RASSEGNA
DEGLI
ARCHIVI DI STATO
anno LXII - n. 1-2-3
roma, gen./dic. 2002
Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, Servizio
documentazione e pubblicazioni archivistiche, Roma.
Direttore generale per gli archivi: Salvatore Italia, direttore responsabile.
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Soffietti, Giuseppe Talamo.
Segretaria di redazione: Ludovica de Courten.
Redazione: Antonella Mulè De Luigi, Mauro Tosti-Croce.
La corrispondenza va indirizzata a Rassegna degli Archivi di Stato, Ministero per
i beni e le attività culturali, Direzione generale per gli archivi, Servizio documentazione
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€ 93,00. Fascicolo doppio o arretrato, prezzo doppio.
DANIELE MAZZOLAI, Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
ROSALIA AMICO, L’Ufficio del Genio civile di Pisa e il suo archivio
7
65
MARIA GRAZIA PANCALDI, Giustizia e misericordia: nascita della prigione in una
regione periferica dello Stato pontificio
175
CATERINA DEL VIVO, L’individuo e le sue vestigia. Gli archivi delle personalità
nell’esperienza dell’Archivio contemporaneo « A. Bonsanti » del Gabinetto
Vieusseux
217
ALESSANDRA CAVATERRA, Il contributo degli archivisti alla Enciclopedia italiana
di scienze, lettere ed arti
234
ALESSANDRA ARGIOLAS - CARLA FERRANTE, L’autonomia e la rinascita della
Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
277
ANTONELLA BILOTTO, L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del
prodotto »
293
GIORNATA DI STUDIO: « PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE SCHIFF GIORGINI.
DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO PRESSO L’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE »
(Archivio di Stato di Firenze, 16 maggio 2002)
Rosalia Manno Tolu e Maria Grazia Pastura, Introduzioni ai lavori, p. 309;
Paola Benigni, Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento, p. 314; Alessandro Breccia, Una famiglia di funzionari: Niccolao e
Gaetano Giorgini, p. 335; Romano Paolo Coppini, Giovan Battista Giorgini
politico di professione, p. 348; Emilio Capannelli, Le lettere dal fronte di
Giorgio Schiff Giorgini, p. 363; Giuseppe Nicoletti, Memorie manzoniane
da casa Giorgini, p. 378
307
CRONACHE
Giornata di studio: « La rete degli archivi e delle biblioteche della provincia
di Pistoia. Prospettive e sviluppi » (Pistoia, 29 gennaio 2002) (M. Braccini)
388
Seminario internazionale di studi: « Archivi storico-educativi e loro accessibilità informatica » (Firenze, 31 gennaio 2002) (S. Floria)
397
Seminario: « Le amministrazioni comunali nell’area alto-adriatica in età
contemporanea. Stato degli studi e prospettive di ricerca » (Vicenza, 19 ottobre 2002) (G. Bonfiglio-Dosio)
404
Convegno: « Tra Stato e società civile: Ministero dell’interno, prefetture, autonomie locali. Dimensione storica, processi evolutivi, assetto attuale »
(Roma, 6-8 novembre 2002) (M. Cacioli)
409
NOTE E COMMENTI
Il diritto d’autore sui documenti dello Stato (R. Borruso)
421
Natura e struttura del fascicolo (G. Bonfiglio-Dosio)
431
Progetto di manutenzione per l’Archivio di Stato di Viterbo. Linee guida per
un corretto intervento di spolveratura (D. Matè - E. Ruschioni - T. Fabris)
441
DOCUMENTAZIONE
XXXVI Conferenza internazionale della Tavola rotonda degli archivi:
« L’idea di archivio nell’opinione pubblica » (Marsiglia, 13-15 novembre
2002)
450
ORDINAMENTI E INVENTARI
Archivio di Stato di Cosenza
Archivio di Stato di Latina
Archivio di Stato di Napoli
Archivio di Stato di Pescara
Archivio di Stato di Piacenza
Archivio di Stato di Trieste
Soprintendenza archivistica per l’Abruzzo
454
459
460
462
464
466
467
NOTIZIARIO BIBLIOGRAFICO
V. Bonazzoli, Adriatico e Mediterraneo orientale. Una dinastia mercantile
ebraica del secondo ’600: i Costantini (p. 469); E. Brambilla, Alle origini
del Sant’Uffizio. Penitenza, confessione e giustizia spirituale dal Medioevo
al XVI secolo (p. 470); C. Broschi Farinelli, La solitudine amica. Lettere al
conte Sicinio Pepoli, a cura di C. Vitali (p. 476); C. Buonaguro - I. Donsì
Gentile, I fondi di interesse medievistico dell’Archivio di Stato di Napoli (p.
478); N. La Marca, La nobiltà romana e i suoi strumenti di perpetuazione
del potere (p. 480); Libretto dei conti del pittore Tiberio Tinelli (16181633), a cura di B. Lanfranchi Strina (p. 482); I ricoveri della città. Storia
delle istituzioni di assistenza e beneficenza a Brescia (secoli XVI-XX), a cura
di D. Montanari e S. Onger (p. 482); Soprintendenza archivistica per la Puglia - Città di Bitonto, L’Archivio storico del Comune di Bitonto. Inventario
dell’« Archivio antico » (secoli XV-XIX), a cura di E. Vantaggiato (p. 485);
Soprintendenza archivistica per la Puglia - Città di Bitonto, L’Archivio storico del Comune di Bitonto. Inventario del fondo postunitario, a cura di G.
Tatò (p. 487); C. Sorba, Teatri. L’Italia del melodramma nell’età del Risorgimento (p. 488); E. Tonetti, Minima burocratica. L’organizzazione del lavoro negli uffici del Governo austriaco nel Veneto (p. 490); F. Trivellato,
Fondamenta dei vetrai. Lavoro, tecnologia, mercato a Venezia tra Sei e Settecento (p. 492); Uomini, denaro, istituzioni. L’invenzione del Monte di pietà, a cura di M. G. Muzzarelli (p. 495).
LIBRI RICEVUTI
497
L’ORGANIZZAZIONE DEGLI ARCHIVI DI STATO
500
NOTIZIARIO LEGISLATIVO
505
INDICI DELL’ANNATA
508
Notiziario bibliografico
Opere segnalate
Collaboratori
511
512
IL DIPLOMATICO MARCHESI
DELL’ARCHIVIO DI STATO DI SIENA *
In un breve articolo apparso nel 1948 sulla rivista « Notizie degli Archivi di Stato », Giulio Prunai dava alcune essenziali informazioni sulla tipologia documentaria di un fondo da poco entrato in possesso dell’Archivio di
Stato di Siena: le carte Gabrielli-Marchesi vendute al Ministero dell’interno
da Faliero Franci di Siena 1. Tali carte sono attualmente conservate nel fondo
denominato Particolari famiglie senesi 2; si tratta di una raccolta di documenti appartenuta a Salvatore Gabrielli, medico senese nato nel 1809, del quale
va segnalato l’arruolamento nel Battaglione universitario Toscano durante i
moti del 1848, dove rivestì il grado di tenente medico. Di questa esperienza
restano tracce nel diario conservato tra le sue carte 3. Appassionato di studi
anatomici, Salvatore Gabrielli si dedicò all’insegnamento della medicina e fu
titolare della cattedra di anatomia umana e comparata dell’Università di
Siena, che resse nel l862 e dal 1875 al 1877; morì il 24 gennaio 1880 4. La
nobile famiglia Gabrielli era distinta in tre rami principali: uno originario di
Siena, uno di Sarteano, il terzo proveniente da Montemerano (Grosseto) e
Petroio (Trequanda, Siena). Dati i frequenti spostamenti in altre città degli
*
Questo lavoro è il risultato di un periodo di collaborazione volontaria trascorso presso
l’Archivio di Stato di Siena (giugno-dicembre 2000). Desidero qui esprimere la mia gratitudine
alla dott.ssa Carla Zarrilli, direttrice dell’Istituto, e alla dott.ssa Maria Assunta Ceppari Ridolfi
che ha pazientemente seguito ogni fase del lavoro rivelandosi insostituibile nella lettura ed
interpretazione, spesso non facile, dei documenti regestati. Un grazie anche alla dott.ssa Patrizia
Turrini, alla sig.ra Maria Ilari e a tutto il personale per la piena disponibilità che mi ha sempre
dimostrato.
1
G. PRUNAI, Le Carte Gabrielli-Marchesi, in « Notizie degli Archivi di Stato », VIII
(1948), pp. 132-134.
2
ARCHIVIO DI STATO DI SIENA (d’ora in poi AS SI), Particolari famiglie senesi, b. 73. Sul
Diplomatico Marchesi in essa contenuto cfr. ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, Guida-Inventario. I,
Roma 1951 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, V), p. 60.
3
Cfr. G. PRUNAI, Un diario inedito di un ufficiale del Battaglione universitario Toscano
sulla Campagna lombarda del 1848, in « Bullettino senese di storia patria », LV (1948), pp.
80-118.
4
Il Prunai trae informazioni su Salvatore Gabrielli da alcuni cenni biografici redatti da
Assunto Spediacci (1881) e ora contenuti in AS SI, Carteggio della Direzione, b. 93, ins. XII:
« Acquisti, doni di libri e documenti, prestiti, passaggi e recuperi », anno 1949.
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
Daniele Mazzolai
8
appartenenti ai vari rami, il Prunai ammette la difficoltà di stabilire a quale
di essi vada ricondotto il medico senese. Ma qui il Gabrielli ci interessa
soprattutto in relazione al suo primo educatore. Rimasto orfano di padre in
tenera età, egli fu avviato agli studi da Omobono Marchesi originario di
Cremona, monaco benedettino della congregazione cassinense. Tra le carte
del Gabrielli, legate soprattutto alle sue esperienze di patriota e ora divise in
otto fascicoli, confluirono così anche documenti appartenuti al Marchesi
(oggi raccolti in quattro fascicoli), tra i quali troviamo un nucleo diplomatico
costituito da 84 pergamene. Secondo l’opinione di Giulio Prunai, esse si
trovavano con molta probabilità presso la Curia arcivescovile senese ed erano
state inviate da importanti tribunali della Curia romana. Le date estreme sono
comprese tra il 16 febbraio 1504 e il 31 maggio 1707: la quasi totalità dei
documenti risale al secolo XVI e solo gli ultimi due risalgono rispettivamente agli anni 1633 e 1707. Non si è potuto stabilire come le pergamene siano
entrate in possesso del monaco benedettino. Di don Ermenegildo, al secolo
Omobono Marchesi, resta un testamento olografo datato 10 marzo 1819
conservato tra gli atti del notaio Giuseppe Lanzi 5, nel quale il Marchesi
dichiara di voler disporre delle proprie sostanze « avendo determinato di
tornare al chiostro », al pari di molti altri monaci e sacerdoti, al termine della
dominazione napoleonica che lo aveva visto ritornare allo stato laicale. Il
nome del monaco benedettino compare infatti nello « Stato nominativo degli
ex-religiosi al 1 marzo 1813 » compilato per la diocesi di Siena su richiesta
del Ministero del culto dell’Impero francese 6. Nel testamento egli lascia la
casa nella quale abita, posta in Siena, in via de’ Maestri (ora via Tito Sarrocchi) al n. 404 « corrispondente in via della Cerchia vulgarmente detta
dell’Ellera », alla nipote Giuseppa Marchesi, moglie di Giuseppe Bilenchi.
Essa viene nominata dal Marchesi sua erede universale, con la raccomandazione di vendere la casa e di utilizzare la somma ricavata per l’acquisto di
« beni di suolo rurali ».
Non si conosce come egli sia entrato in possesso delle pergamene cinquecentesche, probabilmente in precedenza conservate presso la Curia arcivescovile, nel cui Archivio ancora oggi si trova conservata, nella serie denominata Cause delegate, molta documentazione simile.
Il motivo per cui le pergamene possedute dal Marchesi si unirono alle
carte del medico senese è senz’altro da ricercare nello stretto legame nato tra
i due. L’affetto e la stima dell’educatore benedettino nei confronti del giovane e promettente Salvatore Gabrielli sono un buon argomento per comprendere la trasmissione a quest’ultimo — sotto forma di donazione o come
5
AS SI, Notarile postcosimiano, Originali, b . 2407, « Atti d’ultima volontà 1796-1827 »,
fasc. V, ins. 4.
6
ARCHIVIO ARCIVESCOVILE DI SIENA (d’ora in poi AAS), Atti curiali, b. 382, ins. 1. Di
padre Ermenegildo vengono riportati i seguenti dati: Marchesi Omobono, nato il 17 aprile 1770
a Cremona, dell’ordine cassinense, confessore.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
9
lascito ereditario — degli antichi documenti in cartapecora. Non sono noti i
successivi passaggi subiti dalla documentazione fino all’acquisto nel 1949 da
parte del Ministero dell’interno, come ricordato all’inizio, e alla definitiva
conservazione presso l’Archivio di Stato di Siena 7.
Segnaliamo brevemente il contenuto dei circa 120 documenti cartacei di
carattere ecclesiastico conservati nel fondo Marchesi insieme alle pergamene,
come già indicato nell’articolo del Prunai. Si tratta di un fascicolo comprendente cause ecclesiastiche, fedi di battesimo e di confessione, indulgenze ed
altro materiale simile (48 pezzi, secc. XVI-XIX, con documenti relativi ad
atti feudali dei Barberini, Sforza e Appiano). Un secondo fascicolo è costituito da fedi di reliquie conservate presso chiese e cappelle per lo più senesi
(65 pezzi, dal 1644 al 1852); un terzo fascicolo comprende invece documenti
a stampa (49 pezzi, secc. XVI-XIX, tra cui avvisi religiosi, indulgenze,
preghiere, avvisi di feste, indulti).
Veniamo ora a trattare nel dettaglio il contenuto delle pergamene del
Diplomatico Marchesi. Più di un terzo della raccolta è costituito da documenti
emanati dall’Ufficio della Sacra Penitenzieria apostolica ed inviati ad autorità
ecclesiastiche senesi (canonici e vicari dell’arcivescovo). Quest’Ufficio nacque
come organo interno della Curia romana, che si poteva adire per rivolgere
una supplica al pontefice e ottenere un’assoluzione, una grazia, un indulto, o
più semplicemente una licenza o una dispensa. Il provvedimento emanato era
contenuto in uno speciale documento, la littera Poenitentiariae, che aveva,
nei casi in cui si richiedesse un’assoluzione, l’eccezionale potere di assolvere
il supplicante in utroque foro penitentiali et contentioso, vale a dire sia nel
foro di coscienza che nel foro esterno, cioè giudiziario e penale. In altri
termini la Sacra Penitenzieria apostolica si configura come l’unico organo in
grado di « riabilitare » l’anima del penitente sia di fronte alla propria coscienza (e di fronte a Dio) che di fronte alla società. Al vertice di questo
7
Insieme alle carte Gabrielli-Marchesi il Franci vendeva anche « le carte del canonico
Agostino Borghesi costituite da n. 8 filzette » e « lo Statuto del Comune di Lucignano di
Valdichiana », come si rileva dal relativo atto di compravendita di materiale archivistico e
pergamene, datato 8 febbraio 1949 (AS SI, Carteggio della Direzione, b. 93, ins. XII « Acquisti, doni di libri e documenti, prestiti, passaggi e recuperi », anno 1949). Le carte di Agostino
Borghesi sono ora conservate in AS SI, Particolari famiglie senesi, b. 27; lo Statuto del
Comune di Lucignano (si tratta di una copia del sec. XVIII; l’approvazione è del 2 ottobre
1554) è conservato in AS SI, Statuti dello Stato, reg. 60 bis. Con una nota del 15 dicembre
1948 inviata al Ministero dell’interno, l’allora direttore dell’Archivio di Stato, Giovanni Cecchini, giustificava la cifra pattuita per l’acquisto del materiale archivistico « considerata l’importanza delle carte Gabrielli ai fini della conoscenza della campagna del 1848 in Lombardia, dei
numerosi autografi di personaggi illustri della fine del secolo XVIII contenuti nelle carte
Borghesi, del buon numero di brevi e bolle pontificie contenute nella raccolta Marchesi ed
infine se si considera che l’acquisto del suddetto Statuto di Lucignano colmerebbe una lacuna
esistente nella serie degli Statuti delle terre dello Stato Senese, conservati nel nostro archivio »
(AS SI, Carteggio della Direzione, b. 93, ins. XII « Acquisti, doni di libri e documenti, prestiti,
passaggi e recuperi », anno 1949).
Daniele Mazzolai
10
tribunale ecclesiastico — le cui origini risalgono alla seconda metà del XII
secolo, e la cui attività si protrae ininterrottamente fino all’epoca moderna —
si trova il penitenziere maggiore, carica rivestita da cardinali residenti presso
la Curia romana. Al suo fianco opera il penitenziere minore, denominato
anche penitenziere papale, perché in origine era colui che sondava direttamente la volontà del pontefice, per la concessione dell’assoluzione in foro
conscientiae. Rimaneva invece al penitenziere maggiore, capo supremo dell’Ufficio, il compito di liberare il supplicante dalle conseguenze giuridiche
esterne 8.
Oltre alle suppliche di laici ed ecclesiastici, colpevoli di reati talvolta
gravissimi 9, l’Ufficio della Penitenzieria poteva concedere, più semplicemente, autorizzazioni per la vendita o locazione di beni ecclesiastici, delegare ad
autorità locali controversie nate per il possesso di beni immobili, o per
l’attribuzione di benefici. Questa seconda categoria di provvedimenti doveva
anzi rappresentare una sorta di « normale amministrazione » per l’Ufficio. A
questo tipo di documentazione appartiene la gran parte delle lettere di cardinali penitenzieri contenute nel Diplomatico Marchesi, oltre ad alcune richieste di annullamento di giuramenti prestati nell’ambito di accordi riguardanti
le alienazioni di beni, dei quali è chiesta la rescissione (docc. 23, 29, 31, 35,
41, 45, 47, 72). Si può segnalare tra questi ultimi il caso di un laico senese,
Silvio Rengoni, che assieme alla rescissione di un accordo, relativo al deposito del patrimonio di due donne fattesi monache professe del monastero
della Concezione di Santa Maria (Giolotta vedova di Pietro Vellanti e sua
figlia Diodata), chiede anche l’assoluzione dal reato di spergiuro in cui era
incorso per non aver corrisposto alle monache di quel monastero le cifre
annue pattuite (doc. 72).
Come in tutti i documenti emanati da autorità pubbliche, la struttura
delle litterae Poenitentiariae segue un preciso schema, nel quale riveste un
ruolo determinante la ripetitività del formulario. Al nome del cardinale
penitenziere espresso nel protocollo del documento, fa seguito quello
dell’autorità ecclesiastica locale (nel nostro caso, generalmente della diocesi
di Siena) che rappresenta il destinatario della lettera, investito dell’autorità di
giudice delegato. Quindi segue il nome del supplicante e la descrizione della
supplica, con tutti i particolari ritenuti opportuni. Nella parte finale del
documento troviamo la formula con cui il cardinale affida ai giudici delegati
8
Su queste e altre notizie, cfr. F. TAMBURINI, Sacra Penitenzieria Apostolica, in Dizionario degli Istituti di perfezione, VIII, Roma 1988, coll. 169-181; fondamentali studi sull’argomento sono quelli di H. C. HASKINS, The sources of the History of the Papal Penitentiary, in
« The American Journal of Theology », 9 (1905), pp. 421-450 ed E. GÖLLER, Die päpstliche
Pönitentiarie von ihrem Ursprung bis zu ihrer Umgestaltung unter Pius V, Rom 1907-1911.
9
Una rassegna ricca e straordinariamente varia nella sua casistica è fornita, per l’epoca
rinascimentale, nel saggio F. TAMBURINI, Santi e peccatori, confessioni e suppliche dai registri
della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano (1451-1586), Milano 1995.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
11
la composizione della vertenza in oggetto o la concessione dell’autorizzazione richiesta.
Le trenta pergamene emanate dall’Ufficio della Penitenzieria sono cronologicamente comprese in un periodo di tempo di circa un cinquantennio,
dal 10 settembre 1515 — data dell’unico documento della raccolta fatto
redigere da un penitenziere minore, il vescovo Francesco Berthelay — all’anno 1566. Un arco di tempo nel quale si sono succeduti sei cardinali
presbiteri con il titolo di penitenziere maggiore, i cui nomi vengono puntualmente registrati nel protocollo di ogni documento: Leonardo Grosso della
Rovere (1511-1520), Lorenzo Pucci (1520-1529), Antonio Pucci (1529-1544),
Roberto Pucci (1544-1547), Ranuccio Farnese (1547-1565), Carlo Borromeo
(1565-1572) 10. Proprio in quel cinquantennio sono avvertite esigenze di
cambiamento dell’ufficio da parte degli stessi Penitenzieri Maggiori, in
particolare dai tre cardinali Pucci, finché nel 1569 papa Pio V ne promosse
un ridimensionamento delle competenze. Questa riforma si realizzò come
limitazione dell’ambito di competenza al solo foro interno, a seguito dei
macroscopici casi di corruzione e degli abusi che l’eccesso di autorità aveva
prodotto nel corso dei secoli da parte del personale in esso impiegato 11.
Il Diplomatico Marchesi offre quindi un interessante spaccato sull’attività
svolta dalla Penitenzieria in uno dei periodi di suo maggior potere e in
relazione ad un’area ben individuata, quella senese, rispetto all’intero orbe
cattolico, sul quale essa estendeva la sua autorità giudiziaria. Tra le autorità
religiose senesi delegate all’esecuzione di quanto disposto dal tribunale
romano ve ne sono alcune di un certo rilievo. Spicca senz’altro la figura di
un canonico particolarmente attivo nella vita cittadina della sua epoca,
Bernardino Maccabruni, che nella seconda metà del Cinquecento rivestì la
carica di vicario generale dell’arcivescovo di Siena e fu persecutore di ogni
forma di eresia. Prima di divenire vicario, egli è ricordato come il doctor et
canonicus alla guida dei giovani della Societas Sanctae Trinitatis. Nel novembre 1544 troviamo il Maccabruni tra quanti accusavano di idee ereticali
un certo Pietro, figlio dell’orefice Giovanni Battista, affiliato alla confraternita, nel processo intentato contro il giovane dall’inquisitore senese Giovanni
Lemmi da Piano, per aver messo in dubbio l’autorità dei santi come mediatori tra l’uomo e Dio. Nell’aprile 1559 il Maccabruni venne arrestato per
iniziativa dei frati agostiniani capeggiati da Padre Adeodato, con l’accusa di
10
Per un elenco completo, dalle origini dell’Ufficio al 1572 (anno in cui S. Carlo Borromeo rassegnò le dimissioni dalla carica), si veda F. TAMBURINI, Per la storia dei Cardinali
Penitenzieri Maggiori e dell’Archivio della Penitenzieria Apostolica, in « Rivista di Storia della
Chiesa in Italia », XXXVI (1982), pp. 359-380.
11
Su questa riforma, consistente in una momentanea abolizione e successiva trasformazione della Penitenzieria si veda F. TAMBURINI, Santi e peccatori… cit., p. 15 e relativa
bibliografia; per i suoi precedenti si veda ID., La riforma della Penitenzieria nella prima metà
del sec. XVI e i Cardinali Penitenzieri in recenti saggi, in « Rivista di storia della Chiesa in
Italia », XLIV (1990), pp. 110-129.
Daniele Mazzolai
12
aver ospitato l’eremitano Giulio da Pontremoli, un monaco in odore di eresia,
da poco fuggito dal carcere dell’inquisizione di Faenza. Per l’intercessione
di influenti personaggi (Francesco Buoninsegni, Giulio Barbagli, Ascanio
Cinuzzi) e per l’intervento in sua difesa dell’alto funzionario mediceo Aurelio Manni, il canonico venne presto liberato 12. Nonostante questi trascorsi, il
Maccabruni divenne vicario dell’arcivescovo di Siena e come tale lo vediamo
impegnato a condurre numerosi processi, come quello del 1570 a carico del
canonico Pietro Apolloni, parroco di San Vincenti in Camollia, controverso
caso di eresia e pratiche proibite 13. Il nome di Bernardino Maccabruni
corredato dal titolo di « canonico senese » compare in sei documenti del
Diplomatico Marchesi (nn. 32, 38, 41, 44, 51, 54), nel decennio compreso tra
il 5 giugno 1543 e il 7 dicembre 1553. Si fa quindi riferimento a un periodo
precedente la sua nomina a vicario, durante il quale il suo ruolo di spicco tra
le autorità ecclesiastiche cittadine risulta già notevolmente consolidato, data
la sua frequente nomina a giudice delegato con autorità apostolica da parte
dei cardinali penitenzieri.
Le informazioni che si possono ricavare da un simile materiale documentario, al di là di un arido resoconto sui termini contrattuali di compravendita — che valgono comunque a dare un’idea delle effettive condizioni
economiche dei conventi dell’area senese nel XVI secolo — portano talvolta
una eco delle principali vicende storiche dell’epoca. È il caso del doc. 67,
datato 19 agosto 1563, nel quale le monache « mantellate » (o « clamidate »)
di Santa Maria dei Servi, convento nelle vicinanze di Porta Pispini, chiedono
l’autorizzazione alla vendita di un podere di loro proprietà nelle Masse di
Siena. Esso viene detto « propter malas temporum qualitates et bella que in
partibus illis viguerunt devastatum », distrutto quindi a causa di eventi bellici
che avrebbero investito quella zona delle Masse senesi, durante gli aspri
conflitti della guerra tra Siena e Firenze della metà del Cinquecento. La
motivazione stessa per cui la badessa e le monache decidono di vendere il
podere assieme ad una casa in illo existens, parimenti distrutta, risiede nella
condizione di indigenza in cui esse si trovano. Ciò riflette il generale stato di
crisi economica seguito alla guerra; in un documento dell’anno successivo (n.
70, del 4 agosto 1564) le stesse monache, poiché « in maxima paupertate
constitute et pluribus debitis gravate », chiedono ed ottengono l’autorizzazione
ad utilizzare la somma ricavata dalla vendita di quel podere per l’acquisto di
beni immobili di maggiore utilità per il monastero 14.
12
Cfr. V. MARCHETTI, Gruppi ereticali senesi nel Cinquecento, Firenze 1975, pp. 52-61 e
177.
13
Vedi M. A. CEPPARI RIDOLFI, Maghi, streghe e alchimisti a Siena e nel suo territorio
(1458-1571), Siena 1999, pp. 18-19 e il capitolo dedicato al relativo processo inquisitorio: Luna
fusibile e polvere di pipistrello, pp. 115-134.
14
Sull’aggressione medicea contro lo Stato senese nell’inverno del 1554 e le conseguenti
devastazioni del territorio destinate ad influire negativamente e per lungo tempo sull’economia
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
13
Una particolarità tra le litterae Poenitentiariae è rappresentata dal doc.
n. 8 del 10 settembre 1515, sia per l’autorità emanante che per il suo contenuto. Francesco Berthelay, vescovo di Millopotamo, residente presso la Curia
pontificia in qualità di penitenziere minore, verifica l’autenticità della lettera
con cui il penitenziere maggiore, Leonardo Grosso della Rovere, assolve da
una sentenza di scomunica il laico Bartolomeo abitante nella diocesi di
Pienza, a lui presentata dal supplicante, e rilascia a sua volta una lettera
contenente la definitiva ratifica dell’assoluzione concessa. Nel Diplomatico
Marchesi questo è l’unico caso di documento emanato da un penitenziere
minore, particolarmente prezioso come testimonianza di una prassi consolidatasi sin dall’epoca più antica; per delitti di una certa gravità il supplicante si
recava personalmente presso la Curia papale per chiedere l’assoluzione dal
reato commesso. La littera Poenitentiariae, diretta alle autorità religiose o
ecclesiastiche della diocesi del supplicante, poteva quindi essere consegnata a
mano dal supplicante stesso. Ma l’interesse del documento è rappresentato
ancor più dal motivo per cui il pientinese Bartolomeo era incorso nella
sentenza di scomunica, cioè presbitericidii reatu: egli aveva ucciso un
religioso, e per questo grave crimine riesce ad ottenere una piena riabilitazione 15. Un’ulteriore osservazione merita l’autorità emanante del documento.
Nei registri della Penitenzieria dell’Archivio Segreto Vaticano, attualmente
conservati nella Biblioteca Vaticana, sono riportate le suppliche e confessioni
dei peccatori che chiedono l’assoluzione dai reati commessi. Sono qui riportati nel dettaglio i vari casi esposti agli ufficiali penitenzieri, nonché i nomi
delle autorità operanti all’interno del tribunale. In molti casi, dalla fine del
Quattrocento al primo quindicennio del secolo successivo, figura il nome di
Francesco, vescovo di Millopotamo 16. A lui è affidata l’emanazione e la
consegna della lettera contenente la sentenza di assoluzione direttamente
nelle mani del supplicante. Il caso del « presbitericida » Bartolomeo ha
evidentemente seguito questo iter: una volta affrontato il viaggio di penitenza
dalla originaria diocesi di Pienza alla Sede Apostolica, il supplicante ottiene
dal penitenziere maggiore una prima lettera contenente l’assoluzione richiesta. Quindi egli si presenta al cospetto del penitenziere minore che, mandanlocale, vedi R. CANTAGALLI, La Guerra di Siena (1552-1559). I termini della questione senese
nella lotta tra Francia e Asburgo nel ’500 e il suo risolversi nell’ambito del Principato
mediceo, Siena 1962, p. 227.
15
La riabilitazione concessa in caso di scomunica per il reato di presbitericidio non era
cosa nuova per l’Ufficio della Sacra Penitenzieria Apostolica, come dimostrato, tra l’altro, da
un documento riportato da F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., pp. 196-197. Si tratta del
doc. 42 datato 23 marzo 1493 e contenuto nel registro 42, f. 211v., in cui Pietro Chanel, prete
di Beauvais e famiglio del cardinale Giuliano Della Rovere (futuro papa Giulio II), dichiara di
aver ucciso un frate francescano a causa di una meretrice e ottiene l’assoluzione per il reato
commesso.
16
Vedi F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., docc. 43 (pp. 198-202), 45 (pp. 205-206),
47 (pp. 211-212), 50 (pp. 219-220), 51 (pp. 220-221).
14
Daniele Mazzolai
do ad esecuzione quanto già stabilito dal suo superiore, gli fornisce una
seconda lettera come definitiva ratifica dell’assoluzione concessa.
Un altro caso di omicidio è contemplato nel doc. 33, datato 28 luglio
1543, contenente un mandato di esecuzione inviato dal cardinale Antonio
Pucci a Federico Petrucci, già vescovo di Gallipoli, nominato giudice delegato insieme all’arcidiacono della cattedrale di Siena e al canonico Sinolfo
Petrucci. Ma qui la situazione è capovolta rispetto al caso precedente: il
chierico senese Prospero Giunti ha ucciso un laico, ottenendo l’assoluzione
dal reato di omicidio poiché il fatto è stato commesso per legittima difesa.
Vengono descritte dettagliatamente le varie circostanze in cui il laico Giovanni di Spirito da San Salvatore a Pilli, detto Giovannone, avrebbe ripetutamente provocato il chierico, molestandone i familiari (il fratello e la madre)
e dando segni di squilibrio con atti sconsiderati all’interno di luoghi sacri e
durante funzioni religiose. La reazione del chierico Prospero, portato all’esasperazione, sarebbe stata quindi del tutto comprensibile, al punto che egli
riesce ad ottenere dalla Sede Apostolica non solo il perdono per l’omicidio
commesso, ma anche la concessione di accedere agli ordini sacerdotali e la
facoltà di svolgere gli uffici divini. Di casi simili a questo — con coinvolgimento di ecclesiastici in omicidi, in conseguenza di liti e scontri personali
con l’uso di armi — abbondano le suppliche contenute nei registri della
Penitenzieria. Ciò è testimonianza di una generale e consolidata tendenza
— o meglio, di un diffuso malcostume — nel secolo in cui non a caso tanto
forti erano sentite le esigenza di profonda riforma della Chiesa e della
condotta dei suoi uomini. Una tendenza presente fino ai più alti gradi della
gerarchia cattolica, come ci testimonia la vicenda personale di Innocenzo Del
Monte, cardinale diacono del titolo di Sant’Onofrio — che ottenne la porpora
cardinalizia dallo zio adottivo Giulio III nel 1550, a soli diciassette anni —
noto già ai contemporanei per le sue intemperanze e continui coinvolgimenti
in fatti di violenza e sangue. Come ricordato nel saggio di Tamburini 17, in
data 23 settembre 1559 egli chiede di essere assolto dal reato d’omicidio per
17
F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., doc. 95, pp. 340-348, con numerose informazioni biografiche e ricca appendice su fatti di cronaca riportati da fonti coeve in cui è implicato
il Del Monte. Sulla sua elezione a cardinale avvenuta il 30 maggio 1550 vedi G. VAN GULIK C. EUBEL, Hierarchia Catholica medii et recentioris aevi, III, Münster 1923, p. 31. Ci sono
anche attestazioni di suoi interventi tesi a favorire religiosi senesi accusati di eresia: al Del
Monte venne inviata il 28 luglio 1553 una lettera dal capitano del popolo della città di Siena,
per chiedere il suo intervento in difesa del frate Agostino da Montalcino, pubblicata da P.
PICCOLOMINI, Documenti vaticani sull’eresia in Siena durante il secolo XVI, in «Bullettino
senese di storia patria », XV (1908), pp. 302-303. Ma a Siena fu poi coinvolto in uno scandalo
nel gennaio 1568, per aver rapito due donne di Rapolano ed averle trattenute per più giorni
nelle proprie case; il papa fece indagare sul fatto il gesuita Rodriguez, ma il cardinale che
godeva della protezione di Cosimo I riuscì a rimanere in Toscana cavandosela con una severa
ammonizione. Sempre a Siena, come a Firenze, risulta che abbia contratto numerosi debiti con
il Monte al tempo del pontificato di Pio V (vedi Dizionario Biografico degli Italiani, 38, Roma
1990, p. 140, ad vocem).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
15
aver ucciso a colpi di spada e di archibugio due stallieri (padre e figlio). Essi
rifiutarono di cambiare la sua cavalcatura alla posta presso Nocera Umbra e
reagirono alle ire dell’alto prelato colpendolo a sassate, durante il viaggio che
il cardinale stava compiendo di tutta fretta per giungere tempestivamente da
Venezia a Roma, in occasione del conclave per l’elezione del nuovo pontefice. La supplica viene accolta favorevolmente dalla Penitenzieria che gli
concede l’assoluzione dalla censura, ma solo perché presentata nel periodo di
sede vacante. Papa Pio IV eletto in quel conclave il 25 dicembre 1559 lo
condannerà ad un anno e mezzo di carcere in Castel Sant’Angelo, dove fu
rinchiuso il 27 maggio 1560.
Di notevole interesse risulta anche il doc. 52 (12 luglio 1552), relativo
ad una richiesta di scioglimento di matrimonio che Ranuccio Farnese delega
all’arcivescovo di Pienza o al suo vicario generale. Anche qui assistiamo ad
una minuta descrizione degli antefatti che hanno spinto un abitante della
diocesi di Pienza, Vincenzo di Giovanni « del Teco » da Montenero, a
rivolgersi all’autorità del tribunale religioso romano. Egli chiede la facoltà di
rescindere la promessa di matrimonio, a suo tempo prestata ad una certa
Feliciana, figlia di un falegname della stessa diocesi. Il contenuto del documento getta non poca luce sulle modalità seguite nelle campagne dell’area
senese del XVI secolo nel condurre le trattative matrimoniali. L’autore della
supplica fa presente di aver dapprima ricevuto le garanzie di illibatezza della
futura sposa da parte della madre di lei, Giuditta da Civitella, e di aver
quindi suggellato la reciproca promessa con la consegna dell’anello. A questo
punto il supplicante narra di essersi recato una notte a casa della promessa
sposa « avendo in animo » di consumare il matrimonio così stipulato. Egli
però trova le due donne in compagnia di alcuni uomini adulteri, dando ad
intendere la natura del rapporto che li legava a Feliciana con la compiacenza
della madre. Per di più subisce maltrattamenti e percosse da parte degli
uomini trovati nell’abitazione; rileva inoltre che la donna chiesta in sposa era
stata deflorata ancor prima dello scambio dell’anello. Per questi motivi egli
chiede alla Penitenzieria l’autorizzazione a rescindere le promesse di matrimonio e la facoltà di sposarsi con un’altra donna, dalla quale avere figli
legittimi. Nell’esposizione della supplica si fa esplicito riferimento alle
garanzie verbali fornite dalla famiglia della sposa e al successivo suggello
della promessa di matrimonio tramite dono dell’anello. Questi sono i due
momenti essenziali, assieme alla stipula di un contratto scritto, della celebrazione degli sponsali (ovvero del rituale precedente le nozze vere e proprie)
come risultano descritti, per la città di Siena, nello Statuto del Donnaio del
1343 18. Secondo l’uso cittadino senese, la celebrazione delle nozze che tiene
dietro agli sponsali consiste nella traditio della sposa nella casa del marito.
Nel nostro documento si parla della decisione dell’uomo di consumare le
18
Su questo argomento vedi M. A. CEPPARI - P. TURRINI, Il Mulino delle vanità, Siena
1993, pp. 31-53, in particolare Le nozze nello statuto del Donnaio, pp. 43-44.
16
Daniele Mazzolai
nozze facendo una visita notturna all’abitazione della donna (visita che, come
abbiamo visto, sarà la causa scatenante della richiesta di rottura degli obblighi matrimoniali). Dal contenuto del documento si può quindi evincere che il
rituale delle nozze nel contado senese a metà Cinquecento, seppur comprendente i due momenti delle garanzie verbali e dello scambio degli anelli,
risulterebbe parzialmente semplificato rispetto alle nome statutarie vigenti
nella città di Siena già due secoli prima. Infatti si può rilevare l’assenza della
stipulazione di un contratto scritto (di cui non si fa esplicita menzione nel
documento) come atto ufficiale della celebrazione degli sponsali e una certa
libertà dagli obblighi rituali della traditio della sposa nella nuova casa, come
condizione necessaria rispetto alla successiva consumazione del matrimonio.
Un cospicuo nucleo di documenti (23 brevi e 9 lettere) proviene dalla
segreteria pontificia e tra le autorità emananti compaiono quasi tutti i papi
del secolo XVI, da Giulio II a Clemente VIII. I brevi apostolici con sigillo
impresso in cera rossa — recante l’immagine di San Pietro effigiata sull’anello « del pescatore » — sono talvolta in buono stato di conservazione
(docc. 26, 74, 75, 81). Normalmente il contenuto non va oltre una semplice
raccomandazione del pontefice ad arcivescovi e canonici di Siena, Pienza o
Montalcino perché mandino ad esecuzione suppliche munite di segnature
cardinalizie. Nei docc. 16, 43, 81 si fa riferimento all’assegnazione di benefici ecclesiastici rimasti vacanti per la morte dei legittimi assegnatari e indebitamente occupati da laici. Il doc. 3, del 18 gennaio 1512, riguarda il chierico
Ricomanno da Venafro, studente di diritto pontificio presso l’Università di
Siena da sette anni, che non è ancora riuscito a conseguire il titolo a seguito
di un grave lutto familiare: la morte del fratello lo ha probabilmente richiamato nella nativa cittadina molisana, causando una forzata interruzione degli
studi. Con la diretta intercessione di papa Giulio II, tramite breve pontificio
inviato all’arcivescovo di Siena, si richiede la costituzione di una speciale
commissione esaminatrice (due o tre dottori in diritto canonico) che, appurata
la preparazione del candidato a seguito di un rigoroso esame, dovrà conferirgli il titolo e l’insegna in diritto pontificio, con il godimento di tutti i privilegi ed immunità che comporta il conseguimento del titolo di dottore presso
l’Università di Siena.
Le nove lettere riportano casi simili a quelli trattati nei documenti emanati dai cardinali penitenzieri. Di esse solo due riguardano laici: per il possesso di appezzamenti di terre nel doc. 4, per la mancata corresponsione di
denaro nel doc. 15. Le altre concernono o il godimento di benefici ecclesiastici e rendite di cappellanie (docc. 5, 10, 58), oppure ancora la mancata
corresponsione di somme di danaro da parte di badesse e monache di conventi senesi (docc. 48, 53, 59). Questi mandati di esecuzione attestano come
il ricorso presentato tramite petizione alla Sede apostolica, con la richiesta di
un intervento da parte del pontefice, sia un estremo tentativo per far valere i
propri diritti, dopoché la causa è già stata presentata a varie autorità giudizia-
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
17
rie secolari ed ecclesiastiche. Un esempio emblematico è riportato nel doc.
15 (25 ottobre 1522): dalla petizione di Giovanni Colombini, dottore in
medicina originario di Fivizzano ma residente a Siena, si può ricostruire
l’iter seguito dalla vertenza, in cui il suo avversario ed ex-socio in affari, il
senese Ludovico Brizi, lo accusa di non avergli corrisposto una certa somma
di denaro. La causa viene prima presentata ad un giudice secolare, quindi il
medico di Fivizzano chiede l’intervento del vicario dell’arcivescovo di Siena.
Da quest’ultimo la vertenza passa all’attenzione dell’arcivescovo di Firenze,
personaggio di tutto riguardo trattandosi di Giulio de’ Medici (futuro papa
Clemente VII), all’epoca cardinale presbitero del titolo di San Lorenzo in
Damaso e legato della Sede apostolica 19. Quindi Giovanni Colombini decide
di rivolgersi alla Sede apostolica e da essa proviene il documento inviato al
vescovo di Pienza e Montalcino e al canonico Federico Petrucci.
Una particolare attenzione merita l’ultima lettera papale, la n. 73, emanata il 24 maggio 1571 da Pio V per la ratifica di un atto di vendita con cui
le monache clamidate del convento di San Francesco cedono alcuni beni a
un certo Scipione Sanni. Rispetto alle altre lettere, le dimensioni di questo
documento sono notevolmente superiori (cm. 62,2 x 49,2). Il carattere più
solenne è dimostrato dalle lettere ornate del primo rigo: la « P » iniziale del
nome del pontefice e la « D » onciale della parola Dilecto nell’inscriptio sono
di modulo notevolmente superiore rispetto alle altre lettere maiuscole e
presentano una ricchissima ornamentazione che, nel caso della « P », arriva a
coprire l’intera metà superiore del margine sinistro del documento. Altra
particolarità è data dal fatto che il documento contiene una copia della
costituzione di papa Paolo II dell’11 maggio 1465, recante le norme imposte
ai giudici delegati con autorità apostolica nelle cause concernenti l’alienazione dei beni ecclesiastici. Questa stessa costituzione rappresenta un’imprescindibile fonte normativa, cui le autorità ecclesiastiche preposte alla concessione delle necessarie autorizzazioni dovevano attenersi in tutti i casi di
vendita o alienazione, a qualsiasi titolo, dei beni immobili appartenenti a
conventi, monasteri, canoniche e altri luoghi pii. Ben diciotto tra le trenta
lettere di cardinali penitenzieri contenute nel Diplomatico Marchesi, ovvero
tutte quelle che trattano tale materia, oltre a tre documenti di simile contenuto, emanati dal cardinale camerlengo della Reverenda camera apostolica, ne
fanno breve menzione nella parte conclusiva con la formula « (...) Non
obstantibus felicis recordationis Pauli pape II de rebus ecclesiasticis non
alienandis aliisque apostolicis constitutionibus et ordinationibus (...) »; ma
solo la più solenne bolla di Pio V ne riporta integralmente il testo.
19
Giulio de’ Medici rivestì il titolo di cardinale presbitero di San Lorenzo in Damaso dal
6 luglio 1517 e quello di legato ad temporalia et totam Tusciam dal 27 maggio 1519 (cfr. G.
VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 14 e nota 3), data che può essere
assunta come termine ante quem non rispetto al momento in cui la vertenza dei due laici senesi
è stata sottoposta alla sua attenzione.
Daniele Mazzolai
18
Segnaliamo inoltre la presenza di un terzo gruppo di ventuno pergamene. Le autorità emananti in questo caso sono giudici (utriusque iuris doctores) e cardinali della Reverenda camera apostolica, il potente organo della
Curia romana, che specialmente tra il XV e il XVIII secolo esercitò un
controllo pressoché totale sull’attività giurisdizionale, legislativo-amministrativa e contabile della Santa Sede. Dal punto di vista grafico la scrittura di
questi documenti è di tipo cancelleresco corsivo, quindi notevolmente diversa
dalla scrittura tipica dei documenti ufficiali, utilizzata sia nelle lettere dei
cardinali penitenzieri che, ovviamente, in quelle pontificie. Tra le autorità
giudiziarie che emanano questi documenti compare frequentemente l’Auditor
Camerae 20. Si tratta talvolta di lettere « compulsorie » con cui le autorità
locali vengono sollecitate a produrre documentazione relativa a cause in
corso. In altri casi abbiamo lettere « remissorie » (litterae remissoriales), con
le quali l’auditore, su incarico del papa, prende in esame vertenze generalmente concernenti trasmissioni di beni in eredità e delega l’esecuzione delle
relative sentenze alle autorità locali. Da segnalare la presenza di un « rotolo
remissorio » (doc. 22) emanato da Sebastiano Pighini luogotenente dell’auditore Giovanni Battista Cicala. Con esso si esamina una causa sorta tra
l’arcivescovo di Siena e Antonio Maria Piccolomini per l’acquisto di bestiame proveniente dal Lazio, del quale viene fornito un breve elenco in italiano
con il relativo valore in denaro.
Altri documenti sono emanati dal camerlengo di Santa Romana Chiesa, la
massima autorità della Camera apostolica 21. Tra essi compare Guido Ascanio
20
Sull’Auditor Camerae e le sue vastissime competenze civili e penali vedi M. G. PARUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica e i suoi Archivi (secoli XV-XVIII), Roma,
Archivio di Stato, Scuola di archivistica paleografia e diplomatica, 1987, pp. 211-218. Su altri
documenti emanati dall’Auditor Camerae, conservati presso l’Archivio di Stato di Siena e
provenienti da un archivio privato, cfr. G. CHIRONI, Il diplomatico Bichi Ruspoli (1311-1791),
in « Bullettino senese di storia patria », CV (1998), pp. 310-395. Tra le 122 pergamene del
diplomatico Bichi Ruspoli oltre a 12 documenti dell’Auditore della Camera apostolica, vi sono
8 bolle papali, 12 brevi pontifici, 1 lettera della Sacra penitenzieria apostolica e 1 del camerlengo. Va segnalato inoltre che non doveva essere infrequente la collaborazione dell’Auditore
generale della Camera apostolica con i penitenzieri papali nella trattazione delle suppliche
rivolte alla Penitenzieria. Citiamo un esempio tratto dal registro 132 e riportato da F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., pp. 319-320, doc. 87: il canonico messinese Antonello de Luca
con supplica del 21 febbraio 1552 chiede di essere assolto in utroque foro dal reato di sodomia,
di cui è stato ingiustamente accusato da persone molto influenti. Il caso viene affidato all’Uditore generale della Camera apostolica (Federico Fantuzzi) e ai penitenzieri papali Andrea de
Emporio e Francesco Salazar.
STURA
21
Sui poteri del camerlengo vedi M. G. PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica... cit., pp. 63-75. Qui ci interessa ricordare come nel provvedimento Quae a Romanis di
Gregorio XIII del 5 dicembre 1584 si richiamano i chierici di Camera a non spedire privatamente i propri provvedimenti e ad utilizzare per ogni lettera camerale il nome e il sigillo del
camerlengo, il quale « vivae vocis oraculum habet et in suo officio personam Pontificis
repraesentat ». Quindi al pari dei cardinali penitenzieri (e con il ricorso della stessa formula) al
camerlengo è riconosciuta la prerogativa di conoscere direttamente la volontà del pontefice
manifestata oralmente.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
19
Sforza che apparteneva al ramo toscano, originario di Santa Fiora, della
nobile famiglia ed era nato nel paese del Monte Amiata di cui gli Sforza
erano conti. Il padre era Bosio II e la madre Costanza Farnese, figlia di papa
Paolo III, suo fratello era Sforza Sforza conte di Santa Fiora che nel 1555
rivestì la carica di luogotenente imperiale in Siena, dopo la presa della città.
Guido Ascanio vestì la porpora cardinalizia nel 1534 all’età di sedici anni,
per volontà del nonno pontefice, divenendo camerlengo di Santa romana
Chiesa il 22 ottobre 1537, carica che rivestì fino alla morte avvenuta il 6
ottobre 1564. La nomina del nipote all’alta carica ecclesiastica è uno dei
principali atti di nepotismo compiuti da quel papa, da sempre ricordato tra le
debolezze del suo pontificato assieme al conferimento della nomina di
cardinale ad un altro suo nipote adolescente, quel Ranuccio Farnese (Paolo
III era suo zio) che abbiamo visto tra i sei Penitenzieri maggiori, della cui
attività deliberativa il Diplomatico Marchesi conserva alcune tracce. Ben
dodici litterae Poenitentiariae in esso contenute, comprese tra il 23 maggio
1548 e il 4 agosto 1564, portano il nome di Ranuccio, nominato cardinale il
16 dicembre 1545 e penitenziere maggiore il 12 febbraio 1547 22, mentre tre
soli documenti (nn. 60, 61, 62) sono emanati dal camerlengo Guido Ascanio.
I primi due di essi meritano attenzione, poiché testimoniano le difficoltà
economiche vissute dai conventi senesi, a seguito della guerra che segnò per
Siena la fine del periodo repubblicano e l’ingresso, come Stato Nuovo,
all’interno del Granducato di Toscana. Infatti, al pari delle litterae Poenitentiariae dei primi anni Sessanta del Cinquecento sopra ricordate (nn. 67 e 70),
anche i due documenti emanati dal cardinale Sforza conservano inequivocabili accenni al dissesto finanziario dei conventi senesi in quel torno di tempo.
Il doc. 60 è dell’11 settembre 1559 e contiene il ricordo di una petizione
presentata dalle monache di Santa Petronilla, le quali dichiarano di essere
ridotte in condizione di povertà « propter bellum et mala tempora », al punto
di non aver più « facultatem et modum vivendi ». Per questo hanno acquistato da un certo Galgano Pallagrossa quattro moggia di grano « pro earum
victu et alimentis ». Nel doc. 61 del 5 febbraio 1561 i frati di Santa Maria
del Carmine non hanno altro modo per poter acquistare buoi e altri animali
necessari alla coltura dei loro campi e si vedono costretti alla vendita di un
appezzamento di terra. L’alienazione dei beni ecclesiastici diventa dunque
l’unico mezzo per garantire la sopravvivenza dei frati e delle monache senesi
in un periodo di generale crisi economica.
Auditori e camerlenghi (oltre ai documenti dello Sforza ne rimane anche
uno del suo successore Vitellozzo Vitelli, doc. 71 del 29 giugno 1565) non
sono i soli titolari di importanti uffici della Reverenda camera apostolica ad
essere nominati nelle pergamene del Diplomatico Marchesi. In una di esse
22
Anche lui tenne la carica fino alla morte, avvenuta il 29 ottobre 1565. Su Ranuccio vedi G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 30; su Guido Ascanio Sforza,
ibid., pp. 23 e 81.
Daniele Mazzolai
20
compaiono anche le autorità preposte al controllo finanziario del patrimonio
ecclesiastico: il tesoriere e il collettore provinciale 23. Il primo era a capo
della tesoreria della Camera apostolica e la sua carica era seconda solo a
quella del camerlengo; il collettore provinciale era invece l’ufficiale incaricato della riscossione, in una singola provincia, delle rendite di natura prevalentemente ecclesiale spettanti alla Camera apostolica. Il doc. 77 è una lettera
datata 10 ottobre 1588 e diretta al granduca di Toscana Ferdinando de’
Medici e alle autorità della città di Pistoia affinché si richieda il pagamento
della decima dovuta alla Camera apostolica dagli eredi del defunto vescovo
Lattanzio. Il mittente è Guido Pepulo, tesoriere generale e collettore generale
degli spogli, capo dell’ufficio preposto al controllo della finanza camerale;
egli ordina che il pagamento sia effettuato per il tramite del collettore provinciale, il vescovo Canobio, nuovo nunzio apostolico di Toscana. Il documento è di poco precedente ad un atto della Santa Sede, con cui vengono
ufficialmente ratificati i poteri del tesoriere. Nel provvedimento di papa
Sisto V In conferendis praecipuis (23 gennaio 1590) si attribuisce una piena
competenza al tesoriere in materia di controllo delle entrate ecclesiastiche
rappresentate essenzialmente dai benefici e dagli spogli 24. Questi ultimi
consistevano nei frutti dei benefici vacanti per morte del titolare, che per
tutto il periodo della vacanza spettavano alla Camera apostolica; l’ufficiale
periferico, nel nostro caso il vescovo Canobio nunzio apostolico di Toscana,
era delegato a far valere tali diritti.
Resta da fare una considerazione sulla provenienza del materiale documentario fin qui analizzato. Nell’Archivio arcivescovile di Siena, all’interno
del fondo contenente le cause di diritto canonico e civile, è conservata una
ricca serie costituita da ben 310 filze di cause delegate 25, le più antiche delle
quali risalgono alla seconda metà del Quattrocento. Ogni singola causa è
comprensiva della littera Poenitentiariae, oppure del breve o lettera pontificia, o di altro simile documento su pergamena emanato da autorità ecclesiastiche romane e contenente il mandato di esecuzione, nonché il relativo
incartamento che testimonia l’istruttoria e l’esecuzione della sentenza da
parte dei giudici della Curia arcivescovile senese. Dal materiale cartaceo
contenente le varie fasi dell’istruttoria si rileva che il documento emanato
dalle autorità della Sede apostolica veniva spesso recapitato direttamente al
supplicante, il quale se ne faceva latore ai canonici in esso nominati come
destinatari 26. Per i secoli XVI e XVII esiste un repertorio alfabetico compila23
Sul tesoriere e le sue attribuzioni vedi M. G. PASTURA RUGGIERO, La Reverenda Camera Apostolica... cit., pp. 167-179.
24
Ibid., p. 173 e nota 22.
25
AAS, Cause Delegate, 5622-5931. Cfr. L’Archivio Arcivescovile di Siena. Inventario, a
cura di G. CATONI - S. FINESCHI, Roma 1970 pp. 299-300 e 321-325. (Pubblicazioni degli
Archivi di Stato, LXX).
26
Citiamo a titolo esemplificativo una causa dell’anno 1550 (AAS, Cause Delegate, 5625,
senza numero all’interno della filza). Nel fascicolo è presente la lettera del Penitenziere
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
21
to nell’anno 1729 dal cancelliere di curia Annibale Palagi, in cui sono
registrate le cause comprese tra gli anni 1517 e 1659 27. Nell’avvertenza
premessa al suo repertorio, il Palagi dichiara che i primi due fascicoli da lui
esaminati contengono vari processi di diversi anni senza un preciso ordine
cronologico, rintracciabile solo a partire dalle cause dell’anno 1540.
Come già aveva ipotizzato Giulio Prunai, si può supporre che le pergamene del Diplomatico Marchesi appartenessero originariamente alla Curia
arcivescovile e fossero accluse ai fascicoli delle Cause delegate. Una prova
di ciò è data dalla lettera « remissoria » datata 29 ottobre 1582 (doc. 76),
inviata da Ippolito Aldobrandini — futuro papa Clemente VIII — al canonico Lepido Piccolomini e ad altre autorità giudiziarie, riguardo ad una vertenza sorta tra il nobile senese Rutilio Bichi e il cardinale Commendone, per il
possesso di beni di ingente valore. Nelle Cause delegate dell’Archivio
arcivescovile 28 si conserva un incartamento relativo alla prosecuzione di
quella vertenza tra i figli ed eredi di Rutilio Bichi con lo stesso cardinale; a
tale incartamento è allegata, in copia semplice, proprio la lettera remissoria
sopra citata. Da un accurato esame condotto sul resto della documentazione
non si sono rilevati altri casi analoghi, ma si può ragionevolmente ipotizzare
una comune provenienza delle 84 pergamene raccolte dal padre benedettino,
con una successiva dispersione degli allegati documenti cartacei. In tali
allegati, come si rileva dagli incartamenti completi, venivano registrati gli atti
dei relativi procedimenti giudiziari, dalla esibizione del mandato apostolico ai
giudici delegati, alla verbalizzazione degli eventuali interrogatori dei testimoni, fino alla decisione della causa. Analoga documentazione (perlopiù atti
frammentari di vari procedimenti), con incartamenti talvolta corredati dalle
lettere apostoliche contenenti il relativo mandato di delega, è attualmente
conservata nell’Archivio Notarile presso l’Archivio di Stato di Siena 29.
Le 84 pergamene qui analizzate vanno quindi senz’altro ricollegate alla
documentazione contenuta nella serie delle Cause delegate, tuttora conservata
Ranuccio che accoglie la petizione di Alessandro Biagiotti, nuovo rettore parrocchiale della
chiesa di S. Bartolomeo di Orgia nella diocesi di Siena. Il rettore parrocchiale chiede
l’autorizzazione alla vendita di un pezzetto di terra di proprietà della parrocchia, al fine di poter
costruire, con i proventi della vendita, una casa ad uso della parrocchia medesima. Il cardinale
Ranuccio delega la causa a Scipione Fundio, canonico senese, e a Michelangelo Gotio, canonico di Montalcino. Nell’incartamento allegato alla littera Poenitentiariae viene ricordato che in
data 9 marzo 1550 il detto Alessandro si presenta personalmente di fronte ai due giudici
delegati « habens et tenens in manibus suis infra alligatas litteras Sacre Penitentiarie apostolice
in pergameno descriptas » (ibid., c. 1).
27
Index Delegatorum ab anno 1517 usque ad annum 1659, in AAS, Cause delegate,
28
AAS, Cause delegate, 5648, n. 294.
5932.
29
Cfr. ARCHIVIO DI STATO DI SIENA, L’Archivio Notarile (1221-1862). Inventario, a cura
di G. CATONI - S. FINESCHI, Roma 1975, pp. 84, 94, 108, 144, 171, 180, 181, 186, 235
(Pubblicazioni degli Archivi di Stato, LXXXVII).
22
Daniele Mazzolai
nella sede originaria presso l’Archivio arcivescovile. La ricchezza di questa
documentazione è diretta testimonianza di un’attività giudiziaria particolarmente intensa, svolta dai canonici della Curia arcivescovile senese nel XVI
secolo e tale da fornire talvolta elementi preziosi per la comprensione della
contemporanea realtà storica. Il Diplomatico Marchesi ne rappresenta un
piccolo, ma forse non irrilevante frammento.
DANIELE MAZZOLAI
Università degli studi di Siena
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
23
REGESTI
Le pergamene Marchesi sono conservate nell’Archivio di Stato di Siena, nel
fondo Particolari famiglie senesi, b. 73, ove sono disposte in ordine cronologico.
1.
1504, febbraio 16, anno I del pontificato di Giulio II
Breve di papa Giulio II diretto a Gaspare Cotoni e Giovanni Tolomei,
canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad
una supplica munita della segnatura di Clemente 30, cardinale di Mende. La
supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1504, marzo 13.
Frammento di sigillo impresso in cera rossa.
2.
1507, luglio 27, anno IV del pontificato di Giulio II
Breve di papa Giulio II diretto al vicario dell’arcivescovo di Siena, con
cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di
Giovanni di San Giorgio 31, vescovo di Tuscolo. La supplica originariamente
acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Frammento di sigillo impresso in cera rossa.
3.
1512, gennaio 18, anno IX del pontificato di Giulio II
Breve di papa Giulio II diretto all’arcivescovo di Siena, con cui si raccomanda Ricomanno 32 da Venafro, affinché possa ottenere, a seguito di un
30
Clemente Grosso della Rovere già vescovo di Mende (diocesi francese) fu eletto cardinale il 29 novembre 1503 da Giulio II (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit.,
III, p. 10).
31
Giovanni (Antonio) di San Giorgio già vescovo di Alessandria fu nominato cardinale il
20 settembre 1493 da Alessandro VI (C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., II, Münster 1914,
p. 22).
32
Un Riccomano Buffalini notaio apostolico e magister fu nominato vescovo di Venafro
il 2 ottobre 1504 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 328).
Daniele Mazzolai
24
rigoroso esame sostenuto di fronte a due o tre dottori in Diritto canonico, il
grado e l’insegna in Diritto pontificio con i relativi privilegi e immunità.
Ricomanno aveva studiato per sette anni presso l’Università di Siena ma non
aveva potuto conseguire il titolo per la recente scomparsa del fratello maggiore.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
4.
1512, aprile 16, anno IX del pontificato di Giulio II
Lettera di papa Giulio II diretta a Francesco Monaldi e Marco di Pasquale, canonici della Cattedrale di Siena, con la quale li incarica di esaminare e decidere una causa concernente possedimenti posti nella Diocesi di
Siena, contesi tra Signorino di Paolo da Coscona 33 e Antonio di Paolo.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1512, aprile 26.
Bolla pendente deperdita.
5.
1512, aprile 16, anno IX del pontificato di Giulio II
Lettera di papa Giulio II diretta al vescovo di Bertinoro 34, al quale delega una causa tra Antonio Maria Cinughi, chierico senese, e Tommaso
Brunello, canonico di Bertinoro, concernente il mancato pagamento di un
canone annuo relativo al godimento di rendite e proventi del monastero di
Santa Maria de Urano di Bertinoro, dell’ordine di S. Benedetto, concesso da
Pietro Francesco, abate di detto monastero.
Dato a Roma presso San Pietro.
Bolla pendente deperdita.
6.
1514, giugno 13, anno II del pontificato di Leone X
Breve di papa Leone X diretto a Bartolomeo Lazzari e Federico da
Buonconvento, canonici della Cattedrale di Siena, con il quale li incarica di
33
Coschine e Coscona in Val d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico
della Toscana, Firenze 1833, I, p. 827).
34
Si tratta di Angelo Petrucci nominato vescovo di Bertinoro in Romagna il 28 gennaio
1512 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 139).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
25
dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di Giovanni Bonciano 35. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1514, giugno 26.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
7.
1515, gennaio 12, anno II del pontificato di Leone X
Breve di papa Leone X diretto a Marco Pasquali e Francesco Monaldi,
canonici della Cattedrale di Pienza, con il quale li incarica di dare esecuzione
ad una supplica munita della segnatura di Giovanni, vescovo di Caserta 36. La
supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
8.
1515, indizione III, settembre 10,
anno III del pontificato di Leone X
Francesco, vescovo di Millopotamo 37 e penitenziere papale residente
presso la Curia romana, verifica l’autenticità di una lettera con cui Leonardo,
cardinale presbitero del titolo di Santa Susanna 38 e penitenziere maggiore,
assolve Bartolomeo figlio di Giovanni di Matteo della diocesi di Pienza dalla
sentenza di scomunica per un reato di presbitericidio. Francesco manda ad
esecuzione la sentenza di assoluzione.
Dato a Roma presso la residenza di Francesco, vescovo di Millopotamo.
9.
1516, febbraio 29 venerdì, indizione IV,
anno III del pontificato di Leone X
Ugo de Spina, giudice deputato delle cause del Palazzo apostolico, è incaricato da papa Leone X di dirimere una vertenza tra Giovanni Battista
35
Giovanni Battista Bonciano fu nominato vescovo di Caserta il 29 ottobre 1514 (G. VAN
GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 155).
36
Vedi nota 35.
37
Francesco Berthelay vescovo di Milopotamo nell’Isola di Creta, fu penitenziere papale
dal 1497 al 1516, vedi F. TAMBURINI, Santi e peccatori... cit., p. 202 nota 4.
38
Leonardo Grosso della Rovere già vescovo di Agen (diocesi francese) nominato cardinale il 1 dicembre 1505 da Giulio II fu Penitenziere maggiore dal 4 ottobre 1511 (G. VAN
GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 10).
Daniele Mazzolai
26
Gabrielli e il convento di S. Petronilla, dell’ordine di S. Chiara, fuori le mura
di Siena, per un terreno vignato sito nelle Masse di Siena in località Riluogo,
ceduto in affitto dalla badessa del convento al detto Giovanni Battista per il
canone annuo di 44 lire di denari senesi e una libra di cera.
Dato a Roma.
Sigillo pendente deperdito.
10.
1517, maggio 28, anno V del pontificato di Leone X
Papa Leone X incarica il vicario dell’arcivescovo di Siena di esaminare
l’appello di Antonio Lucarini, cappellano dell’altare dei SS. Giacomo e
Filippo nella chiesa di Sant’Angelo di Lucignano 39, relativo a una causa che
lo opponeva a Pietro di Mariano in merito al patronato sulla cappellania
dell’altare. Antonio Lucarini era stato condannato in primo grado dal vescovo
di Arezzo.
Dato a Roma presso San Pietro.
Bolla pendente.
11.
1518, aprile 23, VI anno di pontificato di Leone X
40
Leonardo , cardinale presbitero del titolo di S. Pietro in Vincoli, riceve
la petizione di Salvatore di Domenico, rettore delle chiese parrocchiali di S.
Andrea di Frontignano 41 e S. Biagio a Filetta 42, il quale chiede l’autorizzazione della vendita o permuta di terreni lavorativi, vigneti, oliveti, boschi e
pascoli per il valore di 100 ducati d’oro, di proprietà delle dette chiese
parrocchiali, ma troppo distanti da esse. Il cardinale delega a Marco Pasquali
e Bartolomeo Lazzari, canonici della Cattedrale di Siena, la concessione
dell’autorizzazione alla vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
39
Lucignano in Val di Chiana, detto altre volte Lucignano d’Arezzo (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., II, pp. 919-924).
40
Vedi nota 38.
41
Frontignano (Fruntinianum) in Val di Merse (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit.,
I, p. 346).
42
Filetta in Val di Merse (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., II, p. 144).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
12.
27
1518, novembre 11, anno VI del pontificato di Leone X
Breve di papa Leone X diretto al vicario dell’arcivescovo di Siena, con
cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di
Giovanni, vescovo di Caserta 43. La supplica originariamente acclusa al breve
è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
13.
1519, gennaio 10, anno VI del pontificato di Leone X
Breve di papa Leone X diretto a Marco Pasquali e Girolamo Gabrielli,
canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad
una supplica munita della segnatura di Giovanni, vescovo di Caserta 44. La
supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
14.
1521, ottobre 7, anno IX del pontificato di Leone X
Lorenzo 45, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, accoglie la petizione di Nicola di Giovanni Franceschi, cittadino senese, che
chiede di poter procedere al riscatto della metà di un’abitazione posta in
Siena, presso il popolo di S. Giovanni, a suo tempo venduta alla cappella di
S. Callisto della Cattedrale di Siena, cedendo in cambio al rettore della
cappella una bottega acquistata in Piazza del Campo. Nel rispetto della
costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il
cardinale delega a Camillo di Augero e Marco Pasquali, canonici della
Cattedrale di Siena, la concessione dell’autorizzazione al riscatto.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, ottobre 22.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
43
Vedi nota 35.
44
Vedi nota 35.
45
Lorenzo Pucci già vescovo di Melfi, nominato cardinale il 23 settembre 1513 da Leone
X, fu Penitenziere Maggiore dal 28 settembre 1520 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia
Catholica... cit., III, p. 13).
28
15.
Daniele Mazzolai
1522, ottobre 25, anno I del pontificato di Adriano VI
Papa Adriano VI incarica il vescovo di Pienza e Federico Petrucci, canonico della Cattedrale di Siena, di esaminare l’appello di Giovanni Colombini, dottore in medicina da Fivizzano e abitante in Siena, relativo a una
causa che lo opponeva a Ludovico Brizi in merito a una somma di denaro
non corrisposta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1522, ottobre 30-31.
Bolla pendente deperdita.
16.
1523, gennaio 8, anno I del pontificato di Adriano VI
Papa Adriano VI investe Antonio 46, vescovo di Albano e cardinale di S.
Prassede, della commenda del monastero di S. Michele in Poggio di San
Donato, dell’ordine di Vallombrosa in Siena, rimasta vacante per la morte di
Raffaele Petrucci 47, cardinale presbitero del titolo di S. Susanna. Poiché la
nomina è contestata da Federico Petrucci 48, il papa incarica Girolamo, vescovo di Pienza e Giovanni Tolomei, canonico di Siena, di mandare ad esecuzione quanto sopra e di rendere nulli i pretesi diritti sul detto monastero.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1523 gennaio 22.
Frammento di sigillo impresso in cera rossa.
17.
1523, aprile 18, anno I del pontificato di Adriano VI
Breve di papa Adriano VI diretto a Bartolomeo Lazzari e Federico Petrucci, canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Lorenzo Campeggi 49. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Frammento di sigillo impresso in cera rossa.
46
Antonio Maria (Ciochi) del Monte San Savino fu nominato cardinale al 10 marzo 1511
da Giulio II (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 12).
47
Raffaele Petrucci già vescovo di Grosseto fu nominato cardinale il 1 luglio 1517 da
Leone X (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 15).
48
Federico Petrucci di Siena, conservò il titolo di vescovo di Gallipoli, dopo averne rivestito la carica da 1529 al 1536 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 201).
49
Lorenzo Campegi già vescovo di Feltre fu nominato cardinale il 1 luglio 1517 da Leone X (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 16).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
18.
29
1527, febbraio 25, anno IV del pontificato di Clemente VII
Breve di papa Clemente VII diretto al vescovo di Pienza e a Giovanni
Battista di Girolamo di Simone, canonico senese, con cui il pontefice li
incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della sua personale
segnatura. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato in Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1527 marzo 20.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
19.
1534, aprile 1, anno XI del pontificato di Clemente VII
Antonio 50, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, accoglie la petizione di Lelio Tolomei 51 di Siena, che chiede l’autorizzazione
alla locazione o permuta di un terreno vignato posto a Vignano 52 e di una
bottega posta in Siena nel terzo di Camollia, di fronte alla Loggia della Mercanzia. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni
ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione all’arcidiacono della Cattedrale
di Siena e al vicario generale dell’arcivescovo di Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
20.
1535, luglio 21, indizione VIII, anno I del pontificato di Paolo III
Giovanni Diletto Duranti da Gualdo, giudice della Camera apostolica,
trasmette al cardinale Giovanni Piccolomini 53, vescovo di Ostia e arcivescovo di Siena, e a Francesco Cosci, suo vicario generale, un incartamento
relativo ad una vertenza sorta tra Cosimo Palamsini, familiare del cardinale
Cornaro 54, e ser Oliviero de Gentis, chierico senese.
Dato a Roma.
Sigillo pendente deperdito.
50
Antonio Pucci già vescovo di Pistoia fu nominato cardinale il 22 settembre 1531 da
Clemente VII, fu nominato Penitenziere Maggiore il 1 ottobre 1529, succedendo allo zio
paterno Lorenzo (vedi nota 16), che rinunciò alla carica in suo favore (G. VAN GULIK - C.
EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 21).
51
Si tratta probabilmente di un laico, ma l’informazione non è ricavabile dal testo del documento, che risulta mutilo in corrispondenza del lato superiore sinistro.
52
Vignano delle Masse San Martino in Val d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico...
cit., V, pp. 770-771).
53
Giovanni Piccolomini già vescovo di Siena fu nominato cardinale il 1 luglio 1517 da
Leone X (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 15).
54
Francesco Cornaro patrizio veneto fu nominato cardinale il 20 dicembre 1527 da Clemente VII (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 20).
Daniele Mazzolai
30
21.
1537, aprile 7, anno III del pontificato di Paolo III
Breve di papa Paolo III diretto a Antonio Benzi, canonico di Siena, con
cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura di
Tommaso 55, vescovo di Feltre. La supplica originariamente acclusa al breve
è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1537, aprile 12, giovedì.
Frammento di sigillo impresso in cera rossa.
22.
s.d., sotto il pontificato di Paolo III (1534-1549), post 1538
Rotulo remissorio 56 emanato da Sebastiano Pighini 57, luogotenente di
Giovanni Battista Cicala 58, protonotario apostolico di papa Paolo III, camerlengo del papa e auditore della Camera apostolica, concernente una vertenza
sorta tra Antonio Maria Piccolomini e Francesco Bandini, arcivescovo di
Siena, relativa alla vendita, avvenuta nell’anno 1538 59 di due vacche e altri
animali provenienti dal Lazio.
23.
1539, marzo 11, anno V del pontificato di Paolo III
Antonio 60, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, su
petizione di Lucrezia Bernardini Catani, vedova di Galgano di Francesco
Buoninsegni di Siena, incarica l’arcivescovo di Siena e l’abate del monastero
della Rosa di Siena di annullare il giuramento, con il quale detta Lucrezia è
stata costretta dal marito e da altri a cedere il podere detto di S. Pietro a
Bernardino di Antonio Buoninsegni.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
55
Tommaso Campeggi protonotario apostolico fu nominato vescovo di Feltre il 1 giugno
1520 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 195).
56
La « lettera remissoria », anche solo « remissoria », è la lettera con cui un magistrato
rimette a un altro un atto giuridico.
57
Sebastiano Antonio Pighini già vescovo di Manfredonia fu nominato cardinale il 20
novembre 1551 da Giulio III (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III,
p. 33).
58
Giovanni Battista Cicala già vescovo di Albenga fu nominato cardinale il 30 maggio
1550 da Giulio III (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 33).
59
Sulla stessa vertenza vedi doc. 25.
60
Vedi nota 50.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
24.
31
1539, agosto 6, anno V del pontificato di Paolo III
Antonio 61, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, delega all’arcivescovo di Siena, nel rispetto della costituzione di papa Paolo II
sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, l’approvazione dell’atto di vendita,
con cui il priore e i frati del convento di S. Maria del Monte Carmelo di
Siena hanno ceduto il Poggio al Gallo, posto nel distretto del castello di
Monte Follonico 62, alla confraternita di S. Maria del detto castello, per la
somma di 750 fiorini. L’atto di vendita è contenuto in pubblico istrumento
rogato l’11 giugno 1531 dal notaio ser Ventura di ser Niccolò Montani di
Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1539, agosto 25.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
25.
1540, giugno 9, indizione XIII,
anno VI del pontificato di Paolo III
Sebastiano Pighini 63, luogotenente di Giovanni Battista Cicala 64, protonotario apostolico e auditore della Curia romana, trasmette all’abate Franceschi di Siena e al canonico senese Antonio Benzi una lettera di assoluzione
in favore di Antonio Maria Piccolomini di Siena, relativa ad una vertenza
sorta tra il detto Antonio e l’arcivescovo di Siena, per la vendita di alcune
vacche 65.
Dato a Roma.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1540, giugno 16.
Sigillo in cera rossa pendente.
26.
1540, ottobre 2, anno VI del pontificato di Paolo III
Breve di papa Paolo III diretto a Cosma Simenete 66, canonico della Cattedrale di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica
61
Vedi nota 50.
62
Monte Follonica o Monte Follonico in Val di Chiana (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., III, pp. 392-394).
63
Vedi nota 57.
64
Vedi nota 58.
65
Sulla stessa vertenza vedi doc. 22.
66
Deve trattarsi di Cosma Simonetti (e non « Simenete », come qui erroneamente riportato) canonico senese, nominato anche nei docc. 36, 39, 65.
Daniele Mazzolai
32
munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 67. La supplica
originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Marco.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1540, indizione XIV, ottobre 22.
Sigillo impresso in cera rossa.
27.
1541, maggio 24, anno VII del pontificato di Paolo III
Breve di papa Paolo III diretto all’abate del monastero di S. Maria de la
Rosa di Siena e a Girolamo Berti, canonico della Cattedrale di Siena, con cui
li incarica di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del
cardinale Bartolomeo Guidiccioni 68. La supplica originariamente acclusa al
breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Frammento di sigillo impresso in cera rossa.
28.
1541, agosto 23, anno VII del pontificato di Paolo III
Antonio 69, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, su
petizione della comunità di Chiusdino, nella Diocesi di Volterra, delega a
Niccolò Campani e Niccolò Costanti, canonici della Cattedrale di Siena, nel
rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, l’approvazione dell’atto di vendita con cui Sante Fiorentino, abate
del monastero denominato della Serena, ha ceduto alla detta comunità un
pezzo di terra denominato Salvaticheta e tutti i diritti sui terreni denominati
Bandita de Pastura, posti nella detta diocesi.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1541, indizione XIV, settembre 20.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
29.
1542, novembre 28, anno IX del pontificato di Paolo III
70
Antonio , vescovo di Albano, incarica Antonio Benzi, canonico di Siena di annullare il giuramento prestato da Pandolfo, Scipione, Cornelio, Cal67
Bartolomeo Guidiccioni già vescovo di Teramo fu nominato cardinale il 19 dicembre
1539 da Paolo III (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 27).
68
Vedi nota 67.
69
Vedi nota 50.
70
Vedi nota 50.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
33
listo, Claudio e Ottaviano, figli di Bernardino di Girolamo Borghesi di Siena,
in occasione di una transazione relativa alla società di mercatura a suo tempo
stipulata tra Girolamo Borghesi e Giovanni Tolomei. Secondo quanto dichiarato dai fratelli Borghesi il giuramento era stato estorto con l’inganno.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
30.
1542, dicembre 9, indizione XV,
anno IX del pontificato di Paolo III
Giovanni Battista Cicala 71, protonotario apostolico e auditore della Camera apostolica, invia ai priori e ad altre autorità laiche ed ecclesiastiche
della città di Siena una sentenza di scomunica diretta contro Marco e Lattanzio Agazzari di Siena e ordina di mandare ad esecuzione le relative disposizioni contenute nella lettera monitoria di Francesco Monardi, chierico di
Belley.
Dato a Roma.
Sigillo pendente deperdito.
31.
1542, dicembre 13, anno IX del pontificato di Paolo III
Antonio 72, vescovo di Albano, accoglie la supplica di Pietro Pio di Giacomo de Scarpis di Siena, che chiede, per l’esiguità del prezzo corrisposto,
l’annullamento del contratto con cui il 29 gennaio 1486 il detto Pietro ha
venduto a un certo Paolo del fu Lando Sbargheri 73 alcuni possedimenti
denominati Cotorniano, posti a Belforte 74 nel contado di Siena, con i terreni
annessi, per il prezzo di 370 fiorini. Il cardinale delega l’esecuzione di
quanto sopra ad Antonio Benzi e Francesco Ugurgieri, canonici della Cattedrale di Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
71
Vedi nota 58.
72
Vedi nota 50.
73
Variante del più attestato « Sbrighieri » (vedi M. ILARI, Famiglie. Località. Istituzioni di
Siena e del suo territorio, Siena 2002, pp. 311-312).
74
Belforte di Radicondoli (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., I, p. 292).
Daniele Mazzolai
34
32.
1543, giugno 5, anno IX del pontificato di Paolo III
Antonio 75, vescovo di S. Sabina, accoglie la petizione di Alessandro
Piccolomini 76, vescovo di Pienza e Montalcino e rettore parrocchiale della
chiesa di S. Maurizio in Siena, che chiede l’autorizzazione alla vendita di
una casa del valore di 40 ducati d’oro di proprietà della detta chiesa; i
proventi della vendita serviranno all’acquisto di beni immobili di maggiore
utilità per la chiesa medesima. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II
sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Niccolò Campani e a Bernardino Maccabruni 77, canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1543, ottobre 23.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
33.
1543, luglio 28, anno IX del pontificato di Paolo III
Antonio 78, vescovo di S. Sabina, accoglie la supplica di Prospero di Pietro Giunti, chierico senese, che ha ucciso involontariamente Giovanni di
Spirito detto Giovannone abitante a San Salvatore a Pilli 79, nella Diocesi di
Siena, ed emette in suo favore una sentenza di assoluzione in utroque foro
tam penitentiali quam iudiciali et contentioso. Giovannone aveva aggredito
con un bastone il fratello del chierico Prospero, che sopraggiunto in aiuto era
stato a sua volta colpito con una bastonata. Qualche giorno dopo lo stesso
Giovannone aveva aggredito Prospero in chiesa, durante la celebrazione di
una funzione religiosa e lo aveva percosso sul volto con una candela di cera;
la colluttazione era proseguita all’esterno della chiesa, dove Giovanni diabolico spiritu ductus, dopo aver colpito il chierico con un sasso e aver quasi
ucciso sua madre con un pugno, si era impossessato del pugnale che il
chierico aveva sguainato per legittima difesa. Quindi Giovanni, slanciatosi
con impeto contro l’avversario, era rimasto trafitto da una partigiana, che il
chierico portava con sé per garantirsi dal pericolo di morte. Il cardinale
ordina al vescovo di Gallipoli 80, abitante a Siena, all’arcidiacono e a Sinolfo
Petrucci, canonico della Cattedrale di Siena, di mandare ad esecuzione la
75
Vedi nota 50.
76
Alessandro Piccolomini fu nominato vescovo di Montalcino il 20 novembre 1528 (G.
VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 212).
77
Vedi pp. 11-12.
78
Vedi nota 50.
79
San Salvatore a Pilli in Val d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., IV, p. 28).
80
Vedi nota 48.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
35
sentenza, accordando inoltre al supplicante la richiesta di accedere agli ordini
sacerdotali e di poter svolgere gli uffici sacri.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
34.
1543, agosto 20, anno IX del pontificato di Paolo III
Breve di papa Paolo III diretto a Mariano Bandini e Niccolò Costanti,
canonici della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad
una supplica munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 81.
La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
35.
1544, febbraio 5, anno X del pontificato di Paolo III
Antonio 82, vescovo di S. Sabina, accoglie la petizione di Fabio di Aldello Placidi di Siena, che chiede lo scioglimento di un contratto di vendita e
dei relativi giuramenti, condotti per il tramite di Giovanni Andrea di Mariano
di Ventura, suo procuratore. Con tali giuramenti il detto Fabio aveva accordato la cessione di un podere di sua proprietà con abitazioni e terreni annessi
a Poggio a le Mura 83, in località Colle Alto, nella Diocesi di Siena, a Elisabetta del fu Raffaele Leonetti, vedova di Benedetto di Giovanni Battista
Stellini, come tutrice dei suoi figli e sotto la fideiussione di Giacomo del fu
Alessandro Branconi, per il prezzo di 1100 fiorini da corrispondere nell’arco
dei successivi cinque anni; si chiede di rescindere il contratto per l’esiguità
del prezzo di vendita. Il cardinale delega l’annullamento ad Antonio Benzi e
Niccolò Costanti, canonici della Cattedrale di Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1544, marzo 15 - maggio 7.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
81
Vedi nota 67.
82
Vedi nota 50.
83
Poggio alle Mura fra le valli dell’Orcia e dell’Ombrone. «La contrada dà nome ad una
antica Pieve (San Sigismondo) e ad una villa signorile appartenuta ai signori Placidi di Siena,
situata nel luogo dove fu la rocca di Poggio alle Mura » (E. REPETTI, Dizionario geografico...
cit., IV, p. 490). I possedimenti ricordati nella supplica che Fabio Placiti rivolge all’Ufficio
della Penitenzieria e la località denominata Colle Alto, in cui essi si trovano, si riferiscono
sicuramente alla villa e al luogo qui ricordati.
Daniele Mazzolai
36
36.
1544, febbraio 15, anno X del pontificato di Paolo III
Antonio 84, vescovo di S. Sabina, accoglie la petizione della badessa e
delle monache del monastero di S. Chiara di Siena, che chiedono l’autorizzazione alla vendita di una abitazione di proprietà di detto monastero, posta in
luogo denominato Fiera Vecchia, nella città di Siena, i cui proventi verranno
destinati all’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero.
Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni
ecclesiastici, il cardinale delega ad Antonio Benzi e a Cosma Simonetti,
canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Frammento di sigillo in cera rossa pendente dell’Ufficio della Penitenzieria.
37.
1546, gennaio 16, anno XII del pontificato di Paolo III
Roberto 85, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, accoglie la petizione della badessa e delle monache del monastero dei SS.
