso a lasciarsi atterrire da una cosa perchè si preoccupa di scoprirene il funzionamento. Le paure riscontrabili in questa fase sono pressappoco quelle degli anni precedenti tra le quali spiccano l’oscurità, i cani, i serpenti, le bestie feroci, i delinquenti, gli incendi e talvolta la paura di stare soli (forse proprio perché è questa l’età in cui si raggiunge quel grado di autonomia che permette di potere rimanere in casa solo). Le paure di undicenni e dodicenni Secondo il grande psicologo Arnold Gesell gli undici anni sono l’età della paura. A questa età ci si avvicina ad un periodo di grande crisi; non si è più bambini eppure non si può ancora godere dei privilegi dell’adolescenza. Da un indagine americana svolta intorno agli anni 90 le maggiori preoccupazioni che colpiscono i ragazzi trai 10 e i 14 anni risultano essere: la pagella (56%); l’aspetto fisico(53%), la popolarità (48%), la fame, la povertà la violenza, l’alcool e la droga e la distruzione del paese (per cause naturali o nucleari). Le paure si vanno in generale più articolate e definitivamente realistiche. Le apprensioni di ordine naturale e ambientale riguardano ora le infezioni, le malattie, gli animali, il buio e l’altitudine. Le apprensione di ordine personale invece le iniezioni, la soli- tudine, gli scippi e le violenze. Le ragazze in particolare sono più propense a soffrire di paure 209 sociali. Possono comparire anche la paura della folla, degli scricchiolii, degli intrusi e dei rapimenti. Può esserci un ritorno ala paura del buio che può essere interpretata come timore di crescere o in risposta all’emergere di nuove e violente emozioni come la tensione sessuale e l’aggressività. La paura di stare soli È possibile che in questa fase della preadolescenza un ragazzo regredisca fino a temere di rimanere solo. Spesso il ragazzo si rifugia in questa paura rimpiangendo la sicurezza di cui godeva quando era più piccolo. La paura di essere impopolare Arrivati a questo punto l’interazione con i coetanei costituisce la parte più rilevante della vita sociale dei ragazzi ed è quindi naturale che l’adolescente si preoccupi di essere bene accettato ed integrato nel gruppo. Le dinamiche che si mettono in atto sono spesso molto veloci e crudeli (litigi, cambiamenti nella amicizie e nelle compagnie, ecc) e minano la stabilità emotiva del ragazzo. I maschi tendono a chiudersi in gruppi chiusi e a dimostrare la loro virilità (solitamente si tratta più che altro di forme di bullismo) mentre le ragazze che fino a pochi anni prima erano compagne di gioco apprezzate diventano vittime degli scherzi e dei dispetti necessari a consolidare il legame del gruppo dei maschi. Le paure durante l’adolescenza Sappiamo tutti che l’adolescenza è una delle fasi più difficili della vita. Tra spavalderia e confusione il ragazzo comincia a forgiare una sua personalità indipendente e definita partendo dall’identificazione con il gruppo dei coetanei. Le paure più frequenti sono quindi legate alla sfera sociale (non essere accettati ed apprez- zati, paura di esibirsi in pubblico, della maldicenza, del successo e anche paura della folla). Talvolta può tornare la paura di rimanere soli al buio e dell’altezza (vertigini o paura di viaggiare in aereo). In forme specifiche può ripresentarsi anche la paura degli animali (in special modo serpenti, ragni scarafaggi). ragazzo che sta ultimando la crescita può essere molto spaventato dalle nuove esperienze che vive, più o meno direttamente, verso le quali non sa ancora come comportarsi e rifiuta di condividere con i familiri (paure legate alla sessualità, paura della droga, timore degli incidenti d’auto ecc). 210 Sogni e paure Come abbiamo visto l’infanzia non è certo un età magica in cui non si provino sentimenti negativi e la paura in particolare è sicuramente una delle emozioni più vissute fin dalla più tenera età. Uno studio svolto nel 1992 da Anna Astesana e Valeria Marchisio sui sogni in età evolutiva ha rilevato che i sogni di angoscia e di paura nei bambini sono il 45%. Il loro lavoro si basa sulla raccolta sistematica delle serie oniriche (per la durata di un anno scolastico) di bambini dai 5–6 anni (ultima classe della scuola materna) ai 10–11 anni (quinta elementare) per un totale di 74 bam- bini.Sono stati raccolti, in totale, 692 sogni, differenziati secondo il tono emotivo dominante. Il primo dato significativo riguarda la percentuale dei sogni a contenuto penoso: i sogni di angoscia e di paura sono il 45%. Se poi consideriamo i dati secondo le fasce di età si riscontra che la percentuale sale al 53% sia nei bimbi di 5/6 anni che nei ragazzini di 10–11 anni. I sogni sono stati elaborati e catalogati con lo strumento dell’analisi strutturale, l’ipotesi era che tutti i sogni raccontati da un soggetto formassero una serie onirica, costituissero cioè un insieme di tentativi di elaborazione, preconscia ed inconscia, di un conflitto psichico o di una fantasia. L’analisi delle serie oniriche ha fornito dati interessanti riguardo le situazioni emotive interne relative alle varie fasce d’età, in parti- colare rispetto alle due estreme (5–6 anni e 10–11 anni), dati che paiono confermare sperimentalmente quanto è stato ipotiz- zato rispetto al conflitto edipico ed al suo risorgere in fase puberale. Dall’analisi dei dati emerge che tra i sogni ricor- renti compaiono con una incidenza molto alta le paure più sentite nella fascia d’età esaminata. Nella prima fascia d’età il tono emotivo predominante è l’angoscia e/o l’aggressività. La paura è raffigurata, in genere, dall’essere coinvolti in situazioni pericolose o nel trovarsi di fronte a soggetti pericolosi (ladri, mostri, fanta- smi, animali feroci). Il bambino nel sogno ha la possibilità di reagire a differenza di quanto accade nella realtà dove spesso si trova in lacrime o paralizzato dalla paura. Alcuni bambini, in sogno, reagiscono allo stimolo pauroso con atti violenti (azioni quali punire, distruggere, uccidere, picchiare). I sogni di aggressività agita sono il 18%, (una percentuale molto più alta ri211 spetto alle altre fasce d’età probabilmente perché il bambino a questa età si sente più vulnerabile e indifeso). I sogni di aggressività agita diminuiscono bruscamente nella fascia d’età seguente, bisogna arrivare ai 10–11 anni perché la percentuale si rialzi non raggiungendo però il dato dei piccoli. Tipici sono i sogni in cui uno dei genitori è in pericolo, sogni d’angoscia che celano l’agire di impulsi aggressivi edipici. Molti sogni lasciano trasparire situazioni chiaramente aggressive anche nei confronti di fratelli o sorelle minori. La situazione tipo è la seguente: vedere il proprio fratello in peri- colo, intervenire in suo aiuto per salvarlo e punire i colpevoli. Questi sogni sembrano mettere in scena il conflitto vissuto dal bambino tra il desiderio di far sparire il rivale ed il senso di colpa per l’impulso aggressivo, senso di colpa che è all’origine dell’azione compensatrice. Nelle bambine il sentimento di rivalità verso il fratello è spesso sostituito dal desiderio di “impossessarsi” di lui, sostituendosi alla madre. In molti sogni compare il tema dell’intrusione (ladri, fantasmi, streghe che entrano in casa), sogni penosi nei quali il desiderio di intrudere viene proiettato all’esterno su un oggetto che ha caratteristiche persecutorie. Anche nei ragazzini di 10–11 anni la maggioranza dei sogni è di carattere tormentoso (53%). Uno dei temi ricorrenti è quello della trasformazione: un probabile tentativo di elaborazione l’insieme delle trasformazioni psichi- che e somatiche che, a questa età, cominciano a manifestarsi, soprattutto nelle ragazze. Frequentemente ritornano situazioni come: trovarsi in luoghi sconosciuti o paurosi (che come sappiamo è una delle paure più sentite in questa fascia d’età), manipolare oggetti anormali, indossare maschere, assistere a trasformazioni. Il tema della stranezza (trovarsi in posti strani, assistere a scene curiose o a cose bizzarre) sembra essere un tentativo visualizzare all’esterno le sensazioni perturbanti di un cambiamento interno. Nei sogni si assiste anche al recupero e alla messa in scena di primitive fantasie infantile riguardanti la sessualità (sogni che, a livello simbolico, mettono in scena parti orali od anali). Nelle bambine compaiono sogni in cui vengono assalite da animaletti fastidiosi che pizzicano e pungono, tra- sformazione ansiosa dello stesso desiderio, colpito dal divieto super–egoico, agente nei sogni delle bimbe di 5 anni riguardanti l’impossessarsi del bebè della mamma: il fratellino. Questa serie di informazioni è molto interessante specie se considerata alla luce di quanto detto da Piaget in relazione al sogno dell’infanzia (1926),nel suo “La rappresentazione del mondo nel fanciullo”. Studiando le credenze infantili sul fenomeno del sogno Piaget individua tre stadi di comprensione e spiegazione, nel primo (5–6 anni) il sogno è consi- derato un dato esterno ed oggettivo: è un’immagine o una voce che viene a collocarsi, dal di fuori, davanti ai nostri occhi. “Quest’immagine non è vera, nel 212 2. Jean Piaget, Rappresentazione del mondo nel fanciullo, Bollati Boringhieri, Torino, 1973. senso che non rappresenta fatti reali, ma esiste obbiettivamente in quanto immagine: è ester2 na al fanciullo e non ha nulla dell’oggetto mentale” . Prima di questa età il ricordo del sogno non è completamente distinto dai ricordi di veglia e, benché il bam- bino sia capace semanticamente di attuare una distinzione, dà ad entrambi uno statuto di realtà avvenuta. Un bambino di tre anni e mezzo, spaventato dal cattivo di turno di un cartone animato chiede: “è vero che non esiste?” Rassicurato dai genitori replica: “Certo perché esiste (nel senso: vive) solo lì dentro”, indicando la videocassetta. Ma il mostro esiste, è reale, per il bambino, è solo confinato in un luogo. Lo stesso bambino, qualche tempo dopo, piange per un incubo, il padre lo rassicura dicendo che le tigri che ha sognato non esistono; il bambino replica “Si, però loro mi parlano!”. Sembra fare una distin- zione tra i personaggi che “non esistono” della videocassetta e i personaggi dell’incubo. L’interazione diretta che il piccolo vive nella dimensione onirica, unita incapacità di spegnere il sogno o modificarlo a proprio piacimento, convince il bambino che le creature sognate debbano avere una forma di vita propria. Lo statuto di non realtà viene dato a quelle realtà su cui si può incidere (la televisione si può spegnere); ma le tigri continuano a “parlargli” (cioè a manifestarsi), anche se lui non vuole: è una realtà diversa, l’evidenza percettiva prevale sulle spiegazioni e le rassicurazioni dell’adulto e il bimbo considera l’evento reale. Una presenza così forte dei temi paurosi durante il sonno non solo sottolinea l’importanza di rielaborare questi stimoli (come insegna la psicanalisi), ma suggerisce anche che la paura sia un’emozione ancora più decisiva di quanto non avessi già evidenziato fino ad ora. 213 Affrontare la paura “La lezione più importante che l’uomo possa imparare in vita, non è che nel mondo esiste la paura, ma che dipende da noi trarne profitto e che ci è consentito tramutarla in coraggio.”(Tagore) Consigli per affrontare le paure infantili Premetto che le paure che ho elencato nel capitolo precedente sono le paure normali con le quali bambini e ragazzi devono confrontarsi “biologicamen- te” ogni giorno. Ho escluso dal lungo elenco casi specifici legati a contorte esperienze personali e traumi di varia natura. Ognuno di noi ha storie da raccontare ma in questa sede mi sembrava più opportuno indagare le paure universali di cui tutti abbiamo sofferto. Per affrontare insieme ad un bambino la paura l’ascolto e la fiducia reciproca sono molto importanti. È essenziale è che il dialogo instaurato dimostri al bambino che la sua paura viene presa seriamente e capita. La paura è comunque reale anche nei casi in cui a scatenarla siano state creature fantastiche e situazioni improbabili. Il mostro dell’armadio è percepito come reale ma per fortuna i genitori appaiono, agli occhi di un bambino piccolo, tanto forti e potenti da potere prendere il mostro per un orecchio e cacciarlo. È assolutamente utile insegnare ai bambini a parlare apertamente delle proprie paure. Le paure espresse dal bambino devono essere ascoltate e considerate in modo adeguato e bisogna fare molta attenzione a non ridicolizzare il piccolo con frasi del tipo “i ragazzi della tua età non hanno più paura del buio! Sei proprio una femminuccia!” che rischiano di aggravare la paura provate e minano la sicurezza personale del bambino. Altrettanto importante è non spaventare il bambino con bugie inutili. Spesso i bambino sono portati a prendere molto sul serio le minacce ricevute degli adulti senza coglierne il tono di scherzo. Una frase innocente pronunciata senza pensarci troppo, ad esempio: “se continui a fare il monello la mamma chiama l’uomo nero che sta notte viene a portarti via!”, potrebbe imprimersi in modo indelebile nella mente del piccolo provocando uno stato ansioso che potrebbe tramutarsi in vera e propria paura. 