Abbondio e Abundanzio, dette di Santa Bonda, posto fuori le mura di Siena,
che chiedono l’autorizzazione all’affitto o vendita di alcuni beni immobili di
proprietà del monastero, i cui proventi verranno destinati all’acquisto di beni
immobili di maggiore utilità per il monastero medesimo. Nel rispetto della
costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il
cardinale delega all’arcidiacono di Montalcino, abitante in Siena, a Niccolò
Campani e Sinolfo Petrucci, canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla locazione in affitto o vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenziaria deperdito.
38.
1546, gennaio 26, anno XII del pontificato di Paolo III
Roberto 86, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, accoglie la petizione della badessa e delle monache del monastero di Ognissanti di Siena, che chiedono l’approvazione dell’atto di vendita a Lattanzio di
Girolamo Dotti di alcuni terreni di proprietà del monastero, posti a Buoncon84
Vedi nota 50.
85
Roberto Pucci già vescovo di Pistoia fu nominato cardinale il 2 giugno 1542 da Paolo
III, fu Penitenziere maggiore dal 17 ottobre 1544 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia
Catholica... cit., III, p. 28).
86
Vedi nota 85.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
37
vento, nel contado di Siena, in località denominata le Mazine, precedentemente affittati a Federico di Angelo Pupi per il canone annuo di sette ducati.
Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni
ecclesiastici, il cardinale delega a Bernardino di Girolamo Maccabruni 87 e a
Giampaolo Sensi, canonici della Cattedrale di Siena, l’approvazione dell’atto
di vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1546, febbraio 26.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
39.
1546, marzo 26, anno XII del pontificato di Paolo III
88
Roberto , cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, accoglie la petizione inviata all’Ufficio della Sacra Penitenzieria presso la Sede
apostolica da Cosma Simonetti, canonico senese e rettore della chiesa parrocchiale di S. Pietro a Ovile di Siena. Nella petizione il canonico dichiara di
avere a suo tempo concesso in enfiteusi con obbligo di trasmissione ereditaria per linea di discendenza maschile a Ludovico di Giovanni di Francesco
Sergardi, nobile senese, alcuni possedimenti appartenenti alla chiesa, chiamati
« l’horto de Ovile » con annessi terreni lavorati e vignati, un pezzo di terra
lavorata presso le mura cittadine, nonché case e edifici vicini a Porta Ovile, a
Ravacciano 89 in Siena, per il canone annuo di dodici scudi e uno staio di
vino buono, con il patto che detto Ludovico potesse successivamente affrancare tali possedimenti dietro adeguato compenso. L’affrancamento è stato
effettuato da quest’ultimo pagando il prezzo dovuto dal canonico Cosma a
Bernardino del maestro Antonio Buoninsegni, per l’acquisto della metà di un
possedimento denominato « Corzarello », posto tra le Masse di Siena a Villa
al Piano, da cedere successivamente in enfiteusi perpetua a detto Bernardino,
con il patto che quest’ultimo potrà affrancare tale possedimento dietro adeguato riscatto. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Francesco Ugurgieri e a
Niccolò Campani, canonici della Cattedrale di Siena, l’approvazione all’affrancamento tramite riscatto e alla successiva locazione in enfiteusi, come
richiesto dai detti Cosma, Ludovico e Bernardino.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
87
Vedi pp. 11-12.
88
Vedi nota 85.
89
Ravacciano nelle Masse di San Martino di Siena (E. REPETTI, Dizionario geografico...
cit., IV, p. 733).
Daniele Mazzolai
38
40.
1546, indizione IV, giugno 18 venerdì,
anno XII del pontificato di Paolo III
Giacomo Del Pozzo 90, auditore delle cause del Palazzo apostolico, è
incaricato da papa Paolo III di trasmettere alle autorità giudiziarie della città
di Siena le deliberazioni relative all’eredità dei beni del fu Crescenzo Turamini.
Dato a Roma.
Sigillo pendente deperdito.
41.
1546, novembre 23, anno XIII del pontificato di Paolo III
Roberto 91, cardinale presbitero del titolo dei SS. Quattro Coronati, accoglie la petizione di Angelo, Pietro e Pasquino Masotti, laici e chierici di
Villa Ancaiano 92, nella Diocesi di Volterra. I predetti sono stati nominati
eredi universali nell’ultimo testamento del fu Giovanni Angelo Masotti, alla
condizione di non vendere o alienare una casetta con annesso un orticello, un
canneto, una vigna semideserta e un pezzo di castagneto del valore di 125
ducati d’oro, facenti parte dell’eredità. La condizione prevede che in caso di
vendita gli eredi siano obbligati a devolvere la casetta e i beni annessi alla
chiesa di S. Bartolomeo di Villa Ancaiano, nei confronti della quale sono
inoltre obbligati ad oblazioni e alla celebrazione di messe in determinati
giorni dell’anno. Gli eredi chiedono di essere liberati dagli obblighi contenuti
nel testamento, accordando al rettore della chiesa di S. Bartolomeo l’assegnazione di alcuni beni immobili e di un certo censo annuo. Il cardinale delega
a Bernardino Maccabruni 93 e a Niccolò Campani, canonici della Cattedrale
di Siena, l’annullamento del vincolo di inalienabilità dei beni predetti e lo
scioglimento dei supplicanti dagli obblighi nei confronti della chiesa di S.
Bartolomeo.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1546, indizione IV, dicembre 16 giovedì.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
90
Giacomo Del Pozzo (de Puteo) già vescovo di Bari fu nominato cardinale da Giulio III
il 20 novembre 1551 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 32)
91
Vedi nota 85.
92
Ancajano o Cajano in Val di Merse, sul dorso della montagnuola di Siena, la cui parrocchia di San Bartolomeo nel piviere dei Santi Giusto e Clemente dipendeva dalla Diocesi di
Volterra (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., I, p. 83).
93
Vedi pp. 11-12.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
42.
39
1547, novembre 22, anno XIV del pontificato di Paolo III
Breve di papa Paolo III diretto al decano senese e all’arcidiacono della
Cattedrale di Montalcino, con cui li incarica di dare esecuzione ad una
supplica munita della segnatura del cardinale Bartolomeo Guidiccioni 94. La
supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Marco.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
43.
1548, maggio 18, anno XIV del pontificato di Paolo III
Breve di papa Paolo III, diretto al decano senese e a Giovanni Moroni,
canonico di Pienza, con cui si ordina di mandare ad esecuzione l’assegnazione a Niccolò Rinino Smiraldi, chierico senese e dottore in medicina, dei
benefici ecclesiastici relativi al giuspatronato delle plebanie di S. Leonardo di
Monticchiello presso Pienza e di S. Maria delle Nevi nella Diocesi di Siena,
illegittimamente occupati da laici a seguito della morte del plebano Pietro
Francesco Cinughi. Si ordina inoltre al decano e al canonico predetti di far
pervenire a detto Niccolò, entro sei mesi dalla presente, la lettera apostolica
relativa all’assegnazione del giuspatronato.
Dato a Roma presso San Marco.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
44.
1548, maggio 23, anno XIV del pontificato di Paolo III
Ranuccio 95, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione del priore dei frati del convento senese di S. Clemente dei Servi di
Maria in Valdimontone, che chiedono l’autorizzazione alla vendita di alcuni
terreni delle dimensioni di 11 staia e del valore di 90 scudi, i cui proventi
verranno destinati alla riparazione della casa e della chiesa del detto convento, per utilità e necessità del convento medesimo. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale
delega a Niccolò Campani e a Bernardino Maccabruni 96, canonici della
Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1548, indizione VI, giugno 13.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
94
Vedi nota 67.
95
Ranuccio Farnese nominato cardinale il 16 dicembre 1545 da Paolo III, fu Penitenziere
maggiore dal 17 febbraio 1547 fino alla morte avvenuta il 29 ottobre 1565 (G. VAN GULIK - C.
EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 30).
96
Vedi pp. 11-12.
Daniele Mazzolai
40
45.
1548, ottobre 11, anno XIV del pontificato di Paolo III
Ranuccio 97, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione di Mariano del fu Niccolò Migliorini di Lucignano 98 in Val di Chiana,
nel dominio di Siena e Diocesi di Arezzo, con cui il supplicante, minore di
anni 20, chiede lo scioglimento dal giuramento a suo tempo prestato con il
consenso del suo tutore per la vendita di beni mobili ed immobili a diverse
persone. Detto Mariano chiede lo scioglimento dal giuramento perché ad esso
indotto con la frode dai compratori e perché enormemente svantaggiato dai
contratti di vendita. Il cardinale Ranuccio delega a Niccolò Capanna 99, canonico senese, e al vicario dell’arcivescovo di Siena la concessione dell’annullamento.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
1548, novembre 2, anno XIV del pontificato di Paolo III 100
46.
Breve di papa Paolo III diretto al precettore di San Rabano di Alberese
nella diocesi di Sovana, all’arcidiacono di Montalcino e a Niccolò
Costanti, canonico della Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare
esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale Bartolomeo
Guidiccioni 102. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
101
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
97
Vedi nota 95.
98
Vedi nota 39.
99
Deve trattarsi senz’altro di Niccolò Campani (e non « Capanna », come qui erroneamente riportato) canonico senese, nominato anche nei docc. 28, 32, 37, 39, 41, 44, 51, 53.
100
La datazione del presente documento si fonda sul presupposto che papa Paolo III sia
stato consacrato il 3 novembre 1534 e non il giorno 1 novembre, come riportato, tra gli altri,
da G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 22. Infatti, se così fosse, il 2
novembre 1548 sarebbe rientrato nel XV e non nel XIV anno di pontificato di Paolo III, mentre
nel breve pontificio si legge chiaramente: « (…) die secunda novembris .MDXXXXVIII. pontificatus nostri anno quartodecimo ». L’oscillazione tra le due date è presente anche nella recente
edizione di A. CAPPELLI, Cronologia Cronografia e Calendario perpetuo, Milano 1998, dove
nell’Elenco cronologico dei papi e degli antipapi (p. 253) tratto dall’Annuario pontificio (come
avvertito a p. 489, nota 13) è riportata la data 3/11/1534, mentre nelle Tavole cronologicosincrone della storia d’Italia (p. 333) figura la data 1/11/1534.
101
Su Alberese (San Rabano) si veda P. CAMMAROSANO - V. PASSERI, Città borghi e castelli dell’area senese-grossetana, Siena 1984, p. 81.
102
Vedi nota 67.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
47.
41
1550, novembre 13, anno I del pontificato di Giulio III
Ranuccio 103, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione di Giacomo Luti di Siena, che chiede lo scioglimento dal giuramento
prestato nell’anno 1545, col quale si impegnava a cedere per cinque anni una
casa posta nella contrada di San Giusto e nel terzo di San Martino in Siena
ad Achille di Antonio Maria Cinughi, dietro fittizio pagamento di una pensione di 120 fiorini, come titolo di interesse per un prestito di 150 fiorini da
questi ricevuto 104. Il cardinale delega lo scioglimento dal giuramento a
Giovanni Battista Simoni, canonico senese, e al vicario dell’arcivescovo di
Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
48.
1550, dicembre 16, anno I del pontificato di Giulio III
Papa Giulio III, a richiesta dei figli ed eredi del fu Angelo del fu Ugo
Ugurgieri, laici senesi, delega all’arcidiacono della Cattedrale di Montalcino
una vertenza, concernente il mancato pagamento di una certa somma dovuta
dalla badessa e dalle monache del monastero di S. Maria Maddalena di
Siena, dell’ordine di S. Agostino, ai detti eredi.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1551, indizione IX, febbraio 19-28.
Bolla pendente deperdita.
49.
1551, agosto 6, anno II del pontificato di Giulio III
Breve di papa Giulio III diretto al vescovo di Pienza e all’arcidiacono
della Cattedrale di Montalcino, con cui li incarica di dare esecuzione ad una
supplica munita della segnatura del cardinale Girolamo Verallo 105. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Marco.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
103
Vedi nota 95.
104
Il valore dell’affitto era di 120 fiorini, ma il Cinughi aveva preteso dal Luti un contratto dove si dichiarava debitore di 150 fiorini. Pertanto il Luti chiede di essere sciolto dal
giuramento per poter rescindere il contratto.
105
Girolamo Verallo già vescovo di Rossano fu nominato cardinale da Paolo III l’8 aprile
1549 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 30).
Daniele Mazzolai
42
50.
1552, maggio 17, anno III del pontificato di Giulio III
Breve di papa Giulio III diretto al vescovo di Pienza, con cui lo incarica
di dare esecuzione ad una supplica munita della segnatura del cardinale
Girolamo Verallo 106. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi
perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo impresso in cera rossa deperdito.
51.
1552, giugno 7, anno III del pontificato di Giulio III
Ranuccio 107, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione di Alessandro Bulgarini, cittadino senese, che chiede l’approvazione
dell’atto di vendita, con cui Niccolò Costanti, rettore parrocchiale della
chiesa di S. Maria Maddalena in Selsina, nel contado di Siena e presso
Castelnuovo Berardenga della Diocesi di Arezzo, ha ceduto al detto Alessandro alcuni beni immobili dietro pagamento di una certa somma, necessaria
per l’acquisto di altri beni immobili di maggiore utilità per la chiesa medesima. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei
beni ecclesiastici, il cardinale delega l’approvazione dell’atto di vendita a
Bernardino Maccabruni 108, Niccolò Campani e Gaspare Minervali, canonici
della Cattedrale di Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1552, indizione X, agosto 4.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
52.
1552, luglio 12, anno III del pontificato di Giulio III
Ranuccio 109, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la richiesta di Vincenzo di Giovanni del Teco da Montenero 110, laico della
Diocesi di Pienza, che chiede lo scioglimento del matrimonio contratto con
Feliciana, figlia di Giovanni, falegname della stessa Diocesi. Secondo i patti
106
Vedi nota 105.
107
Vedi nota 95.
108
Vedi pp. 11-12.
109
Vedi nota 95.
110
Monte Nero, o Montenero in Val d’Orcia (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit.,
III, pp. 447-449).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
43
matrimoniali, Giuditta da Civitella 111, madre della ragazza, aveva garantito
l’illibatezza della figlia; è stato quindi stipulato il matrimonio con formulario
di rito e dono dell’anello 112. Successivamente il detto Vincenzo si è recato
una notte nella casa delle due donne, trovandole in compagnia di alcuni
uomini adulteri e avendo subito maltrattamenti da questi ultimi è fuggito
dall’abitazione rinunciando al proposito di consumare il matrimonio. Avendo
inoltre constatato che la detta Feliciana è già stata deflorata prima del dono
dell’anello, chiede lo scioglimento dalla promessa e la facoltà di unirsi in
matrimonio con un’altra donna. Il cardinale ordina al vescovo di Pienza o al
suo vicario generale di convocare la donna, accertare se quanto asserito dal
supplicante corrisponde a verità e deliberare sulla concessione a quest’ultimo
della facoltà di unirsi in matrimonio con un’altra donna, dalla quale possa
avere figli legittimi.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1552, settembre 9.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
53.
1552, ottobre 8, anno III del pontificato di Giulio III
Papa Giulio III accoglie la petizione di Eufrasia, vedova del fu Niccolò
Vieri di Siena, e delega all’abate del monastero di S. Michele in Poggio,
della città o Diocesi di Siena, e ad Antonio Benzi, canonico della chiesa di
Siena, una vertenza presentata in seconda istanza a Gaspare Minervali e
Niccolò Campani, canonici della Cattedrale di Siena, concernente il mancato
pagamento di una somma di denaro o quantità di frumento dovuta a detta
Eufrasia dalla badessa e dalle monache del monastero di San Lorenzo in
Siena, dell’ordine di San Benedetto. La detta Eufrasia si appella all’autorità
della Sede apostolica opponendosi alla sentenza promulgata dai due canonici
in favore della badessa.
Dato a Roma presso San Pietro.
Bolla pendente deperdita.
54.
1553, dicembre 7, anno IV del pontificato di Giulio III
Ranuccio 113, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione del priore e dei frati del convento senese di S. Clemente dei Servi di
111
Civitella dell’Ardenghesca o Civitella di Maremma nella Valle dell’Ombrone senese
(E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., I, p. 741).
112
Sulle fasi che caratterizzano le trattative matrimoniali qui ricordate e, più in generale,
su questo documento vedi pp. 15-16.
113
Vedi nota 95.
Daniele Mazzolai
44
Maria in Valdimontone, della regola di S. Agostino, che chiedono l’autorizzazione alla vendita di una casetta posta in Siena presso il monastero, per
l’utilità del monastero medesimo. Nel rispetto della costituzione di papa
Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega al vescovo di Pienza e Montalcino, residente in Siena, e Angelo Bardi e Bernardino
Maccabruni 114, canonici della Cattedrale di Siena, l’autorizzazione alla vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1544, gennaio 19.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
55.
1554, dicembre 15, anno V del pontificato di Giulio III
Ranuccio 115, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione di Nanni di Biagio da Sarteano, chierico della Diocesi di Chiusi e
rettore della cappella della Presentazione di S. Maria Vergine, posta nella
Cattedrale di Siena, il quale chiede, per l’utilità della cappella e con il
beneplacito della Sede apostolica, l’autorizzazione a concedere in enfiteusi
una casa posta in Siena presso la cappella medesima a Gabriele o Bartolomeo Gucci, farmacista senese, per il canone annuo di 12 ducati d’oro. Nel
rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione a Niccolò Costanti e a Scipione
Bandini, canonici della Chiesa di Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
56.
1555, giugno 17, anno I del pontificato di Paolo IV
Ranuccio 116, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione della badessa e delle monache del monastero detto di Vita Eterna,
dell’ordine di S. Domenico in Siena, che chiedono, per utilità del monastero,
l’autorizzazione a concedere in enfiteusi vitalizia una casa distrutta posta in
Siena nel terzo di S. Martino e nel vico di S. Giusto, presso il detto monastero, a Fabrizio di Giovanni di Francesco Tolomei, cittadino senese, per il
canone annuo di 12 fiorini. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II
sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione al
114
Vedi pp. 11-12.
115
Vedi nota 95.
116
Vedi nota 95.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
45
decano di Siena, all’arcidiacono della Cattedrale di Montalcino e al vicario
generale dell’arcivescovo di Siena.
Dato in Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1555, indizione XIII, luglio 6.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
57.
1558, indizione I, agosto 13, anno IV del pontificato di Paolo IV
Paolo Odescalchi, protonotario apostolico, camerlengo del papa, auditore
generale delle cause della Camera apostolica e giudice ordinario, riceve da
papa Paolo IV la delega ad esaminare l’appello di Niccolò del fu Alessandro
Venturi e Dionora del fu Francesco Petrucci, moglie di Giovanni del fu
Girolamo Turamini ed erede universale del fu Alessandro Venturi, figlio di
primo letto avuto dal fu Fabio Venturi, suo primo marito, riguardo ad una
sentenza pronunciata ad istanza di Virginia Martini, relativa alla successione
di una certa quantità di denaro e alla consegna di alcuni libri. Il procuratore
di Virginia Martini si presenta in giudizio e alla presenza dell’avvocato della
parte avversa chiede e ottiene da Paolo Odescalchi una lettera compulsoria 117
diretta a tutti gli abati, priori, preposti, decani, arcidecani e altre autorità
laiche ed ecclesiastiche della città di Siena, affinché consegnino qualsiasi
documento in loro possesso, relativo alla causa in corso, al fine di appurare
la verità dei fatti.
Dato in Roma.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1558, agosto 19-20.
Sigillo pendente deperdito.
58.
1558, settembre 17, anno IV del pontificato di Paolo IV
Papa Paolo IV su richiesta del guardiano e dei frati del convento di S.
Francesco di Montalcino, dell’ordine dei frati Minori conventuali, delega a
Sallustio Poscio, canonico della Cattedrale di Montalcino, e al vicario generale del vescovo di Montalcino, la risoluzione di una causa intentata dai detti
frati contro Cesare Tinelli di Montalcino, precedente guardiano del convento,
che si era appropriato di beni immobili per il valore di più di mille fiorini.
Nel 1535 aveva abbandonato l’abito senza una ragione legittima e aveva
utilizzato i suddetti beni per la fondazione di una cappellania presso l’altare
117
La lettera compulsoria è l’atto con cui un giudice richiede a un altro giudice di fornire
copie autentiche di atti o documenti esistenti nei suoi archivi giudiziari.
Daniele Mazzolai
46
di S. Biagio, posto nella Cattedrale di Montalcino. Il guardiano e i frati
rivendicano i diritti su tale cappellania e pertanto si appellano al papa.
Dato a Roma presso San Pietro.
Bolla pendente deperdita.
59.
1559, giugno 30, anno V del pontificato di Paolo IV
Papa Paolo IV, a richiesta della badessa e delle monache del monastero
di S. Marta di Siena, dell’ordine di S. Agostino, incarica Gaspare Minervali e
Scipione Fondi, canonici della Cattedrale di Siena, di esaminare l’appello di
una causa che opponeva le dette monache a Gregorio di Sebastiano di
Andrea da San Gimignano per una somma di denaro non corrisposta. In
primo grado la causa era stata giudicata dal vicario generale dell’arcivescovo
di Siena e dal giudice preposto della Cattedrale di Siena, che avevano emesso una sentenza in favore del detto Gregorio.
Dato a Roma presso San Pietro.
Bolla pendente deperdita.
60.
1559, settembre 11,
sede pontificia vacante per la morte di Paolo IV
Guido Ascanio Sforza 118 da Santa Fiora, cardinale diacono di S. Maria
in Via Lata e camerlengo di Santa Romana Chiesa, riceve la petizione delle
monache del monastero di S. Petronilla di Siena che, ridotte in condizione di
povertà a seguito degli eventi bellici, hanno acquistato per la loro sussistenza
da Galgano di Galgano Pallagrossa, laico senese, quattro moggia di grano per
il prezzo di quarantotto scudi. In pagamento del grano le monache cedono a
Galgano — tramite Pio di Pietro Paolo Andreucci, laico senese — un pezzo
di terra lavorativa dello stesso valore. Tale terreno misura circa otto staia, ha
un casalino ed è ubicato nei pressi di Siena, a Santa Maria a Tressa, già
nelle Masse di Siena. La cessione del terreno è sottoposta a patto di riscatto
da parte delle dette monache. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II
sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega a Gaspare Minervali da Pienza e Angelo di Cristoforo Bardi, canonici senesi, l’autorizzazione
alla vendita.
Dato a Roma presso la Camera apostolica.
Sigillo pendente deperdito.
118
Guido Ascanio Sforza fu nominato cardinale da Paolo III il 18 dicembre 1534, fu camerarius S.R.E. dal 22 ottobre 1537 fino alla morte avvenuta il 6 ottobre 1564 (G. VAN GULIK C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 23 e p. 81).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
61.
47
1561, indizione IV, febbraio 5,
anno II del pontificato di Pio IV
Guido Ascanio Sforza 119 da Santa Fiora, cardinale diacono di S. Maria
in Via Lata e camerlengo di Santa Romana Chiesa, accoglie la petizione di
Cesare del fu Bernardino Bagnai, cittadino senese, nella quale si ricorda che
il priore e i frati del monastero di S. Maria del Carmine della città di Siena
non avendo altro modo per poter acquistare buoi e altri animali necessari per
coltivare le proprie terre, hanno venduto al detto Cesare un pezzo di terra di
rendita annua di cinque ducati. Nel rispetto delle costituzioni dei papi Paolo
II, Paolo IV e di altri pontefici sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il
cardinale delega ad Antonio Benzi, decano, e Antonio Borghesi, canonico
della Cattedrale di Siena, l’approvazione del contratto di vendita.
Dato a Roma presso la Camera apostolica.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1561, indizione IV, febbraio 22 sabato.
Sigillo pendente deperdito.
62.
1561, marzo 21, anno II del pontificato di Pio IV
Guido Ascanio Sforza 120 da Santa Fiora, cardinale diacono di S. Maria
in Via Lata e camerlengo di Santa Romana Chiesa, su mandato di papa Pio
IV attesta con lettera patente sigillata dell’Ufficio del Camerariato che papa
Paolo IV è deceduto in data 18 agosto 1559.
Dato a Roma presso la Camera apostolica.
Sigillo pendente deperdito.
63.
1561, aprile 18, anno II del pontificato di Pio IV
Ranuccio 121, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la petizione di Galgano di Alberto di Pasciuto, rettore della cappellania di San
Sebastiano, posta nella Cattedrale di Siena. Il detto Galgano chiede, per
utilità della cappella, l’autorizzazione all’acquisto di una proprietà denominata le Fontanelle da un certo Niccolò Ugolino al prezzo di trecento scudi, a
patto rivenderla entro un quinquennio. Nel rispetto della costituzione di papa
Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autoriz119
Vedi nota 118.
120
Vedi nota 118.
121
Vedi nota 95.
Daniele Mazzolai
48
zazione all’arcivescovo di Siena o al suo vicario generale e al decano della
Cattedrale di Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1561, maggio 19.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
64.
1561, giugno 14, anno II del pontificato di Pio IV
Breve di papa Pio IV, diretto all’abate del monastero dei SS. Filippo e
Giacomo della città e Diocesi di Siena e a Cosma Campana, canonico della
Cattedrale di Siena, con cui li incarica di dare esecuzione ad una supplica
munita della segnatura del cardinale Giacomo Del Pozzo 122. La supplica
originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Marco.
Sigillo impresso deperdito.
65.
1561, settembre 30, anno II del pontificato di Pio IV
Ranuccio 123, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, riceve la petizione di Guglielmo di Antonio Celli, rettore parrocchiale della chiesa di S.
Giorgio a Papaiano, nella Diocesi di Siena, con la quale il detto Guglielmo
ricorda che Cosma Simonetti, suo predecessore, ha venduto a Clemente
Ugurgieri, chierico senese, un pezzo di terra scarsamente fruttifera e di scarsa
utilità per la chiesa al prezzo di 350. La somma è stata depositata presso
persone fidate; volendo il detto Guglielmo utilizzare trecento venti fiorini
della somma depositata per l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità
per la chiesa e i rimanenti trenta fiorini per la costruzione di una casa utile
alla chiesa medesima, chiede l’autorizzazione alla Sacra Penitenzieria. Nel
rispetto della costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione al vescovo di Siena o al suo
vicario generale e al decano della Cattedrale di Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1561, indizione IV, dicembre 16.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
122
Vedi nota 90.
123
Vedi nota 95.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
66.
49
1562, indizione V, maggio 15 venerdì,
anno III del pontificato di Pio IV
Gaspare Groppero, camerlengo del papa e deputato delle cause del Palazzo apostolico, invia a Federico Petrucci 124, arcidiacono della Cattedrale di
Siena, e a Raffaele Costanti, arcidiacono della Cattedrale di Montalcino, una
lettera apostolica, contenente disposizioni in merito alla vertenza sorta tra
Maso Masi e Ascanio Ranucci per il beneficio ecclesiastico di S. Regolo di
Monterotondo, nella Diocesi di Massa, con relativi frutti, rendite ed emolumenti.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo in cera rossa pendente.
67.
1563, agosto 19, anno IV del pontificato di Pio IV
Ranuccio 125, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, accoglie la
supplica della badessa e delle monache del convento di S. Maria dei Servi
detto delle Mantellate, della regola di S. Agostino, posto presso la Porta di
San Viene, nella città di Siena. Le religiose chiedono l’autorizzazione alla
vendita di un podere distrutto durante il recente assedio, posto nelle Masse di
Siena, a maestro Lorenzo pittore e a suo fratello Callisto muratore, figli di
Cristofano di Siena, per il prezzo di 325 fiorini, da utilizzare per l’acquisto
di beni immobili di maggiore utilità per il monastero. Nel rispetto della
costituzione di papa Paolo II sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il
cardinale delega all’arcivescovo di Siena o al suo vicario generale e al
decano della Cattedrale Siena l’autorizzazione alla vendita.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1564, gennaio 18.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
68.
1564, indizione VII, gennaio 26 mercoledì,
anno V del pontificato di Pio IV
Lettera remissoria 126 inviata da Pomponio Cotta, auditore delle cause del
Palazzo apostolico e luogotenente di Gabriele Paleotto 127, auditore, al vicario
generale dell’arcivescovo di Siena e a Deifebo, arcipresbitero della Cattedrale
124
Vedi nota 48.
125
Vedi nota 95.
126
Vedi nota 56.
127
Gabriele Paleotto auditore di Rota fu nominato cardinale il 12 marzo 1565 da Pio IV
(G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, pp. 41-42).
Daniele Mazzolai
50
di Siena, su petizione della comunità e del popolo di Volterra, riguardo alla
restituzione di beni spettanti all’ospedale di S. Giacomo di Altopascio posto
nel territorio di Volterra.
Dato a Roma.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1564, febbraio.
Sigillo pendente deperdito.
69.
1564, indizione VII, aprile 5, anno V del pontificato di Pio IV
Instrumentum prorogationis inviato da Pomponio Cotta, auditore delle
cause del Palazzo apostolico e luogotenente di Gabriele Paleotto 128, auditore,
al vicario generale dell’arcivescovo di Siena e a Deifobo, arcipresbitero della
Cattedrale di Siena, in relazione alla vertenza di cui alla lettera remissoria 129
del 26 gennaio 1564, concernente la restituzione di beni spettanti all’ospedale
di S. Giacomo di Altopascio posto nel territorio di Volterra.
Dato a Roma.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati e trascrizione di atti relativi al
procedimento, 1564, indizione VII, aprile 17-29.
Sigillo pendente deperdito.
70.
1564, agosto 4, anno V del pontificato di Pio IV
Ranuccio 130, cardinale presbitero del titolo di S. Angelo, riceve la petizione della badessa e delle monache dette Clamidate del monastero di S.
Maria dei Servi di Siena, con la quale si ricorda che le dette monache hanno
venduto un podere posto nelle vicinanze di Siena al prezzo di 340 fiorini con
l’autorizzazione della Sede apostolica. La badessa e le monache chiedono ora
l’autorizzazione all’acquisto di beni immobili, necessari per far fronte alle
sopraggiunte difficoltà economiche, utilizzando la somma di denaro ricavata
dalla vendita del podere. Nel rispetto della costituzione di papa Paolo II
sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega l’autorizzazione al
vicario generale dell’arcivescovo di Siena e al decano della Cattedrale di
Siena.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1564, agosto 18.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
128
Vedi nota precedente.
129
Vedi nota 56.
130
Vedi nota 95.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
71.
51
1565, indizione VIII, giugno 29,
anno VI del pontificato di Pio IV
Vitellozzo 131, cardinale diacono di S. Maria in Via Lata, camerlengo di
Santa Romana Chiesa, accoglie la petizione dei frati del convento senese di
S. Clemente dei Servi di Maria in Valdimontone, che chiedono alla Camera
Apostolica l’autorizzazione alla permuta, vendita o locazione di un pezzo di
terra vignata con annessa casetta, danneggiata a causa della guerra, posta a
Vico, in luogo detto lo Scudo, vicino a Siena, della rendita annua di cinque
scudi d’oro, per l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero. Nel rispetto delle costituzioni di papa Paolo II e papa Paolo IV
sull’inalienabilità dei beni ecclesiastici, il cardinale delega al vicario generale
dell’arcivescovo di Siena e all’arcidiacono della Chiesa cattedrale di Siena
l’autorizzazione alla permuta, vendita o locazione.
Dato a Roma presso la Camera apostolica.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1565 agosto 8.
Sigillo pendente deperdito.
72.
1566, marzo 8, anno I del pontificato di Pio V
Carlo 132, cardinale presbitero del titolo di S. Prassede, riceve la petizione di Silvio Rengoni 133 di Siena, con la quale si ricorda che Giolotta vedova
di Pietro Vellanti 134 di Siena e sua figlia Diodata, avendo deciso di entrare
nel monastero della Concezione di S. Maria di Siena, hanno così disposto
sulla quarta parte delle loro doti, con donazione fatta di fronte a un notaio:
Giolotta lascia la porzione di dote a titolo di pegno in favore del detto
Silvio; Diodata lascia i propri beni in favore del fratello Pomponio. In base
ad una convenzione, le due donne hanno inoltre depositato il proprio patrimonio ammontante a 1.400 fiorini presso il detto Silvio, con la condizione
che costui avrebbe corrisposto la cifra di 600 fiorini al monastero entro
quattro anni, pagando frattanto la cifra annua di 25 fiorini e due staia di
grano. Avendo le monache tratto in giudizio il detto Silvio per la mancata
corresponsione dei frutti del patrimonio, quest’ultimo chiede la rescissione
131
Vitellozzo Vitelli nominato cardinale il 15 marzo 1557 da Paolo IV, fu camerarius
S.R.E. dal 17 novembre 1564 al 19 novembre 1568 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia
Catholica... cit., III, p. 36).
132
Carlo Borromeo fu nominato cardinale il 31 gennaio 1560 da Pio IV, fu Penitenziere
Maggiore dal 17 novembre 1564, morì il 3 novembre 1584 (G. VAN GULIK - C. EUBEL,
Hierarchia Catholica... cit., III, p. 37).
133
Variante del più attestato « Rangoni » (vedi M. ILARI, Famiglie. Località. Istituzioni… cit.,
p. 38).
134
p. 38).
Variante del più attestato « Bellanti » (vedi M. ILARI, Famiglie. Località. Istituzioni… cit.,
Daniele Mazzolai
52
dell’istrumento, considerandosi enormemente leso e svantaggiato dalla convenzione in esso contenuta e chiede alla Sede apostolica di essere assolto dal
reato di spergiuro. Il cardinale incarica l’arcidiacono della Cattedrale di
Montalcino di esaminare la petizione e di deliberare in merito.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1566, aprile 2.
Sigillo pendente dell’Ufficio della Penitenzieria deperdito.
73.
1571, maggio 24, anno VI del pontificato di Pio V
Papa Pio V riceve la petizione delle monache dette Clamidate del monastero di S. Francesco di Siena, dell’ordine di S. Francesco, che chiedono la
ratifica dell’atto di vendita con cui hanno ceduto alcuni beni immobili a
Scipione di Guido Savini, laico senese, per il prezzo di 300 fiorini. Detti
beni consistono in un pezzo di terra delle dimensioni di circa cinque staia,
posto nelle Masse di Siena, a Viticano 135, in luogo detto Poggiarello e un
altro pezzo di terra delle stesse dimensioni con esso confinante e posto in
luogo detto Befonti. La somma ricavata dalla vendita sarà utilizzata per
l’acquisto di beni immobili di maggiore utilità per il monastero. Nel rispetto
della costituzione di papa Paolo II emanata l’11 maggio 1465 relativa
all’alienazione dei beni ecclesiastici, il pontefice delega la ratifica all’arcidiacono della Cattedrale di Siena e al vicario dell’arcivescovo.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1571, agosto 2.
Bolla pendente deperdita.
74.
1574, gennaio 15, anno II del pontificato di Gregorio XIII
Breve di papa Gregorio XIII, diretto a Galgano Pasciuti, canonico della
Cattedrale di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica
munita della segnatura di Giulio 136, cardinale di Acquaviva. La supplica
originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo impresso in cera rossa.
135
Si tratta forse di Vitignano di Cerreto Ciampoli altrimenti detto a Cerreto in Val
d’Arbia (E. REPETTI, Dizionario geografico... cit., V, p. 793).
LIK
136
Giulio di Acquaviva fu nominato cardinale il 17 maggio 1570 da Pio V (G. VAN GU- C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 44).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
75.
53
1575, febbraio 25, anno III del pontificato di Gregorio XIII
Breve di papa Gregorio XIII, diretto a Ottavio Piesia, canonico della
Cattedrale di Siena, con cui lo incarica di dare esecuzione ad una supplica
munita della segnatura del cardinale Alessandro Sforza 137. La supplica originariamente acclusa al breve è oggi perduta.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo impresso in cera rossa.
76.
1582, indizione X, ottobre 29,
anno XI del pontificato di Gregorio XIII
Lettera remissoria 138 inviata da Ippolito Aldobrandini 139, auditore delle
cause del Palazzo apostolico, a Lepido Piccolomini e ad altre autorità ecclesiastiche della città di Siena, cui viene delegata una causa tra Rutilio Bichi,
nobile senese, e il cardinale Commendone 140, commendatario del monastero
di S. Galgano, riguardo al possesso di beni il cui valore è superiore ai 2000
scudi 141.
Dato a Roma presso San Pietro.
Sigillo in cera rossa pendente.
77.
1588, indizione I, ottobre 10,
anno IV del pontificato di Sisto V
Guido Pepulo 142, tesoriere e collettore della Reverenda Camera apostolica, chiede a Ferdinando de’ Medici, granduca di Toscana, al governatore e
capitano di giustizia della città di Pistoia, al suo luogotenente e ad altri
giudici e ufficiali di costringere il cavaliere Bernardino Lattanzi, figlio del
137
Alessandro Sforza di Santa Fiora già vescovo di Parma fu nominato cardinale il 12
marzo 1565 da Pio IV (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 41).
138
Vedi nota 56.
139
Ippolito Aldobrandini fu Auditor Rotae, nominato cardinale il 18 dicembre 1585 da Sisto V divenne Penitenziere Maggiore il 12 giugno 1586, salì al soglio pontificio con il nome di
Clemente VIII il 30 gennaio 1592 (G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III,
p. 51).
140
Giovanni Francesco Commendone fu nominato cardinale il 12 marzo 1565 da Pio IV
(G. VAN GULIK - C. EUBEL, Hierarchia Catholica... cit., III, p. 41).
141
Una copia della lettera remissoria è conservata in AAS, Cause delegate 5648, n. 294,
contenente l’incartamento relativo ad una lite sorta tra i figli ed eredi di Rutilio Bichi e il
cardinale Commendone (cfr. p. 21).
142
Guido Pepulo fu nominato cardinale da Sisto V il 20 dicembre 1589.
Daniele Mazzolai
54
defunto vescovo di Pistoia Lattanzio Lattanzi, a pagare alla Camera apostolica 150 scudi di moneta romana, come decima sui beni del defunto vescovo.
La somma deve essere corrisposta tramite Annibale Sinibaldo, procuratore
del vescovo Canobio 143, nuovo nunzio apostolico di Toscana e subcollettore
della Camera Apostolica.
Dato a Roma.
Sigillo pendente deperdito.
78.
1591, indizione IV, giugno 26 mercoledì,
anno I del pontificato di Gregorio XIV
Serafino Olivario-Razalio 144, camerlengo del papa e auditore delle cause
del Palazzo apostolico riceve da papa Gregorio XIV la delega ad esaminare
l’appello di Emilio Ugurgieri e dei suoi fratelli, nobili senesi, riguardo ad
una vertenza sorta tra i predetti e l’arcivescovo di Siena, relativa alla rescissione di un contratto di affitto e locazione di alcuni poderi. L’auditore invia
una lettera remissoria 145 ad Antonio Cocco, abate di S. Galgano, e ad altri
giudici delegati, affinché esaminino la documentazione relativa alla causa in
oggetto 146.
Dato a Roma nella chiesa di Santa Maria della Pace.
Sigillo pendente deperdito.
79.
1591, indizione IV, agosto 12,
anno I del pontificato di Gregorio XIV
Francesco Mantica 147, camerlengo del papa, auditore delle cause del Palazzo apostolico e luogotenente del defunto Marcello Bubali, auditore della
143
Giovanni Francesco Mazza di Canobio, già vescovo di Forlì, fu nunzio presso Francesco de’ Medici dall’agosto 1587, morì a Firenze nell’aprile 1589 (G. VAN GULIK - C. EUBEL,
Hierarchia Catholica… cit., III, p. 198; Dizionario biografico degli italiani, 18, Roma, 1975,
p. 156).
144
Serafino Olivario-Razalio (Oliver-Razali) già patriarca di Alessandria d’Egitto e Auditor Rotae fu nominato cardinale il 9 giugno 1604 da Clemente VIII (P. GAUCHAT, Hierarchia
Catholica... cit., IV, Padova 1967, p. 7).
145
Vedi nota 56.
146
Sulla stessa vertenza vedi docc. 79 e 80.
147
Francesco Mantica fu Auditor Rotae, nominato cardinale da Clemente VIII il 5 giugno
1596 divenne camerlengo del Sacro Collegio il 13 gennaio 1614 (P. GAUCHAT, Hierarchia
Catholica... cit., IV, p. 5).
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
55
Rota, su richiesta del procuratore di Ascanio Piccolomini, arcivescovo di
Siena, e per delega di papa Gregorio XIV, invia ai giudici e commissari
remissoriali una lettera di proroga, in relazione a una precedente lettera
remissoria 148 inviata da Serafino Olivario-Razalio 149, decano della Sacra
Rota, riguardo ad una vertenza sorta tra l’arcivescovo Ascanio Piccolomini
ed Emilio Ugurgieri e i suoi fratelli, nobili senesi 150.
Dato a Roma.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1591, agosto 26.
Sigillo pendente deperdito.
80.
1591, indizione IV, settembre 9,
anno I del pontificato di Gregorio XIV
Francesco Mantica 151, camerlengo del papa, auditore delle cause del Palazzo apostolico e luogotenente del defunto Marcello Bubali, auditore della
Rota, su delega di papa Gregorio XIV invia all’abate Cocco e a Bernardo
Malavolti, canonico senese, un’ulteriore lettera di proroga per l’esecuzione di
quanto contenuto nella lettera remissoria 152, a suo tempo inviata da Serafino
Olivario-Razalio, auditore della Rota, ai predetti giudici delegati, relativamente ad una vertenza sorta tra Emilio Ugurgieri e i suoi fratelli, nobili senesi, e
Ascanio Piccolomini, arcivescovo di Siena 153.
Dato a Roma.
Sigillo pendente deperdito.
81.
1591, settembre 13, anno I del pontificato di Gregorio XIV
Breve di papa Gregorio XIV, diretto a Scipione Bandini, decano della
Chiesa cattedrale di Siena, su petizione di Caterina moglie di Giovanni Fabi,
camerlengo del papa. Nel rispetto della forma stabilita dal Concilio di Trento
e secondo quanto stabilito nel Concilio indetto da papa Bonifacio VIII, il
pontefice delega l’esame dell’appello relativo ad una sentenza pronunciata
dal nunzio apostolico presso Ferdinando, granduca di Toscana, contro la
148
Vedi nota 56.
149
Vedi nota 144.
150
Sulla stessa vertenza vedi docc. 78 e 80.
151
Vedi nota 147.
152
Vedi nota 56.
153
Sulla stessa vertenza vedi docc. 78 e 79.
Daniele Mazzolai
56
supplicante, in favore di Antonio Buoninsegni, canonico senese e rettore
della chiesa di S. Lorenzo de Caglianuzzo, per una causa relativa al possesso
di una abitazione e di altri beni.
Dato a Roma presso San Marco.
Sul verso: Notifica del mandato ai giudici delegati, 1591, ottobre 16.
Sigillo impresso in cera rossa.
82.
1595, indizione VIII, maggio 6,
anno IV del pontificato di Clemente VIII
Francesco Mantica 154, camerlengo del papa e auditore delle cause del
Palazzo apostolico, riceve da papa Clemente VIII la delega ad esaminare
l’appello contro la sentenza di annullamento del matrimonio tra Fulvia
Guidarelli da Montorgiali, nella diocesi di Sovana, e Adriano del fu Lorenzo
Giuliani, cittadino senese, pronunciata in favore di quest’ultimo. L’auditore,
su richiesta della donna, invia a tutte le autorità ecclesiastiche e civili della
diocesi di Sovana una citazione di comparizione in giudizio nei confronti del
detto Adriano, con l’obbligo di produrre tutta la documentazione in suo
possesso relativa alla causa in corso.
Dato a Roma.
Sigillo in cera rossa pendente.
83.
1633, indizione I, agosto 3,
anno X del pontificato di Urbano VIII
Marco Antonio Franciotti 155, protonotario apostolico, referendario di segnatura e auditore generale delle cause della Camera apostolica, a richiesta di
Ippolito e Muzio Venturini di Pesaro invia una lettera compulsoria 156 alle
autorità giudiziarie, affinché si solleciti il mancato pagamento di un censo
dovuto ai predetti per certi beni di loro proprietà, da parte di Elisabetta
Edentule, monaca del monastero di San Ludovico di Orvieto.
Dato a Roma.
154
Vedi nota 147.
155
Marco Antonio Franciotti fu Referendario di Segnatura e Auditore della Camera Apostolica, il 28 novembre 1633 fu creato cardinale in pectore da Urbano VIII, carica pubblicata il
30 marzo 1637 (P. GAUCHAT, Hierarchia Catholica... cit., IV, p. 24).
156
Vedi nota 117.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
84.
57
1707, indizione XV, maggio 31,
anno VII del pontificato di Clemente XI
L’abate Antonio Maria Lombardo, vicario generale di Giacomo Falconetti, vescovo di Grosseto, concede al chierico grossetano Giuseppe, figlio
del fu Antonio Balmerini, il beneficio ecclesiastico della chiesa e plebania di
Santa Caterina in Batignano e i benefici spettanti agli eredi di Giacoma,
figlia del fu Pietro Giovanni da Batignano e moglie del fu Emilio Gironi.
Dato a Grosseto.
Sigillo pendente deperdito.
Daniele Mazzolai
58
INDICE DEI NOMI DI PERSONA E DI LUOGO *
Acquaviva Giulio di, card., 74.
Belley, diocesi di (Francia), 30.
Adriano VI (Adriano Florisz), 15, 16, 17.
Benzi Antonio, can., 21, 25, 29, 31, 36,
53, 61.
Agazzari
- Lattanzio, 30
Bernardini Catani Lucrezia, 23.
- Marco, 30.
Berthelay Francesco, vescovo, 8.
Albano (RM), 29, 31.
Berti Girolamo, can., 27.
Alberese (GR), diocesi di Sovana, 46.
Bertinoro (FO), diocesi di, 5
Aldobrandini Ippolito, card., vedi Clemente VIII.
Bichi Rutilio, 76.
Altopascio (LU), diocesi di Volterra, 68,
69.
Ancaiano (Sovicille, SI), 41.
Bonciano Giovanni Battista, vescovo, 6,
7, 12, 13
Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), 81.
Borghesi
Andreucci Pio di Pietro Paolo, 60.
- Antonio, can., 61.
Antonio di Paolo, 4.
- Bernardino, 29.
Arezzo, 10, 45, 51.
- Callisto, 29.
- Claudio, 29.
Bagnai Cesare, 61.
- Cornelio, 29.
Balmerini Giuseppe, 84.
- Girolamo, 29.
Bandini
- Ottaviano, 29.
- Francesco, vescovo, 22.
- Pandolfo, 29.
- Mariano, can., 34.
- Scipione, 29.
- Scipione, can., 55, 81.
Borromeo Carlo, card., 72.
Bardi Angelo, can., 54, 60.
Branconi Giacomo, 35.
Bartolomeo di Giovanni di Matteo, 8.
Brizi Ludovico, 15.
Batignano (GR), 84.
Bubali Marcello, 79, 80.
Belforte (Radicondoli, SI), 31.
Bulgarini Alessandro, 51.
———————
Belley, diocesi di (Francia), 30.
Buonconvento (SI), 6, 38.
I numeri che seguono i nomi di persona e di luogo corrispondono a quelli dei singoli
Benzi* Antonio,
can., 21, 25, 29, 31, 36,
Buoninsegni
regesti. Nel presente indice compaiono le seguenti abbreviazioni: can. = canonico; card. =
53, 61.
- Antonio, can., 81.
cardinale; top. = toponimo.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
Buonconvento (SI), 6, 38.
Cornaro Francesco, card., 20.
Buoninsegni
Cosci Francesco, 20.
- Antonio, can., 81.
59
- Bernardino, 23, 39.
Coschine e Coscona (oggi Castelnuovo
Berardenga, SI), diocesi di Siena, 4.
- Galgano, 23.
Costanti
- Niccolò, can., 28, 34, 46, 51, 55.
- Raffaele, 66.
Canobio Giovanni Francesco Mazza di,
vescovo, 77.
Cotta Pomponio, 68, 69.
Callisto di Cristofano, 67.
Cotoni Gaspare, can., 1.
Camillo di Augero, can., 14.
Campana
- Cosma, can., 64.
Campani
- Niccolò, can., 28, 32, 37, 39, 41,
44, 45, 51, 53.
Campeggi
De Gentis Oliviero, chierico, 20.
Deifobo, arcipresbitero, 68, 69.
Del Pozzo Giacomo (de Puteo) card., 40,
64.
De Scarpis Pietro Pio, 31.
De Spina Ugo, 9.
- Lorenzo, card., 17.
Dotti Lattanzio, 38.
- Tommaso, vescovo, 21.
Duranti Giovanni Diletto, 20.
Caserta, 7, 12, 13.
Castelnuovo Berardenga (SI), diocesi di
Arezzo, 51.
Edentule Elisabetta, monaca, 83.
Celli Guglielmo, 65.
Fabi
Chiusdino (SI), diocesi di Volterra, 28.
- Caterina, 81.
Cicala Giovanni Battista, card., 22, 25, 30.
- Giovanni, 81.
Cinughi
- Achille, 47.
Falconetti Giacomo, vescovo, 84.
- Antonio Maria, chierico, 5.
Farnese Ranuccio, card., 44, 45, 47, 51,
52, 54-56, 63, 65, 67, 70.
- Pietro Francesco, 43.
Federico da Buonconvento, can., 6.
Ciochi (Ciocchi) del Monte San Savino
Antonio Maria, card., 16.
Civitella (GR), diocesi di Siena, 52.
Clemente VII papa (Giulio de’ Medici),
18.
Clemente VIII papa (Ippolito Ildobrandini), 76, 82.
Feliciana di Giovanni, 52.
Feltre (BL), 21.
Ferdinando I de’ Medici, granduca di
Toscana, 77, 81.
Filetta (Sovicille, SI) diocesi di Siena, 11.
Fivizzano (MS), diocesi di Pontremoli, 15.
Cocco Antonio, abate, 78, 80.
Fondi Scipione, can., 59.
Colombini Giovanni, 15.
Franceschi
Commendone Giovanni Francesco, card.,
76.
- abate, 25.
- Nicola, 14.
Daniele Mazzolai
60
Franciotti Marco Antonio, card., 83.
Frontignano (SI), diocesi di Siena, 11.
Lattanzi
- Bernardino, 77.
- Lattanzio, vescovo, 77.
Gabrielli
- Giovanni Battista, 9.
- Girolamo, 13.
Lazzari Bartolomeo, can., 6, 11, 17.
Leone X papa (Giovanni de’ Medici), 6,
7, 9, 10, 12, 13.
Galgano di Alberto di Pasciuto, 63.
Leonetti Elisabetta, 35.
Gallipoli (LE), 33.
Lombardo Antonio Maria, abate, 84.
Giovanni Andrea di Mariano di Ventura,
35.
Lorenzo di Cristofano, 67.
Giovanni Battista di Girolamo di Simone, can., 18.
Lucignano (AR) diocesi di Arezzo, 10, 45.
Lucarini Antonio, cappellano, 10.
Luti Giacomo, 47.
Giovanni di Spirito detto Giovannone,
33.
Gironi
- Emilio, 84.
- Giacoma, 84.
Giuditta da Civitella, 52.
Giuliani Adriano, 82.
Giulio II papa (Giuliano Della Rovere),
1, 2, 3, 4, 5.
Maccabruni Bernardino, can., 32, 38, 41,
44, 51, 54.
Malavolti Bernardo, can., 80.
Mantica Francesco, card., 79, 80, 82.
Martini Virginia, 57.
Masi Maso, 66.
Masotti
Giulio III papa (Giovanni Ciocchi Del
Monte), 48, 49, 50, 53.
- Angelo, 41.
Giunti Prospero di Pietro, 33.
- Pasquino, 41.
Gregorio di Sebastiano di Andrea da San
Gimignano, 59.
- Pietro, 41.
Gregorio XIII papa (Ugo Boncompagni),
74, 75.
Gregorio XIV papa (Nicolò Sfondrati),
78, 79, 80, 81.
- Giovanni Angelo, 41.
Massa, 66.
Masse di Siena (oggi Siena), 9, 39, 60,
67, 73.
Mende (Francia), diocesi di, 1.
Groppero Gaspare, 66.
Migliorini Mariano, 45.
Grosseto, 84.
Millopotamo (Creta), diocesi di, 8.
Grosso Della Rovere
Minervali Gaspare, can., 51, 53, 59, 60.
- Clemente card., 1.
Monaldi Francesco, can., 4, 7.
- Leonardo Grosso, card., 8, 11.
Monardi Francesco, chierico, 30.
Gucci Bartolomeo (o Gabriele), 55.
Guidarelli Fulvia, 82.
Guidiccioni Bartolomeo, card., 26, 27,
34, 42, 46.
Montalcino (SI), diocesi di, 32, 37, 42,
48, 49, 54, 56, 58, 66, 72.
Montani Ventura, 24.
Montefollonico (Torrita di Siena, SI), 24.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
Montenero (Casteldelpiano, GR) diocesi
di Pienza e Montalcino, 52.
Monterotondo Marittimo (GR), diocesi di
Massa, 66.
Monticchiello (SI) diocesi di Pienza, 43.
Montorgiali (Scansano, GR), diocesi di
Sovana, 82.
Moroni Giovanni, can., 43.
61
Piccolomini
- Alessandro, vescovo, 32.
- Antonio Maria, 22, 25.
- Ascanio, vescovo, 79, 80.
- Giovanni, card., 20.
- Girolamo, vescovo, 16.
- Lepido, 76.
Piesia Ottavio, 75.
Nanni di Biagio, 55.
Niccolò Ugolino, 63.
Pienza (SI), diocesi di., 7, 8, 15, 16, 18,
32, 43, 49, 50, 52, 54, 60.
Pietro di Mariano, 10.
Pietro Francesco, abate, 5.
Odescalchi Paolo, 57.
Olivario-Razalio (Oliver-Razali) Serafino,
card., 78, 79, 80.
Orvieto (TR), 83.
Pighini Sebastiano Antonio, card., 22, 25.
Pio IV papa (Giovanni Angelo Medici),
62, 64.
Pio V papa (Antonio Ghislieri), 73.
Pistoia, 77.
Palamsini Cosimo, 20.
Paleotto Gabriele, card., 68, 69.
Pallagrossa Galgano, 60.
Paolo II papa (Pietro Barbo), 14, 19, 24,
28, 32, 36, 37, 38, 39, 44, 51, 54, 55,
56, 60, 61, 63, 65, 67, 70, 71, 73.
Paolo III papa (Alessandro Farnese), 21,
22, 26, 27, 34, 40, 42, 43, 46.
Paolo IV papa (Gian Pietro Carafa), 57,
58, 59, 61, 62, 71.
Papaiano (Poggibonsi, SI), 65.
Placidi Fabio, 35.
Poggio alle Mura (Montalcino, SI) diocesi
di Siena, 35.
Poscio Sallustio, can., 58.
Pucci
- Antonio, card., 19, 23, 24, 28, 29,
31, 32, 33, 35, 36.
- Lorenzo, card., 14.
- Roberto, card., 37, 38, 39, 41.
Pupi Federico, 38.
Pasciuti Galgano, can., 74.
Pasquali Marco, can., 4, 7, 11, 13, 14.
Ranucci Ascanio, 66.
Pepulo Guido, card., 77.
Rengoni (Rangoni) Silvio, 72.
Pesaro, 83.
Ricomanno da Venafro, 3.
Petrucci
- Angelo, vescovo, 5.
Salvatore di Domenico, rettore parrocchiale, 11.
- Dionora, 57.
San Gimignano (SI), 59.
- Federico, vescovo, 15, 16, 17, 33,
66.
San Giorgio Giovanni Antonio di, card.,
2.
- Raffaele, card., 16.
San Salvatore a Pilli (Sovicille, SI) diocesi di Siena, 33.
- Sinolfo, can., 33, 37.
Daniele Mazzolai
62
Santa Fiora (GR), 60, 61, 62.
Tommaso Brunello, can., 5.
Sante Fiorentino, abate, 28.
Turamini
Sarteano (SI), diocesi di Chiusi, 55.
- Crescenzo, 40.
Savini Scipione, 73.
- Giovanni, 58.
Sbargheri (Sbrighieri) Paolo, 31.
Tuscolo (Monte Porzio Catone, RM), 2.
Sensi Gianpaolo, can., 38.
Sergardi Ludovico, 39.
Sforza
Ugurgieri
- Angelo, 48.
- Alessandro dei conti di Santa Fiora,
card., 75.
- Clemente, 65.
- Guido Ascanio dei conti di Santa
Fiora, card., 60, 61, 62.
- Francesco, can., 31, 39.
- Emilio, 78, 79, 80.
Siena, passim.
- Camollia (terzo di), 19.
Vellanti (Bellanti)
- Fiera Vecchia, 36.
- Diodata, 72.
- le Fontanelle (top.), 63.
- Giolotta, 72.
- l’horto de Ovile (top.), 39.
- Pietro, 72.
- Loggia della Mercanzia, 19.
- Pomponio, 72.
- Piazza del Campo, 14.
Venafro (IS), 3.
- Porta di San Viene, 67.
Venturi
- Porta Ovile, 39.
- Alessandro, 57.
- San Giovanni (popolo di), 14.
- Fabio, 57.
- San Martino, terzo di, 47, 56.
- Niccolò, 57.
Signorino di Paolo, 4.
Venturini
Simonetti Cosma, can., 26, 36, 39, 65.
- Ippolito, 83.
Simoni Giovanni Battista, 47.
- Muzio, 83.
Sinibaldo Annibale, 77.
Verallo Girolamo, card., 49, 50.
Smiraldi Niccolò Rinino, 43.
Vico d’Arbia (SI), 71.
Sovana (Sorano, GR), diocesi di, 46, 82.
Vieri
Stellini Benedetto, 35.
- Eufrasia, 53.
- Niccolò, 53.
Tinelli Cesare, 58.
Vignano (SI), diocesi di Siena, 19.
Tolomei
- Fabrizio, 56.
Vincenzo di Giovanni « del Teco » da
Montenero, 52.
- Giovanni, can., 1, 16, 29.
Vitelli Vitellozzo, card., 71.
- Lelio, 19.
Volterra (PI), 28, 41, 68, 69.
Il Diplomatico Marchesi dell’Archivio di Stato di Siena
63
INDICE DEGLI ENTI *
Abbazia di S. Galgano, 76, 78.
Abbazia di S. Rabano (Alberese, GR),
46.
Monastero della Concezione di S. Maria
(Siena), 72.
Monastero detto della Serena nella diocesi di Volterra, 28.
Chiesa di S. Lorenzo « de Caglianuzzo »
(Castelnuovo Berardenga, SI), 81.
Monastero detto di Vita Eterna (Siena),
56.
Confraternita di S. Maria (Montefollonico, SI), 24.
Monastero di Ognissanti (Siena), 38.
Convento agostiniano di S. Clemente dei
Servi di Maria (Valdimontone, SI),
44, 54, 71.
Monastero di S. Francesco (Montalcino,
SI), 58.
Convento di S. Maria del Monte Carmelo (Siena), 24.
Monastero di S. Chiara (Siena), 36.
Monastero di S. Francesco detto delle
« Clamidate » (Siena), 73.
Convento di S. Petronilla (Siena), 9, 60.
Monastero di S. Ludovico (Orvieto, TR),
83.
Convento francescano di S. Maria dei
Servi detto delle « Mantellate » o
« Clamidate » (Siena), 67, 70.
Monastero di S. Maria del Carmine
(Siena), 61.
Monastero agostiniano di S. Maria Maddalena (Siena), 48.
Monastero agostiniano
(Siena), 59.
di
S.
Marta
Monastero benedettino di S. Lorenzo
(Siena), 53.
Monastero di S. Maria della Rosa
(Siena), 23, 27.
Monastero vallombrosano di S. Michele
in Poggio di San Donato (Siena), 16,
53.
Ospedale di S. Giacomo (Altopascio,
LU), 68, 69.
Monastero benedettino di S. Maria « de
Urano » (Bertinoro, FO), 5.
Monastero dei SS. Abbondio e Abundanzio detto delle monache di Santa
Bonda (Siena), 37.
Monastero dei SS. Filippo e Giacomo
(Siena), 64.
Parrocchia di S. Andrea (Frontignano,
SI), 11.
Parrocchia di S. Bartolomeo (Ancaiano,
SI), 41.
Parrocchia di S. Biagio (Filetta, SI), 11.
———————
Monastero della Concezione di S. Maria
* I numeri che seguono le denominazioni degli enti corrispondono a quelli dei singoli
(Siena), 72.
regesti.
64
Daniele Mazzolai
Parrocchia di S. Maria Maddalena in
Selsina nel contado di Siena e diocesi
di Arezzo, 51.
Pievania di S. Caterina (Batignano, GR),
84.
Parrocchia di S. Maurizio (Siena), 32.
Pievania di S. Leonardo (Monticchiello,
SI), 43.
Parrocchia di S. Pietro « a Ovile » (SI),
39.
Pievania di S. Maria delle Nevi nella
diocesi di Siena, 43.
L’UFFICIO DEL GENIO CIVILE DI PISA E IL SUO ARCHIVIO *
SOMMARIO: 1. Istituzione degli Uffici del genio civile; 2. L’organizzazione del
territorio pisano; 3. Servizio di bonifica; 4. Servizio stradale; 5. Viabilità ferroviaria e
tranviaria; 6. Assetto dell’Ufficio tra il 1889 ed i primi anni del Novecento; 7. Servizio idraulico; 7.1 Consorzi idraulici e Ufficio dei fiumi e fossi; 7.2. Concessioni,
derivazioni d’acque pubbliche, contravvenzioni; 7.3. Servizio di piena e servizio
idrografico; 8. Ufficio speciale del genio civile per la sistemazione dell’Arno e dei
suoi affluenti; 9. Navigazione interna e Canale navigabile Pisa-Livorno; 10. Edifici
demaniali, universitari, monumentali, di culto; 11. Servizio di vigilanza sulle opere
eseguite dagli enti locali; 12. Servizio marittimo; 13. Esecuzione di opere pubbliche
dello Stato; 14. Assetto dell’Ufficio tra il 1938 ed il 1946; 15. L’archivio dell’Ufficio
del genio civile. APPENDICE.
1. Istituzione degli Uffici del Genio Civile. — Questo lavoro nasce dal
riordinamento dell’archivio dell’Ufficio del genio civile di Pisa e vuole essere
guida e strumento di consultazione, avendo per oggetto la storia — intrecciata
strettamente a quella del territorio — ed il funzionamento dell’Ufficio nel
–––––––––—
*
Oltre ai testi citati in nota sono stati utilizzati anche i seguenti lavori: ARCHIVIO DI STAFIRENZE, La Toscana dei Lorena nelle mappe dell’Archivio di Stato di Praga. Memorie ed
immagini di un granducato. Catalogo e mostra documentaria. Firenze, 31 maggio - 31 luglio
1991, Roma, UCBA, 1991; D. BARSANTI, Documenti geocartografici nelle biblioteche e negli
archivi privati e pubblici della Toscana. 1. Le piante dell’Ufficio dei fiumi e fossi di Pisa,
Firenze, Olschki, 1987; G. BASSO - F. GARRI, Genio civile, in Novissimo digesto italiano, VII,
pp. 774-780; A. BELLINI - PIETRI, Guida di Pisa con 53 illustrazioni e una pianta, Pisa, Bemporad, 1913; L. BORTOLOTTI, La Maremma settentrionale. 1738-1970. Storia di un territorio,
Milano, Angeli, 1976; C. CACIAGLI, Rettifiche e varianti del basso corso dell’Arno in epoca
storica, in « L’Universo », XLIX (1969), 1, pp. 134-162; G. CANDELORO, Storia dell’Italia
moderna. V. La costruzione dello Stato unitario, Milano, Feltrinelli, 1978; B. CASINI, Inventario
dell’archivio dell’Amministrazione provinciale, Pisa, Amministrazione provinciale di Pisa, 1972;
M. COZZI - F. NUTI - L. ZANGHERI, Edilizia in Toscana dal Granducato allo Stato unitario, a
cura di M. COZZI, Firenze, Edifir, 1992; C. CRESTI, La Toscana dei Lorena. Politica del
territorio e architettura, Firenze, Banca toscana, 1987; C. CRESTI - L. ZANGHERI, Architetti e
ingegneri nella Toscana dell’Ottocento, Firenze, UNIEDIT, 1978; Documenti geocartografici
nelle biblioteche e negli archivi privati e pubblici della Toscana. 2. I fondi cartografici dell’Archivio di Stato di Firenze. I - Miscellanea di piante, a cura di L. ROMBAI, D. TOCCAFONDI, C.
TO DI
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
66
Rosalia Amico
periodo che va dalla sua istituzione nel 1861 al primo quarantennio circa del
Novecento 1. Una storia che all’inizio si presentava incerta e lacunosa poiché
VIVOLI, Firenze, Olschki, 1987; P. FERRARI, Le infrastrutture di trasporto della Toscana
occidentale, Pisa, ETS, 1995; F. GARRI, Lavori pubblici, in Enciclopedia del diritto, XXIII, pp.
307-326; G. GIORGINI, Relazione sullo stato del bonificamento delle Maremme toscane nel luglio
del 1863, a S.E. il ministro dell’Agricoltura industria e commercio, del comm. Gaetano Giorgini,
Firenze, Bettini, 1863; F. GIUNTINI, Leopoldo e il treno. Le ferrovie nel Granducato di Toscana
(1824-1861), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1991; Imago et descriptio Tusciae. La
Toscana nella geocartografia dal XV al XIX secolo, a cura di L. ROMBAI, Firenze, Giunta
regionale toscana, 1993; Immagini di una provincia. Economia, società e vita quotidiana nel
pisano tra l’Ottocento e il Novecento, a cura di G. MENICHETTI, Tirrenia (Pisa), Del Cerro,
1993; A. MELIS - G. MELIS, Architettura pisana dal Granducato lorenese all’Unità d’Italia, Pisa,
ETS, 1996; La Pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R.
MAZZANTI, Roma, Società geografica italiana, 1994; E. NATONI, Le piene dell’Arno e i provvedimenti di difesa, Firenze, Le Monnier, 1944; R. NIERI, Amministrazione e politica a Pisa
nell’età della destra storica, Milano, Giuffrè, 1971; L. NUTI, Pisa, progetto e città (1814-1865),
Pisa, Pacini, 1986; MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, UFFICIO SPECIALE PER LE FERROVIE, Le
concessioni di Ferrovie all’industria privata. Relazione presentata dal Ministro on. Gianturco
alla Camera dei Deputati nella seduta 9 febbraio 1907, I, Parte generale, Roma, Cooperativa
tipografica Manuzio, 1907; Mostra storica dell’unificazione amministrativa italiana. 1865-1965.
Guida alla mostra, Firenze - Palazzo Pitti, 10 ottobre-30 novembre 1965, Firenze, Tipografia
nazionale, 1965; Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di
unificazione Firenze, 10-12 ottobre 1965; Le opere pubbliche, 1. I lavori pubblici, a cura di A.
M. SANDULLI, Vicenza, Pozza, 1967; G. PANSINI, L’inserimento della Toscana nello Stato
unitario, in La Toscana nell’Italia unita. Aspetti e momenti di storia toscana. 1861-1945,
Firenze, Unione regionale delle province toscane, 1962, pp. 15-57; Pisa, a cura di C. CACIAGLI,
Pisa, Cursi, 1970 e 1973; R. ROMANELLI, Centralismo e autonomie, in Storia dello Stato italiano
dall’Unità a oggi, a cura di R. ROMANELLI, Roma, Donzelli, 1995, pp. 125-186; Statistica della
Provincia di Pisa. 1863, [a cura di L. TORELLI], Pisa, Nistri, 1863; R. SANTORO, La costruzione
del Ministero dei lavori pubblici nelle carte del Genio civile di Roma, in « Rassegna degli
Archivi di Stato », (XLVII) 1987, 1, pp. 103-122; A. SERPIERI, La legge sulla bonifica integrale
nel primo anno di applicazione. Prefazione di G. ACERBO, Roma, Istituto poligrafico dello Stato,
1931; E. SIGHIERI, Fiumi. Navigazione Interna. Bonifiche, Pisa, Successori Nistri, 1914; D.
STERPOS, Le strade di grande comunicazione della Toscana verso il 1790, Firenze, Sansoni,
1977; E. TOLAINI, Forma Pisarum. Storia urbanistica della città di Pisa, problemi e ricerche,
Pisa, Nistri-Lischi, 1979; E. TOLAINI, Pisa, Roma-Bari, Laterza, 1992; A. ZAGLI, Il lago e la
Comunità. Storia di Bientina, un « castello » di pescatori nella Toscana moderna. Firenze,
Polistampa, 2001.
Le foto a corredo dell’articolo sono state eseguite presso l’Archivio di Stato di Pisa da
Giuseppe Maltana.
1
L’archivio dell’Ufficio del genio civile di Pisa è conservato presso l’Archivio di Stato di
Pisa dove è giunto in due distinti versamenti, uno, di pochi pezzi archivistici, effettuato nel 1957,
l’altro, comprendente la quasi totalità del fondo, effettuato nel 1986. Sull’assetto dell’archivio
dell’Ufficio del genio civile di Pisa ci si soffermerà più diffusamente in un’altra parte di questo
lavoro. Occorre precisare che, a seguito del riordinamento operato presso l’Archivio di Stato, il
fondo ha ricevuto una numerazione « aperta » per serie, ciò al fine di consentire in futuro una più
facile collocazione all’interno di queste della documentazione appartenente all’archivio e tuttora
in possesso degli uffici che del Genio civile hanno ereditato le competenze. Nelle citazioni dei
documenti, oltre che al numero delle unità archivistiche, si farà perciò sempre riferimento alle
serie e, dove possibile, anche al numero dei fascicoli. Occorre inoltre accennare al fatto che i
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
67
nell’archivio pervenutoci i documenti precedenti il 1886 risultavano esigui e
frammentari. Nel 1861 confluirono nel Corpo reale del genio civile, che
assunse il titolo di Corpo reale del Genio civile del Regno d’Italia, il Corpo
degli ingegneri d’acque e strade delle province toscane e quelli degli ingegneri di ponti e strade delle province napoletane e siciliane 2. Fu con il provvedimento del 1861 che il Genio civile, nato come organismo tecnico di uno stato
regionale, assunse ormai rilevanza nazionale. Il Corpo era stato istituito da
Vittorio Emanuele I re di Sardegna nel 1816 3. In quell’anno infatti, al fine di
provvedere ai lavori pubblici di pace e di ottenere un miglioramento del
sistema delle comunicazioni fra le diverse Province del regno « tanto per
acqua che per terra » 4, venne aggiunta al Corpo del genio militare una classe
di ingegneri civili. Con successivo provvedimento venne disposto che un certo
numero di ufficiali del Genio civile venisse comandato nelle diverse Province
dello Stato « per farvi il servizio de’ Ponti, Strade, Acque e Selve » 5. Nel
1859, con legge del 20 novembre di quell’anno, il Corpo fu posto alle dipendenze del Ministero dei lavori pubblici. La stessa legge fissò le competenze
del Ministero in materia di opere pubbliche 6. Estesa solo in parte, dopo il
1861, all’intero territorio nazionale 7 la legge servì di base a quella fondamentale sui lavori pubblici, emanata il 20 marzo 1865 nel quadro delle leggi per
l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia 8. Secondo quest’ultime al
documenti precedenti al 1886 furono collocati a parte, in seguito ad uno dei riordinamenti operati
dallo stesso Ufficio del genio civile, e costituirono l’« archivio vecchio » dell’Ufficio. I documenti successivi al 1886 o ad essi strettamente correlati furono conservati in un’altra parte
dell’archivio che è ripartita in quarantaquattro classi secondo un titolario di classificazione degli
atti che si riporterà oltre.
2
R. d. 25 lug. 1861, n. 148.
3
Regia patente del 19 mar. 1816, in Raccolta di regii editti, proclami, manifesti ed altri
provvedimenti di magistrati ed uffizi, Torino, Darico e Picco, 1816, V, pp. 131-133.
4
Ibidem.
5
« Determinazioni di S. M. relative all’organizzazione del Corpo Reale del Genio », 1°
maggio 1816, art. 27, in Raccolta degli atti del governo di S. M. il re di Sardegna dall’anno
1814 a tutto il 1832, Torino, Ferrero-Vertamy e comp., III, 1843, pp. 638-653.
6
L. 20 nov. 1859, n. 3754, in Raccolta delle leggi, regolamenti e decreti. I. Dal giugno a
tutto dicembre 1859, Milano, Vallardi, 1860, pp. 786-847. La legge attribuì al Ministero dei
lavori pubblici competenze in materia di strade, acque pubbliche, canali demaniali, bonifiche,
costruzione e manutenzione di porti spiagge e fari, conservazione di pubblici monumenti d’arte,
ampliamento, miglioramento, manutenzione di edifici pubblici. Nel 1860 le competenze relative
alle bonifiche passarono al Ministero dell’agricoltura, industria e commercio, allora istituito (r. d.
5 lug. 1860, n. 4192).
7
Il 25 agosto 1863 venne annunciata la promulgazione in tutte le Province del Regno della
legge 20 nov. 1859, n. 3754 (l. 25 ago. 1863, n. 1440, art. 5). Qualche mese dopo però venne
ordinata la non estensibilità di molti articoli della stessa legge alle province napoletane, siciliane,
dell’Emilia, delle Marche, dell’Umbria, della Toscana (r. d. 21 ott. 1863, n. 1524).
8
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F. Le principali attribuzioni derivanti in generale agli Uffici del genio civile dalla legge verranno illustrate volta per volta nelle varie parti di questo lavoro.
Rosalia Amico
68
Ministero dei lavori pubblici fu attribuita competenza in materia di strade
(comprese le ferrate), acque pubbliche, costruzione e manutenzione di porti,
spiagge e fari, conservazione di pubblici monumenti d’arte (per la parte
tecnica), edifici pubblici (esclusi quelli dipendenti dalle amministrazioni della
guerra e della marina e quelli che pur appartenendo al patrimonio dello Stato
non servivano ad uso pubblico) telegrafi (stabilimento, manutenzione ed
esercizio). Allo stesso ministero venne inoltre demandata l’approvazione di
tutti i progetti riguardanti le opere pubbliche. Il nuovo ordinamento sulle
opere pubbliche fissò poi le attribuzioni dello Stato, delle Province 9, dei
Comuni e confermò il ruolo del Genio civile quale organo preposto ai lavori
di competenza dello Stato 10. Per disciplinarne l’attività nel 1863 era intanto
stato emanato un regolamento organico 11. Le norme regolamentari previdero
che il servizio spettante al Genio civile in materia di opere pubbliche potesse
essere svolto da uffici generali e speciali. Al servizio generale dovevano
provvedere uffici centrali stabiliti in ogni città capoluogo di provincia; al
servizio speciale « uffici appositamente istituiti a seconda dei bisogni » 12. Si
trattava cioè di uffici creati per l’assolvimento di compiti particolari. A
dirigere gli uffici generali erano gli ingegneri capo ed il regolamento ne
fissava attribuzioni e doveri 13. La direzione degli uffici speciali poteva essere
Alcuni articoli della legge furono modificati con provvedimenti successivi. Ricordiamo in
particolare la l. 30 mar. 1893, n. 170, che istituì una nuova categoria di opere idrauliche, e la l.
15 giu. 1893, n. 294, il cui art. 2 sostituì gli artt. 322, 362, 363 (riguardanti la gestione amministrativa ed economica dei lavori pubblici) e demandò agli ispettori del genio civile l’approvazione tecnica (prima riservata interamente al Ministero) dei progetti il cui importo non superasse
le 25.000 lire.
9
Le Province che già non li avessero dovevano istituire propri uffici tecnici per disimpegnare il servizio delle opere pubbliche di pertinenza provinciale.
10
« Per l’esercizio delle attribuzioni riflettenti le opere pubbliche, il Ministero dei lavori
pubblici ha nella propria dipendenza il Corpo reale del Genio civile » (l. 20 nov. 1859, n. 3754,
titolo VII, art. 322. Questa disposizione del titolo VII fu mantenuta in vigore dall’art. 366 della
legge del 20 mar. 1865, n. 2248, all. F).
11
R.d. 13 dic. 1863, n. 1599. Il regolamento fu sostituito nel 1889 (r.d. 3 mar. 1889, n.
5997). Nuovi regolamenti furono emanati nel 1893 (r.d. 1° ago. 1893, n. 633) e nel 1894 (r.d. 13
dic. 1894, n. 568). Quest’ultimo restò in vigore fino al 1931 quando fu sostituito con il r.d. 2
mar. 1931, n. 287.
12
13
Ibid., art. 1.
Le principali attribuzioni degli ingegneri capo erano: esercitare un’attiva vigilanza sul
servizio affidato agli impiegati posti alle loro dipendenze; prendere l’iniziativa per ogni provvedimento riguardante lo sviluppo delle comunicazioni, la stabilità degli edifici, la sicurezza del
transito lungo le strade, il perfezionamento di ogni lavoro interessante direttamente lo Stato;
dirigere lo studio dei progetti; dare pareri — su richiesta delle autorità competenti — tanto su
domande di concessione avanzate da privati quanto su questioni insorte tra questi e le pubbliche
amministrazioni in merito alla polizia delle strade e delle acque; intervenire agli incanti ed alle
stipulazioni dei contratti (cui si procedeva negli uffici di Prefettura) per opere da eseguirsi
nell’interesse dello Stato; dare pareri tecnici ai prefetti sul merito di progetti relativi a lavori
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
69
affidata sia ad ingegneri capo sia ad ispettori, istituiti nel giugno del 1863 con
il regolamento per il Consiglio superiore dei lavori pubblici e per le ispezioni
del genio civile 14. Con questo provvedimento agli ispettori, membri del
Consiglio superiore dei lavori pubblici, venne in particolare demandata l’alta
sorveglianza sui servizi affidati agli Uffici del genio civile. A tale scopo
vennero creati dieci Circoli d’ispezione, competenti ognuno su un determinato
numero di province 15. Gli ispettori esercitavano le loro attribuzioni non
soltanto visitando gli Uffici e verificando che il servizio vi si svolgesse in
maniera regolare ma anche dando istruzioni sui principi tecnici da porre alla
base dei nuovi progetti. Avevano inoltre la facoltà di prescrivere variazioni e
miglioramenti sui progetti già predisposti.
2. L’organizzazione del territorio pisano. — La possibilità di articolare
il servizio del Genio civile in uffici generali e in uffici speciali venne a
consolidare in provincia di Pisa un assetto organizzativo che contava ormai
alcuni decenni e che era il frutto delle vicende istituzionali dell’organismo che
in Toscana, fino al 1861, era stato preposto ai lavori pubblici, cioè il Corpo
degli ingegneri d’acque e strade, istituito nel 1825 dal governo granducale per
provvedere sia alle operazioni connesse all’attivazione del catasto toscano sia
a quelle riguardanti la progettazione e direzione dei lavori di acque e strade,
da eseguirsi per conto dello Stato o a carico delle Comunità 16. La struttura
organizzativa del Corpo degli ingegneri d’acque e strade al momento della sua
riunione al Genio civile era caratterizzata infatti nel territorio pisano dalla
presenza di due distinti uffici: il Servizio generale, avente competenza sui
lavori stradali, e l’Ispezione idraulica, preposta esclusivamente ai lavori
idraulici del compartimento. Questi due uffici erano diretti da due ingegneri in
capo di pari grado. Essi avevano alle loro dipendenze gli ingegneri dei tre
distretti in cui era stato diviso il compartimento pisano nel 1849 in base alla
riforma del Corpo degli ingegneri ordinata in quell’anno 17. Per il regolamento
d’interesse provinciale o comunale; fornire alle Prefetture notizie e chiarimenti su tutti gli affari
tecnici interessanti pubbliche amministrazioni o aventi relazione con l’ordine pubblico.
14
R.d. 6 giu. 1863, n. 1320. Il Consiglio superiore era l’organo consultivo del Ministero
dei lavori pubblici. Secondo l’importanza degli affari sui quali era chiamato a dare il voto poteva
deliberare collettivamente (Consiglio generale) o per sezioni. Le sezioni avevano competenze
diverse basate sui diversi rami del servizio dipendente dal Ministero dei lavori pubblici.
15
La competenza sulle province di Livorno, Pisa, Lucca, Firenze, Siena, Grosseto, Arezzo,
e Perugia venne affidata al quinto Circolo d’ispezione. Le circoscrizioni territoriali dei vari
circoli subirono in seguito numerose variazioni.
16
Bandi e ordini da osservarsi nel Granducato di Toscana (d’ora in poi Bandi e ordini),
cod. XXXII, Firenze 1825, n. LXXXIII. Per le attribuzioni e le vicende del Corpo degli ingegneri del compartimento pisano si veda R. AMICO, L’archivio del Corpo degli ingegneri d’acque e
strade del compartimento di Pisa, in « Rassegna degli Archivi di Stato », LV (1995), 1, pp. 9-32.
17
Proclami, decreti, notificazioni e circolari da osservarsi nel Granducato di Toscana...
cit., LVII, Firenze 1849, n. CCLII.
Rosalia Amico
70
di riforma il territorio del Granducato era stato diviso in sette compartimenti.
Il compartimento di Pisa comprendeva anche la città di Livorno con i territori
circostanti e l’isola d’Elba. Il territorio di ciascun compartimento era poi stato
ulteriormente diviso in distretti. Il compartimento pisano era costituito dai tre
distretti di Pisa, Piombino e Volterra. Al territorio di ciascun distretto era
preposto un ingegnere distrettuale. Gli ingegneri distrettuali risiedevano nei
capoluoghi di distretto. La riforma aveva in parte modificato le competenze
degli ingegneri in capo. Restò loro principalmente affidato il servizio relativo
alle strade regie mentre quello inerente le strade provinciali passò agli ingegneri distrettuali ai quali fu attribuito anche l’incarico di redigere le perizie
e dirigere i lavori relativi a più comuni riuniti in consorzio. Essi dovevano
inoltre attendere al servizio connesso ai corsi d’acqua che nel 1828 erano
stati dichiarati di seconda categoria in base al regolamento generale dell’amministrazione dei fiumi e fossi della provincia pisana emanato in quell’anno 18.
Il servizio relativo ai corsi d’acqua dichiarati di prima classe e quello riguardante l’Arno, il Serchio ed i canali più importanti del territorio pisano (canali
navigabili da Pisa a Livorno e da Pisa a Ripafratta), erano invece affidati
direttamente all’Ufficio dell’ingegnere in capo preposto al servizio idraulico 19.
Il passaggio nel Corpo del genio civile degli organismi tecnici preposti ai
lavori pubblici nel territorio pisano fu caratterizzato dunque per alcuni anni,
da una sostanziale continuità. I due ingegneri Evangelista Lombard e Lamberto Mei, a capo nel 1861 rispettivamente del Servizio generale e di quello
speciale idraulico, furono mantenuti nei loro incarichi e nelle loro specifiche
18
Motuproprio del 30 nov. 1828, in Bandi e ordini... cit., cod. XXXV, Firenze 1828, n.
LXV. Il motuproprio aveva stabilito una ripartizione in tre classi dei corsi d’acqua del territorio
pisano. Nella prima classe erano compresi quei corsi d’acqua che « (...) servendo di recipiente ad
un numero considerabile di scoli... » (art. 2) formavano un sistema richiedeva un coordinamento
perfetto negli interventi e quei corsi d’acqua la cui importanza era tale da poter influire sul
benessere di gran parte della provincia. Nella seconda classe dovevano essere compresi i corsi
d’acqua di una certa importanza ma tali tuttavia da richiedere un’assistenza inferiore a quella
necessaria per i corsi d’acqua iscritti nella prima classe. Nella terza classe erano compresi i
rimanenti corsi d’acqua d’importanza puramente locale o che interessavano porzioni assai
limitate della provincia. Il motuproprio contiene anche l’elenco generale dei corsi d’acqua iscritti
nelle varie categorie.
19
Il servizio riguardante l’Arno, il Serchio e i canali più importanti del territorio pisano fu
attribuito all’ingegnere ispettore (poi in capo) del Compartimento fin dal momento dell’istituzione del Corpo degli ingegneri (Bandi e ordini... cit., cod. XXXII, Firenze 1825, n. LXXXIII.
Con l’istituzione dell’Ispezione idraulica del compartimento pisano, avvenuta nel 1840 (ARCHIVIO DI STATO DI PISA, d’ora in poi ASPI, Camera di Soprintendenza comunitativa, filza 786,
affare 91, Motuproprio del 26 settembre 1840) l’ingegnere ispettore ad essa preposto subentrò
all’ingegnere specialmente addetto alla Deputazione generale dei fiumi e fossi della provincia
pisana nelle competenze riguardanti i corsi d’acqua amministrati dalla Deputazione e iscritti nella
prima classe in base al motuproprio del 30 novembre 1828, Bandi e ordini... cit., cod. XXXV,
Firenze 1828, n. LXV. Si veda anche la relazione dell’ingegnere capo L. Mei del 24 marzo
1862, diretta al Ministero dei lavori pubblici (ASPI, Ufficio Genio Civile, d’ora in poi UGC,
Archivio vecchio, « Affari diversi » 86, b. 12, fasc. 2).
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
71
attribuzioni, così come continuarono ad operare gli ingegneri dei tre distretti
di Pisa, Piombino e Volterra. Tra le incombenze dell’ingegnere in capo
addetto al servizio generale del compartimento pisano non vi erano quelle
relative agli edifici civili a carico dello Stato che dal 1849, soppresso lo
Scrittoio delle reali fabbriche, erano stati affidati agli architetti della Sezione
delle fabbriche civili, anch’essi dipendenti dalla Direzione generale delle
acque e strade. Gli architetti di questa Sezione avevano sede a Firenze, Lucca,
Livorno e Siena. Dal 1850 al 1852 i lavori vennero loro affidati secondo « la
distribuzione fattane dal Direttore Generale » del dipartimento d’acque e
strade 20. Dal 1853 in poi il servizio relativo ai fabbricati civili della città di
Pisa fu affidato agli architetti risiedenti a Lucca 21. Tale situazione durò
almeno fino al 1860 22 anno in cui il governo della Toscana soppresse la
Sezione delle fabbriche civili e istituì un ufficio indipendente denominato
Direzione generale dei lavori delle fabbriche civili. Nel novembre del 1862
anche quest’ufficio fu soppresso 23. Le sue competenze tecniche passarono ad
un Ufficio speciale del Genio civile per il servizio dei fabbricati civili e
demaniali istituito a Firenze 24. Questo esercitava le sue attribuzioni sul
territorio toscano servendosi di uffici distaccati in varie sedi tra cui Lucca,
che si occupava anche dei fabbricati civili della città di Pisa 25. Questa situazione perdurò fino al 25 luglio del 1863 quando il Ministero dei lavori pubblici, per semplificare il servizio ed ottenere un’economia di spese, decise
di affidare il servizio relativo ai fabbricati demaniali ai vari uffici provinciali
del Genio civile 26. Nell’ambito di questo provvedimento venne aggregato
all’Ufficio del genio civile di Pisa per il servizio generale il personale
dell’Ufficio pei fabbricati civili e demaniali di Livorno, il quale, continuando
a prestare servizio nella stessa sede, si sarebbe dovuto occupare unicamente
degli edifici della località di residenza. A Livorno, fin dal 1862, era stato
inoltre istituito un Ufficio speciale per il servizio dei porti spiagge e fari delle
province toscane, diretto da un ingegnere capo del Genio civile, ufficio dal
quale fino al 1932 dipesero anche i lavori inerenti al servizio marittimo del
20
Almanacco toscano per l’anno 1850, Firenze, Stamperia granducale, 1850, p. 475.
21
Almanacco toscano per l’anno 1853, Firenze, Stamperia granducale, 1853, p. 522.
22
D. 19 gen. 1860, in Atti del r. governo della Toscana dal primo gennajo al 25 marzo
1860..., Firenze 1860, n. XXXVII.
23
R.d. 23 nov. 1862, n. 1014.
24
R.d. 28 dic. 1862, n. 1079.
25
Si veda la relazione dell’architetto Pistoi, dipendente dall’Ufficio speciale di Firenze e
distaccato a Lucca « per i due circondarj Lucca e Pisa... », ASPI, Prefettura, b. n. 943, affare n.
285, relazione del 5 dicembre 1863 allegata al progetto di stessa data. Le perizie redatte per i
fabbricati civili e demaniali di Pisa negli anni dal 1861 al 1863 sono in parte conservate
nell’archivio della Prefettura cui erano affidati gli adempimenti relativi agli appalti.
26
ASPI, Prefettura, b. 717, affare 960, lettera del 25 luglio 1863.
Rosalia Amico
72
territorio pisano 27. A metà circa del 1863 dipendevano quindi dall’ingegnere
capo per il servizio generale tre uffici distaccati: quello per i fabbricati civili
e demaniali di Livorno e quelli degli ex ingegneri distrettuali di Piombino e
Volterra. Questi ultimi ed in particolare l’ingegnere residente a Piombino (le
attribuzioni dell’ingegnere distaccato a Volterra si riferivano infatti essenzialmente ai fabbricati demaniali ed al servizio stradale), erano sottoposti ad una
duplice dipendenza. Nel servizio stradale e in quello relativo agli edifici
consorziali dipendevano dall’ingegnere preposto al Servizio generale mentre
in relazione al servizio idraulico dipendevano dall’ingegnere preposto all’Ufficio speciale idraulico 28. Nel 1862 questa duplice dipendenza appariva all’ingegnere capo Mei come non compatibile con un pronto e regolare svolgimento del servizio. In una relazione diretta al Ministero dei lavori pubblici Mei
auspicava che il personale del Servizio idraulico fosse separato da quello del
Servizio generale. Lo consigliavano le particolari condizioni della pianura
pisana traversata da due grandi fiumi, l’Arno e il Serchio, da importanti canali
navigabili e da numerosi corsi d’acqua, condizioni che avevano reclamato
sempre « la suprema attenzione del governo » 29. Ad un potenziamento del suo
ufficio mirava anche l’ingegnere Lombard a capo del Servizio generale. Nel
1863 egli propose al Ministero dei lavori pubblici la soppressione dell’ufficio
distaccato di Piombino ed il richiamo all’Ufficio centrale di Pisa dell’ingegnere ivi residente. Lombard sosteneva che il servizio idraulico del territorio
piombinese era di poca importanza e vi si poteva supplire mandando sul
luogo in determinati periodi dell’anno un ingegnere aiutante o un misu27
R.d. 1° giu. 1862, n. 676. Presentando il decreto d’istituzione dell’Ufficio tecnico di Livorno per il servizio dei porti spiagge e fari delle Province toscane il Ministero dei lavori
pubblici giustificò la decisione di attribuire ad un Ufficio speciale l’intero servizio marittimo
della Toscana affermando che i lavori che riguardavano gli altri porti del litorale toscano erano
di lieve importanza e che quindi l’Ufficio speciale di Livorno avrebbe potuto provvedervi con
proprio personale temporaneamente distaccato sui luoghi. Si veda « Collezione celerifera delle
leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1862 ed altre anteriori », XLI (1862), 2,
pp. 1889-1891. Il nuovo Ufficio tecnico subentrò ai diversi uffici tecnici ed amministrativi che
fino ad allora avevano avuto ingerenza nei lavori relativi al nuovo porto di Livorno e agli
architetti dipendenti dalla Direzione generale dei lavori delle fabbriche civili, competenti in
precedenza sul servizio relativo agli altri porti del litorale toscano. Dopo l’attribuzione agli Uffici
del genio civile del servizio delle opere pubbliche di conto dello Stato (l. 20 mar. 1865, n. 2248,
all. F) l’Ufficio speciale di Livorno si configurerà come Ufficio del genio civile (si veda anche la
circolare del Ministero dei lavori pubblici, divisione VI, del 6 aprile 1866, in « Collezione
celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1866 ed altre anteriori »,
XLV, 1866, 1, pp. 105-106, ordinante il passaggio all’Amministrazione dello Stato, e per essa
agli uffici di Prefettura e agli uffici tecnici governativi, ovvero Uffici del genio civile, del
servizio relativo ai porti di prima, seconda e terza classe).
28
La duplice dipendenza degli ingegneri distrettuali derivava da una circolare emanata il
25 giugno 1850 dalla Direzione generale dei lavori d’acque e strade e fabbriche civili (ASPI,
Corpo degli ingegneri d’acque e strade, b. 1).
29
ASPI, UGC, Archivio vecchio, « Affari diversi » 86, b. 12, fasc. 2.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
73
ratore 30. Non fu dello stesso parere l’ingegnere Mei. Egli riteneva importante,
soprattutto dopo le disastrose e recenti alluvioni che si erano verificate anche
nell’isola d’Elba, che la sorveglianza ed il servizio relativo ai corsi d’acqua
del piombinese e a quelli dell’Elba fossero affidati ad un ingegnere residente
in prossimità di quei luoghi. Si oppose quindi al richiamo a Pisa dell’ingegnere distaccato a Piombino 31. In un primo tempo il Ministero dei lavori
pubblici accolse il parere dell’ingegnere Mei ma perdurando l’insistenza
dell’ingegnere Lombard e valutando il risparmio di spese che la soppressione
dell’ufficio di Piombino avrebbe comportato decise, nell’aprile del 1864, di
richiamare a Pisa l’ingegnere distrettuale Piccioli, destinandolo esclusivamente
al Servizio generale 32. Il servizio idraulico dei territori di Campiglia, Piombino e Suvereto e dell’isola d’Elba fu affidato all’Ufficio speciale idraulico di
Pisa che avrebbe dovuto provvedervi col proprio personale 33. Nei primi mesi
del 1864 morì l’ingegnere Lombard. Dopo alcuni mesi di reggenza, affidata
all’ingegnere Ernesto Cerreti, a dirigere il Servizio generale del Genio civile
di Pisa fu chiamato, nel maggio del 1864, l’ingegnere Gaetano Niccoli trasferito dall’Ufficio di Grosseto 34. Verso la fine del 1864 gli ingegneri Niccoli e
Mei avanzarono al Ministero dei lavori pubblici delle proposte per l’articolazione interna degli uffici da essi diretti. Il regolamento del 1863 per il
Corpo del genio civile aveva infatti prescritto la divisione in sezioni degli
uffici generali e speciali. La proposta dell’ingegnere capo del Servizio generale fu approvata dal Ministero dei lavori pubblici nel settembre del 1864 35.
Anche la proposta dell’ingegnere preposto all’Ufficio speciale idraulico fu
30
ASPI, Prefettura, b. 774, affare n. 461, lettera del 4 settembre 1863.
31
Ibid., lettera del prefetto del 9 settembre 1863 diretta al Ministero dei lavori pubblici.
L’ingegnere del distretto di Piombino condivideva con un assistente, dipendente dalla Direzione
idraulica del bonificamento delle Maremme, il servizio idraulico relativo al territorio del distretto,
servizio che era regolato da specifiche disposizioni emanate il 30 aprile 1836 (ASPI, Camera di
soprintendenza comunitativa, filza 574, affare 34), il 16 settembre 1839 (ASPI, Prefettura, filza
66, affare 1601) e l’8 novembre 1850 (ibidem).
32
ASPI, Prefettura, b. 774, affare 461, lettere del Ministero dei lavori pubblici del 5 e 20
aprile 1864.
33
ASPI, Prefettura, b. 775, affare 1205, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 6 ottobre 1864.
34
La consegna del servizio fu accompagnata dalla consegna dell’archivio del servizio generale. Al verbale di consegna è allegato un inventario che ci permette di conoscere la consistenza di un archivio andato in gran parte disperso e che allora era costituito principalmente dai
documenti del Corpo degli ingegneri d’acque e strade del compartimento pisano (ASPI, Prefettura, b. 775, affare 837, inventario allegato al verbale di consegna del servizio del 12 giugno 1863).
35
ASPI, Prefettura, b. 775, affare 1110, lettera del Ministero dei lavori pubblici dell’11
settembre 1864. Non conosciamo esattamente il numero delle sezioni proposto dal Niccoli.
Doveva comunque essere superiore a due perché il Ministero osservò che avrebbe preferito una
ripartizione dei servizi basata soltanto su due sezioni. Due erano infatti i circondari della
provincia di Pisa in base al nuovo ordinamento amministrativo, cioè Pisa e Volterra.
Rosalia Amico
74
approvata dal Ministero 36. Non poté però essere realizzata fino al maggio del
1865 perché l’Ufficio non aveva ingegneri in numero sufficiente a dirigere le
tre sezioni proposte dall’ingegnere Mei 37. Col richiamo a Pisa dell’ingegnere
di Piombino era cessata la deprecata duplice dipendenza degli ingegneri già
distrettuali. Scrivendo al Ministero dei lavori pubblici nell’ottobre del 1864
l’ingegnere Mei lamentava l’insufficienza del personale dipendente dall’Ufficio speciale da lui diretto, al quale era rimasto interamente affidato un servizio che fino ad allora era stato svolto con l’ausilio degli ingegneri distrettuali.
Questi infatti, posti alle dipendenze dell’Ufficio centrale di Pisa, erano stati
del tutto sollevati dal servizio idraulico 38. Nel maggio del 1865 l’Ufficio
speciale ebbe i tre ingegneri che avrebbero dovuto dirigerne le sezioni ma
qualche mese dopo cessò di esistere. Il Ministero dei lavori pubblici, con un
decreto del luglio dello stesso anno, ravvisando la necessità di giungere ad un
riordinamento del servizio tecnico della provincia di Pisa, decise infatti di
sopprimere l’Ufficio speciale idraulico 39. All’ormai unico Ufficio centrale
venne affidato l’intero servizio di acque e strade e fabbricati demaniali della
provincia. Alla direzione fu preposto l’ingegnere capo Gaetano Niccoli,
mentre l’ingegnere Lamberto Mei venne contemporaneamente collocato a
riposo 40. Poco dopo Niccoli ricevette la consegna del servizio e dell’archivio
del Servizio speciale idraulico 41. In base al decreto ministeriale di soppressione dell’Ufficio speciale idraulico l’ingegnere Niccoli avrebbe dovuto provvedere ad una nuova ripartizione interna dei servizi. Egli preferì però attendere
che fossero chiari gli effetti determinati dalla nuova legge sui lavori pubblici 42. Il nuovo ordinamento delle opere pubbliche ebbe conseguenze importanti
sia in materia di competenze dell’Ufficio del genio civile di Pisa, sia nei
riguardi del suo archivio. La legge del 1865 dettò infatti le norme per la
classificazione delle strade distinguendole in nazionali, provinciali, comunali e
vicinali 43. Allo Stato e quindi agli Uffici del genio civile spettava la costru36
Nel documento l’ingegnere Mei tracciava la storia dell’Ufficio da lui diretto, indicando
anche al Ministero le norme particolari che avevano fino ad allora regolato il servizio idraulico
del compartimento pisano (ASPI, UGC, classe XVI, b. 1, fasc. 1, « Progetto e quadro di divisione in Sezioni del Servizio speciale idraulico... », 11 ottobre 1864).
37
ASPI, Prefettura, b. 835, affare 631, lettera del 19 maggio 1865 inviata al prefetto
dall’ingegnere Mei e lettera del Ministero dei lavori pubblici del 23 novembre 1864 e b. 775,
affare 1110, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 23 novembre 1864.
38
ASPI, Prefettura, b. 775, affare 1110, relazione dell’ingegnere Mei del 12 ottobre 1864.
39
ASPI, Prefettura, b. 835, affare 827, decreto del 7 luglio 1865.
40
Ibid., lettera del Ministero dei lavori pubblici del 7 luglio 1865.
41
Ibid., verbale di consegna del 14 agosto 1864. Furono allegati al verbale gli inventari
dell’archivio dell’Ufficio speciale idraulico che comprendeva documenti relativi all’attività svolta
dal 1825 in poi.
42
43
L. 20 mar. 1865, n. 2248, allegato F.
Erano strade nazionali: a) le grandi linee stradali congiungenti direttamente « parecchie
delle città primarie del regno, o queste coi più vicini porti commerciali di prima classe » (art.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
75
zione ed il mantenimento delle strade nazionali mentre la costruzione, sistemazione e conservazione delle strade provinciali passava alle Province che
avrebbero dovuto provvedervi con i propri uffici tecnici. Nei primi tre anni
d’attuazione della legge il personale occorrente alle Province per l’istituzione
degli uffici tecnici avrebbe potuto essere scelto fra quello del Genio civile.
Proprio all’ingegnere capo Niccoli toccò alla fine del 1865 di andare a dirigere il nuovo Ufficio tecnico della Provincia di Pisa 44. Un primo elenco di
strade nazionali fu pubblicato nel novembre del 1865 45. Non vi fu compresa
alcuna delle strade scorrenti in provincia di Pisa. Cessarono così le ingerenze
dell’Ufficio del genio civile di Pisa in materia stradale e lo stesso Ufficio, nei
primi mesi del 1866 46, consegnò all’Ufficio tecnico provinciale parte dei
documenti del proprio archivio riguardanti il servizio stradale ed anche i
documenti prodotti dagli ingegneri distrettuali perché li si ritenne attinenti al
servizio provinciale 47. Intanto alla direzione del Genio civile di Pisa era stato
chiamato l’ingegner Francesco Rinolfi, trasferito da L’Aquila. Valutando il
fatto che l’Ufficio da lui diretto era stato sollevato dal servizio stradale,
l’ingegner Rinolfi decise di proporre al Ministero dei lavori pubblici il ri10); b) quelle che allacciavano le precedenti linee alle grandi linee commerciali degli Stati
limitrofi; c) le grandi strade attraversanti le catene principali delle Alpi e degli Appennini; d)
quelle aventi uno scopo puramente militare. Erano strade provinciali: a) le strade che servivano
alla più diretta comunicazione fra il capoluogo di una provincia e quelli delle Province limitrofe;
b) quelle che dal capoluogo di una provincia conducevano ai capoluoghi dei circondari in cui
essa era divisa; c) quelle che collegavano i capoluoghi di una provincia o di un circondario coi
più importanti e vicini porti marittimi; d) quelle riconosciute di molta importanza per le relazioni
industriali, commerciali ed agricole della provincia o della maggior parte di essa, purché facenti
capo a ferrovie, strade nazionali o ad un capoluogo di circondario della stessa o di un’altra
provincia. Erano strade comunali: « a) quelle necessarie per porre in comunicazione il maggior
centro di popolazione di una comunità col capoluogo del rispettivo circondario e con quelli dei
comuni contigui... » (art. 16); b) quelle esistenti all’interno dei luoghi abitati; c) quelle che dai
maggiori centri di popolazione di un comune conducevano alle rispettive chiese parrocchiali ed
ai cimiteri, o a ferrovie e porti, sia direttamente, sia collegandosi ad altre strade esistenti; d)
quelle che servivano a riunire fra loro le più importanti frazioni di un comune; e) quelle che al
momento della classificazione si sarebbero trovate sistemate e mantenute dai comuni, salve
ulteriori deliberazioni dei Consigli comunali. Erano vicinali tutte le altre strade non iscritte nelle
categorie precedenti e soggette a servitù pubblica.
44
L’ingegnere Niccoli visse questa vicenda come un sopruso determinato da favoritismo
nei confronti del suo successore a capo dell’Ufficio del genio civile di Pisa (ASPI, Prefettura,
b. 1000, affare 308, lettera del 3 marzo 1870 al prefetto). Nonostante la sua nuova destinazione
al Niccoli fu mantenuto l’incarico di dirigere i lavori di restauro della chiesa dei Cavalieri di
Santo Stefano di Pisa, intrapresi quando era ancora a capo del Genio civile, offrendogli con ciò
— secondo quanto egli scrisse al prefetto — quasi una riparazione all’umiliazione infertagli.
45
R. d. 17 nov. 1865, n. 2633.
46
ASPI, Prefettura, b. 977, affare 1900 e b. 1182, lettera dell’ingegnere capo al prefetto,
del 2 agosto 1870.
47
Si veda la lettera dell’ingegnere capo Olinto Citti, del 13 gennaio 1886: « (...) Aboliti
dopo il 1865 i detti ingegneri distrettuali gli atti tutti delle proprie gestioni passarono alle
Province... » (ASPI, UGC, classe XIV bis, b. 1, fasc. 2).
Rosalia Amico
76
chiamo a Pisa dell’ingegnere distaccato a Volterra le cui principali attribuzioni fino ad allora erano state proprio la sorveglianza e direzione dei lavori
stradali e, in via secondaria, degli edifici demaniali 48. Il Ministero accolse la
proposta disponendo il richiamo a Pisa dell’ingegnere Giovanni Veneziani 49.
Cessava così di esistere l’ufficio distaccato di Volterra. Anche l’ufficio
distaccato di Livorno, competente sui fabbricati demaniali di quella città, fu
reso indipendente dal Genio civile di Pisa in quegli stessi mesi. L’ufficio di
Livorno è infatti menzionato ancora nel dicembre 1865 come dipendente da
Pisa in documenti di quella data. Non lo è più in un documento del 14 febbraio 1866 50. Il documento, conservato nell’archivio della Prefettura, doveva
probabilmente servire a comunicare al Ministero la nuova ripartizione dei
servizi operata dall’ingegnere capo Rinolfi all’interno del Genio civile di Pisa.
Rinolfi aveva costituito tre sezioni, ciascuna delle quali avrebbe dovuto essere
composta da un ingegnere e da due aiutanti 51. La mancanza di due aiutanti
rispetto ai sei necessari per dare attuazione al piano, ostacolava i programmi
dell’ingegnere capo 52. Ormai privo dei vari uffici distaccati di Piombino,
Volterra, Livorno, concentrato l’intero servizio in un unico Ufficio centrale, il
Genio civile di Pisa aveva assunto una fisionomia destinata a durare, pur con
la breve parentesi degli anni dal 1921 al 1928 in cui operò nuovamente un
ufficio speciale idraulico (Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno e dei
suoi affluenti).
48
ASPI, Prefettura, b. 912, affare 399, lettera del 24 gennaio 1866.
49
Ibid., lettera del Ministero dei lavori pubblici del 31 gennaio 1866.
50
Ibid., « Affari diversi non registrati », « Quadro dimostrante l’importanza del servizio idraulico e de’ fabbricati... », 14 febbraio 1866. La separazione dall’Ufficio di Pisa dell’Ufficio
distaccato di Livorno fu probabilmente contemporanea all’istituzione in quest’ ultima città di un
autonomo Ufficio del genio civile per il servizio generale, sulla base di quanto previsto dalle
disposizioni regolamentari per il Corpo del genio civile che prevedevano che in ogni città
capoluogo di provincia dovesse risiedere un Ufficio del genio civile.
51
Erano affidati alla prima sezione il Canale Navigabile Pisa-Livorno, il fiume Tora, il
fiume Cornia nel tratto scorrente nelle pianure di Campiglia e Piombino, sette torrenti delle
stesse pianure ed altri quattordici grandi fossi di scolo ed inoltre i fabbricati carcerari di Pisa e
demaniali di Pisa, Volterra e Piombino. Alla seconda sezione erano affidati la riva sinistra e gli
argini dell’Arno, nove torrenti secondari e sessantacinque grandi fossi e scoli posti alla sinistra
dell’Arno e nella parte meridionale della pianura di Pisa ed inoltre i fabbricati demaniali esistenti
nei paesi collocati alla sinistra dell’Arno e nel circondario di Pisa ed il penitenziario di Volterra.
Alla terza sezione spettava il servizio relativo agli argini e alla riva destra dell’Arno, quello
relativo al fiume Serchio, al canale Macinante da Pisa a Ripafratta, alle arginature di cinque
torrenti situati a destra dell’Arno nella pianura settentrionale pisana e di quarantatre fossi e scoli
della stessa pianura. La stessa sezione svolgeva inoltre il servizio relativo ai fabbricati demaniali
dei paesi posti a destra dell’Arno. In seguito, come conseguenza della piena applicazione delle
disposizioni sulle acque pubbliche contenute nella legge del 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F,
l’Ufficio del genio civile di Pisa mantenne una competenza diretta solo sui maggiori fiumi e
corsi d’acqua del territorio pisano. Si veda la parte di questo lavoro dedicata al servizio idraulico.
52
Il personale dell’Ufficio era allora composto dallo stesso ingegnere capo, da tre ingegneri preposti alle sezioni, da tre aiutanti ed un assistente misuratore (che svolgeva però le mansioni
di aiutante) e da un impiegato addetto all’archivio e alla redazione di copie di atti d’Ufficio.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
77
3. Servizio di bonifica. — Agli inizi del 1866 l’organizzazione interna
del Genio civile di Pisa era rivolta principalmente alla gestione del rilevante
servizio idraulico e a quella dei fabbricati demaniali. Nel corso di pochi anni
si determinò un progressivo ampliamento di competenze dell’Ufficio. Un
primo passo in tal senso venne compiuto nel 1870 con l’attribuzione al
Ministero dei lavori pubblici e quindi agli Uffici del genio civile, di tutto il
servizio relativo alle bonifiche che fino a quell’anno era stato gestito da uffici
speciali dipendenti dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, reso
competente in materia di bonifiche fin dall’epoca della sua istituzione 53. Due
importanti bonifiche erano da tempo in corso nel territorio pisano, quella della
Maremma grossetana che si estendeva nei territori di Campiglia e Piombino
appartenenti alla provincia di Pisa, e quella del lago di Bientina 54. La prima
era stata ordinata nel 1828 55. Per stabilirne gli interventi era stato istituito un
ufficio che prese il nome di Ufficio di bonificamento delle Maremme toscane.
Anche per la gestione dei lavori relativi alla bonifica di Bientina, ordinata nel
1852 56, era stato istituito nel 1853 un ufficio denominato Direzione generale
delle opere per l’essiccazione del lago di Bientina 57. A capo dell’ufficio fu
posto Alessandro Manetti, cui era stata affidata la direzione dei lavori di
53
R.d. 5 lug. 1860, n. 4192. La competenza sulla parte tecnica dei lavori di bonificamento
venne attribuita al Ministero dei lavori pubblici dalla legge 20 mar. 1865, n. 2248, allegato F.
54
Per i precedenti della bonifica e per la bibliografia sull’argomento si veda: D. BARSANTI L. ROMBAI, La « guerra delle acque » in Toscana. Storia delle bonifiche dai Medici alla Riforma
Agraria, Firenze, Medicea, 1986.
55
Motuproprio del 27 nov. 1828 in Bandi e ordini... cit., cod. XXXV, Firenze, 1828, n.
LXIV. Nel motuproprio pur non essendo espressamente menzionata la bonifica di Vada viene
però detto che « Comunque le cure della Commissione Idraulico-Economica [quella preposta ai
lavori] siano per ora principalmente dirette al prosciugamento del Lago di Castiglione, dovrà
nientedimeno la Commissione predetta prendere di mira tutti gli altri oggetti che abbiano
relazione alla buonificazione della Provincia, e rassegnerà le sue proposizioni circa ai provvedimenti che essa giudicasse opportuni per migliorarne le condizioni ». Della bonifica di Vada come
parte del generale risanamento della Maremma si parla inoltre in una lettera diretta al sovrano
dal provveditore della Camera di Soprintendenza comunitativa di Pisa. Scriveva il provveditore:
« [La magistratura comunitativa di Rosignano] implora umilmente che piaccia all’A. V. I. e
Reale di riguardare il risanamento degli Stagnoli di Vada, che farà certamente sparire quello
squallore ed insalubrità che desola pure anche quella parte della Maremma Toscana, come un
seguito di quel favore che colle provvide disposizioni emanate col veneratissimo Motuproprio
de’ 27 novembre 1828, si è degnata accordare agli altri abitanti di quella medesima Provincia »
(ASPI, Camera Soprintendenza comunitativa di Pisa, filza 463, affare 44, lettera dell’11 novembre 1833).
56
Motuproprio del 10 apr. 1852 in Decreti, notificazioni e circolari da osservarsi nel
Granducato di Toscana, Firenze, Stamperia granducale, cod. LIX, 1852, n. XXIII.
57
La Direzione generale delle opere per la essiccazione del lago di Bientina era già operante nell’aprile del 1853. Si vedano le lettere inviate dal direttore dell’ufficio, Alessandro
Manetti, al prefetto di Pisa in ASPI, Prefettura, b. 262, affare 224.
Rosalia Amico
78
bonifica 58. Questi due uffici speciali continuarono ad esistere ed operare fino
al 1865 quando furono soppressi 59. Al loro posto fu creato un Circolo tecnico
di bonificamento addetto al servizio di tutte le province della Toscana. Nel
1867 gli uffici che gestivano le bonifiche sull’intero territorio nazionale
furono riordinati 60. Vennero creati sei uffici denominati Circoli di bonificamento. Fu il Sesto circolo, in continuità con l’azione di quello già istituito nel
1865, ad occuparsi delle bonifiche di Bientina e del territorio maremmano. La
circoscrizione territoriale del Sesto circolo si estendeva infatti sui territori di
Bientina, Grosseto, Piombino, Scarlino, Orbetello e su quelli di Vada e
Cecina 61. Il personale tecnico di questo nuovo ufficio, pur appartenendo al
Corpo del genio civile, venne posto alle dipendenze del Ministero di agricoltura, industria e commercio. La duplice dipendenza del personale addetto al
servizio di bonificamento, dal Ministero dei lavori pubblici in quanto appartenente al Corpo del genio civile e da quello di agricoltura, industria e commercio competerete sulle bonifiche, determinò presto gravi inconvenienti per
ovviare ai quali nell’ottobre del 1869 il servizio tecnico ed amministrativo
delle bonifiche fu trasferito interamente al Ministero dei lavori pubblici 62.
Poco dopo si ritenne opportuno sopprimere i sei circoli di bonificamento ed
affidare la parte tecnica del servizio relativo alle bonifiche agli Uffici del
genio civile delle rispettive province, la parte amministrativa alle varie Prefetture competenti per territorio 63.
Alla Prefettura e al Genio civile di Pisa il Sesto circolo consegnò il servizio ed i documenti d’archivio relativi alla bonifica di Bientina 64. In seguito
anche la contabilità dei lavori fu affidata all’Ufficio del genio civile di Pisa
dal Ministero dei lavori pubblici 65. L’Ufficio ricevette dalla Prefettura i
documenti contabili che questa aveva ricevuto a sua volta dalla Direzione del
sesto circolo di bonificamento 66. Oltre che sulla bonifica di Bientina l’Ufficio
del genio civile di Pisa era divenuto competente anche sulle altre bonifiche
58
Motuproprio del 18 mar. 1853, in Decreti, notificazioni e circolari... cit., cod. LX, 1853,
n. XXIX.
59
R.d. 5 giu. 1865, n. 2381.
60
R.d. 28 apr. 1867, n. 3698.
61
ASPI, Prefettura, Appendice, b. 43, « Inventario delle carte della soppressa Direzione del
VI Circolo di bonificamento ».
62
R.d. 27 ott. 1869, n. 5339.
63
R.d. 13 feb. 1870, n. 5514. In precedenza i circoli di bonificamento gestivano sia la parte tecnica dei lavori che quella amministrativa con l’indire ed esperire le aste, appaltare i lavori,
ripartire le tasse, eccetera.
64
ASPI, Prefettura, b. 1180, prot. n. 749 del 1871.
65
Ibid., lettera del 21 luglio 1870. Per la Prefettura si era dimostrato impossibile tenere la
contabilità dei lavori restando all’oscuro della parte tecnica, ad essa quindi rimase soltanto la
gestione delle indennità d’esproprio connesse ai lavori.
66
Ibid., lettera del 1° agosto 1870.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
79
che si compivano nel territorio provinciale cioè quelle di Rimigliano, Vada e
Collemezzano. Queste ultime, come si è visto, erano state intraprese in connessione coi lavori di risanamento della Maremma grossetana. Nel maggio del
1870 il Ministero dei lavori pubblici precisò con un suo decreto le attribuzioni
degli Uffici del genio civile di Pisa, Grosseto, Lucca, in materia di bonifiche 67. La bonifica di Bientina veniva interamente affidata all’Ufficio del
genio civile di Pisa perché, pur interessando vasti territori appartenenti anche
alle due Province di Lucca e Firenze, l’opera doveva considerarsi come unica
e quindi non se ne poteva dividere il servizio tecnico fra i vari uffici di Pisa,
Lucca, Firenze. Le bonifiche che si compivano nel territorio del comune di
Piombino, per la prossimità e l’analogia con quelle che si compivano nel
Grossetano, nonostante si trovassero in provincia di Pisa, furono affidate
all’Ufficio del genio civile di Grosseto. Rimasero escluse da questa disposizione le bonifiche di Vada e Collemezzano, che ricadevano nel territorio del
comune di Campiglia e furono considerate come « un’opera distaccata dalla
Maremma grossetana » 68, e la bonifica del lago di Rimigliano presso Cecina.
Nel maggio del 1871, verificate le condizioni di quest’ultima opera in cui il
padule si era riprodotto per lo stato di abbandono in cui era stata lasciata per
alcuni anni, l’ingegner capo del Genio civile di Pisa scrisse al prefetto che
sarebbe stato opportuno proporre al Ministero dei lavori pubblici che ogni
ulteriore lavoro fosse affidato all’Ufficio del genio civile di Grosseto. Ciò a
motivo della lontananza dei luoghi di bonifica da Pisa e della loro prossimità
a Grosseto. Solo l’anno dopo il Ministero decise in tal senso. Nel luglio del
1872 fu infatti dato incarico all’Ufficio del genio civile di Grosseto di occuparsi delle opere della bonifica di Rimigliano 69. Il passaggio di competenze
fra i due uffici di Pisa e Grosseto avvenne ai primi di settembre del 1872 e fu
accompagnato dalla consegna dei documenti relativi al servizio 70. La bonifica
di Rimigliano venne nuovamente affidata all’Ufficio del genio civile di Pisa
nel 1923, su disposizione del Ministero dei lavori pubblici 71. Ancora una
67
D. m. 6 mag. 1870 in Collezione celerifera delle leggi, dei decreti e delle istruzioni e
circolari dell’anno 1870 ed anteriori, vol. XLIX, 1870, t. 2, p. 1194.
68
ASPI, Prefettura, b. 1172, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 21 luglio 1870.
69
Ibid., lettera del prefetto di Grosseto dell’11 agosto 1872.
70
Ibid., lettera dell’ingegnere capo Eugenio Giani, del 5 settembre 1872.
71
ASPI, UGC, classe XL, b. 7, fasc. 81, lettera del Ministero dei lavori pubblici dell’11
giugno 1923. Il Ministero motivò questa decisione affermando che varie volte erano sorte
difficoltà in ordine alla trattazione di tutto quanto si riferiva alla bonifica perché i lavori erano
progettati e diretti dall’Ufficio del genio civile di Grosseto mentre di altre questioni importanti,
come ad esempio le concessioni, si occupava l’Ufficio del genio civile di Pisa. Con decreto
ministeriale del 30 novembre 1916 n. 6994 era poi stato approvato il perimetro della bonifica di
Rimigliano che poteva considerarsi a tutti gli effetti di legge come un distinto bacino della
bonifica della Maremma toscana. Appartenendo il territorio di Rimigliano alla provincia di Pisa,
in base al regolamento del 5 maggio 1904 n. 368 sulle opere di bonifica, la competenza sui
lavori spettava all’Ufficio del genio civile di Pisa.
Rosalia Amico
80
volta i documenti d’archivio seguirono il servizio 72. Per poco però l’Ufficio di
Pisa si occupò di Rimigliano. Dal 1° agosto 1926, essendo stati apportati
cambiamenti alle circoscrizioni territoriali delle Province di Pisa, Livorno,
Firenze, competente sui lavori relativi alle bonifiche di Vada, Collemezzano,
Rimigliano diventò l’Ufficio del genio civile di Livorno, a cui l’Ufficio di
Pisa consegnò oltre il servizio anche parte dei documenti d’archivio 73.
L’attribuzione nel 1870 del servizio relativo alle bonifiche di porzioni di
territorio che superavano l’ambito provinciale comportò per il Genio civile di
Pisa notevoli problemi organizzativi. Le competenze erano aumentate ma non
così il personale ed i locali. Tuttavia per far fronte ai nuovi compiti venne
costituita con personale straordinario la quarta sezione di bonificamento,
composta da un ingegnere e da un aiutante, mancava però il personale che
potesse coadiuvarli 74. Per lunghi mesi l’Ufficio del genio civile di Pisa si
trovò ad operare in gravi difficoltà. Riferendo al prefetto e al Ministero dei
lavori pubblici che lo avevano chiamato a rispondere di ritardi nello svolgimento del servizio, l’ingegnere capo Eugenio Giani 75 ricordò la grave situazione in cui era stato lasciato l’Ufficio da lui diretto, chiese che almeno un
ingegnere ed un contabile della cessata Direzione del sesto circolo di bonificamento fossero stabilmente aggregati all’Ufficio di Pisa per poter provvedere
ai bisogni ordinari del servizio di bonifica e all’estesa parte contabile ed
amministrativa ad esso connessa. Gravi inconvenienti derivavano anche dal
fatto che il personale dipendente dall’Ufficio si trovava ad operare diviso in
due locali distinti e lontani fra loro. A questa situazione fu posto rimedio
nell’agosto del 1871, quando il Ministero dei lavori pubblici ottenne da quello
di Grazia e giustizia la concessione del locale della canonica dei Cavalieri di
Santo Stefano ove l’Ufficio del Genio civile di Pisa avrebbe potuto risiedere
stabilmente 76. Le due bonifiche principali affidate all’Ufficio, quella di Vada
e Collemezzano e quella di Bientina, erano state dunque intraprese entrambe
dal governo granducale. I problemi ad esse connessi risultavano ancora non
risolti al momento del loro passaggio alla gestione del Genio civile di Pisa.
Per quanto riguarda la bonifica di Vada, un primo gruppo di lavori era stato
eseguito negli anni dal 1833 al 1839 su progetto dell’ingegnere Alessandro
72
Ibid., verbale di consegna del 9 agosto 1923. Furono consegnati all’Ufficio del genio civile di Pisa quindici fascicoli relativi a progetti e lavori.
73
ASPI, UGC, classe XL, b. 7, fasc. 88. I documenti consegnati sono elencati nel verbale
di consegna che reca la data del 28 settembre 1926.
74
La sezione di bonificamento disponeva già allora di un proprio archivio, quello ereditato
dalla Direzione del Sesto circolo di bonificamento (ASPI, Prefettura, b. 1173, affare 655, lettera
dell’ingegnere capo Giani del 24 luglio 1871).
75
Eugenio Giani fu ingegnere capo dell’Ufficio del genio civile di Pisa dagli inizi del 1869
al 1879.
76
Ibid., lettera del Ministero dei lavori pubblici al prefetto, 10 agosto 1871.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
81
Manetti 77. In seguito la magistratura comunitativa di Rosignano venne chiamata ad assumere a proprio carico le spese o a contribuire ad esse 78. Non
essendo però la Comunità in grado di sostenere l’onere dei lavori, il governo
ordinò allo Scrittoio delle reali possessioni di anticipare provvisoriamente i
fondi necessari per la bonifica 79. Nel 1839 una parte dei terreni già bonificati
fu messa in vendita 80. Nella parte litoranea della tenuta i lavori continuarono
fino al 1860. Dal 1860 al 1864 ci si limitò alla semplice manutenzione delle
opere eseguite. Dopo il 1864 — secondo quanto scriveva nel 1876 l’ingegnere
capo Giani — l’opera fu interamente abbandonata e « nonostante le terre
fossero tornate dopo breve tempo ad uno stato palustre, nonostante i reclami
ed altro, pure nulla fu fatto » 81. In seguito alle proteste degli abitanti e dei
comuni della zona i lavori di ripristino delle opere di bonifica furono ripresi e
risultavano compiuti già nel 1870, anno in cui la bonifica passò fra le attribuzioni del Genio civile di Pisa. L’Ufficio provvide presto alla redazione ed
esecuzione di progetti volti alla conservazione e prosecuzione delle opere di
risanamento. Nel 1873, nonostante il parere sostanzialmente contrario del
Genio civile, l’Intendenza di finanza procedette ad alienare ai privati non
soltanto i terreni bonificati ma anche l’alveo dei fossi di scolo, il padule di
Pozzuolo ed il padule Grande, zone nelle quali i lavori erano ancora in corso.
Rimase in possesso del Demanio solo una zona litoranea. Non essendo i
privati sottoposti a speciali obblighi di mantenimento delle opere di bonifica i
fossi di scolo furono nuovamente lasciati in abbandono, « ingombri di erbe
palustri e ricolmi di terra » 82. La zona si impaludò quindi nuovamente determinando gravi problemi sanitari e la ripresa delle febbri malariche. L’Ufficio
del genio civile fu quindi chiamato ad intervenire per compiere il risanamento
della zona. Il sistema di bonifica adottato in un primo tempo fu quello per
colmata mediante le acque torbide del torrente Tripesce 83. In seguito si
provvide al sollevamento meccanico delle acque stagnanti, grazie all’utilizzazione di una macchina idrovora. Dal 1899, constatata l’inefficacia di questi
sistemi, i proprietari dei terreni ed i Comuni di Cecina e Rosignano chiesero
77
Del progetto Manetti per il risanamento degli stagnoli di Vada si parla in una lettera della Segreteria delle finanze inviata alla Camera di soprintendenza comunitativa di Pisa (ASPI,
Camera di soprintendenza comunitativa, filza 431, affare 25, lettera del 22 luglio 1833).
78
Ibid., filza 451, affare 83, lettera dello Scrittoio delle reali possessioni del 20 agosto
79
Ibid., b. 463, affare 44, lettera della Segreteria delle finanze, del 31 gennaio 1834.
1833.
80
Notificazione del 17 sett. 1839 (Bandi e ordini... cit., cod. XLVI, Firenze,1839, n.
LXXIX).
81
ASPI, UGC, classe XXXVI, b. 1, fasc. 1 « Relazione sullo stato delle opere di bonifica
nella pianura di Vada e Collemezzano e sui provvedimenti da adottarsi », 16 ottobre 1876.
82
83
Ibidem.
Per il procedimento tecnico della colmata si veda D. BARSANTI - L. ROMBAI, La « guerra delle acque » in Toscana... cit., pp. 16-17.
Rosalia Amico
82
al Ministero dei lavori pubblici di continuare la bonifica ritornando al sistema
per colmata ma utilizzando le acque del fiume Cecina che, essendo di natura
argillosa, sembravano permettere una bonifica più rapida. L’Ufficio del genio
civile ricevette quindi dal Ministero l’incarico di progettare l’opera. Sui
diversi progetti presentati si pronunziò a più riprese il Consiglio superiore dei
lavori pubblici che ancora nel 1912 li ritenne insufficienti e richiese nuovi
studi 84. Nel 1917 il Ministero dei lavori pubblici rimise nuovamente in
discussione il sistema scelto per la bonifica e chiese al Genio civile di stabilire se, abbandonato il metodo per colmata, fosse possibile ottenere migliori
risultati ricorrendo nuovamente al prosciugamento meccanico 85. Compiuti
nuovi studi, l’ingegnere capo Roselli accolse favorevolmente la proposta
ministeriale e nel 1920 presentò un progetto esecutivo. Le ingerenze del
Genio civile di Pisa sulla bonifica di Vada e Collemezzano cessarono nel
1926. La bonifica, come si è visto, fu attribuita in quell’anno all’Ufficio del
genio civile di Livorno al quale, oltre il servizio, furono consegnati parte dei
documenti d’archivio 86. I lavori relativi all’altra bonifica affidata all’Ufficio,
quella di Bientina, iniziarono già nel 1853. Progressivamente si provvide
all’escavazione del canale Emissario e alla costruzione della botte mediante la
quale il canale era condotto a passare sotto l’Arno. Successivamente fu
prolungato lo stesso Emissario attraverso l’alveo prosciugato del lago di
Bientina « in direzione di tramontana fino all’Isola e quindi in direzione Nord
Est fino a ricongiungersi col canale Rogio » 87. Altri lavori riguardarono
l’approfondimento dei canali Rogio ed Ozzeri ed il prolungamento della fossa
Navareccia di Altopascio, condotta a sfociare nell’Emissario, presso Isola. Nel
cratere dell’ex lago fu aperta una rete di canali raccoglitori designati coi
numeri progressivi da zero a dieci. La situazione verificatasi in conseguenza
di questi lavori venne così descritta dall’ingegnere Biglieri nel 1905: « Per
effetto dei lavori ora indicati si ottenne il ritiro delle acque dalle gronde del
Lago ed il prosciugamento di questo stesso, ma solo limitatamente alla stagione estiva, poiché durante le stagioni delle piogge, essendo l’afflusso
maggiore del deflusso, si riforma un laghetto, esteso poco più che ai possessi
84
ASPI, UGC, classe XXXV, b. 93, fasc. 105, copia del voto del 29 febbraio 1912 della
seconda sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, allegata al « Progetto esecutivo dei
lavori di bonifica per colmata con le torbide del fiume Cecina... », 1915, allegato 1, suballegato C.
85
Ibid., classe XXXV, b. 95, fasc. 110, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 26 luglio 1917.
86
Ibid., classe XL, b. 7, fasc. 88, « Processo verbale di consegna delle bonifiche di Vada,
Collemezzano e Rimigliano all’Ufficio di Livorno ». L’Ufficio di Pisa consegnò a quello di
Livorno sia il progetto del 4 marzo 1920 per il prosciugamento meccanico dei terreni bassi di
Vada e Collemezzano, sia una perizia di ordinaria manutenzione dei fossi e di altre opere di
bonifica (perizia del 5 luglio 1926, n. 2831).
87
Ibid, classe XXXVI, b. 1, fasc. 1, « Relazione sommaria sulle bonifiche dipendenti direttamente dall’Ufficio », 22 aprile 1905, redatta dall’ingegnere capo Annibale Biglieri.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
83
demaniali, ossia compreso all’incirca nei limiti dello specchio magro del
primitivo lago, e ciò [è] peraltro pienamente conforme ai propositi ed alle
previsioni stabilite con molta lucidità di vedute nel progetto Manetti. La
riproduzione annuale del laghetto determina sofferenza di scolo, ed anche
impaludamento, nelle terre delle circostanti gronde, per il fatto della depressione avvenuta nella maggior parte di esse in seguito all’asciugamento del
lago. D’altra parte le pianure lucchesi versanti per l’Ozzeri nel Serchio, non
ottennero la completa bonifica dai soli lavori di escavazione dell’Ozzeri
stesso, perché le piene di questo canale rimanevano sempre più basse di
quelle del recipiente alla foce di Cerasomma e ne conseguiva l’intermittenza
nel deflusso delle acque. In questo stato di cose si ritenne la bonifica non
compiuta con le sole opere sopraccennate e si avvisò ai provvedimenti per
conseguire il totale e permanente asciugamento dei terreni di bonifica » 88.
L’incarico di porre allo studio le opere per il completamento della bonifica fu affidato a commissioni ministeriali diverse che diedero pareri concordi
sulla necessità di sistemazione dell’Ozzeri con lo spostamento della foce a
valle di Cerasomma. Quest’opera fu realizzata negli anni dal 1885 al 1890
con la costruzione del canale Nuovo Ozzeri portato a scaricare nel Serchio,
presso Rigoli 89. Un’ulteriore commissione ministeriale fu nominata nel 1892
con l’incarico di studiare un programma di lavori complementari della bonifica 90. Con la relazione presentata nell’aprile del 1893 fu tracciato un piano di
interventi la cui esecuzione fu affidata all’Ufficio del genio civile di Pisa. La
Commissione programmò la divisione dei lavori in due fasi: lavori del primo
periodo e lavori da eseguire dopo molti anni, al compimento delle colmate. La
prima fase dei lavori prevedeva il completamento della sistemazione dell’Ozzeri nei tratti inferiore e superiore, la costruzione di casse di colmata e di
chiarificazione per le acque dei torrenti montani (Vorno, Guapparo, Visona di
Castelvecchio e di Compito), l’ampliamento e sistemazione dei tronchi montani dei torrenti, la sistemazione ed il rimboschimento degli alti bacini degli
stessi torrenti allo scopo di moderarne le portate di piena. I lavori da eseguire
dopo il periodo delle colmate erano così riassunti: ulteriori colmate, costruzione di una nuova botte sotto l’Arno, inalveazione degli ulteriori torrenti del
bacino di bonifica, ulteriore allargamento dell’Emissario. I lavori del primo
periodo erano in gran parte compiuti nel 1925 quando l’ingegnere capo
Giovanni Girometti, in una monografia preparata su richiesta del Ministero
88
Ibid., « Relazione sommaria sulle bonifiche dipendenti direttamente dall’Ufficio », 22
aprile 1905.
89
Il progetto principale per la costruzione del Nuovo Ozzeri è del 30 novembre 1884 ed è
conservato in ASPI, UGC, classe XXXV, b. 1, fasc. 1 A, (« Lavori di costruzione del canale
Nuovo Ozzeri da Montuolo allo sbocco in Serchio alle Carte... »).
90
La Commissione era composta dagli ispettori ministeriali Manara, Fornari e Campanini.
I lavori da eseguire per il completamento della bonifica furono indicati in una relazione, datata
20 aprile 1893, il cui contenuto è assai succintamente riassunto in « Norme date dalla Commissione ministeriale per la bonifica di Bientina » (ASPI, UGC, classe XXXV, b. 121, fasc. 143).
Rosalia Amico
84
dei lavori pubblici per una mostra sulle bonifiche, tracciava il quadro dei
lavori eseguiti, di quelli ancora in corso o da progettare 91. Era stata interamente eseguita la costruzione del canale Nuovo Ozzeri 92. Erano state costruite
casse di colmata per le acque dei torrenti Vorno e Guapparo, riuniti in cassa
unica, per il torrente Visona di Castelvecchio e per i torrenti Tiglio, Tanali e
Pesato, riuniti anch’essi in cassa unica. Era stata compiuta la correzione
montana del più disordinato dei torrenti, la Visona di Castelvecchio. Era stato
sistemato il canale Rogio nel tratto dall’Arpino all’Isola, mentre era ancora in
corso la sistemazione del restante corso del canale. Era stato approfondito il
canale Formica ed erano quasi giunti al termine i lavori per la sistemazione
dell’Emissario dalla Botte al Calambrone 93, mentre erano in avanzato corso di
esecuzione i lavori di sistemazione dello stesso canale dalla Botte alla sua
origine, presso Isola. Per le opere che restavano ancora da compiere l’Ufficio
aveva già inviato al Ministero dei lavori pubblici due importanti progetti di
massima, uno per la realizzazione di una cassa unica di colmata con i torrenti
di tramontana del bacino di bonifica, l’altro per la sistemazione dell’Emissario
dall’Isola al Calambrone. Altri progetti erano ancora in corso di studio per il
compimento della bonifica o per il miglioramento delle opere esistenti. Al
termine del suo scritto l’ingegnere Girometti faceva il punto anche sui costi
della bonifica. La spesa fino ad allora sostenuta era di circa quarantatre milioni di lire « compresa la somma in cifra tonda di £. 4.800.000,00 spese dal
governo granducale per l’attuazione del progetto Manetti » 94. La spesa prevista per tutti i lavori che restavano ancora da eseguire era calcolata in quattordici milioni, non considerando però i lavori che si sarebbero dovuti fare dopo
il periodo delle colmate, per i quali non era ancora possibile fare previsioni.
Erano assenti nel Bientinese vere e proprie manifestazioni malariche e quindi
con la bonifica di Bientina si tendeva ad uno scopo « sostanzialmente agricolo
ed anche igienico » 95. Il miglioramento agricolo e quello igienico erano i
criteri in base ai quali veniva operata la classificazione delle bonifiche —
importante ai fini del finanziamento dei lavori — disposta dalla legge sulle
bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi, emanata nel 1882 96. Erano di
91
ASPI, UGC, classe XL, b. 10, « Varie ».
92
L’ingegnere Girometti scriveva: « fra le opere più rimarchevoli per importanza o per difficoltà di esecuzione... merita speciale menzione quella dell’attraversamento di Ripafratta col
canale Nuovo Ozzeri nel quale l’alveo del canale è stato ricavato da una parte dell’alveo stesso
del fiume Serchio, a mezzo di robusti muraglioni diaframmi che dividono le acque del fiume da
quelle della bonifica » (ibidem).
93
I lavori relativi a quest’opera cominciarono nel 1904, mentre il progetto di massima è
del 1903. Si veda: ASPI, UGC, classe XXXV, bb. 74-84, fascc. 91 A 1 - 91 Z, e b. 123 (contiene il progetto di massima).
94
ASPI, UGC, classe XL, b. 10, « Bonifica di Bienina. Cenni monografici », 14 agosto
95
Ibidem.
96
L. 2 giu. 1882, n. 869.
1925.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
85
prima categoria le opere che provvedevano principalmente ad un grande
miglioramento igienico e quelle nelle quali ad un grande miglioramento agricolo era associato un rilevante vantaggio igienico. Tutte le opere che non
presentavano alcuno di questi caratteri erano da considerarsi di seconda
categoria. Le opere di prima categoria dovevano essere eseguite dallo Stato
col concorso delle Province, dei Comuni e dei proprietari 97. Le opere di
seconda categoria dovevano essere eseguite e mantenute dai proprietari dei
terreni, isolatamente o riuniti in consorzi. Alla classificazione delle bonifiche
il governo avrebbe provveduto pubblicando gli elenchi di quelle di prima
categoria. La bonifica di Bientina vi fu classificata solo nel 1899 « per la parte
concernente la sistemazione delle acque torbe influenti nel lago... » 98. L’anno
successivo tutte le disposizioni vigenti in materia di bonifiche furono raccolte
in un testo unico di legge che rimase in vigore fino al 1923 99.
Nel 1929 le competenze in materia di bonifiche idrauliche, opere di sistemazione montana e di irrigazione, acquedotti, borgate e fabbricati rurali,
vennero nuovamente trasferite al Ministero dell’agricoltura. Le funzioni tecniche relative a questi servizi rimasero però affidate agli organi sia centrali che
periferici del Ministero dei lavori pubblici 100.
La bonifica di Bientina, pur riguardando i territori di più province, rimase affidata all’Ufficio di Pisa anche dopo il 1932, anno in cui fu stabilito che
gli Uffici del genio civile dovessero avere piena competenza su tutti i servizi
ricadenti nell’ambito territoriale delle rispettive province. La maggior parte
del territorio da bonificare ricadeva in provincia di Pisa ed in relazione a
questo fatto il Ministero dei lavori pubblici confermò 101 la validità della
norma che prevedeva l’attribuzione del servizio di una bonifica all’Ufficio del
genio civile della provincia nella quale si trovava il territorio interessato alla
bonifica o la maggior parte di esso 102. Ben otto serie dell’archivio del Genio
97
Le spese per le opere di prima categoria erano a carico per metà dello Stato, per un ottavo della provincia o delle Province interessate, per un ottavo del comune o dei comuni
interessati e per un quarto del consorzio dei proprietari interessati. Nel 1899 fu disposto che le
spese per le opere di prima categoria dovevano essere sostenute per sei decimi dallo Stato, per
un decimo dalla Provincia o dalle Province interessate, per un decimo dal Comune o dai Comuni
interessati e per due decimi dai proprietari dei terreni da bonificarsi (l. 18 giu. 1899, n. 236,
art. 9). Le quote di concorso nelle spese mutarono ancora nel 1923 (r.d. 30 dic. 1923, n. 3256,
art. 16).
98
L. 18 giu. 1899, n. 236, art. 1. Con la stessa legge venivano finanziati i lavori da compiersi negli esercizi finanziari dal 1900-1901 al 1923-1924. Negli anni precedenti ai finanziamenti si era provveduto con la l. 23 lug. 1881, n. 333.
99
R.d. 22 mar. 1900, n. 195.
100
R.d. 27 set. 1929, n. 1726. Per l’evoluzione della legislazione sulle bonifiche si veda:
A. BAGNULO, La legislazione sulla bonifica dal 1865 ad oggi, in Le opere pubbliche. 1. I lavori
pubblici... cit., pp. 215-238.
101
Circolare del 29 ago. 1932, n. 15323, Divisione II (copia in ASPI, UGC, classe II, b. 3,
fasc. 5, « Competenza Uffici Genio civile »).
102
R.d. 8 mag. 1904, n. 368.
Rosalia Amico
86
civile sono dedicate alla classificazione dei documenti riguardanti variamente
le bonifiche. Oltre che a quelle affidate direttamente all’Ufficio del genio
civile queste otto serie, o classi, contengono anche documenti riguardanti altre
bonifiche la cui esecuzione fu data in concessione a consorzi (bonifica di
Fiume Morto o della pianura settentrionale pisana) o a imprese private. Come
si è visto, già nel 1882 fu prevista la costituzione di consorzi per la realizzazione di bonifiche di seconda categoria 103.
I relativi progetti di massima tecnico economici dovevano essere fatti
compilare dalle Deputazioni dei consorzi. Una volta accettati dall’assemblea e
dal consiglio dei delegati, i progetti dovevano essere trasmessi al prefetto il
quale, dopo aver ottenuto su di essi il parere dell’Ufficio del genio civile, li
trasmetteva col proprio parere al Ministero dei lavori pubblici cui toccava di
decidere definitivamente in merito, sentito il Consiglio superiore 104.
I progetti esecutivi di opere nuove dovevano essere approvati dal prefetto, sentito l’Ufficio del genio civile. Per i progetti di ordinaria manutenzione
bastava l’approvazione della Deputazione amministrativa del consorzio 105. Dal
1886 anche l’esecuzione di opere di bonifica di prima categoria poté essere
data in concessione a consorzi o a imprenditori e società private 106. Dal 1899
l’approvazione dei progetti, sia di massima che d’esecuzione, relativi a bonifiche di prima categoria date in concessione fu riservata al Ministero dei lavori
pubblici mentre agli Uffici del genio civile toccò un accertamento preliminare
sui prezzi e sulle condizioni di fatto che erano serviti di base ai progetti
stessi 107. Le principali attribuzioni degli Uffici in materia di bonifiche date in
concessione vennero comunque riassunte in un regolamento emanato nel
1904 108. Gli Uffici avevano il compito di formulare un parere preventivo sui
progetti di massima ed esecutivi loro sottoposti dai prefetti, dovevano inoltre
esercitare la vigilanza tecnica sui lavori eseguiti dai consorzi 109. Anche i
collaudi delle opere eseguite potevano essere affidati ad uno o più funzionari
del Genio civile nominati dal Ministero dei lavori pubblici. Altre disposizioni
previdero l’intervento del Genio civile anche nella fase precedente la costituzione dei consorzi di bonifica. Proposta la costituzione di un consorzio, gli
Uffici del genio civile dovevano inviare al Ministero, perché questi avesse
tutti gli elementi necessari per esprimere in merito il proprio giudizio, un
103
L. 25 giu. 1882, n. 869.
104
Ibid., artt. 26-27.
105
Consorzi fra proprietari erano previsti per la manutenzione delle opere ultimate, sia di
prima che di seconda categoria.
106
L. 4 lug. 1886, n. 3962.
107
L. 18 giu. 1899, n. 236. Sui progetti il Ministero doveva richiedere i pareri del Consiglio superiore dei lavori pubblici, del Consiglio di sanità e del Consiglio di Stato.
108
R.d. 8 mag. 1904, n. 368. Regolamento per l’esecuzione della legge 22 mar. 1900, n.
195, e della legge 7 lug. 1902, n. 333, sulle bonificazioni delle paludi e dei terreni paludosi.
109
Ibid., art. 56.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
87
rapporto particolareggiato sulle opere che il nuovo ente intendeva eseguire e
sulle relazioni che queste potevano avere con le altre opere di prima categoria
esistenti nella località e col regime dei corsi d’acqua. Dovevano inoltre
pronunziarsi sulle stesse finalità della bonifica, accertare cioè se questa fosse
destinata a conseguire un vantaggio per la pubblica igiene o un ragguardevole
miglioramento agrario 110. Nella classe XXXIX dell’archivio del Genio civile
sono conservati alcuni documenti relativi a bonifiche date in concessione a
consorzi o ad imprese private. Si tratta però di una documentazione incompleta 111 e che non consente da sola di ricostruire tutte le vicende relative alle
varie bonifiche la cui esecuzione non fu curata direttamente dall’Ufficio
(bonifiche di Tombolo, della Val d’Era, di Massaciuccoli). Fa in parte eccezione una busta 112 che raccoglie i documenti relativi alla bonifica della
pianura settentrionale pisana (detta anche di Fiume Morto) cioè della estesa
zona situata a nord di Pisa, fra i fiumi Arno e Serchio. I principali lavori
relativi a quest’opera risultavano conclusi nel 1934. « All’Ufficio dei Fiumi e
Fossi, la più antica istituzione idraulica, creata da secoli a beneficio dell’agricoltura, spettava il merito di risanare, con importanti opere d’ingegneria, la
Pianura Settentrionale Pisana (...). Con la bonifica di Fiume Morto, ormai
compiuta, altro merito d’indiscutibile, altissimo valore si aggiunge a quelli
innumerevoli dell’Ufficio dei Fiumi e Fossi e lo fa degno di essere annoverato
tra i migliori organismi tecnici che siano stati creati a beneficio dell’agricoltura... » 113. L’intento apologetico di Ranieri Fiaschi in relazione all’opera
dell’Ufficio dei fiumi e fossi è particolarmente vivo in queste parole del 1934.
Tace il Fiaschi sull’importante ruolo avuto dagli organi dello Stato, l’Ufficio
del genio civile, il Consiglio superiore dei lavori pubblici, nella bonifica della
pianura settentrionale pisana, nell’avere cioè mirato ed imposto non una
parziale sistemazione e correzione del Fiume Morto, quale quella proposta nel
1892 dall’Ufficio dei fiumi e fossi, ma la bonifica completa della zona.
L’Ufficio del genio civile di Pisa fu chiamato a pronunziarsi sulla proposta di
classificazione in prima categoria della pianura settentrionale pisana nel 1898.
Pur dichiarando meritevole di accoglimento la domanda presentata dall’ente
consortile 114, l’allora ingegnere capo Poletta pose l’accento sulla parzialità del
progetto Odifredi, che doveva servire di base alla classificazione proposta, e
110
ASPI, UGC, classe XL, b. 2, fasc. 6, lettera del prefetto di Lucca del 12 agosto 1915.
La lettera fa riferimento ad una comunicazione del Ministero dei lavori pubblici inviata alla
Prefettura.
111
112
Altri documenti si trovano ancora presso il Provveditorato alle opere pubbliche di Pisa.
ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 8, « Bonifica pianura settentrionale pisana. Fiume
Morto ».
113
114
R. FIASCHI, Fiume Morto (Un problema secolare risolto), Pisa 1936, pp. 9-11.
Si veda: Ufficio dei fiumi e fossi. Per la classificazione della sistemazione generale di
Fiume Morto nella prima categoria delle opere di bonifica ai termini dell’art. 4 della legge 25
giugno 1882, n. 869, Pisa, Nistri e C., 1898.
Rosalia Amico
88
lo giudicò insufficiente e tale da riuscire a bonificare solo una parte (circa la
metà) della vasta pianura pisana 115. Il progetto era infatti basato sulla semplice correzione e sistemazione del Fiume Morto, cioè del canale collettore delle
acque di tutta l’area. Il parere dell’Ufficio del genio civile fu sostanzialmente
accolto dal Consiglio superiore dei lavori pubblici che nel 1899 invitò
l’Ufficio dei fiumi e fossi a far riformare il progetto Odifredi 116. Un nuovo
progetto fu posto all’esame nel 1900. Il Consiglio superiore lo giudicò meritevole di approvazione come progetto di massima, purché vi fossero apportate
una serie di varianti da esso stesso indicate. Si pronunziò inoltre per la continuazione degli studi in relazione ai problemi presentati dalla foce del Fiume
Morto. Emise poi parere favorevole sulla richiesta di classificazione in prima
categoria della pianura settentrionale pisana, cui venne provveduto l’anno
successivo 117. Un nuovo progetto, redatto dall’ingegnere Alberto Ricci Busatti, fu presentato dall’Ufficio dei fiumi e fossi nel 1906. Anche questo fu
approvato dal Consiglio superiore dei lavori pubblici solo come progetto di
massima in quanto mancante del prescritto accertamento preventivo dell’Ufficio del genio civile sulle condizioni di fatto e sui prezzi in esso contemplati 118. L’esecuzione della bonifica fu infine data in concessione, nel 1915, al
Consorzio del compartimento settentrionale pisano, dipendente per la gestione
tecnico-amministrativa dall’Ufficio dei fiumi e fossi 119. Alla base della
115
« La Regia Amministrazione una volta chiamata a concorrere nelle spese non può arrestarsi a mezza strada, ma deve considerare e valutare tutte le opere occorrenti per il bonificamento completo e non parziale come si contempla nel progetto allegato (...) » (ASPI, UGC, classe
XXXIX, b. 8, « Parere dell’Ufficio sull’inscrizione in prima categoria delle opere occorrenti per
la completa bonificazione della pianura settentrionale pisana »). La posizione critica del Poletta
nei riguardi dell’operato dell’Ufficio dei fiumi e fossi (si veda la parte di questo lavoro dedicata
ai consorzi idraulici) appare in un altro rapporto diretto alla Prefettura: « È un fatto che la
pianura settentrionale pisana (...) va soggetta a frequenti allagazioni per una superficie di circa
trenta chilometri quadrati, (...) con una spesa veramente mite, circa 1.300.000 di lavori opportuni
di sistemazione del collettore principale, denominato Fiume Morto, si potrebbe bonificare la detta
pianura conseguendo un beneficio agricolo considerevole, (...) senza contare un rilevante
vantaggio igienico, perché risentirebbe beneficio una popolazione di circa 40 mila abitanti,
compresa metà della città di Pisa (...). Ben prima d’ora, fino dal 1882 Comuni e Consorzio
d’interessati avrebbero dovuto ottenere la classificazione in prima categoria, ma sia per ignoranza
delle leggi sia per poca volontà dell’Ufficio dei fiumi e Fossi che sembra evitare il controllo di
chicchessia e vuole agire sempre indipendentemente dall’autorità tutoria, sia per indolenza, il
fatto sta che soltanto recentemente, mercé l’eccitazione specialmente dell’Egregio Ingegnere
Cuppari, uno dei possidenti interessati, intelligente in fatto di lavori di bonifica, il detto Uffizio
dei Fiumi e Fossi si decise finalmente di avanzare la domanda di classifica in prima categoria
per alcune opere limitate alla correzione parziale del detto Fiume Morto... » (ibid., lettera del 19
febbraio 1898).
116
Ibid., copia del verbale dell’adunanza del 15 maggio 1899 (Consiglio generale).
117
R.d. 6 gen. 1901, n. 12.
118
ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 8, fasc. « Vecchie pratiche », verbale dell’adunanza del
16 giugno 1911, (Sezione seconda del Consiglio superiore dei lavori pubblici).
119
Ibid., d.m. 20 mag. 1915 (copia).
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
89
concessione fu posto il progetto Ricci Busatti, riformato nel 1914 dall’ingegnere Petri, con la divisione in quattordici progetti di stralcio relativi ad
altrettanti lotti. I lavori, subito iniziati, avrebbero dovuto essere conclusi nel
1925 ma si protrassero ben oltre il 1936 120. L’altra bonifica di cui è solo in
parte possibile ricostruire alcune vicende è quella di Tombolo 121, parte della
più vasta bonifica della pianura meridionale pisana 122, classificata in prima
categoria nel 1920 123. Nel 1925 l’esecuzione della bonifica di Tombolo, che
costituiva uno dei quattro bacini in cui su proposta dell’Ufficio del genio
civile di Pisa era stato suddiviso il territorio della bonifica della pianura
meridionale pisana (Tenuta di Coltano, bacino orientale, bacino settentrionale,
Tenuta di Tombolo), fu affidata in concessione alla impresa Saverio Parisi 124.
Contemporaneamente venne approvato il progetto d’esecuzione dei lavori,
presentato dall’impresa. La possibilità di assegnare in concessione anche ad
imprese e società private l’esecuzione di opere di bonifica di prima categoria
era infatti stata nuovamente prevista nel 1923 125. I lavori di bonifica potevano
dirsi ormai ultimati nel 1933 quando l’ingegnere Giovanni Girometti si
pronunziò a favore della costituzione di un consorzio di manutenzione 126.
Le classi dell’archivio del Genio civile di Pisa destinate a contenere documenti relativi alle bonifiche sono otto. La classificazione dei documenti
venne operata sulla base della tipologia degli affari trattati. Nella classe
XXXIV furono raccolti i documenti relativi alle opere di manutenzione. La
classe XXXV fu riservata all’archiviazione dei progetti per opere nuove, la
XXXVI alla contabilità dei lavori, la XXXVII all’amministrazione dei terreni
bonificati, la XXXVIII alle osservazioni idrometriche, pluviometriche, ecc., la
XXXIX alle concessioni (concessioni diverse e per l’esecuzione di opere di
120
Ancora nel 1939 venne presentato un progetto di lavori di completamento della bonifica
(ibid., « Progetto per le opere di completamento della bonifica. Relazione d’istruttoria », 27
giugno 1940).
121
Si veda in particolare: ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 6, fasc. « Bonifica di Tombolo ».
122
Sui presupposti politici economici e sulle vicende della bonifica della pianura meridionale pisana ed in particolare della bonifica di Coltano si veda: M. SCARDOZZI, La reale Tenuta
di Coltano, in Terre e paduli. Reperti documenti immagini per la storia di Coltano, Pontedera,
Bandecchi e Vivaldi, 1986, pp. 285-305; L. SAVELLI, La Tenuta di Coltano durante la gestione
dell’Opera nazionale combattenti, ibid., pp. 309-324.
123
R.d. 11 mar. 1920, n. 442.
124
D.m. 20 ott. 1925, n. 9368, in ASPI, UGC, classe XXXIX, b. 6, fasc. « Bonifica di
Tombolo ».
125
R.d. 30 dic. 1923, n. 3256, Testo unico delle leggi sulle bonificazioni delle paludi e dei
terreni paludosi. Il precedente testo unico di legge (r. d. 22 mar. 1900, n. 195) prevedeva la
concessione delle opere di bonifica di prima categoria solo alle Province, ai Comuni, ai consorzi
di proprietari interessati.
126
ASPI, UGC, classe XL, b. 2, fasc. 6, lettera del 10 ottobre 1933, diretta al Ministero
dell’agricoltura e foreste, direzione generale della bonifica integrale. Nel 1937 il consorzio fu
aggregato all’Ufficio dei fiumi e fossi di Pisa.
Rosalia Amico
90
bonifica), la XL agli affari diversi. La XLI fu destinata ad accogliere i documenti riguardanti vertenze, ricorsi, reclami ed istanze diverse.
4. Servizio stradale. — Un altro ramo del servizio di cui l’Ufficio di Pisa
dovette tornare presto ad occuparsi fu quello stradale. La legge sui lavori
pubblici del marzo 1865, ordinando la classificazione delle strade in quattro
categorie, aveva tracciato i limiti dell’azione dello Stato, delle Province, dei
Comuni. Come si è visto nessuna delle strade esistenti in provincia di Pisa fu
classificata fra le nazionali. Cessarono quindi le attribuzioni dirette dell’Ufficio del genio civile di Pisa in materia di strade. Ben presto l’arretratezza della
rete stradale o addirittura la sua assenza in vaste zone del territorio nazionale
fu vista dai governi del tempo come uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo
economico del nuovo Stato unitario. Rivolgendosi ai prefetti, nell’ottobre del
1865, il ministro dei lavori pubblici Jacini metteva in evidenza la necessità e
l’importanza d’incoraggiare un rapido sviluppo di una rete di strade minori
carreggiabili, la cui realizzazione incontrava gravi ostacoli nelle difficili
condizioni finanziarie di tante amministrazioni locali 127. La realizzazione in
tempi brevi di una vasta rete di strade avrebbe comportato per le popolazioni
di molti comuni e province gravi sacrifici economici. Sulla base di queste
considerazioni già nel 1867 un altro ministro dei lavori pubblici, De Vincenzi,
diede la possibilità, ai Comuni che ne facessero richiesta, di avvalersi dell’opera degli ingegneri del Genio civile ai fini della progettazione di strade
comunali. L’opera degli ingegneri del Corpo avrebbe infatti consentito un
risparmio sulle spese di progettazione, di solito assai gravose 128. Questa
agevolazione non produsse gli effetti sperati e nel 1868 si ritenne necessario
emanare la legge sulla costruzione delle strade comunali obbligatorie che
impose ai Comuni di costruire e sistemare le loro più importanti strade e
diede al governo il potere di imporre tali interventi 129. Non tutte le strade
comunali erano da considerarsi obbligatorie. Lo erano soltanto quelle che
presentavano una certa importanza territoriale mentre erano escluse quelle di
puro interesse locale di singoli centri abitati 130. Entro un semestre dalla
127
Circolare del Ministero dei lavori pubblici, 23 ottobre 1865, in «Collezione celerifera
delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1865 ed altre anteriori », XLIV
(1865), 2, pp. 345-348.
128
Circolare del Ministero dei lavori pubblici diretta ai prefetti, 9 marzo 1867 in « Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari pubblicate nell’anno 1867 ed altre
anteriori », XLVI (1867), 2, pp. 787-788. Agli Uffici del genio civile, alle Prefetture, alle
Amministrazioni locali si richiedeva poi di avanzare proposte intorno ai modi di facilitare la
costruzione di strade comunali.
129
130
L. 30 ago. 1868, n. 4603.
Per la legge del 1868, n. 4603, erano da considerarsi strade obbligatorie quelle strade
comunali che erano necessarie per porre in comunicazione il maggior centro di popolazione di un
comune col capoluogo del rispettivo circondario o col maggiore centro di popolazione dei
comuni vicini; quelle che erano necessarie per mettere in comunicazione i maggiori centri di
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
91
promulgazione della legge i Comuni avrebbero dovuto formare gli elenchi
delle proprie strade comunali obbligatorie. Questi dovevano essere trasmessi
al prefetto che li omologava dopo aver sentito il parere dell’Ufficio del genio
civile 131. Entro tre mesi dall’omologazione il prefetto doveva richiedere la
convocazione dei consigli comunali. Questi potevano decidere d’intervenire
direttamente nella costruzione delle strade comunali obbligatorie, dando alle
proprie giunte municipali l’incarico di nominare gli ingegneri compilatori dei
progetti, oppure potevano chiedere al prefetto che si provvedesse all’esecuzione d’ufficio della legge del 1868. In questo caso il prefetto doveva dare
incarico ad un ingegnere del Genio civile di determinare le condizioni generali della strada da costruirsi 132. La direzione del servizio tecnico per l’esecuzione coattiva della legge sulle strade comunali obbligatorie venne affidata
successivamente agli ingegneri capi del Genio civile, i quali dovevano formare all’interno dei rispettivi uffici una sezione speciale, incaricata esclusivamente di curare quel particolare servizio 133. Era prevista la possibilità che lo
studio concreto dei progetti fosse affidato a personale straordinario (ingegneri
delegati) non appartenente al Genio civile ma posto alle dipendenze degli
ingegneri capi. Anche Pisa fu chiamata a dar conto della propria situazione
stradale. Nel 1865 l’Ufficio del genio civile di Pisa riferì al prefetto di ritenere assai esteso e quasi perfetto il grado di sviluppo della rete di strade secondarie della provincia. Osservò inoltre che solo nel circondario della Sottoprefettura di Volterra sarebbero stati desiderabili « non pochi bracci di strada
ruotabile per porre in comunicazione fra loro quelle Comunità montuose » e
per agevolare l’agricoltura ed il commercio. A questi bisogni però — sempre
secondo l’Ufficio — i Comuni e la Provincia avrebbero potuto far fronte coi
loro mezzi ordinari, senza bisogno di ulteriori sostegni da parte dello Stato 134.
Dieci anni dopo l’Ufficio espresse un’opinione del tutto diversa. In una
relazione del 1875, l’ingegnere capo Giani riferì al Ministero dei lavori
pubblici che, nel dare attuazione alle disposizioni della legge del 30 agosto
1868, « fu posto in evidenza il difetto in alcuni Comuni delle strade di primaria importanza, ed in altri l’urgentissimo bisogno di qualche sistemazione... » 135. Anche nella provincia di Pisa si dovette dar corso all’esecuzione
d’ufficio della legge per mettere in comunicazione alcune comunità che si
popolazione del comune con le ferrovie ed i porti, sia direttamente, sia collegandosi ad altre
strade esistenti; quelle che dovevano servire a mettere in comunicazione le frazioni importanti di
un comune.
131
R.d. 11 set. 1870, n. 6021, « Regolamento per la costruzione e sistemazione obbligatoria
delle strade », art. 6.
132
Ibid., art. 11.
133
« Istruzioni per l’esecuzione d’ufficio della legge del 30 agosto 1868, n. 4613 », allegate
al d. m. 10 set. 1872 (copia anche in ASPI, Prefettura, b. 1238).
134
ASPI, Prefettura, b. 904, affare 96, lettera dell’ingegnere Cerreti del 4 novembre 1865.
135
ASPI, UGC, classe XXIV, b. 1, relazione del 16 ottobre 1875.
Rosalia Amico
92
trovavano isolate 136. Già nel 1874 appare costituita all’interno del Genio
civile di Pisa la sezione speciale per il servizio delle strade comunali obbligatorie 137. La sezione speciale, come prescritto da un regolamento emanato nel
1870, si occupava dell’andamento generale del servizio, formulando pareri sui
tracciati di strade obbligatorie proposte direttamente dai Comuni o effettuando
studi sui tracciati delle strade per le quali era stata attivata l’esecuzione
d’ufficio 138. Doveva indicare inoltre le condizioni generali delle strade da
costruirsi. Della diretta esecuzione della legge del 1868 sulle comunali obbligatorie era invece incaricato del personale tecnico non appartenente al Corpo
del genio civile ma posto alle immediate dipendenze dell’ingegnere capo. Si
trattava di una squadra di tre ingegneri delegati, incaricati principalmente di
compilare i progetti delle strade obbligatorie, di provvedere alla loro costruzione e sistemazione, di sorvegliare la regolare manutenzione delle strade già
costruite e sistemate 139. L’esecuzione d’ufficio della legge del 1868 riguardò
in un primo tempo un gruppo di Comuni costituito da Monteverdi, Castelnuovo Val di Cecina, Suvereto, Sassetta, Montecatini Val di Cecina, Chianni e
Laiatico. In seguito anche Campiglia richiese l’esecuzione d’ufficio della
strada che la collegava con la frazione di Casalappi. Terminati intorno al 1880
i lavori relativi al gruppo di Monteverdi la delegazione stradale (costituita
dagli ingegneri delegati) fu sciolta. Restò invece la sezione speciale 140. La
sezione stradale, la quinta dell’Ufficio del genio civile di Pisa, nata come
speciale per dirigere l’esecuzione della legge sulle comunali obbligatorie
assunse presto anche altri compiti. Nel 1883 la sezione si occupava anche di
esaminare i progetti, presentati dai Comuni, di costruzione e manutenzione di
strade comunali e vicinali non obbligatorie, regolate cioè semplicemente dalla
legge sui lavori pubblici del 1865 141. Si occupava inoltre del servizio relativo
alle strade provinciali sussidiate dallo Stato. Era infatti stata emanata una
legge che finanziava per il quindicennio 1881-1895 la costruzione di nuove
opere stradali straordinarie 142. Il finanziamento riguardava strade nazionali e
136
Scriveva l’ingegnere Giani: « Si formò un gruppo di Comuni più bisognosi di viabilità,
col titolo di gruppo di Monteverdi, nel quale fu proposto di sistemare e costruire chilometri 107,
897 di strade (...) affidando lo studio dei progetti ad una squadra composta di un ingegnere e di
due aiutanti. Furono compilati tre progetti dei quali è già stata ordinata l’esecuzione (...) ed ora
va ad intraprendersi lo studio di altre linee nel medesimo gruppo comprese, per cui nell’anno
prossimo può prevedersi che anche questo servizio andrà a prendere il necessario sviluppo... »
(ibidem).
137
ASPI, UGC, classe XXIV, b. 1, fasc. 1, « Atti relativi alla consegna del servizio alla
squadra » e documenti diversi della stessa busta.
138
R.d. 11 set. 1870, n. 6021.
139
ASPI, UGC, classe XXIV, b. n. 1, relazione del 16 ottobre 1875.
140
Ne sarà titolare per circa dodici anni e fino al 30 giugno 1893, quando verrà trasferito
ad Arezzo, l’ing. Aristide Bruni. Assunto per alcuni anni come ingegnere straordinario entrò solo
in seguito (lo era già nel 1887) nei ruoli del Genio civile.
141
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F.
142
R.d. 23 lug. 1881, n. 333.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
93
provinciali che venivano indicate in elenchi allegati alla legge. La provincia di
Pisa ottenne il concorso dello Stato nel finanziamento di quattro strade provinciali i cui tronchi ricadevano anche nei territori delle province di Firenze e
Lucca. Queste strade erano indicate nell’elenco allegato alla legge dell’1881
con i numeri 127, 128, 129, 156 143. L’esecuzione di queste quattro strade era
obbligatoria. Lo Stato vi concorreva col finanziamento di metà della spesa
effettiva. La progettazione e la costruzione delle strade finanziate dalla legge
del 1881 erano affidate alle Province ma nel caso in cui queste entro un anno
non avessero provveduto ad approvarne l’andamento generale e a reperire i
mezzi per finanziare la quota a loro carico, la costruzione sarebbe stata fatta
direttamente dallo Stato. Era inoltre data facoltà alle Province di chiedere che
della costruzione si occupasse lo Stato. Così accadde per Pisa, dove l’Amministrazione provinciale lasciò allo Stato l’onere di provvedere a tutto ciò
che si riferiva alle quattro strade indicate negli elenchi allegati alla legge del
1881 144. L’azione dell’Ufficio del genio civile di Pisa nei riguardi del servizio
inerente alle strade provinciali sussidiate fu determinata quindi dalle norme
contenute nel regolamento attuativo della legge del 1881, emanato soltanto nel
1884 145. Il regolamento prevedeva che sull’andamento di ciascuna strada
provinciale dovevano deliberare i Consigli provinciali. Le deliberazioni dovevano poi essere inviate al Ministero dei lavori pubblici, accompagnate dai
relativi progetti o da studi di massima. Sopra ogni deliberazione gli ingegneri
capi del Genio civile dovevano, con un’apposita relazione, esporre al Ministero il loro motivato parere, pronunziandosi sia sui tracciati prescelti che riguardo alle convenienze tecniche, ai bisogni e agli interessi cui le strade erano
destinate a servire. L’approvazione definitiva dell’andamento delle strade
veniva fatta con decreto reale. All’approvazione dei consigli provinciali erano
sottoposti anche i tracciati di quelle strade la cui esecuzione fosse stata
assunta direttamente dal governo. Dal 1884 in poi la sezione stradale dell’Ufficio del genio civile di Pisa avviò studi e giunse alla formulazione di
progetti di massima e di dettaglio per tutte le quattro strade finanziate dalla
legge del 1881 ma, nel settembre del 1890, il Consiglio provinciale decise di
avocarne a sé la costruzione perché il governo non vi aveva ancora provveduto e richiese al Ministero dei lavori pubblici di autorizzare l’Ufficio del genio
civile di Pisa a consegnare all’Ufficio tecnico provinciale gli studi ed i progetti elaborati e già approvati dallo stesso Ministero o in corso di approvazione 146.