214 Come genitori inoltre è necessario cercare di dare il buon esempio evitando reazioni paurose esagerate. Come può un bambino non essere impaurito dai ragni se vede la mamma, adulta e apparentemente invulnerabile e onnipotente, reagire male alla vista di un insettino così piccolo? Crescendo i bambini tendono ad immedesimarsi nelle paure dei genitori e difficilmente saranno tranquillizzati da un generico “va tutto bene” se leggono i segni della paura sul volto delle persone che li circondano. Sicuramente è buona norma cercare di consolare il bambino impaurito e, dopo avere ascoltato e compreso le sue ragioni, cercare di spiegargli come è possibile superare la paura o i motivi per i quali questa non ha ragione di esistere. E’ importante ricordare che la paura è comunque un’emozione preziosa e utile alla crescita ed è sempre importante, indipendentemente dal tipo di paura e dalla sua intensità, cercare di svegliare nel bambino la capacità di gestirla in modo autonomo. Insegnare la calma e il rilassamento (atteggiamenti fisici opposti a quello che la paura ci fa provare) è utile affinché il bambino si trovi nella situazione di potere reagire allo stimolo senza trovarsi pietrificato dal terrore. Reagire alla paura Spesso i bambini reagiscono alla paura in modo molto diretto e facilmente identificabile. La paura scatena spesso pianti disperati e batticuore. Il bambino impaurito spesso è irrigidito o trema; frequentemente cerca protezione e nascondiglio tra le braccia dei genitore (pensiamo all’immagine simbolo in cui il bambino si aggrappa alla gonna della madre). Parlando della paura, raccontandola ai genitori o spie- gandone le cause, il bambino può diventare pallido o arrossire. La paura può manifestarsi anche con irregola- rità nella respirazione; possono essere sintomi di paura dei piccoli sussulti (anche nei bambini neonati), il respiro affannato e le apnee. Può essere una reazione alla paura anche l’adozione di comportamenti anormali come l’insonnia, i frequen- ti risvegli notturni, l’irritabilità, gli sbalzi improvvisi d’umore, alcuni capricci e proteste apparentemente insensati (fissazioni alimentari, eccessiva timidezza ecc.). 215 La paura si può manifestare quindi attraverso atteggiamenti palesi ma anche poco evidenti: addirittura può nascondersi. Da un punto di vista psicologico il soggetto esposto allo stimolo paurogeno può reagire in maniere differenti. L’Io del soggetto esposto ad una situazione minacciosa di origine esterna, essendo stato preavvisato dal pericolo attraverso il segnale dell’ansia, fa una valutazione attuale delle circostante esterne e prende misure adattive che a loro volta vengono messe in moto dal segnali di ansia. Lo stadio evolutivo a cui il bambino si trova, l’insieme delle sue esperienze passate, delle fantasie così come anche l’entità del pericolo reale esterno determinano il modo in cui reagirà al pericolo che attraverso il sentimento della paura ha visto mettere in crisi il suo equilibrio mentale. Possiamo mettere in gioco due principali modi per fronteggiare una paura: —padroneggiare l’ansia intraprendendo un’azione (far fronte attivamente); —limitare l’ansia evitando la situazione di pericolo (ritirandosi). Il padroneggiamene attraverso l’azione e l’evitamento possono essere entrambi considerati espressione di padroneggiamento adattivo (determinati cioè dall’istinto di sopravvivenza). Il ritiro ha chiaramente significato adattivo solo nei rari casi di pericolo esterno nei quali la fuga corrisponde al comportamento più adatto. Nel caso in cui il soggetto risponda fuggendo o lasciandosi prendere dalla paura senza reagire è molto probabile che tenda ad aumentare la sensibilità a quello stimolo e, in future situazioni analoghe, manifesterà uno stato crescente di agitazione. Può inoltre accadere che venga a costituirsi una paura condizionata nei confronti di alcuni elementi che fanno parte della risposta primaria di paura: come recita l’antico proverbio cinese: “Chi è stato morso dal serpente anche solo una volta avrà sempre paura di camminare nell’erba alta”. I diversi feedbak producono effetti cumulativi di potenziamento della carica paurogena contenuta negli stimoli con un andamento circolare. Chi è im- paurito in breve è tendenzialmente portato a provare una paura crescente se non compie uno sforzo per cercare di tranquillizzarsi (o se questo non è possibile). È dunque molto importante che i bambini imparino a sostenere un certo livello di paura imparando a gestire e superare le situazioni paurose con crescente autonomia. La possibilità del bambino di potere reagire atti- vamente alla paura adoperando le risorse dell’Io è fondamentale per la sua futura salute mentale. Il padroneggiamento attivo porta ad una maggiore fiducia in sé e l’energia sufficiente a fronteggiare l’ansia futura. Al contrario la fuga dagli stimoli paurosi può essere indice di insicurezza e può comportare un’inclinazione più spiccata per l’atteggiamento fobico. “A parità di condizioni è più probabile che diventino vittima di disturbi nevrotici successivi quei 216 bambini che sono incapaci di tollerare persino moderati quantitativi di ansia. In questo caso devono negare e rimuovere tutti i pericoli esterni e interni che sono potenziali sorgenti di ansia; o devono proiettare i pericoli interni sul mondo esterno, il che rende tali più spaventosi; oppure devono ritirarsi in modo fobico dalle situazioni di pericolo per evitare attacchi di ansia. […] I bambini con previsione migliore di salute mentale sono quelli che fanno fronte attivamente alla stesse situazioni di pericolo mediante risorse dell’Io, come la comprensione intellettuale, 3. Anna Freud, Opere, Bollati Boringhieri, Torino, 1965. il ragionamento logico, il cambiamento delle circostanze esterne, il contrattacco aggressivo, cioè con il padroneggiamento in luogo del ritiro. Dal momento che in questa maniera possono affrontare quantitativi maggiori di ansia , parimenti possono fare a meno di una esagerata attività difensiva, di formazione ci compromesso e di sintomi.” 3 I meccanismi di difesa Nel 1936 la stessa Anna Freud nel suo “L’Io e i meccanismi di difesa” elenca i dieci “metodi difensivi” maggiormente usati dai bambini per fronteggiare l’ansia. Negli scritti psicoanalitici il termine “difesa” è usato come termine generale per indicare l’impiego sia di meccanismi sia di funzioni e similmente di attività contro idee o affetti spiacevoli. Le difese sono poste in funzione del- la percezione, dai pensieri e dei ricordi di contenuti psichici e dei desideri istintuali o dai loro derivati. Il testo di A. Freud , benché datato, fa ancora parte delle opere fondamentali per definire i meccanismi usati per reagire agli stimoli ansiogeni. Le reazioni base da lei elencate sono: regressione: rimozione, formazione reattiva, isolamento, annullamento, proiezione, introiezione, rivolgimen- to verso il sè e rivolgimento nel contrario e quindi l’autrice aggiunge:”noi dobbiamo aggiungerne un decimo che appartiene più allo studio del normale e che a quello della nevrosi: la sublimazione o spostamento degli scopi istintuali”. Ecco una breve definizione delle difese affrontate nei suoi testi: —regressione: quando il bambino manifesta comportamenti che non fanno parte del suo abituale modo di agire, ma che ricordano quello di bambini molto più piccoli. La psiche reagisce a bisogni e frustrazioni col tentativo di sperimentare percezioni piacevoli già vissute in prece- denza (un bambino spaventato può ad esempio succhiare il pollice o manifestare altri comportamenti che aveva già superato tipici di età precedenti); —rimozione: è un meccanismo realmente efficiente che opera in particolare contro i desideri edipici che sono diventati inaccettabili; —formazione reattiva: corrisponde al volgere in modo permanente un 217 desiderio o un affetto nel suo contrario (il desiderio inconfessabile di fare male al fratellino minore può trasformarsi in un garbato interesse per tutti i bambini piccoli); —Isolamento; —Annullamento: se un bambino si sente colpevole di avere commesso un errore cerca di annullare l’azione o l’evento che provoca in lui il senso di colpa (ad esempio un bambino scioccato da un suo stesso attacco d’ira verso un oggetto può baciare l’oggetto dopo averlo schiaffeggiato); —Diniego: indica il modo in cui il bambino nega dei fatti spiacevoli. Può essere indirizzato alla negazione di fatti, alla negazione di sentimenti relativi ad un determinato evento, ma anche alla creazione di una fantasia con la quale si esaudisce il desiderio frustrato. —Esternalizzazione: è il tentativo di liberarsi di un conflitto. Si mette in atto quando un desiderio non può essere soddisfatto senza sentirsi cattivi o aspettarsi critiche: in questo modo si attribuisce il desiderio cattivo a qualcun altro e ci si sente capaci di criticare tale desiderio nell’altra persona, così facendo il conflitto interno si attenua; —Proiezione: quando l‘individuo attribuisce un proprio desiderio o im- pulso a qualche altra persona o a qualche oggetto impersonale del mondo esterno. Questo particolare meccanismo di difesa recita di norma la sua parte più grande nei primi tempi di vita infantile (spesso ad esempio mostri e streghe altro non sono che l’incarnazione delle pulsioni aggressive e distruttive che il bambino prova ma non riesce ad accettare); —Inversione: è un volgere nel contrario, per esempio cambiando l’odio in amore, la tristezza n allegria, la paura in spavalderia; —Introiezione; —Rivolgimento verso il se e rivolgimento nel contrario; —Sublimazione: lo spostamento di scopi istintuali mediante una attività dalla quale si ricava piacere (incanalare l’energia pulsionale in attività non strettamente legate ad essa). Strategie per dominare la paura Chiaramente un bambino spaventato cercherà inizialmente la vicinanza dei genitori o di altre figure capaci di consolarlo e tranquillizzarlo ma guidato può imparare a mettere in atto anche da solo alcuni meccanismi incorag218 gianti con i quali reagire alle situazioni paurose. Possiamo infatti considerare l’idea di fiducia come contraria al concetto di paura; fiducia nei genitori (che lo proteggeranno e salveranno dalle situazioni pericolose) e fiducia nelle proprie capacità di reagire. Il coraggio è sapere fare affidamento sulle proprie capacità in modo realistico valutando in modo corretto il proprio potere in relazione a quello dell’elemento che si presenta ostile e minaccioso. Nel caso in cui un bambino cominci a provare paura, scattano diverse possibilità di comportamento che corrispondono a diversi atteggiamenti che è possibile incoraggiare. Non volendo affrontare casi patologici di paure le strategie proposte sono dettate dal buon senso e rispecchiano la normale gestione famigliare del fenomeno paura. Ho identificato tre principali strategie che è possibile intraprendere per combattere una paura: la difesa cognitiva, l’approccio comportamentista e la ritualità. Nella maggioranza dei casi la reazione alla paura non è riconducibile ad una sola strategia di risposta e la soluzione ideale al problema risulta essere composta da un mix delle componenti. La difesa cognitiva Sicuramente un primo passo per superare le paure, nel caso in cui si riferiscano a situazioni–oggetti reali, è analizzare con il bambino la situazione cercando di sottolinearne l’innocuità. Questo metodo, particolarmen- te apprezzato dagli adulti per consolare i bambini spaventati, è chiamato difesa cognitiva. In poche parole è la possibilità di spiegare razionalmente al bambino il fenomeno che ha scatenato la paura. Questa strategia può