143
Le quattro strade erano così indicate: 127 « Strada da Altopascio a Bientina con diramazione alla provinciale del Tiglio »; 128 « Strada delle Colline per Legoli tra Pontedera per Palaia
e Peccioli e la via di Castelfalfi »; 129 « Strada Volterrana per i pressi di Vicarello e Villamagna
al Castagno »; 156 « Strada di Popogna, completamento della strada traversa livornese tra la via
Emilia e Livorno ». Quest’ultima strada interessava le due province di Pisa e Livorno.
144
ASPI, UGC, classe XXII, b. 1, fasc. 2, relazione del 20 novembre 1886.
145
R.d. 20 mar. 1884, n. 2156.
146
ASPI, UGC, classe XXII, b. 2, fasc. 3, copia della deliberazione della Deputazione provinciale di Pisa del 17 aprile 1891.
Rosalia Amico
94
La consegna dei documenti avvenne nel luglio del 1891 147. Dopo questo
passaggio di competenze le ingerenze dell’Ufficio del genio civile nel servizio
stradale rimasero quelle stabilite dal regolamento emanato nel 1884 148 per
l’attuazione della legge sulle strade provinciali sussidiate dallo Stato e quelle
contenute nei regolamenti per il servizio del Genio civile 149. Le disposizioni
regolamentari, emanate dal 1863 al 1894, prevedevano infatti non soltanto che
gli ingegneri capi e gli ingegneri di sezione compissero visite periodiche alle
strade per verificarne lo stato di conservazione ma anche che gli ingegneri
preposti agli Uffici fornissero, su richiesta delle Prefetture, pareri sul merito
di progetti relativi a lavori d’interesse provinciale, comunale e consortile e
notizie e chiarimenti su tutti gli affari tecnici riguardanti pubbliche amministrazioni. Specifiche disposizioni erano contemplate nel regolamento del 1894
in merito alle opere la cui esecuzione, affidata a Province, Comuni, consorzi,
si effettuava però con il concorso dello Stato. In relazione a queste opere (le
strade provinciali sussidiate o comunali obbligatorie) gli ingegneri capi del
Genio civile erano tenuti ad esercitare un attivo sindacato « col consigliare e
dirigerne la condotta tecnica ed economica, col tenere in evidenza lo stato
delle opere e delle spese procurando che in tutto fossero osservati i progetti
approvati » 150. Queste disposizioni generali erano integrate da quelle particolari contenute nel regolamento del 1884 per l’esecuzione di opere stradali
sussidiate dallo Stato 151. Veniva ribadito il compito di alta sorveglianza sui
lavori affidato agli ingegneri capi del Genio civile i quali, oltre a doversi
pronunziare sull’andamento generale delle strade da costruirsi, avevano il
diritto di esaminare tutti i documenti connessi ai lavori, di procedere ad
accertamenti per verificare le misure e la natura delle opere da eseguire;
dovevano inoltre rassegnare al Ministero dei lavori pubblici rapporti circostanziati su eventuali perizie aggiuntive presentate dagli appaltatori. Anche i
costi finali delle opere dovevano essere accertati dall’ingegnere capo mentre il
collaudo, su richiesta della Provincia, poteva essere fatto da un ufficiale
superiore del Genio civile. Alla fine di ogni anno finanziario era previsto il
pagamento alle Province della quota di concorso nelle spese gravanti sullo
Stato. Anche in questo caso l’ingegnere capo era preliminarmente chiamato a
verificare, in base al progetto approvato, lo stato dei lavori e a compilare un
prospetto riassuntivo dei progressi compiuti durante l’anno. Questo documento, insieme ad una relazione sull’andamento tecnico ed amministrativo del147
Ibid., lettera dell’ingegnere capo del 30 luglio 1891.
148
R.d. 23 mar. 1884, n.. 2156.
149
R.d. 13 dic. 1863 n. 1599; r.d. 3 mar. 1889, n. 5997; r.d. 1° ago. 1893, n. 633; r.d. 13
dic. 1894, n. 568; quest’ultimo restò in vigore fino al 1931.
150
R.d. 13 dic. 1894, n. 568, art. 12, lettere e e, f f.
151
R.d. 20 mar. 1884 n. 2156.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
95
l’appalto, andava poi trasmesso al Ministero dei lavori pubblici 152. Nuove
norme per l’esecuzione delle opere pubbliche furono poi introdotte con alcuni
decreti successivi 153. A queste norme, estese ai lavori che si eseguivano, con
o senza il concorso dello Stato, dalle Province, dai Comuni, da consorzi
amministrativi, furono apportate ancora modificazioni nel 1925. In base ad un
nuovo decreto emanato in quell’anno, i progetti delle opere eseguite dalle
Amministrazioni civili dello Stato dovevano essere approvati dal Ministero
competente previo il visto dell’ingegnere capo del Genio civile fino all’importo di centomila lire, dell’ispettore superiore di circolo del genio civile per
importi compresi fra le centomila e le cinquecentomila lire, del Consiglio
superiore dei lavori pubblici per importi maggiori 154. Come abbiamo visto nel
1891 i lavori relativi alle quattro strade sussidiate riguardanti la provincia di
Pisa furono riassunti dall’Amministrazione provinciale senza che ciò comportasse un’immediata esecuzione 155. A queste quattro strade ne furono aggiunte
nel 1919 altre sei, da costruirsi sempre a cura della Provincia con il concorso
dello Stato, in quanto riconosciute di speciale importanza anche relativamente
alla bonifica idraulica ed agraria della Maremma toscana 156. Per quanto
riguarda invece le comunali obbligatorie, nella provincia di Pisa non ve n’era
più alcuna in costruzione nel 1894 157, anno in cui una nuova legge 158 intervenne a sospendere, fino a nuove disposizioni, quella del 1868. Il carico
finanziario che l’attuazione di quest’ultima legge aveva comportato per i
Comuni si era rivelato infatti eccessivo 159. Nel 1903 160 un nuovo sussidio
venne previsto per quei Comuni che entro otto anni avessero costruito strade
di accesso a stazioni ferroviarie e porti, e che entro dieci anni avessero
152
In relazione alla contabilità dei lavori gli Uffici del Genio civile erano tenuti ad attenersi alle norme contenute nel regolamento per la direzione, contabilità e collaudazione dei lavori
dello Stato (r. d. 19 dic. 1875, n. 2854, modificato col r. d. 25 mag. 1895, n. 350).
153
D. lgt. 6 feb. 1919, n. 107; r. d. 8 feb. 1923, n. 422; r.d.l. 28 ago. 1924, n. 1396.
154
R.d.l. 7 mag. 1925, n. 646. Il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici era
sempre necessario quando dovevano essere determinati criteri di massima o quando erano in
discussione progetti parziali di opere la cui spesa complessiva si prevedeva superiore a duecentomila lire.
155
Il punto della situazione fu fatto nel 1902 dall’Ufficio del genio civile. A quella data risultavano ancora da iniziare i lavori riguardanti le due strade 128 e 156 mentre erano compiuti in
parte quelli riguardanti la 127 e la 128. ASPI, UGC, classe XXII, b. 2, fasc. 3, « Stato dei
progetti e delle costruzioni, 28 ottobre 1902 ».
156
D. lgt. 25 mag. 1919, n. 1175. Le strade riguardanti la provincia di Pisa erano elencate
nel decreto con i numeri da 268 a 273. Era inoltre finanziata la costruzione di due ponti sul
Cornia, nelle località Boschetto e Balzone.
157
ASPI, UGC, classe XXIV, b. 5, fasc. 28, lettera dell’ingegnere capo del 9 agosto 1894.
158
L. 19 lug. 1894, n. 338.
159
Si veda L. BORTOLOTTI, Viabilità e sistemi infrastrutturali, in Storia d’Italia, Annali, 8,
Insediamenti e territorio, Torino, Einaudi, 1985, p. 340.
160
L. 3 lug. 1903, n. 312.
Rosalia Amico
96
completato le comunali obbligatorie rimaste incompiute per effetto delle
disposizioni emanate nel 1894 161. I progetti per la costruzione di tutte queste
strade dovevano essere compilati a cura e spese dei Comuni ed approvati dai
prefetti dietro parere dell’Ufficio tecnico provinciale e dell’Ufficio del genio
civile. Nel 1923 furono infine dettate nuove norme per la classificazione e
manutenzione delle strade pubbliche che vennero divise in cinque classi 162.
Le strade che costituivano la rete viabile principale del Regno ed i principali
allacciamenti di queste alle reti viabili degli Stati vicini furono poste nella
prima classe. Alla manutenzione di queste strade doveva provvedere lo
Stato 163. Al decreto era allegato l’elenco di 118 strade dichiarate di prima
classe di cui veniva indicato anche il percorso. Tre di queste scorrevano nel
territorio della provincia di Pisa. Erano indicate nell’elenco con i numeri 3,
53, 54 164. Poco dopo, nel 1924, fu disposto per queste tre strade, già classificate come provinciali, il passaggio dall’amministrazione della Provincia a
quella dello Stato. L’Ufficio del genio civile di Pisa le ricevette in consegna
alla fine di giugno di quello stesso anno 165. La competenza del Genio civile
sulle strade di prima classe fu di breve durata. Nel 1928 fu infatti istituita
161
L. 19 lug. 1894, n. 338.
162
R. d. 15 nov. 1923, n. 2506.
163
Appartenevano alla seconda classe le strade che servivano in generale alla più diretta
comunicazione fra il capoluogo di una provincia ed i capoluoghi delle Province limitrofe, ovvero
che congiungevano il capoluogo d’una provincia coi capoluoghi dei circondari in cui la stessa era
divisa o infine, che congiungevano il capoluogo d’una provincia coi porti vicini o coi più
importanti valichi alpini o appenninici. Le spese di manutenzione di queste strade gravavano
sulle Province per tre quarti e per un quarto sullo Stato. Appartenevano alla terza classe le strade
che, formando una rete organica con quelle della prima e della seconda classe, mettevano in
comunicazione i capoluoghi dei comuni di una provincia coi rispettivi capoluoghi di mandamento
e di circondario. Alla manutenzione di queste strade provvedevano le Province. Le spese però
dovevano essere ripartite fra Province e Comuni, gravando metà sulle Province e metà sui
Comuni. Appartenevano alla quarta classe le strade non comprese nella precedente e che
congiungevano il maggior centro di un comune coi centri maggiori dei comuni contigui, con le
sue frazioni, con le chiese parrocchiali, col cimitero, con la vicina stazione ferroviaria o, con un
porto marittimo, lacuale, fluviale. Alla stessa classe appartenevano inoltre le strade che congiungevano fra loro le principali frazioni di un comune e quelle che, essendo all’interno dei luoghi
abitati, non costituivano traverse di strade comprese nelle prime tre classi. Alla manutenzione di
queste strade dovevano provvedere interamente i Comuni a loro spese. Appartenevano alla quinta
classe le strade militari aperte al pubblico transito. Alla manutenzione di queste strade doveva
provvedere l’amministrazione militare con il contributo dei Comuni attraversati dalle stesse.
164
La strada n. 3 era la Tirrenia superiore che partendo dal confine francese giungeva fino
a Roma; il percorso della strada n. 53 partiva da Pisa e, passando per Firenze, Forlì, Ravenna,
giungeva a Porto Corsini; la strada n. 54 partiva sempre da Pisa e dopo aver toccato Lucca e
Borgo a Mozzano, giungeva all’innesto con la strada nazionale n. 55, presso San Marcello
Pistoiese.
165
ASPI, UGC, classe XXII, b. 3, fasc. 28, verbali di consegna del 30 giugno 1924. Per
qualche tempo (almeno fino al giugno del 1926) fu sempre la Provincia ad occuparsi della
manutenzione delle tre strade di prima classe, mentre l’Ufficio del Genio civile predispose gli
studi volti a migliorarne l’andamento.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
97
l’Azienda autonoma statale della strada cui venne affidata la gestione delle
strade statali e la loro sistemazione 166. Ancora una volta si dovette procedere
ad un cambiamento di competenze di cui però non è rimasta traccia
nell’archivio del Genio civile a noi pervenuto. Un elenco annesso alla legge
d’istituzione dell’Azienda autonoma statale della strada indicava quali fossero
le strade statali. Vi figuravano anche, con diversa denominazione, le tre strade
scorrenti in provincia di Pisa dichiarate di prima classe nel 1924 167. I documenti relativi al servizio stradale, affidati quasi fino alla fine dell’Ottocento
alla sezione speciale dell’Ufficio del genio civile, sono ripartiti in tre classi
dell’archivio, la XXII, la XXIII, la XXIV. Nella classe XXII sono conservati
quelli relativi alle strade provinciali, nella classe XXIII quelli relativi alle
strade comunali ordinarie, nella classe XXIV quelli riguardanti le comunali
obbligatorie.
5. Viabilità ferroviaria e tranviaria. — Dopo l’Unità nazionale alla sorveglianza sulla costruzione delle strade ferrate concesse all’industria privata 168
furono preposti degli speciali Commissariati tecnici 169. Soppressi nel 1885, le
loro attribuzioni passarono quindi agli Ispettorati generali delle strade ferrate 170. Gli Uffici del genio civile non ebbero quindi competenza diretta in
materia di lavori relativi a ferrovie pubbliche e private; dovevano invece
vigilare sulle opere eseguite per l’attraversamento dei corsi d’acqua o per la
difesa delle ferrovie pubbliche e delle private della seconda categoria. Gli
Uffici dovevano curare che le opere stesse non venissero a turbare il buon
regime delle acque, la navigazione o la conservazione e la facile praticabilità
delle strade pubbliche 171. Relativamente a queste attribuzioni erano chiamati
dai prefetti ad esprimere motivati pareri. I concessionari di ferrovie pubbliche
o private non avrebbero potuto intraprendere i lavori approvati per la costruzione di cavalcavia o di sottovia, per il trasporto su strade pubbliche, per la
costruzione di ponti o di altre opere sui fiumi e sui canali navigabili, se prima
166
L. 17 mag. 1928, n. 1094.
167
Si trattava delle strade statali n. 1 Aurelia, n. 12 dell’Abetone e del Brennero, n. 67 Tosco-Romagnola. Un’altra strada statale, la n. 68 di Val di Cecina, attraversava poi il territorio di
Volterra.
168
Per notizie generali e bibliografia sulla storia delle ferrovie italiane si vedano: A. MOCFerrovie delle Stato, in Novissimo digesto italiano, VII, pp. 233-236; L. BORTOLOTTI,
Viabilità e sistemi infrastrutturali…cit., pp. 320-336; S. CASSARINO, Ferrovie statali e ferrovie
concesse all’industria privata (evoluzione legislativa e problematica), in Le opere pubbliche, 1, I
lavori pubblici... cit., pp. 239-262.
CI,
169
Le attribuzioni dei Commissariati tecnici per la sorveglianza della costruzione delle ferrovie concesse all’industria privata furono fissate con r. d. del 18 nov. 1863, n. 1528.
170
171
R. d. 22 ott. 1885, n. 3460.
Queste attribuzioni derivavano dall’applicazione delle norme contenute nel Titolo V della legge sui lavori pubblici del 1865 (l. 20 mar. 1865, n. 2248, allegato F, artt. 232, 291).
Rosalia Amico
98
il prefetto della provincia, inteso il parere dell’ingegnere capo del Genio
civile, non avesse acconsentito all’esecuzione delle opere stesse 172. Su incarico del Ministero dei lavori pubblici gli ingegneri del Genio civile effettuarono
talora anche i collaudi di opere ferroviarie di nuova costruzione. Analoghe
attribuzioni gli Uffici del genio civile ebbero in merito alle richieste d’impianto ed esercizio di linee tranviarie, esprimendo pareri sui progetti presentati
da enti o società concessionarie in relazione alle esigenze della viabilità
ordinaria e del buon regime dei corsi d’acqua interessati dai lavori. Così negli
anni dal 1881 al 1883 il Genio civile di Pisa espresse pareri sulle richieste di
costruzione ed esercizio della tranvia a vapore Pisa-Pontedera 173, e della linea
tranviaria Navacchio-Calci 174. Nel 1885 la sorveglianza sulla costruzione ed
esercizio delle tramvie, fino ad allora affidata ai Commissariati tecnici per le
ferrovie, fu demandata dal Ministero dei lavori pubblici agli Uffici del genio
civile 175. L’Ufficio di Pisa mantenne le attribuzioni ora descritte fino al
gennaio del 1899, quando il Ministero dei lavori pubblici dispose che la
trattazione degli affari riguardanti l’autorizzazione e l’esercizio delle tramvie a
trazione meccanica fosse affidata, a partire dal 1° febbraio di quello stesso
anno, all’Ispettorato generale delle costruzioni e concessioni delle strade
ferrate e a quello d’esercizio 176. La consegna del servizio e dei documenti
d’archivio avvenne il 31 gennaio 1899. Il Genio civile di Pisa consegnò al
Circolo di Firenze dell’Ispettorato generale delle ferrovie sedici fascicoli
riguardanti le linee tranviarie Pisa-Pontedera, Navacchio-Calci (con allacciamento alla Pisa-Pontedera), Pisa-Marina di Pisa, Val di Nievole dell’Arno
inferiore 177. Al Circolo di Roma dello stesso Ispettorato vennero invece
consegnati il servizio ed i documenti relativi alla tramvia Botro dei MarmiMarina di San Vincenzo 178. Dopo il 1899 il Genio civile mantenne, in relazione al servizio tranviario, le competenze prescritte da un regolamento
emanato l’anno successivo 179. Spettava all’Ufficio un preliminare esame dei
progetti — prima che questi fossero dal prefetto trasmessi al Ministero dei
lavori pubblici — sempre in rapporto alla viabilità ordinaria ed alle sommità
arginali di opere idrauliche di prima e seconda categoria. Quanto è rimasto
172
Ibid., art. 263.
173
La costruzione della tranvia fu autorizzata con d. m. 28 giu. 1882 (ASPI, Prefettura, b.
422, fasc. 718 e b. 639, fasc. 34).
174
L’impianto ed esercizio della linea Navacchio-Calci fu autorizzato con d. m. 17 mag.
1883. Si veda: ASPI, Prefettura, b. 422, fasc. 251.
175
ASPI, UGC, classe XXVI, b. 1, fasc. 9 bis, telegramma del Ministero dei lavori pubblici del 19 novembre 1885.
176
Ibid., circolare del 17 gennaio 1899, n. 1326-825.
177
Ibid., « Processo verbale di consegna di documenti ed atti... », 31 gennaio 1899.
178
Ibid., verbale del 20 febbraio 1899.
179
R.d. 17 giu. 1900, n. 306, art. 6.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
99
nell’archivio del Genio civile dei documenti riguardanti le tramvie della
provincia è conservato nella classe XXVI 180 mentre alla conservazione dei
documenti riguardanti l’esercizio di linee ferroviarie fu riservata la classe
XXV.
6. Assetto dell’ufficio tra il 1889 ed i primi anni del Novecento. — Nel
1889 un decreto ministeriale emanato in quell’anno dispose la ripartizione in
tre sezioni dei servizi affidati all’Ufficio del genio civile di Pisa 181. Adeguandosi a questa norma l’ingegnere capo Leonardo Rambelli affidò alla prima
sezione il servizio generale, quello stradale e quello relativo agli edifici
demaniali. Alla terza sezione fu affidato l’intero servizio idraulico mentre la
seconda sezione dovette occuparsi delle bonifiche 182. Questo assetto dell’Ufficio perdurò almeno fino al 1897. Una nuova ripartizione dei servizi è infatti
attestata in quell’anno 183. Le sezioni furono portate a quattro, due ordinarie e
due straordinarie. Alla prima sezione ordinaria fu interamente affidato il
servizio idraulico delle opere di prima e seconda categoria. Alla seconda
sezione ordinaria fu affidato il servizio di manutenzione delle opere delle
bonifiche di Bientina e di Vada e Collemezzano, ed inoltre il rilevante servizio generale connesso ai fabbricati demaniali, alle strade e tramvie. Le sezioni
straordinarie erano preposte al servizio relativo alla bonifica di Bientina. Una
aveva competenza sui lavori ricadenti nel territorio lucchese, l’altra su quelli
da compiersi nel bientinese ricadente in provincia di Pisa. La terza sezione
straordinaria era infatti incaricata dello studio dei progetti e dell’esecuzione
delle opere nuove necessarie per la completa bonifica della pianura lucchese e
provvedeva anche alla manutenzione dei canali di quel territorio. La quarta
sezione straordinaria svolgeva gli stessi incarichi nel territorio di Bientina.
Modifiche a questa ripartizione dei servizi vennero introdotte nel 1900 da
parte dell’allora ingegnere capo Italo Pelleri. In particolare la competenza
sulla manutenzione della bonifica del territorio bientinese ricadente in provincia di Pisa passò dalla seconda sezione ordinaria alla quarta straordinaria. La
mole di lavoro gravante sulle due sezioni ordinarie era però tale che l’Ufficio,
malgrado la solerte attività del personale, si venne allora a trovare in gravi
difficoltà nel condurre a termine importanti progetti di sistemazione delle
180
Della classe XXVI resta solo una busta costituita da 7 fascicoli numerati (dal 9 bis al
16) che contengono documenti degli anni 1885-1926.
181
ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, lettera D, circolari del 1889, d. m. 13 feb. 1889. Al
decreto è allegata una nota contenente indicazioni sulla ripartizione dei servizi fra le sezioni.
182
ASPI, UGC, classe XX, b. 17, fasc. 3, ordine di servizio del 6 luglio 1889, « Nuova ripartizione del servizio in questa provincia ».
183
ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1, circolare del 9 settembre 1897, « Distribuzione dei
vari servizi fra il personale d’Ufficio ». A quella data il personale dell’Ufficio del genio civile
era costituito da ventuno persone, compreso l’ingegnere capo Giacomo Poletta.
Rosalia Amico
100
arginature dei fiumi Tora e Cornia e dello stesso fiume Arno 184. Anche
quest’assetto dell’Ufficio fu di breve durata. Già nel 1905 risulta operante una
nuova ripartizione dei servizi. Soppresse le due sezioni straordinarie, il servizio relativo alla bonifica di Bientina restò affidato ad un’unica sezione, la
seconda, mentre il servizio idraulico fu ripartito fra le sezioni prima, terza e
quarta. Quest’ultima si occupò anche dei lavori di manutenzione della bonifica di Vada e Collemezzano. Il rilevante servizio generale fu diviso fra le
sezioni terza e quarta.
Dal settembre del 1904 aveva intanto cominciato ad operare la quinta sezione straordinaria, addetta esclusivamente al servizio dei fabbricati universitari 185.
7. Servizio idraulico. — I piani di ripartizione interna dei servizi, attuati
dal 1889 ai primi del Novecento, indicano tutti l’importanza del servizio
idraulico affidato all’Ufficio del Genio civile di Pisa, nel cui territorio ricadevano opere classificate in prima e seconda categoria sulla base della legge sui
lavori pubblici del 1865. La legge, affidando al Ministero dei lavori pubblici
« il regime e la polizia delle acque pubbliche » e di fiumi, torrenti, laghi e
canali, i progetti e le opere relative alla navigazione fluviale e lacuale, aveva
infatti dettato le norme per la classificazione in quattro categorie delle opere
riguardanti le acque pubbliche 186. Nella prima categoria erano da classificarsi
opere che si eseguivano e mantenevano esclusivamente dallo Stato e che
avevano per unico oggetto « la navigazione dei fiumi, laghi, e grandi canali
coordinati ad un sistema di navigazione o la conservazione dell’alveo dei
fiumi di confine » 187. Nella seconda categoria erano da classificarsi le opere
che si eseguivano e mantenevano dallo Stato col concorso delle Province e
degli enti interessati riuniti in consorzio. Si trattava di opere, poste lungo i
fiumi arginati e loro confluenti, che provvedevano « ad un grande interesse di
una provincia » 188 o che si compivano al fine di regolare i suddetti corsi
d’acqua. Nella stessa categoria erano da classificarsi anche i canali di navigazione interessanti una o più Province e che non erano collegati ad altre
comunicazioni per acqua 189. Erano da porsi nella terza categoria, cui provve184
ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1, circolari e carteggio del 1900, « Compilazione dei
progetti, riduzione del numero delle sezioni... », comunicazione del 10 settembre 1900, diretta al
Ministero dei lavori pubblici.
185
Il piano di ripartizione dei servizi del 1905 è dedotto da alcune comunicazioni inviate al
Ministero dei lavori pubblici il 4 luglio 1905. Si veda: ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1 bis,
circolari del 1905.
186
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 1, lett. f.
187
Ibid., art. 93.
188
Ibid., art. 94.
189
Le spese per le opere di questa categoria erano da ripartire per una metà a carico dello
Stato mentre l’altra metà gravava per un quarto a carico della Provincia, o delle Province
interessate, e per il rimanente a carico degli altri interessati.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
101
devano i consorzi degli interessati, le opere necessarie per difendere le rive
dei fiumi non arginati e le loro diramazioni e quelle per proteggere le rive dei
torrenti da corrosioni che mettevano in pericolo gli interessi di più proprietà. I
consorzi degli interessati dovevano provvedere anche alle arginature parziali
di tratti di fiumi e di piccoli corsi d’acqua interessanti un limitato territorio.
Lo Stato poteva concorrere alle spese sostenute dai consorzi per le opere di
questa categoria qualora ne derivasse un vantaggio alla navigazione o una
« influenza sulla sicurezza di opere nazionali » 190. A carico esclusivo dei
proprietari frontisti erano le opere idrauliche della quarta categoria 191. Sempre
in base alla legge sui lavori pubblici del 1865 spettava all’Amministrazione
pubblica, il cui organismo tecnico era il Corpo del genio civile, far eseguire le
opere delle prime due categorie. Per le opere di terza e quarta categoria era
riservata all’autorità provinciale l’approvazione dei progetti, e l’alta sorveglianza sulla loro esecuzione 192. Per la ripartizione delle spese relative alle
opere di seconda, terza, quarta categoria, la legge prevedeva la costituzione di
consorzi 193. Entro un anno dall’emanazione della legge il governo avrebbe
dovuto pubblicare un elenco dei fiumi, laghi, e canali da iscriversi nella prima
categoria, ed un secondo elenco indicante le arginature, le opere idrauliche e i
canali navigabili che dovevano essere compresi nella seconda categoria 194. I
rimanenti corsi d’acqua e le opere idrauliche non compresi in quegli elenchi
erano posti a carico dei consorzi o dei singoli interessati. I primi elenchi
contenenti l’indicazione delle opere idrauliche iscritte nella prima e seconda
categoria furono pubblicati nel febbraio 1867. Due fra i più importanti corsi
d’acqua scorrenti in provincia di Pisa furono classificati in prima categoria e
cioè il fiume Arno (dallo scalo del Pignone sotto Firenze fino al suo sbocco
in mare) ed il Canale Navigabile Pisa-Livorno (dalla sua origine, presso la
Porta a Mare di Pisa, fino alla Dogana d’acqua di Livorno) 195. Nel febbraio
190
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 97. La quota del concorso statale non poteva essere maggiore di un quarto della spesa totale. Anche le Province potevano essere chiamate a
contribuire alle spese per le opere di terza categoria in ragione dell’utile che ne avrebbe conseguito il loro territorio.
191
Le opere idrauliche della quarta categoria erano le seguenti: « a) Gli argini in golena, e
gli argini circondari e traversanti; b) Gli argini e ripari alle ripe dei fiumi e torrenti, come a
quelle dei rivi e scolatori naturali, che servono di difesa ad una o poche proprietà ». Ibid., art. 98.
192
Ibid., art. 92.
193
Avrebbero potuto far parte dei consorzi anche lo Stato, le Province, i Comuni, come
proprietari di beni soggetti a danno, indipendentemente dalla quota di concorso cui fossero
obbligati nell’interesse generale. Ibid., art. 106.
194
Gli elenchi dovevano essere approvati per decreto reale, previo il parere dei Consigli
provinciali e del Consiglio superiore dei lavori pubblici e del Consiglio di Stato (L. 20 mar.
1865, n. 2248, all. F, art. 174). Entro un anno dalla pubblicazione degli elenchi avrebbero dovuto
essere stabiliti, mediante decreto ministeriale, i perimetri dei territori che con lo Stato dovevano
contribuire alle opere nominate negli stessi elenchi (ibid., art. 175).
195
R.d. 11 feb. 1867, n. 3598. Questa prima classificazione dell’Arno fu valutata assai negativamente dal Consiglio provinciale di Pisa (ASPI, Amministrazione provinciale, reg. A 2,
102
Rosalia Amico
del 1868 196 vennero classificati in seconda categoria altri corsi d’acqua della
provincia di Pisa e cioè il fiume Serchio con gli argini e le sponde (dal
confine della provincia di Pisa con quella di Lucca e fino al termine delle
arginature verso il mare); il fiume Era (con gli argini e le sponde dalla sua
foce risalendo per circa chilometri quattro e novantadue metri); il torrente
Zambra (con gli argini e le sponde, dalla sua foce risalendo per circa ottocento metri); il rio Filetto (con l’argine e la sponda sinistra, dalla foce in su per
circa millecinquecento metri). Anche gli argini e le sponde dell’Arno per tutto
il territorio compreso nella provincia di Pisa, furono con lo stesso provvedimento posti in seconda categoria, con l’esclusione però dei tronchi urbani che
erano allora a carico del Comune di Pisa. Ulteriori aggiunte e modifiche a
queste classificazioni vennero apportate nel 1882 197. Furono infatti iscritti in
seconda categoria anche i muri di sponda e le spallette del tronco dell’Arno
attraversante la città 198 e alcuni tronchi dei fiumi Tora e Cornia 199. Nel
1893 200 una nuova legge apportò modifiche a quella del 1865 sui lavori
pubblici con l’istituzione di una nuova categoria di opere idrauliche per
provvedere alla sistemazione dei corsi d’acqua che non avevano i caratteri
voluti dalla legge del 1865 per essere considerati di seconda categoria ma che
per l’entità dei danni che producevano, o minacciavano di produrre, non
potevano essere lasciati senza difese. Con la legge del 1893 le categorie delle
opere idrauliche divennero quindi cinque. La categoria nuovamente istituita fu
la terza 201 mentre le precedenti terza e quarta del 1865 divennero rispettivadeliberazione del Consiglio provinciale del 15 aprile 1867); si riferiva infatti — secondo
l’interpretazione datane da un consigliere provinciale — niente più che all’acqua del fiume,
mentre venivano escluse dal concorso dello Stato le sponde, gli argini del fiume stesso e dei suoi
affluenti, tutte opere per le quali il Consiglio aveva precedentemente richiesto l’iscrizione nella
prima categoria. Analoga proposta il Consiglio provinciale aveva avanzato in relazione al tratto
del Serchio scorrente in provincia di Pisa. Con il decreto del 1867 queste proposte vennero del
tutto disattese. Nell’agosto del 1867 il Consiglio provinciale accolse infine ed appoggiò la
proposta d’iscrizione in seconda categoria delle sponde ed arginature dei due fiumi Arno e
Serchio (ibid., deliberazione del 21 agosto 1867).
196
R.d. 4 feb. 1868, n. 4184.
197
L. 5 lug. 1882, n. 876.
198
La nuova classificazione riguardava il tratto urbano dell’Arno che veniva così indicato
« dallo scalo a monte della barriera doganale delle Piagge fino allo spigolo anteriore alla casa
detta di Ponte, prossima al luogo ov’era l’antico Ponte a Mare » (ibidem); venivano però esclusi
tre ponti, tre scali che servivano alla navigazione e al commercio, il muro della casa Scotto a
monte del ponte alle Piagge, il tratto di muro di spalletta sul quale era stata recentemente
ricostruita la chiesa della Spina.
199
Per quanto riguarda il fiume Tora vennero posti in seconda categoria gli argini e le
sponde « dalla pescaia di Colleromboli, presso Collesalvetti, fino al termine delle arginature
presso il mare ». Anche gli argini e le sponde del Cornia erano classificati in seconda categoria
« dalla loro origine presso la fattoria della Bandita fino al ponte della Sdriscia » (ibidem).
200
L. 30 mar. 1893, n. 173.
201
Erano da considerarsi nella nuova terza categoria quelle opere, non comprese già nella
prima e seconda, che fossero volte a conseguire i seguenti scopi: a) difendere ferrovie, strade ed
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
103
mente quarta e quinta. Alla costruzione delle opere della nuova terza categoria
dovevano provvedere gli interessati riuniti in consorzio, col concorso dello
Stato, delle Province, dei Comuni 202. La legge prevedeva inoltre che gli Uffici
del genio civile, ottenutone il permesso dal Ministero dei lavori pubblici,
potessero essere incaricati di redigere i progetti anche per le opere idrauliche
di terza, quarta, quinta categoria. Ciò poteva avvenire su richiesta dei consorzi, in particolare quando questi non avessero mezzi sufficienti per poter
ricorrere all’opera di ingegneri privati 203. Nel 1904 tutte le norme vigenti in
materia di opere idrauliche vennero raccolte in un testo unico di legge 204. Sui
fiumi e corsi d’acqua del territorio pisano, variamente classificati, si esplicherà l’azione diretta del Genio civile, con alcune eccezioni. Così il tratto del
Cornia classificato in seconda categoria nel 1882, pur ricadendo in provincia
di Pisa, rimase affidato alle cure dell’Ufficio del genio civile di Grosseto, in
quanto le acque del fiume venivano utilizzate per la bonifica del piombinese
la cui gestione il Ministero dei lavori pubblici aveva attribuito nel 1870
proprio all’Ufficio di Grosseto 205. L’Ufficio di Pisa si occupò invece del
rimanente corso del fiume. Nel 1904 le opere idrauliche di un altro tratto del
Cornia, compreso fra le località « Forni » e la « Bandita » situate nei territori
dei comuni di Campiglia Marittima e Suvereto, furono classificate in terza
categoria su proposta del Genio civile di Pisa 206. Almeno fino al 1908 il
Cornia fu oggetto di particolare sorveglianza da parte del servizio di piena
dell’Ufficio di Pisa 207 in quanto soggetto a rovinosi straripamenti. Il Genio
civile di Pisa si occupò del Cornia fino al 1909, quando le attribuzioni esercitate fino ad allora nei riguardi del tratto superiore del fiume (classificato in
terza categoria) furono anch’esse assegnate al Genio civile di Grosseto 208.
altre opere di grande interesse pubblico e beni demaniali dello Stato, delle Province, dei Comuni;
b) migliorare il regime di un corso d’acqua avente opere già classificate in prima e in seconda
categoria; c) impedire che avvenissero sopra estesi territori « inondazioni, straripamenti, corrosioni, impaludamenti e invasioni di ghiaia od altro materiale d’alluvione » (ibid., art. 96).
202
Le spese, escluse quelle di manutenzione, andavano ripartite per un terzo a carico dello
Stato, per un sesto a carico delle Province interessate, per un sesto a carico dei Comuni interessati e per il rimanente terzo a carico del consorzio degli interessati (ibid., art. 97). Le quote di
concorso nelle spese furono diversamente determinate con la l. 7 lug. 1902, n. 304, recante anche
norme per la costituzione dei consorzi di terza categoria.
203
Circolare del Ministero dei lavori pubblici del 20 maggio 1893, n. 4434 (copia in ASPI,
UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, circolari del 1893).
204
R.d. 25 lug. 1904, n. 523.
205
D.m. del 6 mag. 1870.
206
R.d. del 31 gen. 1904. Copia in ASPI, Prefettura, busta 99, fasc. 27.
207
I documenti relativi a questa attività dell’Ufficio sono contenuti in diverse buste della
classe XX dell’archivio del Genio civile, mentre nella classe XXI sono conservate le osservazioni idrometriche relative al periodo che va dal 1899 al 1906.
208
ASPI, Prefettura, b. 99, fasc. 27, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 22 gennaio
1909, prot. n. 245. Con la lettera il Ministero comunicava al prefetto che l’ispettore comparti-
Rosalia Amico
104
Nell’archivio in esame non si trova alcun verbale relativo al passaggio di
competenze tra i due Uffici di Pisa e Grosseto ma la trasmissione dei documenti dovette avvenire probabilmente nello stesso 1909 209. A Pisa non rimase
altro che un fascicolo della classe XIII dell’archivio, dedicata a conservare i
documenti relativi al fiume Cornia. Altri passaggi di competenze riguardarono
i fiumi Tora, Cecina, ed il tratto finale del canale Pisa-Livorno. Le opere
idrauliche di seconda categoria inerenti al fiume Tora passarono sotto la
competenza dell’Ufficio del genio civile di Livorno nel 1926, su disposizione
del Ministero dei lavori pubblici che in quell’anno modificò la ripartizione dei
servizi dei due Uffici di Pisa e Livorno 210 per porli in armonia con le nuove
circoscrizioni territoriali delle due Province, modificate l’anno precedente 211.
In conseguenza di ciò fu ordinata la consegna all’Ufficio del genio civile di
Livorno del servizio e dei documenti d’archivio relativi alle opere di seconda
categoria del fiume Tora ricadenti ormai nel territorio provinciale di Livorno 212. Rimasero presso l’Ufficio di Pisa i documenti relativi alla costituzione
del Consorzio interprovinciale istituito nel 1892 213 per il mantenimento delle
opere di seconda categoria del fiume e pochi altri fascicoli appartenenti alla
classe XII dell’archivio, quella appunto riferita al fiume Tora. Il passaggio del
servizio relativo al tratto finale del fiume Cecina dall’Ufficio del genio civile
di Pisa a quello di Livorno avvenne nel 1932. In quell’anno infatti il Ministero dei lavori pubblici dispose che la giurisdizione degli Uffici del genio civile
dovesse coincidere di norma con quella provinciale 214. Nell’agosto del 1932
l’Ufficio di Pisa consegnò a quello di Livorno il servizio relativo al tratto
finale del Cecina 215. Nell’archivio del Genio civile di Pisa restano otto fascicoli della classe XIV bis, destinata a conservare i documenti riguardanti il
mentale del Genio civile aveva incaricato l’ingegnere capo dell’Ufficio di Grosseto di procedere
alla compilazione del progetto esecutivo delle opere di sistemazione del fiume Cornia classificate
in terza categoria. Dopo il 1909 i lavori riguardanti il Cornia appaiono sempre diretti dall’Ufficio
di Grosseto.
209
Solo la copertina di un fascicolo reca la scritta « dal presente incartamento è stato
[estratto] tutto ciò che riguardava il fiume Cornia ed è stato trasmesso all’Ufficio del genio civile
di Grosseto » (ASPI, UGC, classe XVIII, b. 1, fasc. 1).
210
ASPI, UGC, classe XII, b. 1, fasc. 39, lettera del 28 settembre 1926, prot. n. 2387.
211
Le circoscrizioni territoriali delle province di Pisa e Livorno erano state modificate con
r.d.l. del 15 nov. 1925, n. 2011.
212
ASPI, UGC, classe XII, b. 1, fasc. 39, verbale di consegna del 3 novembre 1926. La
consegna riguardò trentadue fascicoli della classe XII, il fascicolo n. 6 della classe XXI (dedicata
alle osservazioni idrometriche) ed altri documenti sciolti.
213
D.m. 27 mag. 1892, n. 23551/5759.
214
R.d. 28 lug. 1932, n. 958 e circolare ministeriale del 16 lug. 1932, n. 14035 (copia è in
ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5).
215
ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5, verbale di consegna del 2 agosto 1932. Furono consegnate anche alcune piante e i documenti predisposti dall’Ufficio di Pisa per sostenere una
proposta di classificazione delle difese idrauliche del tratto terminale del fiume Cecina.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
105
fiume Cecina. I documenti pervenutici si riferiscono al periodo compreso fra
il 1885 ed il 1912. In questi anni l’Ufficio di Pisa esplicò la sua azione in
relazione al Cecina, soprattutto in materia di polizia idraulica 216. Oltre che nel
territorio di Livorno parte del fiume scorreva però anche nelle Province di
Siena e Grosseto. Nel 1932 si addivenne tra i tre Uffici del genio civile a
degli accordi in base ai quali furono chiaramente determinati gli ambiti
territoriali entro i quali doveva esplicarsi l’azione di ciascuno 217. Anche il
servizio relativo al tratto finale (di accesso al porto di Livorno) del canale
Navigabile Pisa-Livorno, rimasto fino ad allora interamente affidato al Genio
civile di Pisa, passò nel 1932 all’Ufficio del genio civile di Livorno 218.
Proprio in quegli anni si lavorava ancora intorno al canale modificandone
il corso per renderlo più idoneo alla navigazione ed abbreviare il collegamento con il porto di Livorno. La classe d’archivio destinata a conservare i
documenti relativi al servizio idraulico esplicato in relazione all’Arno è la X,
mentre quelli inerenti al Serchio si trovano nella classe XI. Connesse al
servizio idraulico erano altre attribuzioni dell’Ufficio del genio civile che
aveva ingerenza in materia di costituzione dei consorzi idraulici, di derivazioni e concessioni d’uso delle acque pubbliche, di polizia idraulica. Oltre al
servizio ordinario l’Ufficio era tenuto poi ad attivare, nei casi di particolare
necessità, un servizio di piena.
7.1. Consorzi idraulici e Ufficio dei fiumi e fossi. — La costituzione dei
consorzi per opere idrauliche fu regolata fin dal 1865 dalla legge sui lavori
pubblici emanata in quello stesso anno. In materia di consorzi la legge attribuì
alcuni compiti ai prefetti i cui consulenti tecnici, in relazione ai lavori pubblici, erano gli ingegneri del Genio civile, tenuti a fornire pareri, notizie, chiarimenti, su tutti gli affari che i prefetti avessero voluto loro sottoporre. In
particolare nel 1883 il Ministero dei lavori pubblici incaricò l’Ufficio del
genio civile di Pisa di compiere studi e presentare proposte per determinare i
perimetri consorziali delle opere idrauliche già classificate in seconda catego216
Alla « Polizia delle acque pubbliche » erano dedicati gli artt. 165-172 della l. 20 mar.
1865, n. 2248, all. F, ripresi successivamente dal r.d. del 25 lug. 1904, n. 523, che approvava il
testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie.
217
ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5, verbale di consegna dei servizi del 16 luglio 1932.
Secondo l’allora ingegnere capo Giovanni Girometti la ripartizione del servizio fu effettuata
seguendo il più possibile i confini delle tre Province ma tenendo altresì conto delle allora vigenti
ripartizioni dei tronchi idraulici e di bonifica che non potevano sempre coincidere coll’ambito
provinciale ed imponevano quindi un qualche temperamento alle disposizioni emanate col r. d.
28 lug. 1932 n. 958. Al verbale di consegna dei servizi è allegata una corografia che evidenzia i
limiti territoriali dei tre Uffici del genio civile di Pisa, Siena e Grosseto.
218
ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5, verbale di consegna dei servizi del 2 agosto 1932.
Tra i due Uffici si convenne che il Genio civile di Livorno nell’attuare ogni nuovo lavoro
riguardante l’ultimo tratto del canale avrebbe tenuto conto delle necessità della navigazione
prendendo volta a volta accordi con l’Ufficio di Pisa.
Rosalia Amico
106
ria 219, attribuzioni queste che forse l’Ufficio aveva esercitato anche in precedenza.
In base alla legge sui lavori pubblici i consorzi dovevano essere formati
dai proprietari dei beni posti in pericolo di danno per la loro prossimità ai
fiumi e torrenti. Anche lo Stato, le Province e i Comuni, in quanto proprietari
di beni soggetti a danno potevano partecipare ai consorzi. Là dove non
esistessero consorzi idraulici ne poteva essere promossa da parte degli interessati la costituzione, presentandone richiesta al sindaco, qualora si trattasse di
opere il cui interesse fosse limitato al solo territorio comunale, ed al prefetto
in ogni altro caso 220. Il sindaco, o rispettivamente il prefetto, doveva far
pubblicare le domande nel comune o nei comuni in cui si trovavano i beni
che sarebbero stati soggetti al concorso nelle spese e doveva poi convocare
l’assemblea di tutti i proprietari interessati. In seguito al voto espresso da
questi il Consiglio comunale, o rispettivamente quello provinciale, doveva
deliberare sulla costituzione del consorzio. Era riservata al Ministero dei
lavori pubblici, sentiti i Consigli provinciali, la costituzione di quei consorzi
che si estendessero ai territori di più province. Ordinato e reso obbligatorio il
consorzio, l’assemblea degli interessati doveva procedere alla nomina di un
consiglio d’amministrazione ed alla redazione di uno speciale statuto. Doveva
deliberare poi sul modo di eseguire le opere e i relativi progetti tecnici. I
consorzi esistenti erano mantenuti ma entro tre anni dalla pubblicazione della
legge i loro statuti avrebbero dovuto essere sottoposti a revisione da parte
delle rispettive rappresentanze legali che li avrebbero approvati seguendo le
norme prescritte dalla nuova legge.
Per disciplinare la costituzione dei consorzi per le opere idrauliche di
seconda categoria nel 1888 venne emanato uno specifico regolamento 221.
Le disposizioni contenute nel nuovo provvedimento ribadirono la funzione
consultiva esercitata dagli Uffici del genio civile in relazione ai prefetti.
Venne prescritto inoltre che un membro dell’Ufficio del genio civile, delegato
dal prefetto, dovesse intervenire all’assemblea dei proprietari interessati alla
costituzione del consorzio, senza voce deliberativa ma con l’incarico di
fornire, occorrendo, notizie e chiarimenti. Al parere del Genio civile la Prefettura doveva sottoporre pure le eventuali opposizioni presentate dai proprietari.
Altre norme per la costituzione dei consorzi di terza categoria furono emanate
nel 1902 222. Tutte queste disposizioni trovarono applicazione anche in provincia di Pisa, rivoluzionando l’assetto di un vecchio ufficio, la Deputazione
generale dei fiumi e fossi della pianura pisana.
La legge del 1865 sui lavori pubblici aveva prescritto infatti che i corpi
morali o le persone che, per effetto di speciali leggi e regolamenti, avessero
219
ASPI, UGC, classe XVIII, b. 2, fasc. 2, circolare del 17 novembre 1883, n. 104312.
220
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 108.
221
R. d. 9 feb. 1888, n. 5231.
222
L. 7 lug. 1902, n. 304.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
107
allora l’amministrazione o la sorveglianza di opere idrauliche d’interesse
sociale, entro un anno avrebbero dovuto promuovere la formazione di consorzi attenendosi alle prescrizioni della recente normativa. Anche la Deputazione
generale dei fiumi e fossi della pianura pisana avrebbe dovuto modificare
profondamente la sua organizzazione, il suo funzionamento e provvedere a
darsi nuovi regolamenti o statuti. Essa era stata istituita nel 1815 al fine di
gestire l’amministrazione economica e la direzione dei lavori di tutti i fiumi,
fossi, torrenti e dei corsi d’acqua della provincia pisana soggetti al controllo
pubblico 223. L’amministrazione economica e la direzione dei lavori dei due
fiumi Arno e Serchio era rimasta invece affidata, fino al 1825, direttamente
all’Ufficio dei fossi 224. Quest’ultimo era stato ripristinato dal governo granducale nel giugno del 1814 225 ed aveva tra le sue attribuzioni anche la soprintendenza delle comunità del compartimento pisano 226. Nel 1825 l’Ufficio dei
fossi di Pisa venne conservato sotto la nuova denominazione di Camera di
soprintendenza comunitativa del compartimento pisano 227. Il provveditore
della Camera mantenne l’amministrazione delle cinque Masse d’Arno e
Serchio, cioè delle associazioni di proprietari su cui gravava l’onere di sostenere le spese connesse al mantenimento del buon regime dei due fiumi. La
progettazione dei lavori riguardanti l’Arno, il Serchio, il Canale Navigabile
Pisa-Livorno venne però attribuita agli ingegneri ispettori compartimentali,
istituiti con lo stesso provvedimento e posti alle dipendenze della Direzione
generale dei lavori d’acque e strade. Contemporaneamente anche la Deputazione generale dei fiumi e fossi perse la possibilità di disporre di propri
ingegneri. Pur mantenendo alcune attribuzioni in materia di lavori riguardanti
i minori corsi d’acqua del territorio pisano la Deputazione, in relazione a
questo servizio, avrebbe dovuto essere assistita da ingegneri dipendenti dallo
223
Motuproprio del 17 giugno 1815 in Leggi del Granducato della Toscana, s.l., Stamperia
granducale, 1815, pp. 292-311.
224
Per la storia dell’Ufficio dei fiumi e fossi di Pisa si vedano: R. FIASCHI, Le magistrature pisane delle acque, Pisa, Nistri-Lischi, 1938; E. FASANO GUARINI, Città soggette e contadi nel
dominio fiorentino tra Quattro e Cinquecento: il caso pisano, in Ricerche di storia moderna,
Pisa, Pacini, 1976, I, pp. 1-94; ID., Regolamentazione delle acque e sistemazione del territorio in
Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici, Pisa, Nistri-Lischi e Pacini,
1980, pp. 43-46. Istituito a Pisa nel 1475 dal governo fiorentino per provvedere alla regolamentazione delle acque e al buon regime idraulico del territorio, l’Ufficio dei fiumi e fossi aveva
progressivamente assunto nuovi e rilevanti compiti come la tenuta ed il controllo degli estimi
comunitativi e, a partire dal 1603 con l’istituzione al suo interno del Magistrato dei Surrogati,
anche la sovrintendenza sugli affari e sulle spese di tutte le comunità appartenenti al territorio
pisano. Nel 1808, durante la dominazione francese, l’Ufficio era stato soppresso.
225
Motuproprio del 27 giugno 1814 in Leggi del Granducato di Toscana, s.l., Stamperia
granducale, 1814, pp. 114-132.
226
Nei motupropri del 27 giugno e 12 settembre 1814 (ibid., pp. 291-297) l’Ufficio è denominato anche come Ufficio di soprintendenza comunitativa.
227
Motuproprio del 1° novembre 1825 in Bandi e ordini... cit., cod. XXXII, Firenze, 1825,
n. LXXXIII.
108
Rosalia Amico
Stato, cioè prima dal Corpo degli ingegneri d’acque e strade 228 e poi, fino al
1869, dall’Ufficio del genio civile. Solo da quell’anno infatti l’associazione di
consorzi idraulici, costituitasi ancora coll’antico nome di Ufficio dei fiumi e
fossi, poté nominare un proprio ingegnere ed in quell’anno ricevette dall’Ufficio del genio civile la consegna di numerosi fascicoli, documenti, perizie e
piante riguardanti il servizio svolto dagli ingegneri dello Stato per la Deputazione generale 229.
Dell’associazione di consorzi costituitasi nel 1868 col nome di Ufficio
dei fiumi e fossi (quasi a voler rivendicare le attribuzioni del lontano passato)
il Genio civile di Pisa dovette occuparsi più volte su richiesta del Ministero
dei lavori pubblici cui giungevano frequenti lagnanze circa l’irregolarità degli
atti che avevano accompagnato l’istituzione del nuovo Ufficio, circa il suo
funzionamento, la sua gestione, il suo statuto 230. Nell’archivio dell’Ufficio del
228
Per i rapporti fra la Deputazione generale dei fiumi e fossi ed il Corpo degli ingegneri
si veda: R. AMICO, L’archivio del Corpo degli ingegneri d’acque e strade del compartimento di
Pisa… cit., pp. 9-23.
229
ASPI, UGC, classe XVI, b. 1, fasc. 1, « Inventari » del 28 luglio, 11 agosto, 24 novembre 1869.
230
Il primo regolamento dell’ente consortile denominatosi Ufficio dei fiumi e fossi, fu approvato dall’assemblea degli interessati il 21 aprile 1868 ed omologato dal prefetto l’11 maggio
1868. Più volte il nuovo Ufficio dei fossi fu costretto ad affrontare controversie giudiziarie e a
modificare il proprio atto costitutivo. Nel 1894, in un parere richiestogli dal Ministero dei lavori
pubblici, l’ingegnere capo del Genio civile di Pisa, Poletta, rilevava come l’Ufficio dei fiumi e
fossi era « un amalgama di interessi ben disparati » che riuniva attribuzioni e funzioni « in
maniera tale da paralizzare in gran parte il regolare svolgimento della vita rigogliosa che si
ripromise il legislatore colle istituzioni degli enti consorziali. A provare l’asserto basti il riflettere
come, mentre la vigente legge sui lavori pubblici esigeva una speciale rappresentanza per ognuno
dei consorzi in genere ed in particolare per quelli delle opere di II categoria, nel nostro caso i
cinque consorzi istituiti pei fiumi Arno e Serchio sono riuniti sotto il titolo compendioso di
Compartimento d’Arno e Serchio con un sol presidente, il quale rappresenta contemporaneamente gli altri consorzi che hanno scopi ben diversi, dai primi » (ASPI, UGC, classe XVI, b. 1, fasc.
1, relazione del 26 dicembre 1894 sulla riforma dello statuto sociale dell’Amministrazione
consortile dei fiumi e fossi di Pisa). I cinque consorzi di seconda categoria cui si accenna nella
relazione dell’ingegnere capo Poletta erano quelli i cui perimetri consorziali erano stati stabiliti
con d. m. del 25 marzo 1876 n. 7313 \14217 che chiamava i proprietari dei fondi compresi nei
singoli perimetri a costituirsi in consorzi ai sensi dell’art. 108 e seguenti della legge 20 marzo
1865, n. 2248, allegato F. Lo stesso decreto manteneva provvisoriamente in vigore le cinque
Masse (associazioni di proprietari) d’Arno e Serchio esistenti nella provincia di Pisa, ai fini delle
liquidazioni delle rispettive contabilità. Nel 1848 l’amministrazione e la rappresentanza delle
cinque Masse, dopo la soppressione della Camera di soprintendenza comunitativa, era passata
alla Prefettura. La Deputazione generale dei fiumi e fossi aveva invece mantenuto la rappresentanza degli interessati alle spese per il mantenimento dei minori corsi d’acqua della provincia
pisana. Il regolamento d’istituzione del nuovo Ufficio dei fossi, approvato nel 1868, previde
l’unificazione dell’amministrazione dei consorzi che dipendevano dalla Prefettura e degli altri che
dipendevano dalla Deputazione dei fiumi e fossi. « Con tale regolamento — si legge nella nota
dell’Ufficio del genio civile allegata alla relazione citata — si fece una confusione generale
perché si mescolarono consorzi che dovevano essere costituiti unicamente per concorrere alle
spese per le opere di II categoria e per l’esclusiva amministrazione delle rendite di qualunque
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
109
genio civile successivo al 1886 tre classi (la XVI, la XVII, la XVIII) furono
destinate ad accogliere i documenti riguardanti i consorzi idraulici. Anche
questa parte dell’archivio subì però dei rimaneggiamenti in seguito ai quali i
documenti della classe XVII 231 furono ridistribuiti all’interno della classe
XVI, dedicata in un primo tempo solo ai consorzi di seconda categoria, e
della classe XVIII che fu destinata a raccogliere i documenti riguardanti i
consorzi di terza, quarta o incerta categoria. Un fascicolo della classe XVI, il
numero 1, racchiude i documenti redatti dall’Ufficio del genio civile in
relazione alle questioni riguardanti l’Ufficio dei fiumi e fossi ed il suo statuto.
7.2. Concessioni, derivazioni d’acque pubbliche, contravvenzioni. —
Provvedimenti di concessione erano necessari per eseguire opere che potevano
modificare il regime idraulico di fiumi, canali, corsi d’acqua, per estrarvi
materiali (sabbia, ghiaia), per attingervi acqua, per impiantarvi baracche,
retoni o altri sistemi di pesca, per esercitare servizi di traghettamento. Sono
questi i principali oggetti delle istanze di concessione raccolte nella classe IX.
Anche la materia delle concessioni fu disciplinata dalla legge sui lavori
natura, con gli altri consorzi di scolo e difesa di III e IV categoria che dovevano provvedere ai
lavori e spese ». Nella stessa nota d’ufficio si accenna anche alla posizione assunta dalla
Prefettura nel 1868: « (...) la Prefettura d’allora non comprese lo spirito della nuova legge [quella
del 20 marzo 1865 sui lavori pubblici] perché cooperò più per la conservazione delle vecchie
istituzioni senza tener conto delle notevoli modificazioni derivanti dalla detta legge. Si volle
conservare il nome di Uffizio di fiumi e fossi come se il Genio civile non fosse mai esistito, e
come se i fiumi maggiori ed il canale Navigabile Pisa-Livorno fossero rimasti uniti a tutti gli
altri canali e fossi della Provincia... ». Come si è visto la progettazione e la determinazione dei
lavori per le opere di seconda categoria spettava per legge all’Ufficio del genio civile. Sulle
vicende dell’Ufficio (o Deputazione generale) dei fiumi e fossi nel periodo postunitario si vedano
anche i verbali delle sedute del Consiglio provinciale di Pisa che già nel 1878 fu chiamato dal
governo a pronunziarsi sulla soppressione dell’Ufficio richiesta da un gruppo di possidenti della
pianura pisana (PROVINCIA DI PISA, Atti del Consiglio provinciale. Sessioni Ordinaria e Straordinarie del 1877-78, Pisa, Nistri e C., 1879, pp. 76-120). Sulla questione, definita dal consigliere
Carmignani « una delle più gravi » (ibid., p. 85) di cui il Consiglio si era fino ad allora dovuto
occupare, vennero a costituirsi due distinti partiti, uno, capeggiato da Giuliano Carmignani,
nettamente favorevole alla soppressione, l’altro (che riportò la maggioranza) schierato sulle
posizioni dei consiglieri Lorenzo Nelli e Ranieri Simonelli, favorevoli alla conservazione
dell’Ufficio. Si vedano anche: DEPUTAZIONE GENERALE AMMINISTRATIVA DEI FIUMI E FOSSI
DELLA PIANURA PISANA, Rapporto della Commissione incaricata di riferire intorno ai consuntivi
nell’epoca dal 1° Gennaio 1869 al 31 Dicembre 1875, Pisa, Nistri e C., 1877; UFFIZIO DEI FIUMI
E FOSSI, Progetto di riforma dello Statuto. Relazione della Commissione nominata dal Consiglio
dei delegati nella seduta del dì 9 novembre 1898, Pisa, Vannucchi, 1899.
231
Della classe XVII originaria restano solo 2 fascicoli attualmente collocati all’interno
della classe XVI; il primo fascicolo (classe XVI, b. 1, fasc. 7) ha il seguente oggetto « classifica
e declassifica di opere idrauliche di I e II categoria »; il secondo fascicolo (classe XVI, b. 2,
fasc. 12) ha per oggetto il « Consorzio dei rii Carriola, Cavane, e Bagnaia in comune di S.
Miniato ». Il contenuto disparato dei due fascicoli citati non ci consente di individuare meglio
quale fosse lo specifico oggetto della classe XVII di cui si può dire solo che era riservata alla
conservazione di documenti riguardanti i consorzi idraulici.
Rosalia Amico
110
pubblici del 1865 232. Nessuno poteva eseguire opere nell’alveo di fiumi,
torrenti, canali di proprietà demaniale ed in altri corsi d’acqua, senza il
permesso dell’autorità amministrativa 233. La stessa legge elencava i lavori e
gli atti riguardanti le acque pubbliche, le loro sponde e gli alvei, vietati in
modo assoluto e quelli che si potevano eseguire solo con speciale autorizzazione del prefetto o del Ministero dei lavori pubblici, sotto le condizioni
imposte da questi due soggetti 234. Queste norme generali sulle concessioni
confluirono nel 1904 nel testo unico delle disposizioni di legge intorno alle
opere idrauliche delle diverse categorie 235. Coloro che intendevano ottenere
l’autorizzazione all’eseguimento di lavori o al compimento di atti che
comportavano un intervento sui corsi d’acqua, dovevano presentarne istanza al
prefetto. Questi ne trasmetteva copia all’Ufficio del genio civile affinché
esprimesse un parere tecnico. Il parere dell’Ufficio conteneva in genere anche
le condizioni cui doveva essere vincolata la concessione. L’emissione dell’atto
di autorizzazione era normalmente di competenza della Prefettura, mentre per
alcune importanti opere era richiesta una speciale autorizzazione del Ministero
dei lavori pubblici 236. Un’innovazione importante a questa prassi fu apportata
nel 1921 quando le attribuzioni, precedentemente demandate al Ministero dei
lavori pubblici e ai prefetti in materia di concessioni, furono deferite agli
ingegneri capi degli Uffici del genio civile che ricevettero ormai direttamente
le domande e procedettero all’emanazione degli atti di concessione 237. La
prassi seguita in materia di concessioni era assai simile a quella riguardante le
derivazioni d’acque pubbliche. Nessuno poteva derivare acque pubbliche o
stabilirvi mulini o opifici, senza un legittimo titolo e senza averne ottenuta
l’autorizzazione del governo. Alle nuove concessioni d’uso delle acque si
provvedeva mediante l’emanazione di un decreto reale promosso dal Ministero delle finanze 238. Nei decreti di concessione dovevano essere indicati la
quantità, il tempo, il modo e le condizioni delle derivazioni, l’annuo canone
da corrispondere allo Stato. Le domande dovevano essere corredate dai
progetti delle opere da eseguire per derivare le acque. Una nuova legge sulle
derivazioni, emanata nel 1884, decentrò la competenza sulle concessioni
232
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F
233
Ibid., art. 165.
234
Ibid., artt. 168-170. L’art. 170 fu modificato dall’art. 21 della legge del 10 agosto 1884,
n. 2644. Fu previsto che le opere indicate nel suddetto articolo fossero autorizzate dai prefetti
quando si dovessero eseguire in corsi d’acqua non navigabili e non compresi fra quelli iscritti
negli elenchi delle opere idrauliche di seconda categoria.
235
R.d. 25 lug. 1904, n. 523.
236
Ibid., art. 98.
237
R.d. 19 nov. 1921, n. 1688.
238
Per le concessioni nuove si doveva tener conto di cautele e condizioni proposte dal Ministero dei lavori pubblici, sentito il Consiglio superiore dei lavori pubblici.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
111
d’acque pubbliche, demandandola ai prefetti 239. La competenza del governo
fu mantenuta solo per le concessioni concernenti i laghi, i tronchi fluviali di
confine, i corsi d’acqua navigabili e quelli le cui arginature e sponde erano
iscritte in seconda categoria. Il regolamento per l’esecuzione della legge
venne emanato nel 1893 240. Vi vennero indicate le ingerenze spettanti ai
prefetti e agli Uffici del genio civile. Le domande per derivare acque pubbliche o per impiantarvi opifici, dovevano essere presentate al prefetto o, per suo
mezzo, al Ministero delle finanze 241. Le domande aventi per oggetto grandi
derivazioni dovevano essere corredate da progetti di massima. Il prefetto
faceva sottoporre ciascuna domanda ad un esame preliminare dell’Ufficio del
genio civile. In base al parere da questi espresso e tenuto conto della regolarità della documentazione, la domanda veniva ammessa all’istruttoria, comunicata alla Deputazione provinciale e resa pubblica mediante un decreto prefettizio. A questi adempimenti doveva seguire una visita ai luoghi, fatta da un
ufficiale del Genio civile, per verificare la corrispondenza delle rappresentazioni grafiche del progetto con le condizioni locali. Lo stesso ufficiale del
Genio civile doveva stendere poi un verbale della visita, contenente eventuali
osservazioni. Il processo verbale della visita, accompagnato da una relazione
contenente il parere sulla convenienza o meno della concessione e delle opere
progettate e le proposte di eventuali modifiche e cautele, doveva essere
trasmesso al prefetto dall’ingegnere capo. A questi documenti doveva unirsi
anche una proposta di disciplinare contenente le condizioni cui doveva essere
vincolata la concessione. Con ciò terminava l’ingerenza dell’Ufficio del genio
civile nella fase istruttoria. La fase successiva, i cui adempimenti erano in
parte affidati alla Prefettura, si concludeva di solito con l’emissione di un
decreto di concessione (reale, ministeriale o prefettizio, a seconda dell’importanza del corso d’acqua di cui veniva richiesta l’utilizzazione). Emanato il
decreto, nel caso di grandi derivazioni il concessionario doveva sottoporre
all’approvazione del prefetto i progetti esecutivi delle opere da eseguire. Sui
progetti doveva essere sentito il parere dell’Ufficio del genio civile che aveva
anche il compito di sorvegliare l’andamento dei lavori in modo che fossero
rispettate le condizioni cui era vincolata la concessione. Ultimati i lavori,
l’Ufficio li verificava ed emetteva il certificato di collaudo che doveva essere
trasmesso alla Prefettura per gli ulteriori adempimenti. Le ingerenze dei
prefetti in materia di derivazioni d’acque pubbliche furono trasferite agli
ingegneri capi del Genio civile nel 1920 242. Furono dunque questi a ricevere
239
L. 10 ago. 1884, n. 2644.
240
R.d. 26 nov. 1893, n. 710.
241
Andavano trasmesse al Ministero delle finanze le domande riguardanti gli speciali corsi
d’acqua indicati nell’art. 2 della l. 10 ago. 1884, n. 2644.
242
R. d. 14 ago. 1920, n. 1285, approvante il regolamento per le derivazioni e utilizzazioni
di acque pubbliche. Il nuovo regolamento era conseguente alla riforma della materia decisa con il
d.l. 9 ott. 1919, n. 2161.
Rosalia Amico
112
le domande per nuove concessioni e a provvedere agli ulteriori adempimenti
istruttori, i cui atti dovevano essere sottoposti al parere del Consiglio superiore delle acque, istituito presso il Ministero dei lavori pubblici, ed avente il
compito di indicare gli elementi essenziali che l’Ufficio del genio civile
doveva includere nel provvedimento di concessione. Accettato il disciplinare
dal soggetto che aveva richiesto la concessione, il Ministero dei lavori pubblici, di concerto con quello delle finanze, promuoveva il decreto reale o emetteva il decreto ministeriale di concessione. Emanato il decreto, spettava
ancora all’Ufficio del genio civile esaminare il progetto esecutivo dei lavori,
sorvegliarne l’esecuzione, provvedere al collaudo. Le ingerenze degli Uffici
restarono sostanzialmente identiche a quelle fin qui descritte anche dopo
l’emanazione di un nuovo testo unico di legge sulle derivazioni e utilizzazioni
delle acque pubbliche 243. I documenti relativi ai provvedimenti di derivazioni
vennero raccolti nella classe XV dell’archivio del Genio civile di Pisa. Le
infrazioni alle condizioni imposte dai disciplinari di concessione e dalle
norme di polizia idraulica potevano dar luogo a contravvenzioni, i cui verbali
di accertamento erano redatti oltre che dagli organi della polizia giudiziaria,
anche dagli ufficiali idraulici del Genio civile 244. I verbali di contravvenzione
dovevano poi essere trasmessi dall’ingegnere capo al prefetto, il quale, se lo
riteneva opportuno, poteva promuovere l’azione penale e, indipendentemente
da questa, poteva ordinare la riduzione delle cose al loro primitivo stato a
spese del contravventore. Dal 1933 le attribuzioni spettanti ai prefetti in
materia di contravvenzioni, passarono agli ingegneri capi degli Uffici del
genio civile 245. Alle contravvenzioni alle norme di polizia idraulica fu dedicata una delle classi d’archivio dell’Ufficio del genio civile, la XIX.
Altre due classi, la XX e la XXI, furono destinate a conservare rispettivamente gli atti del servizio di piena e le osservazioni idrometriche.
7.3. Servizio di piena e servizio idrografico. — Già il regolamento del
1863 per il Corpo del genio civile aveva prescritto l’intervento sui luoghi
degli ingegneri capi nel caso di piene dei fiumi e torrenti e di altri eventi
straordinari 246. A disciplinare in maniera più puntuale il servizio di guardia in
tempo di piena intervennero quattro diversi regolamenti, emanati dal 1870 al
1907, per la custodia dei corsi d’acqua compresi nella prima e seconda
categoria delle opere idrauliche 247. Non vi sono tra i diversi regolamenti
243
R.d. 11 dic. 1933, n. 1775.
244
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, artt. 165-172; r.d. 25 lug. 1904, n. 523; r.d. 15 feb.
1870, n. 5586; r.d. 25 mar. 1888, n. 5379; r.d. 7 mar. 1895, n. 86.
245
R.d. 11 dic. 1933, n. 1775, art. 220.
246
R.d. 13 dic. 1863, n. 1599, art. 7, lett. g.
247
R.d. 15 feb. 1870, n. 5586; r.d. 25 mar. 1888, n. 5379; r.d. 7 mar. 1895, n. 86; r.d. 30
giu. 1907, n. 667.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
113
differenze rilevanti circa l’attivazione del servizio di piena. Per esigenze di
chiarezza in questo lavoro si farà riferimento alle norme del 1907 che ebbero
maggiore durata. A custodi e guardiani, appartenenti al personale subalterno
idraulico del Genio civile, era affidata la diretta sorveglianza dei corsi d’acqua
di prima e seconda categoria e dei loro argini. Gli alvei e gli argini di fiumi e
torrenti erano divisi in tronchi 248. Ogni tronco doveva esser fornito di uno o
più idrometri per la determinazione del segno di guardia delle acque. I guardiani dovevano eseguire la registrazione quotidiana dell’altezza delle acque
agli idrometri loro affidati. Uno degli idrometri di ogni tronco funzionava
come regolatore del servizio di piena. Vi si dovevano rilevare i segni di
guardia, di sospetto, di piena effettiva. Spettava esclusivamente agli ufficiali
del Genio civile regolare il servizio di piena, impartire ordini e prendere
provvedimenti nei casi di pericolo o di disgrazia e nessun altro pubblico
funzionario poteva avervi ingerenza se non richiesto. Ogni anno gli ingegneri
capi erano tenuti a prendere accordi preventivi con i municipi relativamente al
personale straordinario da assumere in tempo di piena (guardie addette alla
vigilanza degli argini e ad altri servizi accessori, lavoratori pronti ad eseguire
riparazioni o eventuali lavori di difesa). Per ogni tronco d’argine era fissato
un determinato numero d’appostamenti presso i quali potevano riunirsi gli
addetti al servizio di vigilanza in tempo di piena. Per stabilire i provvedimenti
da adottarsi in caso di piena ogni Ufficio del genio civile avrebbe dovuto
dotarsi di una carta topografica ed idrometrica quotata del proprio circondario
idraulico e dei circondari limitrofi. Ai primi segni di una piena era previsto
che gli ingegneri di sezione si recassero sul posto, in una località indicata
dall’ingegnere capo che era tenuto anch’egli ad intervenire sui luoghi qualora
lo richiedessero l’importanza della piena e gli avvisi dell’ingegnere di sezione.
Spettava poi allo stesso ingegnere capo dare avviso della piena in corso alle
autorità governative e comunali. In caso di inondazione o di rotta era il
funzionario del Genio civile di grado più elevato presente sui luoghi a dover
adottare i provvedimenti più urgenti cui non potevano porre ostacolo gli
ordini di nessun altro funzionario civile o militare. Non appena le acque
fossero discese sotto il segno di guardia gli uomini addetti al servizio di piena
potevano esser congedati. Terminato il servizio di guardia ogni custode
doveva trasmettere all’ingegnere di sezione un prospetto indicante gli incrementi della piena osservati ad ogni idrometro. L’ingegnere di sezione si
serviva di questi rilevamenti per compilare uno stato comparativo idrometrico
248
La divisione in tronchi doveva essere fatta con decreto ministeriale indicante la lunghezza di ciascun tronco e la residenza del rispettivo custode o guardiano. Il decreto ministeriale
per le opere idrauliche iscritte in I e II categoria venne infine emanato il 5 settembre 1889 (si
veda anche: MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, DIREZIONE GENERALE DELLE OPERE IDRAULICHE,
Divisione in tronchi degli alvei dei corsi d’acqua e delle arginature classificati rispettivamente
nella I e nella II categoria delle opere idrauliche e pianta organica del personale di custodia
addetto alle opere medesime (Decreto Ministeriale 5 settembre 1889), Roma, Eredi Botta, 1889,
copia in ASPI, Prefettura, b. 572).
Rosalia Amico
114
della piena. Questo documento doveva essere trasmesso all’ingegnere capo
insieme ad un rapporto sulla piena stessa.
Alle spese necessarie sia per la vigilanza delle opere idrauliche, sia per
l’esecuzione di urgenti lavori di riparazione, doveva provvedersi mediante
anticipazioni fatte all’ingegnere capo da agenti pagatori.
Il servizio di agente pagatore era dato in appalto. Spettava al Ministero
dei lavori pubblici determinare in quali circondari idraulici il pagamento delle
spese di piena doveva esser fatto da agenti pagatori. Questi dovevano presentare all’ingegnere capo i rendiconti delle spese sostenute.
I rendiconti di anticipazioni per spese di piena, le osservazioni idrometriche in corso di piena, gli stati comparativi idrometrici, costituiscono larga
parte dei documenti conservati nella classe XX dell’archivio del Genio civile
di Pisa. Un altro documento prescritto dai regolamenti per il servizio di
guardia di fiumi e torrenti, cioè una carta topografica quotata del circondario
idraulico di Pisa, datata 1891, si trova nel fascicolo 3 (b. 17) della stessa
classe XX che contiene anche una corografia dimostrativa dei tronchi idraulici
affidati a custodi e guardiani. Per provvedere alla raccolta delle osservazioni
idrografiche e metereologiche riguardanti corsi d’acque e bacini imbriferi, nel
1917 fu istituito un servizio speciale del Genio civile, il servizio idrografico
italiano, dipendente dal Ministero dei lavori pubblici 249. All’impianto ed
esercizio del servizio idrografico sul territorio nazionale dovevano provvedere
otto Sezioni autonome del Genio civile oltre l’Ufficio idrografico del Magistrato delle acque per le province venete e l’Ufficio speciale del Genio civile
per gli studi idrografici del bacino del Po, già istituiti in precedenza. Una
delle otto Sezioni istituite, la Sezione autonoma per il servizio idrografico
inerente al dominio del litorale ligure toscano, ebbe sede a Pisa 250 e funzionò
fino al 1932 quando, in seguito all’istituzione delle Sezioni autonome di
Genova (con giurisdizione sui bacini dei corsi d’acqua con foce nel litorale
ligure) e di Firenze (con giurisdizione sui bacini dei corsi d’acqua con foce
nel litorale toscano) fu soppressa 251. In seguito venne nuovamente istituito a
Pisa un Ufficio idrografico dell’Arno, dipendente direttamente dalla Presidenza della quarta sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici 252. La
249
D. lg. 17 giu. 1917, n. 1055. Secondo Ugo Brighenti, l’istituzione di un servizio idrografico nazionale fu conseguente alle necessità manifestatesi nel corso della prima guerra
mondiale quando « dovendo far fronte all’accresciuto fabbisogno di energia, si fece sentire
impellente la necessità di una conoscenza organica delle risorse idrauliche nazionali, ai fini di
una razionale utilizzazione delle stesse per produzione di forza motrice » (U. BRIGHENTI, Servizio
idrografico italiano, in Novissimo digesto italiano, XVII, p. 197).
250
D.l. 25 ott. 1917, s. n., pubblicato in « Gazzetta ufficiale del regno d’Italia », l5 novembre 1917, n. 269, pp. 4654-4655. Le Sezioni autonome dipendevano direttamente dall’ispettore compartimentale appartenente al Consiglio superiore delle acque cui era affidata l’alta
direzione del Servizio idrografico.
251
252
R.d. 5 ago. 1932, n. 1048.
L’ordinamento dei servizi del Ministero dei lavori pubblici al 1 gennaio 1948, riportato
in Distruzioni e ricostruzioni in Italia. Attività attuali e programmi di lavoro del Ministero dei
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
115
competenza dell’Ufficio fu estesa, oltre che su tutto il bacino dell’Arno, anche
sui bacini limitrofi del versante tirrenico compresi fra il Magra ed il Fiora.
8. Ufficio speciale del genio civile per la sistemazione dell’Arno e dei
suoi affluenti. — Ad attivare il servizio di piena in provincia di Pisa si dovette ricorrere tutti gli anni dal 1884 in poi 253. I pericoli con cui la città si trovò
periodicamente a convivere si accentuarono a partire dal 1914, culminando
nelle piene straordinarie dell’8 dicembre 1919, quando l’Arno straripò a
Zambra inondando i campi e salvando così la città, e del 7 gennaio 1920,
quando l’Arno ruppe le difese murate di Uliveto e tracimò dalle spallette del
ponte della Fortezza e dai muraglioni all’interno della città 254. In seguito a
questi fatti eccezionali il Ministero dei lavori pubblici nominò una Commissione di studio per la sistemazione del fiume tra i cui membri vi furono gli
ingegneri capi del Genio civile di Arezzo e Firenze, e Giuseppe Roselli,
ingegnere capo del Genio civile di Pisa 255. La Commissione estese i suoi
studi all’intero bacino idrico dell’Arno, tracciando un programma di lavori
diretti alla difesa idraulica del territorio e alla utilizzazione dell’acqua del
fiume come forza motrice e nei riguardi della navigazione interna. Il programma superava i limiti territoriali delle diverse province interessate alla
sistemazione del fiume. Fu forse sulla base di questa considerazione che si
ritenne necessario dar vita all’Ufficio speciale del genio civile per la sistemazione dell’Arno e dei suoi affluenti. La competenza dell’Ufficio, istituito a
Pisa nel marzo del 1921 256, era estesa ai territori delle province di Pisa,
Firenze, Arezzo e Siena 257. Gli erano attribuiti lo studio e l’esecuzione di
tutte le opere riguardanti la sistemazione del corso principale dell’Arno e dei
suoi affluenti e sub-affluenti dall’origine alla foce, la vigilanza nei riguardi
della polizia idraulica su tutti gli stessi corsi d’acqua e sulle relative opere, il
servizio delle derivazioni ed utilizzazioni d’acqua e della costruzione di
lavori pubblici, Roma, Failli, 1948, comprende già l’Ufficio idrografico dell’Arno con sede a
Pisa.
253
La classe XX dell’archivio del Genio civile contiene documenti relativi al servizio di
piena dal 1884 in poi.
254
Si vedano: E. SIGHIERI, Le piene dell’Arno. Bonifiche, Pisa, Pacini-Mariotti, 1934;
ASPI, UGC, classe XX, b. 19, fasc. 10 e classe X, b. 14, fasc. 50, ed altri fascicoli delle stesse
classi.
255
Gli atti della Commissione ministeriale (istituita con d. m. 7 ott. 1919, n. 9250) conservati fino al 1928 nell’archivio dell’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno, furono trasmessi in quell’anno all’ispettore superiore compartimentale residente a Firenze (ASPI, UGC,
classe II, b. 7, fasc. 1 lett. B, lettera del 12 luglio 1928). Due copie di verbali relativi ad
adunanze tenute dalla Commissione il 24 settembre ed il 27 ottobre 1921 sono conservati in
ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 2, fasc. 7.
256
R.d. 13 mar. 1921, n. 332.
257
Si veda ASPI, UGC, classe II, b. 7, fasc. 1.
Rosalia Amico
116
serbatoi e laghi artificiali nel bacino del fiume 258. L’Ufficio speciale era posto
alle dipendenze di un ispettore superiore compartimentale e, come tutti gli
Uffici speciali del genio civile, era del tutto autonomo dall’Ufficio di Pisa
preposto al servizio generale. Alle dipendenze dell’Ufficio per la sistemazione
dell’Arno fu posta una Sezione distaccata a Firenze avente l’incarico di
provvedere ai servizi riguardanti la circoscrizione territoriale di quella provincia 259. A dirigere l’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno fu chiamato
nel 1921 l’ingegnere capo dell’Ufficio del genio civile di Pisa, Giuseppe
Roselli. Egli mantenne l’incarico fino al 1924 quando, nominato ispettore
superiore compartimentale per la Toscana e per l’Umbria, fu sostituito prima
dall’ingegner Massimilano Tognozzi e poi da Marco Visentini. Allo stesso
ingegnere Roselli nel 1925 il Ministero dei lavori pubblici, non ritenendo di
dover ulteriormente rinnovare la Commissione nominata nel 1919, affidò
l’incarico di completare gli studi ancora occorrenti per la sistemazione
dell’Arno e di formulare concrete proposte tecniche. Frutto del lavoro del
Roselli, che si giovò del materiale e della collaborazione dell’Ufficio speciale
per la sistemazione dell’Arno, furono le « Proposte per la sistemazione del
bacino dell’Arno » 260. Nato per affrontare e risolvere il problema particolare
della sistemazione dell’Arno, l’Ufficio speciale fu soppresso nel 1928 261. Agli
Uffici del genio civile di Pisa, Firenze, Arezzo, Siena, tornarono, in relazione
ai tronchi d’Arno ricadenti nelle diverse province, le competenze già attribuite
all’Ufficio speciale. L’istituzione e la soppressione dell’Ufficio per la sistemazione dell’Arno ebbero riflessi importanti anche sull’assetto dall’archivio del
Genio civile di Pisa. Nel 1921 infatti l’Ufficio speciale ricevette dagli Uffici
di Pisa e Firenze, preposti al servizio generale, tutti gli atti d’archivio inerenti
al servizio idraulico riguardante l’Arno, i suoi affluenti ed il Canale Navigabile Pisa-Livorno. L’Ufficio speciale ebbe così un proprio, distinto archivio
incentrato su classi che solo in parte è possibile ricostruire. L’archivio fu
infatti smembrato nel 1928, al momento della soppressione dell’Ufficio. Ai
vari Uffici del genio civile di Pisa, Firenze, Arezzo, Siena, furono consegnati
tutti i documenti connessi al servizio idraulico, nuovamente loro attribuito 262.
258
Con un r. d. 19 feb. 1922 il servizio relativo alle piccole derivazioni d’acque pubbliche
fu restituito agli Uffici del genio civile per il servizio generale di Arezzo, Firenze e Siena.
All’Ufficio speciale per l’Arno fu mantenuta la competenza sulle grandi derivazioni.
259
La Sezione distaccata di Firenze fu istituita con d.m. 24 giu. 1921 (una copia è in
ASPI, UGC, classe II, b. 7, fasc. 1 lett. A.
260
ASPI, UGC, classe X, b. 24. Alle proposte erano allegati cinque studi particolari, compiuti dall’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno, aventi per oggetto la bonifica di
Fucecchio, la sistemazione ed utilizzazione dei bacini idrici del Casentino, della Val di Nievole,
dell’Era, la sistemazione dell’alveo di magra dell’Arno a scopo di navigazione tra Pisa e Bocca
d’Usciana. La busta 24 dell’archivio del Genio civile di Pisa contiene attualmente solo lo studio
sul Casentino e sulla navigabilità dell’Arno tra Pisa e Bocca d’Usciana.
261
R. d. 15 mar. 1928, n. 1406.
262
ASPI, UGC, classe II, b. 7, fasc. 1, lett. B, verbali diversi di consegna dei servizi.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
117
I fascicoli restituiti al Genio civile di Pisa furono reinseriti nelle varie classi
dell’archivio generale. Il reinserimento comportò un rimaneggiamento e la
fusione di documenti prodotti dai due diversi Uffici, speciale e generale.
Rimasero a sé invece gli atti di repertorio (gli atti cioè soggetti ad una particolare registrazione ai fini fiscali) che risultano quindi particolarmente utili
per ricostruire l’attività esplicata dall’Ufficio per la sistemazione dell’Arno in
un ambito territoriale assai vasto in quanto comprendente province diverse.
Per circa sette anni dal 1921 al 1928, fu l’Ufficio speciale a curare gli studi e
la costruzione di tutte le opere idrauliche ricadenti nell’intero bacino dell’Arno, compresi i lavori per la realizzazione del nuovo canale Navigabile
Pisa-Livorno. Ai problemi di regolazione dell’Arno furono infatti connessi
anche gli studi sulla sua navigabilità. L’Arno costituì parte importante della
linea navigabile Livorno-Pisa-Firenze, progettata nell’ambito degli studi sulla
navigazione interna della Toscana.
9. Navigazione interna e Canale Navigabile Pisa-Livorno. — Nell’archivio dell’Ufficio del genio civile trovano posto numerosi documenti che
riguardano gli studi compiuti a partire dalla fine dell’Ottocento in relazione
alla questione della navigazione interna, questione che vide tra i suoi protagonisti anche alcuni degli ingegneri dell’Ufficio di Pisa. L’interesse per le
opportunità che le vie d’acqua navigabili avrebbero potuto offrire allo sviluppo industriale e commerciale di vaste aree del Paese si venne accentuando
agli inizi del Novecento. La navigazione fluviale sembrava presentare requisiti
di maggiore economicità rispetto al sistema ferroviario, soprattutto in relazione a merci definite povere (sabbia, ghiaia, laterizi, carbone) il cui trasporto
risultava economicamente oneroso se fatto per ferrovia. Nel 1903 il Ministero
dei lavori pubblici istituì una Commissione avente l’incarico di studiare dei
provvedimenti atti a promuovere la navigazione interna nel territorio nazionale e di dare forma concreta a proposte d’indole tecnica, amministrativa e
finanziaria 263. Il Comitato tecnico esecutivo, creato in seno alla Commissione,
conferì nel 1904 ad Annibale Biglieri, ingegnere capo dell’Ufficio del genio
civile di Pisa, l’incarico di studiare e proporre una vasta rete di vie d’acqua
che, abbracciando grandi estensioni di territorio, grandi centri abitati, industriali ed agricoli, giungesse al mare e offrisse la massima penetrazione
all’interno 264. Il lavoro realizzato dal Biglieri riguardò non soltanto il territorio pisano ma anche quelli delle vicine province di Lucca e Livorno.
L’Ufficio del genio civile di Pisa, insieme a quelli di Firenze e Grosseto,
aveva avuto infatti l’incarico di coordinare gli studi, condotti anche dagli altri
Uffici della Toscana, finalizzati al miglioramento delle vie d’acqua esistenti o
263
La Commissione per la navigazione interna fu istituita con d.m. 14 ott. 1903.
264
ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 1, fasc. 1, lettera del 10 giugno 1904.
Rosalia Amico
118
all’individuazione di nuove vie da realizzare 265. L’ingegnere Biglieri presentò
le sue proposte nel 1905 266. La rete di canali proposta puntava su otto grandi
linee di navigazione, realizzate le quali sarebbero state ininterrottamente
collegate Livorno, Pisa, San Giuliano, Lucca, Altopascio, Bientina, Vicopisano, Calcinaia, Pontedera, Fornacette; sarebbe stata messa in comunicazione
Vecchiano con Viareggio e si sarebbero avuti poi sbocchi sicuri al mare coi
porti di Livorno e Viareggio, oltre allo sbocco pure al mare di Marina d’Arno.
La linea più importante delle otto proposte era la Pisa-Livorno che appariva
idonea a collegare Pisa (cui faceva capo già l’altra grande via di navigazione
costituita dall’Arno) con il maggiore porto toscano 267. Per questa linea l’ingegnere Biglieri propose lavori di sistemazione e ampliamento dell’esistente
canale dei Navicelli 268. La navigazione nel canale poteva avvenire solo in
265
Ibid., voto emesso dalla Commissione per la navigazione interna, allegato alla lettera
del 22 aprile 1906. Le proposte presentate dai tre Uffici di Pisa, Firenze, Grosseto, furono
esaminate dalla Commissione per la navigazione interna nelle sue sedute del marzo-aprile 1906.
266
Ibidem. Contiene anche varie bozze a stampa del lavoro del Biglieri destinato alla pubblicazione fra gli atti della Commissione per navigazione interna. Si veda: A. BIGLIERI, La
navigazione interna nelle Province di Pisa e limitrofe, in Commissione per la navigazione
interna (decreto 14 ottobre 1903). Atti del Comitato tecnico esecutivo. Valle d’Arno ed altre
della Toscana, Roma, Tipografia della Camera dei deputati, 1908, pp. 3-120.
267
Le altre linee proposte dal Biglieri erano: a) la Pontedera-Livorno, da realizzarsi per
mezzo di un nuovo tratto di canale da aprirsi fra Pontedera e Fornacette e per mezzo del canale
Emissario della bonifica di Bientina (fra Fornacette e Calambrone) e di un tratto del canale
Navicelli (fra Calambrone e Livorno); b) la Lucca-Pisa, da realizzarsi per mezzo del canale
Piscilla, deviato a ponte Ciucci e portato a sboccare nell’Ozzeri presso Meati, e per mezzo di un
tratto del canale Macinante convenientemente collegato a conca sia con l’Ozzeri a monte, sia con
l’Arno a Pisa; c) la Lucca-Pontedera, da realizzarsi per mezzo dei canali Formica, Rogio,
Emissario, Imperiale, del fiume Arno e del nuovo canale Fornacette-Pontedera; d) la AltopascioIsola, da realizzarsi per mezzo della Navareccia, dal porticciolo di Altopascio all’Isola; e) la
Vecchiano-Viareggio, da realizzarsi per mezzo dei fossi Barra, Barretta, del lago di Massaciuccoli e dei canali Malfante, Venti, Burlamacca e del porto-canale di Viareggio; f) una linea di
collegamento (da realizzarsi per mezzo di un canale) della Vecchiano-Viareggio con la PisaLucca e quindi con la rete generale di navigazione; h) la Pontedera-Pisa, da realizzarsi per mezzo
del fiume Arno. Per questa linea il Biglieri non propose alcun lavoro in quanto l’Arno era
navigabile in quel tratto per otto mesi l’anno e ciò fu ritenuto sufficiente.
268
Il canale dei Navicelli fu probabilmente realizzato fra il 1560 ed il 1575 allo scopo di
conseguire una via di comunicazione diretta fra Pisa e Livorno ed una navigazione più sicura di
quella offerta dall’Arno (Si veda P. PARDINI, Canale dei Navicelli, in Livorno e Pisa... cit., pp.
58-59). L’esecuzione dell’opera comportò l’occupazione di parte della via che, passando per S.
Piero a Grado, giungeva nel Medioevo all’antico Porto Pisano (ASPI, Corporazioni religiose
soppresse, « Campione di beni del monastero di S. Bernardo », reg. 1047, c. 11. Descrivendo
alcuni loro possedimenti le monache di S. Bernardo annotavano infatti nel 1588: « Pezzi dua di
terra attaccati insieme (...), posti in detto comune [San Giovanni al Gatano], a primo, verso
mezzo giorno, già via di S. Piero a Grado, o di Livorno, et hora il fosso navicabile da Pisa a
Livorno »). Altri lavori di escavazione ed ampliamento del canale furono realizzati sotto Ferdinando I de’ Medici. Secondo il Biglieri prima di tutti questi lavori il Navicelli doveva essere
semplicemente un canale di scolo delle acque della pianura meridionale pisana.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
119
autunno ed in primavera mentre diveniva difficile nel resto dell’anno quando
veniva a ridursi, nei periodi di magra estiva ed invernale, l’afflusso dell’acqua
dell’Arno. Il corso del canale era poi assai tortuoso ed il Biglieri ne proponeva la rettificazione. L’Ufficio da lui diretto aveva già intrapreso degli studi in
tal senso e si preparava a presentare un progetto esecutivo. Sulle proposte del
Genio civile di Pisa e sulle altre presentate dagli Uffici di Firenze e Grosseto
la Commissione per la navigazione interna si espresse nel marzo del 1906. Le
proposte dell’Ufficio di Pisa vennero approvate, sia pure con la richiesta di
alcune modifiche 269. Vennero considerati di particolare importanza ed urgenza
i lavori di sistemazione proposti per le linee Pisa-Livorno e PontederaLivorno. Le altre vie navigabili, giudicate di minore importanza, sarebbero
state realizzate gradualmente e solo in un secondo tempo, una volta portate a
termine le opere riguardanti le due linee principali. Niente aveva proposto il
Genio civile di Pisa per migliorare la navigazione nell’Arno. Secondo il
Biglieri il tratto d’Arno che attraversava la provincia di Pisa era già navigabile da ottobre a giugno. Estendere la possibilità di navigarlo anche nel resto
dell’anno avrebbe richiesto spese ingentissime 270. Nonostante le difficoltà
riscontrate dalla Commissione per la navigazione interna in merito alle proposte di sistemazione dell’Arno, il progetto di fare del fiume una via permanentemente navigabile non fu abbandonato ed anzi fu ripreso in seguito con
forza. Gli studi sulla navigazione interna, avviati in molte regioni del Paese,
fecero maggiormente sentire il bisogno di un quadro normativo che disciplinasse la materia. Una prima legge fu emanata nel 1910 271. Con questo provvedimento le linee navigabili vennero distinte in quattro classi 272. Entro
269
La Commissione chiese che nel progetto di sistemazione del Navicelli fosse previsto un
fondale di tre metri invece dei due proposti dal Biglieri; chiese inoltre che il canale fosse
provvisto di ampie vie alzaie e che a Livorno fosse realizzata una darsena « esclusivamente
adibita al traffico della navigazione interna, raccordando tanto questa darsena, quanto quella di
Pisa, alle adiacenti strade ordinarie, alle tramvie ed alla rete ferroviaria » (ASPI, UGC, classe
XIV ter, b. 1, fasc. 1, voto della Commissione per la navigazione interna allegato alla lettera del
22 aprile 1906).
270
La navigazione nell’Arno era stata oggetto degli studi presentati alla Commissione per
la navigazione interna dall’Ufficio del genio civile di Firenze che aveva proposto anche di
collegare Firenze con Pontedera. Su questa proposta la Commissione rinviò il suo giudizio
disponendo che prima l’Ufficio di Firenze indirizzasse i suoi studi verso un progetto di canale
laterale all’Arno, da alimentarsi con un bacino artificiale creato appositamente. Il canale artificiale non avrebbe presentato gli inconvenienti che potevano derivare alla navigazione dal carattere
torrentizio dell’Arno.
271
L. 2 gen. 1910, n. 9. Norme riguardanti la navigazione erano in precedenza contenute
anche nel testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse
categorie (r.d. 25 lug. 1904, n. 523). Nel 1913 tutte le norme riguardanti la navigazione interna
furono raccolte in un testo unico (r.d. 11 lug. 1913, n. 959).
272
Appartenevano alla prima classe i fiumi, laghi e canali, per i quali la navigazione presentava un prevalente interesse di difesa militare; alla seconda classe appartenevano quei corsi
Rosalia Amico
120
cinque anni dall’emanazione della legge era data facoltà al governo di provvedere all’iscrizione nelle rispettive classi delle vie navigabili esistenti o da
costruire. Un primo elenco di linee navigabili della seconda classe fu pubblicato nel 1911 273. Vi si trovavano comprese due delle vie di navigazione
proposte dal Genio civile di Pisa e cioè la Livorno-Pontedera e la LivornoPisa-Pontedera-Firenze 274. Nel 1917 un nuovo decreto confermò in seconda
classe quest’ultima linea distinguendola nei due tratti a) Canale Navigabile da
Pisa a Livorno, b) fiume Arno da Pisa allo sbocco del Pignone presso Firenze 275. Lo stesso provvedimento provvide a classificare sempre in seconda
classe le altre linee di navigazione di cui l’Ufficio di Pisa aveva proposto la
realizzazione 276. Un primo progetto esecutivo per l’ampliamento e la rettificazione del Canale Navigabile fu presentato nel novembre 1906 dall’ingegnere
Biglieri 277. La spesa prevista sembrò però eccessiva alla Commissione per la
navigazione interna che richiese delle varianti di cui l’ingegnere tenne conto
in un progetto successivo presentato nel 1907 278. Al finanziamento dell’opera
si provvide soltanto nel 1915 ma le vicende del primo conflitto mondiale
ritardarono l’inizio dei lavori 279. Solo nel 1919 il Genio civile di Pisa poté
d’acqua che da soli o collegati fra loro formavano linee di navigazione facenti capo a porti
marittimi, o parificati ai marittimi, e che giovavano al traffico di un esteso territorio; appartenevano alla terza classe quei fiumi, laghi e canali che, benché mancanti dei requisiti previsti per i
corsi d’acqua compresi nelle prime due classi, giovavano però al movimento commerciale di
centri abitati considerevoli per industrie e prodotti agricoli. Tutti gli altri corsi d’acqua erano da
considerarsi di quarta classe.
273
R.d. 8 giu. 1911, n. 823.
274
Lo studio del Biglieri per quest’ultima linea si arrestava a Pontedera. Il collegamento
Pontedera-Firenze era stato oggetto — come si è visto — degli studi dell’Ufficio del genio civile
di Firenze e dei rilievi opposti dalla Commissione per la navigazione interna. Le pressioni
esercitate a livello locale, in particolare dalla Deputazione provinciale di Pisa, avevano però
conseguito il risultato di far sì che venissero continuati gli studi per rendere interamente e
permanentemente navigabile l’Arno.
275
D.l. 31 mag. 1917, n. 1536. Un nuovo provvedimento emanato nel 1923 (d.m. 1° mar.
1923) fissò la divisione in tronchi delle linee già classificate in seconda classe.
276
Vennero poste in seconda classe le seguenti linee: a) Livorno-Pontedera; b) ViareggioVecchiano-sbocco nella Lucca-Pisa; c) Lucca-Isola-Arno-Fornacette; d) Firenze-Prato-PistoiaBuggiano-Altopascio-Lucca-Pisa; e) Buggiano-sbocco nella Firenze-Pontedera. Le pressanti richieste di varie Amministrazioni provinciali e comunali, che vedevano nella realizzazione di
collegamenti diretti con Livorno e Firenze importanti prospettive di sviluppo, avevano fatto sì
che alcune delle linee proposte nel 1905 dagli Uffici di Pisa e Firenze venissero ulteriormente
ampliate e raccordate fra loro.
277
Una « Relazione sommaria del progetto esecutivo (23 novembre 1906) del canale PisaLivorno » è in ASPI, UGC, classe XIV, b. 9, fasc. 16. Lo stesso fascicolo contiene anche la
relazione definitiva del progetto, presentata dal Biglieri il 20 dicembre 1907.
278
Ibid., « Progetto di variante al progetto esecutivo del 23 novembre 1906 », 20 dicembre
279
L. 8 apr. 1915, n. 508.
1907.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
121
tornare ad occuparsi del canale Pisa-Livorno, quando erano trascorsi dodici
anni dalla presentazione del progetto esecutivo del Biglieri e quando questi
non era ormai più a capo dell’Ufficio 280. Al suo posto era subentrato Giuseppe Roselli 281. Le mutate esigenze commerciali ed industriali imposero un
riesame dell’originario progetto esecutivo, al quale furono apportate alcune
varianti che riguardarono soprattutto il tracciato del canale 282. Il nuovo
progetto, presentato il 30 aprile 1919 283, fu approvato nello stesso anno dal
Consiglio superiore dei lavori pubblici 284. I lavori iniziarono soltanto nel
1921. Nel 1933 erano ancora in corso (l’ultimazione era prevista per il 1936).
A quella data si manifestavano già segni di crisi nel trasporto mediante il
canale. Il traffico infatti era andato progressivamente calando 285. Restavano
280
Annibale Biglieri ricoprì l’incarico di ingegnere capo del Genio civile di Pisa dal 1903
all’11 dicembre del 1912 quando, promosso ispettore compartimentale e membro della II sezione
del Consiglio superiore dei lavori pubblici, fu chiamato a reggere il VII Compartimento
d’ispezione del genio civile di Bologna. Lasciò Pisa accompagnato dal plauso dell’ Amministrazione provinciale, dei Comuni di Pisa e Pontedera, della locale Camera di commercio ed
industria (ASPI, UGC, classe I, b. 4).
281
Giuseppe Roselli divenne ingegnere capo dell’Ufficio del Genio civile di Pisa nel 1916.
Nato il 20 gennaio 1864, entrò nel Corpo del genio civile il 20 marzo 1890. Presso l’Ufficio di
Pisa prestò servizio dal 1894 (ASPI, UGC, classe I, b. 47, Ruolo del personale del Genio civile,
s.n.t., s.d. [ma successivo al 1924]). Sulla navigazione interna il Roselli aveva già pubblicato un
suo lavoro nel 1914: G. ROSELLI, La navigazione interna nella valle dell’Arno. Considerazioni e
proposte intorno alla pratica attuazione dell’opera, Pisa, Successori fratelli Nistri, 1914.
282
La variante Roselli sul tracciato tendeva ad abbreviare ulteriormente la lunghezza del
canale facendolo correre quasi completamente al di fuori della zona paludosa di Tombolo e
parallelamente alla linea ferroviaria Pisa-Livorno. Tra quest’ultima ed il corso d’acqua veniva
prevista una zona, larga circa duecento metri, in cui doveva favorirsi il sorgere di nuovi edifici
industriali (del trasporto mediante il Canale Navigabile si servivano già importanti industrie
pisane quali la Società ceramica Ginori e la Saint-Gobain). Un’altra variante riguardò la sagoma
del canale. Venne proposta una sagoma a conca (invece di quella trapezoidale progettata dal
Biglieri) che risultava più adatta ad un natante di seicento tonnellate, ritenuto allora il più idoneo
alle esigenze di trasporto nel canale.
283
La relazione del « Progetto esecutivo dei lavori di ampliamento e rettificazione del canale Navigabile Pisa-Livorno » del 30 aprile 1919 si trova in ASPI, UGC, classe XIV, b. 26.
284
Il nuovo progetto venne illustrato dall’ingegnere di sezione Oliviero Sacenti, in una comunicazione preparata per il III Congresso della navigazione interna (O. SACENTI, Il canale dei
Navicelli al presente e nel suo prossimo avvenire. Comunicazione al III Congresso della navigazione interna, Mantova, s.e., 1925, copia in ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 1).
285
L’ingegnere capo Giovanni Girometti nel 1933 scriveva che il traffico nel canale era
andato gradualmente intensificandosi dal 1901 (con circa tonnellate 81.500) al 1912 (con
tonnellate 228.500); dal 1912 al 1915 si era avuto un leggero decremento, fino a tonnellate
178.500 circa. Per il periodo dal 1915 al 1924 non si avevano rilevazioni statistiche attendibili
ma era certo che, anche a causa della guerra, si era verificata una sensibile riduzione di traffico.
Una ripresa si era avuta dal 1925 al 1928 passando da poco più di 121.000 tonnellate trasportate
a circa 302.500. Dal 1928 al 1933 si era scesi a 200.000 tonnellate « per effetto della generale
crisi economica — scriveva Girometti — (...) potendosi però facilmente prevedere immancabile
fortuna avvenire, appena che, col ristabilimento del mercato mondiale, anche la nostra Nazione
Rosalia Amico
122
tuttavia ancora vive le speranze in una ripresa futura legata ad una generale
rinascita della nazione.
10. Edifici demaniali, universitari, monumentali, di culto. — La presenza
di grandi fiumi e dei numerosi corsi d’acqua attraversanti il territorio provinciale fece sì che il servizio idraulico, insieme a quello di bonifica, fosse uno
dei più importanti affidati all’Ufficio del genio civile di Pisa. Maggiore
importanza venne assumendo nel tempo anche il servizio inerente alla conservazione, sistemazione, progettazione, degli edifici appartenenti a titolo diverso
allo Stato (compresi edifici monumentali e di culto) e all’Università di Pisa.
La rilevanza di questo servizio venne sottolineata già nel 1866 dall’ingegnere
capo Rinolfi in una nota diretta alla Prefettura. Scriveva l’ingegner Rinolfi
che erano affidati all’Ufficio da lui diretto tutti i lavori nuovi e di mantenimento relativi ai fabbricati demaniali sparsi per la provincia ed inoltre i lavori
occorrenti alle carceri di Pisa e Volterra ed alle chiese e fabbriche parrocchiali
della provincia, allora in numero di duecentoventuno 286. La competenza in
materia di costruzione, ampliamento, manutenzione di edifici pubblici (esclusi
quelli dipendenti dalle amministrazioni della guerra e della marina) e la parte
tecnica dei lavori relativi alla conservazione di pubblici monumenti aventi
carattere artistico erano state attribuite al Ministero dei lavori pubblici, di cui
il Genio civile era l’organismo tecnico, dalla legge sui lavori pubblici del
1865. La legge dava facoltà ai ministeri che amministravano edifici di proporre lavori di manutenzione e miglioramento degli edifici stessi, lavori che però
dovevano essere progettati e diretti a cura del Ministero dei lavori pubblici.
Nel caso poi in cui un altro ministero avesse ritenuto opportuno far redigere i
progetti da ingegneri o architetti da esso delegati, anche questi progetti avrebbero dovuto essere sottoposti all’esame ed approvazione tecnica del Ministero
dei lavori pubblici, cui veniva attribuita anche l’alta sorveglianza sull’esecuzione ed il collaudo dei lavori 287. Nel 1873 furono meglio precisate le attribupossa svolgere in pieno più vasto programma di produzione... È da tenere per certo, però che,
superata la crisi e riprese quindi le attività economiche, il Nuovo Navicelli corrisponderà alle più
rosee aspettative e potrà meglio dimostrare come la navigazione interna non possa essere
deliberatamente negletta ma debba, al contrario, ottenere tutto il necessario appoggio, per quelle
vie d’acqua che possano efficacemente concorrere — come quella Pisa-Livorno — alla reale
rinascita della Nazione » (ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 2, fasc. 7, « Canale Navigabile PisaLivorno », ottobre 1933.
286
ASPI, Prefettura, b. 912, « Affari diversi non registrati », relazione del 14 febbraio
1866.
287
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 5. Non rientravano tra le competenze del Ministero
dei lavori pubblici le ordinarie piccole riparazioni occorrenti ai locali e agli uffici amministrati da
altri ministeri. Sulle competenze del Ministero dei lavori pubblici in materia di edifici dipendenti
da altri ministeri si veda ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L’archivio del Genio civile di Roma.
Inventario a cura di R. SANTORO, Roma, UCBA, 1998, (Pubblicazioni degli Archivi di Stato.
Strumenti, CXXXVI), pp. 30-33.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
123
zioni degli Uffici del genio civile e delle Intendenze di finanza in relazione ai
fabbricati demaniali. Il demanio dello Stato era infatti stato posto sotto l’alta
sorveglianza ed amministrazione del Ministero delle finanze che esercitava
queste sue attribuzioni mediante le Intendenze di finanza 288. Le perizie
dovevano essere fatte dagli Uffici del genio civile quando la spesa prevista
eccedesse le duemila lire, quando fosse in pericolo la solidità dell’edificio o
questo avesse carattere di monumento nazionale. In tutti gli altri casi le
perizie dovevano essere fatte dalle ragionerie delle Intendenze di finanza (poi
Uffici tecnici di finanza) 289. Questa ripartizione di attribuzioni fra Uffici del
genio civile ed uffici finanziari fu modificata nel 1894 quando, in seguito ad
accordi intercorsi fra il Ministero dei lavori pubblici e quello delle finanze,
fu deciso che gli Uffici del genio civile avrebbero dovuto interamente provvedere alla compilazione dei progetti e alla direzione e sorveglianza di tutti i
lavori, ordinari e straordinari, occorrenti agli edifici demaniali con la sola
eccezione dei fabbricati in uso totale o promiscuo dell’Amministrazione
finanziaria. In quest’ultimo caso la compilazione delle perizie restava affidata
agli Uffici tecnici dipendenti dal Ministero delle finanze 290. La competenza
diretta dell’Amministrazione dei lavori pubblici, e quindi degli Uffici del
genio civile, venne estesa nel 1925 ad alcuni servizi affidati in precedenza
al Genio militare, quali la progettazione, direzione, esecuzione, contabilità
e collaudo dei lavori relativi a nuove costruzioni di caserme ed edifici militari in genere e dei lavori di grande trasformazione e stabilità dei fabbricati, escluse le opere di fortificazione con le relative strade, i depositi per
esplosivi e munizioni e le opere aventi attinenza con la difesa dello Stato 291.
Dal 1931 infine vennero interamente concentrati nel Ministero dei lavori
pubblici tutti i servizi relativi all’esecuzione di opere edilizie da eseguirsi per
conto dello Stato, quali edifici universitari, edifici per biblioteche e per musei,
edifici scolastici e finanziari, Archivi di Stato, edifici carcerari ed in uso delle
Capitanerie di porto, edifici riguardanti l’Esercito, la Marina e l’Aeronautica 292. Un « Elenco di fabbricati di proprietà del Demanio antico » redatto
nel 1872, ci fa conoscere quali fossero a quell’epoca gli edifici demaniali
288
R.d. 18 dic. 1869, n. 5397.
289
R.d. 3 ott. 1873, n. 1686. Le attribuzioni previste da questo decreto passarono nel 1882
agli Uffici tecnici di finanza, istituiti l’anno precedente (r.d. 6 mar. 1881, n. 120). Il d.m. 7 feb.
1882 nel definire i compiti di questi Uffici assegnò loro infatti anche l’esecuzione delle perizie e
dei collaudi per forniture e riparazioni di mobili e per opere e riparazioni di edifici delle quali
era fatto cenno nell’art. 1 del r.d. 3 ott. 1873, n. 1686. Si veda R. NAPOLITANO, Ufficio tecnico
erariale, in Novissimo digesto italiano, XIX, p. 1080.
290
ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, « Circolari del 1894 », circolare del Ministero dei
lavori pubblici del 12 dicembre 1894, n. 3190, divisione I.
291
292
R.d. 15 ott. 1925, n. 1934.
R.d. 18 mag. 1931, n. 544. Gli Uffici tecnici di finanza mantennero però nei riguardi
degli enti che li avevano in uso la consulenza tecnica per la conservazione e manutenzione dei
beni demaniali.
Rosalia Amico
124
affidati alle cure dell’Ufficio del genio civile di Pisa 293. L’elenco comprende
centoundici edifici sparsi per la provincia e nove fabbricati già appartenenti
ad enti religiosi soppressi nel 1866. Tra gli edifici di Pisa compresi nel
documento spiccano il palazzo Gambacorti 294, le Logge dei fossi (o di Banchi), la Cittadella, le torri, le mura urbane e le antiche porte della città, la
chiesa dei Cavalieri di Santo Stefano, la Carovana e gli altri palazzi del
soppresso Ordine di Santo Stefano, i conventi di San Niccola, di San
Matteo, di San Francesco dei Ferri. Per alcuni di questi edifici quali palazzo
Gambacorti, la chiesa di Santo Stefano 295, la Carovana, i già conventi di S.
293
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 13, fasc., 25. Il documento, datato 9 aprile 1872, è una
copia conforme dell’elenco di edifici demaniali redatto dall’Intendenza di finanza.
294
Il palazzo, sede del Municipio di Pisa, era di proprietà del Comune, che nel 1847 aveva
ceduto in uso gratuito allo Stato, per cento anni, l’ultimo e non utilizzato piano dello stabile,
definito « soffitta », affinché la Camera di soprintendenza comunitativa, che risiedeva allora nei
contigui locali sovrastanti le Logge di Banchi, potesse stabilirvi gli uffici degli ingegneri ispettori
della Direzione di acque e strade (ASPI, Prefettura, b. n. 595, affare 46. Contiene anche copia
della delibera comunale del 26 marzo 1847). La Camera non si avvalse mai della concessione.
Istituito nel 1860 l’Archivio di Stato di Pisa ed assegnati ad esso i locali delle Logge di Banchi,
il Comune di Pisa rinnovò la concessione a favore del nuovo Istituto a patto che lo Stato
provvedesse a sue spese a far eseguire i lavori necessari. (si veda R. AMICO, Le origini dell’Archivio di Stato di Pisa e l’opera di Francesco Bonaini, in « Rassegna degli Archivi di Stato »,
LII, 1992, 2, p. 367). A quindici anni dall’inaugurazione i locali dell’Archivio, cui nel frattempo
era stato assegnato anche l’ultimo piano del palazzo Mosca, risultavano già insufficienti ad
accogliere la mole dei documenti che lo componevano. Ne venne quindi progettato nel 1883 un
ampliamento con la sopraedificazione della parte lungo l’Arno della palazzina già Dogana,
contigua ai palazzi Gambacorti e Mosca e destinata ad essere collegata ad entrambi per funzionare da deposito del materiale archivistico (ASPI, Prefettura, b. 380, affare n. 249, progetto del
20 giugno 1883, ingegnere del Genio civile Filippo Del Testa. Si vedano le tavole nn. 5-6
allegate al presente lavoro). Il Comune di Pisa rientrò in possesso dei locali del secondo
piano del palazzo Gambacorti dopo il 1916, quando l’Archivio di Stato si trasferì nel palazzo
Toscanelli.
295
Ad occuparsi della chiesa furono due ingegneri del Genio civile, Vittorio Pistoi e Gaetano Niccoli. Il primo curò nel 1863 la redazione di un progetto non realizzato di restituzione
dell’edificio al culto; il secondo diresse, a partire dal 1865, i lavori di ripristino della chiesa. I
lavori d’ingrandimento dell’edificio, intrapresi per ordine granducale nel 1853 sulla base di un
grandioso progetto dell’architetto Poccianti che prevedeva l’abbattimento dei muri che separavano la navata centrale, progettata dal Vasari, dalle ali laterali aggiunte alla fine del Seicento, erano
stati sospesi nel 1857 a causa della morte del Poccianti stesso. Sulle vicende dei progetti
d’ingrandimento della chiesa si vedano: E. KARWACKA CODINI, Piazza dei Cavalieri: urbanistica
e architettura dal Medioevo al Novecento, Firenze, Cassa di risparmio di Firenze, 1989, in
particolare pp. 197-255; A. NICCOLAI, Di alcuni progetti di ingrandimento della chiesa dei
Cavalieri di S. Stefano, Pisa, Nistri, 1923; S. RENZONI, I restauri ottocenteschi della chiesa dei
Cavalieri di S. Stefano, in Le imprese ed i simboli. Contributi alla storia del Sacro Militare
Ordine di S. Stefano P.M. (sec. XVI-XIX). Mostra per il cinquantesimo anniversario di fondazione dell’Istituzione dei cavalieri di S. Stefano, 5 maggio/28 maggio1989, Pisa, Giardini, 1989, in
particolare pp. 217-239. In seguito la chiesa rimase chiusa ed internamente demolita. Della
chiesa dei cavalieri il Genio civile tornerà ad occuparsi nel 1933 quando verranno ripresi e
portati a compimento i lavori di sistemazione delle attuali facciate laterali.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
125
Matteo 296 e di S. Silvestro (adattati rispettivamente a carcere giudiziario e a
riformatorio), l’Ufficio del genio civile curò, tra la seconda metà dell’Ottocento ed il primo quarantennio del Novecento, importanti lavori di sistemazione. L’elenco di fabbricati del Demanio antico ne comprendeva anche
alcuni allora in uso dell’Università di Pisa 297. L’attività svolta negli anni dal
1863 al 1868 dall’Ufficio del genio civile nei riguardi degli edifici universitari
è testimoniata da una busta del cosiddetto « Archivio vecchio » dell’Ufficio,
contenente cioè documenti anteriori al 1886. Per il periodo successivo (dal
1869 al 1885 circa) vi è una lacuna generale nei documenti dell’archivio che
riprendono ad avere continuità e consistenza solo a partire dal 1886. In questa
seconda parte dell’archivio, la classe XXVII è quella che raccoglie i documenti riguardanti gli edifici demaniali ed universitari. Per parte della seconda
metà dell’Ottocento l’Ufficio del genio civile si occupò dei normali lavori di
manutenzione degli istituti universitari curandone anche alcuni di più vasto
respiro, quali l’ampliamento dell’Istituto di fisica tecnologica (prospiciente la
piazzetta S. Simone), il sopraelevamento della Biblioteca universitaria e l’ampliamento del Museo di storia naturale mediante un nuovo edificio da destinarsi al Gabinetto di zoologia e anatomia comparata 298. Una forte pressione
venne esercitata negli ultimi decenni dell’Ottocento dall’ambiente universitario pisano per ottenere ampliamenti di rilievo delle strutture e delle dotazioni
296
L’antico convento delle benedettine cistercensi di S. Matteo, situato sul Lungarno urbano di Pisa, fu soppresso nel 1866. Già nel 1869 lo stabile del monastero fu destinato dal
Ministero dell’interno ad uso carcerario. Le ventidue monache che ancora vi risiedevano furono
trasferite nei locali del vicino convento di S. Silvestro. I primi lavori, eseguiti dopo il 1873,
mirarono solamente ad adattare alcuni locali dell’edificio di S. Matteo, divenuto succursale
dell’altro carcere di Pisa (esistente nel palazzo pretorio) che si trovava in pessime condizioni.
Già nel 1871 però il Ministero dell’interno aveva dato disposizioni al prefetto perché incaricasse
l’Ufficio del genio civile di studiare un progetto volto a ridurre il convento in carcere giudiziario,
destinato ad ospitare circa centotrenta detenuti. Nel 1875 il carcere, già funzionante per i debitori
civili e per i detenuti per reati di stampa, subì nuove trasformazioni. Vi fu aggiunta infatti anche
una casa di custodia per i discoli. Il progetto principale di trasformazione dei locali dell’ex
monastero di S. Matteo in carcere giudiziario venne infine messo a punto e realizzato nel 1877
(Il progetto del 3 aprile 1877 compilato dall’ingegnere Filippo Del Testa è in ASPI, Prefettura,
b. 68, affare n. 112. Per le altre notizie sopra riportate si veda ASPI, Prefettura, b. n. 1265,
affare 1465). Il convento di S. Matteo, nonostante la sua rilevanza dal punto di vista storico
artistico, resterà a lungo adibito a carcere giudiziario. Un nuovo carcere sarà costruito a Pisa solo
negli anni Trenta del Novecento su progetto dell’ingegnere F. Severini.
297
Esula da questo lavoro fare la storia dei diversi edifici ed istituti universitari che sono
in parte già stati oggetto di specifici studi. Si veda: M. BORTOLI, La facoltà di ingegneria
dell’Università di Pisa. Contributo alla storia in occasione del LXXX anniversario dell’istituzione, Pisa, Pacini, 1994; E. KARWACKA CODINI, Piazza dei Cavalieri... cit., pp. 45-161; M.
DRINGOLI - A. MARTINELLI - F. NUTI, I mestieri del costruire, l’edilizia storica a Pisa, Ospedaletto (Pisa), Pacini, 1997, pp. 42-44, pp. 117-166.
298
ASPI, Prefettura, b. 556, affare 2408. Contiene il progetto definitivo del 24 agosto
1883. Il nuovo fabbricato era da erigersi sul terreno del vicino Orto botanico. Si vedano le tavole
nn. 7 e 8 allegate a questo lavoro.
Rosalia Amico
126
dell’Università, ritenute inadeguate ai nuovi bisogni scientifici 299. La richiesta
di dotare l’Università di nuovi locali da destinare alla Facoltà di medicina
venne posta con vigore nel 1889 dall’allora rettore Ulisse Dini. Nuovi, grandiosi locali erano stati da poco costruiti per la Facoltà, col contributo della
Provincia e del Comune di Pisa, locali che però erano ancora, secondo il
rettore, del tutto insufficienti ai bisogni di quell’istituto scientifico 300. Il rettore invocava dunque un provvedimento legislativo necessario per ottenere il
concorso dello Stato nel finanziamento di nuovi lavori. L’atteso finanziamento
arrivò soltanto nel 1903. In quell’anno fu emanata infatti una legge che
stanziò duemilioni e mezzo di lire per la sistemazione ed il miglioramento
degli stabilimenti scientifici dell’Università di Pisa 301. Di questa somma, un
milione e ottocentomila lire erano a carico dello Stato, mentre le rimanenti
settecentomila lire erano a carico degli Ospedali riuniti di S. Chiara e del
Consorzio universitario, costituito nel 1893 tra la Provincia e la Cassa di
risparmio di Pisa 302. Allegato alla legge era l’elenco degli edifici da sistemare
e di quelli nuovi da costruire 303. Erano previsti interventi di ampliamento e
sistemazione per il palazzo della Sapienza 304, per il Gabinetto d’archeologia,
per i Musei di storia naturale, per gli Istituti di fisica sperimentale e di fisica
tecnologica, per l’Orto botanico, per le Scuole superiori d’agraria e di medicina veterinaria, per la Scuola di disegno e quella di chimica farmaceutica. Per
gli edifici clinici, per quelli d’igiene e di fisiologia, per la Clinica generale e
la Scuola medica si prevedeva la costruzione di nuovi fabbricati ed il riordinamento di quelli già esistenti. Già prima dell’emanazione della legge
l’incarico di redigere un progetto per la costruzione delle cliniche ed il riordinamento e la sistemazione edilizia degli Ospedali riuniti di Pisa era stato
affidato all’ingegnere Crescentino Caselli, professore di architettura presso
l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dalla Commissione 305 rappre299
L’Istituto di fisica tecnologica, ad esempio, che era stato notevolmente ampliato nel
1894 fu ancora ingrandito pochi anni dopo perché lo si ritenne nuovamente insufficiente « per i
nuovi incrementi avvenuti negli apparecchi di osservazione e di insegnamento e nel materiale
della biblioteca » (relazione del progetto di ampliamento dell’Istituto di fisica tecnologica del 15
novembre 1905 in ASPI, UGC, classe XXVII, b. 15, fasc. 43).
300
Dini scriveva: « Mancano infatti assolutamente ambienti adattati per la patologia generale, la quale ora trovasi rifugiata in due piccole stanze disadatte, mancano in parte per l’igiene, e
mancano assolutamente locali per le cliniche generali medica e chirurgica, per le propedeutiche e
per le cliniche speciali dermosifilopatica e psichiatrica » (ASPI, Università di Pisa, III versamento, b. 15, affare 890, lettera del 6 marzo 1889 diretta al Ministro della pubblica istruzione).
301
L. 17 lug. 1903, n. 373.
302
ASPI, Prefettura, b. 4, fasc. 7, « Consorzio universitario ».
303
L. 17 lug. 1903, n. 373, all. A.
304
Erano previsti per la Sapienza la sistemazione generale dell’edificio, la costruzione di
nuove aule ed il miglioramento di quelle già esistenti per le scuole di giurisprudenza, lettere e
matematiche l’ampliamento della Biblioteca e degli uffici.
305
La Commissione era costituita dal rettore dell’Università (in quanto presidente del Consorzio universitario), dal sindaco di Pisa, dal presidente degli Ospedali riuniti S. Chiara. La
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
127
sentante il fondo per la costruzione delle cliniche, costituito col contributo di
cinquecentomila lire, stanziato dagli Ospedali riuniti S. Chiara, e di duecentomila lire dal Consorzio universitario. L’ingegnere Caselli aveva adempiuto
al suo compito già nel 1897, presentando un progetto di massima che fu dato
alle stampe nello stesso anno 306. Al progetto Caselli, recepito dalla legge del
1903, si volle dare esecuzione deliberando l’immediata costruzione della
Clinica chirurgica. La direzione dei lavori venne affidata allo stesso Caselli.
L’incarico di provvedere all’esecuzione del progetto fu affidato all’amministrazione degli Ospedali riuniti S. Chiara. L’Amministrazione ospedaliera era
infatti amministratrice del fondo per la costruzione delle cliniche ed aveva
anche la facoltà di aggiudicare l’appalto, di soprintendere ai lavori, di fare il
collaudo, di eseguire i pagamenti, di adottare tutte le deliberazioni che potevano riferirsi all’esecuzione degli stessi lavori 307. Sempre all’ingegnere
Caselli il rettore dell’Università di Pisa aveva conferito, già nel 1902, l’incarico di redigere un progetto di nuova sistemazione e risanamento dell’edificio
della Sapienza, ritenuto allora angusto e malsano.
Un primo progetto di massima fu presentato il 15 aprile 1902 308. Per
l’ingrandimento dell’edificio si proponeva anche l’esproprio e demolizione
delle case private poste dietro la Sapienza. In seguito, per dare luce alle nuove
aule furono demolite le case esistenti tra via l’Arancio e via Tanucci (attuale
piazza Dante) 309. L’attuazione della legge del 17 luglio 1903, che prevedeva
Commissione era prevista dal « Regolamento per la esecuzione del progetto Caselli del 17
febbraio 1897 per la costruzione delle cliniche ed il riordinamento della sistemazione edilizia
dello spedale » (Regolamento 10 dic. 1899 allegato alla l. 17 lug. 1903, n. 373).
306
C. CASELLI, Progetto di nuove sedi per le Cliniche dell’Università di Pisa. Redatto per
ordine della Giunta amministrativa del Consorzio universitario dall’ingegner Crescentino
Caselli, Torino, Camilla e Bertolero, 1897.
307
Regolamento 10 dic. 1899 per l’esecuzione del progetto Caselli, allegato alla legge 17
lug. 1903, n. 373. Il nuovo edificio della Clinica chirurgica fu inaugurato agli inizi del 1906
(ASPI, Università di Pisa, III versamento, b. 17, fasc. 965).
308
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 49, fasc. 287 A « Progetto di sistemazione dell’edificio
centrale detto la Sapienza ». Le condizioni del fabbricato venivano così descritte dal Caselli:
« (...) Le lezioni orali di Matematica, di Giurisprudenza e di Archeologia, si tengono in aule a
terreno quasi tutte anguste e mancanti di igiene e di proprietà. Alcune aule prendono luce ed aria
dagli stretti cortili delle case private attigue che contendono alla Sapienza il prospetto sulla via
dietro la Sapienza. Altre aule non hanno altra illuminazione ed aria che quella indiretta che
prendono dal porticato del cortile L’aula magna, pure situata a terreno, riceve scarsissima luce
dalla strettissima via dell’Ulivo, non ha che cinque metri di altezza ed è eccessivamente lunga e
poco larga e quindi poco atta alla natura delle riunioni cui è destinata. I locali di rettorato, di
segreteria, di economato e di archivio, che sono discretamente bene installati a primo piano sul
lato verso la via della Sapienza, vorrebbero in parte essere aggregati alla biblioteca che rigurgita
di libri e da lungo tempo ha necessità di nuovi locali (...). I locali a terreno dell’ala verso via San
Frediano, che anticamente servirono a deposito del sale, hanno muri guasti e resi inservibili dal
salnitro e dall’umidità; vengono adoperati ad uso di magazzino materiali, ma servono più a
rovinare che a conservare i materiali medesimi... ».
309
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 51, fasc. 287 D. Per i progetti relativi ai lavori per la Sapienza si veda ASPI, UGC, classe XXVII, b. 49, fasc. 287 A. Dopo l’allontanamento da Pisa del
Rosalia Amico
128
un largo concorso dello Stato nel finanziamento dei lavori, comportava nuove
rilevanti attribuzioni per l’Ufficio del genio civile di Pisa, già oberato da
importanti servizi e da urgenti lavori idraulici in corso d’esecuzione. Nel
dicembre del 1903, constatando che l’Ufficio non aveva ancora potuto neanche iniziare la fase di progettazione dei lavori previsti per gli edifici universitari e che le premure rivoltegli dal rettore dell’Università andavano intensificandosi, l’ingegnere capo Biglieri chiese al Ministero dei lavori pubblici
l’istituzione di una sezione speciale 310, costituita in parte da personale straordinario e incaricata di attendere esclusivamente alla compilazione dei progetti
ed alla direzione e sorveglianza dei lavori previsti dalla legge del 1903. La
proposta fu approvata e la quinta sezione cominciò ad operare dal primo
settembre del 1904. La direzione della sezione e dei lavori fu affidata a
Crescentino Caselli 311, che già aveva studiato i progetti di massima per gli
edifici clinici e per l’ampliamento della Sapienza e che per l’occasione fu
assunto tra il personale straordinario del Genio civile. L’alta sorveglianza dei
lavori restò normalmente affidata all’ingegnere capo del Genio civile di
Pisa 312. Il Caselli restò a dirigere la sezione speciale fino alla fine di luglio
del 1907 quando rassegnò le dimissioni per ritornare a Torino. Lasciando il
servizio consegnò all’ingegnere capo alcuni progetti compiuti relativi al
palazzo della Sapienza, agli Istituti di fisiologia, d’igiene, di fisica e fisica
tecnologica, d’agraria, di zootecnica, al riordinamento della Scuola medica, e
all’ampliamento e sistemazione del Museo di storia naturale 313. Al rettore
dell’Università di Pisa il Caselli aveva già consegnato un progetto, datato 28
febbraio 1907, per la costruzione di nuovi edifici clinici e per la sistemazione
di quelli esistenti 314. La quinta sezione speciale continuò a funzionare almeno
fino al 1920. A guidarla si alternarono gli ingegneri Diego Blesio (fino al
1909), Riego Mandrulli, Arturo Venturi che mantenne l’incarico fino al 1917
quando, per ragioni di salute, fu sostituito da Raffaele Pascoli, in servizio
insieme al Venturi fin dai primi anni d’istituzione della quinta sezione. Le
somme stanziate nel 1903 per l’assetto ed il miglioramento degli edifici
universitari si rivelarono presto insufficienti a causa del continuo aumento del
Caselli i progetti suppletivi furono redatti dall’ingegnere Virginio Carè ed il progetto di completamento dall’ingegnere Arturo Venturi.
310
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 13, fasc. 19, « Corrispondenza 1903-1904 », lettera del 10
dicembre 1903.
311
Il Caselli fu contemporaneamente comandato presso la cattedra di architettura ed ornato
della Università di Pisa.
312
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 13, fasc. 19, « Corrispondenza 1903-1904 », lettera dell’ispettore superiore del V compartimento del 29 marzo 1904.
313
314
I progetti risultavano compilati negli anni 1906-1907.
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 16, fasc. 45, « Crescentino Caselli ing. straordinario... »,
verbale di consegna della V Sezione dall’ingegnere sig. Caselli Crescentino all’ingegnere
capo.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
129
costo della manodopera e dei materiali 315 e delle cattive condizioni di alcuni
degli stessi fabbricati come il palazzo della Sapienza, vecchio edificio da
rimodernare 316. I maggiori costi ed i problemi presentatisi in diversi edifici al
momento dell’attuazione dei lavori imposero presto la necessità di rivedere i
progetti principali e di redigerne di suppletivi 317. Cessato dal servizio l’ingegnere Caselli, la Commissione del fondo per le cliniche si rivolse a Francesco
Bernieri, allora ingegnere capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Pisa,
affinché rivedesse i progetti Caselli. Il Bernieri preparò nuovi progetti di
massima per la clinica medica, per la dermosifilopatica, per la psichiatrica,
per l’ostetrica, per l’oftalmica, per patologia medica e chirurgica 318. Tutti
contemplavano profonde modifiche dei progetti Caselli. I nuovi finanziamenti
necessari per completare i lavori programmati nel 1903 giunsero nel 1912 319.
La somma di 2.500.000 lire, prevista dalla legge del 17 luglio 1903, venne
portata a 3.847.000 lire. Alla base dei lavori per gli Istituti clinici vennero
posti i progetti Bernieri che sostituirono quelli redatti dal Caselli. Le nuove
somme stanziate dovevano essere destinate alle maggiori spese resesi necessarie per il palazzo della Sapienza, per i nuovi edifici clinici e per il riordinamento di quelli già esistenti, per i nuovi edifici d’Igiene e Fisiologia, per il
riordinamento della Scuola medica, per l’ampliamento e sistemazione del
Museo di storia naturale e per la sistemazione delle Scuole di agraria e
veterinaria. Un primo gruppo di lavori relativo agli edifici clinici, comprendente la costruzione della Clinica medica, del relativo padiglione d’isolamento
e del capannone per le caldaie, fu affidato dal commissario degli Ospedali
riuniti alla direzione dell’ingegnere Bernieri 320. Bernieri avrebbe dovuto
315
L’ingegnere capo Biglieri scriveva nel 1908 che i principali materiali da costruzione,
mattoni e pietrami, erano aumentati rispettivamente del sessanta e del cinquanta per cento,
mentre il costo della paga giornaliera dei muratori era aumentato del ventisette per cento (ASPI,
UGC, classe XXVII, b. 13, fasc. 19, « Corrispondenza 1907-1909 », lettera del 14 marzo 1908).
316
Parlando della Sapienza l’ingegnere capo scriveva: « (...) man mano che si sviluppano i
lavori si riscontra come alcuni muri (e sfortunatamente sono i principali) i quali apparentemente
sembravano in buono stato, devono essere invece demoliti e rifatti e con essi anche le coperture
sovrastanti ». Per i maggiori costi derivanti da problemi specifici relativi ai diversi istituti
universitari si veda « Maggiori fondi necessari per i lavori universitari » (ibidem).
317
Nel 1908 l’ingegnere Biglieri rilevava che erano ancora in corso di studio progetti per
l’Istituto d’igiene e per i Musei di storia naturale mentre erano già in corso di approvazione i
progetti per l’Istituto di fisiologia e per la Scuola medica. Non esisteva invece ancora alcun
progetto per l’Istituto di chimica (ibidem).
318
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 131, « Corrispondenza e relazione della Commissione per
gli edifici universitari », relazione del 16 mar. 1910. La Commissione era stata nominata nel
1909 perché stabilisse l’esatto fabbisogno ancora occorrente per la sistemazione ed il completamento dei diversi edifici universitari.
319
L. 30 giu. 1912, n. 799, approvante la convenzione per l’assetto edilizio dell’Università
di Pisa e dei suoi stabilimenti scientifici.
320
Deliberazione del commissario degli Ospedali riuniti S. Chiara del 29 aprile 1912
(ASPI, UGC, classe XXVII, b. 36, fasc. 171). I lavori di costruzione della Clinica medica furono
Rosalia Amico
130
essere coadiuvato da Pietro Studiati. Quest’ultimo compilò anche i progetti
definitivi per le Cliniche dermosifilopatica, ostetrica e per le infermerie
ospedaliere 321.
Tutti i progetti, sia di massima che esecutivi, prima di essere sottoposti
all’approvazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, furono esaminati
dall’Ufficio del genio civile, tenuto ad esprimere il proprio parere e a richiedere eventuali modifiche. Tra il 1912 ed il 1920 giunsero al termine i diversi
lavori per l’assetto edilizio dell’Università di Pisa finanziati nel 1903 e nel
1912. La quinta sezione speciale dell’Ufficio del genio civile, esaurito il suo
compito, fu soppressa. Anche negli anni Venti, tuttavia, gli edifici universitari
richiesero un impegno dell’Ufficio, sia pure meno rilevante che nel passato.
Oltre gli annuali lavori di manutenzione ci si occupò in quegli anni ancora di
altre opere di straordinaria sistemazione, quali quelle del fabbricato dell’Istituto d’agraria (in cui già si lamentava una scarsa disponibilità dei locali), del
rialzamento di un’ala nel fabbricato dei Musei di storia naturale ad uso
dell’Istituto di geologia, del consolidamento negli stessi Musei del fabbricato
per l’Istituto di zoologia e anatomia comparata, della sopraelevazione di
un’ala del fabbricato della Scuola medica chirurgica da adibirsi ad Istituto di
patologia chirurgica.
Ancora negli anni dal 1922 al 1930 l’Università provvide alla costruzione di un nuovo edificio per la Clinica oculistica e di tre edifici per la Clinica
psichiatrica, entrambi su progetti dell’ingegnere Pampana, non appartenente
all’Ufficio del genio civile. I progetti rientravano in un piano generale di
massima riguardante l’assetto edilizio delle Cliniche universitarie e degli
Ospedali riuniti Santa Chiara. Il piano era conseguente ad una nuova convenzione stipulata l’8 luglio 1922 tra i Ministeri della pubblica istruzione, del
tesoro, delle finanze, l’Amministrazione ospedaliera, la Commissione del
fondo per le cliniche ed il Comune di Pisa 322. La ripresa di un vasto programma per il rinnovamento edilizio dell’Università di Pisa si ebbe negli anni
Trenta.
Nel dicembre del 1930 venne approvata una nuova convenzione per
l’assetto degli edifici universitari, degli Istituti superiori d’istruzione e degli
Ospedali riuniti S. Chiara 323.
La convenzione fu stipulata tra lo Stato, il Comune e la Provincia di
Pisa, il Consorzio universitario, la Scuola d’ ingegneria, la Scuola Normale
superiore, l’Istituto superiore di medicina veterinaria e l’Istituto superiore
agrario, al fine di sostenere le spese per nuovi lavori riguardanti la costruzioultimati nel novembre del 1915 (ibid., lettera del presidente degli Ospedali riuniti S. Chiara del
25 febbraio 1916).
321
Ibid., lettera del rettore dell’Università di Pisa, del 4 marzo 1915.
322
ASPI, UGC, classe XXVII, b. 68, relazione del progetto per la Clinica oculistica, ingegnere O. Pampana, 21 aprile 1925.
323
L. 18 dic. 1930, n. 1811.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
131
ne della Scuola d’ingegneria, dell’edificio per l’Istituto di chimica generale,
di otto edifici clinici universitari 324, la sistemazione della Scuola medicochirurgica, degli Istituti di chimica fisica e chimica farmaceutica e dell’edificio annesso al palazzo della Sapienza, l’ampliamento del fabbricato della
Scuola Normale superiore, la sistemazione del padiglione delle infermerie,
l’arredamento dei locali dell’Università, della Scuola Normale superiore, dell’Istituto superiore di agraria. La gestione dei fondi era affidata all’Università
di Pisa che, per questo scopo, avrebbe dovuto avvalersi dell’opera di una
Commissione amministratrice 325. Per l’esecuzione dei lavori la Commissione
avrebbe dovuto servirsi dell’opera del Genio civile. La precedenza nell’ordine
dei lavori doveva esser data alle opere previste per la Scuola Normale e per
quelle della Scuola d’ingegneria 326. La convenzione non prevedeva la costruzione di un Istituto di educazione fisica che invece fu avviata subito, nel
1931, perché l’edificio era stato « vivamente caldeggiato e premurato anche
dalle autorità politiche locali quale necessaria integrazione dell’Ateneo pisano,
secondo le stesse direttive e finalità del Governo nazionale » 327.
Scrivendo nel 1935, il rettore dell’Università di Pisa affermava che
all’organica sistemazione edilizia dell’Università si era potuti addivenire per il
particolare interessamento del regime a favore dell’Ateneo pisano, interessamento che si era concretizzato nella convenzione stipulata fra lo Stato e gli
enti locali l’8 maggio 1930, alla presenza dello stesso capo del governo 328.
Certo non era stata senza peso la presenza a Pisa in quegli anni, quale commissario della Scuola Normale, di Giovanni Gentile.
La volontà di potenziare la Normale, di aumentare il numero dei giovani
allievi accolti dalla Scuola, di farne il « fiore all’occhiello del regime » 329
furono le premesse ai lavori d’ingrandimento dell’edificio della Carovana,
324
Gli edifici clinici erano così elencati nell’art. 7 della convenzione recepita dalla l. 18
dic. 1930, n. 1811: « 1.Clinica dermosifilopatica; 2.Clinica pediatrica; 3.Padiglione d’isolamento
per detta [Clinica]; 4.Patologia speciale chirurgica; 5.Patologia speciale medica; 6.Clinica
otorinolaringoiatrica; 7.Clinica ostetrico-ginecologica; 8.Padiglione d’isolamento per detta [Clinica] ».
325
Oltre il rettore facevano parte della Commissione un rappresentante del Ministero dell’educazione nazionale, l’intendente di finanza, il podestà di Pisa, il presidente dell’Amministrazione provinciale, il presidente della Cassa di risparmio, il presidente dell’Amministrazione
ospedaliera, i direttori della Scuola Normale superiore, della Scuola d’ingegneria, dell’Istituto
superiore agrario, dell’Istituto superiore di medicina veterinaria.
326
A discutere intorno al progetto per la nuova sede della Scuola d’ingegneria si era cominciato già dalla fine del 1920. Si veda M. BORTOLI, La Facoltà d’ingegneria... cit., pp. 59-75.
327
Relazione sull’andamento degli studi e dei lavori a tutto il 30 giugno 1931 dell’ingegnere capo Giovanni Girometti (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 134, « Edifici universitariVarie »).
328
« Relazione sulla sistemazione edilizia della R. Università di Pisa », 25 settembre 1935
(ibidem).
329
T. TOMASI - N. SISTOLI, La Scuola Normale di Pisa dal 1813 al 1945. Cronache di
un’istituzione, Pisa, ETS, 1990, p. 187.
Rosalia Amico
132
intrapresi freneticamente appena emanata la legge del dicembre 1930 330 e
conclusi già nel 1932.
Nel suo discorso d’inaugurazione della nuova Normale, tenuto il 10 dicembre 1932, Gentile non dimenticò di ringraziare Giovanni Girometti,
ingegnere capo del Genio civile di Pisa, che quei lavori aveva progettato e
diretto 331. Per tutto il decennio dal 1930 al 1940 parte dell’attività dell’Ufficio
del genio civile di Pisa fu rivolta alla progettazione ed alla direzione dei
lavori per l’assetto edilizio dell’Ateneo pisano. Il 28 ottobre del 1936 furono
solennemente inaugurate le Cliniche pediatrica ed ostetrico-ginecologica e la
Scuola d’ingegneria. Nel giugno del 1941 il programma dei lavori previsto
dalla convenzione dell’8 maggio 1930 poteva dirsi ormai realizzato 332.
Solo pochi documenti degli anni dal 1884 al 1933 ci testimoniano
l’attività svolta dall’Ufficio del genio civile in relazione agli edifici monumentali della provincia 333. Sei dei fascicoli della classe XXVIII 334 contengono
documenti riguardanti variamente i principali edifici monumentali di Pisa,
cioè il duomo, il battistero, il camposanto monumentale, la torre pendente. La
tutela degli edifici monumentali fu affidata, fin dalla raggiunta unità nazionale, al Ministero della pubblica istruzione 335. Al Ministero dei lavori pubblici
fu attribuita invece « la conservazione dei pubblici monumenti d’arte per la
330
Il progetto dei lavori d’ingrandimento della Scuola fu completato il 24 gennaio 1931 ed
appaltato nel febbraio seguente (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 126, progetto esecutivo per
l’ampliamento della Scuola Normale, 24 gennaio 1931, n. 532). Per i lavori eseguiti si veda: E.
KARWACKA CODINI, Piazza dei Cavalieri... cit., pp. 139-141. Per le difficoltà incontrate nei
lavori di fondazione a causa delle condizioni del sottosuolo e della presenza di avanzi di ruderi
di costruzioni si veda la « Relazione sull’andamento degli studi e dei lavori a tutto il 30 giugno
1931 », in ASPI, UGC, classe XXVII, busta 134, « Edifici universitari - Varie ».
331
L’ingegnere Girometti era stato coadiuvato dal consiglio dell’architetto Ettore Fagiuoli.
Il discorso tenuto da Gentile per l’inaugurazione dei nuovi locali della Scuola Normale è
pubblicato in « Annuario della R. Scuola Normale Superiore. Pisa », 1935, I, pp. 14-22.
332
Relazione dell’ingegnere capo Girometti sulla situazione dei lavori e delle spese al 30
giugno 1941 (ASPI, UGC, classe XXVII, b. 134, « Edifici universitari - Varie »). Restavano
allora da ultimarsi solo i lavori di completamento della sede della Scuola di agraria (ibidem).
333
Sono raccolti in una sola busta della classe XXVIII (b. 1), che contiene anche un fascicolo riguardante gli scavi archeologici eseguiti a Populonia tra il 1906 ed il 1915. L’ingerenza
del Genio civile fu in questo caso limitata alla determinazione delle indennità da corrispondere ai
proprietari dei terreni che occorreva occupare con gli scavi.
334
Gli altri cinque fascicoli della busta hanno per oggetto i seguenti edifici: Certosa di
Calci (lavori di ordinaria manutenzione degli anni 1886-1894), Badia dei Camaldolesi di Volterra
(lavori di restauro degli anni 1888-1889), campanile dell’Ospedale di Piombino (carteggio del
1903-1905), palazzotto già del Buonuomo, in piazza dei Cavalieri di Pisa (carteggio del 1919 sui
lavori di ripristino), torre Malanima de’ Filippi di Vicopisano (carteggio del 1917 sui lavori di
restauro).
335
Per l’ordinamento delle antichità e belle arti e per l’assetto organizzativo del Ministero
della pubblica istruzione si veda: ARCHIVIO CENTRALE DELLO STATO, L’archivio della Direzione
generale delle antichità e belle arti (1860-1890). Inventario, a cura di M. MUSACCHIO, Roma,
UCBA, 1994, pp. 9-96 (Strumenti CXX).
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
133
parte tecnica » 336, attribuzione che il Ministero esplicò mediante i suoi organi
periferici, cioè gli Uffici del genio civile, con la compilazione dei progetti, la
direzione ed il collaudo dei lavori e la tenuta della relativa contabilità 337.
Come si è visto, la competenza del Genio civile in relazione alla redazione di perizie riguardanti edifici aventi il carattere di monumento nazionale,
fu ribadita ancora nel 1873 338. Sull’opportunità e sul merito dei lavori da
eseguire in relazione agli edifici monumentali erano chiamate ad esprimere il
loro parere anche le Commissioni provinciali conservatrici di belle arti 339.
Progressivamente il Ministero della pubblica istruzione si andò dotando
di propri organi tecnici per intervenire direttamente nella tutela del patrimonio
storico ed artistico. Nel 1886, con un regolamento concernente i lavori da
farsi in economia per i restauri ai monumenti nazionali ed agli scavi d’antichità, fu prescritto che la compilazione dei progetti d’arte, la direzione, la
contabilità ed il restauro dei lavori, da eseguirsi secondo le norme comuni
dello Stato, dovevano essere affidati alle cure di personale tecnico costituito
in uffici regionali dipendenti dalla Direzione generale delle antichità e belle
arti del Ministero della pubblica istruzione 340.
Nonostante l’esistenza degli Uffici regionali ai monumenti, cui dal 1892
fu interamente affidata la tutela dei monumenti delle rispettive regioni 341,
l’intervento degli Uffici del genio civile nei riguardi degli edifici monumentali, in relazione alla verifica delle loro condizioni statiche, venne ribadito e
sollecitato dal Ministero della pubblica istruzione con una circolare emanata
nel 1902 342 a seguito degli allarmi destatisi ovunque in Italia dopo il crollo,
avvenuto a Venezia, del campanile di S. Marco. In più occasioni inoltre gli
Uffici del genio civile furono chiamati a collaudare i lavori fatti eseguire dagli
Uffici regionali ai monumenti. Dal 1904 infine il Ministero della pubblica
istruzione esplicò la propria azione a tutela degli edifici monumentali per
336
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, art. 1.
337
Un elenco degli edifici monumentali italiani fu infine pubblicato dal Ministero della
pubblica istruzione nel 1902. Si veda: MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, Elenco degli
edifizi monumentali in Italia, Roma, Cecchini, 1902. Per la provincia di Pisa si vedano le pp.
287-295.
338
R.d. 3 ott. 1873, n. 1686.
339
Le Commissioni erano organi consultivi del Ministero della pubblica istruzione, avevano cioè il compito di dare al governo pareri ed informazioni in materia di conservazione dei
monumenti pubblici, degli oggetti d’arte, delle collezioni artistiche. A Pisa la Commissione
conservatrice fu istituita nell’agosto del 1866 (r.d. 25 ago. 1866, n. 3190) e fino al 1876 ebbe
competenza anche sulla provincia di Livorno. La Commissione era presieduta dal prefetto ed i
verbali delle sue riunioni si trovano nell’archivio della Prefettura di Pisa. Una Commissione
conservatrice per la provincia di Livorno fu istituita con r.d. 21 mag. 1876, n. 3145.
340
R.d. 22 apr. 1886, n. 3859, art. 9.
341
Si veda la circolare del Ministero della pubblica istruzione dell’8 giugno 1892, n. 80, in
ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1, circolari del 1892.
342
ASPI, UGC, classe XXVIII, b. 1, fasc. 5, circolare del 30 luglio 1902, n. 13036.
Rosalia Amico
134
mezzo delle Sovrintendenze ai monumenti, allora istituite 343. Alle stesse
Sovrintendenze furono attribuite l’amministrazione, la custodia, la conservazione degli edifici monumentali in consegna del Ministero della pubblica
istruzione. Agli architetti dipendenti dalle Sovrintendenze fu attribuita una
competenza sia tecnica che artistica. Gli architetti dovevano verificare le
condizioni statiche degli edifici monumentali, redigere i progetti per la loro
manutenzione ed il loro restauro, dirigere i lavori e tenerne la contabilità,
rivedere i progetti fatti predisporre da altre amministrazioni e da privati. Nel
1907 furono meglio determinate le giurisdizioni territoriali delle varie sovrintendenze ai monumenti 344. La Sovrintendenza istituita a Firenze ebbe competenza sui territori delle province di Firenze, Lucca, Massa, Livorno, Arezzo e
Pisa, meno però il territorio di Volterra la cui tutela venne attribuita alla
Sovrintendenza con sede a Siena. Nel 1909 infine, fu istituita la Sovrintendenza ai monumenti per le province di Pisa, Lucca, Livorno, Massa, competente anche sul territorio di Volterra 345. Dei lavori per gli edifici monumentali
il Genio civile dovette tornare ad occuparsi nuovamente dopo il 1919 quando,
in base alle disposizioni emanate in quell’anno sull’esecuzione delle opere
pubbliche dello Stato, fu tenuto all’esame ed al visto dei progetti d’importo
inferiore a cinquantamila lire, eseguiti in economia 346.
Un discorso a parte occorre fare per i quattro grandi monumenti affidati
alle cure dell’Opera della Primaziale, cioè il duomo, il battistero, il camposanto monumentale, la torre pendente, rispetto ai quali l’Ufficio del genio civile
di Pisa fu chiamato ad intervenire solo in alcune occasioni con la redazione di
perizie e la predisposizione di progetti 347. Per consuetudine l’Opera della
Primaziale si serviva degli ingegneri municipali per la determinazione dei
lavori riguardanti gli edifici affidati alle sue cure. Si trattava di una scelta
autonoma e di una prassi cui l’Opera ricorse più volte nella seconda metà
dell’Ottocento 348. Anche le perizie predisposte dagli ingegneri comunali
343
R. d. 17 lug. 1904, n. 431, approvante il regolamento sulla conservazione dei monumenti e degli oggetti di antichità e d’arte e sull’esportazione degli oggetti stessi. Oltre le
Sovrintendenze ai monumenti vennero istituite anche le Sovrintendenze sugli scavi, sui musei,
sugli oggetti d’antichità, le Sovrintendenze sulle gallerie e sugli oggetti d’arte, l’Ufficio per
l’esportazione di oggetti d’arte e di antichità.
344
L. 27 giu. 1907, n. 386.
345
R.d. 14 giu. 1909, n. 458.
346
D.lg. 6 feb. 1919, n. 107, art. 102. Il decreto fu modificato nel 1923 (r.d. 8 feb. 1923,
n. 422).
347
Nel 1870, ad esempio, il Ministero della pubblica istruzione scriveva che per procedere
al restauro del duomo occorreva che gli fossero inviati una perizia del Genio civile relativa ai
lavori da eseguire ed un rapporto della Commissione conservatrice di belle arti sulla convenienza
e necessità dei lavori ai fini della conservazione del monumento (ASPI, Prefettura, b. 1099,
affare 371, lettera del 16 marzo 1870).
348
Nel 1859, ad esempio, l’Opera della Primaziale incaricò l’ingegnere comunale Pietro
Bellini di redigere una perizia per il restauro degli edifici ad essa affidati. Morto il Bellini, nel
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
135
dovevano essere sottoposte all’esame ed approvazione dell’Ufficio del genio
civile prima di essere trasmesse al Ministero della pubblica istruzione per
ottenerne il concorso nel finanziamento dei lavori 349. Dopo l’istituzione dell’Ufficio regionale ai monumenti la Primaziale poté rivolgersi all’Ufficio di
Firenze per la determinazione dei lavori riguardanti i monumenti affidatele.
Per la lontananza da Pisa, l’Ufficio però non era in grado di esplicare
un’azione continuativa su tutti i lavori necessari ai quattro celebri edifici
pisani. Per l’Opera divenne quindi necessario ricorrere spesso ad ingegneri
libero professionisti per le verificazioni dei restauri e per i lavori di ordinario
mantenimento. Per questi motivi nel marzo del 1901 il commissario della
Primaziale chiese al Ministero dei lavori pubblici di potersi avvalere, per i
lavori di ordinario mantenimento, dell’opera degli ingegneri del Genio civile.
La richiesta fu respinta dal Ministero a motivo della scarsità del personale
dell’Ufficio del genio civile di Pisa e delle disposizioni regolamentari che
vietavano agli ufficiali del Corpo di assumere incarichi estranei al servizio per
essi obbligatorio e di prestare la loro opera a privati o enti 350. L’anno successivo però la possibilità del ricorso all’intervento del Genio civile per verificare le condizioni statiche degli edifici monumentali fu ribadita dal Ministero
della pubblica istruzione con la circolare del 30 luglio 1902 351. L’ingegnere
capo Cavi ed il direttore dell’Ufficio regionale ai monumenti della Toscana
eseguirono allora congiuntamente una visita sopralluogo ai quattro edifici
dipendenti dall’Opera della Primaziale per verificarne lo stato di conservazione 352. Tra il 1902 ed il 1920 non vi sono nella classe XXVIII dell’archivio in
esame altri documenti riguardanti il duomo e gli altri edifici di piazza dei
Miracoli. I documenti successivi al 1920 sono costituiti da poche lettere
riguardanti perizie e fatture trasmesse all’Ufficio del genio civile perché le
1867 e poi l’anno seguente, l’Opera si rivolse al maestro muratore Giovanni Storni, che aveva
eseguito i precedenti restauri indicati dal Bellini, per avere nuove perizie (ASPI, Prefettura, b.
1099, affare 371, lettera dell’ingegnere del Genio civile, Giovanni Veneziani, del 3 ottobre 1869.
« Restauri alle fabbriche della Primaziale pisana »). I restauri indicati dal Bellini in una perizia
del 30 novembre 1859 riguardavano la facciata del duomo, la torre pendente e i finestroni del
camposanto monumentale. I relativi lavori risultavano in gran parte eseguiti nel 1869 « essendo
stata completamente restaurata la facciata della cattedrale, ricostruite in molta parte le gradinate e
marciapiedi che circondano il tempio, restaurato l’imbasamento al campanile » (ibid., lettera
dell’ingegnere del Genio civile Veneziani del 3 ottobre 1869). Negli anni Ottanta dell’Ottocento
l’Opera della Primaziale affidò l’incarico di redigere perizie riguardanti il restauro del duomo
ancora all’ingegnere municipale Gaetano Corsani.
349
L’approvazione del Ministero dei lavori pubblici, e quindi degli Uffici del genio civile,
di perizie fatte redigere da altri ministeri era previsto dalla stessa legge 20 mar. 1865, n. 2248,
all. F, art. 5.
350
ASPI, Prefettura, b. 4, fasc. 3, lettera del Ministero dei lavori pubblici del 21 marzo
351
ASPI, UGC, classe XXVIII, b. 1, fasc. 5.
1901.
352
A seguito del sopralluogo fu redatto il rapporto sulla conservazione dei monumenti
della Primaziale del 28 agosto 1902 (ibidem).
Rosalia Amico
136
esaminasse e vi apponesse il visto di approvazione. Della torre di Pisa
l’Ufficio dovette tornare ad occuparsi ancora negli anni Trenta quando ricevette l’incarico di eseguire i lavori di consolidamento del monumento, lavori
che erano stati indicati da una commissione ministeriale di studio nominata
nel 1927 e dal Consiglio superiore dei lavori pubblici 353. Sulla esecuzione di
questi lavori si soffermò orgogliosamente l’ingegnere capo Giovanni Girometti in un suo articolo del 1935 354. Pare però di poter affermare che nessun
documento riguardante direttamente le opere di consolidamento eseguite in
quegli anni si trovi conservato nella parte dell’archivio dell’Ufficio ordinata in
classi, se si esclude la relazione redatta dallo stesso Girometti in occasione
della visita privata compiuta dal re ai lavori in corso il 19 ottobre 1933 355. Le
opere da eseguire per il preliminare consolidamento del campanile pendente
di Pisa sono invece dettagliatamente descritte nell’atto di cottimo stipulato il
19 novembre 1934 dall’ingegnere Girometti, in rappresentanza dell’Amministrazione dei lavori pubblici, con l’impresa « Società anonima ing. Giovanni
Rodio e C. » di Milano 356. Quest’ultima, sulla base di una perizia redatta nel
1932 dall’Ufficio del genio civile di Pisa, avrebbe dovuto provvedere al
consolidamento della torre mediante iniezioni di cemento; avrebbe dovuto
inoltre curare l’impermeabilizzazione del fondo e delle pareti circostanti la
base del monumento con la formazione attorno allo stesso di una vasca
impermeabile 357. Nel 1935 tutti questi lavori erano in gran parte già stati
conclusi. Altri edifici affidati alle cure dell’Ufficio del genio civile erano
quelli di culto, monumentali o meno. I documenti riguardanti questi edifici
sono conservati nella classe XXXI. Nel febbraio del 1866 l’ingegnere capo
Rinolfi parlava di 221 chiese e fabbriche parrocchiali affidate all’ufficio da lui
diretto per la determinazione dei lavori 358. Già nel marzo del 1866 il Ministe353
Si veda: G. GIROMETTI, Il campanile pendente del Duomo di Pisa. Condizioni statiche
secondo gli studi e i lavori in corso, Pisa, Lischi e figli, 1935, pp. 7-8. Si veda anche: Commissione pisana per gli studi sulla torre pendente. Relazione generale 20 luglio 1927, Pisa, Pellegrini, 1927.
354
G. GIROMETTI, Il campanile pendente del Duomo di Pisa... cit.
355
ASPI, UGC, classe XIV ter, b. 2, fasc. 7, « Visita ai lavori in corso a Pisa », 20 ottobre
1933. L’ingegnere Girometti accompagnò il re nella visita e così ne riferì al Ministero dei lavori
pubblici: « Ieri mattina S. M. il Re dalla reale residenza di San Rossore si è recato in forma
privatissima a visitare alcune delle principali opere che si stanno eseguendo in questa città, tra
cui i lavori di consolidamento del campanile pendente, quelli di costruzione del ponte al
Politeama o della Vittoria, sul fiume Arno, e quelli infine della darsena Pisa nel Nuovo Navigabile Pisa-Livorno (...) S.M. il Re si è molto interessato di tutto ed in special modo delle installazioni di apparecchi già in buona parte attuata e dei provvedimenti disposti per un preliminare
consolidamento del campanile pendente e per gli ulteriori studi avviati sul comportamento statico
di quell’insigne monumento in relazione a tutte le possibili cause di eventuale ulteriore aumento
di strapiombo (...) ».
356
ASPI, UGC, b. 4, atto di repertorio n. 1451.
357
Si vedano le tavole 9-10 allegate al presente lavoro.
358
ASPI, Prefettura, b. 912, « Affari diversi non registrati », relazione del 14 febbraio 1866.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
137
ro dei lavori pubblici chiarì l’ambito di intervento degli ingegneri del Genio
civile in relazione agli edifici di culto 359. Agli ingegneri del Corpo del genio
civile, in base alla legge da poco emanata sul servizio delle opere pubbliche 360, era riservato esclusivamente il sevizio delle opere di conto dello Stato,
non potevano quindi essere incaricati di redigere perizie e progetti riguardanti
edifici parrocchiali in genere, se non nei casi in cui questi fossero di regio
patronato e la loro erezione e conservazione non fosse a carico delle finanze
dello Stato 361. Da queste disposizioni Il Ministero dei lavori pubblici dovette
recedere pochi mesi dopo e, a seguito delle premure esercitate dal Ministero
di grazia e giustizia e dei culti 362 perché fosse provveduto ai lavori riguardanti fabbriche parrocchiali, consentì che gli ingegneri del Genio civile portassero
a termine i lavori già intrapresi 363. Il Ministero di grazia e giustizia e dei culti
provvedeva al restauro delle chiese povere destinandovi parte dei frutti derivanti dai benefici vacanti la cui amministrazione fu, nel 1860, affidata ad
economi generali nominati dal ministro 364. Dagli economi generali dipendevano i subeconomi delle varie diocesi. Successivamente vennero posti a carico
del fondo per il culto anche le spese per la conservazione di edifici ecclesiastici importanti dal punto di vista monumentale, artistico e letterario 365. Al
Ministero di grazia, giustizia e dei culti giungevano, tramite l’Economato
generale di Firenze, le richieste degli ecclesiastici della provincia di Pisa volte
ad ottenere lavori riguardanti chiese già esistenti o da costruirsi ed edifici
annessi. Il Ministero si rivolgeva quindi al prefetto affinché affidasse all’Ufficio del genio civile l’incarico di verificare la situazione degli edifici ecclesiastici e di compilare eventuali perizie o progetti. Le perizie, i progetti, redatti
dall’Ufficio venivano poi trasmessi allo stesso Ministero di grazia e giustizia
(sempre tramite la Prefettura) perché fossero approvati e finanziati. Delle
perizie riguardanti gli edifici di culto, oltre che l’Ufficio del genio civile, si
occuparono anche l’Intendenza di finanza (fino al 1894 e quando la spesa
359
ASPI, Prefettura, b. 924, affare 1188, circolare del 21 marzo 1866, n. 1070, « Servizio
tecnico delle fabbriche parrocchiali ».
360
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F.
361
Per un primo inquadramento sullo stato giuridico delle chiese come edifici di culto si
veda: M. PIACENTINI, Chiesa (come edificio di culto), in Novissimo digesto italiano, III, pp. 185190. In riferimento al diritto di proprietà l’autore distingue le seguenti categorie di chiese: 1)
chiese di esclusiva proprietà privata; 2) chiese di proprietà di enti ecclesiastici civilmente
riconosciuti o del Fondo del culto (le chiese annesse agli enti soppressi); 3) chiese di enti
pubblici (Stato, Comuni, Province, opere pubbliche di beneficenza, confraternite).
362
Gli affari di culto erano stati posti alle dipendenze del Ministero di grazia e giustizia,
che assunse la denominazione di Ministero di grazia e giustizia e dei culti, con r.d. 16 ott. 1861,
n. 275.
363
ASPI, Prefettura, b. 924, affare 1188, lettera del Ministero di grazia e giustizia e dei
culti, del 3 giugno 1866.
364
R.d. 26 mar. 1860, n. 4314.
365
R.d. 7 lug. 1866, n. 3036, art. 33.
Rosalia Amico
138
prevista non eccedeva le duemila lire e non era in pericolo la solidità
dell’edificio) ed i vari uffici del Ministero della pubblica istruzione preposti
alla conservazione dei monumenti. Molte chiese infatti, oltre che luoghi di
culto, erano anche edifici monumentali, sottoposti, in quanto tali, alla tutela
ed ingerenza del Ministero della pubblica istruzione. Nel 1899 fu data facoltà
agli economi generali di concedere sussidi per restauri quando i lavori riguardanti chiese cattedrali e parrocchiali, canoniche, vescovadi, risultassero necessari da perizie compilate o soltanto rivedute da un ufficio tecnico governativo 366. Molti dei fascicoli conservati nella classe XXXI dell’archivio del Genio
civile contengono così solo la corrispondenza riguardante l’esame di perizie,
non compilate direttamente dall’Ufficio ma sottopostegli perché le esaminasse, formulasse un parere, desse il suo visto d’approvazione. Dal 1929 la
materia dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa fu regolata dal concordato lateranense, mutarono così profondamente anche le attribuzioni dei vari uffici
preposti alla gestione del fondo del culto 367. La nostra ricerca si arresta a
quella data perché nell’archivio in esame sono pochissimi i documenti successivi al 1929 368.
11. Servizio di vigilanza sulle opere eseguite dagli enti locali. — Parte
dei fascicoli della classe XXXI è costituita da documenti riguardanti la
progettazione di cimiteri ad opera dei Comuni della provincia. Altri documenti relativi ad opere igieniche diverse realizzate dai Comuni furono collocati
nella classe XXXII mentre la classe XXIX fu destinata ad accogliere i fascicoli riguardanti edifici comunali in genere (edifici scolastici, ospedali e
ricoveri di mendicità, macelli, carceri mandamentali, opere edilizie diverse) 369. Le spese per la costruzione ed il mantenimento di cimiteri, edifici ed
acquedotti comunali erano state poste a carico dei Comuni già nel 1865 370 in
base alle disposizioni della legge comunale e provinciale. L’ingerenza del
Genio civile nei riguardi di questi lavori e delle opere igieniche in genere
programmate dai Comuni, fu prevista, oltre che dalle disposizioni regolamen366
R.d. 2 mar. 1899, n. 64, regolamento per l’uniforme esercizio della regalia, sostituito
nel 1918 con altro regolamento approvato con d. l. 23 mag. 1918, n. 978.
367
Le attribuzioni degli Economati passarono agli Uffici amministrativi diocesani.
368
Il fascicolo 320 della classe XXXI (b. 4), ad esempio, contiene perizie relative allo stato
di alcuni edifici (tra cui il palazzo arcivescovile e la chiesa di S. Piero a Grado) dipendenti dalla
Mensa arcivescovile di Pisa. L’Ufficio del genio civile poté compilare queste perizie per
autorizzazione ricevuta dal Ministero dei lavori pubblici nel 1933, su richiesta del Ministero
dell’interno che era subentrato nel 1932 a quello di grazia e giustizia nella trattazione degli affari
relativi al culto.
369
La divisione fra le due classi XXIX e XXXII non è sempre netta e così nella classe
XXIX possono trovarsi anche fascicoli relativi al risanamento igienico dei centri abitati (lavori
fognari, ecc.).
370
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. A, art. 16.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
139
tari per il Corpo del genio civile 371, anche da norme e regolamenti particolari
disciplinanti la concessione da parte dello Stato di mutui di favore. Così nel
1887 fu disposto che i Comuni al di sotto dei diecimila abitanti potessero
chiedere mutui alla Cassa depositi e prestiti per l’esecuzione di lavori deliberati dai Consigli comunali e relativi ad acque potabili, cimiteri, fognature,
costruzione di pubblici macelli e risanamento di luoghi abitati. I lavori eseguiti dovevano essere collaudati da ufficiali del Genio civile o da ingegneri
igienisti 372. Altre disposizioni sulla stessa materia furono emanate anche in
seguito 373. Nel 1889 fu inoltre previsto dal Testo unico della legge provinciale
e comunale, emanato in quell’anno, che i Comuni che intendessero chiedere
mutui di favore per opere pubbliche non potessero farlo se i progetti dei
lavori o gli studi non fossero stati preventivamente approvati dagli Uffici del
genio civile 374. I progetti, redatti dagli Uffici tecnici dei Comuni, giungevano
quindi all’Ufficio del genio civile tramite la Prefettura, alla quale venivano
poi restituiti per gli ulteriori adempimenti, muniti del visto di approvazione o
corredati da osservazioni. Le buste delle classi XXIX e XXXII dell’archivio
contengono dunque la corrispondenza inerente alle opere programmate dai
Comuni ma non sempre i relativi progetti. Nel 1932 infine vennero attribuiti
alla competenza diretta del Ministero dei lavori pubblici anche i servizi
concernenti la costruzione, sia a totale carico dello Stato, sia mediante contributi o sussidi, di ospedali, cimiteri, locali d’isolamento, acquedotti (esclusi
quelli rurali), fognature ed altre opere igieniche 375, mentre il servizio relativo
alla costruzione di edifici scolastici in genere era stato attribuito allo stesso
Ministero l’anno precedente 376. I documenti conservati nella classe XXXII
dall’archivio, se si eccettua un fascicolo 377, non oltrepassano il 1933.
12. Servizio marittimo. — Sul servizio marittimo e sui lavori riguardanti
i porti, le spiagge ed i fari del territorio pisano il Genio civile di Pisa acquistò
competenza solo nel 1932, quando fu disposto che a decorrere dal 1 agosto di
371
Il regolamento per il Corpo del genio civile emanato nel 1894 (r.d. 13 dic. 1894, n.