rivelarsi molto utile per le paure identificabili; la spiegazione logica dell’accaduto può tranquillizzare un bambino intimorito da un forte rumore di cui non capiva l’origine o la natura così come l’accensione della luce può fare scomparire l’ombra minacciosa proiettata da una sedia nella cameretta. L’approccio cognitivista, è finalizzato all’eliminazione della causa della paura, si rivolge alla percezione e alla valutazione degli stimoli o eventi etichettati come pericolosi. Spiegare come e perché avviene una determinata cosa può aiutare a provarne meno paura. Talvolta 219 può occorrere un po’ di tempo ma le paure più infondate passano con il tempo dopo essere state “digerite”. Chiaramente è essenziale essere sinceri per non perdere la fiducia dei bambini. È inutile dire al bambino che il dottore non gli farà alcun male se invece deve essere sottoposto ad una operazione o fare un vaccino. La scelta della parole da usare è fondamentale; il bambino si tranquillizzerà più facilmente sentendo parole che conosce ed usa regolarmente piuttosto che parole difficili e misteriose. Così è più facile che le parole vaccinazione e anestesia spaventino di più che la loro spiegazione: “sentirai come un pizzicotto” o “il dottore sta per addormentarti”. Inoltre è opportuno cercare di evitare la formulazione di frasi negative poiché il nostro cervello non registra facilmente, e in modo indelebile, la parola no. Se si dice ad esempio “non pensare al dolore” o “non c’è da avere paura” è molto facile che il piccolo non riesca a pensare ad altro. Benché a livello razionale (sfera del significato) la frase esprima un invito a rimanere tranquilli e a non preoccuparsi la presenza di parole quali “paura” e “dolore” è sufficiente a cambiare il valore emotivo della frase. Volendo distogliere il pensiero di un bambino da cose che lo preoccupano e intimoriscono è meglio cercare di fare leva sulla sua fervida immaginazione stimolandola con semplici input (immagini storielle, esercizi di visualizzazione ecc). Possiamo considerare due aspetti della difesa cognitiva: uno prettamente razionale, che illustra come e perché le cose avvengono o non avvengono (spazia da “i mostri non esistono” a “i cani abbaiano perché è il loro modo di comunicare”) ed una più concreta, che mette in evidenza l’effettiva realtà dei fatti (svelando che la minacciosa presenza sul pavimento altro non è che un calzino appallottolato). Per alcune paure la difesa cognitiva può non essere sufficiente ma rimane comunque una buona base di partenza per cercare di mantenere la calma. I bambini, come gli adulti, sono spesso spaventati da quello che non conoscono; considerando che durante l’infanzia si imparano progressivamente molte cose (e ciò comporta una graduale diminuzione delle paure) è possibile sfruttare le paure infantili per creare situazioni di crescita e appren- dimento assecondando la sete di conoscenza che brucia in ogni bambino. Per questo molti bambini sono affascinati dalla scienza e dalla possibilità di capire fenomeni misteriosi e inspiegabili come ad esempio scoprire cosa scatena un temporale e come hanno origine i tuoni. Allo stesso modo un bambino spaventato dagli insetti può appassionarsi alla lettura di un libro illustrato nel quale scoprire origini e funzioni delle specie e imparando a conoscerne caratteristiche e abitudini di vita. Come ho già avuto modo di dire non sempre la logica è sufficiente. 220 Un bambino intimorito dal buio, o da un grosso cane, non sarà soddisfatto dalla semplice spiegazione che nel buio non si nasconde nessuna creatura malvagia e il cane è buono e non ha assolutamente cattive intenzioni verso di lui, ma potrà continuare a ripetere tra sé e sé queste considerazioni quando si troverà successivamente ad affrontare la stessa situazione. È molto importante considerare l’età del bambino al quale ci si riferisce; un bambino piccolo può ascoltare e apprendere il contenuto della spiegazione razionale ma a livello emotivo non ne trarrà molto giovamento per- chè fino ai 4–5 anni la razionalità e le capacità logiche sono ancora in via di sviluppo e l’esperienza deve ancora rafforzare le connessioni di causa–effetto; al contrario un bambino in età scolare sarà pronto a ricevere le informazioni elaborandole interiormente e organizzandole in modo da poterle sfruttare al meglio nel momento del bisogno. Anche un bambino piccolo potrà tuttavia apprezzare gli aspetti concreti della difesa cognitiva; se infatti una semplice spiegazione può non soddisfarlo pienamente l’evidenza dei fatti può essere d’aiuto nel placare l’ansia. Un bambino spaventato dal mostro dell’armadio può essere molto sollevato nell’analizzare insieme ad un genitore il contenuto dello stesso prima di coricarsi. L’esperienza L’approccio comportamentista Dall’analisi delle paure è emerso che una buona parte delle cose che temiamo è legata ad un’esperienza negativa vissuta in modo più o meno diretto. Risulta evidente che così come le paure si possono acquisire attraverso espe- rienze negative così è possibile rimuoverle con la rieducazione; creando cioè nuovi condizionamenti che sostituiscano i precedenti. Adottando i termini usati da Pavlov e Skinner potremmo dire che affrontare la paura con l’esperienza significa sostituire una risposta condizionata negativa con una positiva attraverso la graduale somministrazione di stimoli rafforzatori positivi. Più semplicemente è possibile associare ad una situazione inizialmente paurosa momenti piacevoli in modo da modificare la prima impressione che questa circostanza aveva fatto al bambino. L’approccio comportamentista mira alla eliminazione del sintomo della ma221 nifestazione della paura, attraverso tecniche di familia- rizzazione e assuefazione allo stimolo fobico, basate su meccanismi di condizionamento. Un bambino spaventato dall’acqua può imparare ad amarla in seguito ad un soggiorno al mare dove ha potuto giocare sul bagnasciuga e fare un’esperienza diversa e divertente di bagno. Questo approccio risulta particolar- mente efficace come reazione immediata nel caso in cui il bambino abbia vissuto un esperienza negativa così ad esempio dopo una caduta in bici è importante rimettersi in sella al più presto per potere minimizzare la carica paurogena che la caduta potrebbe scatenare. Agiscono i questo senso, come stimoli positivi, anche i giochi d’ac- qua per la prima infanzia: attirando l’attenzione sui giocattoli il bambino non si concentrerà esclusivamente sulla paura di bagnarsi tipica di alcuni periodi della crescita e riuscirà a divertirsi e a diminuire anche il senso di disagio legato al momento del bagnetto. Un nuovo elemento posto all’interno di una situazio- ne paurogena è spesso in grado di diminuirne le potenzialità distogliendo l’attenzione dalla causa prima che scatena l’agitazione. La stessa strategia viene utilizzata dai pediatri più fantasiosi per tranquillizzare i loro piccoli pazienti durante la visita. Più di ogni altra cosa una piccola lucina o un pupazzo morbido morbido possono aiutare un bambino a sentirsi meno spaventato nel buio della sua cameretta prima di addormentarsi. L’esperienza è una delle strategie più efficaci per il superamento delle paure e tuttavia è importante non forzare il bambino a fare qualcosa per cui non si sente ancora pronto. Chiudere il bambino in uno stanzino buio per dimostrare che non succede nulla di terribile può essere distruttivo per il piccolo e trasformare la sua paura fisiologica in una vera a propria fobia. È giusto invitare il bambino a modificare il proprio punto di vista (ammesso che sia la cosa migliore da fare) rispettando i suoi limiti senza imporre inutili prove di coraggio che potrebbero risultare frustranti nel caso in cui non riesca ad affrontarle. Talvolta può essere vantaggioso invitare il bambino a conoscere meglio ed eventualmente instaurare un dialogo con le entità che lo spaventano. Così un bambino accompagnato da un genitore vicino ad un cagnolino innocuo potrebbe riconoscere di avere provato tanta paura senza un motivo valido e arrivare ad accarezzare l’animale (spesso con un po’ di risentimento iniziale ma … ogni cosa viene a suo tempo). Lo stesso tipo di rapporto può essere tentato anche con creature fantastiche; richiede un po’ 222 di coraggio ma è uno dei metodi più efficaci. Incontrando un fantasma, uno spettro, una strega, il lupo cattivo, si potrebbe chiedergli:”Perché sei qui?” “ Cosa vuoi da me?” Nascono da questo filone schiere di mostri pasticcioni, vampiri vegetariani, fantasmini gentili ed amichevoli, mostri impauriti, principesse,orchesse e tanti altri personaggi che ribaltano i luoghi comuni. La narrazione Una variante di particolare interesse della strategia dell’esperienza è la possibilità di godere dell’esperienza altrui attraverso racconti narrati. La narrazione di fatti reali o storie inventate assorbe completamene i piccoli ascolta- tori che in una certa misura possono ricavare un insegnamento paragonabile a quello derivato da un’esperienza diretta. È proprio da questo punto di partenza che si sviluppa l’interessante pensiero di Bruno Bettelheim che vede nella fiabe uno dei migliori motori di crescita e sviluppo della personalità nei bambini. Nell’affascinante libro “Il mondo incantato” il celebre psicologo austriaco spiega come le fiabe aiutino i bambini a destreggiarsi nella vita e superare le sconcertanti realtà con cui ognuno deve fare i conti durante il processo di crescita. Occorrono un’educazione morale e modelli da seguire per cercare di dare ordine e coerenza alla dimensione interiore spesso com- plessa o difficile da accettare del bambino. Nulla meglio di una fiaba, che cattura l’attenzione, diverte, suscita interesse e può rivelarsi più educativo. Per quanto lontane nel tempo e nello spazio le fiabe conservano un carattere e significati profondi per conscio, subconscio e inconscio. Il loro linguaggio si adegua perfettamente alla mentalità infantile, al suo tumultuoso contenuto di aspirazioni, angosce, frustrazioni, e parla lo stesso linguaggio non realistico dei bambini. Le fiabe trattano problemi umani universali, offrendo esempi di soluzione alle difficoltà e trasmettendo il messaggio che aven- do fiducia nelle proprio possibilità è possibile cavarsela in ogni situazione, anche nelle più terribili. I racconti sono spesso atemporali e i personaggi che animano gli scenari fantastici sono figure archetipiche che incarnano le contraddittorie tendenze del bambino e i diversi aspetti del mondo. Le situazioni fiabesche, rispettando la visione magica infantile delle cose, esorcizzando incubi inconsci, placando inquietudini, aiutando a superare insicurezze e crisi esistenziali, insegnando ad accettare le responsabilità e ad affrontare la vita. Attraverso i racconti il bambino comincia a familiarizzare con i grandi problemi esistenziali constatando che, per quanto i problemi e le difficoltà siano ineliminabili, è sempre possibile reagire in modo positivo e modificare gli eventi a proprio vantaggio a patto di avere fede nelle proprie possibilità e comportandosi nel migliore dei modi. 223 Il male non può essere sconfitto una volta per tutte dunque ma le vicende di bambini piccoli come Pollicino e birichini come Cappuccetto Rosso possono aiutare a ridurre la paura dimostrando come esista sempre una possibilità di salvezza e felicità. Molti genitori e buona parte degli autori di juvenilia tendono a trascurare l’importanza di un avvicinamento precoce alle difficoltà della vita e riten- gono alcuni racconti troppo cruenti e angosciosi per i bambini. L’infanzia non è infatti, come molti erroneamente ricordano, un’età priva di problemi e di conflitti interiori. Potere ricevere in forma simbolica attraverso le fiabe suggerimenti su come affrontare i grandi problemi della vita è un’esperien- za che non va negata ai bambini. Troppo spesso la produzione per l’infanzia tende a seguire un vecchio pregiudizio che vuole presentare ai più piccoli “una realtà semplice, edulcorata, che deve essere leggera e spensierata, ilare e ottimista, pie- no di buoni sentimenti e diminutivi” per usare le parole della valida scrittrice per ragazzi Bianca Pitzorno. È interessante notare come nell’analisi effettuata da Bettelheim ci sia una forte corrispondenza tra le fiabe più apprezzate dai bambini e le paure più ricorrenti nella specifica fascia d’età. Ad esempio