568) dispose che gli ingegneri capi avrebbero dovuto esercitare un attivo sindacato sulle opere la
cui esecuzione era affidata a Province e Comuni e alle quali contribuiva lo Stato. Dovevano
inoltre consigliare e dirigere la condotta tecnica di questi servizi, tenendo in evidenza lo stato
delle opere e delle spese.
372
R.d. 31 lug. 1887, n. 4857.
373
R.d. 10 feb. 1901, n. 76; r.d. 6 ott. 1912, n. 1306; d.l. 28 gen. 1917, n. 190; r.d. 6 ott.
1919, n. 1909.
374
R.d. 16 feb. 1889, n. 5921, art. 159.
375
R.d. 16 giu. 1932, n. 681.
376
R.d. 18 mag. 1931, n. 544.
377
« Contabilità finale dei lavori di rialzamento dei pozzi e dei casotti delle centrali di sollevamento poste in località Filettole e costruzione di un muro di recinzione delle centrali di
sollevamento », 1943-1946, in ASPI, UGC, classe XXXII, b. 4, « Acquedotti dei Comuni di Pisa
e Livorno ».
Rosalia Amico
140
quell’anno gli Uffici dovessero occuparsi di tutti i servizi relativi alle opere
pubbliche ricadenti nel territorio delle rispettive province 378. Ad occuparsi in
precedenza dei porti e delle spiagge della provincia di Pisa era stato il Servizio marittimo dell’Ufficio del genio civile di Livorno, competente sui lavori
marittimi delle province di Massa-Carrara, Lucca, Pisa, Grosseto. Probabilmente nel corso dello stesso 1932 fu aggiunta alle classi già esistenti dell’archivio del Genio civile di Pisa la classe IX bis, destinata ad accogliere i
documenti riguardanti i lavori eseguiti per difendere la spiaggia di Marina di
Pisa dalla corrosione del mare 379. L’Ufficio di Livorno aveva progettato e
curato l’esecuzione dei lavori di difesa dal 1910 in poi. Dal 1899 al 1907 era
stato il Comune di Pisa a far eseguire alcune opere che però si erano rivelate
insufficienti allo scopo. Il Comune si era occupato dei lavori, sostenendone
anche le spese, perché la spiaggia di Marina era di quarta classe 380. Dopo il
1907 il Comune di Pisa richiese l’intervento dello Stato per ottenere che
venissero eseguite efficaci opere di difesa dell’abitato, intervento reso possibile da una legge che previde il concorso dello Stato anche nelle spese per
opere di difesa delle spiagge dall’erosione del mare 381. Il concorso dello Stato
comportò l’ingerenza del Genio civile di Livorno che dal 1910 al 1932 curò
gli studi ed i lavori riguardanti la difesa di Marina di Pisa 382. I lavori eseguiti
378
Circolare del Ministero dei lavori pubblici del 16 luglio 1932, Divisione II, n. 14035
(ASPI, UGC, classe II, b. 3, fasc. 5).
379
Sulle cause della erosione della spiaggia di Marina di Pisa si veda quanto scritto dalla
seconda sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici nel giugno del 1933: « (...) Dagli
studi fatti risultò che la corrosione della spiaggia davanti all’abitato di Marina di Pisa non era
dovuta ad erosione prodotta dalla corrente dell’Arno o da quella litoranea, ma ad un disequilibrio
fra il depauperamento prodotto dai marosi dominanti di libeccio che trasportano le sabbie verso il
nord e la massa di materie di ripascimento provenienti dalle torbide dell’Arno, che il moto
ondoso favorevole di maestrale distribuisce nel litorale situato a sud della foce del fiume. Causa
di questo disequilibrio fu ritenuta essere un cambiamento avvenuto verso il 1860 nella direzione
dell’ultimo tratto dell’Arno e quindi della corrente oltre lo sbocco in mare, che mantenendosi sin
allora in direzione Ovest - Nord Ovest, era ripiegata verso Sud Ovest. Questo cambiamento
determinò la corrosione dell’estremo lato della sponda sinistra che si protendeva in mare a guisa
di pennello e tratteneva i materiali di ripascimento nella spiaggia di Marina ». (ASPI, UGC,
classe IX bis, b. 6, verbale dell’adunanza del 28 giugno 1933).
380
La classificazione dei porti, spiagge e fari fu operata in base alle disposizioni della l. 20
mar. 1865, n. 2248, all. F, artt. 184-185. La legge riservò allo Stato, che avrebbe dovuto
provvedervi tramite le Prefetture e gli Uffici del genio civile, l’amministrazione dei porti delle
prime tre categorie. Lasciò invece ai Comuni l’amministrazione dei porti, golfi e spiagge della
quarta classe. Gli elenchi dei porti di prima, seconda e terza classe furono pubblicati nel 1866
(r.d. 15 mar. 1866, n. 2828). Dei tre porti allora ricadenti in provincia di Pisa, cioè Piombino,
Vada, San Vincenzo, solo quello di Vada fu iscritto negli elenchi della seconda classe.
381
382
L. 14 lug. 1907, n. 542.
Notizie riguardanti le varie fasi dei lavori eseguiti dal 1910 al 1924 sono contenute
nella « Relazione sulle condizioni della spiaggia di Marina di Pisa... », dell’ingegnere capo
Baroni, 10 marzo 1924 (ASPI, UGC, classe IX bis, b. 1). Poiché alcune delle opere da eseguire
per la difesa della spiaggia potevano avere influenza anche sul regime dell’Arno, agli studi
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
141
successivamente al 1932 furono invece progettati e diretti dall’Ufficio del
genio civile di Pisa. L’ingerenza diretta dell’Ufficio sulle opere di difesa
dell’abitato di Marina e su quelle marittime in generale cessò nel 1953. In
seguito alla riorganizzazione del servizio decisa in quell’anno, l’attività
relativa alle opere marittime, fino ad allora gestita dagli uffici ordinari del
Genio civile, passò alla gestione di speciali Uffici del genio civile. All’Ufficio
con sede a Genova fu attribuita la competenza sul litorale dal confine con la
Francia al confine fra le province di Pisa e Livorno 383.
13. Esecuzione di opere pubbliche dello Stato. — A dettare le norme generali sull’esecuzione delle opere pubbliche a carico dello Stato provvide
ancora una volta la legge sui lavori pubblici del 1865 384. I lavori dovevano
eseguirsi sulla base di progetti da sottoporre all’approvazione del Ministero
dei lavori pubblici previo il voto del Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Solo per motivi di particolare urgenza l’amministrazione poteva ordinare
l’esecuzione di un’opera senza un preventivo progetto regolare. Ogni progetto doveva essere corredato da un capitolato d’appalto contenente la descrizione delle opere da eseguire e gli obblighi imposti alle imprese appaltatrici
dei lavori. All’esecuzione di questi doveva provvedersi mediante contratti
stipulati dal Ministero dei lavori pubblici o da suoi delegati, oppure per
economia, nei limiti e secondo le norme prescritte dalla legge sulla contabilità
generale dello Stato. A disciplinare la materia intervennero ancora i regolamenti per la direzione, contabilità e collaudo dei lavori dello Stato 385. In base
a questi provvedimenti le opere attribuite al Ministero dei lavori pubblici
dovevano eseguirsi sotto la diretta responsabilità e vigilanza dell’ingegnere
capo del Genio civile (di servizio generale o speciale), salvo il caso in cui il
Ministero avesse istituito per una determinata opera un’apposita direzione
tecnica.
Ulteriori importanti disposizioni furono emanate negli anni dal 1919 al
1927. Nel 1919 un decreto 386 dispose che le opere pubbliche dello Stato si
eseguivano in base a progetti compilati dagli Uffici del genio civile o da altri
uffici tecnici governativi civili o militari 387. Lo stesso decreto conteneva
compiuti intorno al 1923-1924 cooperarono l’Ufficio di Livorno e quello speciale di Pisa per la
sistemazione dell’Arno (ibidem).
383
L. 5 gen. 1953, n. 24. Dopo il 30 giugno 1953 personale dipendente dall’Ufficio speciale di Genova operò comunque stabilmente a Pisa, presso il locale Ufficio del genio civile,
proprio per seguire i lavori di difesa della spiaggia di Marina. Si veda il carteggio degli anni
1953-1955 in ASPI, UGC, classe IX bis, b. 24.
384
L. 20 mar. 1865, n. 2248, all. F, titolo VI.
385
R.d. 19 dic. 1875, n. 2854; r.d. 25 mag. 1895, n. 350.
386
D.l. 6 feb. 1919, n. 107.
387
Per la competenza in materia di opere pubbliche di ministeri diversi da quello dei lavori
pubblici si veda: G. ROEHRSSEN, Lavori pubblici, in Novissimo digesto italiano, IX, pp. 486-488.
Rosalia Amico
142
norme per l’approvazione dei progetti, norme che furono successivamente
modificate nel 1923 388 e poi ancora nel 1924 389. Norme più durature furono
emanate nel 1925 390. I progetti di opere da eseguirsi a cura delle amministrazioni civili dello Stato, eccettuati quelli delle Ferrovie, erano approvati dal
ministero competente previo il visto dell’ingegnere capo del Genio civile fino
all’importo di lire centomila e previo il visto o parere dell’ispettore superiore
di circolo del Genio civile per importi compresi fra le centomila e le cinquecentomila lire; del Consiglio superiore dei lavori pubblici per importi superiori a quest’ultima cifra. Specifiche norme furono previste per l’approvazione
dei progetti predisposti dagli Uffici tecnici di finanza 391 nell’interesse di varie
amministrazioni dello Stato, norme la cui validità cessò nel 1931, quando
furono interamente concentrati nel Ministero dei lavori pubblici tutti i servizi
relativi alle opere edilizie da eseguirsi per conto dello Stato 392.
14. Assetto dell’ufficio tra il 1938 ed il 1946. — Nel 1938 all’interno del
Genio civile di Pisa il servizio appare ripartito fra quattro sezioni ordinarie e
due sezioni « bis », così denominate per l’impossibilità di aumentare il numero
delle normali sezioni dell’Ufficio, fissato di norma da un decreto ministeriale 393. Il piano di ripartizione dei servizi operante nel 1938 era il seguente:
Prima sezione: tecnica urbanistica, piani regolatori, opere igieniche, edilizia, viabilità, servizi speciali dipendenti da pubbliche calamità, affari generali, affari diversi.
Prima sezione bis: edifici universitari, torre pendente del duomo di Pisa,
opere speciali.
Seconda sezione: opere idrauliche delle varie categorie, servizio acque
pubbliche, servizi elettrici, studi riguardanti la sistemazione dell’Arno in
Pisa.
Seconda sezione bis: opere di navigazione interna, opere speciali.
Terza sezione: bonifica integrale e trasformazione fondiaria.
Quarta sezione: opere marittime.
388
R.d. 8 feb. 1923, n. 422.
389
R.d.l. 28 ago. 1924, n. 1396. Restò in vigore, in quanto non modificato, l’art. 1 del r.d.
8 feb. 1923, n. 422, che prevedeva la possibilità, per motivi d’urgenza o per la natura speciale
delle opere da eseguire, di affidare la direzione dei lavori e la compilazione dei progetti a
professionisti privati, sulla base di norme stabilite con decreto del ministero competente sui
lavori.
390
R.d.l. 7 mag. 1925, n. 646.
391
R.d. 8 feb. 1923, n. 422, art. 3; d.l. 27 ott. 1927, n. 2128.
392
R.d. 18 mag. 1931, n. 544.
393
ASPI, UGC, classe IV, b. 6, fasc. « 1938. Statistica mese di gennaio. Schede dei Co-
muni ».
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
143
Questo assetto dell’Ufficio appare in parte mutato pochi anni dopo, nel
1946.
In conseguenza delle devastazioni causate dal secondo conflitto mondiale, l’attività del Genio civile di Pisa fu in quell’anno (e lo sarà ancora per
diverso tempo) prevalentemente rivolta allo studio delle opere di ricostruzione 394 e alla progettazione di lavori atti a fronteggiare la disoccupazione
operaia e a provvedere al ricovero dei senza tetto.
Parte delle sezioni dell’Ufficio furono dunque impegnate a far fronte a
queste tre emergenze 395.
Nel gennaio del 1946 risultavano affidati alla prima sezione i lavori di
riparazione dei danni di guerra e quelli per il ricovero dei senza tetto, mentre
la prima sezione bis, oltre che delle opere edilizie e dell’edilizia universitaria,
si occupava della riparazione degli edifici demaniali, di quelli di Enti locali e
di Istituti di pubblica beneficenza e delle chiese parrocchiali esistenti nella
zona della provincia a nord dell’Arno.
Alla prima sezione ter era affidata la ricostruzione e riparazione dei danni causati dalla guerra alla viabilità minore ed agli acquedotti.
La prima sezione quater era impegnata nella riparazione degli edifici demaniali, di quelli degli Enti locali, degli Istituti di pubblica beneficenza e
delle chiese parrocchiali esistenti nella parte della provincia posta a sud
dell’Arno.
Alla seconda sezione era riservato il compito di occuparsi delle opere idrauliche, delle derivazioni d’acque, dei servizi elettrici e della riparazione dei
danni causati a queste opere dalla guerra.
La ripartizione del servizio fra le altre sezioni dell’Ufficio era poi pressoché uguale a quella del 1938.
394
Nel dicembre del 1947 il ministro dei lavori pubblici, Tupini, scriveva: « Come conseguenza dell’ultima guerra, l’intervento diretto del Ministero dei lavori pubblici fu esteso anche ad
alcuni speciali campi delle ricostruzioni e delle nuove costruzioni (...) nelle tre direttive principali
dell’edilizia, dei trasporti, e della produzione d’energia elettrica, limitatamente per quest’ultimo
settore, alla vigilanza dell’iniziativa privata » (Distruzioni e ricostruzioni in Italia... cit., p. 5).
Nel campo dell’edilizia l’attività del Ministero riguardava ricostruzioni e nuove costruzioni
relative a edifici adibiti a pubblici servizi, edifici scolastici, di culto ed istituti di pubblica
beneficenza; edifici di abitazioni private, ospedali, sanatori antitubercolari, acquedotti e fognature. La necessità di dare una più rapida attuazione all’opera di ricostruzione del Paese fu alla base
dell’istituzione, nel 1945, dei Provveditorati regionali delle opere pubbliche (d.lg.lgt. 18 gen.
1945, n. 16). Sulle funzioni di questi organi si veda: G. ROEHRSSEN, Provveditorato regionale
delle opere pubbliche, in Novissimo digesto italiano, XIV, pp. 487-497.
395
ASPI, UGC, classe IV, b. 11, fasc. 7, « Relazione sull’attività dell’Ufficio per il mese di
gennaio 1946 ». Oltre le sezioni, funzionavano all’interno dell’Ufficio anche una segreteria ed
una ragioneria. Il personale era composto da 63 persone, 23 di ruolo e 40 non di ruolo. L’Ufficio
poteva disporre inoltre di ufficiali e guardiani idraulici in numero di 29 unità. Gli ingegneri
erano 9 in tutto, mentre la parte più consistente del personale era costituita dai geometri che
erano 25. Nel 1938 invece, l’Ufficio disponeva in tutto di 35 impiegati, di cui 8 ingegneri e 8
geometri.
Rosalia Amico
144
I documenti relativi all’attività di ricostruzione non sono pervenuti
all’Archivio di Stato di Pisa se non in piccola parte 396 e si trovano ancora
presso gli archivi degli uffici che del Genio civile hanno ereditato le competenze, cioè il Provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana - Sezione
operativa di Pisa e l’Ufficio del genio civile della Regione Toscana.
15. L’archivio dell’Ufficio del genio civile. — L’archivio dell’Ufficio del
genio civile fu in buona parte versato all’Archivio di Stato di Pisa nel 1986.
Una parte assai esigua (circa tredici pezzi di cui dieci ascrivibili alla Direzione delle opere preordinate all’essiccazione del lago di Bientina) era già
pervenuta all’Archivio nel 1957, insieme ai documenti del Corpo degli ingegneri d’acque e strade, grazie all’interessamento di Mario Luzzatto, allora
direttore dell’Archivio. Luzzatto si adoperò per ottenere il versamento dei
documenti dell’« archivio vecchio » del Genio civile, precedenti il 1870.
L’espressione « Archivio vecchio » veniva usata nell’ambito dello stesso
Ufficio per indicare la parte dell’archivio contenente documenti anteriori al
1886, documenti che erano stati lasciati fuori dal riordinamento della restante
parte dell’archivio (con documenti successivi al 1886) operato verso la fine
dell’Ottocento sulla base delle disposizioni regolamentari per il servizio del
Genio civile, emanate nel 1894 397. In una relazione diretta al Ministero
dell’interno, Luzzatto scriveva di avere potuto vedere una « guida dell’archivio vecchio » che riportava elencati cinquecentoventuno pezzi (centocinquanta
anteriori al 1870 e trecentosettantuno anteriori al 1886). Osservava però che
dei pezzi descritti non restavano ormai che poche unità e non vi era speranza
di ritrovare quelli mancanti 398. L’archivio era stato infatti molto danneggiato
durante la seconda guerra mondiale. Il direttore descriveva poi una situazione
di particolare disordine dell’archivio ancora esistente in cui si avevano fascicoli isolati accatastati fuori dalle buste e pacchi e buste il cui contenuto non
corrispondeva al titolo. Novant’anni prima, ad un’analoga situazione di grave
disordine e dispersione di documenti si era trovato di fronte, al suo arrivo a
Pisa, l’ingegnere capo Eugenio Giani. Nel 1869 Giani, constata la situazione,
rivolgendosi al prefetto, scriveva di essersi dovuto persuadere che « da molti
anni in poi le carte sono state conservate con tanto poco ordine, che il ritrovare gli antecedenti degli affari non è cosa facile né sempre possibile. Le dette
carte formano una vistosa mole di pacchi legati con spaghi, e se non fosse la
molta pratica di alcuni ufficiali tecnici e di questo impiegato d’ordine (…),
spesso converrebbe rassegnarsi alla necessità di trattar gli affari senza i
396
Si vedano le buste della classe IV contenenti rilevamenti statistici relativi all’attività
dell’Ufficio negli anni dal 1945 al 1960. Altre notizie possono trarsi dalla serie degli atti di
repertorio relativa agli stessi anni.
397
398
R.d. 13 dic. 1894, n. 568.
ASPI, Archivio dell’Archivio, busta di carteggio del 1955, lettera del 26 settembre 1955,
« Atti antichi dell’archivio del Genio civile ».
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
145
precedenti che vi si riferiscono (...) » 399. L’ingegnere osservava poi che gli
inventari esistenti erano ben lontani dal descrivere la reale situazione dell’archivio e che aveva dovuto prendere atto della mancanza di molti documenti, riscontrata nella maggior parte degli affari che aveva avuto occasione di
trattare. A questo stato di cose occorreva porre rimedio risistemando l’archivio.
Giani si adoperò per conseguire questo obiettivo affidando l’incarico del
riordinamento all’ingegnere aiutante Adriano Giani. Nel 1873 il lavoro, per
cui era stata prevista anche la rilegatura in filze di numerosi documenti sciolti,
poteva dirsi quasi terminato 400. L’ordinamento dato all’archivio vecchio fu
basato sulle disposizioni contenute nel regolamento per il Corpo del genio
civile, emanato nel 1863 401. L’archivio di ciascun Ufficio doveva essere
diviso in due parti, una comprendente i documenti riguardanti gli affari
ultimati, l’altra quelli che si riferivano agli affari in corso. Nell’una e nell’altra parte i documenti dovevano essere ripartiti in tante classi quanti erano i
diversi rami del servizio. I documenti di ogni classe andavano poi suddivisi in
fascicoli 402. Dovevano costituire una classe, denominata « Affari diversi », le
carte relative ai seguenti oggetti: 1) personale degli impiegati ed agenti di
ogni categoria, addetti o dipendenti dall’Ufficio; 2) disposizioni ed istruzioni
di massima (leggi, decreti, circolari e Giornale del Genio civile); 3) affari
misti, quelli cioè di natura tale da non potersi comprendere in alcuna delle
classi aventi un oggetto determinato; 4) statistiche ed inventari.
Il regolamento prescriveva poi la tenuta dei registri di protocollo (uno
generale per la registrazione dei documenti ricevuti e spediti dall’Ufficio,
399
ASPI, Prefettura, b. 1237, affare 1368, lettera del 17 maggio 1869.
400
L’8 marzo 1873 l’ingegnere Giani scriveva « Fino dal giorno in cui il sottoscritto prese
la consegna e la direzione di questo servizio, si persuase della necessità di riordinare le carte
dell’archivio, con la veduta di rendere più facile il rintracciar gli affari e impedirne la dispersione, affinché non si verificasse in seguito che fossero sottratti i documenti dalle filze, come
avvenne su larga scala nei tempi anteriori alla di lui venuta in questo Ufficio. Questa operazione
lunga e certamente poco gradevole, tentata invano più volte, era finalmente condotta al suo
termine (...) e per assicurarne gli utili risultati, sarebbe occorsa la non grave spesa di lire 261
(...) » (ibid., lettera diretta al prefetto). Il Ministero dei lavori pubblici non solo ridusse della
metà la somma richiesta ma fece anche dei rilievi che furono causa d’amarezza per l’ingegnere
Giani. Nella stessa lettera dell’8 marzo egli infatti osservava: « Lo scrivente riconosce volentieri
un suo difetto (la mortificazione inflittagli con le osservazioni ministeriali gli porge occasione di
confessarlo), ed è una soverchia premura per tutto quello che riguarda il servizio di cui è
incaricato. Perché infatti doveva interessare più a lui che agli egregi suoi antecessori la sistemazione di questo archivio? Se non l’avesse tentata né proposta si sarebbe risparmiate delle
osservazioni che lo ferivano vivamente, nella certezza in cui è d’aver bene amministrati gli
interessi dello Stato, e d’aver sempre reso un esattissimo conto di tutte le anticipazioni che gli
erano fatte ».
401
402
R.d. 13 dic. 1863, n. 1599, artt. 18-19.
La suddivisione doveva esser fatta in modo da tenere opportunamente aggregati i documenti relativi a ciascuna opera.
Rosalia Amico
146
l’altro particolare, che doveva essere tenuto dal capo ufficio per la registrazione dei documenti — probabilmente di carattere riservato — relativi al
personale). Oltre i protocolli, in ogni Ufficio dovevano tenersi i seguenti
registri: registro del personale dipendente; inventario dei libri, registri, e carte
esistenti nell’archivio; inventario del materiale mobile di pertinenza dell’Amministrazione; registro dei dati statistici e tecnici debitamente accertati;
registro delle osservazioni idrometriche relative alle piene dei fiumi e torrenti;
registro dei verbali di contravvenzioni alle disposizioni sulla polizia delle
acque e strade; registro dei certificati per il pagamento del prezzo dei lavori e
registro delle trasferte. Il numero delle buste dell’archivio vecchio pervenuto è
assai esiguo: quattordici pezzi in tutto. Risulta quindi difficile dare indicazioni
sul numero e sull’oggetto delle classi che lo costituivano.
Qui di seguito vengono riportate quelle di cui ci sono giunti i documenti:
classe I: fiumi e canali
classe IV: fabbricati carcerari
classe VII bis: bonifica di Bientina
classe VIII: affari diversi
classe IX: contabilità dell’Ufficio ed indennità diverse
Per conoscere in parte l’attività svolta dall’Ufficio nel primo trentennio
della seconda metà dell’Ottocento si rivelò importante, vista la perdita di
buona parte dell’archivio, un articolo del regolamento del 1863. Tutte le
comunicazioni dell’Ufficio del genio civile, riguardanti oggetti del servizio
generale per i quali occorrevano provvedimenti da parte dell’Amministrazione, dovevano essere inviate al Ministero dei lavori pubblici tramite gli
uffici delle Prefetture 403. È a motivo di questa disposizione e per il fatto che
alle Prefetture erano affidati gran parte degli adempimenti relativi agli appalti,
che nell’archivio di quest’ultimo ufficio si trovano molti dei documenti
prodotti da quello del Genio civile nella seconda metà dell’Ottocento, documenti che consentono di ricostruirne l’attività e di tracciarne il quadro degli
interventi sul territorio.
Emanata nel 1882 la legge sul riordinamento del Corpo del genio civile 404 si sentì poco dopo il bisogno di disciplinarne il servizio con nuove
norme regolamentari. Nel giro di pochi anni furono emanati tre diversi rego403
R.d. 13 dic. 1863, n. 1599, art. 34. Nel regolamento del 1894 questa disposizione non
fu più inserita e gli Uffici del genio civile poterono di norma corrispondere con il Ministero dei
lavori pubblici direttamente o, per alcune materie, tramite gli ispettori compartimentali. Si veda
anche la circolare del 5 gennaio 1895, n. 177, div. I (ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1,
circolari del 1895) e la circolare del 29 gennaio 1905, n. 895, div. I, « Nuovo ordinamento del
servizio del Genio civile » (ASPI, UGC, classe II, b. 2, fasc. 1, circolari del 1905).
404
L. 5 lug. 1882, n. 874, modificata con l. 15 giu. 1893, n. 294.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
147
lamenti 405, l’ultimo dei quali (quello pubblicato nel 1894) restò in vigore fino
al 1931.
Anche il regolamento del 1894, oltre a disciplinare il servizio del Corpo
del genio civile e quello del Consiglio superiore dei lavori pubblici, si occupò
dell’ordinamento degli archivi degli Uffici.
I documenti, prescriveva il regolamento, dovevano essere conservati in
due parti distinte dell’archivio (una per gli affari ultimati, l’altra per gli affari
in corso). Queste due parti dovevano essere divise in tante classi quanti erano
i rami del servizio. I documenti dovevano poi essere collocati in fascicoli non
per anno ma per affare, in modo che risultassero riuniti tutti quelli concernenti
un unico oggetto determinato.
Innovando rispetto alle disposizioni del 1863, il regolamento indicò quali
dovessero essere le prime cinque classi dell’archivio e cioè:
classe I: personale degli impiegati ed agenti di ogni categoria, addetto o dipendente dall’ufficio
classe II: disposizioni ed istruzioni di massima (leggi, decreti, circolari, Giornale
del Genio civile, ecc.)
classe III: affari diversi, quelli cioè che non potevano essere compresi in alcuna
delle altre classi aventi un oggetto determinato
classe IV: statistiche
classe V: inventari.
La determinazione delle altre classi in cui dovevano essere ripartiti i documenti venne lasciata ai vari uffici, per consentire loro di forgiare l’archivio
secondo i bisogni dei servizi affidati a ciascuno. I documenti dell’Ufficio del
genio civile di Pisa furono ripartiti in quarantaquattro classi. Riportiamo il
titolario di classificazione omettendo l’indicazione delle prime cinque classi
che corrispondono a quelle prescritte dal regolamento 406.
classe
classe
classe
classe
classe
classe
classe
classe
classe
405
406
VI: contabilità
VII: previsioni di spesa e stime di beni demaniali
VIII: rendiconti di spese per rilievi
IX: concessioni
IX bis: Marina di Pisa - opere di difesa della spiaggia
X: fiume Arno
XI: fiume Serchio
XII: fiume Tora
XIII: fiume Cornia
R.d. 3 mar. 1889, n. 5997; r.d. 1° ago. 1893, n. 633; r.d. 13 dic. 1894, n. 568.
Il titolario è stato ricostruito nel corso del lavoro di riordinamento dell’archivio, compiuto presso l’Archivio di Stato di Pisa, sulla base delle indicazioni contenute nelle buste e nei
fascicoli.
148
Rosalia Amico
classe XIV: canale Navigabile Pisa-Livorno
classe XIV bis: fiume Cecina
classe XIV ter: navigazione interna
classe XV: derivazioni d’acque pubbliche
classe XVI: consorzi per opere idrauliche di seconda categoria
classe XVII: consorzi per opere idrauliche
classe XVIII: consorzi per opere idrauliche di terza, quarta, quinta ed incerta categoria
classe XIX: polizia fluviale
classe XX: servizio di piena
classe XXI: osservazioni idrometriche
classe XXII: viabilità provinciale
classe XXIII: viabilità comunale
classe XXIV: viabilità comunale obbligatoria
classe XXV: viabilità ferroviaria
classe XXVI: viabilità tranviaria
classe XXVII: edifici demaniali e assetto edilizio dell’Ateneo pisano
classe XXVIII: edifici monumentali e scavi d’antichità
classe XXIX: edifici comunali e scolastici
classe XXX: teatri e luoghi per pubblici spettacoli
classe XXXI: chiese e cimiteri
classe XXXII: opere igieniche eseguite dai Comuni
classe XXXIII: locali per il tiro a segno
classe XXXIV: bonifiche - spese di ordinaria e straordinaria manutenzione
classe XXXV: bonifiche - progetti e perizie
classe XXXVI: bonifiche - contabilità
classe XXXVII: bonifiche-amministrazione dei terreni demaniali, affitti, vendite,
contravvenzioni
classe XXXVIII: bonifiche-osservazioni idrometriche, termoidrometriche, mareometriche, pluviometriche
classe XXXIX: bonifiche - concessioni e consorzi
classe XL: bonifiche - affari diversi
classe XLI: bonifiche - vertenze, ricorsi, reclami ed istanze diverse.
Il lavoro di ordinamento dei documenti secondo il titolario sovraesposto
fu probabilmente compiuto fra la fine dell’Ottocento ed i primi anni del
Novecento. Negli stessi anni si provvide all’inserimento nello schema di
classificazione dell’archivio generale anche dei documenti relativi al servizio
di bonifica per i quali era fino ad allora esistito un archivio separato 407.
407
Nel 1901 l’ingegnere capo Vincenzo Cavi scriveva al Ministero dei lavori pubblici:
« L’archivio speciale della bonifica di Bientina, separato da quello generale, ha bisogno di essere
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
149
A classificare i documenti sulla base del titolario descritto si continuò per
tutto il primo trentennio circa del Novecento. Questa parte dell’archivio
ordinata in classi costituisce quasi la metà del versamento effettuato all’Archivio di Stato di Pisa nel 1986. Altre serie cospicue sono quella dei protocolli 408 e quella degli atti di repertorio 409. La tenuta del repertorio degli atti da
sottoporsi alle tasse di registro fu prescritta per gli Uffici del genio civile nel
1887. Una circolare emanata in quell’anno dal Ministero dei lavori pubblici 410
ricordò infatti che erano applicabili agli atti sottoscritti dagli Uffici le norme
contenute in una recente legge che estendeva ai segretari e ai capi di tutte le
pubbliche Amministrazioni l’obbligo della tenuta dei repertori degli atti da
sottoporsi alla tassa di registro 411. In particolare era affidata agli Uffici del
Genio civile la stipulazione di atti per l’accettazione di perizie da parte delle
imprese appaltatrici di lavori: erano questi atti a soggiacere alle tasse di
registro e a dover essere annotati nei registri di repertorio.
Nella serie degli atti di repertorio sono contenuti dunque per lo più i contratti stipulati dall’Ufficio con le imprese. Allegati ad alcuni degli atti possono
trovarsi a volte le perizie ed i disegni relativi ai lavori.
Un nuovo regolamento per il servizio del Genio civile fu emanato nel
1931 412.
Anche questo provvedimento si occupò di dettare norme per la tenuta
degli archivi. Fu prescritta ancora la divisione di questi in due parti: l’archivio
corrente per i documenti relativi agli affari ancora in corso e l’archivio di
deposito per i documenti relativi agli affari cui si era definitivamente provveduto. Tanto nella prima che nella seconda parte dell’archivio le carte dovevano essere ripartite nei seguenti « titoli »:
titolo I: personale degli impiegati ed agenti di ogni categoria, addetti all’Ufficio
o da questo dipendenti
titolo II: disposizioni ed istruzioni di massima (leggi, decreti, circolari, ecc.)
titolo III: affari diversi
titolo IV: statistiche
titolo V: inventari.
riordinato e regolarizzato, essendovi molte carte, ed in specie antiche, irregolarmente ammassate... » (ASPI, UGC, classe XL, b. 5, fasc. 10, lettera del 27 novembre 1901).
408
Il primo protocollo pervenuto è del 1903. La serie, che registra numerose mancanze,
acquista continuità solo dal 1941 al 1959 ed è costituita da 156 registri.
409
La serie degli atti di repertorio è costituita da 277 unità (registri e buste).
410
ASPI, UGC, classe II, b. 1, fasc. 1 (circolari del 1887), circolare del 26 agosto 1887, n.
6, divisione I.
411
L. 14 lug. 1887, art. 4. Le modalità per la tenuta dei registri di repertorio erano state
indicate dalla legge sulle tasse di registro emanata nel 1874 (l. 13 set. 1874, n. 2076, artt. 111114).
412
R.d. 2 mar. 1931, n. 287.
Rosalia Amico
150
All’interno di ciascun titolo i documenti dovevano essere ripartiti in classi distinte con lettere dell’alfabeto. Il titolo III doveva comprendere tra l’altro
tutti i servizi affidati agli Uffici, quali opere idrauliche, bonifiche, strade,
porti, fabbricati, ecc.
La ripartizione in classi doveva essere fatta tenendo conto dell’importanza dei servizi 413. I documenti di ogni classe dovevano essere poi ripartiti in
fascicoli, comprendenti ognuno le carte relative a ciascun distinto lavoro o
impresa o funzionario, ed in genere quelle relative ad ogni unico oggetto
perfettamente determinato.
A questo schema di classificazione l’Ufficio del genio civile di Pisa si
adeguò dal 1932 circa 414, adottando un titolario basato sulle disposizioni
contenute nel regolamento del 1931 415.
Di questa parte dell’archivio sono però pervenute all’Archivio di Stato di
Pisa pochissime buste che non consentono di indicare l’assetto e la consistenza dell’archivio e che fanno però pensare ad un ulteriore rimaneggiamento
subito in un secondo tempo dai documenti. Alcune buste e fascicoli infatti,
pur recando l’indicazione del « titolo » appaiono inserite nella seconda parte
dell’archivio, quella ordinata in classi sulla base del regolamento del 1894.
Si dà ora qui di seguito l’elenco e la consistenza delle serie dell’archivio
del Genio civile conservate presso l’Archivio di Stato di Pisa:
Archivio vecchio, bb. 14 (1860-1895)
classe I - personale, bb. e regg. 98 (1870-1975)
classe II - disposizioni ed istruzioni di massima, bb. 7 (1886-1946), fasc. 1
(1950-1953)
classe
classe
classe
classe
III - affari diversi, bb. 11 (1877-1940)
IV - statistica, bb. 20 (1886-1940)
V - inventari del materiale mobile, bb. 7 (1885-1939)
VI - contabilità, bb. 16 (1877-1940)
classe VII - previsioni di spesa per studio di progetti, b. 1 (1891-1911)
classe VIII - rendiconti di spese per rilievi b. 1 (1887-1918)
classe IX - concessioni, bb. 23 (1872-1946)
classe IX bis - Marina di Pisa, opere di difesa della spiaggia, bb. 24 (1922-1955;
1962-1967)
classe X - fiume Arno e suoi affluenti, bb. 28 (1899-1933), fasc. 1 (1952)
classe XI - fiume Serchio, bb. 22 (1855-1861; 1872-1943)
413
Il regolamento prescriveva che « ogni singolo corso d’acqua, ogni strada o bonifica o
porto, ecc., può costituire una classe, oppure diversi di detti servizi possono essere raggruppati in
una sola classe » (ibid., art. 22).
414
Si veda ASPI, UGC, classe IV, b. 4, fasc. 30, che contiene documenti degli anni dal
1932 al 1942.
415
Il titolario è conservato in ASPI, UGC, classe II, b. 7, « Circolari. Disposizioni varie ».
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
151
classe XII - fiume Tora, busta 1 (1906-1927)
classe XIII - fiume Cornia, busta 1 (1926-1927)
classe XIV - Canale Navigabile Pisa-Livorno, bb. 48 (1886-1944)
classe XIV bis - fiume Cecina, b. 1 (1883-1912)
classe XIV ter - navigazione interna, bb. 5 (1888-1935)
classe XV - derivazioni d’acque pubbliche, bb. 9 (1880-1939; 1973-1977)
classe XVI - consorzi idraulici per opere idrauliche di seconda categoria, bb. 2
(1869-1926)
classe XVIII - consorzi idraulici per opere di terza, quarta ed incerta categoria,
bb. 3 (1864-1937)
classe XIX - polizia fluviale, bb. 8 (1884-1942)
classe XX - servizio di piena, bb. 21 (1871-1941)
classe XXI - osservazioni idrometriche, bb. 20 (1886-1934)
classe XXII - viabilità provinciale, bb. 3 (1884-1929; 1935-1937)
classe XXIII - viabilità comunale, bb. 4, fasc. 1 (1891-1932)
classe XXIV - viabilità comunale obbligatoria, bb. 8 (1874-1914)
classe XXV - viabilità ferroviaria, b. 1 (1869-1928)
classe XXVI - viabilità tranviaria, b. 1 (1885- 1926)
classe XXVII - edifici demaniali e assetto edilizio dell’Ateneo pisano, bb. e regg.
153 (1883-1948)
classe XXVIII - edifici monumentali e scavi di antichità, b. 1 (1884-1933)
classe XXIX - edifici scolastici e comunali, bb. 7 (1883-1947)
classe XXX - teatri e luoghi per pubblici spettacoli, busta 1 (1886-1929)
classe XXXI - chiese e cimiteri, bb. 4 (1883-1928)
classe XXXII - opere igieniche dei Comuni e loro approvvigionamento idrico,
bb. 4 (1886-1932; 1943-1946)
classe XXXIII - tiro a segno, busta 1 (1886-1923)
classe XXXIV - bonifiche, opere di manutenzione, bb. 61 (1886-1945)
classe XXXV - bonifiche: progetti e perizie, bb. 125 (1884-1943; 1954)
classe XXXVI - bonifiche: contabilità, bb. 18 (1885-1935)
classe XXXVII - bonifiche: amministrazione dei terreni demaniali, affitti, vendite, contravvenzioni, bb. 15 (1886-1955)
classe XXXVIII - bonifiche: osservazioni idrometriche, termoidrometriche, mareometriche, pluviometriche, bb. 14 (1862-1944)
classe XXXIX - bonifiche: concessioni, consorzi e bonifiche date in concessione,
bb. 10 (1880-1953)
classe XL - bonifiche: affari diversi, bb. 11 (1873-1954)
classe XLI - bonifiche: vertenze, ricorsi, reclami, ed istanze diverse, bb. 5 (18811929); bonifica di Bientina, documenti cartografici, cartelle 2, di 26 tavole (1841;
1895); protocolli, regg. 162 (1903-1959); affari diversi, bb. e fascc. 20 (18961975); atti di repertorio, bb. e regg. 280 (1901-1977); documenti diversi inerenti
ai contratti, bb. e regg. 47 (1937-1977); Società cooperativa case economiche
Rosalia Amico
152
degli impiegati di Pisa e Istituto nazionale case per impiegati statali, bb. 5 (19231943); Servizio di pronto soccorso in caso di pubbliche calamità, bb. 2 (19461959); Direzione generale delle opere preordinate all’essiccazione del lago di
Bientina, poi Sesto circolo di bonificamento, bb. e regg. 16 (1853-1869).
Le vicende che hanno avuto ripercussioni sull’archivio, quali la consegna
di documenti ad altri uffici a seguito di mutamenti di competenze o di giurisdizione territoriale, sono state ricordate nel corso di questo lavoro e non
saranno quindi richiamate oltre.
Vanno invece ricordati alcuni provvedimenti che hanno influito sulla tipologia degli atti conservati e cioè, il regolamento contenente le norme per la
compilazione dei progetti riguardanti opere pubbliche di cui erano incaricati
ingegneri del Genio civile 416 ed i regolamenti per la direzione, contabilità e
collaudo dei lavori dello Stato 417.
Il primo provvedimento indicò di quali documenti dovessero essere costituiti i progetti; gli altri prescrissero quali documenti amministrativi e contabili
dovessero costituire la contabilità dei lavori 418 e quali dovessero accompagnare il collaudo.
A volte la storia di un ufficio e quella di un territorio si intrecciano e si
fondono: seguendo l’una si ha il filo che conduce all’altra. Ciò è senz’altro
vero per la storia dell’Ufficio del genio civile di Pisa e per quella del territorio della città.
ROSALIA AMICO
Archivio di Stato di Pisa
416
D.m. 3 mag. 1863, in Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari
pubblicate nell’anno 1863 ed altre anteriori, vol. XLII, 1863, t. 2, pp. 1881-1893. Il regolamento
distinse fra progetti di massima, progetti definitivi di acque e strade e progetti di fabbricati civili
e di lavori marittimi ed elencò i documenti che dovevano corredare ciascuna di queste categorie
di progetti. Per i progetti definitivi di acque e strade, ad esempio, vennero prescritti i seguenti
documenti: 1) piano della località; 2) profilo longitudinale sull’asse del progetto; 3) quaderno
delle sezioni trasversali; 4) disegni delle opere d’arte; 5) computo metrico; 6) analisi dei prezzi
per unità di misura; 7) stima, ossia calcolo dell’ammontare dei lavori; 8) capitolato d’appalto da
servire di base al contratto; 9) relazione spiegativa del progetto.
417
418
R.d. 19 dic. 1875, n. 2854 e r.d. 25 mag. 1895, n. 350.
Per il regolamento del 1895 la contabilità dei lavori era costituita dai seguenti documenti: manuale del direttore dei lavori, giornale dei lavori, libretti delle misure dei lavori e delle
provviste, liste settimanali, registro di contabilità, sommario del registro di contabilità, stati di
avanzamento dei lavori, certificati per il pagamento delle rate di acconto, registro dei pagamenti,
conto finale, relazione dell’ingegnere capo sul conto finale.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
153
APPENDICE
UFFICIO DEL GENIO CIVILE DI PISA: INGEGNERI CAPI *
Evangelista Lombard
1861-1864
Lamberto Mei (ingegnere in capo per il
Servizio idraulico)
1861-1865
Gaetano Niccoli
maggio 1864 - dicembre 1865
Francesco Rinolfi
1866 - gennaio1869
Eugenio Giani
febbraio 1869 - 1879
Guglielmo Mazzocchi
1879-1883
Olinto Citti
1883-1887
Leonardo Rambelli
ottobre 1887-1889
Antonio Angeli
1889-1891
Augusto Brunelli
1892-1893
Giacomo Poletta
1894-1898
Italo Pelleri
1899
Vincenzo Cavi
1900-1903
Annibale Biglieri
1903 - 11 dicembre 1912
Lamberto Lambertini
12 dicembre 1912 - 1916
Giuseppe Roselli
1916 - novembre 1922
Donato Pacillo
dicembre 1922 - dicembre 1924
Massimiliano Tognozzi
1925 - maggio 1925
Giovanni Arcieri
giugno-luglio 1925
Giovanni Girometti
agosto 1925 - 1941
*
Le indicazioni relative alla durata in carica degli ingegneri capo sono state dedotte dal
carteggio dell’intero archivio dell’Ufficio del Genio civile di Pisa. La nomina poteva avvenire in
periodi diversi dell’anno e questo spiega l’accavallarsi, in qualche caso, di più nomi per lo stesso
anno. Va precisato che nel periodo luglio 1921 - novembre 1922, l’ingegner Giuseppe Roselli
resse sia l’Ufficio per il Servizio generale che quello speciale idraulico. Anche Massimiliano
Tognozzi resse entrambi gli Uffici nel periodo febbraio-maggio 1925.
Rosalia Amico
154
UFFICIO
SPECIALE PER LA SISTEMAZIONE DELL’ARNO E SUOI AFFLUENTI: INGEGNERI CAPI
Giuseppe Roselli
1921-1924
Oliviero Sacenti ingegnere capo facente
funzione
gennaio 1925
Massimiliano Tognozzi
febbraio - agosto 1925
Marco Visentini
1925 - marzo 1928
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 1
155
156
Rosalia Amico
Servizio di bonifica
Tavola n. 1
Bonifica di Bientina
“Planimetria generale. Muraglione diaframma del Nuovo Ozzeri a Ripafratta Scala di
1:2000”. È allegata al “Progetto delle opere da eseguire pel consolidamento e prolungamento del muro della ferrovia a Ripafratta costeggiato dall’inalveazione del Nuovo
Ozzeri”, 27 dicembre 1887, ingegnere Vincenzo Cavi.
ASPI, UGC, classe XXXV, busta 2, fasc. 1 B.
L’alveo del canale Nuovo Ozzeri a Ripafratta fu ricavato da una parte dell’alveo del
Serchio a mezzo di robusti muraglioni diaframma dividenti le acque del fiume da quelle
della bonifica.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 2
157
158
Rosalia Amico
Servizio idraulico
Tavola n. 2
Fiume Arno
“Planimetria del fiume Arno in provincia di Pisa. Scala di 1:18000”.
Riproduzione eliografica, luglio 1926.
La porzione qui riprodotta della planimetria, allegata al contratto di appalto dei lavori di
manutenzione biennale (giugno 1928 - giugno 1930) delle opere di navigazione
dell’Arno, sottoscritto dall’impresa Gentili sulla base del progetto del 30 luglio 1926,
modificato nel luglio 1927 (si veda anche ASPI, UGC, atto di repertorio n. 1261),
evidenzia l’ultimo tratto del fiume ed in particolare la foce “libera”, prima cioè delle
variazioni ad essa apportate dai lavori di sistemazione eseguiti proprio nel corso del
secondo decennio del Novecento.
La riproduzione mette anche in evidenza, nella ricostruzione fattane dall’Ufficio speciale per la sistemazione dell’Arno che del progetto del 1926 era stato il redattore, il
vecchio alveo finale del fiume, abbandonato nel 1606 a seguito della rettificazione nota
come “Taglio Ferdinando”.
ASPI, Prefettura, b. 3, fasc. 3, categoria XXII, carteggio del 1928.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 3
159
160
Rosalia Amico
Servizio idraulico-concessioni
Tavola n. 3
Planimetria del canale Macinante di Ripafratta in prossimità del Porto delle Gondole di
Pisa e disegni (in unica tavola) a corredo della domanda avanzata da Angelo Salvadori
nel 1872 per installare nel tratto cittadino del canale tre mulini da azionare mediante
ruotoni pensili.
Trattandosi di canale demaniale il decreto di concessione verrà infine emanato dal
Ministero del Tesoro il 22 ottobre 1878 sulla base delle modifiche richieste e delle
condizioni imposte dall’Ufficio del genio civile di Pisa.
ASPI, Prefettura, b. 440, affare n. 738.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 4
161
162
Rosalia Amico
Navigazione interna e Canale navigabile Pisa-Livorno
Tavola n. 4
Progetto esecutivo (23 novembre 1906) del Canale Pisa-Livorno. Planimetria con il
nuovo tracciato, 1 agosto 1907, ingegnere capo Annibale Biglieri.
Il tracciato proposto da Biglieri sarà lievemente modificato nel 1919 dall’ingegner
Roselli. Le modifiche riguarderanno sostanzialmente uno spostamento dell’asse del canale,
portato a correre quasi completamente al di fuori della zona paludosa di Tombolo.
ASPI, UGC, classe XIV, b. 9, fasc. 16.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 5
163
164
Rosalia Amico
Edifici demaniali
Tavola n. 5
Palazzo Gambacorti, palazzina già Dogana e palazzo Mosca. Disegno delle facciate
prima dei lavori di sopraedificazione della palazzina già Dogana.
Progetto del 2 giugno 1883, ingegnere Filippo Del Testa.
ASPI, Prefettura, b. 380, affare n. 249.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 6
165
166
Rosalia Amico
Edifici demaniali
Tavola n. 6
Palazzo Gambacorti (Municipio di Pisa), palazzina già Dogana e palazzo Mosca.
Disegni delle facciate allegati al progetto di ampliamento dei locali destinati
all’Archivio di Stato di Pisa mediante la sopraedificazione della palazzina già Dogana.
Progetto del 20 giugno 1883, ingegnere Filippo Del Testa.
ASPI, Prefettura, b. 380, affare n. 249.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 7
167
168
Rosalia Amico
Edifici universitari
Tavola n. 7
Università di Pisa - Museo di Storia naturale.
Progetto di ampliamento del Museo di Storia naturale mediante l’aggiunta di una nuova
fabbrica per il Gabinetto di zoologia e anatomia comparata, da erigersi sul terreno
dell’Orto botanico lungo la via Solferino.
Planimetria della località e del nuovo fabbricato; 24 agosto 1883, ingegnere Filippo Del
Testa.
ASPI, Prefettura, b. 556, affare n. 2408.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 8
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170
Rosalia Amico
Edifici universitari
Tavola n. 8
Università di Pisa - Museo di Storia naturale.
Progetto di ampliamento del Museo di Storia naturale mediante l’aggiunta di una nuova
fabbrica per il Gabinetto di zoologia e anatomia comparata.
Alzato della facciata principale e del prospetto laterale del fabbricato da erigersi e
rispettive sezioni (tavola II del progetto); 24 agosto 1883, ingegnere Filippo Del Testa.
ASPI, Prefettura, b. 556, affare n. 2408.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 9
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172
Rosalia Amico
Edifici monumentali
Tavola n. 9
Torre di Pisa
Lavori di preliminare consolidamento del campanile pendente di Pisa. Pianta delle
fondazioni. Atto di cottimo del 19 novembre 1934, allegato 2a.
L’atto di cottimo fu stipulato fra la Società anonima G. Rodio e C., Impresa di costruzioni con sede a Milano, e l’ingegnere capo del Ufficio del genio civile di Pisa, Giovanni Girometti.
L’impresa si impegnava ad eseguire il consolidamento delle murature costituenti l’anello
di fondazione dell’edificio, a mezzo di iniezioni di cemento e a formare attorno alla
Torre, una vasca impermeabile mediante iniezioni di cemento.
ASPI, UGC, b. 4, atto di repertorio n. 1451.
L’Ufficio del Genio Civile di Pisa e il suo archivio
TAVOLA N. 10
173
174
Rosalia Amico
Edifici monumentali
Tavola n. 10
Torre di Pisa
Lavori di preliminare consolidamento del campanile pendente di Pisa. Sezione assiale
A-B secondo la massima pendenza. Contratto di cottimo del 19 novembre 1934, allegato
2b.
ASPI, UGC, b. 4, atto di repertorio n. 1451.
GIUSTIZIA E MISERICORDIA:
NASCITA DELLA PRIGIONE IN UNA REGIONE PERIFERICA
DELLO STATO PONTIFICIO
SOMMARIO: 1. Cenni storici sulla nascita della prigione; 2. L’organizzazione statale periferica; 3. L’amministrazione comunale; 4. L’ordinamento giudiziario civile e
penale; 5. La regolamentazione del sistema penitenziario.
1. Cenni storici sulla nascita della prigione. — Negli ultimi anni del
governo di Pio VII e del cardinal Consalvi anche nello Stato pontificio
l’ordinamento giudiziario criminale riflette il ritorno ai modi e alle consuetudini dell’antico regime a cui si mescolano e si sovrappongono però elementi
nuovi, maturati in ambito rivoluzionario, accolti e penetrati in vario modo sia
nelle leggi che nel costume, e mantenuti non tanto e non solo per semplici
ragioni di facciata ma per una qualche loro intrinseca utilità sociale e politica
ad un sistema di potere che, pur « restaurato », si trova ad essere, in qualche
modo, mutato 1.
Negli otto anni dal 1816 al 1823 — anno della morte di Pio VII, dell’allontanamento del cardinale Consalvi dalla Segreteria di Stato, della vittoria
della corrente « zelante » — si realizza infatti anche nello Stato pontificio quel
mutamento, tanto generalizzato quanto inevitabile, evidenziato da Michel
Foucault: la nascita di un sistema complesso e articolato di istituzioni di
controllo e repressione che, dai collegi alle scuole, dagli ospedali ai conventi,
trovano nella prigione stessa il loro punto di riferimento, la loro spada di
Damocle, la destinazione naturale di ogni « scarto » del corpo sociale identificato dalle istituzioni stesse. Nel momento del trionfo « del trono e dell’altare », insomma, si assiste ad un nuovo concetto di intendere il sistema
penale, definito dai grandi codici della fine del XVIII secolo: « Noi emettiamo
un verdetto, che è si richiesto da un delitto, ma vedete bene che per noi
funziona in realtà come un modo di trattare un criminale; noi puniamo, ma è
una via per dire che vogliamo una guarigione » 2.
1
M. CARAVALE - A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, (Storia
d’Italia, diretta da G. GALASSO), XIV, Torino, UTET, 1978, pp. 589 e seguenti.
2
M. FOUCAULT, Surveiller et punir. Naissance de la prison, Paris, Gallimard, 1975. In
questa sede si farà comunque riferimento all’edizione italiana, e cioè Sorvegliare e punire.
Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1976, p. 25.
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
176
Maria Grazia Pancaldi
« Gli ultimi tempi di Pio VII e Consalvi », specie in quest’ultimo trentennio, sono stati sottoposti ad una serie di studi sistematici che hanno definito con sufficiente chiarezza l’ambito del discorso 3.
L’attenzione degli storici locali, e non solo la loro, si è rivolta finora soprattutto alla questione centrale posta dalle riforme del periodo, quella cioè
relativa ai nuovi assetti istituzionali e di potere maturati a seguito della
cosiddetta « recupera »: il tentativo di costruire uno Stato quanto più possibile
libero dai vincoli imposti dal passato e dalla tradizione, dalle contraddizioni
dei poteri locali, dalle asfissianti e non più accettabili esigenze da parte delle
comunità di vivere all’ombra degli antichi statuti, da un ceto nobiliare che
non era riuscito a diventare classe dirigente e che pure conservava parte dei
suoi privilegi, da un sistema amministrativo non più in grado di gestire i
sistemi complessi imposti dall’ascesa della borghesia e dal capitale finanziario. Il discorso sulle prigioni rimane a margine della visione prospettica, quasi
come se il loro ruolo all’interno della società fosse irrilevante, scevro d’importanza, dato per scontato. In realtà, la nascita della prigione è specchio
d’una situazione complessa, piena di tensioni e contraddizioni. Si era usciti da
un’epoca di inimmaginabili disordini politici e sociali. Una intera generazione
aveva subito l’influsso prima e il fascino poi dell’idea di rivoluzione al punto
che è lo stesso Consalvi a scrivere, « i giovani quasi non hanno idea del
governo del papa o, se l’hanno, l’hanno corrottissima o pessima. Si vergognano persino d’essere sudditi de’ preti » 4.
Le armi, soprattutto quelle da fuoco, circolavano con facilità, residuate
dall’epoca francese, quando c’erano stati i saccheggi indiscriminati dei depositi e quando, giacobini da una parte e insorgenti controrivoluzionari dall’altra,
avevano preso l’abitudine di girare comunque armati. Nuovi reati si aggiungevano ai vecchi. Non più solo le rapine da strada, gli abigeati, i furti per
fame, ma anche i cosiddetti reati di opinione, gli omicidi a sfondo politico, le
rivolte delle popolazioni urbane. Un quadro nuovo e inquietante che si andava
formando sullo sfondo di un lento ma irrevocabile passaggio dei poteri da una
classe all’altra, con altre regole, altri costumi, altri stili di vita.
In una situazione del genere appare chiaro come il carcere diventi la
struttura centrale su cui si confronta il rapporto tra la società e il potere, sia
esso centrale o periferico, nel senso che le dinamiche repressive o comunque
genericamente restauratrici, hanno bisogno di un luogo simbolicamente evocativo e allo stesso tempo assolutamente reale da additare come esempio per chi
persegue un fine contrario a quello delineato dal potere stesso. Il carcere, in
questa fase, rappresenta a tutti gli effetti lo strumento per imprimere, sotto la
3
Cfr. a tale riguardo, G. SANTONCINI, Appunti per una bibliografia critica sulla seconda
Restaurazione pontificia, in « Proposte e ricerche. Economia e società nella storia dell’Italia centrale », XVII (1994), pp. 156-185.
4
Cfr. L. PACI, Le vicende politiche, in Storia di Macerata, a cura di A. ADVERSI - D.
CECCHI - L. PACI, Macerata 1971, I, p. 365.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 177
pressione di una spinta « ideologica », il marchio a fuoco della disciplinata
obbedienza, e questa, alla fine, diventa l’unico scopo della punizione, l’unica
preoccupazione dei suoi ideatori e amministratori 5.
Il carcere è inoltre, in qualche modo, uno specchio che ci restituisce, intatto o quasi, il fluire di un complesso di dinamiche esterne capaci di spiegare
i mutamenti della società. La fame, le carestie, le malattie, i cambi di potere,
causano tutti, inevitabilmente, la serie dei reati per cui si può finire in prigione. La stessa congiuntura che determina la riforma dei codici e fa diventare il
carcere l’unica forma, generalizzata, di punizione, non è frutto di una nuova
sensibilità, ma di un’altra politica nei confronti degli illegalismi.
In antico regime i diversi strati sociali avevano ciascuno il proprio margine di illegalismo tollerato, anzi, si potrebbe affermare che fosse proprio la
politica di tolleranza degli illegalismi a permettere il funzionamento del
sistema 6. L’inosservanza di norme stabilite diventava consuetudine, così come
alcuni privilegi delle classi dominanti, sì che tutti, alla fine, vivevano in una
situazione di illegalità più o meno palese. Alcuni reati anche gravi venivano
considerati dal popolo come esempi di assoluto coraggio, così, di frequente,
banditi e contrabbandieri diventavano figure leggendarie e stimate. Nello
Stato della Chiesa, caratterizzato da un lassismo costante, interrotto talvolta da
sporadici tentativi di normalizzazione, l’illegalismo era considerato la regola,
favorito anche, in larga misura, dalla confusione creata dalla miriade di
normative in uso, spesso in contrasto tra loro. Difficile anche segnare una
frontiera precisa tra i nullatenenti e i criminali veri e propri: reati come
l’illegalismo fiscale, quello doganale, il contrabbando, il saccheggio erano
comuni agli uni e agli altri, segnando una sorta di continuità senza frontiere.
Il vagabondaggio, severamente punito ai termini di ordinanze quasi mai
applicate, era praticato su larghissima scala, e portava con sé rapine, furti,
talvolta omicidi. Ad alimentare il fenomeno, ogni genere di categorie sociali:
contadini fuggiti dai padroni, soldati che avevano disertato, tutti coloro che
volevano evitare l’arruolamento forzato quando questo veniva richiesto. E
soprattutto, naturalmente, il banditismo, concepito in tutte le sue forme, da
quella più semplice, una sorta di vagabondaggio organizzato, a quella più
complessa, una sorta di esercito vero e proprio, con proprie leggi e un proprio
controllo su un dato territorio.
Nella seconda metà del XVIII secolo il processo di tolleranza nei confronti dell’illegalità diffusa, come è noto, tende a cambiare: banditi, vagabondi
e irregolari di ogni tipo continuano naturalmente ad infestare le campagne e
ad introdursi nelle città, ma la borghesia, che è diventata titolare se non di
nuovi diritti, senza dubbio, di nuovi beni, vede in loro una minaccia ben più
grave rispetto a quanto non la concepisse la classe dominante di un secolo
5
D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario
(XVI-XIX secolo), Bologna, il Mulino, 1977, p. 120.
6
M. FOUCAULT, Sorvegliare ... cit., p. 90.
Maria Grazia Pancaldi
178
prima. La proprietà è ora un concetto assoluto ed inviolabile, non è più tempo
di sperperi e di eccessi, non occorrono quindi misure eccezionali e spettacolari per debellare il crimine ma una attenta, quotidiana, capillare, opera di
vigilanza che salvaguardi i beni e crei le condizioni per un tranquillo svolgersi
della vita sociale 7.
Dalla natura dei reati, dalla durata delle pene, dalla classe sociale di chi
sta in prigione si può dedurre, senza approssimazioni, cosa succede fuori, e lo
si può far meglio proprio nel momento in cui la prigione stessa diventa, per la
prima volta, la forma generalizzata di punizione 8. L’alleggerimento delle
pene, la codificazione più netta, la diminuzione dell’arbitrarietà, il consenso
nel punire, sottendono in ogni caso un cambio al vertice, un nuovo assetto
nella distribuzione del potere. Il nuovo sistema penale è un meccanismo che
determina con precisione le nuove esigenze della società al potere.
Già durante il Regno d’Italia napoleonico si era assistito ad un tentativo,
da parte delle autorità centrali, di arrivare ad una razionalizzazione. I parroci
erano stati usati come agenti della politica di sorveglianza, per gli albergatori
erano apparsi gli obblighi di registrazione, il codice francese del 1810 era
stato esteso a tutte le regioni del Regno solo un anno più tardi dalla sua
emanazione.
Il periodo che segue alla sconfitta francese non intacca, dopo una prima
battuta d’arresto, il processo che si era messo in moto, sanziona semmai uno
status quo tra vecchie forze aristocratiche e borghesia che quest’ultima forza
sempre di più in suo favore fino a compiere, sotto l’egida della moderazione e
del compromesso, la prima tappa dell’evoluzione socio-politica italiana: il
raggiungimento dell’unità nazionale 9.
Per capire la serie dei mutamenti, ovviamente, per quanto analitico e preciso possa essere l’esame dei documenti relativi, lo studio degli anni cruciali
che vedono la nascita della prigione come momento di punizione generalizzata non è sufficiente. Bisogna dire innanzitutto che nello Stato della Chiesa il
dibattito teorico di cui parla Foucault 10 relativamente alla seconda metà del
Settecento, quello relativo all’oggetto della pena, non più la mortificazione del
corpo, ma la redenzione dell’anima, è, per motivi abbastanza ovvi, assai
precedente 11.
Per quanto riguarda il termine di partenza, non pare opportuno risalire
più indietro della seconda metà del XVI secolo, o meglio degli anni immediatamente precedenti la sua fine, quando lo Stato della Chiesa acquista una
7
Ibid., p. 95
8
Si veda in proposito G. RUSCHE - O. KIRCHHEIMER, Punishment and social structure,
New York, Russel & Russel, 1968, trad it.: Pena e struttura sociale, Bologna, Il Mulino, 1978.
9
10
11
D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere… cit., p. 126.
M FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 19.
Cfr. R. CANOSA - I. COLONNELLO, Storia del carcere in Italia dalla fine del Cinquecento all’Unità, Roma, Sapere 2000, 1984 pp. 27-34 (cap. Il carcere nel diritto canonico).
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 179
fisionomia che in qualche modo rimane inalterata, se non per successive,
piccole approssimazioni, fino all’arrivo dei francesi 12. Difficile, se non impossibile, descrivere per intero il sistema di pene previste dal potere centrale e da
quello locale per estinguere i più diversi reati. I supplizi propriamente detti
non costituivano le pene più frequenti, il bando o l’ammenda erano di gran
lunga gli strumenti più usati, ma il bando era spesso accompagnato dall’esposizione e dal marchio, l’ammenda dalla frusta 13. La pena, per essere tale,
doveva essere sempre o quasi accompagnata da una certa quantità di dolore
da infliggersi al corpo del condannato, anche quando era considerata lieve.
C’era la ricerca, quando possibile, di dare alla sofferenza un suo significato
simbolico. Ai bestemmiatori era tagliata la lingua affinché smettessero di
usarla per profanare il nome di Dio, così come ai ladri veniva tagliata la
mano: è la cosiddetta « legge del taglione », così com’è formulata dal Deuteronomio in poi. La pena di morte in questo senso non differiva sostanzialmente dalle altre, perché la morte non era vista semplicemente come privazione
della vita, ma come un insieme elaborato di violenze su parti diverse del
corpo capaci di provocare una somma di dolore in grado di privare della vita
il condannato stesso.
Se si parla specificatamente di carceri il discorso è più complesso, così
come complesso è il sistema di fonti del diritto cui riferirsi. Per la quasi
totalità del territorio che costituisce oggi la regione marchigiana, il riferimento
obbligato è il commento di Gaspare Cavallini alle Costituzioni egidiane 14.
Cavallini elenca tra le forme di carcerazione in uso, quella della pena perpetua o a vita, paragonabile alla morte, il carcere di breve durata o modicae
coercitionis che riguardava talora la relegazione di individui che mal adempivano ad obblighi e doveri d’ufficio, come ad esempio il balivo nel compiere
le sue ambasciate, ed ancora quella cosiddetta di « custodia », relativa alla
carcerazione preventiva nel corso di indagine su un crimine grave quando il
presunto reo non fosse confesso; ultima, la carcerazione per debiti, ma sempre
nella accezione comune: « (…) carcer regulariter ad custodiam, non ad penam
est inventus ».
Il compito di effettuare le carcerazioni disposte dal Tribunale della Curia
per condanne super criminalibus a pene relative sia ai beni che alle persone,
spettava ad un mareschallus, che era addetto alla direzione della polizia
giudiziaria e da cui dipendevano gli ufficiali minori: gli executores, i collectores, i balivi, i bargelli, ed infine i carcerieri e i custodi 15. Il compito del
12
Cfr B. G. ZENOBI, I caratteri della distrettuazione in Antico regime nella Marca Pontificia, in Scritti storici in memoria di Enzo Piscitelli, Padova 1982, pp. 99-105.
13
M. FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 36.
14
Aegidianae Constitutiones cum additionibus carpensibus… cum glossis… Gasparis Caballini de Cingulo, Venetiis MDLXXXVIII (d’ora in poi Aeg. Const.), lib. I, cap. 10.
15
Cfr. I. CERVELLINI, Carceri, in La Marca e le sue istituzioni al tempo di Sisto V, a cura
di P. CARTECHINI, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1991, pp. 105-110 (Saggi, 20).
Maria Grazia Pancaldi
180
mareschallus era quello di combattere e catturare banditi, malfattori e disobbedienti di ogni sorta con l’aiuto dei magistrati locali, nonché di consegnare i
prigionieri al carcere provinciale, senza mai trattenere alcuno presso di sé,
sotto pena della scomunica, della perdita dello stipendio e, nei casi più gravi,
della destituzione.
Nel 1566 il governatore generale della Marca Vincenzo Portico istituiva
un « bargello di campagna » a capo di quaranta birri a cavallo con il compito
di provvedere alla « destruttione et gastigo » degli evasi. La guardia a cavallo
era a carico della comunità della provincia che all’inizio di ogni mese pagava
le quote relative nelle mani di un « scindico » a ciò deputato 16. Un provvedimento successivo del governatore generale Nicola Aragonia riduceva il
numero dei birri in relazione al « bono stato di quiete e pacifico vivere della
provincia » 17.
Per quanto concerne le carceri vere e proprie, la Curia generale della
Marca si limitava ad applicare le brevi disposizioni di carattere generale
previste dalle Costituzioni egidiane che stabilivano che il rettore o tesoriere
provinciale nominassero un custode « abile » ed « idoneo » che, retribuito convenientemente dalla Camera apostolica, ricevesse e custodisse tutti i prigionieri che gli venivano consegnati assieme ad una dichiarazione, l’« apodissa »,
con la indicazione del nome, qualità e durata della pena, se per delitto o
debito. Le apodisse, registrate da un notaio competente, venivano poi consegnate, alla fine di ogni mese, al tesoriere o al suo luogotenente con il numero
dei carcerati. Il custode liberava il detenuto solo dietro nuova licenza del
rettore o del giudice; se contravveniva a queste disposizioni, o se il condannato evadeva, incorreva nella stessa pena reale o pecuniaria del prigioniero,
salvo che non riconsegnasse i detenuti fuggiti 18.
Il governatore generale Fabio Mirto, nel luglio del 1573, ordinava al custode delle carceri di occuparsi della cura dei carcerati, tenendo puliti i locali
affinché i prigionieri non marcissero per il fetore e la sporcizia. Spettava al
carceriere anche la distribuzione del cibo e delle altre cose necessarie fornite
sia dalla Camera apostolica, sia da amici e parenti, sia da uomini di fede. Se
il custode non avesse provveduto, sarebbe stato accusato di furto. Il custode
stesso, inoltre, non doveva gravare con esazioni straordinarie sui prigionieri,
né costringerli a cibarsi alla sua mensa, né vessare i detenuti con richieste di
esborsi di denaro 19.
Il salario del custode e del suo luogotenente veniva computato sui due
soldi che ciascun carcerato doveva per ciascun giorno di carcerazione. Non
16
ARCHIVIO DI STATO DI MACERATA (d’ora in poi AS MC), Archivio comunale di Cingoli
(d’ora in poi Com. Cingoli), vol. 131, c. 260 r/v.
17
AS MC, Archivio priorale di Macerata (d’ora in poi Priorale Macerata), vol. 893, c.
18
Aeg. Const., lib. II, cap. 35.
19
AS MC, Priorale Macerata, vol. 779, c. 4r (parte II).
180v.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 181
erano ammesse mance da parte di chi si recava in prigione per testimoniare. I
detenuti rinchiusi nelle « segrete » non dovevano parlare con nessuno, non
potevano scrivere, né ricevere ambascerie dall’esterno 20.
Costantino Arrigoni, governatore di Montalto, nel 1589, stabiliva altre
norme in materia. L’acqua per i prigionieri doveva essere buona, pulita e
gratuita, sia le celle comuni che le « segrete » dovevano essere pulite ogni
quindici giorni e, se ci fossero stati ammalati, il fatto doveva essere notificato
allo stesso governatore. Il medico doveva essere avvertito se si fosse trattato
di « accidente pericoloso » 21. Anche le Costituzioni egidiane prevedevano la
presenza di un medico in carcere ogniqualvolta si fosse verificato un suicidio.
Oltre alla dichiarazione di morte, questi era tenuto a precisare che il decesso
era avvenuto senza colpa da parte dei custodi 22.
Per quanto riguarda l’edilizia carceraria, già nel 1513 il legato Sigismondo Gonzaga aveva disposto che il carcere pubblico di Macerata, già iniziato
su mandato di Alessandro VI e poi di Giulio II, venisse completato « ad
comprimendas illicitas et immoderatas exactiones » 23.
Pochi anni più tardi però il governatore Odescalchi, visto lo scatenarsi di
una nuova ondata di banditismo, era costretto a costruire nuove carceri sotto il
palazzo apostolico e ad affittare una casa per sistemarci il bargello 24.
Nel 1585 la Congregazione provinciale di Macerata, adunata su ordine
del legato Alessandro Sforza decideva un nuovo ampliamento del carcere
della provincia, dato che « li prigionieri vi stavano malamente e soffrivano
fuor di modo ». La spesa ammontava a 4.118 scudi da distribuirsi tra tutti i
Comuni della Marca 25. Nello stesso anno si decideva di costruire, sempre a
Macerata, una prigione separata per le donne. La Camera apostolica autorizzava la spesa di 100 scudi per la sua edificazione 26.
La fioritura delle carceri continuava, sotto la spinta delle nuove pulsioni
sociali, vagabondaggio e banditismo soprattutto. Alcune celle, a Macerata,
ricavate da ambienti del palazzo comunale, si rivelarono però così malsane
che nel 1568 vi morirono « per cattivo aere » tre detenuti 27. Spettava al giudice, tra gli altri compiti, la visita ai carcerati « ut habeant necessaria sibi » 28.
A stabilirlo erano le stesse Costituzioni egidiane che imponevano anche
al rettore della Marca di conoscere le condizioni dei detenuti, in special modo
20
Ibid., c. 49v (parte I).
21
Ibid., cc. 42r, 43v (parte II).
22
Aeg. Const., lib. IV, cap. 1.
23
Ibid., lib. II, cap. 35.
24
AS MC, Archivio notarile di Macerata (d’ora in poi Notarile Macerata), vol. 567, cc.
123-124.
25
AS MC, Comunale Cingoli, vol. 134, cc. 2r, 6r, 17r, 28v.
26
BIBLIOTECA COMUNALE DI MACERATA (d’ora in poi BC MC), ms 403/7: Registro dell’ufficio del notariato della camera Apostolica nella Marca, 1562-1577, c. 248v.
27
L. PACI, Le vicende politiche… cit., p. 265.
28
Aeg. Const., lib. IV, cap. 1.
Maria Grazia Pancaldi
182
di quelli poveri, attraverso visite settimanali effettuate il venerdì, visite compiute con i giudici e gli avvocati durante le quali, esaminati i fascicoli, si
verificava l’effettiva durata della pena scontata e si decidevano, se del caso, le
scarcerazioni 29. Lo stesso obbligo spettava al governatore di Camerino. Qui la
visita era prevista settimanalmente o almeno due volte al mese « essendo cosa
conveniente alla carità e alla pietà cristiana » che i prigionieri « non s’habbino
per scordati o per derelitti ». Lo stesso governatore doveva provvedere al
sostentamento dei carcerati 30.
All’autorità preposta alla giustizia spettava, come si è visto, in certe circostanze, il potere di graziare i detenuti rinchiusi nelle pubbliche prigioni:
Ferrante Ferri, luogotenente generale della Marca, insieme a Matteo Garofani,
suo commissario, visitando le carceri della Curia, liberava, nel dicembre 1559,
nove detenuti in occasione dell’elezione di Pio IV 31.
L’antica usanza, riservata alle confraternite, di ottenere, nel corso della
Settimana santa, la liberazione di prigionieri in base a privilegi particolari, nel
corso della seconda metà del Cinquecento venne invece fortemente limitata. A
Macerata il privilegio spettava alla Confraternita del Santissimo Sacramento,
ma già nel 1564 il cardinale Federico Borromeo imponeva che il privilegio
fosse limitato ad un solo prigioniero 32. Il provvedimento fu emanato nel mese
di aprile, ma, nel dicembre di quello stesso anno, il privilegio, con decreto del
governatore Vincenzo Portico, fu addirittura sospeso 33. Nonostante questo, nel
corso degli anni la Confraternita riuscì più volte a liberare alcuni prigionieri 34.
Per uscire di prigione prima che i termini fossero scaduti, il condannato
aveva davanti a sé due strade. La prima, molto usata, era quella della cosiddetta « composizione » con la Curia, che in pratica si riduceva al pagamento
di una somma concordata con il tesoriere della Curia stessa. La seconda era
l’evasione, punita con pene severissime. Se evadendo si rompevano muri o
porte del carcere, era prevista la pena di morte con confisca dei beni. Se le
comunità aiutavano i condannati a fuggire erano sottoposte al pagamento di
200 scudi e alla perdita delle esenzioni e dei privilegi.
La carcerazione per debiti era prevista solo nel caso in cui la somma da
restituire fosse superiore ai 10 fiorini. Il governatore Ottavio Bandini, nell’emettere il relativo decreto, nel 1590, precisava che il debitore, condannato
agli arresti, perdesse anche ogni credito, dovesse rifondere i danni e, nei casi
più gravi, dovesse anche sottostare a tre tratti di fune 35.
29
Ibid., lib. II, cap. 20.
30
SEZIONE DI ARCHIVIO DI STATO DI CAMERINO, Archivio comunale di Camerino, Patenti,
C 3, c. 96r.
31
AS MC, Miscellanea notarile di Macerata, b. 3/24.
32
BC MC, ms. 403/7, c. 26r.
33
AS MC, Priorale Macerata, vol. 891, c. 69r.
34
I. CERVELLINI, Carceri… cit., p. 109.
35
AS MC, Priorale Macerata, vol. 779, c. 51r/v.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 183
Le Costituzioni egidiane si preoccupavano anche di vietare, nella maniera
più assoluta, il cosiddetto carcere privato: nessuno, se non l’autorità legittima,
poteva trattenere con la forza chicchessia, soprattutto i minori e le donne
oneste, a scopo di libidine 36.
Questo il quadro generale della situazione, rimasta sostanzialmente inalterata, salvo, come vedremo, per alcune interessanti anticipazioni della tendenza futura, fino all’arrivo dei francesi, come del resto rimase sempre lo
stesso lo stipendio dell’avvocato dei poveri, membro della Curia criminale del
delegato apostolico di Macerata, che ancora, dopo tre secoli, agli inizi dell’Ottocento, continuava a percepire 3 scudi mensili, nonostante nelle carceri ci
fossero fino a centocinquanta detenuti in attesa di giudizio.
Durante la prima restaurazione molti furono i tentativi di riforma, quasi
tutti dedicati a risolvere il problema della riorganizzazione delle forze di
polizia per contrastare gli atti criminosi. Nel luglio del 1800, alle dipendenze
del bargello di Macerata lavoravano solo 15 birri, al posto dei 26 che li
avevano preceduti. A Fermo, nel 1801 i birri erano solo 18 e minacciavano di
dimettersi, perché senza stipendio. Nello stesso anno, per lo stesso motivo, il
tribunale di Ascoli si vede abbandonato dalle proprie guardie e mancano i
soldi per garantire il giornaliero sostentamento ai carcerati. Nel 1803 il
cardinale Agostino Rivarola, segretario di Stato, chiedeva addirittura l’istituzione di un intendente di polizia, ma contemporaneamente la Sacra consulta
preparava un piano di riduzione degli stessi birri e dei loro stipendi per
tagliare i costi. Queste misure non avrebbero però risolto la questione della
prepotenza dei birri stessi, che vivevano soprattutto dei cosiddetti incerti del
loro lavoro, vessando le popolazioni locali, specie quelle rurali, « malmenando » la stessa giustizia che erano chiamati a difendere. Anche i notai processanti, chiamati dal governo a svolgere quel ruolo, vivevano soprattutto di
« incerti », facendosi spesso pagare per accelerare in qualche modo il corso
della giustizia. Di fronte all’aumento delle cause pendenti, il governo si
trovava nella necessità, non potendo fare altre nomine, di aumentare gli stipendi ai notai che già lavoravano, ma senza apprezzabili risultati 37.
Tra il 1800 e il 1801 le condizioni dei carcerati sono praticamente disastrose. Numerosi quelli in attesa di processo, umide le prigioni e sfornita di
tutto l’infermeria. La pubblica carità è chiamata a rifornire lenzuola e camicie 38. Nel 1805 sarà lo stesso cardinale Consalvi, con un suo bando, a porre
fine a questo stato di cose. Farà obbligo ai vescovi, ai governatori e ai giusdicenti di effettuare periodiche ispezioni con colloqui riservati con i carcerati 39.
36
Aeg. Const., lib. IV, cap. 65.
37
Cfr. D. CECCHI, L’organizzazione amministrativa nella delegazione apostolica di Macerata durante la 1a restaurazione (1800-1808), in « Studi maceratesi », X (1974), pp. 151-323,
in particolare pp. 255-258.
38
39
Ibid., p. 258.
ARCHIVIO DI STATO DI ROMA (d’ora in poi AS RM), Bandi, vol. 147, notificazione
Consalvi, 1° gennaio 1805.
Maria Grazia Pancaldi
184
È un altro atto di quella politica volta ad eliminare gli illegalismi, cui si è
accennato, legata all’ascesa della borghesia al potere, quando la proprietà
privata diventa assoluta e non è più tollerabile ogni attacco alla sua struttura.
Ora si tratta, con un ritardo di quasi un secolo rispetto alla Francia e in genere
all’Europa continentale, di organizzare su basi moderne il sistema di controllo
e di repressione dei fenomeni criminali, sottraendo cioè le popolazioni
all’arbitrio delle forze di polizia, lasciate fino a quel momento libere di agire,
senza controllo o quasi, sul territorio. Nella nuova temperie culturale, gli
abusi commessi da quelle stesse forze, tollerati fino a quel momento come un
male necessario, diventano, di colpo, intollerabili. Michel Foucault offre
anche un’altra interpretazione del fenomeno 40. Spiega che ormai c’è uno
spostamento dalla criminalità di sangue ad una criminalità di frode. I delitti
sono meno atroci, nel senso che diminuiscono le aggressioni fisiche e aumentano invece gli assalti alla proprietà. Il cambio di prospettiva comporta anche
una dissoluzione delle grandi bande armate, capaci di impadronirsi e di
dettare legge in intere zone del territorio. La truffa e il furto sono reati da
compiere individualmente piuttosto che raggruppati in bande, e sono questi
ormai i veri obbiettivi contro i quali occorre esercitare la forza dell’autorità.
Ne consegue, indirettamente, che anche i mezzi per reprimere la criminalità
usati fino a quel momento, diventano obsoleti. Le squadre dei birri a cavallo
poco o nulla possono verso i ladri e i truffatori che oltretutto preferiscono le
città alle campagne come luoghi di azione. Ecco allora che la loro opera,
sempre meno necessaria, diventa all’improvviso deleteria: ci si ricorda delle
ruberie che gli stessi birri compiono indiscriminatamente, della loro richiesta
di esazioni, del fatto che il loro stipendio è più basato sui cosiddetti « incerti »
piuttosto che sul soldo pagato dallo Stato. Le nuove norme tengono conto di
questo passaggio cruciale.
Il novero delle disposizioni locali, i modi e le forme attraverso i quali
venivano fatte applicare le leggi, a tutta evidenza trovavano ragione di esistere
all’interno di un sistema più generale e complesso che riceveva impulso dalle
emanazioni del governo centrale anche se, come si sa, il passaggio non può
essere considerato, in antico regime, così immediato e diretto come si potrebbe pensare. Esistono differenze all’interno dello Stato, esistono differenze tra
l’organizzazione centrale, romana, e i nuclei periferici, esistono allo stesso
modo differenze tra città e campagna, tra comune e comune, tra provincia e
provincia. Così i modi di gestione delle piccole prigioni comunali non possono essere considerati adatti all’amministrazione dei grandi istituti di pena
quali quelli esistenti nella capitale. Ma esistono disposizioni comuni a tutto lo
Stato, disposizioni che ne caratterizzano, complessivamente, l’attività. Tratto
funzionale dell’intero sistema è quello della visita ai carcerati, una operazione
in cui si mescolano, come abbiamo visto, senza distinzione, esigenze legali,
morali e caritative che ne segnano la storia e l’evoluzione.
40
M. FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 84.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 185
A metà del XVII secolo, Giovan Battista Scanaroli, modenese, vescovo
di Sidone, per quarant’anni procuratore dei carcerati per l’Arciconfraternita
della carità, dà alle stampe un’opera che riassume lo stato della situazione
carceraria della città di Roma nei dettagli, anche quelli più minuti 41. Bisogna
dire subito che è inutile cercare nell’opera di Scanaroli ogni accenno ad una
ricerca di modelli carcerari nuovi ed una filosofia del carcere e della pena sul
tipo di quelle che diventeranno comuni un secolo più tardi. Egli si limita,
semplicemente, a descrivere l’esistente, il numero delle carceri, il loro funzionamento, i poteri di controllo. Dalla sua opera risulta comunque evidente il
fatto che a metà del Seicento, a Roma, il carcere avesse acquisito un proprio
ruolo preciso ed importante come forma di risposta statale alla criminalità.
Secondo Canosa e Colonnello 42 il fatto non è casuale. La doppia dimensione dell’ordinamento giuridico della città — metà laico e metà ecclesiastico —, sostengono, è infatti tale da favorire, assai più che negli altri Stati,
l’adozione di questo mezzo di pena, espressione di una forma castigo, almeno
nei fini, diversa da quella allora tipica dei sistemi laici. Non bisogna dimenticare del resto che nel periodo a cavallo tra il XVII e XVIII secolo, una
notevole sensibilità pervade il mondo cattolico rispetto al problema del
concreto scopo della pena 43. A differenza del meridione dove la forca fu
quasi l’unica forma di politica sociale praticata per secoli, nello Stato della
Chiesa, così come in quelli dell’Italia settentrionale, si tentò di prendere una
serie di provvedimenti assai simili a quelli adottati nello stesso periodo in
Inghilterra e in Germania: divieto di mendicare, internamento negli ospedali,
assistenza per gli inabili, sforzo di procurare lavoro agli abili 44. A proposito
della mendicità, comunque, c’è da dire che il problema venne sempre concepito nello Stato pontificio, come di ordine e di controllo sociale. I mendicanti
accorrono sempre più spesso verso la capitale e l’autorità cerca di rinchiuderli
negli ospedali da poco creati, sotto la minaccia di pene severe. Comunque
dovrà passare ancora un secolo prima che venga concepita l’idea del lavoro
obbligatorio all’interno dell’istituzione. In ogni caso bisogna ricordare che a
metà del Seicento il povero non è per nulla distinto dal piccolo criminale.