una delle prime fiabe che può essere apprezzata (non prima dei 4 o 5 anni) potrebbe essere quella di Hansel e Gretel in cui compaiono alcuni temi ricorrenti a quest’età come la paura dell’abbandono e l’incontro con la strega cattiva. A livello simbolico questa storia tratta di due bambini per i quali è giunto il momento di im- parare ad affrontare il mondo senza continuare ad aggrapparsi alla figura materna insieme con la necessità di trascendere una primitiva oralità, simboleggiata dall’infatuazione di bambini per la casa di marzapane. Riprendendo le tappe di sviluppo delineate da Freud, Bettelheim evidenzia come la storia risulta di facile interpretazione anche per i più piccoli perché intimamente collegata ai temi dell’oralità. La madre ha abbandonato i bam- bini in quanto, caduta in disgrazia, non è più in grado di poterli sfamare e questi dopo essersi persi nel bosco (anche la paura di perdersi è tipica dell’età prescolare), vengono attratti dalla peri- colosa casetta di marzapane che altro non è che una trappola tesa dalla strega malvagia. La stessa strega, che come il lupo di altre fiabe è una personificazione di tutti gli aspetti negativi dell’oralità, è intenzionata a mangiare i bambini e per questo li ricopre di cibo e leccornie affinché possano ingrassare quel tanto da poter essere cucinati. Nel rileggere la fiaba in questa ottica è possibile verificare come l’oralità sia onnipresente in tutti i passaggi della nar- razione fino al gran finale in cui bambini riescono ad avere 224 la meglio sulla strega spingendola nel forno che lei stessa aveva fatto scaldare per arrostirli. Le paure infantili tendono ad essere condensate in figure simboliche che ne incarnano i tratti salienti; i bambini spesso sentono la neces- sità di dare ai sentimenti più oscuri e sconvolgenti un aspetto umano apparentemente più accettabile e controllabile. È probabile che i bambini tendano ad identificarsi con gli eroi delle fiabe, capaci di affrontare soli le situazioni più difficili, e sentano il bisogno di ascoltare più e più volte una determinata storia che affronta tematiche care in un particolare momento della vita. Spesso lo slittamento del personaggio principale da eroe della storia a modello di vita avviene a livello inconscio ed è importante non palesare l’avvenuta identificazione del bambino per non spezzare l’incan- tesimo. Un bambino può apprezzare molto un racconto e desiderare di ascoltarlo ogni sera senza saperne il perché, traendone comunque corag- gio e ispirazione per affrontare i suoi stessi problemi. La stessa storia può essere inoltre interpretata in modi diversi durante l’arco della vita insegnando di volta in volta e di lettura in lettura cose diverse. I ragazzi sono in grado di interpretare le storie che sentono, leggono e guardano a loro piacimento, traendone il massimo del beneficio e tralasciando molti degli aspetti che gli adulti ritengono potenzialmente dannosi. Un esempio per tutti è Stephen King, uno degli autori contemporanei per adulti di cui –con grande sgomento dei grandi– i ragazzini fin dalle ultime classi delle elementari si sono appropriati con maggiore entusiasmo, proprio come i loro coetanei del settecento e dell’ottocento avevano fatto con Swift, con Defoe, con Verne e successivamente Salgari. Sulle scene di sesso King come è noto non risparmia ne dettagli ne crudezze. Eppure i piccoli lettori non se ne lasciano turbare. Probabilmente saltano le pagine o sorvolano con serafica nonchalance. Bianca Pitzorno prosegue nel suo saggio “Storia delle mie storie” raccontando di una visita fatta anni fa in una scuola milanese ad una quinta elementare la cui insegnate lamentava di non riuscire a fare leggere neppure un libricino a quei ragazzi tanto presi dalla televisione. Tutta la classe, nessuno escluso, ri- sultò invece avere letto di nascosto dai grandi, “IT” un volume di novecen- to pagine dalla struttura piuttosto complicata con continui salti temporali tra i due tempi in cui si svolge il racconto. Come mai, viene da chiedersi, i ragazzini di quella età avevano amato tanto quel romanzo da sobbarcarse- ne la fatica della lettura? “Forse perché la storia di It comincia quando i protagonisti sono bambini, loro coetanei, e si sentono oppressi dal mondo dei grandi. Perché questi bambini stando insieme e formando il gruppo magico dei Sette Perdenti, diventano più forti degli adul- 225 ti, più forti addirittura di It, Il Male incarnato, e si prendono la loro bella rivincita. E perché da grandi tornano a unirsi e ritrovano la forza di battere per una seconda volta il mostro solo nel ricordo dell’antico legame infantile.” La Pitzorno sottolinea come i bambini raccontando le vicende del romanzo tralascino gli aspetti più crudi e meno adatti ad un pubblico così giovane (i racconti di Beverly sul marito sessualmente sadico e violento, gli amori non esattamente platonici che nascono a dopo tanti anni tra gli adulti e molto altro). Se stuzzicati i ragazzi ammettono di avere dimenticato e tralasciato quegli aspetti in quanto accessori alla vicenda, in definitiva poco interessanti perché considerati scollegati alla loro esperienza quotidiana. “…mentre la rabbia impotente del più debole nei confronti del più forte, il senso eroico dell’amicizia, la paura della malvagità senza forma, la capanna nascosta sotto le piante, le corse 4. Bianca Pitzorno , Storia delle mie storie, Nuova Pratiche Editrice, Parma, 1995. in bicicletta, le filastrocche scaramantiche, i genitori che non capiscono, il delizioso senso di 4 rivincita, questo sì, fa parte della loro esperienza fattuale o desiderata.” I rituali I bambini spesso riccorrono a rituali e oggetti magici per fronteggiare l’ansia causata da situazioni che non riescono ad affrontare (ad esempio il dormire soli in una camera buia e silenziosa). Spesso può capitare che gli approcci precedentemente descritti, di tipo cognitivo ed esperienziale, si rivelino inapplicabili o non sufficienti a tranquillizzare il piccolo preso dalla paura. Per fronteggiare la forza distruttiva della paura è necessario ricorrere, proprio come facevano gli uomini primitivi, a cerimonie e piccole magie che trovano molto spazio nella quotidiani- tà dei bambini aiutandoli ad ordinare il caos legato alla loro ancora incerta esperienza del mondo. La ripetizione di azioni, giochi, filastrocche, aiuta il bambino a definire la propria identità attraverso la ritualità. La ripetizione di tali gesti, conosciuti e amati, ottiene come effetto una diminuzione delle ansie del piccolo aumentando gradualmente la fiducia in se stesso e negli altri. A partire dai due anni la ripetizione diviene un esperien- za fondamentale ed è importante, anche se può risultare noioso per l’adulto cercare di assecondare il bambino nel suo desiderio di rivivere molte volte una stessa esperienza minimizzando le variazioni. A quell’età la maggior parte dei piccoli vuole occupare sempre lo stesso posto a tavola, e usare lo stesso bicchiere e lo stesso piatto. Allo steso modo tutte le sere chiedono con insistenza ai genitori di leggere la stessa storia quando vanno a dormire. 226 Spesso la lettura deve essere fedele fino alla virgola e all’intonazione della voce. Allo stesso modo altri bambini trovano una fonte di sicurezza nel chiedere un bicchiere d’acqua sul comodino o che si lasci accesa una lucina. Secondo lo psicologo David W. Evans, dell’università di Yale, questi rituali servono a calmare l’angoscia. A partire dai diciotto mesi i bambini cominciano infatti ad assimilare regole di comportamento che riguardano soprattutto la pulizia e le buone maniere, imparando a reprimere gradualmente gli atteg- giamenti impulsivi. I bambini si trovano a dovere fronteggiare situazioni costrittive nelle quali l’ansia di volere rispettare i desideri dei genitori (fai il bravo, rimani seduto a tavola, devi dormire nel tuo lettino) si scontra con le pulsioni personali; compiere questi rituali è un modo per ridurre l’ansia che nasce dal rispetto di norme precise. I rituali anti–panico hanno molte sfaccettature e possono variare molto da paura a paura e da famiglia a famiglia. Purtroppo i meccanismi con i quali genitori e figli cercano di fare fronte alla paura entrano presto a fare parte del circuito della paura diventandone una parte integrante. Spesso il bambino finisce per sviluppare una forte forma di attaccamento costruita intorno al rituale anti–panico messo in atto con i genitori. Paradossalmente il bambino arriva ad amare il suo rituale più di quanto non tema la sua paura… e vincere la paura diventa più complicato in quanto ciò comporterebbe la perdita di una serie di gesti speciali e attenzioni extra dei genitori. La ritualità è un aspetto fondamentale nella vita del bambino ed è per questo che gli risulta molto difficile separarsene. Accanto alla creazione di un rito tranquillizzante possiamo trovare un’altra strategia difensiva rituale che consiste nell’oggettivare una paura per cominciare a superarla. I bambini possono trarre benefici dal disegnare i mostri che più li spaventano (spesso questo processo avviene spontaneamente nei disegni dei bambini ). Attraverso il linguaggio simbolico il bambino esprime le sue paure più profonde andando oltre a quello che spesso riesce ad esprimere a parole. Seguendo questo principio è possibile invitare i bambini a realizzare, per esorcizzare una paura, fantasmini di stoffa e mostri di pongo, piuttosto che animali feroci o streghe. La volontà di dare forma alle proprie paure è insita nella natura dell’uomo che dalla notte dei tempi ha cercato di rappresentare le cose che più temeva per raccogliere le energie necessarie ad affrontarle. Nascono da questo im- pulso i graffiti primitivi, gli idoli di pietra da adorare o temere, gli animali fantastici ed esseri mostruosi che animano i miti classici, i bestiari medioevali e tutto ciò che ha dato una forma tangibile alle paure più profonde che l’uomo ha affrontato nei secoli. 227 Esiste perciò nell’uomo la volontà di rivivere la paura, confrontasi con essa e assimilarla un poco per volta. La paura, se provata in piccole dosi, è un’esperienza che può essere molto divertente per i bambini addirittura ricercata attraverso il gioco. Ma la messa in scena di una paura durante i giochi può essere una cosa molto seria. Il primo ad evidenziare una stretta connessione tra il gioco e la paura fu Freud che nel 1920 analizzò il gioco del nipotino Hernst scopren- done i significati simbolici ad un livello profondo, arrivando a formulare ulteriori riflessioni sul gioco come strumento trasformativo e dunque evo- lutivo per il bambino. Freud notò come il bimbo di18 mesi si intrattenesse a lungo con un gioco particolare: prendeva un rocchetto e lo lanciava lontano facendolo sparire sotto il letto, il tutto era accompagnato da esclamazioni vocali connotate da intensa affettività. La scomparsa e la riapparizione del rocchetto sono stati da Freud interpretati come simbolizzazioni dell’espe- rienza della perdita e del ritrovamento. Il gioco pareva ripetere, in una sorta di drammatizzazione affettivo–motoria, una serie di esperienze altrettanto emotivamente intense: le partenze della madre, vale a dire l’esperienza di separazione (come abbiamo avuto modo di vedere questa è una delle paure più intense e sentite dai bambini così piccoli). Un giorno Freud notò come questo gioco facesse parte di uno più complesso: il piccolo tirava il rocchetto, lo faceva sparire, poi lo recuperava. Il gioco completo appariva raramente, la prima parte sembrava bastare a sé. Freud chiamo “coazione a ripetere” il meccanismo di messa in scena dei drammi esistenziali che si ripetono all’infinito nel gioco infantile. Viene però da chiedersi il perché di una ripetizione così insistente di un’esperienza dolorosa. Secondo Freud è la coazione a ripetere che spingeva il bambino a giocare. La spinta a ripetere per elaborare psichicamente, impadronirsi di un evento che ha suscitato una forte impressione emotiva è primaria ed indipendente dal principio del piacere. Il tentativo sotteso è la ripetizione del trauma per cercare di eliminarlo. Nel gioco la ripetizione può permettere al bambino di assumere una parte attiva nell’esperienza, tentando così di dominare le forti impressioni rivissute nel gioco più di quanto non sia possibile fare nella realtà dove spesso il bambino è costretto a subire passivamente le sue paure. In altre parole si tende ad instaurare con l’oggetto attuale (persona o situazione) una relazione tale da replicare interamente o per alcuni aspetti l’esperienza o la serie di esperienze traumatiche fissate nell’inconscio. L’oggetto attuale diventa il corpo–supporto di un’immagine riguardante un legame con l’oggetto primario. Tutto ciò avviene ovviamente al livello inconscio, l’individuo non è consapevole né della spinta che lo porta a replicare né del 228 contenuto della ripetizione, così come il nipote di Freud non era consapevo- le del perché del gioco, né della spinta a farlo. Molti giochi, sia quelli svolti liberamente dei bambini che quelli utilizzati in psicoterapia infantile, sembrano presentare le caratteristiche del gioco del rocchetto. Nascono cioè dal bisogno di ripetere l’esperienza o le esperienze traumatiche nel tentativo di cancellarle e neutralizzarne l’energia negativa. La messa in scena della paura può avere anche toni meno drammatici e contenuti più universali senza perdere in coinvolgimento emotivo. A prova di questa crescente attrazione per la paura basta citare il campione di incassi Harry Potter (appena arrivato in libreria e già in vetta alle classfiche con il sesto libro della saga) e il boom anche in Italia del fenomeno Halloween fino a pochi anni fa limitato alle aree anglosassoni. Il macabro diverte e la paura si fa gioco. La mascherata macabra di Halloween affonda le sue radici in tempi molto lontani; i costumi da scheletro o da fantasma altro non sono che la moderna trasposizione delle maschere rituali usate fin dal Paleolitico nel contesto di riti e cerimonie magico–religiose. Anticamente il presupposto per l’uso delle maschere rituali era la fiducia nel loro potere di “trasformare” chi le indossava facendolo “possedere” dallo spirito rappresentato. Travestirsi per interpretare una maschera paurosa ci trasmette i poteri di ciò che più temiamo rendendoci immuni alla paura; la nuova forza che il rito infonde si trasforma in coraggio una volta spogliati dal travestimento. L’ultimo aspetto della risposta rituale che intendo sottolineare è la creazio- ne di amuleti. Con il termine amuleto mi riferisco a qualsiasi oggetto venga investito di particolari virtù magiche capaci di propiziare la fortuna e proteggere il possessore dell’oggetto da possibili pericoli e malefici. I bambini spesso attribuiscono poteri speciali alle cose che li circondano; in questo modo un giocattolo particolare, che possono abbracciare nel letto o lasciare a vegliare sul comodino, può aiutarli a sopportare e vincere la paura del buio, così come una torcia elettrica si può trasformare nell’arma micidiale capace di sconfiggere qualsiasi mostro notturno. Rientrano, a mio avviso, nella categoria degli amuleti anche i numerosi portafortuna ai quali si ricorre nelle situazioni di stress; può essere di grande conforto potere stringere tra le mani un portafortuna prima di un interrogazione molto temuta o di una competizione sportiva. 229 difesa cognitiva Consiste nell’analisi razionale dell’oggetto della paura. Conoscere il nemico aiuta ad affrontalo meglio. Non sempre questo mecanismo si rivela sufficiente ma è una prima base di partenza. i enza evid att dei f è e e ch er p m co a rett di ienza r espe ne o azi r r PAURA da superare na zione a esent rappr SOGGETTO che affronta la paura l’esperienza Se le paure cominciano in seguito ad esperienze negative allo stesso modo possono scomparire se si vivono esperienze migliori (stimoli e rinforzi positivi). amuleti difesa rituale Gesti e oggetti possono essere capaci di placare l’ansia perchè investiti di un particolare potere magico o da valenze affettive. riti Giocattoli e paura Per concludere vorrei presentare una breve carrellata di giocattoli che a mio avviso interpretano bene il rapporto che ho analizzato tra gioco e paure. Tra questi giochi è possibile individuare diverse strategie e modalità con cui il problema è stato affrontato. Prima di tutto vorrei ricordare che per far fronte in modo efficace una paura è necessario agire su più fronti contemporaneamente adottando diverse strategie. La strategia da scegliere dipende sicuramente dall’età del bambino a cui ci si riferisce ma anche in certa misura dalla paura da affrontare. per le paure diffuse, ad esempio, è probabile che la difesa cognitiva possa non essere di grande aiuto non essendo molto chiaro l’oggetto specifico della paura. Partiamo dunque dalla strategia cognitiva. Un primo esempio di gioco che interpreta bene questo tipo di approccio alla paura è la linea di giochi “Alla scoperta degli insetti” proposta da Città del Sole. La linea prevede diversi set di giocattoli con i quali condurre numerosi esperimenti che permettono di conoscere meglio e apprezzare l’affascinante mondo degli insetti. Nel kit vengono forniti diversi contenitori nei quali deporre le bestioline per poi guardarle attentamente con l’ingranditore. Sono stati disegnati strumenti con i quali catturare gli insetti senza ferirli e teche simili a terrari nelle quali osservarli mentre si muovono su percorsi articolati. Questi giochi (come molti altri che si muovono nel campo dell’esplorazione naturalistica) permettono di conoscere a fondo un mondo molto inte- ressante che spesso spaventa grandi e bambini e, come ben sappiamo, spesso si tende ad essere intimoriti dalle cose che non conosciamo. Un altro sviluppo della stessa strategia cognitiva si ha nel “bowLingual”. Questo oggettino non nasce pro- priamente come un giocattolo ma trovo che si avvicini in modo molto interessante agli esiti della mia ricerca. Il bowLingual (prodotto dalla Takara, una delle mag- giori aziende giapponesi produttrici di giochi) si pone come primo traduttore al mondo capace di tradurre in tempo reale quello che il nostro cane vuole comunicarci abbaiando. Questo strumento non fornisce una tra- duzione “letterale” ma dall’analisi dei suoni emessi dal cucciolo (ricevuto da un apposito microfono da attaccare 232 al collare del cane) è capace di individuare sei emozioni fondamentali (frustrazione, allarme, felicità , tristezza, bisogno) e declinarle in diverse sfumature di intensità (utilizza in tutto circa 200 parole per descrivere l’umore del cane e le coniuga a video con 6 espressioni base che vengono disegnate). La corrispondenza tra suono e traduzione non è casuale ma è frutto di una attenta ricerca che ha registrato le reazioni vocali di un gran numero di cani a stimoli diversi identificando uno spettro acu- stico nel quale tendenzialmente si pongono le diverse “richieste-dichiarazioni” dell’animale. Per raggiungere migliori risultati queste ricerche sono state svolte su diverse razze di cani (la razza e l’età devono essere inserite nel bowLingual alla prima accensione). Trovo che questo divertente strumento risponda in pieno ad una esigen- za tipica dei bambini, o forse tipicamente umana, che vorrebbe razionalizzare gli eventi per renderli facilmente interpretabili. Uno dei fattori che influenzano maggiormente la paura dei cani è proprio il loro abbaiare forte e in modo improvviso con un tono a cui non siamo molto abituati, per motivi culturali che ci portano a pre- ferire toni bassi e amichevoli per comunicare, piuttosto che grida che associamo a stati di rabbia o agitazione. Al contrario per i cani abbaiare forte è cosa del tutto nor- male (anche se può farli apparire feroci o arrabbiati) e questo strumento può aiutare un bambino a interpretare questi suoni anche come messaggi positivi. La strategia per affrontare la paura che troviamo più spesso tradotta in gioco è sicuramente quella esperien- ziale. I bambini infatti tendono a mettere in scena più e più volte le esperienze angoscianti (con la cozione a ri- petere) come ha evidenzato Freud con il caso del piccolo nipotino Hernst. Nel gioco si assiste spesso al cambia- mento del ruolo interpretato dal bambino all’interno della vicenda. Spesso infatti il bambino cerca di vivere da protagonista quello che teme perchè lo ha dovuto subire passivamente. Su questa scia nascono le numerose variazioni sul tema della valigetta del dottore (che traducono proprio il bisogno di avere sotto controllo una situazione che in realtà non possono controllare) che 233 vanno dal più semplice set composto da una siringa e una scatola di cerotti, passando da stetoscopi di plastica fino ad arrivare al gioco in scatola dell’Allegro Chirurgo (prodotto da Hasbro MB declinato anche nella versione “L’allegro neurochirurgo”). Tutti questi giocattoli si mettono in relazione con la paura del dottore e benché tutti lo affron- tino partendo dalla strategia dell’esperienza ognuno porta ad esiti differenti. Come avevo sottolineato durante l’esperienza del “gioco al dottore” il bambino vive i nuovi panni di un medico pasticcione, ma la strategia dell’esperienza può essere perseguita anche puntando a giochi che permettano al bambino di vivere esperienze potenzialmente pericolose in modo sicuro. Sono esempi di questo approccio i braccioli (che permettono al bambino di fare il bagno anche spingendosi dove l’acqua è molto alta senza avere paura), i tappeti elastici (che permettono di saltare in piena libertà senza temere di farsi male cadendo), ecc... questo tipo di giochi stimola il rinforzo positivo legato all’esperienza in prima persona (ovvero creano pacchetti di ricordi positivi che il bambino associa gradualmente ad una circostanza- l’acqua, la vertigine-). Per quanto riguarda l’esperienza narrata gli esempi si sprecano e la lista dei personaggi ispirati al mondo della paura diventa davvero lunghissima (senza considerare i personaggi cattivi che vivono in ogni storia che si rispetti). Posso citare a titolo di esempio il mondo paradossale di Monsters&Co. dove i mostri vengono istruiti e pagati per raccogliere le urla dei bambini (dai quali sono in realtà terribilmente spaventati) perchè le loro grida sono l’unica fonte energetica del paese. O ancora l’orco Shrek, sicuramente trash e un po’ schifoso ma buono a modo suo e capace di sfatare tutti i luoghi comuni del- le favole disneyane; il fantasmino Casper, gentile e alla ricerca di nuovi amici; il Conte Dacula (papero vampiro- vegetariano) e per finire (anche se la lista potrebbe dipa- narsi per diverse pagine), Zick, il giovane domatore di mostri protagonista del fumetto Monster Allergy, il cui compito è proteggere i mostri buoni dai mostri cattivi (che cattura e inscatola in appositi contenitori ermetici proprio come facevano i vecchi cari Ghostbusters!). L’ultima strategia per vincere la paura che ho preso in con- siderazione è l’approccio rituale che è solitamente il primo a presentarsi (e quello più utilizzato dai bambini piccoli). L’insieme degli atteggiamenti rituali trova le sue origini in una lunga serie di attività che erano soliti svolge234 re i nostri antenati per dominare l’angoscia che li prendeva spesso a causa delle precarie condizioni di vita che dovevano affrontare unite alla scarsa conoscenza del mondo che era loro possibile acquisire.Come sappiamo in tempi antichi i rituali che si praticavano per proteggersi dal male o dalla paura si basavano su cerimonie, rappresentazioni e oggetti che venivano investiti di poteri magici capaci di proteggere gli uomini e portare loro fortuna (nelle sanguinose battute di caccia ad esempio). Una delle cerimonie più ricorrenti in numerose culture primitive con- siste nel travestirsi da belva feroce e inscenare la sconfitta della possente fiera ad opera di un guerriero della tribù. Lo stesso meccanismo di “transfer” viene messo in atto ad Halloween quando i bambini hanno la possibilità di travestirsi come le entità che più li spaventano. In questo modo la paura viene do- minata attraverso la rappresentazione e i mostri scompaiono come per magia la mattina seguente. Differente è invece il caso degli amuleti nel quale sono gli oggetti ad essere investiti di poteri utili a sconfiggere la paura. Per i bambini la maggioranza dei giocattoli diventa un amuleto; non a caso molti bambi- ni decidono di portare a letto un giocattolo la sera (il preferito di solito) con la funzione di mantenere il legame con il mondo conosciuto e anche per essere protetti per il corso della notte. La stessa funzione di mantenere vivo il legame tra il bambino e il mondo viene svolto dalle lucine di sicurezza e dai carillon (la presenza costante di luci o suoni ha un immediato potere tranquillizzante). Per concludere presento un ultimo esempio di gioco amuleto pensato, questa volta, per un pubblico adul- to. Si tratta degli “Esserini”, pupazzi realizzati a mano con un cuore di sasso di fiume capaci di aiutare il loro fortunato possessore a risolvere un problema specifico o ad affrontare una paura. C’è ad esempio l’esserino per le persone timide (il n°94), quello per trovare il coraggio di cambiare vita, quello per credere in se stessi, quello per accettare le sfide e tanti altri (c’è addirittura l’esserino della fertilità). Non si può certamente negare il rapporto intimo che lega la ritualità a questo divertente progetto e suppongo che lo studio dei diversi approcci proposti nel gioco per affrontare la paura possa portare a esiti anche molto diversi ma interessanti. 