Nella figura del povero, come affermano Melossi e Pavarini, si stigmatizzava
una tendenza alla immoralità, al piccolo furto e così via 45. Solo un secolo più
tardi si andrà sviluppando un atteggiamento nella politica sociale che diventerà simile a quello che era stato proprio delle teorie mercantilistiche degli altri
Paesi: l’idea di una carità restrittiva che distingue i poveri inabili dagli abili,
41
G. B. SCANAROLI, De visitatione carceratorum libri tres, Roma, per i tipi della Reverenda camera apostolica, 1655.
42
R. CANOSA - I. COLONNELLO, Storia del carcere... cit., p. 37.
43
D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere… cit., p. 57.
44
Ibid., p. 99.
45
Ibid., p. 101.
Maria Grazia Pancaldi
186
riservando solo ai primi una certa assistenza cercando di costringere gli altri a
procurarsi un lavoro 46.
Si è detto che l’elemento centrale del sistema descritto da Scanaroli, è
quello della visita ai carcerati. La visita non è un atto di semplice carità, come
si potrebbe pensare oggi in un sistema imperniato sul concetto di inderogabilità della pena. A metà del Seicento quel concetto non esisteva o non era stato
compiutamente formalizzato. Ecco allora che la storia del carcere, non soltanto a Roma, si presenta come una storia di « visite » al carcere 47. Secondo
Scanaroli, all’origine erano gli stessi pontefici a presiedere alla visita, poi,
cresciuti i loro impegni, divenne inevitabile deputare allo scopo viros probos.
Il sistema era stato regolamentato per la prima volta da Eugenio IV, riformato
da Sisto IV e poi definito, nei dettagli, da Alessandro VI che aveva istituito il
tribunal visitationis. Al tempo di Pio IV, « membri del tribunale (…) erano il
governatore, l’uditore di camera, il prefetto delle carceri, il vicario, un senatore, un prelato della carità, l’avvocato dei poveri, l’avvocato del fisco, il
procuratore fiscale, il procuratore dei poveri, deputato dalla Camera ed un
altro deputato dalla Carità ed approvato dal papa. Da ultimo erano stati
aggiunti, sotto il pontificato di Sisto V, il prelatus pietatis, il visitator secretorum carcerum e il commissarium triremium » 48. La composizione mista del
Tribunale della visita coinvolgeva tutti coloro che in qualche modo avessero a
che fare con il carcere e consentiva una lettura approfondita delle varie
posizioni. Il tribunale godeva di poteri assai ampi: poteva diminuire le pene,
risolvere le questioni dei carcerati per debiti, liberare i carcerati stessi, anche
quelli condannati per crimini gravi « ne quid damni fiat publico regimini »,
con un richiamo sia alla prudenza, sia alla pericolosità sociale dei diversi
soggetti. Alla liberazione dei prigionieri, lo abbiamo visto anche in ambito
locale, erano deputate anche le confraternite. I carcerati romani protestavano
contro questo tipo di provvedimenti visto che le confraternite stesse, a dir
loro, erano solite scegliere, come soggetti da liberare, persone facoltose, in
grado di far loro generose elargizioni 49.
Scanaroli, attento ai particolari, fornisce infine i numeri dei prigionieri,
distinti per ogni singolo carcere. A Torre di Nona, nel 1652, erano entrate
2.670 persone. Ne erano state scarcerate 2.309. I morti in carcere erano stati
8, gli esiliati 110, gli inviati alle galere 62, i fustigati 9 e i giustiziati 12. Nel
carcere dei Sabelli, poi demolito, erano entrate 1.714 persone, ne erano state
liberate 1.395, esiliate 64, inviate alle galere 10, fustigate 3. Nel carcere del
Campidoglio i detenuti erano stati 1.582, i liberati 1.540, 20 gli esiliati, 5 i
46
Ibid., p. 104.
47
R. CANOSA - I. COLONNELLO, Storia del carcere… cit., p. 44.
48
Ibid., p. 45.
49
A. BERTOLOTTI, Le prigioni di Roma nei secoli XVI, XVII e XVIII, Roma, Tipografia
delle Mantellate, 1890, p. 28.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 187
galeotti. Le cifre sono più o meno identiche per il carcere del Borgo 50. Su
una popolazione stimata in poco meno di 130.000 persone, i carcerati, in un
anno, erano stati più di 6.500 51. Era quello il periodo in cui si iniziava, sulla
spinta delle nuove emergenze sociali, la costruzione del grande edificio delle
carceri nuove, maturato dalle nuove esigenze di « giustizia e misericordia » 52.
Giustizia e misericordia, naturalmente, non spiegano tutto. A determinare
le scelte ci sono esigenze più profonde, legate ai cambiamenti sociali, ai nuovi
modi di produzione, al nuovo modo di concepire la sicurezza dello Stato. Il
condannato che un tempo era stato una proprietà del sovrano, sul quale il
potere regio aveva avuto piena possibilità di infierire con la sua terribile
collera, sta diventando, a poco a poco, una sorta di bene collettivo che bisogna in qualche modo rendere utile e produttivo.
Si sta affermando il principio per cui la carcerazione, utile per la redenzione del condannato costretto ai ferri, al silenzio, alle pene accessorie e
capaci di produrre dolore, può diventare proficua anche per la società. Nasce
il lavoro obbligatorio all’interno del carcere, nascono i lavori forzati all’esterno, nasce il bagno penale, una prigione all’aperto in cui i forzati sono
obbligati ad una serie di mansioni per lo più inutili, anche se astrattamente
funzionali. Il processo comincia nella seconda metà del Seicento, e all’interno
dello Stato della Chiesa, più che altrove, conosce una straordinaria fortuna,
forse proprio perché si sposa in maniera quasi perfetta con le esigenze di
giustizia e di misericordia che sono alla base della filosofia del controllo e
della repressione. Il dibattito su questa sorta di primogenitura nella creazione
di un sistema carcerario onnicomprensivo o quasi di ogni possibile pena è
ancora vivo e attuale 53. Ai fini di questo studio è poco utile approfondire il
discorso. Occorre però dire che proprio nello Stato pontificio, con il motu
proprio di Clemente XI del 1703, si attua una riforma che condizionerà
pesantemente la legislazione europea degli anni a venire, quella per cui ogni
giovane al di sotto dei vent’anni che fosse condannato al carcere, dovesse
scontare la pena nell’ospizio di San Michele allo scopo di sfuggire alla
corruzione della prigione comune 54. Nello stesso istituto erano rinchiusi, a
scopo correzionale, quei giovani affidati a quello stesso fine dai genitori
50
G. B. SCANAROLI, De visitatione… cit., p. 46 e seguenti della appendice.
51
G. BELOCH, La popolazione d’Italia nei secoli sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo, in Storia dell’economia italiana, a cura di C. M. CIPOLLA, Torino, UTET, 1959, I, p. 469.
52
Ricordiamo che a Roma, nell’ex carcere nuovo, iniziato nel 1647 da Innocenzo X e portato a termine nel 1655 da Alessandro VII, oggi sede del Museo di criminologia, vi è ancora la
lapide posta a quei tempi Iustitiae et clementiae / securiori ac meliori reorum custodiae / novum
carcerem - Innocentius X Pont. Max. posuit - Anno domini MDCLV.
53
Si veda in proposito l’opera di C. C. FORNILI, Delinquenti e carcerati a Roma alla metà
del ’600: opera dei Papi nella riforma carceraria, Roma, Editrice pontificia università gregoriana, vol. 59, 1991, in cui l’autore sostiene che l’opera dei papi nella riforma carceraria influenzò
positivamente l’evolversi della legislazione in materia nell’intera Europa.
54
D. MELOSSI - M. PAVARINI, Carcere… cit., p. 118.
Maria Grazia Pancaldi
188
all’autorità. Nel 1735, sempre a Roma, una analoga casa di correzione venne
aperta per ospitare giovani donne criminali o prostitute 55.
Più utile, in ogni caso, vedere l’evoluzione del sistema, come si arrivi
cioè, nei primi anni del XIX secolo, a stabilire il principio per cui la prigione
diventa una istituzione completa ed austera 56, un apparato disciplinare esaustivo, con le sue regole e i suoi ritmi, la sua filosofia e i suoi rapporti con il
resto del mondo. La prima regola che i carcerati sono tenuti ad osservare è
quella del silenzio. Il silenzio serve ad acuire l’isolamento, che pure è previsto
dai regolamenti, evita il contatto con gli altri condannati che potrebbe portare
al traviamento ulteriore, serve alla meditazione. La seconda regola è quella
del lavoro che, alternandosi al pasto e alla preghiera, segna le ore del giorno e
consente di arrivare alla notte, senza gli incubi derivati dal rimorso del delitto
compiuto. Il lavoro è una forma di espiazione e di riscatto sociale. Attraverso
la fatica quotidiana il condannato capisce fino in fondo la natura dei suoi
delitti e dei suoi peccati e comincia ad espiarli. Terza ed ultima regola è
quella per cui la privazione della libertà che la prigione comporta non è che
uno degli aspetti della pena, il più evidente, certo, ma non il peggiore. Al
condannato continuano ad essere inflitte punizioni corporali di ogni tipo che
non trovano giustificazione alcuna nelle sentenze emanate e che pure sono
parte integrante della vita in carcere. Il secolo dei lumi, scrive Foucault, ha
inventato l’idea della libertà ma anche quella della disciplina 57 e a proposito
di disciplina, all’interno dello Stato della Chiesa, si erano formate, nel corso
dei secoli, schiere di specialisti e di teorici fermamente convinti della sua
intrinseca necessità. Così la clausura, presupposto indispensabile della nuova
prigione, faceva parte integrante, da secoli, dei ritmi di vita dei conventi, e il
binomio preghiera-lavoro era diventato addirittura la norma fondamentale su
cui si era costruita una regola. Si trattava, semplicemente, nella nuova temperie culturale, di applicare in maniera più o meno diretta le stesse norme, le
stesse regole, alla nuova istituzione. Per farlo occorreva però trasferire queste
intuizioni dal piano religioso a quello che potremmo definire laico in senso
stretto, uscire cioè dalle pastoie di una commistione durata troppo a lungo per
ridefinire compiti e situazioni. Per realizzare il progetto c’era un solo modo:
mettere chiarezza, innanzitutto, all’interno dell’apparato normativo. Il titolo III
del motu proprio di Pio VII del 6 luglio 1816 si muove in questa specifica
direzione. I livelli di giurisdizione sono fissati in tre. I reati minori restano
affidati al governatore, l’appello per questi ultimi e il giudizio per reati di
maggior peso spettano ai tribunali criminali, tanti quante sono le delegazioni.
L’appello per le decisioni dei tribunali criminali spetta alle Corti di appello di
Bologna e di Macerata per le aree rispettive e alla Sacra consulta per tutte le
altre o per cause di natura particolare. Abolite tutte le giurisdizioni di privile55
Ibid., p. 119.
56
M. FOUCAULT, Sorvegliare… cit., p. 256
57
Ibid., p. 246.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 189
gio, meno quelle dell’Inquisizione, dei vescovi e regolari, dei palazzi apostolici, dei tribunali militari ed ecclesiastici, come pure viene abolita ogni pena
rimessa all’arbitrio del giudice. Sopravvivono, è vero, istituti particolari per la
città di Roma e per la Comarca, ma in generale si può dire che il sistema è
riuscito a dare unità d’intenti all’intero Stato. Nell’assetto della magistratura,
importante l’accento dato alla tecnicità e collegialità ed il posto conferito al
cosiddetto procuratore fiscale da un lato e al difensore d’ufficio dall’altro.
Evidente anche il significato di una decisione come quella di rendere obbligatoria in tutte le sentenze la motivazione o come l’altra, cancellata col successivo pontefice, di generalizzare l’uso della lingua italiana negli atti giudiziari 58. Il passo ulteriore sarebbe dovuto essere quello della emanazione dei
codici penale e di procedura penale, ma l’opera di Consalvi riuscì solo a
completare il codice di procedura civile del 12 novembre 1817.
In quegli stessi anni, d’altra parte, stava maturando, soprattutto nelle province, quella nuova fase del processo rivoluzionario che doveva caratterizzare
l’intera fase finale dell’esistenza dello Stato pontificio, una serie pressoché
ininterrotta di sollevazioni, attentati, rivolte popolari che avrebbero portato a
concepire una nuova minaccia, ben più pericolosa in fondo degli antichi
briganti di campagna e dei grassatori di città, che pure continuavano ad essere
rispettivamente fucilati e ghigliottinati, quella del massone, del carbonaro,
dell’attivista politico del tutto sconosciuta appena vent’anni prima. Di fronte a
questo pericolo, come vedremo, l’atteggiamento del segretario di Stato fu
sempre quello del rigore unito alla moderazione, un atteggiamento che non
era sicuramente prevalente all’interno delle gerarchie ecclesiastiche, ma che
trovava in Pio VII un fedele assertore. Il 23 giugno 1817, i carbonari di
Macerata, nonostante la più totale impreparazione, danno vita al loro tentativo
rivoluzionario 59. Un anno prima, il 19 settembre del 1816, il commissario di
polizia della stessa città era stato pugnalato da un carbonaro. Le condanne del
6 e del 24 ottobre del 1818 sono esemplari. Di fronte all’imputazione per
fellonia, la Congregazione ordinaria del tribunale di Roma decide per la pena
di morte e per la galera a vita, ma il papa diminuisce subito le pene: quella di
morte diventa relegazione a vita, quella per le galere diventa detenzione fino a
dieci anni. È una politica comune che non viene attuata, per esempio, nei
confronti di briganti e grassatori per i quali la decollazione è ancora una
regola fissa.
2. L’organizzazione statale periferica. — Il periodo preso in esame è,
come si è detto, quello che viene comunemente definito « seconda restaurazione »: restaurazione politica del potere temporale dei papi, dopo la dominazione francese; restaurazione istituzionale delle strutture antecedenti alla
parentesi rivoluzionaria, in apparenza inalterate. Tale restaurazione, come è
58
M. CARAVALE - A. CARACCIOLO, Lo Stato pontificio… cit., p. 596.
59
Cfr. L. PACI, Le vicende politiche… cit., pp. 366-368.
Maria Grazia Pancaldi
190
noto, avvenne essenzialmente in due tempi. Nel maggio 1814 furono infatti
restituiti a Pio VII i territori già uniti all’Impero, corrispondenti agli attuali
Lazio e Umbria; si tratta delle cosiddette « provincie di prima recupera ». Le
Marche, Bologna e la Romagna (già unite al Regno d’Italia) e Benevento (già
unita al Regno di Napoli) furono riconsegnate soltanto nel 1815, e sono
pertanto solitamente definite « provincie di seconda recupera ».
Come afferma Elio Lodolini 60, tale destinazione corrispondeva non soltanto ai diversi tempi di ripristino dell’autorità pontificia, ma soprattutto alla
« diversa situazione politica ed amministrativa in cui quei territori si erano
trovati durante il periodo francese (repubblicano ed imperiale), alla diversa
durata della sospensione del potere temporale, alla diversa situazione economico-finanziaria » 61. Questo fa già comprendere come il termine « restaurazione » sia, in questo contesto, da prendere con le dovute accortezze: in realtà,
se ci fu una restaurazione in senso politico, le riforme istituzionali furono
tante e tali da rendere il fenomeno, più che un ripristino, un ibrido sostanziale; e se l’apparenza e i princìpi di fondo rimanevano quelli dell’antico regime,
ad un’analisi più accurata ci si accorge di come il sistema risultasse in realtà
radicalmente mutato.
Infatti, con l’editto del 5 luglio 1815 della Segreteria di Stato, l’amministrazione delle « provincie di seconda recupera » fu affidata ad un sistema
provvisorio di governo, quasi una gestione commissariale, mentre si venivano
studiando i provvedimenti e le riforme ritenute indispensabili dell’esperienza
napoleonica 62. E radicale fu la riforma nel settore dell’amministrazione
periferica dello Stato ed in quella comunale.
Documento della nuova organizzazione amministrativa, come è noto, fu
il già citato motu proprio del 6 luglio 1816 63, entrato in vigore il 1° agosto
successivo, data in cui cessò il governo provvisorio istituito l’anno precedente.
Da un punto di vista territoriale, lo Stato venne diviso in diciassette
delegazioni, oltre Roma ed il suo territorio (Comarca), rette ciascuna da un
delegato e divise in tre classi a seconda della maggiore o minore importanza.
Le delegazioni di prima classe erano cinque: Bologna, Ferrara, Ravenna,
Forlì, Urbino e Pesaro. Le delegazioni di seconda classe erano sette: Ancona, Macerata, Fermo, Perugia, Spoleto, Viterbo, Frosinone. Le delega60
E. LODOLINI, L’amministrazione periferica e locale nello Stato pontificio dopo la Restaurazione, in « Ferrara viva », I (1959), 1, pp. 5-8; ARCHIVIO DI STATO DI ROMA, L’Archivio
della S. Congregazione del Buon Governo (1592-1847), a cura di E. LODOLINI, Roma 1956.
61
E. LODOLINI, L’amministrazione… cit., p. 5.
Cfr. D. CECCHI, L’amministrazione pontificia nella 2a restaurazione (1814-1823), Macerata 1978, pp. 25-113.
62
63
Moto Proprio della Santità di Nostro Signore Papa Pio Settimo in data de’ 6 luglio
1816 sulla organizzazione dell’Amministrazione pubblica…, Roma, presso Vincenzo Poggioli
stampatore della Rev. Cam. Apost., 1816 (conservato nella biblioteca dell’Archivio di Stato di
Macerata).
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 191
zioni di terza classe erano cinque: Camerino, Ascoli, Rieti, Civitavecchia,
Benevento 64.
Alle delegazioni di prima classe poteva essere preposto un cardinale; in
tal caso queste assumevano il titolo di legazioni, ed il delegato il nome di
legato.
Il delegato era il capo della provincia sotto l’aspetto politico, amministrativo e giudiziario-penale: aveva infatti giurisdizione su tutti gli atti di governo
e di pubblica amministrazione e in materia giudiziario-penale. Non emerge, a
tutta evidenza, un principio di separazione dei poteri; traspare tuttavia, ed è
chiara, una forte istanza di correttezza e responsabilità istituzionale. Il delegato, infatti, il quale, anzitutto, doveva essere un prelato, nominato con breve
dal sovrano tramite la Segreteria di Stato, non doveva provenire dalla delegazione affidatagli, né risiedervi da lungo tempo; stessa cosa per gli assessori,
anch’essi nominati dal papa, che lo affiancavano con funzioni giudiziarie,
l’uno in materia civile e l’altro in materia penale. Emerge insomma una figura
del funzionario separato dal territorio, dipendente dal potere centrale, figura
definita anzitutto dalla propria qualifica e il più possibile indipendente dalla
persona fisica di chi la riveste; incorruttibile, il più possibile esterno rispetto
alla realtà in cui opera, il delegato risponde alla doppia istanza della centralizzazione del potere e della sua spersonalizzazione, che pone al centro l’istituzione.
Presso il delegato era inoltre stabilita una Congregazione governativa
composta da quattro membri (due del capoluogo e due di altre località della
provincia) nelle delegazioni di prima classe; di tre (due del capoluogo ed uno
di altra località) nelle delegazioni di seconda classe; e di due membri (uno dei
quali del capoluogo), infine, nelle delegazioni di terza classe. Anche i componenti della Congregazione governativa erano nominati dal sovrano, dovevano
avere ricoperto impieghi statali o comunali o aver esercitato la professione
forense per almeno tre anni ed aver compiuto i trenta anni di età; ogni cinque
anni venivano parzialmente rinnovati e potevano essere confermati.
Una minuziosa normativa stabilisce, come si vede, requisiti e competenze
di queste figure di contorno: prevale un principio di bilanciamento e di
controllo, ed ecco perché, al contrario di quanto stabilito per il delegato e per
gli assessori, i componenti di tale Congregazione dovevano essere nati nella
provincia o risiedervi da lungo tempo; rappresentavano cioè l’elemento locale
della pubblica amministrazione, in un’ottica di rapporto centro-periferia fondato sull’accordo conciliare delle istanze 65. La bilancia di tale accordo pendeva tuttavia, com’è ovvio, dalla parte del potere centrale. La Congregazione
governativa, che si riuniva tre volte alla settimana, aveva infatti un voto
64
Tabella del riparto territoriale delle Delegazioni dello Stato ecclesiastico prescritta
all’art. 3 del Titolo I del Motu Proprio 1816, s.n.t. (conservato nella biblioteca dell’Archivio di
Stato di Macerata).
65
Cfr. E. LODOLINI, L’amministrazione... cit., p. 11.
192
Maria Grazia Pancaldi
solamente consultivo; le decisioni finali spettavano in via esclusiva al delegato, il quale aveva però l’obbligo di inviare i verbali delle discussioni svoltesi
nell’ambito della Congregazione alla Segreteria di Stato.
Si può notare, a questo punto, come il potere centrale si fondasse su questo rapporto in un’ottica, come abbiamo visto, necessariamente non equilibrata
e parziale, ma anche come, al tempo stesso, si interessasse alle istanze locali
attraverso sistemi posti a metà fra il cahier de doléance (rapporto diretto
periferia-centro, con conseguente scavalcamento del funzionario preposto) e il
tenace e puntuale controllo ottenuto anche attraverso il ricorso ad ulteriori
figure intermedie, come il segretario generale, anch’egli scelto dal sovrano,
che interveniva senza voto nelle sedute della congregazione. La mancanza di
effettivo potere era bilanciata dal fatto che questi non poteva essere rimosso
dall’impiego senza autorizzazione della Segreteria di Stato: si veniva dunque
a creare un sistema di controlli incrociati, dalla struttura compiuta e razionale,
teso, nei princìpi, all’accordo delle diverse istanze; e se il fare riferimento di
tutti questi organi alla nomina regia e al controllo della Segreteria di Stato
poneva l’intera organizzazione ancora indubbiamente sotto il segno dell’antico
regime, pure è interessante notare l’innegabile tendere ad un ordine, ad una
sistemazione « razionale » e « illuminata » di obblighi, responsabilità, competenze.
Prevale il principio classificatorio: delegazioni di prima, seconda e terza
classe; ogni delegazione, poi, si divide in governi di primo e di secondo
ordine, retti da governatori. Anch’essi non dovevano essere nativi del luogo
che governavano, né esservi domiciliati da tempo. Erano nominati dal sovrano
tramite la Segreteria di Stato (i governatori di primo ordine con breve, quelli
di secondo ordine con lettere patenti). I delegati potevano corrispondere con i
governatori di secondo ordine direttamente o tramite i governatori di primo
ordine. Si parcellizza il territorio, si dividono i compiti, si crea un ordine a
metà fra il gerarchico-piramidale e l’orizzontale-reticolare: i rapporti sono
minuziosamente regolati, le funzioni stabilite. Così, assistiamo ad ulteriori
specificazioni: con editto del 26 novembre 1817 il segretario di Stato, Ercole
Consalvi, stabilisce che in tutti i comuni in cui non risiedesse un governatore
potesse essere nominato un vice governatore dipendente dal primo. La nomina
dei vice governatori era riservata al delegato in una terna di nomi proposti dal
rispettivo Comune: anche qui, un principio di bilanciamento di istanze fa da
sfondo al criterio di attribuzione delle funzioni. I vice governatori duravano in
carica due anni e potevano essere confermati di biennio in biennio dal Consiglio comunale, ovviamente con approvazione delle autorità superiori alle quali
era data anche facoltà di destituirli durante il biennio.
3. L’amministrazione comunale. — Le riflessioni finora condotte sono
ovviamente valide anche per le amministrazioni comunali. Anche qui, infatti,
« con la Restaurazione si ritornò a forme antiche, con modifiche suggerite
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 193
dall’esperienza amministrativa napoleonica » 66. Infatti l’art. 102 del motu
proprio 1816, abolì « tutte le leggi municipali, statuti, ordinanze, riforme »
tranne quelle relative alle colture, al corso delle acque, ai pascoli, ai danni
dati nei terreni e ad altri argomenti analoghi. In base a tale normativa gli
organi del comune erano: il Consiglio, di 48 membri nelle città capoluogo di
delegazione, di 36 nelle sedi di governo di primo ordine, di 24 nelle sedi di
governo di secondo ordine con popolazione superiore ai mille abitanti, e di 18
in quelle con popolazione inferiore; la Magistratura, composta da un capo con
il titolo di gonfaloniere e da sei, quattro o due anziani a seconda che si
trattasse rispettivamente di capoluoghi di delegazione, di sedi di governo di
primo ordine o di altri comuni.
Negli « appodiati », cioè nei comuni minori dipendenti da un comune
principale, era stabilito un sindaco dipendente dal gonfaloniere della comunità
principale 67.
Nella prima applicazione del motu proprio, i consiglieri erano tutti di
nomina governativa (nomina da parte del delegato, previo parere della Congregazione governativa e sanzione definitiva della Sacra consulta) 68. Man
mano, in caso di vacanze, i nuovi consiglieri dovevano essere eletti per
cooptazione dallo stesso Consiglio, salvo ratifica del delegato che però non
poteva negarla se non in caso di incapacità da parte dell’eletto. I requisiti a
consigliere sono illuminanti nel loro mescolare il criterio del privilegio con
istanze di legalità di matrice borghese-liberale: essi dovevano aver compiuto
24 anni, essere nati nella comunità o risiedervi da almeno dieci anni ed
appartenere alla classe dei possidenti, dei letterati, dei negozianti, di capi delle
professioni ed arti « non vili e sordide » (art. 155 del motu proprio 1816), dei
coltivatori (esclusi i salariati agricoli). Causa di incapacità era la stretta
parentela con altro consigliere. L’ufficio di consigliere non poteva essere
ereditario, né riservato ad alcun ceto, salvo le prerogative godute da qualche
ceto particolare in singoli comuni purché limitatamente alla metà del numero
dei consiglieri. Del Consiglio dovevano far parte inoltre i deputati del clero. Il
Consiglio comunale designava il gonfaloniere, gli anziani ed i sindaci inviando al delegato una terna di nomi per ogni posto da coprire. Il delegato nominava anziani e sindaci mentre la nota di tre nomi relativa al gonfaloniere,
doveva essere inviata al segretario di Stato cui spettava la nomina del capo
del comune. Il gonfaloniere restava in carica due anni, gli anziani quattro,
rinnovandosi per metà ogni biennio allo scopo di assicurare la continuità della
vita amministrativa comunale.
66
Ibid., p. 22.
67
Cfr. R. RUFFILLI, L’appodiamento ed il riassetto del quadro territoriale nello Stato pontificio (1790-1870), Milano, Giuffrè, 1968.
68
Cfr. N. DEL RE, La Curia Romana - lineamenti storico-giuridici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1970, pp. 346-350.
Maria Grazia Pancaldi
194
Gonfalonieri ed anziani usciti di carica, non potevano essere nominati di
nuovo prima di due anni mentre i sindaci erano immediatamente riconfermabili.
Il Consiglio non poteva prendere alcuna decisione se alla seduta non erano presenti almeno i due terzi dei consiglieri, il gonfaloniere, due anziani ed il
governatore, quest’ultimo presiedeva la seduta con diritto al voto. Governatore
e gonfaloniere potevano farsi sostituire in caso di impedimento. Nessun atto
consiliare poteva avere esecuzione senza approvazione preventiva del delegato
e della Congregazione del buon governo 69 secondo la rispettiva competenza.
Gli impiegati comunali erano nominati o confermati dal Consiglio ogni
due anni nel giorno di santa Lucia (13 dicembre).
Specificamente per le Marche, come s’è detto, con lo stesso motu proprio del 1816, Macerata con il suo territorio veniva creata delegazione apostolica di seconda classe 70. Lo stesso motu proprio con le tabelle annesse divideva la delegazione in quattro governi di prima classe o distrettuali di
Macerata, Loreto, poi di Recanati, di San Severino e di Fabriano 71. Il governo
distrettuale di Macerata comprendeva i comuni di Macerata, Apiro, Appignano, Civita Nuova, Monte Castrano, Monte Cosaro, Monte dell’Olmo, Monte
Granaro, Monte Milone, Monte San Pietrangeli, Morrovalle, Sant’Egidio e
Monte San Giusto. Il governo distrettuale di Loreto comprendeva i comuni di
Loreto, Monte Lupone, Monte Santo, Recanati e Porto.
Il governo distrettuale di San Severino comprendeva San Severino (appodiato: Ficano), Amandola, Belforte, Caldarola, Monte Giorgio, Monte San
Martino, Penna San Giovanni, Sarnano, San Ginesio, Tolentino (comunità
appodiate: Morìco, Ripe San Ginesio), Urbisaglia (comunità appodiata:
Colmurano).
Il governo distrettuale di Fabriano comprendeva la stessa Fabriano (comunità appodiata: Duomo), Matelica, Sassoferrato, Serra San Quirico (comunità appodiate: Genga, Mergo e Sasso, Retorscio) ed alcuni altri governi di
seconda classe, la cui composizione e numero subirono diverse variazioni a
seguito dei provvedimenti degli anni successivi che, come è noto, apportarono
diverse variazioni alla consistenza territoriale delle delegazioni marchigiane.
4. L’ordinamento giudiziario civile e penale. — La « codificazione », una
delle conquiste fondamentali del periodo napoleonico, costituì una immediata
esigenza del ricostituito Stato della Chiesa. Pio VII nominò tre commissioni
per la realizzazione dei codici civile e di procedura civile, criminale, cioè
69
Ibid., pp. 352-355; L’Archivio della S. Congregazione… citato.
70
Cfr. P. CARTECHINI, Fonti archivistiche per la storia della Provincia di Macerata, in
« Studi Maceratesi », 1, (1965), pp. 35-37; Archivio di Stato Macerata, a cura di P. CARTECHINI,
in MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, Guida generale degli Archivi di Stato
italiani, Roma, Ufficio centrale per i beni archivistici, 1983, II, pp. 707-708.
71
Tabella del riparto territoriale… cit., pp. 32-33.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 195
penale, e di procedura commerciale 72. Secondo l’opinione di Elio Lodolini,
Pio VII ed Ercole Consalvi furono:
autori di leggi ed ordinamenti senza dubbio assai progrediti per l’epoca in cui
vennero adottati, ed in parte derivanti direttamente dall’esperienza napoleonica (…).
Quelle leggi e quegli ordinamenti sono tanto più notevoli se li si mette a confronto
con le tendenze puramente e semplicemente « reazionarie » di altri Stati Italiani
— vedi Piemonte — nei quali si voleva, sic et simpliciter, cancellare quasi un ventennio di storia e tornare agli ordinamenti, alle leggi e agli uomini del 1798, ignorando
ogni progresso compiuto durante il regime napoleonico 73.
Ovviamente, ai codici vanno affiancati tutti quei testi a carattere legislativo, tesi a ricreare, o creare tout-court, un ordinamento giudiziario nel territorio. Fra essi, fondamentale è sempre il motu proprio del 6 luglio 1816, che al
titolo II stabilisce l’organizzazione dei tribunali civili, al III quella dei tribunali criminali. Vi sono poi il « regolamento » o « nuovo codice di procedura
civile » emanato da Pio VII con il motu proprio del 22 novembre 1817 ed
entrato in vigore il 1° gennaio 1818, il « regolamento di disciplina per i
tribunali civili » pubblicato dal segretario di Stato Ercole Consalvi il 27
gennaio 1818, e infine il « regolamento provvisorio di commercio », già
vigente nelle province di seconda recupera ed esteso, con modifiche, a quelle
di prima recupera con editto Consalvi del 1° giugno 1820, a decorrere dal 1°
luglio successivo. Quest’ultimo regolamento fu poi confermato con il motu
proprio 10 novembre 1824.
Come è noto, uno dei primi atti di Agostino Rivarola, delegato da Pio
VII a riprendere possesso in suo nome delle « provincie di prima recupera »,
era stata l’abolizione della legislazione napoleonica e dei codici civile, commerciale e penale (editto 13 maggio 1814) e la soppressione dei tribunali del
periodo imperiale con il ripristino delle vecchie magistrature giudiziarie 74.
L’anno successivo, con editto del 5 luglio, il segretario di Stato Ercole Consalvi, nello stabilire un governo provvisorio nelle province di seconda recupera, abolì la legislazione napoleonica ed i codici civile, penale e di procedura.
Conservò il codice di commercio ed i tribunali di commercio: segno evidente
di un’istanza economico-sociale giunta ormai a riflettersi nel politico. La
rivoluzione era stata, del resto, il tentativo della borghesia francese di controllare il potere statale: motivazioni analoghe avevano guidato i ceti dirigenti
degli Stati conquistati o inglobati da Napoleone nel sostenere ed appoggiare il
dominio francese, apportatore di vantaggi e innovazioni nel campo della
produzione e della distribuzione delle risorse territoriali. La caduta dell’imperatore non limita questo ruolo, ormai acquisito, della borghesia quale centro
72
E. LODOLINI, L’ordinamento giudiziario civile e penale nello Stato Pontificio (sec. XIX),
in « Ferrara viva », I (1959), 2, pp. 43-73.
73
Ibid., p. 44.
74
Ibid., p. 48.
Maria Grazia Pancaldi
196
propulsivo dell’economia statale e vera spina dorsale della cosiddetta « ricchezza delle nazioni ». Il mantenimento dei codici di commercio riflette
questo mutato status quo; i cambiamenti subiti dalla giustizia civile, ma
soprattutto penale, in altre parole, l’amministrazione « dei delitti e delle pene »
ne sono lo specchio distorto, ma altrettanto illuminante. Per lo Stato della
Chiesa fu con il motu proprio del 6 luglio 1816, unitamente alla definitiva
organizzazione dello Stato e all’istituzione del governo provvisorio nelle
province di seconda recupera, che vennero dettate norme omogenee anche
nell’amministrazione della giustizia.
Come già detto, il titolo II agli artt. 24-75 riguarda l’organizzazione dei
tribunali civili. Il potere giudiziario in quest’ambito non fa parte delle competenze dei delegati (art. 24), ma di quelle dei governatori locali, dei tribunali
civili di prima istanza esistenti in ogni delegazione e di quattro tribunali di
appello istituiti a Bologna, Macerata e Roma (Tribunale dell’uditore generale
delle cause della Camera apostolica o auditor camerae e Tribunale della
Rota 75): evidente l’istanza di legare un tale tipo di cause all’ambito territoriale, ai rapporti di carattere locale, alla contingenza del quotidiano. Le aree di
competenza sono minuziosamente ripartite: i governatori locali sono competenti nelle cause che non oltrepassino il valore di 100 scudi, in quelle di
« sommarissimo possessorio », « cioè quelle nelle quali si debba giudicare sul
solo fatto del possesso, mentre esse dovranno essere rimesse al tribunale di
prima istanza se, non potendo il possessorio essere definito con il solo fatto
del possesso, occorra passare all’esame dei titoli), in quelle di alimenti, di
danno dato e di mercedi e nelle controversie che insorgono durante i tempi di
fiera e di mercato per le contrattazioni » (art. 25).
Nei capoluoghi di delegazione, uno dei due assessori esercita nelle cause
minori la giurisdizione attribuita ai governatori locali (art. 28) e vi viene
istituito un tribunale di prima istanza composto da cinque giudici più due
aggiunti nelle delegazioni di prima classe e di cinque giudici ed un aggiunto
nelle altre (art. 30), che giudica in grado di appello le cause di competenza
dei governatori e degli assessori ed in prima istanza tutte le altre, ad eccezione di quelle riservate alle giurisdizioni speciali. Le udienze sono pubbliche e
le sentenze motivate (art. 33). Dei quattro tribunali di appello, uno avrà sede a
Bologna (per le delegazioni di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna), uno a
Macerata (per le delegazioni delle Marche) e due a Roma (Tribunale dell’auditor camerae e della Rota) per il resto dello Stato (art. 35); i primi due
saranno composti da cinque giudici e due aggiunti (art. 36); quello dell’auditor camerae, da tre giudici prelati o luogotenenti e da un quarto giudice
che può essere il vice gerente dell’uditore generale della Camera (art. 40).
Ognuno dei luogotenenti deve giudicare in prima istanza le cause di valore
minore a 825 scudi ed in seconda quelle giudicate dai governatori della
Comarca e quelle di valore inferiore a 300 scudi già giudicate in prima
75
Sull’uditore generale cfr. N. DEL RE, La Curia romana… cit., pp. 299-301.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 197
istanza da uno dei suoi colleghi (art. 42), mentre il Tribunale dell’auditor
camerae giudicherà collegialmente in prima istanza le cause della Comarca
eccedenti il valore di 825 scudi o di valore indeterminato, in seconda quelle
di valore inferiore a 825 scudi giudicate dai tribunali di prima istanza delle
delegazioni dell’Umbria, del Lazio, e di Benevento o dai singoli luogotenenti,
in terza, le sentenze difformi pronunciate dai governatori in prima istanza e
dai singoli luogotenenti in grado di appello e quelle difformi dei luogotenenti
nelle cause di valore inferiore ai 300 scudi (art. 42). Il Tribunale della Rota
fungerà da tribunale di appello in tutte le cause di valore maggiore a 825
scudi giudicate dai tribunali di prima istanza delle delegazioni non soggette ai
tribunali di appello di Bologna e Macerata, in tutte quelle maggiori di 300
scudi e minori di 825, in caso di difformità delle precedenti sentenze ed in
tutte le cause in cui le sentenze degli altri tribunali di appello, compreso
quello dell’auditor camerae, siano difformi dalle sentenze di prima istanza.
Per le cause di valore inferiore ai 300 scudi, in cui le sentenze degli altri
tribunali di prima istanza e di quello dell’auditor camerae come tribunale di
appello siano difformi, si ricorrerà al cardinale prefetto della Segnatura che
deputerà una congregazione di tre prelati per il giudizio definitivo (art. 46). In
Roma è confermata la giurisdizione civile del Tribunale del Campidoglio (art.
49) e quella del Tribunale della Segnatura (art. 50) che avrà il potere di
annullare gli atti giudiziari, i decreti e le sentenze di tutti i tribunali dello
Stato, senza eccezioni (art. 51) e di decidere in tutte le questioni di competenza fra i tribunali (art. 52).
Nessuna innovazione viene fatta riguardo alla giurisdizione dei vescovi e
a quella dei tribunali ecclesiastici nelle materie di loro competenza (art. 56).
Gli altri tribunali non potranno intervenire nelle cause che riguardano l’interesse della Camera apostolica. Queste saranno giudicate in prima istanza,
quando non superino il valore di 200 scudi, da assessori camerali che saranno
inviati nelle delegazioni, eventualmente riunendone insieme più di una (art.
57), mentre in Roma saranno giudicate cumulativamente (e singolarmente)
dall’uditore del camerlengato e da quello del tesoriere generale quando non
eccedano il valore di 825 scudi; nel caso in cui superassero i due valori
indicati, saranno giudicate in prima istanza da un tribunale composto dall’uditore del camerlengo, dal presidente della Camera e dall’uditore del tesoriere
generale che fungerà anche da tribunale di appello nelle cause giudicate dagli
assessori camerali (art. 58). In caso di difformità di giudizio, si ricorrerà al
Tribunale della Camera che sarà anche tribunale di appello per le sentenze
emesse in prima istanza dai giudici e dal tribunale di cui all’articolo precedente (art. 59). Poiché il Tribunale della Camera sarà diviso in due turni, in caso
di ulteriore appello questo sarà affidato al turno che non avrà emesso la
sentenza contro cui si ricorre (artt. 60-61). Pertanto in materia contenziosa
civile non vi saranno più giudici commissari e giudici privativi (art. 63), né
giurisdizioni e tribunali particolari e privilegiati, eccetto quelli ecclesiastici e
quello del Campidoglio e fatte salve anche le giurisdizioni della Congregazio-
Maria Grazia Pancaldi
198
ne dei vescovi e regolari, del Tribunale della Dataria, di quello della Fabbrica
di S. Pietro e di alcune altre (art. 64).
La nomina di tutti i giudici è riservata al pontefice (art. 67). Quelli dei
tribunali di prima istanza, come requisiti, debbono possedere la laurea, onestà
di natali, buona condotta, venticinque anni compiuti, esercizio dell’attività
forense per almeno tre anni. Per quelli dei tribunali di appello, l’età è aumentata a trenta anni e l’esercizio dell’attività forense a cinque (artt. 68-69). Ai
giudici viene assegnato uno stipendio fisso (art. 70).
Nel settore della giustizia penale, la separazione del potere politico ed
amministrativo da quello giudiziario è una conquista tarda.
Immediatamente dopo la Restaurazione, infatti, il legato (o delegato), capo del potere politico e di polizia di ogni provincia, è anche presidente del
tribunale, ma le norme che ne regolano l’attività mostrano lo stesso rigore che
abbiamo già visto in altri contesti, una sorta di ricerca di provvedimenti
comuni, generalizzati, il più possibile « razionali », che si inseriscono in vari
modi nel contesto della Restaurazione assolutistica. Secondo l’editto Consalvi
del 5 luglio 1815, nelle province di seconda recupera, i giusdicenti locali
erano competenti a giudicare i reati punibili con una pena detentiva non
superiore ad un anno. I tribunali penali, uno per ciascun capoluogo di provincia, giudicavano in primo grado i reati più gravi ed in appello le cause minori
decise in primo grado dai giusdicenti stessi. Ogni tribunale era composto da
tre membri, compreso il presidente. I tribunali di appello per le cause sia
criminali che civili erano due, ed avevano sede a Bologna e ad Ancona.
Giudicavano collegialmente, con l’intervento di tutti i sette giudici. Lo stesso
editto del 5 luglio 1815 stabiliva che il tribunale dell’auditor camerae e i
tribunali penali fossero provvisoriamente competenti a procedere anche nei
confronti degli ecclesiastici, in attesa della ricostituzione dei tribunali particolari riservati a questi ultimi 76. Anche per il settore della giustizia penale il
motu proprio 1816 stabilì un sistema uniforme per tutto lo Stato.
All’organizzazione dei tribunali criminali è dedicato il titolo III (artt. 76101). I governatori di primo e secondo ordine sono giudici nei delitti minori,
cioè in quelli punibili con pene pecuniarie o detentive fino ad un anno,
commessi nei loro territori (art. 76): i delitti sono classificati sulla base delle
pene; alla suddivisione che potremmo chiamare « moralistica » dei reati (reato
come infrazione ad una legge superiore, classificato a seconda della maggiore
o minore offesa al potere, divino ed umano), si sostituisce una visione che
lega strettamente delitto e pena, realizzando fra essi un rapporto deterministico-causale, per cui l’uno può essere definito attraverso l’altro o viceversa.
In ogni delegazione viene istituito un tribunale criminale presieduto dal
delegato e composto dai due assessori, da uno dei giudici del tribunale civile
di prima istanza e da uno dei membri della Congregazione governativa (art.
77) (questi ultimi due rinnovati ogni anno a turno). Questo tribunale avrà
76
Cfr. E. LODOLINI, L’ordinamento giudiziario… cit., p. 65.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 199
anche funzioni di appello nelle cause giudicate dai governatori locali (art. 78).
Ulteriore appello potrà essere presentato al tribunale di appello di Bologna per
le legazioni, a quello di Macerata per le Marche, alla Sacra consulta per il
resto dello Stato (art. 82). Giudici ed ufficiali di giustizia non debbono avere
altri proventi oltre allo stipendio ad essi erogato dallo Stato (art. 85), secondo
criteri di fondo che abbiamo già visto e commentato in altre occasioni. Contro
le condanne comminate dai governatori della Comarca si presenta appello al
Tribunale del governo di Roma (art. 86). Gli assessori camerali nelle province
ed i tribunali criminali del camerlengo e del tesoriere generale in Roma sono
competenti nei processi di contrabbando e di frode contro l’erario (art. 89).
Restano le istituzioni di antico regime, di natura e impianto teocratico:
non vi sono infatti innovazioni d’alcun tipo riguardo al foro ecclesiastico, e
sono confermate anche le giurisdizioni dell’Inquisizione, della Congregazione
dei vescovi e regolari, del prefetto dei palazzi apostolici e della Congregazione militare (art. 92), mentre vengono abolite tutte le altre giurisdizioni criminali privilegiate (art. 91); situazione intermedia, in cui la « razionalità » illuministica si affianca al persistere di istituti da Controriforma. Ma l’evoluzione
c’è, ed è inarrestabile.
Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, come è noto, viene stampato
per la prima volta nel 1774: le parole conclusive del pamphlet fanno ben
presto il giro d’Europa:
Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili
nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi 77.
Queste parole, unitamente ai concetti che esprimono: abolizione della pena di morte, fine della tortura e di ogni violenza sul corpo del condannato,
unite ad una giustizia pronta, pubblica ed uguale per tutti, non tardano ad
essere recepite. Lo Stato della Chiesa, in cui la giustizia era stata, almeno nei
termini, sempre unita alla « misericordia », include, nel succitato editto Consalvi, proprio un articolo in merito: « L’uso dei tormenti e la pena della corda,
ambedue già interdetti, rimangono perpetuamente aboliti, ed a quest’ultima è
surrogata la pena di un anno di opera » (art. 96); in attesa della pubblicazione
del nuovo codice criminale:
in cui dovrà sparire affatto ogni pena rimessa all’arbitrio del giudice e solo potrà
in alcuni delitti fissarsi un minimo ed un massimo di pena ad oggetto che dentro
questi limiti il giudice possa proporzionarla alle circostanze che aggravano o diminuiscono la imputabilità dell’azione delittuosa, le quali circostanze stesse per quanto è
possibile saranno definite dalla legge,
77
C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, edito a cura di A. BURGIO, con prefazione di S.
RODOTÀ, Milano, Feltrinelli, 1991, p. 115.
Maria Grazia Pancaldi
200
è limitata la potestà dei giudici nelle pene comminate ad arbitrio (art.
97): in tal caso la pena non potrà mai eccedere un anno di lavori forzati,
mentre è facoltà dei giudici diminuirla.
Fino alla pubblicazione del nuovo codice criminale e di quello di procedura criminale, si osserveranno le leggi e le regole vigenti, ma i processi si
svolgeranno in lingua italiana, così come in lingua italiana saranno emesse le
sentenze che dovranno essere anche motivate (artt. 95 e 98: « proporzionata a’
delitti, dettata dalle leggi »). Ed è in questo contesto che si situa la « nascita
della prigione »: la sua centralità nel sistema giudiziario-punitivo è già innegabile, e lo dimostra la minuziosa normativa che la riguarda.
5. La regolamentazione del sistema penitenziario. — Manca un ultimo
tassello senza il quale non si riuscirebbe a spiegare la nuova temperie culturale, ma anche amministrativo-giuridica venutasi a determinare al momento
della restaurazione. Riguarda il periodo dell’annessione delle Marche al
Regno d’Italia (1808-1815) 78, quando l’organizzazione del sistema carcerario
assume un carattere di nuova sistematicità. Senza entrare troppo approfonditamente nel merito, dato che l’argomento richiederebbe un discorso a parte,
anche per comprendere le successive disposizioni che, con lievi modifiche,
saranno riprese, giova ricordare, anche a scopo esemplificativo, il Regolamento per le carceri giudiziarie emanato dal ministro della giustizia con circolare
n. 12061 del 21 maggio 1811 79. Si divide in quattro titoli relativi alla « custodia dei detenuti », « polizia interna delle carceri », « disciplina e responsabilità
dei custodi », « disposizioni generali », per un totale di quarantotto articoli.
Ribadito il principio che le carceri sono un luogo di custodia e non di pena
(art. 1), si afferma come conseguenza che i relativi responsabili debbono
evitare ogni atteggiamento che aggravi indebitamente la sorte dei detenuti.
Analogamente, i prigionieri debbono essere tenuti in carceri separate a seconda del tipo di reato e a seconda che si tratti di uomini, donne, minori di sedici
anni, militari, ecc. (artt. 2-3). Sono i presidenti ed i giudici di pace, sentito il
parere del medico e del chirurgo a stabilire il numero dei detenuti che ogni
prigione può contenere (art. 6). L’ispezione e la vigilanza interna sui detenuti
e sulle carceri sono affidate in via esclusiva ai custodi (art. 7), ed è quindi
dovere di questi svolgere ispezioni almeno tre volte nelle ventiquattro ore (art.
8). In occasione di tali controlli, particolare attenzione deve essere rivolta a
tutto ciò che riguarda la sicurezza dei locali (art. 9), pertanto le manutenzioni
straordinarie relative allo stato delle porte, dei muri e delle inferriate debbono
essere svolte senza alcuna dilazione di tempo (art. 13). Prescrizioni severe
riguardano i rapporti fra detenuti e custodi: i primi non possono parlare delle
78
Cfr. a tale riguardo P. CARTECHINI, Organi ed uffici dell’amministrazione napoleonica a
Macerata dal 1808 al 1815, in « Studi maceratesi », VIII (1972), pp. 324-499.
79
Il regolamento è conservato presso la biblioteca dell’Archivio di Stato di Macerata come
opuscolo a stampa, privo di luogo e data di edizione.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 201
cause che li riguardano, i secondi non debbono aiutarli ad avere corrispondenza con estranei o fra loro (art. 21). È infatti vietato lasciare presso i detenuti
carta, penne, matite o altri oggetti con cui si possa scrivere (art. 22), a meno
che non ve ne sia grave necessità. In questo caso, prima di essere recapitata,
previa autorizzazione, la posta dovrà essere presentata, per un controllo,
all’autorità giudiziaria (art. 23). Proibiti anche tutti i tipi di gioco (art. 24),
mentre le minacce, le violenze e l’insubordinazione, nel caso in cui non si
debba dar luogo ad azione penale, vengono soffocate con la riduzione del
trattamento a semplice pane ed acqua o con il mettere i detenuti ai ferri (art.
27). La qualità e la durata di queste « misure disciplinari », come vengono
definite, verranno determinate dal presidente e dal giudice istruttore (art. 28).
I custodi possono procurare a quei detenuti che ne abbiano le possibilità
economiche cibi ed indumenti, osservando però le dovute cautele ed evitando
il superfluo (art. 31). Vietata invece l’introduzione o l’uso di liquori forti
(art. 33). Fondamentale viene considerata la pulizia dei locali che deve essere
svolta dai custodi medesimi due volte alla settimana (art. 35). Analogamente,
in caso di malattia dei detenuti, i custodi debbono avvertire, al minimo sintomo,
il medico oppure il chirurgo (art. 37). Il trattamento dei malati e le eventuali modifiche nella loro detenzione, rientra fra i compiti del medico (art. 38).
Come si è detto, ad un titolo apposito, il terzo, è demandata la disciplina
dei custodi. Così all’art. 42 viene affermato il principio che ogni contravvenzione ai regolamenti verrà punita con sospensione, degradazione o destituzione, a meno che non vi sia luogo a pene ordinarie. Si stabilisce infine che il
regolamento sarà diffuso e appeso nelle carceri per opportuna conoscenza.
La materia trattata nel regolamento trova parziale riscontro nei documenti
relativi alle carceri presenti nell’archivio della Prefettura del Dipartimento del
Musone conservato nell’Archivio di Stato di Macerata 80. Si tratta di venti
buste (dalla n. 71 alla 91) relative alla 3° rubrica del XII titolo. Vi si trovano
infatti relazioni sullo stato delle carceri, sulle condizioni di salute dei condannati, corrispondenza in merito alle manutenzioni, ai restauri, alla somministrazione di viveri. Risulta applicata la distinzione fra colpevoli di reati comuni e
quelli di reati politici. Particolarmente significativo, fra gli altri, il carteggio
svolto fra il settembre ed il novembre 1808, fra il ministro della giustizia ed il
prefetto di Macerata, circa la necessità di avere a disposizione una ghigliottina
per le sentenze capitali e di procedere alla nomina di un boia per le esecuzioni 81. Al 1811, invece, quindi successivamente alla pubblicazione del regolamento, si riferisce la corrispondenza, intercorsa fra i medesimi uffici, sulla
opportunità di costruire nella piazza del mercato di Macerata, un palco stabile
per le condanne a morte 82.
80
Archivio di Stato Macerata, a cura di P. CARTECHINI… citato.
81
AS MC, Archivio Prefettura Dipartimento del Musone (d’ora in poi Dip. Musone),
82
Ibid., b. 78.
b. 71.
Maria Grazia Pancaldi
202
Abbiamo già spiegato nell’introduzione come il carcere sia ovunque, dopo la fine dell’Impero napoleonico, al centro del sistema penale. Pena generalizzata, tutelatrice, relazionata al corpo sociale e ai suoi meccanismi di autoreggenza, fondata sull’esclusione; unica, inevitabile risultante di un percorso
che dalle riflessioni dei philosophes, su tutti, Beccaria, conduce proprio a
questa pena comune a tutti i reati, con l’esclusiva variabile della durata della
detenzione, costantemente divisa fra i due opposti poli della necessità della
durezza, « giustizia », che ripristina, a livello emozionale, la figura foucaultiana del « corpo del condannato », e della finalità riabilitativa, « misericordia »,
che vede nel carcere non un fine, ma un mezzo e pone intermittentemente
l’istanza di un miglior trattamento per i detenuti.
Così Giuseppe Antonio Sala 83, nel suo Piano di riforma, pubblicato a
Roma nei suoi primi diciassette articoli nel 1814 ed integralmente nel 1907 84,
poteva a tal proposito proporre, oltre alla necessità di mantenere l’abolizione
della tortura, anche l’opportunità di migliorare il trattamento dei carcerati e
dei condannati alle « galere », tenendoli anche occupati in lavori che permettessero loro, una volta scontata la pena, di avere disponibilità di denaro e
comunque la possibilità di svolgere qualche lavoro:
È giusto che i rei vengano puniti a misura dei loro delitti e che sentano il peso
del meritato castigo, ma conviene procurare che questo serva ad emendarli anziché a
renderli peggiori 85.
Parte delle proposte di Sala vengono riprese dal motu proprio del 6 luglio 1816, che, all’art. 96, mantiene l’abolizione della tortura e, all’art. 97,
limita la potestà dei giudici riguardo alle pene comminate ad arbitrio.
La costituzione Post diuturnas del 30 ottobre 1800 86 aveva affermato:
si faccia in ciascun luogo dello Stato una visita formale delle Carceri e de’ Carcerati una volta al mese. Intervengano ad essa il Vescovo, se è in residenza, o il suo
vicario generale o il vicario foraneo, il governatore, il Capo del Magistrato, il medico
83
Giuseppe Antonio Sala, nato a Roma il 27 ottobre 1762 e morto il 13 giugno 1839. Visse a lungo nella Curia dove fu introdotto dal fratello maggiore, l’abate Domenico, noto come il
« papa nero ». Perseguitato da Pio VII, si ritirò a Cascia dove elaborò uno scritto apologetico dei
cardinali che si erano rifiutati di assistere all’incoronazione di Napoleone: è questo il primo
abbozzo del suo Piano di riforma che allargò e pubblicò solo in parte, essendone stato impedito
da Consalvi. Questi gli fu ostile anche per la sua nomina a cardinale, che poi avvenne il 30
settembre 1831 sotto Gregorio XVI (le notizie sono tratte dall’Enciclopedia italiana, XXX, p.
485).
84
G. A. SALA, Piano di Riforma a Pio VII, Tolentino 1907; cfr. inoltre D. CECCHI,
L’amministrazione pontificia… cit., pp. 114-120; ID., Aspetti e problemi dello Stato pontificio
nella seconda Restaurazione, in « Studi maceratesi », 16 (1980), pp. 9-32.
85
86
Cfr. D. CECCHI, L’amministrazione pontificia… cit., p. 123.
Constitutio sanctissimi domini nostri Pii Papae VII super restauratione regiminis pontificii, Romae, apud Lazarinum Typographum Reverendae Camerae Apostolicae, 1800.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 203
ed il cancelliere. Innanzi a questo Consesso si chiami singolarmente ciascuno de’
Carcerati, ma fuori della presenza del Carceriere e del Bargello. S’interroghi sul
trattamento che riceve, e se da alcuno soffra aggravio. Passeranno poi i suddetti
intervenienti a visitare il locale delle carceri e vedranno se vi è cosa speciale da
rimarcare, mentre il Cancelliere sarà obbligato a scrivere tutto esattamente. In ciò, che
esigerà una istantanea provvidenza, i suddetti Visitatori, cioè il vescovo, il governatore
ed il capo del magistrato ne esamineranno gli ordini opportuni purché però non
riguardi il merito della Causa ed il buon ordine della Processura, né sia di pregiudizio
alla dovuta custodia de’ carcerati. Nell’ordinario poi immediatamente seguente, il
Governatore sarà obbligato di rimettere alla Sagra Consulta una relazione di questa
Visita sottoscritta da lui e dal Cancelliere. In questa relazione si noterà ciaschedun
Carcerato coll’indicazione del tempo della carcerazione, se sia ritenuto in Segreta o
alla Larga ed in quale stato si trovi la sua Inquisizione e Processura con tutto quel che
di più che si sarà rilevato nella Visita enunciata e che, come si è detto, dovrà il
Cancelliere scrivere esattamente. A questa relazione si unirà anche una Nota delle
Processure contumaciali, che sono pendenti coll’indicazione del loro stato attuale. Il
Prelato Ponente di Consulta leggerà in pieno tribunale questa relazione e nota presso
la quale il Tribunale medesimo darà quelle determinazioni che saranno occorrenti
specialmente pel disbrigo delle Cause. Si uniformino finalmente e con esattezza anche
i Baroni allo stesso sistema pei loro feudi 87.
Questo passo è di fondamentale importanza. Si istituisce una commissione: la sua funzione è una visita mensile alle carceri. Fin dalla composizione,
essa rivela la sua natura: il vescovo e il governatore, simboli di potere spirituale e temporale, di secolarità ed eternità, di giustizia e misericordia; il capo
del magistrato, il medico, il cancelliere, emblemi di altre esigenze che si
mescolano a quelle della giustizia.
Manca un simbolo del potere giudiziario: l’istituto che infligge la condanna si distacca, si distingue da quello che la attua; il potere, nella prigione,
presenta il suo volto misericordioso, paternalistico, che accoglie le suppliche
dei carcerati e ascolta le loro esigenze. A questo serve il medico; a questo il
cancelliere, che eterna la memoria del momento con la precisione stenografica
che è il marchio della sua professione. Non a caso, « il merito della Causa e il
buon ordine della Processura » sono tenuti fuori: l’ordine è « buono », la
custodia « dovuta », la situazione inalterabile. Mitigabile, ma inalterabile: i
carcerati sono ascoltati « fuori della presenza del Carceriere e del Bargello »,
perché imparino a separare bene le due facce dello stesso potere, il disagio
quotidiano e la misericordia mensile; l’ambito è però quello esclusivo della
contingenza.
Il sistema delle visite mensili, a tutta evidenza, viene ripristinato anche
nella seconda restaurazione. Vi fa riferimento la circolare del segretario di
Stato Ercole Consalvi del 6 settembre 1816 88, la quale dispone anche per le
87
Sulla costituzione Post diuturnas cfr. D. CECCHI, L’organizzazione amministrativa… cit.,
pp. 165-169.
88
AS MC, Archivio Delegazione apostolica (d’ora in poi Del. Ap.), b. 1298, fasc. 3/B.
Maria Grazia Pancaldi
204
province di seconda recupera visite mensili alle carceri in occasione delle
quali verranno fatte domande ai carcerati sul trattamento ricevuto. Su tali
visite dovrà essere stesa una relazione da inviarsi alla Segreteria di Stato; il
tutto per evitare disordini, già peraltro verificatisi durante il « cessato governo », a causa delle ristrettezze alimentari (il bisogno di riconfermare è forse la
prova di un’attuazione mal compiuta; la disposizione teorica non coincide con
la realtà dei fatti, e di questo sono testimonianza le relazioni delle visite
mensili).
Di nuovo in vigore anche lo Stabilimento da osservarsi sino a nuovo ordine circa gli alimenti de’ Carcerati emanato una prima volta dalla Segreteria
di Stato nel 1805 89 e ristampato a Macerata nel 1815 90. Lo Stabilimento è
diviso un dodici articoli. Vi vengono stabilite le somme da stanziare per il
vitto giornaliero dei detenuti; la struttura, il criterio, sono gerarchici, fondati
sull’incidenza delle pene e la situazione contingente di ciascuno: 10 baiocchi
per i detenuti di « segreta » (carcere singola), 7, per quelli di « larga » (cella
condivisa da più persone), 12 per gli ammalati e per i convalescenti, 15 per
quelli in viaggio a seguito di trasferimento da un carcere all’altro (art. 1). I
custodi delle carceri, pena l’accusa di furto, saranno responsabili dell’esatta
somministrazione del vitto, sulla base delle tariffe stabilite all’articolo precedente (art. 2). Di nuovo torna l’istituzione delle visite mensili: sono obbligati
a svolgerle i governatori e i giusdicenti che poi dovranno relazionare alla
Sacra consulta nelle forme e con le « specificazioni » individuate nella costituzione stessa, anche se nelle carceri venga trovato un solo detenuto (art. 4).
Potranno essere disposte anche ispezioni a sorpresa durante il mese, per
verificare se il vitto sia somministrato nell’esatta quantità. I carcerieri rappresentano ancora, nel contesto « umanitario » delle disposizioni, la categoria più
sottoposta a controlli, almeno nelle intenzioni teoriche: ispezioni senza preavviso, pene specifiche e ben stabilite per eventuali inadempienze. Tali pene
sono però scarsamente applicate; i carcerati restano comunque la categoria più
vessata: schedati, tenuti sotto stretta sorveglianza, incasellati e distinti, in
un’ottica di controllo globale. Nelle note alla relazione dovrà specificarsi il
numero dei detenuti, i giorni di detenzione, sulla base della distinzione fra
carcerati di « larga » e di « segreta ». Per gli ammalati ed i convalescenti le
note dovranno essere firmate anche dal medico o dal chirurgo. Si dovrà
controllare inoltre che nel conto non siano compresi gli alimenti di coloro che
ne abbiano a disposizione di propri. Eventuali elemosine saranno devolute a
beneficio dei carcerati oltre ai prescritti, ordinari alimenti, ma nel caso vi
siano erogazioni fisse per il vitto ed il vestiario, queste verranno detratte da
quelle da versarsi da parte della Camera apostolica. I governatori potranno
rivolgersi alla Sacra consulta per chiarimenti. Lo Stabilimento, valido anche
per i luoghi baronali, dovrà rimanere affisso nelle cancellerie, affinché venga
89
AS RM, Archivio Buon Governo, Collezione Bandi, I, b. 147.
90
AS MC, Del. Ap., b. 1298, fasc. 3/B.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 205
a conoscenza di tutti coloro che lo debbono eseguire; infatti in caso di trasgressione si incorrerà in gravi pene comminate ad arbitrio da parte della
Sacra consulta.
Consalvi inoltre, nel 1816, incarica il tesoriere generale di preparare un
piano che « ponga fine agli abusi ed inconvenienti per la difformità dei
metodi e regolamenti in uso nello Stato » ed il tesoriere predispone un progetto che dapprima prevede la riunione di tutte le materie riguardanti le forniture
alle carceri in tre articoli o contratti diversi, e poi in un solo contratto. La
tensione verso l’unificazione normativa segnala l’importanza del settore:
risultato del piano sono i Capitoli per l’appalto della fornitura generale delle
carceri e case di detenzione in tutto lo Stato e regolamenti per la esecuzione
dei medesimi, pubblicati nel 1817 91. Nell’archivio della Delegazione apostolica di Macerata è conservato il contratto di appalto della fornitura delle carceri, datato 29 marzo 1816, valido per la delegazione medesima e stipulato con
Ignazio Benedetti di Ancona 92.
In base ad esso, il fornitore è obbligato a somministrare ad ogni carcerato infermo o convalescente quella quantità e qualità di vitto prescritto dai
« professori fisici curanti », fermo restando che le spese non superino 11
baiocchi. La normativa è minuziosa, e ricorda da vicino la regolamentazione
del vitto in ospedali, caserme, collegi e conventi. Il criterio è una perfetta
mescolanza di ottimizzazione economica delle risorse e di soddisfazione dei
bisogni « umani », in un quadro di « misericordia » che qualifica, pesa e
stabilisce necessità e diritti secondo criteri generali e « razionali ». Sono definiti i bisogni del condannato, e il condannato è definito attraverso di essi: ai
carcerati delle « segrete » debbono essere quotidianamente fornite 24 once di
pane di tutta farina, 6 once di minestra di riso, di farro e di pasta alternata a
brodo di carne, esclusa quella di pecora e di capra, in rapporto di 3 baiocchi
per ciascun carcerato e mezza « foglietta » di vino. Sono previsti anche
formaggio e salumi sempre di buona qualità. Analoga fornitura dovrà essere
somministrata durante i viaggi dei condannati. Ogni detenuto sano dovrà
disporre di un paglione, di una coperta o due, nel caso in cui lo richieda il
medico. La paglia dovrà essere cambiata totalmente ogni sei mesi ed in via
straordinaria ogni qualvolta lo dispongano le autorità competenti.
Ogni detenuto ammalato dovrà disporre di un letto, con un suo « capezzale », lenzuola, coperte, il tutto di buona qualità e di giusta lunghezza e
larghezza. Le lenzuola saranno di tela di canapa e verranno cambiate ogni
quindici giorni e comunque tutte le volte che il medico lo riterrà opportuno. Il
detenuto « miserabile ed infermo », vale a dire che non abbia vestiti propri, li
riceverà dal fornitore che gli darà una « giacchetta con cappuccio », pantaloni
di lana per l’inverno, di tela per l’estate, e scarpe, il tutto secondo quanto
stabilito dal medico, ed anche la camicia, nel caso non l’abbia. Il detenuto
91
Cfr. D. CECCHI, L’amministrazione pontificia… cit., pp. 280-281.
92
AS MC, Del. Ap., b. 1312, fasc. 1/G.
Maria Grazia Pancaldi
206
sano non riceverà capi di vestiario a meno che non lo ordini il medico. Le
camicie dei detenuti sani dovranno essere lavate a cura del fornitore ogni
quindici giorni nei mesi di novembre, dicembre, gennaio e febbraio; ogni
dieci giorni negli altri mesi. Quelle degli ammalati dovranno essere lavate
secondo le disposizioni e le necessità. Il fornitore dovrà inoltre dare ad ogni
detenuto un piatto fondo e bianco, un cucchiaio di legno, vasi per l’acqua e
per i bisogni fisiologici. Dovrà inoltre provvedere e tutto ciò che dovesse
servire al medico ed al chirurgo, cioè lumi, olio, candele di cera, fuoco,
medicinali, vasi, fasce o filati.
Criterio di ottimizzazione economica, si diceva: esso è spinto alle estreme conseguenze, soprattutto per eliminare il rischio di frodi. Il custode delle
carceri ed il vice custode, dovranno vigilare a che i carcerati non rimandino
indietro i capi di vestiario forniti loro dalle famiglie per farsene dare dal
fornitore, o li vendano. Alla prima infrazione, dovranno rifondere i danni; alle
successive, saranno sospesi ed infine destituiti.
L’appalto inizierà il 1° aprile 1816 e terminerà il 31 dicembre 1818.
Come compenso per tutte le prestazioni previste, il fornitore riceverà 11
baiocchi e mezzo per ogni detenuto, pagabili di mese in mese, previa presentazione della nota dimostrativa del numero dei carcerati, controfirmata dal
giudice e dal cancelliere, dal medico e dal chirurgo, per quel che riguarda gli
ammalati. Il controllo totale della burocrazia sancisce nettamente la distinzione tra diritti e doveri e il ruolo delle parti nel meccanismo. In caso di inadempienza, il contratto verrà rescisso ipso facto e l’appaltatore sarà obbligato
a rifondere i danni.
Per quanto riguarda la distribuzione delle carceri nelle delegazioni, si può
fare riferimento alla circolare n. 6438 del 30 settembre 1818 di Ercole Consalvi 93. Vi si stabilisce che queste si debbano trovare in ogni capoluogo di
provincia ed in ogni comune sede di governo di primo e di secondo ordine
(art. 1). Nei capoluoghi, oltre alle carceri criminali, debbono essere istituite
anche quelle di polizia che potranno avere sede negli stessi locali delle prime,
ma distinte, in modo da evitare commistioni (art. 2): la separazione dell’organo repressivo da quello destinato all’attuazione della repressione non
potrebbe essere più lampante. In questa divisione si intravede anche il principio, portato a perfezione dalla giustizia borghese-liberale, della non commistione fra sospetto e passato in giudicato. Il tesoriere generale, di concerto
con il direttore generale di polizia, stabilirà la capienza di ciascuna prigione
sulla base del numero degli abitanti e della loro indole più o meno turbolenta
(art. 3). Non appena terminati i processi, i detenuti dovranno essere immediatamente trasferiti nelle carceri di pertinenza (art. 4).
Ogni prigione dovrà avere una « segreta », una « larga », una cappella per
la celebrazione delle messe ed un’infermeria; quest’ultima potrà, in caso di
epidemia, essere suddivisa in aree separate allo scopo di prevenire i contagi
93
Ibid., fasc. 6/A.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 207
(art. 5). Poiché quasi in ogni comune sede di governo esiste già un carcere, i
delegati dovranno fornire al tesoriere generale circostanziate notizie circa la
loro capienza, il numero dei detenuti, servendosi della collaborazione degli
ingegneri provinciali (art. 6). Tutti i locali sede di prigione, all’occorrenza,
dovranno essere restaurati. Nel caso in cui proprietario fosse il Comune,
questo non potrà pretendere l’affitto, ma dovrà accontentarsi di essere esonerato dalle spese di manutenzione (art. 7). I lavori di ristrutturazione, una volta
appaltati, saranno svolti sotto la vigilanza dei delegati (art. 8). Le manutenzioni potranno essere anch’esse appaltate (art. 9). Il direttore generale di
polizia fisserà il numero dei custodi in proporzione a quello dei detenuti,
stabilito per ogni carcere, con i parametri fissati dall’art. 3 (art. 10).
In ogni comune dove è dislocata una truppa fissa, si deve costruire un
carcere per l’alloggio notturno dei prigionieri trasferiti da un luogo all’altro
dello Stato (art. 11). Dopo la pubblicazione del codice di procedura criminale
si deciderà se nei luoghi di residenza dei vice governatori dovranno essere
istituite prigioni correzionali (art. 12).
Nell’archivio della Delegazione apostolica di Macerata, che costituisce la
fonte primaria del nostro studio 94, il tema delle carceri è contenuto nelle
rubriche (sottovoci) 4, 6, 7, 8, 9 del titolo XI « Giustizia e tribunali » del
titolario in vigore dal 1815 al 1856 e nelle rubriche 7 e 9 del titolo IX del
titolario adottato negli anni 1857-1860.
Il titolo XI relativo alla documentazione 1815-1856 si compone di dieci
rubriche: 1) provvidenze generali e locali; 2) tasse giudiziarie; 3) giudici
ordinari e cancellieri; 4) carceri e carcerati-inventari; 5) archivi; 6) delitti ed
esecuzioni di pena; 7) sussistenze carcerarie e traduzioni; 8) carceri e restauri;
9) traduzione dei condannati; 10) spese giudiziarie.
Tutta la documentazione di riferimento è contenuta in 68 buste (bb.
1255-1324) dell’attuale inventario: da qui in poi, il nostro lavoro sarà un’elencazione di esempi desunti da questa fonte, che vanno a supportare e integrare
le riflessioni condotte fino a questo punto.
Abbiamo nello specifico esaminato, schedandole analiticamente, le buste
1298, 1305, 1306, 1307, 1312, 1313 e 1320. Ogni busta è risultata divisa in
fascicoli la maggior parte dei quali rivestito di coperta con riportate sul
frontespizio l’indicazione del titolo, della rubrica e, virgolettata, la titolazione.
I documenti all’interno presentano anch’essi, nella maggior parte dei casi,
l’indicazione del titolo e della rubrica di appartenenza. Ad ogni fascicolo è
stato attribuito un numero arabo di corda progressivo. Nel caso di ulteriore
suddivisione in sotto fascicoli, sono state utilizzate le lettere dell’alfabeto.
La quarta rubrica testimonia come fin dal 1815 riprenda il sistema delle
visite mensili. Infatti è del 1° agosto di quell’anno una nota del commissario
94
L’archivio della Delegazione apostolica di Macerata ha una consistenza di 1574 buste,
272 registri di protocollo, rubriche, per un totale di 1846 unità archivistiche.
Maria Grazia Pancaldi
208
di polizia di Macerata al delegato apostolico Francesco Tiberi 95. Dagli allegati risulta che nelle carceri della città sono ospitati 181 detenuti di cui 76 si
trovano nelle carceri criminali, 86 in quelle correzionali. Otto sono prigionieri
politici e tre sono di competenza del giusdicente locale. Viene inoltre evidenziato che tre sono stati arrestati nel precedente governo per detenzione di armi
proibite. Tutti hanno inoltrato una supplica per essere liberati, e tra essi c’è
chi ha finito di scontare la pena già da un anno. Segnalati due custodi dei
quali uno non rispetta i superiori e più volte è stato sospettato di connivenza
con i carcerati, l’altro viene definito « coraggioso », ma « trascurato » nell’osservanza dei suoi doveri: come si nota, sia detenuti che secondini sono sottoposti al medesimo controllo. Nella pratica compare anche un « elenco degli
oggetti da somministrarsi ai detenuti » tra cui vengono indicate scarpe e
pantaloni nonché un verbale di visita all’infermeria compiuta dal medico
chirurgo, da un membro della Commissione governativa e dal commissario di
polizia, avvenuta anch’essa il 1° agosto. L’infermeria, distinta per gli uomini
e per le donne, risulta ulteriormente divisa in due reparti: uno di medicina ed
uno di chirurgia. Nel primo, maschile, sono ricoverati sei ammalati, nel
secondo, nessuno. Nel reparto di medicina dell’infermeria femminile sono
ricoverate tre detenute, in quello di chirurgia, altre tre.
Una successiva visita viene svolta il 31 gennaio 1816 96. Manca nel fascicolo il verbale, ma nella nota di trasmissione del 23 febbraio successivo, è
specificato che alcuni carcerati hanno chiesto capi di vestiario. Al 3 febbraio
risale l’ispezione alle carceri di Camerino 97. Vi si trovano 11 detenuti colpevoli di furto, percosse e vagabondaggio. Tre sono in attesa di giudizio e
chiedono una rapida conclusione del processo. Tutti comunque dichiarano di
essere soddisfatti del trattamento ricevuto. A marzo, a seguito di una nuova
ispezione risultano ospitati cinque detenuti 98. Anche questi, alla domanda sul
trattamento ricevuto, rispondono positivamente. Il quarto addirittura aggiunge:
« con carità ». I reati sono quelli che generalmente sono più diffusi e tipici
della società del tempo: furto, furto semplice, vagabondaggio, truffa, ma
anche omicidio premeditato. A San Severino invece, la visita avvenuta il 6
aprile 1816, evidenzia che le carceri, peraltro tenute in ottimo stato, sono
vuote 99. Le carceri di Loreto invece vengono visitate in occasione del Natale 100; dal verbale risulta che sono necessarie quindici coperte ed imbottiture ai
paglioni con paglia nuova, dato che quella trovata è consunta.
Alla quarta rubrica appartiene anche la minuta della circolare di Francesco Tiberi, come si è detto, delegato apostolico che il 19 dicembre 1815
95
AS MC, Del. Ap., b. 1298, fasc. 3/O.
96
Ibid., b. 1298, fasc. 2/G.
97
Ibid., b. 1298, fasc. 2/H.
98
Ibid., b. 1298, fasc. 2/D.
99
Ibid., b. 1298, fasc. 2/C.
100
Ibid., b. 1298, fasc. 1/I.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 209
ripristina, in occasione del Natale, « l’antico lodevole costume » di scarcerare
i detenuti per reati civili ed evitare, per i medesimi reati, nuove carcerazioni 101. Sotto la medesima rubrica compaiono anche numerose suppliche di
scarcerazione e di grazia, inviate al delegato perché le trasmetta alla Segreteria di Stato. Così troviamo quella di Maddalena di Antonio Viscone di Cingoli il cui marito è stato condannato a sette anni di lavori forzati per furto di
panni 102, oppure quella di Giovanni Battista Prenda di Montecosaro, il cui
figlio è stato condannato ad un anno di lavori forzati per detenzione di arma
da fuoco 103. Vi figurano però anche procedimenti di scarcerazione, come
quello di Giovanni Fabij di Osimo, sospettato di detenzione e smercio di
polveri di zolfo 104, oppure il carteggio fra la Segreteria di Stato ed il presidente del Tribunale criminale di Macerata riguardo alla possibilità di graziare
un tale Pietro Antonio Fanelli di Macerata, da tredici anni detenuto nelle
carceri di Civitavecchia per omicidio premeditato, del quale però non si trova
il fascicolo processuale 105.
Ottenere la grazia non è comunque molto semplice, come mostra una nota della Segreteria di Stato del 13 gennaio 1816, con la quale viene rigettata
l’istanza, presentata da Luigi Levi di Tolentino, condannato ai lavori forzati,
innanzitutto perché la leggerezza con cui si tengono le armi, impone « rigore »
e soprattutto perché, il colpevole, durante una rissa, ha fatto il gesto di prendere l’arma ed infine perché in passato è stato più volte condannato per
furto 106.
Nella quarta rubrica viene trattato anche il tema del vestiario: al febbraio
1815 appartiene la corrispondenza fra la Segreteria di Stato, il delegato
apostolico ed il presidente del tribunale di Macerata. Secondo la Segreteria di
Stato, il vestiario non deve essere fornito a coloro che possano averne dalla
famiglia e comunque non può essere utilizzato per altri scopi o venduto 107.
Interessante è poi la corrispondenza relativa al periodo 108 31 marzo - 24
aprile 1816 fra il Comune di Cingoli ed il delegato in merito alle carceri di
Apiro che sono state utilizzate come deposito di grano e granturco da distribuire ai poveri. Di conseguenza le persone arrestate sono state affidate alla
custodia del caporale della guardia urbana. Il 2 maggio il comune di Apiro
replicherà, motivando la propria scelta con il fatto che le granaglie, a causa
della grave carestia, sarebbero state « custodite » meglio nelle carceri 109.
101
Ibid., b. 1298, fasc. 3/A.
102
Ibid., b. 1298, fasc. 3/S.
103
Ibid., b. 1298, fasc. 3/T.
104
Ibid., b. 1298, fasc. 3/Z5.
105
Ibid., b. 1298, fasc. 4/L.
106
Ibid., b. 1298, fasc. 4/Z5.
107
Ibid., b. 1298, fasc. 2/A.
108
Ibid., b. 1298, fasc. 2/B.
109
Ibid., b. 1298, fasc. 4/C.
Maria Grazia Pancaldi
210
Sotto la rubrica quattro è compreso infine un registro a stampa 110 relativo allo Stato generale di tutte le cause criminali presso il tribunale di appello
di Macerata, svolte dal settembre 1817 al settembre 1818. Le condanne
comminate sono soprattutto la prigione, ma anche i lavori forzati, le « opere
pubbliche », i colpi di bastone, la berlina ed in alcuni casi (ad esempio
l’omicidio) la morte.
« Delitti ed esecuzioni di pena » si intitola la sesta rubrica, lacunosa per
quanto riguarda gli anni 1819-1821. La documentazione è costituita soprattutto da notifiche di arresti, traduzioni nelle carceri, contabilità. Così per il 1815,
troviamo la pratica relativa alla ricerca di un tale Giuseppe Andreoli di
Brescia che nella notte del 10 agosto dello stesso anno ha compiuto un non
meglio precisato « grave reato » nei confronti di un capitano del terzo reggimento di cavalleria. Allegata alla notifica, la descrizione fisica del ricercato 111. Interessante una disposizione di Consalvi del 1° giugno 1822 112 a cui
fanno riscontro le accuse di ricevuta delle varie comunità. A seguito di un
omicidio, viene proibita l’usanza, diffusa nella Delegazione di Macerata, per
la quale i contadini che avevano terminato la « tritatura » del grano, portavano
per scherno una scopa nell’aia dei vicini che invece non avevano ancora finito
i lavori, tacciandoli così implicitamente di lentezza ed infingardaggine. Su
disposizione della Segreteria di Stato, il 7 giugno, il delegato Cappelletti
stabilisce che i coloni che continueranno con quest’abitudine, saranno condannati ai lavori forzati.
Nella settima rubrica viene trattato il tema delle « sussistenze carcerarie ». Vi si trovano le note con cui nel 1815 le comunità della Delegazione
trasmettono gli elenchi delle spese sostenute per i viveri degli ammalati, sulla
base del citato regolamento carcerario del 1805. Significativo il fatto che a
Macerata i viveri siano stati dati anche ai mentecatti ed alle prostitute che
sono compresi nel medesimo elenco dei detenuti, al pari di questi ultimi, si
potrebbe dire, esclusi dal corpo sociale, e pertanto sottoposti ugualmente alla
« misericordia ». Numerose anche le tabelle dei beni presi in carico, tra cui
compaiono scarpe, camicie, calzoni, cappotti, cavalletti, tavole e paglioni per
dormire, materassi, « capezzali », lenzuola, coperte 113. Per l’anno 1816, oltre
alle spese sostenute per il mantenimento dei carcerati, sono documentati gli
stati nominativi dei detenuti con le motivazioni dell’arresto e la destinazione.
Così, dalla tabella inviata dal Comune di Cingoli, relativa al bimestre marzoaprile, risultano in carcere, a marzo, 12 persone, ad aprile, 25. Rimaste in
prigione per un periodo che va dai quattro ai trenta giorni, sono state poi
trasferite alle carceri di San Severino o liberate. Non è indicato il motivo
110
Ibid., b. 1298, fasc. 6/A.
111
Ibid., b. 1305, fasc. 5.
112
Ibid., b. 1305, fasc. 1.
113
Ibid., b. 1306, fasc. 1.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 211
dell’arresto, come avviene per altri comuni, ad esempio Matelica, dove il
reato più comune è il furto.
Abbastanza esemplificativa è la situazione di Filottrano. Qui, relativamente al bimestre novembre-dicembre, sono indicate le spese per paglia,
paglioni, vestiario, vitto, medicinali, tavolati, coperte, pulizia dei locali, riparazioni, trasferimenti ad altre carceri. I detenuti sono distinti a seconda che
abbiano compiuto reati criminali o politici. Così quelli ascrivibili alla prima
categoria sono 9, gli appartenenti alla seconda sono 7. Gli uni sono stati
arrestati per furto, percosse, insubordinazione alla forza pubblica, gli altri per
spari notturni, ribellione nei confronti dei genitori, prestato alloggio a persone
sospette, vagabondaggio, aiuto offerto a persone genericamente definite « malviventi »: troppo poco forse per stabilire una statistica, ma in questi capi d’imputazione si riflettono comunque le tendenze della società che fa da sfondo.
Ai delitti contro la proprietà (furto) si mescolano quelli di insubordinazione
all’autorità, familiare (genitori) o statale (forza pubblica), il tutto congiunto ad
una visione tipicamente borghese del malvivente come forza improduttiva ed
eversiva; i vagabondi si mescolano ai facinorosi, i conniventi ai picchiatori.
Nell’ottava rubrica intitolata genericamente « carceri e restauri » troviamo
la richiesta del 1815 dello speziale di San Paolo di Macerata, Giuseppe
Omari, di un rimborso per le medicine usate dai carcerati della città 114,
oppure la visita alle carceri di Roccacontrada (Arcevia), dove sono rinchiuse
nel 1815 tre persone (due fratelli e la moglie di uno di questi) di Senigallia,
accusate di « più delitti », che hanno vestiti laceri e sono privi di camicie 115.