235 i n o i s u cl n o C . . . Affrontare il difficile mondo del toy design e della progettazione per un pubblico (i bambini) così difficile da gestire, valutare, comprendere e soddisfare è stato un compito arduo. Considerando poi che ogni giocattolo deve superare il giudizio di un adulto per giungere, in un secondo momento, alla portata di un bambino le cose si complicano ancora di più. Prima d potere progettare un giocattolo ho dovuto indagare il fenomeno del gioco, i suoi valori e le sue componenti fisiologiche, sociali, antropologiche, psicologiche e affettive. Più di ogni altra cosa mi interessava sottolineare il legame indivisibile che si crea tra il gioco e il giocatore e la insisten- te influenza generata da un elemento nei confronti dell’altro; il giocatore sceglie un gioco-giocattolo con un atto di libertà, selezionando però inconsapevolmente un gioco e non un altro seguendo un istinto primordiale che soddisfa la sua sete di apprendimento. Il gioco, da parte sua, si pone come uno dei motori principali della crescita-apprendmento-sviluppo sia fisico, inteso come lo sviluppo delle capacità motoria, sia psicologico, inteso come applicazione di modelli sociali di comportamento e relazione. Ho cercato anche di presentare in modo sintetico come i giochi più cono- sciuti rispondano a esigenze specifiche universali nella speranza di riuscire a ricavare alcune regole utili per tradurre buoni propositi e funzioni di crescita in giocattoli veri e propri. La mole di informazioni raccolta era tale che mi è parso opportuno conden- sarla in un insieme di mappe mentali nella speranza di creare un vero e proprio Atlante di Giocologia con il quale orientarsi nel difficile mondo del toydesign: ho prodotto quindi diversi schemi concettuali relativi al gioco, ai giocattoli, alle diverse tipologie di sviluppo e alle relazioni che legano tra loro questi elementi. L’insieme di queste tavole rappresenta una base in dispensabile sulla quale costruire progetti destinati all’infanzia e può rivelarsi utile sia in fase di progetto sia per valutare un artefatto. Per avvicinarmi al progetto ho quindi implementato il mio atlante con un primo livello di complessità, l’upgrade 1.1 sulla paura. In questi ulteriori schemi (corrispondenti ad un ulteriore campo di indagine della ricerca) ven- gono considerati i meccanismi della paura, le caratteristiche e tipologie di questo sentimento, il suo svilupparsi nel tempo e le strategie per affron- tarla. Ho cercato inoltre di sottolineare come il gioco spesso vada a toccare ambiti vicini al tema della paura in modo spontaneo. La paura è solamente uno dei tanti approfondimenti e upgrade con i quali è possibile implementare le tavole di base. Mi piace immaginare che il siste- ma progettuale del quale ho gettato le basi possa continuare e crescere nel tempo arricchendosi di nuovi punti di vista e considerando una molteplicità di discipline vicine al mondo del gioco da utilizzare per creare nuovi scenari. 237 Ad esempio potrebbero aggiungersi a queste basi approfondimenti sull’in- contro tra gioco ed educazione (dai primi Children Museum al più recente fenomeno dell’edutainment), o ancora sul gioco nelle sue nuove forme in particolare la declinazione in videogioco (se e quali siano le caratteristiche e le possibilità di accrescere le potenzialità offerte dalla tecnologia e metterle al servizio del gioco), o qualsiasi altro approfondimento possa apportare suggestioni e spunti alla progettazione di materiale per l’infanzia. A questo punto, partendo dalle solide basi di ricerca sull’argomento, ho de- ciso di concentrarmi per delineare alcune ipotesi progettuali che tenessero conto del forte legame gioco-giocatore e delle potenzialità di catalizzatore di sviluppo insita in ogni giocattolo. Come ho già premesso in questa occasione, per ottenere risultati più efficaci ho deciso di circoscrivere il campo di azione dedicandomi ad un particolare ambito dello sviluppo psicologico: il controllo e/o superamento la paura. Ho quindi analizzato la genesi e la distribuzione paure nell’arco di crescita del bambino, per poi restringere ancora di più il campo di azione scegliendo una paura verso la quale concentrare tutte le mie ricerche: la paura del buio. La paura del buio è una paura diffusa e innata e tende per di più a presen- tarsi più volte nel corso della vita; credo che tutti ne abbiamo sofferto, per diverse cause, almeno un volta. La paura del buio può manifestarsi in modi diversi e affiancarsi o scivolare in altre paure affini come la paura di mostri, la paura di non ritrovare più ciò che si è perduto, come paura della solitudi- ne, dell’abbandono, della malattia, e ovviamente anche come paura della morte. Lo scopo di questi scenari-progetti è chiaro: cercare di aiutare i bambini ad affrontare le loro paure attraverso il gioco. Ho deciso, per chiarire meglio i meccanismi che possono essere messi in atto, delineare svariate “soluzioni possibili” partendo da diverse strategie possibili. Le tattiche per affrontare la paura come abbiamo visto sono riconducibili a tre tipi: - L’approccio cognitivo, ossia la spiegazione logico-analitica,che si può tradurre (giusto per fare un esempio) nel gesto di aprire l’armadio per fare vedere al bambino che non pullula di famelici mostri; - L’approccio rituale, cioè l’attribuzione di poteri magici a gesti o ogget- ti speciali capaci di proteggere il piccolo, che si traduce nella creazione di amuleti e rituali con i quali affrontare e sconfiggere ogni genere di nemico e paura, in quest’ottica lo stesso orsacchiotto è un amuletofeticcio; - L’approccio esperienziale è infine quello che lega il ricordo all’espe238 rienza e lo recupera nel momento del bisogno; banalmente, un ricordo negativo causato da una brutta esperienza -il cane abbaiava forte e poi mi ha morsicato- genera una paura -avrò sempre paura dei cani, fino al ribaltamento dell’esperienza ricordo -il cane abbaiava forte, ma io l’ho accarezzato e lui mi ha leccato, mi stava facendo le feste. A questo punto ho cercato di amalgamare l’insieme delle conoscenze e formalizzare dei giochi possibili (che presenterò in modo approfondito nel capitolo seguente). Ho scelto come soluzione formale l’uso della luce come elemento principale di gioco: il buio è la negazione della vista, il senso più usato dall’uomo per conoscere la realtà e relazionarsi con il mondo, la logica suggerirebbe quindi di orientarsi verso la concezione di interazioni che privilegino l’impiego degli altri sensi, acuiti dalla debolezza della vista; il punto debole di una scelta del genere sarebbe stato però la negazione dell’esclusiva fruibilità di questi giochi al buio. Si può stare in silenzio ed ascoltare la voce di un amico invisibile anche in piena luce; si può sfiorare, lanciare, stringere, accarezzare superfici multitexture anche a mezza luce, si può annusare pongo profumato o leccare costruzioni di mais soffiato anche sotto una lampadina elettrica, ma è possibile giocare con la luce solo ed esclusivamente dopo aver creato una situazione di oscurità (anche di penombra se si è troppo fifoni...)… 239 i s e t Ipo uali tt e g pro Partendo dalle riflessioni esposte in precedenza sullo sviluppo infantile e sulla paura ho sviluppato diverse ipotesi progettuali che andrò ora a presentare. Innanzi tutto ho preferito limitare il campo di progetto scegliendo di concentrarmi su una specifica paura e affrontarla con le tre strategie individuate ovvero attraverso l’approccio rituale, cognitivo ed esperienziale. Tra le numerose paure possibili ho preferito dedicarmi a quella del buio, per diversi motivi: innanzitutto il buio è una paura universale e, come tale, ampiamente diffusa (chi non ne ha sofferto almeno una volta?), ma soprattutto il buio rappresenta una dimensione ineliminabile della quotidianità. Consideriamo ad esempio la paura dei cani, una delle più diffuse e dure a morire, o più in generale la paura degli animali; il sentimento suscitato può essere molto intenso e difficile da affrontare tuttavia il bambino può facilmente evitare le situazioni più stressanti: è infatti molto difficile che il piccolo si trovi ad affrontare fameliche fiere o serpenti costrittori subtropicali nella vita i tutti i giorni. Il buio invece è ovunque e al calare del sole non ci si può sottrarre dal suo abbraccio scuro. L’oscurità talvolta spaventa, anche i grandi, ma nonostante tutto ogni dì si completa in una notte che ci ricopre di ombre. Scegliamo il buio per dormire, dobbiamo affrontarlo negli spazi poco illuminati, ci rincorre nei vicoli deserti, nelle cantine umide, lo troviamo negli armadi a muro, nelle scale condominiali, ci sorprende nei blackout e, prima o poi, inevitabilmente svanisce al primo raggio di sole. Anche se non sempre piace, il buio, è onnipresente e mi sembra interessante metterlo come punto di partenza per l’ideazione di progetti dedicati all’infanzia. Un aspetto particolarmente interessante di questo fenomeno risiede nel suo essere una paura diffusa, quindi relativa ad un oggetto non precisamente identificabile: per questo il buio accoglie e ingloba numerose altre paure. Può infatti manifestarsi in diversi momenti della crescita e con motivazioni differenti: il buio difficilmente spaventa in sé e per sé ma piuttosto per l’insieme di tutto ciò che nasconde. Nel buio può accadere qualsiasi cosa, ed ogni cosa diventa invisibile. I bambini neonati sono del tutto indifferenti al buio, la paura del buio inizia quando la mente del bambino è sufficientemente sviluppata da potere immaginare che il buio nasconda qualcosa (ovvero non prima dei due anni). I più piccoli pos- sono essere spaventati perché il buio li disorienta. Uno dei primi aspetti da considerare è la perdita di coscienza che si prova nel buio: nell’oscurità infatti scompaiono i punti di riferimen- to più importanti per la sicurezza del piccolo (scompare la camera, il letto, i genitori e persino il silenzio sembra intensificarsi). Il bambino ha la sensazione di perdere tutto il suo mondo sciogliendosi nel “nero” senza la certezza di poterlo poi ritrovare. Il buio può nascondere mostri e creature terribili o ancora ladri e rapitori. Nel buio danzano i fantasmi della mente e si proiettano tutte le altre paure che affliggono il ragazzo; alcune in particolare si prestano bene all’identificazione con l’oscurità come la paura della solitudine, della malattia e ovviamente della morte. Fatta questa premessa cerchiamo i capire in che modo è possibile giocare al buio e con il buio. Prima di cominciare a presentare le mie ipotesi progettuali vorrei aprire una piccola parentesi sulla scelta che caratterizza tutti i progetti: l’uso della luce. L’associazione luce-buio può apparire piuttosto scontata in un progetto che affronti la paura del buio e il suo superamento tuttavia mi è sembrata, dopo un attenta valutazione, la migliore soluzione possibile. Il buio si presta in modo particolare ad acuire tutte le percezioni sensoriali: quando la vista viene 241 a mancare (il senso al quale ci affidiamo maggiormente per interpretare il mondo circostante) la volontà di orientarci ci spinge a prestare maggiore attenzione alle sensazioni che solitamente consideriamo meno come l’udito e il tatto o ancora il gusto e l’olfatto. Ho cercato di indagare la possibilità di sviluppare concept di gioco che sviluppino la sensorialità ma in ultima analisi non ho trovato sufficienti legami che rendessero indispensabile compiere questi giochi esclusivamente nell’oscurità. La sensorialità è sicuramente un ambito progettuale molto in- teressante, specialmente nel toy design, soprattutto considerando l’appiattimento materico a cui sono sottoposti oggi i bambini, perennemente in contatto con materiali qualitativamente molto simili tra loro. La ricerca che ho svolto tuttavia mi ha spinto piuttosto verso la progettazione di giochi lu- minosi per i quali la presenza del buio risulta elemento indispensabile: solo un’importante presenza del fattore “luce” ai fini del gioco convince il bambino a giocare nell’oscurità. Ogni progetto si sviluppa a partire dalla scelta di una strategia per affrontare la paura; i confini di questa chiave di lettura sono molto labili e sono utili principalmente ai fini della progettazione (nella realtà dei fatti si trasformano sempre in un mix di tutte le componenti e vengono vissuti in modo personale da situazione a situazione e da bambino a bambino). Progetti NannaGanga - L’approccio cognitivo L’approccio cognitivo, come ho già avuto modo di spiegare, consiste nella spiegazione razionale degli eventi che hanno scatenato la paura o nella mes- sa in luce di aspetti che evidenziano l’inconsistenza dello spavento provato. Nel caso specifico del buio le spiegazioni razionali apportano una consolazione davvero piccola: sentirsi raccontare che nel buio non si nasconde nul- la di pericoloso non sempre è sufficiente a placare l’ansia. L’evidenza dei fatti, che si traduce nel caso del buio nella semplice accensione di una luce, risulta invece di grande aiuto nel caso di paura, a prescindere da quale sia l’età del bambino in questione e la causa di tale paura. Il primo progetto, Nannaganga, il meno complesso della serie, si sviluppa proprio a partire dall’idea di potere accendere una luce in un momento di paura notturna 242 (che può sorgere all’ora di andare a letto o nel caso in cui ci si svegli nel cuore della notte magari dopo un brutto sogno). I NannaGanga sono personaggi a forma di animaletti teneri ed affettuosi che si illuminano nel momento del bisogno. L’interazione è molto semplice: sfruttando la tensione muscolare scatenata dalla paura, stringendo cioè tra le mani il personaggio, è possibile accendere per alcuni secondi una lucina, interna al corpo gommoso del- l’animaletto che si spegnerà gradualmente. Alla base di questo concept c’è l’usanza ampliamente diffusa tra i bambini di dormire abbracciati ai loro giochi preferiti. Per rendere immediato il gesto, e facilmente raggiungibile il NannaGanga, l’animaletto è agganciato alla federa del cuscino, ridu- cendo al minimo i movimenti da compiere al buio prima di raggiungere la luce (spesso infatti la paura può paralizzare e risulta difficile arrivare fino all’interruttore della luce). Questo gioco è pensato per i più piccoli, bambini in età prescolare a partire dai due-tre anni di età; ovviamente è possibile giocare con i personaggi anche durante il giorno come fossero semplici ani- maletti colorati o facendoli interagire nel buio impugnandoli esercitando una piccola pressione in modo che si accendano. La presenza di parti di piccole dimensioni rende questo oggetto adatto ai bambini di età superiore ai 36 mesi. 243 244 nannaganga: percorso progettuale narrato attraverso le pagine dello sketchbook 245 nannaganga: paticolare di studio per il sistema di fissaggio notturno 246 nannaganga: studio per il logo e i personaggi della serie. Il nomme NannaGanga richiama in parte il momento della buona notte e con la parola Ganga suggerisce l’idea che i personaggi formino una comunità unita. 247 nannaganga: dimensioni di massima e descrizone dell’oggetto A destra: tutti i personaggi della prima serie 248 249 250 nannaganga: i rendering a sinistra illustrano la struttura del giocattolo. Le fonti luminose, con le altre componenti elettriche, sono contenute in un corpo in plastica rigida semitrasparente (realizzata in PP data l’elevata resistenza termica e per le proprietà ottiche del materiale). Questo ovetto luminoso, dotato di interruttore, viene inserito all’interno del personaggio realizzato in gomma siliconica (materiale resistente alle alte temperature, che diffonde la luce dando l’impressione che l’animaletto si illumini, piacevole al tatto, atossico e molto resistente). In alto: schema concettuale del funzionamento. A destra: un mecanismo di funzionamento esistente (simile a quello che potrebbe essere inserito nel NannaGanga) costituito da: pile ricarcabili, attacco per il ricaricatore, quattro led, interruttore, circuito e fili elettrici. 251 nannaganga: illustrazione dei personaggi in una fantasiosa situazione d’uso 252 253 nannaganga: rendering di possibili ambientazioni e situazioni d’uso 254 3 is nonsectem: dolenim non ulla feuguer ciduis adignit adiam verosto eum zzrilit velit velenim dolendre commodolenit velis dolortie tat nullum iure commod dit num quis et praesed. 255 MightyLight - L’approccio rituale L’approccio rituale è uno dei più efficaci ed utilizzati dai bambini per affrontare la paura. Il gesto stesso di dormire con un pupazzo o un gioco caro evidenzia la tendenza a creare amuleti investendo di poteri magici oggetti della quotidianità circostante. L’oggetto investito di tali virtù diventa capace di proteggere il bambino per la durata della notte. Anche la ritualità, cara gli uomini primitivi, si compone di cerimonie e piccole magie cariche di significati con i quali sedare la paura. L’effetto tranquillizzante di questi gesti nasce dalla familiarità che si instaura con essi, ma nell’antichità riti e amuleti prendevano la loro forza dalle entità che rappresentavano (uomini giganti, divinità, belve feroci ecc.). Con il secondo progetto, MightyLight, intendo inserirmi in questa corrente della ritualità che trae la sua forza dalla rappresentazione di entità capaci di proteggere il bambino nel buio e durante la notte. L’amuleto magico MightyLight proietta un immagine luminosa sulla parete della cameretta, l’immagine può essere sostituita a piacere ma rappresenta sempre un personaggio positivo o un eroe magico capace di proteggere il bambino da qualsiasi pericolo. Il potere rassicurante esercitato dall’immagine proiettata dipende direttamente dal rapporto che lega il bambino al personaggio: più il character è conosciuto, quindi anche amato e familiare, maggiore sarà il potere che il bambino riuscirà ad attribuirgli. La forma del MightyLight è stata disegnata partendo dall’idea di sviluppare un amuleto moderno. Il gioco è adatto a bambini di tre-quattro anni o più. È proprio a questa età che i bambini cominciano a prendere in grande considerazione i personaggi di racconti, fiabe e cartoni animati ponendoli come modelli di vita da imitare e ai quali somigliare. Mentre i più piccoli preferiscono personaggi teneri o buffi a partire dai quattro-cinque anni bambini e bambine prendono come modelli da imitare (modelli aspirazionali) personaggi che rappresentano ragazzi più grandi spesso dotati di poteri speciali con i quali combattono le forze del male seguendo gli ideali più alti (amicizia, giustizia, amore, ecc). In sostanza il progetto sviluppato è un mini proiettore da indossare (di giorno) o appoggiare sul comodino (la notte) con il quale visualizzare le immagini preferite. La proiezione si ottiene infilando una fiche nell’apposita fessura e accendendo una lucina interna all’oggetto. Le fiches possono essere sostituite e saranno declinate in numerose versioni collezionabili, da conservare, guardare più volte, ordinare e scambiare con gli amici (una variante delle più comuni figurine). Ogni serie è ben riconoscibile è si distingue dalle altre per il colore dei telai, personalizzati da elementi grafici, e dalla presenza di un simbolo fosfore256 scente che le rende diverse ed identificabili anche nel buio. Ogni serie viene fornita con un braccialetto al quale appendere le fiche da fissare all’amuleto. Il bambino può creare le sue serie preferite di personaggi e portarsele appresso, assieme all’amuleto o come ciondoli da attaccare a braccialetti o collanine. L’oggetto è progettato per essere utilizzato al meglio nel buio: le parti funzionali (il tasto di accensione, la fessura dove inserire le immagini e le fiches stesse) hanno dettagli realizzati in gomma fosforescente (per essere visibili anche di notte) e vengono evidenziate anche a livello tattile con profili in rilievo. 257 mighty light: percorso progettuale narrato attraverso le scansioni dello sketchbook. Particolari sullo studio della forma finale. 258 259 mighty light: schizzi di studio sulla forma e sul posizionamento delle fiches con i personaggi da proiettare 260 261 262 mighty light: ipotesi di logo. Il colore riprende la tonaità dei materiale fosforescente con cui è riportato sull’amuleto. Il nome è composto dalle paroe inglesi mighty che significa straordinario, potente, eccezionale e light che ovviamente sta per luce. 263 mighty light: dimensionameno di massima dell’oggetto A destra: rendering dell’oggetto e possibile situazione d’uso 264 265 mighty light: rendering dell’oggetto completo di fihes intercambiabili e laccetto 266 267 268 mighty light: rendering di possibili situazioni d’uso Il corpo del MightyLight è realizzato in ABS costampato in gomma morbida. Alcuni dettagli sono realizzati in materiale fosforescete per permettere al bambino di identificare l’amuleto e le fiches anche al buoio e potere giocare senza accendere le luci. La differenza di materiali (plastica rigida e gomma morbida al tatto) forniscono informazioni tattili sull’ergonomia del’oggetto suggerendone l’impugnatura e guidando le dita verso il tasto di accensione e verso la fessura dove inserire le fiches. Ho scelto le tonalità cromatiche del azzurro e del blu in quanto questo colore, oltre a trasmettere serenità e stimolare il rilassamento mentale e fisico, è risultato essere molto apprezzato dai bambini di entrami i sessi. 269 mighty light: esempi di set di fiches. Ogni set è dotato di un braccialetto nel quale infilare le fiches per indossarle o attaccarle al MightyLight. 270 mighty light: il potere esercitato dalle immagini è proporzionale alla familiarità e all’amore del bambino per il personaggio rappresentato. Alcuni eroi si prestano in modo particolare a svolgere la funzione di amuleto. Alcuni personaggi incarnano perfettamente gli ideali di forza e impegno, possiedono capacità incredibili che utilizzano per i migliori scopi, si battono ogni giorno per il trinofo della giustizia, credono nell’amicizia, vivono in assoluta libertà, ecc... 271 LittleBrite - L’esperienza vissuta in prima persona L’esperienza è indubbiamente la strategia più efficace da adottare per fronteggiare tutti i casi di paura. Spesso la paura nasce come conseguenza di esperienza negative e, così come può manifestarsi, può tendere a scomparire nel momento in cui le esperienze negative vengono sostituite nella memoria con avvenimenti positivi. Partendo da questa riflessione mi piace l’idea di creare situazioni nuove che permettano al bambino di vivere avventure emozionanti nel buio, così da associare all’assenza di luce i ricordi di questi giochi piuttosto che pensieri negativi. Valutando le possibilità di gioco esistenti mi è sembrato interessante muovermi nell’ambito del gio- co di proiezione in cui il bambino si identifica con il personaggio che sta manovrando (come nel caso di bambole e action-figure). L’idea che sta alla base del progetto LittleBrite è di creare una bambolina di luce con la quale giocare nel buio esplorando l’ambiente circostante. La bambolina è un’outline di luce e risulta praticamente invisibile nella piena luce. Camminando saltando e giocando si muove negli angoli più bui della casa presentandoli al bambino che può vederli con occhi nuovi. Trovo questo progetto partico- larmente interessante e stimolante in quanto mette in relazione due ambiti solitamente distanti tra loro: LittleBrite pure essendo un gioco elettronico (l’interazione e la resa grafica sono del tutto simili a quelle di un videogioco di vecchia data) permette al bambino di esplorare e conoscere la realtà circostante ,valutandone dimensioni, volumi e qualità ottiche (è una superficie opaca? Lucida? Trasparente? Riflettente? Come si comporta la luce sui diversi materiali?). La bambolina compie diversi gesti che le permettono di interagire con gli oggetti presenti nella camera… può camminare, saltare, ar- rampicarsi, strisciare per infilarsi sotto i mobili o sedersi sullo spigolo di un armadio (ovviamente è solo l’effetto di un’illusione ottica). Siccome l’interazione con questo oggetto risulta più complessa e articolata rispetto a quella dei progetti precedenti l’età media del target è leggermente più avanzata e parte dai cinque anni fino a coprire le prime classi delle elementari. Que- sta prima declinazione del concept è pensata per un pubblico femminile ma non escludo la possibilità di creare personaggi maschili con i quali possano interagire anche i bambini. Per rendere questa bambola più simile a quelle tradizionali (le bambine di questa età sono molto affezionate agli stereotipi più classici) ho aggiunto alcune modalità di gioco “riconosciute” (come la possibilità di cambiare abito alla bambola o la possibilità di vederla giocare con oggetti simili a quelli conosciuti dalla bambina). La forma dell’oggetto è stata disegnata partendo da alcune considerazioni sull’ergonomia e sulla 272 circostanza in cui l’oggetto verrà utilizzato: il buio risulta essere il vincolo principale che ha determinato il design del gioco. La superficie è realizzata con materiali differenti al tatto che indirizzano la mano verso la zona dove sono situati i tasti che pilotano l’interazione (che ho deciso di semplificare al massimo e retro-illuminare). Ho ritenuto necessario aggiungere alla mo- dalità di gioco anche una funzione di torcia che può risultare utile nel caso in cui la bambina si debba spostare nel buio o abbia bisogno di accendere velocemente una luce. Dallo studio dei bisogni ludici dei bambini di questa età è emerso un forte bisogno di socialità (che diviene aspetto fondamentale del gioco durante tutto il periodo delle elementari). Per questo mi sembra interessante ipotizzare che le LittleBrite siano più di una (tre amiche dalle caratteristiche fisiche riconoscibili) e possano interagire tra loro attraverso semplici giochi e sfide (oltre ovviamente alla possibilità di muoverle “manualmente” portando avanti un roleplay o gioco sociale). 273 little brite: in altro schema concettuale del funzionamento della LittleBrite. A destra foto di un circuito con proiezione a LED+LCD esistente e funzionante simile a quello che potrebbe essere utilizzato in questo giocattolo. In questo caso si trattadi un orologio digitale con proiettore dell’ora a led rosso. 274 little brite: percorso progettuale narrato attraverso le scansioni dello sketchbook 275 little brite: rendering dell’oggetto little brite: studio della forma e delle funzioni. L’utilizzo dell’oggetto in situzioni di buio costituisce un interessante vincolo progettuale, La forma e i materiali sono pensati per suggerire l’impugnatura e per trovare facilmente i tasti del gioco (che rimangono comunque retroilluminati). 276 277 little brite: l’oggetto viene declinato in tre versoni cromatiche, tutte caratterizzate da tonalità molto femminili e vivaci. Ogni gioco è reaizzato in ABS costampato con gomma morbida, l’abs protegge le otiche interne con la sua alta resistenza agli urti mentre il contrasto con la gomma suggerisce anche nel buio la corretta impugnatura da tenere. L’abs ha una rifinitura glitterata e/o madreperlacea; la luminostià dei pigmenti richiama immediatamente il legame di questo oggetto con la luce. La tastiera per l’interazione è retroilluminata così come il tasto per l’accensione della LittleBrite e quello della funzionalità torcia. Sul lato è prevista un’apertura della scocca per il possibile inserimento del sistema a infrarossi. A destra: dimensionamento di massima dell’oggetto. 278 279 little brite: studio del personaggio e delle interazioni possibili 280 281 little brite: con il tasto “mode” posto nel mezzo della tastiera per gli spostamenti è possibile selezionare diverse modalità di gioco. Il tasto è posto leggermente più inbasso degli altri per evitare di premerlo per errore. Ognuna di queste modalità prevede dei movimenti specifici che la bambolina può compiere e ognuna può essere integrata con movimenti fisici delle braccia della bambina. 282 283 284 285 little brite: alcuni fotogrammi di animazioni tipo 286 287 little brite: prova per il logo Little Brite. Il nome viene dall’unione delle parole inglesi Little (piccola) e Brite (forma contratta-discorsiva dela parola bright che sta per brillante, splendente, luminoso). Sopra: un disegno dei tre personaggi alla risoluzione permessa dall’attuale sviluppo tecnologico degli schermi LCD. come suggerisce l’immagine a destra le Little brite possono essere differenziate anche dal colore del led che genera la proiezone. A destra: rendering di una possibile situazione d’uso 288 289 290 little brite: schizzo del playset in cartotecnica all’interno del quale allenare la propria Little Brite 291 LightBook - L’esperenza narrata Anche il progetto LightBook cerca di sconfiggere la paura con la strategia dell’esperienza, tuttavia ne considera una declinazione particolare che lo rende molto diverso dal progetto precedente: questo concept non considera infatti l’esperienza diretta ma quella narrata attraverso fiabe e racconti. Il momento della buona notte si accompagna spesso al racconto di una storia o alla lettura di una fiaba da parte del genitore che mette a letto il picco- lo. In questo scenario si inserisce LightBook che si pone come un nuovo tipo di libro, luminoso per l’appunto, con il quale affrontare il rito del racconto serale. Il progetto affronta il tema della narrazione considerandone solo gli aspetti formali senza entrare nel merito dei contenuti delle storie. La narrativa per ragazzi e la tradizione popolare offrono un’ampia scelta di racconti che potranno essere declinati in artefatti fruibili attraverso il LightBook. Questo libro luminoso fornisce una superficie retro-illuminata sopra alla quale può scorrere un lungo racconto fatto di parole e immagini che scorre sotto agli occhi del bambino (l’avanzamento è manuale e avviene facendo ruotare una manopola). Le storie sono intercambiabili e vengono riposte avvolte a rullo (come fossero antiche pergamene). La retro-illuminazione crea un ambiente luminoso raccolto, che concilia il sonno (evitando la necessità di dovere tenere la luce accesa nella cameretta). Il Lightbook può essere posizionato su di una base che permette di ricaricare la batteria necessaria al funzionamento; la basetta funziona anche da leggio sul quale è possibile appoggiare il libro ancora acceso lasciando che l’immagine selezionata rimanga ad illuminare la camera. Questo prodot- to si rivolge ad un target piuttosto ampio: può essere fruito dai più piccoli insieme ai genitori che ne reciteranno i contenuti o dai bambini alle prese con le prime letture. La giocabilità di LightBook si estende alla possibilità di utilizzare questo libro-gioco anche come lavagna luminosa. La retro-illuminazione rende l’immagine ben visibile e il plexiglass protet- tivo esterno fornisce una superficie rigida sulla quale è possibile appoggiare un foglio per ricalcare le illustrazioni più belle (o perché no anche le lettere dell’alfabeto per i piccoli typedesigner). Nell’intercapedine tra la fonte luminosa e il vetrino è possibile inserire ogni materiale sufficientemente piatto: tessuto, carta colorata, veline, foglie e fiori secchi, fili colorati o anche un disegno realizzato dal bambino da mettere in bella mostra e illuminare (come se il LightBook fosse una cornice molto speciale). Sulla superficie lucida della cover è possibile anche disegnare con pennarelli per lavagne cancellabili. 292 Questo progetto, il primo nato della serie ispirata alla paura del buio, è stato sviluppato presso lo studio GioForma dove lavoro ormai da due anni. L’azienda GiochiPreziosi, leader Italiano del settore giocattoli (secondo in europa solo a Lego), sta ora valutando l’potesi di produlo e commercializzarlo. 293 lightbook: percorso progettuale narrato attraverso le scansioni dello sketchbook 294 295 lightbook: rendering del Lightbook appoggiato sul supporto-leggio 296 lightbook: dettglio dell’inserimento dei rotoli-fiaba ed esempio di oraganizzazione dei contenuti. Per garantire una certe durata e resistenza ai racconti questi potranno essere stampati su PVC retroilluminabile (backlite). 297 lightbook: dettaglio di accensione e spegnimento della luce (il tasto è posto a lato dell’oggetto. L’illuminazione può avvenire attraverso una pellicola elettroluminescente (oggi disponibile a prezzi accettabili) o con retroilluminazione a led diffusa da un foglio di materiale idoneo. Il corpo dell’oggetto può essere realizzato in ABS stampato mentre per lo sportellino di chiusura è da preferire una lastra di PMMA per la sua elevata trasparenza e resistenza alla luce senza ingiallire. 298 lightbook: dimensionamento di massima 299 lightbook: rendering di una possibile situazione d’uso. 300 2 obore dolobor: eetuera essequamet deliscidui elit ea corerae sequiscil et, quat lum am venim accum dolorperos alis augait, volor alit ing eugait, quat, verat lor augait pratumm odoloboreet, sed magna at. Is nulluptat. Rud te feuissim zzriustie duipit, susto conulput voloreet, sit lor iure tat autpat praese do commodi. Albertino, Milano, 2005. 3 is nonsectem: dolenim non ulla feuguer ciduis adignit adiam verosto eum zzrilit velit velenim dolendre commodolenit velis dolortie tat nullum iure commod dit num quis et praesed. 301 & i t n o F e s r o s i R Bibliografia Paura Angela Piero, Bozzetto Bruno, Noi e la paura, Garzanti, Milano, 1987 Argentieri Simona, Carrano Patrizia, L’uomo nero: piccolo catalogo delle paure infantili, Mondadori, Milano, 1994. Bernardi Marcello, Tromellini Pina, La tenerezza e la paura: ascoltare i sentimenti dei bambini, Salani, Firenze, 1996. Binetti Paola, Ferrazzoli Flavia, Flora Caterina. Ho paura: che cosa spaventa i bambini: un modo per conoscere e capire le loro paure , Ed. Scientifiche Magi, Roma, 1999. Crotti Eva, Magni Alberto, Bambini e paure, Red, Novara, 2002. Del Longo Giorgio, Guardate: ho catturato un altro mostro!!!: Inchieste sui mostri casalinghi, Mursia, Milano, 1991. 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Maresa Bertolo Fare, giocare, imparare... crescere: progetto di un gioco senso–mediale per bambini di età prescolare Milano, Politecnico, 2002/03. 313 R-ingraziamenti Fino all’ultimo mi ero promessa di evitare la paginetta dei ringraziamenti (mi è sempre sembrata una cosa così buffa e da vip alla notte degli Oscar) ma ora che sono arrivata alla fine mi sembra doverosa! Mi scuso anzi di non averla inserita nelle prime pagine ma ormai era troppo tardi e sarebbe saltata tutta l’impaginazione!!! Prima di tutto devo ringraziare Ale per l’aiuto, il supporto e soprattutto la pazienza dimostrata in questi mesi: non so come avrei fatto senza di te monamù! Dividono con lui il primo posto in classifica Flo e Cristiana che per me hanno fatto davvero tanto in questi anni e sento il dovere di ringraziare per tutto! Mia mamma merita il premio speciale per avermi aiutato a correggere le bozze dei testi!(Grazie anche a Dino sennò si of- fende, soprattutto per il computer... e a mia nonna che sicuramente avrà pregato parecchio perché arrivasse questo momento!!). Cos’altro dire, l’elenco degli amici e di chi mi ha aiutato (in modo consapevole o meno) si allarga a macchia d’olio e spero di non dimenticare o offendere nessuno: grazie a Chiara per l’incoraggiamento, l’ascolto, i consigli da super-designer e in generale per essere una delle mie più grandi amiche; grazie a Pier con cui ho passato bellissime e terribili ore notturne al telefono discutendo di progetti, tavole (!!!), e del significato più profondo della tesi (o forse della vita?), grazie alla Leo che un giorno mi ha regalato una lanterna per fare luce fuori e dentro di me per riuscire ad arrivare alla laurea e forse alla fine ce l’ho fatta (non se ne abbia a male se adesso la distruggerò in una cerimonia catartica –niente di personale, tesoro-); grazie a Ste e a Libo che hanno ascoltato le mie “pare” telematiche e hanno cercato di porre freni alla mia iperproduzione-compulsivo-perfezionista; grazie anche ad Adriana, Lorenza, Amba, Pietro, a Walter Aprile (che inconsapevol- mente stava per farmi cambiare vita per diventare un super-ing. elettronico), Stefano Martinelli, Dario, Casali, Marco, Luca, ecc… E per finire un grazie superspeciale alla mia nipotina Martina per le ore di gioco che mi ha regalato!!!