Sempre all’ottava rubrica si riferiscono le visite alle carceri di Civitanova,
Fabriano, Cingoli e Loreto, svolte nel 1816, per verificare la necessità o meno
di restauri 116. Si rileva che ristrutturazioni sono necessarie soprattutto a
Civitanova 117. A San Severino i detenuti protestano, perché sono costretti a
dormire sul pavimento, in quanto privi di tavolati 118. Il fatto, come si evince
dalla nota del governatore della città al delegato apostolico, è tanto più grave,
in quanto è stato notato anche dal medico. A Penna San Giovanni i reclami
vengono dal governatore stesso. Questi, il 5 novembre 1816, fa sapere che le
carceri più che tali, possono definirsi « sepolture », in quanto la « larga » è
alta meno di un uomo, priva di aria, dato che è situata sotto il livello della
strada, con inferriate che danno su un vicolo che non riceve mai la luce del
sole, quindi anche umida; da qui si passa alla « segreta » che viene definita un
« orrore », considerata inadatta perfino agli animali. Conclude la sua relazione
affermando che, poiché è consapevole che il governo « in ogni tempo è stato
114
Ibid., b. 1312, fasc. 10/A.
115
Ibid., b. 1312, fasc. 10/B.
116
Ibid., b. 1312, fasc. 10/C.
117
Ibid., b. 1312, fasc. 8/C.
118
Ibid., b. 1312, fasc. 8/B.
Maria Grazia Pancaldi
212
premuroso che li detenuti siano alla meglio trattati e tenuti », ha ritenuto far
presente questo stato di cose 119.
Le carceri di Fabriano hanno le finestre prive di vetri, sia per i carcerati
che per il custode. La « segreta » non ha tavolati e nei giorni di festa non
viene celebrata la Messa 120. Anche le carceri di Treia hanno bisogno di
restauri, anzi questi, iniziati durante il Regno italico, non erano ancora conclusi nel 1816. Da una visita svolta nel 1814 era emerso che nella « segreta »
mancavano le più elementari strutture igieniche 121. Nelle prigioni di San
Severino non si può celebrare la Messa, pratica già abbandonata durante il
periodo napoleonico. Con una nota del 7 marzo 1816, l’amministrazione
comunale notifica la cosa al delegato e nello stesso tempo chiede lo stanziamento dei fondi per la ristrutturazione della cappella 122. Peggiori sono le
condizioni delle carceri di Montemilone (Pollenza). Da una visita svolta nel
1817, è risultato che i detenuti dormono per terra, con pochissima paglia,
senza tavolati o paglioni. La sporcizia ha raggiunto livelli insopportabili;
tantissimi gli insetti e i topi annidati fra le fessure delle pareti, con grave
pericolo di epidemie di tifo. Se si vuole rendere « non men dura, almeno non
esposta al pericolo del contagio » la vita dei carcerati, è necessario rifornirli di
ciò di cui hanno bisogno e restaurare i locali 123.
Continua a non migliorare la situazione delle carceri di San Severino 124.
È infatti necessario procedere allo spurgo delle fognature. Il delegato è tuttavia del parere che si precisi la somma necessaria per un lavoro definitivo,
anziché continuare con gli spurghi che sono costosi e non durano nel tempo.
Da notare come i condannati, nonostante il fetore, non abbiano protestato.
Le carceri di Tolentino invece sono risultate sicure e salubri. Mancano
però i tavolati nella « segreta » 125.
Ristrutturazioni vengono inoltre richieste nel 1818 per la casa del balivo
comunale di Montefano 126 che viene utilizzata anche come « camera di
deposito » degli arrestati. Le carceri di Civitanova richiedono un ampliamento 127, quelle di Cingoli vengono ristrutturate 128, come pure quelle di Sant’Elpidio 129. Riparazioni sono necessarie nella casa del custode delle carceri di
119
Ibid., b. 1312, fasc. 8/D.
120
Ibid., b. 1312, fasc. 8/H.
121
Ibid., b. 1312, fasc. 8/I.
122
Ibid., b. 1312, fasc. 8/L.
123
Ibid., b. 1312, fasc. 9/A.
124
Ibid., b. 1312, fasc. 9/B.
125
Ibid., b. 1312, fasc. 9/C.
126
Ibid., b. 1312, fasc. 6/C.
127
Ibid., b. 1312, fasc. 6/D.
128
Ibid., b. 1312, fasc. 6/F.
129
Ibid., b. 1312, fasc. 6/G.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 213
Montolmo (Corridonia) 130 e di quelle del secondino di Cingoli 131. Restauri
sono pure necessari nelle carceri di Recanati 132, mentre perizie vengono
svolte da parte dell’ingegnere capo per lavori di restauro da effettuare nelle
carceri criminali di Macerata 133, svolti in effetti nel 1820 134.
Numerosi sono poi i verbali di collaudo per le carceri di Macerata, Montesanto (Potenza Picena) e Loreto, riuniti in un solo fascicolo per l’anno
1821 135.
Il Comune di Ripe, nel 1822, vuole ristrutturare la rocca per utilizzarla
come carcere 136.
Nel 1823 il governo di Recanati informa il delegato della necessità di costruire nel proprio porto una camera di sicurezza, dove trattenere provvisoriamente gli arrestati prima del loro trasferimento nelle carceri della città. Infatti,
nel caso in cui l’arresto avvenga di notte, non essendovi locali idonei, gli
arrestati debbono essere guardati a vista, distogliendo i responsabili da altri
compiti istituzionali altrettanto importanti 137.
In seguito alle consuete ispezioni, vengono ordinate perizie sulle condizioni strutturali delle prigioni di Fabriano, Sant’Elpidio, Loreto, Tolentino,
Civitanova e Sarnano. Il 1° ottobre la Sacra consulta ordina al delegato di
ottemperare all’obbligo dei restauri. Successivamente, il 5 novembre, si dichiara soddisfatta delle iniziative intraprese e dei chiarimenti offerti, chiedendo tuttavia un rapido adempimento dei lavori nelle carceri di Fabriano,
Sant’Elpidio e Civitanova 138.
A Tolentino si rende necessario trasferire l’alloggio del custode, come attesta la corrispondenza fra il governatore della città ed il delegato 139. Nella
nota del 2 febbraio 1823, il governatore fa presente come dopo la restaurazione le carceri siano state spostate in alcune stanze del palazzo comunale, con
attigua la casa del custode. Tuttavia, quella che avrebbe dovuto essere una
sistemazione provvisoria, tanto più che l’accesso alle une e all’altra è comune,
cosa peraltro « indecente ed anche inconveniente », con il tempo è diventata
definitiva. La situazione danneggia anche la magistratura comunale, costretta
a convivere con i detenuti. I locali inoltre sono insalubri, in quanto piccoli e
privi di aria. Già nel 1820 è stato avanzato un reclamo alla Segreteria di Stato
130
Ibid., b. 1312, fasc. 6/H.
131
Ibid., b. 1312, fasc. 6/I.
132
Ibid., b. 1312, fasc. 6/L.
133
Ibid., b. 1312, fasc. 6/N.
134
Ibid., b. 1312, fasc. 4.
135
Ibid., b. 1312, fasc. 2.
136
Ibid., b. 1312, fasc. 3.
137
Ibid., b. 1312, fasc. 1/A.
138
Ibid., b. 1312, fasc. 1/B.
139
Ibid., b. 1312, fasc. 1/C.
Maria Grazia Pancaldi
214
che, riconoscendolo legittimo, ha ordinato una perizia di spesa da cui è
risultata la possibilità di utilizzare alcune stanze dell’Oratorio della Carità.
Questa soluzione, tuttavia, è stata accantonata perché troppo onerosa per
l’erario. La necessità di far traslocare il custode rimane comunque impellente.
Solo così il Comune riavrebbe i locali di cui ha bisogno e verrebbe eliminata
l’« indecenza » dell’accesso comune del custode e dei detenuti.
Ancora nel 1823 il governatore di Civitanova sollecita l’autorizzazione a
costruire due nuove « segrete », dato che i locali attualmente utilizzati allo
scopo sono due « larghe » e quindi permettono ai detenuti di parlare con tutti
a « loro bell’agio » con « grave danno della giustizia e de’ processi ». Necessarie anche un’infermeria ed una cappella 140.
Nel 1823 vengono inoltre appaltati i lavori per le carceri femminili di
Loreto 141. Terminano invece nello stesso anno i restauri eseguiti in quelle
distrettuali di Fabriano. Il collaudo è svolto dall’ingegnere capo dei lavori di
acque, strade e fabbriche camerali 142.
Diventa intanto impellente la ristrutturazione delle carceri di Recanati. Al
1824 si riferisce la corrispondenza svolta a tale riguardo fra il tesoriere
generale, il delegato ed il Comune, per l’appalto dei lavori 143. Le carceri di
questa città sono prive di infermeria, cappella e tavolati. Temporaneamente
per supplire alla mancanza di cappella, il delegato autorizza la costruzione di
un altare portatile. Particolarmente degna di essere menzionata è la nota del
gonfaloniere del 26 gennaio. Le carceri, protesta, sono « assolutamente insalubri, maleodoranti in maniera insopportabile ». Ammette di non essere a
conoscenza della situazione di altre prigioni e quindi di non poter avanzare
paragoni, ma ritiene comunque che non sia possibile che altrove esseri umani
vengano trattati così male e « che il luogo di custodia costituisca una pena la
quale occasionando il deperimento della salute può estendersi a tutta la vita.
Inoltre è ributtante che una persona di condizione onesta, o un debitore
infelice debbano cacciarsi in quelle tane pestifere e ignomignose e confondersi colla ciurma dei malfattori ». Crede che il « disordine » esiga dei ripari, ma
pensa anche che se le prigioni sono necessarie, debbano comunque adattarsi
alla « detenzione di uomini » ed essere « un po’ migliori dei covili delle
belve ».
Per le carceri di Civitanova 144 si rende necessario aggiungere alle attuali
« due buone segrete », un’infermeria ed una cappella.
140
Ibid., b. 1312, fasc. 1/D.
141
Ibid., b. 1312, fasc. 1/E.
142
Ibid., b. 1312, fasc. 1/F.
143
Ibid., b. 1313, fasc. 1. Il fascicolo, contrariamente a quanto si legge nell’attuale inventario, non si riferisce al 1821, ma al 1824. Reca la segnatura: tit. XI, rub. 8, ma la coperta è priva
di titolazione. Si divide in cinque sottofascicoli.
144
Ibid., b. 1313, fasc. 1/B.
Nascita e sviluppo del carcere nella « Marca » pontificia durante la seconda restaurazione 215
Continuano i lavori di restauro delle carceri di Sarnano 145 e di Sant’Elpidio , mentre non ancora risolto, nel 1824, è il problema dell’alloggio del
custode delle carceri di Tolentino che si trova nei locali di proprietà del
Comune 147.
Una parte della documentazione ricadente sotto l’ottava rubrica si riferisce alle spese sostenute per i detenuti ammalati 148. Troviamo così la corrispondenza fra Segreteria di Stato e delegato apostolico in merito al pagamento delle prestazioni svolte dal medico di San Severino a favore dei detenuti
ammalati nel 1816 e nel primo semestre del 1817. All’interno del fascicolo è
conservato un prospetto delle malattie curate nelle carceri durante il periodo
in questione. Sono indicati nome e cognome dell’ammalato, tipo di malattia,
prognosi, esito, giorni di malattia, numero delle visite compiute. Risultano
esserci stati 56 ammalati di cui tre deceduti, gli altri guariti o convalescenti.
Le malattie più frequenti sono febbre catarrale, nervosa o petecchiale 149.
Spese per i medicinali relative al 1817 sono documentate anche per il
carcere di Sassoferrato 150, di Fabriano 151, di San Ginesio 152, San Severino 153
e Arcevia 154.
Compare poi, relativamente al 1818, la corrispondenza fra la Segreteria
di Stato ed il delegato circa l’onorario da pagare al medico di Loreto ed al
cappellano per le cure e l’assistenza offerte agli ammalati 155. Figura anche il
carteggio circa l’emissione di mandati di pagamento a favore del medico di
Cingoli che si è prodigato per la disinfezione delle carceri della città 156 o di
quello di Fabriano, coinvolto in occasione di un’epidemia 157.
È documentato anche lo scoppio di un’epidemia nelle carceri di Macerata 158. In una nota del 25 luglio 1818, il delegato fa sapere a Consalvi che la
Congregazione governativa, in qualità di Commissione centrale di sanità 159,
146
145
Ibid., b. 1313, fasc. 1/C.
146
Ibid., b. 1313, fasc. 1/D.
147
Ibid., b. 1313, fasc. 1/E.
148
Ibid., b. 1312, fasc. 7, a. 1817: è intitolato « Sanità, ospedali e vestiario », ed è suddiviso in sei sottofascicoli.
149
Ibid., b. 1312, fasc. 7/A.
150
Ibid., b. 1312, fasc. 7/B.
151
Ibid., b. 1312, fasc. 7/C.
152
Ibid., b. 1312, fasc. 7/D.
153
Ibid., b. 1312, fasc. 7/E.
154
Ibid., b. 1312, fasc. 7/F.
155
Ibid., b. 1312, fasc. 5/A.
156
Ibid., b. 1312, fasc. 5/C.
157
Ibid., b. 1312, fasc. 5/D.
158
Ibid., b. 1312, fasc. 5/B.
159
A proposito della Congregazione governativa, cfr. D. CECCHI, L’amministrazione pontificia … cit., pp. 97-98.
Maria Grazia Pancaldi
216
ha adottato misure che consistono nel dare lo stesso vitto per i detenuti di
« larga » e di « segreta », nel trasferire i sani nelle carceri di S. Chiara, con
preventivo cambio di vestiario, nel disinfettare tutti coloro che debbano
andare nell’infermeria, nel fare « fumigagioni acide ». Consalvi, il 5 agosto,
approva i provvedimenti adottati ed insiste sulla necessità di separare i detenuti infetti da quelli sani, di controllare i sospetti di malattia e disinfestare le
carceri.
Alla nona rubrica « Traduzione dei condannati » 160 si riferisce la corrispondenza dei vari Comuni con il delegato per il rimborso delle spese sostenute durante il trasporto dei detenuti svoltosi con la collaborazione delle
guardie urbane e provinciali, messe a supporto dei carabinieri. Per l’anno
1818, da ricordare la minuta, senza data e priva di riscontro, di una nota del
delegato al direttore generale di polizia in merito all’uso di vetture per il
trasferimento di detenuti che per motivi di salute e sulla base di certificati
medici, non possono camminare, oppure in caso di trasferimenti improvvisi da
un carcere all’altro 161.
Nelle « ben ordinate » città delle Marche, l’istituzione del carcere come
forma prevalente o unica di punizione di reati è accolta senza proteste e senza
riserve da parte dei rappresentanti delle comunità locali. La misura sembra
corrispondere appieno, oltre che alle esigenze già maturate all’interno delle
coscienze e della società, anche ad una serie di istanze particolari che vedono
nel mantenimento dell’ordine e della disciplina il fondamento del vivere
civile. Il carcere, come l’ospedale, la caserma, il tribunale, l’ospizio di mendicità, le scuole, entra a far parte integrante del sistema di vita cittadino e
dell’edilizia urbana, come elemento stabile e necessario per la tutela dell’ordine sociale.
MARIA GRAZIA PANCALDI
Soprintendenza archivistica per le Marche
160
È contenuta nella b. 1320, ma riguarda per il periodo esaminato, soltanto gli anni 18151818, per un totale di quattro fascicoli.
161
AS MC, Del. Ap., b. 1312, fasc. 4.
L’INDIVIDUO E LE SUE VESTIGIA.
GLI ARCHIVI DELLE PERSONALITÀ
NELL’ESPERIENZA DELL’ARCHIVIO CONTEMPORANEO
« A. BONSANTI » DEL GABINETTO VIEUSSEUX
... e vide l’epigrafe delle pergamene
perfettamente ordinata nel tempo e
nello spazio degli uomini ...
(G. García Márquez, Cent’anni di solitudine)
Di fronte ad un archivio di persona, ma più ancora di fronte all’archivio
di una persona illustre, si è colti spesso da un senso di sconcerto. Pacchi di
carte sciolte senza alcun titolo racchiudono nessi interni imperscrutabili.
Contenitori apparentemente ordinati rivelano testimonianze del tutto difformi
da quanto dichiarato. In una busta di carta « Bath », fotografie, poesie e fiori
secchi. Dentro un quaderno nero — come segnalibro? — la costola del Don
Chisciotte nell’edizione economica Sonzogno. In una scatola di sigari, due
biglietti del treno e un pieghevole di Berlino. Lettere, documenti, stampati,
giacciono sparsi o avvinghiati in coacervi di cui non riusciamo a cogliere il
nesso.
Viene da pensare alle pergamene dello zingaro Melquíades di cui scrive
Márquez. La cronologia all’apparenza non combacia, eventi ed episodi quotidiani di una vita umana, non di rado di più generazioni, coesistono nel tempo
e nello spazio. In pochi metri: nel vano di una cassapanca, racchiusi in scatole
di cartone, sui piani di uno scaffale. In attesa di una chiave di decifrazione nei
luoghi e nei modi convenzionali degli uomini.
Da oltre vent’anni ormai si parla correntemente, in ambito archivistico,
di « archivi delle personalità » 1. La definizione ha prima integrato, quindi in
molti casi sostituito, quella di archivi di persona, categoria più antica, più
generica e dalla diversa accezione. Considerati nella maggior parte dei casi
come elemento di un più ampio e significativo complesso (archivi di famiglia,
di istituzione pubblica o privata, ecc.), questi ultimi; degni di poter godere di
1
Il termine, da tempo usato dagli addetti ai lavori, è stato recentemente rilanciato, con fortuna e diffusione anche presso un pubblico più ampio di studiosi, dall’utilizzo in titolo nella
Guida agli archivi delle personalità della cultura in Toscana tra ’800 e ’900, a cura di E.
CAPANNELLI e E. INSABATO, voll. 2, Firenze, Olschki, 1996; 2000.
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
Caterina Del Vivo
218
una loro autonomia, gli archivi delle personalità. Non si pensi tuttavia a
cambiamenti determinati dall’evoluzione di teorie che ridefiniscano astrattamente le suddivisioni dell’universo archivistico e ne prescrivano le caratteristiche strutturali. Si tratterebbe di una contraddizione in termini, se è vero,
come è vero, che la funzione dell’archivista è essenzialmente quella di un
mediatore culturale, « che getta un ponte fra culture separate nel tempo e nello
spazio, che segue e annoda i fili che attorno all’archivio si dipanano e si
intrecciano » 2. Funzione « ermeneutica », dunque, che non si limita a trasmettere l’informazione secondo codici razionali, ma viceversa trascodifica in
parametri di lettura idonei al proprio tempo i messaggi di un « altrove »
temporale. Prossimo o distante, poco importa: si tratta comunque di una
realtà storica e sociale che si propone in certe modalità, perché come tale la
pone il suo tempo; e che, come tale, l’archivista dovrà riconoscere, leggere,
trasmettere.
Verrà da sé, allora, considerare che i cosiddetti archivi delle personalità
acquistano una presenza significativa, ed un proprio status, nel momento in
cui si allenta il vincolo gentilizio e si disgrega la famiglia patriarcale: alla fine
del secolo XIX, e per tutto il XX. Altri elementi contribuiscono alla loro
definizione: le cosiddette famiglie mononucleari e monogenerazionali; la consapevolezza che chiunque, quale artifex del proprio destino, possa legittimamente aspirare a lasciar traccia e memoria di un significativo percorso biografico e culturale, pur non facendo parte di illustri prosapie, non disperdendo i
« documenti » che lo hanno accompagnato. E ancora, con il rafforzarsi dell’idea di autonomia dell’individuo anche nell’ambito dello svolgimento della
propria attività, si consolida la tendenza a conservare quelle carte del sé come
nucleo autonomo e come testimonianza di un percorso « domestico », anziché
come parte di un contesto pubblico o ufficiale.
Ormai lontani i tempi in cui i cosiddetti archivi privati di persone illustri
venivano ripartiti fra biblioteche (nelle quali si collocavano i testi manoscritti
delle opere e spesso la corrispondenza, per lo più ricondotta ai « carteggi
vari » delle sale Manoscritti), e archivi pubblici, o altri tipi di istituti (ai quali
erano destinati i documenti amministrativi, patrimoniali o politici), gli archivi
delle personalità si pongono oggi, nel mondo della conservazione della memoria, come tipologia archivistica peculiare del nostro tempo. Sarà opportuno
valutare in prospettiva questo loro definirsi come tali, soffermandoci anche su
altre caratteristiche intrinseche che li contraddistinguono.
È ben noto a tutti coloro che praticano la professione archivistica che due
sono i caratteri fondamentali degli strumenti che fungono da tramite fra la
documentazione e il fruitore, che lo si voglia intendere come ricercatore o
studioso, in termini classici, o addirittura come client da cui parta l’interroga2
S. VITALI, Di angeli, di paperi e di conigli, ovvero dello strano mestiere dell’archivista,
in Professione: archivista. Atti del Convegno di studi di Trento-Bolzano, 24-26 novembre 1999,
in « Archivi per la storia », XIV (2001), 1-2, p. 181.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
219
zione, se vogliamo muoverci negli spazi tecnologici contemporanei. Due: la
descrizione del documento e la definizione del suo contesto. Principio ben
noto, alla base dell’archivistica. Stefano Vitali lo ripropone in un recente
intervento in termini particolarmente chiari:
Descrivere gli archivi vuol dire, innanzitutto, fornire informazioni sui soggetti
produttori e sul più generale contesto storico di produzione degli archivi. Vuol dire
allo stesso tempo collocare le descrizioni delle singole entità archivistiche all’interno
del contesto archivistico di appartenenza, rendere, cioè, chiare ed esplicite le relazioni
che legano le singole entità (le parti) fra loro e al complesso di appartenenza (il tutto)
nonché al contesto di produzione della documentazione 3.
Dato per fermo il principio, la libertà di movimento dell’archivista è
suggerita e definita dagli stessi due elementi che la delimitano: il documento 4
oggetto della descrizione, e il contesto in cui si colloca. In altre parole, nel
rispetto di questi due punti, lo spettro d’azione dell’archivista è assai ampio,
pressoché totale. Si pensi invece ad eventuali esempi di riordino inappropriato, o di inventariazione incongrua, di archivi o di fondi archivistici: con ogni
probabilità si potrà verificare che non sono stati rispettati i due principi di cui
sopra.
Non si vede perché debbano costituire un’eccezione alla norma gli archivi prodotti da personalità del mondo della cultura, della letteratura, dell’arte,
dello spettacolo: che sono comunque archivi, sebbene dotati di una loro
peculiarità. È pur vero infatti che questi insiemi di carte, documentazioni di
un ruolo e di un operato, non sono frutto di una qualche obbligatorietà di
conservazione, come la maggior parte degli archivi classici, ma di un’azione
volitiva del loro produttore 5, che può definirne entità e contenuti. Tuttavia
l’azione volitiva riguarda la scelta di conservare o meno carte e documenti
prodotti nel corso di una vita e di una attività, non la scelta acquisitiva delle
medesime: siamo quindi su tutt’altro piano rispetto a raccolte documentarie di
tipo collezionistico, alle quali tuttavia si vogliono spesso assimilare gli archivi
delle personalità.
Questi fondi comprendono molto frequentemente materiali comuni (corrispondenza, scritti di vario genere, agende e taccuini, documenti personali,
fotografie, ecc.), ma si presentano in modo diverso, rivelandosi in certo modo
figli del carattere e dello stile di vita — della personalità — che rappresenta3
S. VITALI, Modelli di sistemi informativi archivistici nell’ottica dell’integrazione con altri
universi culturali, in L’informatizzazione degli archivi storici e l’integrazione con altre banche
dati culturali, [Trento], Provincia autonoma - Servizio beni librari e archivistici, 2001, pp. 21-22.
4
5
Uso il termine naturalmente in senso lato.
Così Emilio Capannelli parlando recentemente dell’Archivio Codignola, nell’ambito del
Seminario internazionale di studi: « Archivi storico-educativi e loro accessibilità informatica »
tenutosi il 31 gennaio 2002, presso la Regione Toscana (intervento in corso di stampa). Cfr. la
cronaca in questa « Rassegna », pp. 397-403.
220
Caterina Del Vivo
no e di cui tramandano la memoria. Senza voler stendere arbitrarie classificazioni, si può osservare empiricamente che l’archivio personale di uno storico,
di uno studioso, di un filologo, presenta spesso tracce di un’organizzazione
sistematica che rispecchia l’attività del produttore. Che il fondo appartenuto
ad un artista spesso accosta materiali iconografici a carte, quaderni, corrispondenza, in una casualità solo apparente. Chi è incline al collezionismo,
isolerà gli autografi degli amici importanti. L’ambizione condurrà a costruire
con diligenza e cura un archivio personale, allo scopo di indirizzare la trasmissione della memoria di sé con suggerimenti e indizi: annotazioni bibliografiche curate, fotografie di eventi, belle copie dei testi.
Scrive Isabella Zanni Rosiello:
A seconda delle persone, delle biografie, dei contesti culturali e temporali, cui gli
archivi appartengono e a cui vanno ricollegati, essi possono rivelare coincidenze e
discrepanze, tratti pressoché comuni o differenze radicali. Quasi sempre peraltro, nel
caso di archivi di persone (...) sono stati per così dire costruiti come autorappresentazioni delle persona stesse. (...) Gli archivi di questo genere riflettono comunque, anche
se, come sempre accade in questi casi, non fedelmente, interessi culturali e specifiche
attività dei rispettivi autori 6.
Cosa invece non si conserva, nell’archivio di una personalità degli ultimi
due secoli? Alcuni presupposti, ovvii per chi è del mestiere, non sono così
immediati per gli utenti che si rivolgono a questo tipo di fondi: spesso studenti o persone interessate alla critica letteraria, alla filologia, alla critica d’arte, o
musicale, più che storici in termini classici. Dunque con minore esperienza di
quella sorta di « navigazione » che caratterizza la classica ricerca d’archivio, e
presuppone la conoscenza della « mappatura » del medesimo; più avvezzi
semmai a confrontarsi con capacità ed efficacia con il singolo documentotesto, più che con la struttura ospitante studiata in termini di modalità di
sedimentazione.
Non sembri allora né elementare né eccessivo ricordare che non si raccolgono di norma negli archivi privati di persona le lettere di colui al quale è
intestato il fondo, se non in minuta o in copia: bensì quelle ricevute. Che un
insieme di lettere scritte da un personaggio a vari destinatari non sarà « il suo
archivio », ma una collezione di autografi raccolti da terzi. Che non si conservano in fondi personali le documentazioni relative ad attività o impieghi
pubblici, se non accidentalmente. Che nel caso di scrittori, non sempre sono
presenti le redazioni finali delle opere edite, in molti casi consegnate al
tipografo e non restituite: solo negli ultimi decenni si è diffuso l’uso di
fotocopie. Spesso, invece, saranno presenti nuclei di materiali eterogenei o di
carte e documenti aggregati e collaterali, raccolti e conservati dal personaggio
6
I. ZANNI ROSIELLO, Strategie e contraddizioni conservative, in Conservare il Novecento.
Atti del Convegno nazionale di Ferrara, 25-26 marzo 2000, Roma, AIB, 2001, p. 139.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
221
in questione per i più vari motivi, sui quali mi soffermerò più avanti. In molti
casi, infine, ci incontreremo non solo con « autografi », ma anche con documentazioni di scarso interesse prese singolarmente, ma di rilevanza nel loro
insieme: ricevute, circolari, tessere, ecc.
1. Lo stato delle cose. — Anche negli archivi delle personalità, come in
tutti gli archivi, abbiamo un soggetto produttore e un nucleo di documenti:
originati, nel nostro caso, dal percorso biografico e dallo svolgimento di
un’attività più o meno creativa. Carte che dovrebbero presentare una certa
organizzazione interna: cosa che di fatto avviene raramente, e soprattutto
quasi mai sarà palese, dichiarata. Diamo per acquisita la possibilità di distinguere fra collezione di documenti o di autografi raccolta da un personaggio, e
archivio vero e proprio, frutto dell’operato del produttore: al riguardo infatti
sarà relativamente semplice per l’archivista raccogliere informazioni intorno al
nucleo su cui dovrà operare, ancor prima di prendere personalmente visione
delle carte 7. Nel primo caso potrà essere confermato il criterio a suo tempo
scelto dal collezionista, di solito sufficientemente funzionale; se viceversa i
materiali saranno stati raccolti con successivi acquisti o acquisizioni dall’istituto che li conserva 8, potrà essere suggerito con serenità un ordine decisamente pragmatico: ad esempio alfabetico per autore per la corrispondenza, o
cronologico per i manoscritti autografi.
Il secondo caso ci riguarda più da vicino, sia perché più frequente, sia
per il maggior numero di quesiti archivistici di merito. L’assetto di un archivio di persona può essere alterato con facilità durante gli spostamenti e i
traslochi delle carte. Soltanto raramente l’archivista può prendere visione del
nucleo di documenti in quello che potremo definire il loro habitat naturale,
scomparso o meno che sia il legittimo produttore: una casa, uno studio, un
ripostiglio, un armadio, sia pur anche una cantina. Sarebbe importantissimo
farlo: prendere visione delle carte in loco già costituisce per l’archivista una
situazione di privilegio. Quando se ne presenta la possibilità, dunque, è
fondamentale preparare il terreno più idoneo a garantire una corretta archiviazione: una o più visite ai proprietari dei fondi permettono una più accurata
7
Un esempio abbastanza noto di collezione di manoscritti è l’autografoteca Bastogi, conservata presso la Biblioteca Labronica di Livorno, e raccolta appunto dalla famiglia Bastogi nel
corso del secolo XIX e nei primi vent’anni del XX. Tuttavia anche in una collezione, soprattutto
se di grande entità, come quella citata, sono spesso identificabili nuclei di vari archivi originari,
che sarebbe dunque doveroso individuare ed evidenziare: come, nel caso ricordato, le carte originate dello smembramento dell’archivio Montanelli-Parra, ecc.
8
Manoscritti o lettere di un certo personaggio, acquistate in antiquariato o lasciate dagli
amici, sono state sempre raccolte presso le varie Biblioteche (si pensi agli autografi dei patrioti
risorgimentali). Oggi quel che è diverso è il criterio con il quale vengono conservati: non quali
singoli documenti, ma come nucleo di origine dichiaratamente composita, miscellaneo ma unitario, che talvolta può anche essere ricondotto a modelli di tipo archivistico. Un esempio è dato
dal fondo aperto intestato a Cristina Campo all’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, in costituzione grazie ai lasciti di alcuni amici.
Caterina Del Vivo
222
conoscenza dell’archivio, la stesura di elenchi sommari, la definizione della
forma giuridica del lascito, la conoscenza reciproca. In questi incontri, inoltre,
sarà possibile incoraggiare i proprietari ad evitare versamenti parziali o troppo
dilazionati nel tempo, e fornire alcuni suggerimenti pratici sulla preparazione
materiale del trasloco (imballaggio in un dato ordine, numerazione delle
scatole, ecc.).
Spesso infatti — purtroppo — buste, faldoni, fascicoli vari, carte sparse,
vengono consegnati all’istituto destinato a conservarli da trasportatori o corrieri; quasi mai esiste una numerazione d’autore dei contenitori, e lo spostamento avviene senza alcuna attenzione alla disposizione originaria 9. Mi è
capitato di ricevere in archivio sacchi di plastica nera stipati di lettere sparse,
e in altri casi la corrispondenza è stata posta, sciolta, direttamente nelle
scatole da imballo. Anche quando, nelle situazioni migliori, tutto è ben
incartato e inscatolato, è assai raro rintracciare elementi che facciano riferimento all’ordine primitivo. Se manca una qualsiasi numerazione per buste o
scatole, la situazione difficilmente è migliore a livello di fascicolo; solo in rari
casi una qualche numerazione può essere stata posta dai familiari, prima di
distaccarsi dalle carte: e si rivelerà un intervento utile per l’archivista, purché
effettuato con il dovuto discernimento 10.
Se la nostra attenzione, in vista del riordino e della descrizione archivistica, dovrà sempre muoversi dal documento al contesto al quale si collega e
da quello a questo, in una sorta di prolungato contrappunto, come pensare di
rinviare ad un secondo momento un esame magari sommario, ma globale,
delle carte? Come sarà possibile procedere ad un primo riordino, se non
addirittura ad una inventariazione analitica di una sezione di un tutto sconosciuto, e tanto meno descrivere documento per documento, lettera per lettera,
senza un’idea dell’insieme? Eppure spesso accade. Accade, oltre che per un
errato approccio, perché le carte vengono consegnate nell’Archivio di destinazione in più riprese, in lotti spesso incoerenti al loro interno, forse connessi
con altri ancora da depositare. Allora potrà essere proprio il contributo degli
eredi e discendenti, la memoria di coloro che hanno conosciuto più da vicino
il personaggio, a costituire l’alleato più prezioso per l’archivista. Talvolta sarà
già un buon risultato riuscire a sapere se « quelle » carte d’archivio sono
« tutte », o se esiste, nella stessa abitazione o altrove, « dell’altro », magari
ritenuto impropriamente di scarso interesse.
9
Si veda ad esempio quanto scrive A. BROCHIER, Papiers d’érudits, in « La Gazette des
Archives », 1998, n. 182-183, p. 226: « Il est préférable de procéder soi-même à l’enlèvement
des archives (...) Étant ainsi sur place, il est possible d’accéder à des informations révélatrices
des habitudes et de la façon de travailler de l’érudit. En effet, les lieux de travail et de rangement, par leur organisation même, parlent fortement de leur occupant ».
10
Penso ad esempio al fondo di Giuseppe Dessì presso l’Archivio Contemporaneo del
Gabinetto Vieusseux, riordinato in gran parte dalla moglie Luisa durante la lunga malattia del
marito, spesso dietro i suggerimenti diretti del coniuge. Il caso è però abbastanza singolare.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
223
Quanto ai piccoli nuclei sparsi provenienti da uno stesso archivio, che
possono essere acquisiti nel tempo in antiquariato, o per lasciti di vario
genere, converrà mantenere i diversi insiemi separati, in attesa di eventuali
future integrazioni che permettano una sistemazione più organica.
2. Una navigazione accorta. — Stabilito che quanto abbiamo di fronte è
effettivamente l’archivio « relitto » del personaggio in questione, o quanto è
stato possibile recuperare di esso, accingiamoci a prenderne visione, a conoscerlo. Cercheremo di coglierne dunque la struttura, e tutti quei legami intrinseci ed estrinseci che sarà necessario evidenziare e comunicare nel modo più
chiaro.
Come primo approccio si tratta di individuare o ricostituire le impalcature che sorreggono l’insieme, per nascoste e scomposte che siano, per definire,
se necessario, un piano di lavoro sulla carta, da applicare procedendo dal
generale al particolare. Quanto si dovrà definire, come ha affermato recentemente Augusto Antoniella, sarà insomma una sorta di « scheletro » dell’archivio, redatto sulla base del percorso biografico o di quanto altro le carte stesse
suggeriscono, da tenere come punto di riferimento se il disordine è pressoché
totale 11.
In termini più archivistici, si tratta di riconoscere e raggruppare serie e
sottoserie (sebbene quasi mai designate, né in costola, né in titolo, né altrove,
come avviene di norma negli archivi « classici »), e quindi i faldoni, le buste e
i fascicoli che presentino coerenza interna e vincoli di un certo tipo fra di
loro, tenendo classicamente una sorta di « brogliaccio » del procedere dei
lavori.
Il riordino presuppone una prima osservazione quasi « dall’alto », supportata da una costante integrazione fra il dato di provenienza esterna, biografico
o bibliografico, e la notizia ricavata dai documenti stessi. Anche per l’archivista, come per il ricercatore, si tratta di una sorta di navigazione fra le carte:
perché per le personalità del mondo contemporaneo le notizie bio-bibliografiche meno note, e forse più significative, saranno date proprio dalle carte
stesse che ci accingiamo a riordinare 12. Se si tratta dell’archivio di uno
studioso, ad esempio, di cosa si occupava in un certo periodo? Come organizzava il proprio lavoro? Disponeva i vari studi dedicati ad un tema affrontato
più volte per sedimentazione cronologica, o suddivideva il proprio lavoro per
11
Così Augusto Antoniella in un recente intervento in occasione della presentazione a Empoli dell’Inventario dell’Archivio Salvagnoli, a cura di V. ARRIGHI, E. INSABATO, L. GUERRINI,
S. TERRENI, Pisa, Pacini, 2002.
12
Si pensi alle raccolte di ritagli di giornale o di « Eco della stampa », sezione classica
degli archivi delle personalità, che permettono di ricostruire la bibliografia o gli eventi biografici
più significativi dall’interno del fondo medesimo. Gli stessi autori compilano spesso, per propria
memoria, un accurato elenco dei propri scritti: così per Oreste Macrì, il cui quaderno di bibliografia, conservato nel suo archivio (ora presso il Gabinetto Vieusseux), si è rivelato un punto di
partenza indispensabile per approfondimenti e studi.
224
Caterina Del Vivo
fascicoli e dossier a seconda della specificità dell’argomento? Se una qualche
organizzazione esisteva, ci sono buone probabilità di riuscire a ricostruirla. Va
da sé che il contenuto di faldoni e buste andrà esaminato analiticamente, per
verificare una qualche coerenza interna, che a sua volta potrà riguardare tanto
la tipologia quanto l’oggetto delle carte (corrispondenza, prose d’invenzione,
saggi critici, poesie ecc., o ancora: relazioni per convegni, materiali attinenti
ad articoli o studi), oppure semplicemente un certo arco cronologico. Anche
in mancanza di titoli esterni, non mancheranno riferimenti all’occasione dello
scritto: la data di un convegno, il rinvio ad un numero di rivista, a corsi tenuti
presso questa o quella università. I fascicoli si fondono o si scindono: potrà
capitare che un autore, riutilizzando brani o pagine di un passato lavoro per
una nuova edizione, o addirittura per una diversa opera, sposti materialmente i
fogli dall’uno all’altro testo, senza ulteriore indicazione cronologica o d’altro
genere 13. Difficile, in questi casi, definire il percorso più opportuno per
l’archivista, ed i limiti del suo intervento; il suo non è e non vuole essere un
lavoro filologico: tuttavia dovrà rendere conto del suo operato, e segnalare
peculiarità inusuali delle redazioni. Senza sostituirsi ad altri professionisti, che
si dedicheranno all’edizione critica dei testi, potrà tuttavia suggerire alcuni
elementi e contribuire ad evitare equivoci ed errori.
Dal momento che gli archivi delle personalità conservano quasi esclusivamente carte sciolte, il riscontro del materiale dovrà essere tanto analitico
quanto accorto. Capiterà spesso che il titolo posto su un fascicolo non corrisponda al contenuto, anche se quest’ultimo è in sé coerente: spesso per il
semplice riutilizzo delle medesime « camicie ». Oppure che quanto dichiarato
in copertina rappresenti soltanto una minima percentuale degli effettivi documenti raccolti, o che i fascicoli siano stati maldestramente ricomposti e titolati
da altra persona, accorpando in modo grossolano e spesso improprio insiemi
eterogenei (ad esempio: poesie varie; appunti diversi). Che si individui, infine,
un certo criterio interno, ma soltanto per una parte della serie o dell’intero
archivio, semplicemente perché interrotto dal nostro personaggio. In questi
casi verrà da sé concludere il non concluso, purché risulti sempre ben distinto
e dichiarato l’intervento dell’archivista: continuare a raggruppare articoli e
collaborazioni riconducendoli alle varie testate, ad esempio, o dividere la
saggistica dalla prosa d’invenzione, se questi erano stati i criteri in parte
adottati dall’autore.
Una delle tipologie di materiale più rappresentate negli archivi delle personalità (nonché frequente luogo controverso d’intervento archivistico) è la
13
Si vedano ad esempio i manoscritti di Vasco Pratolini conservati al Gabinetto Vieusseux: come è noto episodi de Lo Scialo, enucleati e sviluppati, sono all’origine di Metello; anche
nuclei di carte manoscritte furono spostate fisicamente (cfr. in proposito lo studio introduttivo
all’Inventario del Fondo Pratolini, pre-print a cura di C. GIOLITTI e E. LUGLIESI, Firenze 2001).
Una mancata conoscenza della cronistoria delle opere avrebbe potuto far pensare ad un disordine
casuale fra i manoscritti, visti i diversi tipi e formati dei fogli, eccetera.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
225
corrispondenza. Chi conosce questo tipo di archivi sa bene che raramente si
presenta organizzata e archiviata con criteri sistematici nella sua completezza.
Nella maggior parte dei casi niente raccoglitori, niente protocolli, niente
rubriche; rare eccezioni si riscontrano quando l’attività del personaggio in
questione richiede una gestione puntuale e una rapida possibilità di recupero
delle lettere spedite e ricevute.
Tuttavia qualche suddivisione di massima è quasi sempre presente. Una
costante è costituita dalle lettere familiari, tenute in genere separate dalla
corrispondenza generale o di lavoro. Si tratta di sezioni da riordinare innanzi
tutto sulla base dei legami parentali, nelle quali spesso si trovano anche
carteggi completi fra parenti prossimi, corrispondenza cioè tutta conservata
« in casa », o in qualche caso restituita: carteggi suggestivi e interessantissimi
fra coniugi, genitori e figli, fratelli o consanguinei. Attraverso i contenuti di
queste stesse lettere sarà più agevole ricostruire la genealogia particolareggiata
della famiglia, genealogia che a sua volta fungerà da canovaccio per il riordino, anche e soprattutto nei casi in cui alle spalle dell’archivio di una personalità vi sia semplicemente « gente comune ». Spesso si potranno delineare
storie familiari che niente avranno da invidiare a più illustri casati.
Nelle serie della corrispondenza di un archivio di persona non sarà difficile imbattersi in suddivisioni per fascicoli, spesso miscellanei quanto a
tipologia dei materiali (lettere relative alla pubblicazione di un’opera, al
conferimento di un incarico professionale, ecc., raccolte con altre documentazioni sull’argomento), o soltanto epistolari (giudizi su una pubblicazione,
congratulazioni o condoglianze per un evento quali nascite, matrimoni, onorificenze, ecc.). In altri casi sarà evidente un ordine cronologico costruito sulla
semplice sedimentazione delle carte, non difficile da integrare, se presente ma
incompleto. Questa disposizione si rivelerà senza dubbio la più adatta a
illustrare il percorso biografico — studi, opere, contatti, relazioni, incarichi —
del nostro personaggio: richiederà tuttavia indicizzazioni analitiche a livello di
lettera, per permettere un recupero funzionale dei singoli mittenti da parte
dell’utenza.
All’interno della « corrispondenza » in molti casi non vi è un solo ordine:
in alcuni periodi, nell’arco della vita del nostro personaggio, la posta potrà
essere stata raccolta cronologicamente, in altri momenti ripartita per mittenti 14. La corrispondenza di lavoro può trovarsi separata in certi anni e non in
altri; talvolta soltanto per i corrispondenti ritenuti « i più importanti » viene
adottato un ordine alfabetico, tale da consentirne una più facile reperibilità.
Raramente la corrispondenza è accompagnata da un qualche strumento di
consultazione, come dicevamo: per lo più semplici indici, o schede per autore
che rinviano ai relativi anni o faldoni, redatti spesso a distanza di molto
14
Così per l’archivio Ungaretti, anche se probabilmente la divisione per mittente è da attribuire ad interventi successivi.
226
Caterina Del Vivo
tempo dai documenti a cui si riferiscono, magari durante la vecchiaia: più utili
dunque per capire quale assetto si volesse dare alle testimonianze del proprio
passato che per attestare un metodo di lavoro e di tenuta quotidiana delle
proprie carte. Dobbiamo inoltre considerare che per la ricostruzione della
figura del personaggio e del suo percorso biografico è fondamentale lo studio
dei singoli corrispondenti. Occorre dunque favorire quanto più è possibile
questo tipo di ricerca, oggi che gli strumenti informatici facilitano indicizzazioni, rinvii, authority files e via dicendo, al di là dell’effettivo ordine fisico
dei documenti.
In moltissimi casi, infine, ogni ordine primitivo è andato perduto.
Non è difficile ricostruire l’ipotetica vicenda di quelle carte. I pacchetti
delle lettere ricevute (centinaia, spesso addirittura svariate migliaia per ciascun archivio, per le personalità vissute fra la metà del secolo XIX e la metà
del XX, una sorta di età dell’oro della corrispondenza epistolare) legati con
nastrini, fermati con elastici, inseriti in buste troppo piccole per contenerli,
fissati con striscioline di carta chiuse da nastro adesivo, accompagnate da
indicazioni sommarie, sono stati accumulati nei cassetti, poi negli armadi,
nelle cantine, nelle soffitte; forse in età tarda, come si è accennato, il nostro
personaggio ha deciso di riprendere quei pacchetti, di « fare ordine », di
ritrovare gli scritti del poeta diventato famoso, le belle lettere dell’amico
morto in guerra, le lodi dell’antico maestro, i ricordi di una donna amata, le
polemiche dell’avversario, la riconoscenza dei più giovani. Buste e pacchetti
vengono aperti, le lettere in parte riorganizzate per mittente. Gli anni incalzano: raramente quel lavoro arriverà a fine. Lo riprenderanno forse, a più mani
e a più riprese, a distanza di lustri o di decenni, parenti, figli, nipoti, ex
segretarie affezionate e zelanti. Talvolta con improbabili e ambigue classificazioni: lettere di narratori, lettere di critici, lettere di romanzieri. Di fronte a
certe situazioni non ha più senso parlare di sedimentazione originaria o voluta
dal soggetto produttore: si potrà allora suggerire di non tener conto delle
suddivisioni adottate in tempi successivi se parziali, confuse e prive di funzionalità.
Quando poi non è possibile rintracciare un ordine primitivo, se insomma
il disordine regna sovrano, un operare pragmatico avrà la meglio sulla teoria.
La scelta può ricadere allora su un ordinamento univoco della corrispondenza:
ed il più funzionale, nella maggior parte dei casi, sarà proprio una fascicolazione per mittenti ordinati alfabeticamente, con scansione cronologica
interna 15. Come scrive Ariane Ducrot, « le classement alphabétique par correspondants », oltre a facilitare la ricerca per nome di personaggi noti,
15
Chi lavora a questo genere di archivi sa quanto sia più facile identificare i mittenti se la
corrispondenza ascrivibile ad una stessa mano viene accorpata e confrontata. Dunque, partendo
da una situazione di disordine, a vantaggio di una divisione per autore pesano i migliori risultati
scientifici relativi al singolo documento. Altrettanti risultati non si conseguono nella ricostruzione
cronologica, assai più difficile da puntualizzare per documenti non datati.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
227
c’est souvent l’ordre qu’avait choisi l’auteur du fonds. L’ordre chronologique
est cependant adopté pour les correspondances réunies dans un dossier relatif à une
affaire particulière, dont il permet de suivre le déroulement, ou à une correspondance
restreinte, n’émanant pas de personnalités connues 16.
Sulla stessa linea potrà essere accettato qualche limitato intervento sui
generis nell’interesse dell’utenza. Ad esempio, che l’archivista decida di
estrarre, con le dovute segnalazioni, le lettere di alcuni mittenti, vincolate per
lungo periodo a tutela della privacy, da un insieme ordinato cronologicamente, quando l’alternativa sarebbe di vincolare gli interi faldoni, imponendo a
tutto l’insieme la massima scadenza richiesta.
Infine il problema del regesto, o abstract, di un documento, applicato
principalmente alla corrispondenza. Se il regesto mira ad un’informazione
analitica del contenuto, tempi e problemi di ricerca connessi all’identificazione scientifica di persone, luoghi, titoli di opere e avvenimenti particolari
citati saranno di fatto i medesimi di un’edizione integrale: l’economia del
lavoro riguarda soltanto l’omissione della trascrizione testuale. Difficile
dunque pensare ad una applicazione totale del regesto classicamente inteso ad
archivi di grandi dimensioni, con svariate migliaia di pezzi di corrispondenza.
In questi casi sarà opportuna una maggiore sintesi; o, in alternativa, la scelta
di regesti per « fascicolo », anziché per singolo documento 17. Dovremo comunque sempre considerare che il compendio di uno o più documenti potrà
non rendere piena giustizia alla ricchezza dei contenuti, e implicare giudizi e
scelte. Potrà inoltre apparire insoddisfacente allo studioso, mantenendogli viva
l’esigenza di controllare direttamente il testo per accertare se è di suo interesse: limitando dunque il senso dell’operazione archivistica.
Si è accennato alla presenza impropria di nuclei aggregati all’archivio di
una personalità. Potrà trattarsi di nuclei appartenuti a parenti, spesso genitori,
zii o avi; in altri casi sarà probabile trovare, accanto alle carte del marito,
quelle della moglie, compresa l’eventuale corrispondenza a lei indirizzata 18.
Talvolta entrano a far parte del fondo carte pertinenti l’attività pubblica o di
lavoro; in particolare quando al personaggio in questione fa capo una piccola
impresa culturale, gestita in famiglia o fra amici, si creano connessioni fra
archivio dell’attività svolta e archivio personale: basti pensare alle carte delle
16
A. DUCROT, Le classement des archives de personnes et des familles, in « La Gazette
des Archives », 1998, n. 182-183, p. 221. Ad Ariane Ducrot devo molto anche per l’impostazione generale di queste mie pagine.
17
Il regesto per fascicolo/mittente è stato applicato con successo al Fondo Giacomo Antonini, presso l’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, dietro suggerimento di Emilio
Capannelli, funzionario della Sovrintendenza archivistica per la Toscana.
18
Cfr. in proposito L. MELOSI, Profili di donne. Dai Fondi dell’Archivio Contemporaneo
del Gabinetto Vieusseux, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001.
228
Caterina Del Vivo
piccole case editrici o dei periodici 19. Insiemi documentari ai quali verrà
mantenuta la loro autonoma struttura, pur evidenziando i legami con l’archivio principale.
Spesso gli archivi delle personalità sono stati affrontati con occhio, e approccio, biblioteconomico più che archivistico. Una consuetudine determinata
anche dalle circostanze: in passato infatti sono stati spesso destinati alla
conservazione in biblioteche, più che in archivi, magari al seguito di insigni
raccolte librarie del loro produttore. Di conseguenza si è talvolta ritenuto che
uno strumento informatico idoneo alla catalogazione libraria potesse essere
utilizzato, con poche modifiche, anche per i materiali d’archivio; e non
soltanto nelle descrizioni, ma anche come strumento di riordino. In altre
parole, con la convinzione che le sequenze algoritmiche preposte alla struttura
dei cataloghi librari permettano di riordinare anche il materiale archivistico, e
quindi di ricollocare fisicamente i documenti secondo quell’ordine. Così non
è; la struttura di un archivio, come è risaputo, è così mutevole e articolata
nelle relazioni fra documenti da non poter essere risolta con un numero fisso
e limitato di variabili di ordinamento, senza continue messe a punto. A
maggior ragione negli archivi di persona, dove, per le ridotte dimensioni
fisiche, l’articolazione è ancor più soggetta a cambiamenti.
Lo strumento informatico, oggi insostituibile nella professione archivistica, nella fase di riordino dovrà piegarsi ai suggerimenti di struttura che dà
soltanto il confronto diretto con le carte. Il contesto al quale si accennava in
apertura, esplicitato storicamente nella classica introduzione ad un inventario,
si pone come un significante il cui significato sarà rappresentato dall’organizzazione interna dell’archivio medesimo.
3. Una descrizione discreta. — La descrizione della singola unità archivistica (o del singolo documento), potrebbe dirsi, in termini generali, indipendente dall’organizzazione dell’archivio, e dunque dal suo riordino; tuttavia le
informazioni che contiene non possono — almeno in parte — non essere
correlate con il contesto di cui fa parte. Del contenuto non autonomo di
queste informazioni si dovrà quindi tener conto nella forma della descrizione,
e di conseguenza nell’adozione di uno standard descrittivo.
Il tema, oggi molto dibattuto in ambito archivistico generale, riguarda da
vicino gli archivi delle personalità. Infatti l’utilizzo di sistemi informatici presi
in prestito dal mondo delle biblioteche ha condotto molto spesso all’adozione
di strutture di record, e sort di stampa, secondo standard di tipo catalograficobiblioteconomico.
19
Valga l’esempio dell’archivio de « Il Marzocco »: impossibile distinguere la corrispondenza dei collaboratori al periodico e quella amicale inviata ai fratelli Angiolo e Adolfo Orvieto,
che lo hanno diretto per oltre trent’anni. Così anche per le lettere a Attilio e Enrico Vallecchi,
ancora presso l’Archivio Contemporaneo, ed ancora, in modo più o meno marcato a seconda dei
singoli personaggi, per alcuni dei direttori dello stesso Gabinetto Vieusseux.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
229
All’utilizzo di standard descrittivi in archivistica si è obiettato che possono limitare le peculiarità dei singoli archivi e del loro riordino, appiattire gli
strumenti di ricerca, e richiedere unità di descrizione molto analitiche, rallentando i tempi di inventariazione della totalità del fondo. A mio parere le
principali osservazioni da muovere all’adozione degli standard risiedono
altrove, mentre sono evidenti alcuni vantaggi immediati.
Mentre gli archivi tradizionali, fino al secolo XX, sono quasi esclusivamente cartacei, nel corso del Novecento la tipologia dei materiali si è notevolmente accresciuta: anche e tanto più per gli archivi delle personalità. Oltre
alle fotografie e ai documenti a stampa sui supporti più vari (inviti, biglietti,
tessere, ecc.), gli insiemi archivistici privati della seconda metà del Novecento
comprendono spesso registrazioni su nastro, su supporto elettronico, videocassette, CD e via dicendo. A queste testimonianze « tecnologiche » e proiettate
verso il futuro si può aggiungere una varietà di « documenti » in senso lato
che in altre epoche o venivano collocati nei musei, se di un certo valore, o
non venivano consegnati con le carte: collezioni di stampe, di cartoline, di
oggetti appartenuti al personaggio in questione, medaglie e onorificenze,
soprammobili. D’altronde alle carte e agli altri materiali spesso si affianca, nei
nostri fondi, una biblioteca privata: libri con dediche, chiose, annotazioni, un
« archivio librario » che costituisce quasi un’appendice alla documentazione
dell’attività del soggetto produttore 20. Tale pluralità di materiali che fanno
capo ad un’unica figura richiede di essere oggetto di descrizioni unificate e in
grado di dialogare fra loro: simili nella tipologia di informazioni, nel livello di
descrizione e nella terminologia usata. La normalizzazione favorisce in
particolare gli scambi e la diffusione dei dati; non può dunque considerarsi
meramente accademico il dibattito in corso intorno al linguaggio archivistico,
riassumibile nei termini: « ogni disciplina scientifica ha una sua terminologia
specifica, non si vede perché l’archivistica debba sfuggire alla regola ». Che
ogni archivio costituisca un unicum e debba essere riordinato nel rispetto delle
peculiarità specifiche, non può implicare, in termini di principio, che siano da
evitare standard e vocabolari controllati 21.
Oggi come sappiamo si fa strada l’utilizzo delle norme ISAD e
ISAAR, ideate appositamente per materiali d’archivio, ed i cui sviluppi
applicativi sono in corso; in contemporanea la mancanza di descrizioni di tipo
normalizzato nei vecchi inventari viene spesso superata con soluzioni informatiche, i cui risultati, assai variabili, sono da valutare caso per caso 22. Fino a
20
Cfr. L. DESIDERI, Le biblioteche d’autore dell’Archivio contemporaneo del Gabinetto
Vieusseux, in Conservare il Novecento… cit., pp. 58-71.
21
Fra gli ultimi contributi alla questione cfr. B. GALLANT, La terminologie archivistique:
options et limites pour les échanges internationaux, testo pubblicato negli abstracts delle
relazioni redatte per il XIV Congresso internazionale degli archivi tenuto a Siviglia nel settembre
2000.
22
Si cerca di partire, in genere, dal principio di « riutilizzo » dell’esistente: inventari e
schede su supporto cartaceo o in videoscrittura. Ciò può avvenire o tramite una scansione
230
Caterina Del Vivo
pochi anni fa tuttavia, per chi volesse adottare descrizioni a un tempo normalizzate, applicabili a molteplici materiali, e utilizzabili sullo strumento informatico, era inevitabile ricorrere a standard che traevano origine dall’ambito
biblioteconomico, più avanzato in questo settore. Così, ad esempio, si è fatto
ricorso alle Anglo-American Cataloguing Rules: « non destinate espressamente
a biblioteche speciali e archivistiche », come si dichiara in introduzione, per
le quali tuttavia si raccomanda « che queste biblioteche le usino come fondamento della loro catalogazione, aggiungendovi ciò che è necessario », e
ricordando la loro applicabilità « a qualsiasi materiale insolito o ancora oggi
sconosciuto » 23.
Se la normalizzazione descrittiva è autonoma dall’organizzazione delle
carte, dunque di per sé neutra nei confronti dell’operazione di riordino, sarà
tuttavia tanto più pertinente quanto più conterrà elementi che faciliteranno i
collegamenti e la contestualizzazione dell’insieme documentario. In altri termini, la sua funzionalità nei confronti di una corretta ricostruzione della
struttura dell’archivio dipende dalla validità delle informazioni contenute nelle
singole descrizioni in riferimento al contesto. Nel caso in cui la descrizione
risulti carente da questo punto di vista, sarà necessario inserire successivamente tali informazioni, a livello di inventario: suddivisioni, titolazioni, cappelli introduttivi alle sezioni ecc.
È chiaro allora che i limiti di una normalizzazione descrittiva non ideata
per il mondo degli archivi, ma applicata alle carte d’archivio, risiedono
principalmente in questo: nella mancanza di aree di informazioni sufficientemente connotanti i vincoli fra i documenti, e nell’assenza, a livello di singola
descrizione, di espliciti collegamenti fra le unità, che non siano dati dalla
semplice segnatura — dalla collocazione — dell’unità descritta, o dal titolo
uniforme utilizzato nelle descrizioni d’origine bibliografica, per sua natura
altra cosa rispetto alla ripartizione strutturale 24.
Per i materiali conservati negli archivi di personalità, soprattutto per poeti e letterati, si tende a privilegiare una descrizione a livello di singolo documento. Tale scelta, che pure comporta notevole impegno di tempo ed energie
digitale degli strumenti di ricerca, e la successiva immissione delle immagini ricavate in rete
(montate tramite link utilizzando linguaggi per la presentazione di pagine web); oppure, qualora
si possiedano testi già redatti su supporto magnetico, ricorrendo a « marcatori testuali » (come
XML) per gestire le principali informazioni di contesto e facilitare l’identificazione e la gestione
dell’informazione. Per i correlati problemi di authority che un tale procedere porta alla luce si
veda S. VITALI, L’authority control dei soggetti produttori d’archivio e la seconda edizione di
ISAAR (CPF) International standard archival authority record for corporate bodies, persons,
and families, nonché, per lo standard prototipo XML, D. V. PITTI, Encoded Archival Context
(EAC), relazioni al convegno: Authority Control - International Conference, Firenze, 10-12
febbraio 2003 (testi presenti in rete: <http//www.unifi.it/biblioteche/ac/it/home.htm>).
23
Regole di catalogazione angloamericane: seconda edizione, a cura di M. GORMAN e
P. W. WINKLER, ed. italiana a cura di R. DINI e L. CROCETTI, Milano, Editrice bibliografica,
1997, p. 1.
24
Cfr. ancora Regole di catalogazione... cit., pp. 129-130.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
231
lavorative, è considerata opportuna principalmente per due motivi. Primo,
perché l’importanza del documento — « oggetto » artistico o letterario — è
spesso di rilievo (dunque va evidenziata e comunicata), anche separatamente
dal contesto; secondo, perché in mancanza di collegamenti evidenti fra le
carte, e nella necessità di non essere troppo generici (anche ai fini patrimoniali), la descrizione di ogni documento, magari designato dall’incipit, si rivela
più semplice della ricostituzione o creazione di fascicoli, operazione che
richiede una conoscenza non superficiale dell’intero fondo. Dunque, ancora
una volta, il rischio da evitare sarà proprio quello di una eccessiva parcellizzazione dell’insieme, che ne comprometta la visione globale. Uno spoglio
— prendo in prestito non a caso il termine biblioteconomico — che non renda
più ardua la sintesi degli eventi di cui l’archivio è testimonianza.
Un altro problema si pone a corollario. Spesso è difficile, per gli archivisti, individuare e definire i limiti da porre al proprio approfondimento intorno
all’oggetto della descrizione. Si consideri ad esempio una categoria di documenti ampiamente presente negli archivi delle personalità della cultura, i
manoscritti letterari: in alcuni casi gli archivisti si sono chiesti se questi
possano essere considerati stricto sensu documenti d’archivio, essendo un
prodotto della creatività dell’autore, oltre che del suo operato 25. Dobbiamo
tuttavia ricordare che l’eventuale stesura definitiva (non sempre presente), o le
varie redazioni di un testo (comunque per lo più da considerare work in
progress) sono abitualmente accompagnate da una serie di materiali d’autore
di vario genere 26, il cui carattere è propriamente e classicamente archivistico:
tant’è vero che in passato si sono avute più volte difficoltà nel trattare quel
tipo di documentazione, quando la si è affrontata secondo un approccio
strettamente biblioteconomico. E d’altronde come potrà un qualsiasi lavoro
filologico procedere scientificamente senza l’esame di tutta questa documentazione propedeutica o collaterale?
In questi casi soltanto una collaborazione fra le diverse discipline conduce a risultati interessanti: grazie all’utilizzo, a livello di descrizione, di quanto
è pertinente a ciascuna. In termini più espliciti: il rispetto del principio del
vincolo archivistico nell’attuare un riordino nel contesto (si pensi al caso
classico di fascicoli miscellanei che raccolgono i materiali preparatori di
un’opera d’ingegno) coniugato al rigore della norma biblioteconomica, con
eventuali riferimenti anche alla codicologia, per la descrizione dell’unità o del
singolo documento. Una descrizione, dunque, puntuale ma leggera, che eviterà
25
Cfr. ad esempio A. DUCROT, Le classement des archives… cit., p. 220: « En France, la
majorité de ces archives sont conservées dans les bibliothèques. On considère en effet que les
manuscrits successifs de leurs oeuvres sont un complément indispensable à leurs livres pour en
étudier la genèse. En ce qui concerne les manuscrits littéraires, on peut d’ailleurs se demander si,
strictu sensu, ce sont des documents d’archives ».
26
Appunti, annotazioni, schede bibliografiche o terminologiche, fascicoli miscellanei con
fotocopie di testi altrui, ritagli di stampa di vario genere, corrispondenza inerente la ricerca in
corso per la stesura dell’opera, eccetera.
Caterina Del Vivo
232
di entrare nel merito di dissertazioni critiche. Come scrive ancora Zanni Rosiello, negli archivi delle personalità della cultura convivono documenti dell’attività
intellettuale e dell’operato legato alla realtà, materiali vari che: « Proprio perché
compositi ed eterogenei, sono un settore in cui non c’è posto per eccessivi
specialismi » 27.
Per quanto la peculiarità degli archivi delle personalità richieda abitualmente una descrizione analitica, ciò non significa che uno standard descrittivo, in questi casi, debba sempre essere applicato al documento singolo. Vista
l’eterogeneità del materiale, infatti, potrà essere necessario muoversi in deroga
alle norme abituali, e non adottare sempre lo stesso livello di descrizione:
circolari, ricevute, comunicazioni editoriali, ritagli di giornale e via dicendo
potranno essere trattati in modo meno analitico rispetto agli autografi. Lo
standard usato dovrà allora mostrarsi sufficientemente flessibile per rispondere
a queste diverse esigenze, così da poter essere applicato tanto a una singola
lettera d’autore quanto ad un fascicolo in forma di dossier, ad un pacco di
telegrammi o di ricevute, o ad una intera busta di ritagli di stampa, se il contesto
e l’economia del lavoro lo suggeriscono.
Quanto all’utilizzo dell’informatica, sappiamo bene che oggi è ancora di
fatto improponibile pensare di adottare tecnologie avanzate in assenza di una
qualsivoglia normalizzazione descrittiva. Per gli archivi di personalità, e in
particolare per i mittenti della corrispondenza, sarà particolarmente utile ricorrere anche ad authority file per l’individuazione dei soggetti produttori e delle
loro caratteristiche 28. L’uso dello strumento informatico, nel nostro caso,
potrà rivelarsi assai utile anche al di là del piano delle descrizioni. Le esigenze della ricerca possono non coincidere con il rispetto della struttura peculiare
del fondo, ma il mezzo informatico favorirà al massimo indicizzazioni plurime e sempre integrabili, superando quelle soluzioni pragmatiche che in
passato avevano potuto determinare lo smembramento di fascicoli in favore di
strutture alfabetiche o cronologiche, un tempo rese necessarie dall’ordine
univoco degli schedari cartacei. Sarà inoltre possibile riordinare e ricomporre
virtualmente archivi di persona spartiti fra più istituti o sedi, dei quali per vari
motivi può essere difficile ipotizzare una ricongiunzione fisica 29. E non ci si
27
I. ZANNI ROSIELLO, Strategie e contraddizioni conservative… cit., p. 140.
28
A tale esigenza come sappiamo dovranno rispondere anche le norme ISAAR, previste
per i soggetti produttori nei loro vari livelli e nelle loro varie forme: cfr. ancora quanto detto alla
nota 22.
29
Come è noto si tratta di un caso molto frequente: si pensi all’archivio Giorgini-Manzoni,
diviso fra Firenze e Milano, alle carte di Giuseppe Montanelli, conservate in parte a Firenze, ma
in quattro diverse sedi, e in parte a Genova e a Livorno; alle carte fiorentine di Prezzolini,
aggregate all’archivio Vallecchi presso il Gabinetto Vieusseux, che si intersecano con il grosso
archivio prezzoliniano di Lugano; all’archivio di Eduardo De Filippo, principalmente ancora al
Vieusseux, ma con nuclei a Roma e Napoli; all’archivio Gargàno, collocato a Roma, che integra
il grosso archivio Orvieto-« Il Marzocco » di Firenze (G. S. Gargàno fu a lungo redattore capo
del periodico degli Orvieto), ancora presso il Gabinetto Vieusseux, e via dicendo.
Gli archivi delle personalità e l’esperienza del Gabinetto Vieusseux
233
riferisce soltanto ad un accostamento in unico volume di più inventari, operazione già sperimentata con notevole successo, ma ad una vera e propria
integrazione virtuale, il cui risultato si mostrerà tanto più apprezzabile quanto
più simili saranno i criteri descrittivi adottati.
Oggi tutti concordiamo nell’affermare che qualsiasi scatto fotografico,
anche un’istantanea, non comunica la realtà, ma una sua immagine filtrata.
L’archivio di una personalità è rappresentazione di un percorso biografico e
di un operato: quanto, in termini archivistici, è giunto fino a noi, nel modo in
cui è giunto. Chi ne riordina le carte, come qualsiasi altro mediatore, sa di
non trovarsi di fronte ad una sorta di verità rivelata, così come sa di non
muoversi lui stesso in termini asettici, ma di interferire con il suo operato.
L’archivio di una personalità, « archivio non necessario », come e più di ogni
archivio, dovrà essere inteso come testimonianza parziale nel duplice significato del termine, e letto anche nei suoi aspetti di (auto)costruzione o manipolazione altrui di un personaggio. Spesso semplicemente per stima, per ammirazione o per affetto; in altri casi per ambizione, per invidie postume, per
meschinità domestiche. L’archivio è vestigia. Le pietre ricoperte di muschio, i
marmi ossificati dai secoli non riportano in vita il pulsare della vita mercantile
né le diatribe del foro: ne sono la traccia trascorsa nel tempo. Così come gli
archivi delle personalità raramente « riporteranno in vita » poeti e artisti in
tutto e per tutto tali quali erano, specchi fedeli della realtà scomparsa. Anche
di questo l’archivista dovrà prendere atto e farsi interprete.
CATERINA DEL VIVO
Gabinetto Vieusseux
Firenze
IL CONTRIBUTO DEGLI ARCHIVISTI
ALLA ENCICLOPEDIA ITALIANA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
1. L’organizzazione redazionale dell’Enciclopedia Italiana. — L’Istituto
Giovanni Treccani per l’Enciclopedia italiana, voluto da Giovanni Gentile e
Giovanni Treccani nel 1925 per dotare l’Italia di uno strumento enciclopedico
del quale era ancora priva, nacque con l’intento di coinvolgere tutto il mondo
culturale italiano nell’impresa, chiamando le menti più alte a collaborare con
ruoli diversi, di autore, di responsabile, di supervisore. Il Consiglio direttivo
dell’Istituto, oltre al direttore scientifico Gentile, comprendeva personaggi di
rango, Luigi Cadorna, Gaetano De Sanctis, Luigi Einaudi, Ferdinando Martini, Paolo Thaon di Revel ed altri 1.
L’Istituto iniziò subito, appena creato, la propria attività, con la redazione
degli « elenchi delle voci » (i Lemmari 2) necessari all’opera, materia per
materia, a cura dei rispettivi direttori delle sezioni istituite per dividere il
sapere secondo branche per lo più consolidate, ma con alcune novità di rilievo
in vari settori che ponevano l’Enciclopedia all’avanguardia in molti campi di
studio, sia scientifici che umanistici, dalla storia alla psicologia 3.
La storia, disciplina cui furono ricondotte tutte le voci archivistiche, fu
suddivisa in Storia medievale e moderna, Storia del Risorgimento, Storia
contemporanea: queste branche subirono diverse vicende nella nascita, nella
esistenza e nella direzione.
I direttori di sezione, spesso concordando con il direttore scientifico Gentile, una volta individuate le voci da inserire nell’opera, prendevano contatto
con gli studiosi ritenuti più idonei. Avutane l’adesione, dotavano ogni autore
di una « scheda di assegnazione » con l’indicazione dei lemmi a lui affidati.
Lo schedario di assegnazione delle voci, ordinato alfabeticamente per
sigla di collaboratore, affiancava lo schedario generale ordinato alfabeticamente per lemma e ottenuto dalla fusione dei Lemmari di tutte le discipline.
1
Per la storia dell’Enciclopedia e la sua organizzazione istituzionale cfr. G. NISTICÒ, L’organizzazione scientifico-editoriale, in La Treccani compie 70 anni. Catalogo della mostra, Roma
1995, pp. 163-167.
2
I Lemmari vennero stampati nel 1926.
Per le sezioni di storia cfr. D. CIONI, L’organizzazione della disciplina storica nella Enciclopedia italiana, in « Il Veltro », XLII (1998), 1-2, pp. 124-129.
3
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
235
È la lettura delle schede di assegnazione l’unico modo di conoscere,
almeno in linea di massima, le voci redatte da ciascun autore, giacché,
attraverso le sigle dei collaboratori (sciolte nella tavola relativa all’inizio di
ciascun volume), è possibile individuare l’autore del singolo lemma, ma non
il complesso delle voci da lui redatte.
Ma non sempre le informazioni sulle schede sono esaurienti o esatte:
molte assegnazioni erano fatte in modo informale, ad esempio quando occorreva sostituire un collaboratore non in grado di consegnare la voce; le variazioni non venivano trascritte sull’apposita scheda e neppure si provvedeva a
cancellare il nome della persona a cui era stato revocato l’incarico. Per
conoscere con una certa precisione l’insieme degli articoli redatti da un
collaboratore bisogna verificare sull’Enciclopedia quale sigla compare alla
fine della voce. Alcune voci non sono siglate: al posto della sigla può comparire un asterisco (*), che indica una stesura redazionale, oppure un autore
anonimo; è poi opportuno ricorrere alla corrispondenza del singolo collaboratore, qualora esista, per scoprire eventuali assegnazioni ulteriori. Ma la lacunosità dell’archivio dell’Enciclopedia 4 talvolta non consente i necessari
controlli.
Per i responsabili dell’Enciclopedia un problema di fondo era la revisione redazionale delle voci, necessaria per uniformare le trattazioni destinate
a un unico lemma o comunque bisognose di ritocchi. Molti autori, non concordando con le scelte e le rielaborazioni editoriali dell’Enciclopedia, chiedevano di non comparire come autori dell’articolo.
I direttori di sezione, il redattore capo e spesso anche il direttore scientifico intervenivano per mediare, anche se il lavoro dell’Ufficio coordinazione,
incaricato di adattare gli articoli e di fonderli in un’unica voce, non era mai
sconfessato.
L’importanza di una voce era data dalla lunghezza e dalle illustrazioni
che la corredavano. Le voci più importanti in assoluto sono quelle generali e
alcune voci geografiche, sotto le quali venivano ricondotte diverse trattazioni
riguardanti la storia, la geografia fisica, politica ed economica, le arti ed ogni
altro argomento attinente con quel riferimento geografico. La voce Italia va
dalla p. 693 alla p. 1051 del vol. XIX, la voce Roma dalla 589 alla 928 del
XXIX: nella loro lunghezza ed accurata stesura si riflette un atteggiamento
culturale strettamente connesso al periodo storico in cui nacque l’Enciclopedia.
Le voci erano corredate da una bibliografia, che nei casi di lemmi particolarmente complessi, dotati di suddivisioni interne, poteva essere ripartita
alla fine di ogni sezione.
4
G. NISTICÒ, L’Archivio storico della Treccani, in « Lettera dall’Italia », 1989, 13, p. 52;
ID., Un archivio storico per l’Istituto della Enciclopedia italiana fondata da Giovanni Treccani,
in « Rassegna degli Archivi di Stato », XLIX (1989), 1, p. 122; ID., Archivi del Novecento:
cultura e politica italiana negli archivi privati del ’900, in « Bollettino SISSCO », 1991, 3, p. 7.
Alessandra Cavaterra
236
Nella mente dei promotori dell’Enciclopedia la monumentale impresa
doveva essere affiancata da un Dizionario biografico degli italiani. L’elaborazione dello schedario, a partire da quello del duca Leone Caetani, messo da
questi a disposizione di Gentile, richiese diversi anni e un notevolissimo
impegno anche da parte delle Commissioni regionali istituite per la ricerca dei
personaggi d’ogni parte d’Italia da inserire nell’opera 5. Anche l’Enciclopedia,
per volere di Gentile, doveva contenere voci biografiche, benché più brevi
rispetto al Dizionario, che però stentava a vedere la luce. Bisognerà arrivare
al 1960 per vedere la pubblicazione del primo volume sotto la direzione di
Alberto Maria Ghisalberti.
L’Enciclopedia uscirà invece in otto-nove anni (tra il 1929 e il 1937) e
verrà rapidamente aggiornata a partire dal 1934, prima ancora della sua
conclusione. Gli aggiornamenti, editi all’inizio in fascicoli periodici, furono
riuniti nel 1938 a costituire un primo volume di Appendice. Seguì una
Seconda Appendice (1948-1949), in due volumi, alla ripresa dell’attività dell’Istituto, sotto la guida di Gaetano De Sanctis, che volle dare contemporaneamente alle stampe una seconda edizione, consistente nella ripubblicazione
integrale dei 37 volumi della prima edizione (compresi la Appendice e il
volume degli Indici, 1939). Oltre ad una nuova impostazione del frontespizio
che dà conto del mutato assetto scientifico-editoriale dell’Istituto, il primo
volume della seconda edizione contiene una Introduzione a firma di Gaetano
De Sanctis che spiega le ragioni dell’iniziativa.
Nel 1961 vide la luce una Terza Appendice in due volumi, che copre il
periodo dal 1948 al 1960, a cui seguì una Quarta Appendice (1978-1981, in
quattro volumi) con gli aggiornamenti dal 1961 al 1978. La Quinta Appendice, direttore Tullio Gregory, in cinque volumi — quasi un’opera a sé — fu
edita tra il 1991 e il 1994 con la finalità di dare la misura dei cambiamenti, a
volte epocali, avutisi nel mondo tra il 1978 e il 1992.
L’Appendice 2000, infine, ancora sotto la direzione di Gregory, in due
volumi di testo, due di immagini, e due di indici complessivi, vuole concludere l’intera opera celebrando altresì la fine del secolo.
2. Le voci tecniche. — Le voci inerenti l’archivistica furono previste dal
direttore della sezione Storia medievale e moderna, Gioacchino Volpe, cui
competeva la scelta degli articoli in materia e dei collaboratori. Ricomprese
tra le « voci di carattere generale » del Lemmario di Storia medievale e
moderna redatto da Volpe stesso, comprendevano Archivio (ma non Archivistica), Documento, Diplomatica, Paleografia e diverse altre riguardanti le
scienze ausiliarie della storia: Araldica, Cronologia, Genealogia, Sfragistica,
nonché alcune minori, anch’esse riferentisi alle stesse discipline, Albero
genealogico, Blasone, Calendario, Nobiltà, Regesto, Stemmi.
5
Cfr. D. CIONI, La biografia nazionale, in La Treccani compie 70 anni… cit., pp. 271-276.
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
237
Sulle vicende della voce Archivio e Archivistica esiste già un breve studio 6. Qui vale la pena sottolineare ciò cui poco prima si accennava, cioè che
nel Lemmario redatto da Volpe non è menzionata la trattazione relativa alla
teoria archivistica, chiaro indizio dell’ancora mancato raggiungimento di uno
status di disciplina autonoma.
Tuttavia in un secondo momento Gentile, scrivendo a Nicolini, ispettore
generale degli Archivi di Stato, incaricato di redigere la trattazione sugli
archivi, gli inviò un prospetto della voce definendola Archivio e archivistica 7.
La voce Diplomatica fu affidata a Cesare Manaresi dell’Archivio di Stato
di Milano. Il 4 aprile 1925, rispondendo a una lettera della redazione che lo
invitava ad entrare nel novero degli autori, dichiarava che « in linea di massima l’idea di collaborare all’Enciclopedia Italiana del Gentile non mi dispiace » 8; riferì poi i campi di studio a lui congeniali, come quello « sulle origini
delle imbreviature notarili » o « la diplomatica dei documenti privati lombardi » o ancora « nobiltà e titoli nobiliari della regione lombarda ».
Diplomatica è voce importante. D’altra parte, in quel periodo vigeva una
preminenza della diplomatica sulla scienza archivistica, anche se, come già
detto, si andava facendo strada una più solida teorizzazione del concetto di
archivio. Entrambe erano a loro volta subordinate alla storia: non a caso
l’espressione scienze ausiliarie era estremamente radicata, come conferma il
suo uso da parte dello stesso Manaresi a proposito della diplomatica 9 e di
Armando Lodolini in occasione dell’annuncio di un suo manuale in via di
pubblicazione presso Hoepli « sulla “diplomatica e le scienze ausiliarie della
storia” (araldica, sfragistica, archivistica ecc.) »10.
La voce Diplomatica consta di 10 colonne circa, dalla p. 954 alla 962 del
XII volume dell’Enciclopedia edito nel 1931. La voce è articolata in una
introduzione, in una Storia della diplomatica in corpo più piccolo, in una
Diplomatica generale, ripartita in Fattori del documento, Forma del documento, Caratteristiche dei documenti. Segue la parte che descrive la Diplomatica
speciale, con una introduzione e tre sezioni: Documenti sovrani, Documenti
pontifici, Documenti privati. Le tre partizioni sono a loro volta suddivise in
Caratteristiche interne e Caratteristiche esterne. L’articolo presenta un ricco
corredo iconografico scelto dallo stesso Manaresi: due tavole in b/n e 13
illustrazioni non numerate inserite nel testo, di cui una sulle tavolette cerate di
Pompei.
A. CAVATERRA, La voce « Archivio e Archivistica » di Eugenio Casanova nella Enciclopedia Italiana, in « Rassegna degli Archivi di Stato », LVII (1997), 1, pp. 37-45.
6
7
Ibid., p. 40.
ARCHIVIO STORICO DELL’ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA, Enciclopedia Italiana, Corrispondenza (d’ora in poi AS IEI, EI, L), fasc. « Manaresi », Manaresi a EI, 4 apr. 1925.
8
9
10
Ibidem.
AS IEI, EI, L, fasc. « Lodolini », Lodolini a Gentile, 9 gen. 1926.
Alessandra Cavaterra
238
Una voce cui si è dato dunque un rilievo adeguato che sottolineava la
sua posizione di preminenza nel campo dello studio del patrimonio documentario.
Quando a Manaresi venne poi chiesta una trattazione su Documento, egli
fece presente che intorno a tale soggetto aveva ampiamente trattato nell’articolo sulla diplomatica e suggerì un rinvio a questa voce 11. Il suggerimento
venne accolto: la voce Documento, di Francesco Carnelutti, risulta molto
breve (18 righe), generica, con due rinvii, a Prove e a Diplomatica.
La voce Paleografia fu affidata alla competenza di Luigi Schiaparelli,
« stabile » di Paleografia e diplomatica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia
dell’Università di Firenze, e di Paul Maas dell’Università di Königsberg.
La voce comprende una introduzione seguita da un paragrafo sulla Storia
degli studi paleografici, uno sulla Paleografia greca, entrambi di Paul Maas,
e da un’ampia subvoce sulla Paleografia latina, redatta da Schiaparelli, che
costituisce l’unico contributo dello studioso per l’Enciclopedia ed è uscito
postumo. L’intera voce è molto ampia, di circa 21 colonne, da p. 34 a p. 47
del XXVI volume pubblicato nel 1935 (Schiaparelli era morto l’anno prima);
otto sono le tavole fuori testo e moltissime le fotografie, gran parte delle quali
distribuite fra le 13 colonne che costituiscono lo scritto di Schiaparelli.
Le altre voci « minori » relative alle scienze ausiliarie della storia furono
ripartite per lo più tra Manaresi e Armando Lodolini. D’altra parte, gli archivisti, dediti agli studi di queste materie, erano i più indicati alla diffusione di
quei concetti.
Lodolini si offrì per tali scienze ausiliarie, e cioè « araldica, sfragistica,
archivistica » 12, sulle quali, « anche a giudizio del severo editore » poteva
vantare « una certa preparazione », e dichiarava che sarebbe stato « felice e
orgoglioso » se avesse potuto « mettere questa a disposizione dell’E. V. per
l’Enciclopedia Treccani » 13.
Il Lemmario di Storia medievale e moderna contiene (fino alla lettera C)
alcune postille di Gentile, e curiosamente queste riguardano quasi soltanto
argomenti attinenti le scienze ausiliarie; dato che accanto alle voci Acta
Sanctorum, Albero genealogico, Almanacco, Annuario, Antiquaria, Araldica,
Avanzi, Blasone è indicato il nome di Lodolini, ciò ha spinto alla convinzione
che il Lemmario sia stato postillato dopo il 12 febbraio 1926, data di arrivo
della lettera poco sopra citata. Oltre al nome dell’autore « papabile » sono
vergati alcuni numeri riferentisi alle colonne o alle righe costituenti la lunghezza ideale della voce.
11
AS IEI, EI, L, fasc. « Manaresi », Manaresi a redazione EI, 1° ago. 1928, dove si citano
due note della redazione, del 16 e del 26 luglio 1928, mancanti. La voce Diplomatica è stata
aggiornata nella Quinta Appendice della Enciclopedia Italiana (1992) da Alessandro Pratesi.
12
AS IEI, EI, L, fasc. « Lodolini », Lodolini a Gentile, 9 gen. 1926, citata.
13
Ibidem.
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
239
Ma solo tre degli articoli postillati con il nome di Lodolini furono poi effettivamente a lui affidati, e cioè Albero genealogico, Almanacco e Blasone
(nonché altri cinque, di cui uno, Genealogia, presente nel Lemmario).
Araldica fu svolta da Manaresi ed è voce autorevole e importante, di 27
colonne distribuite tra p. 924 e p. 947 del IV volume edito nel 1930, con otto
tavole in b/n e tre a colori, oltre a 31 illustrazioni più piccole: tutte le immagini furono fornite dallo stesso Manaresi. Quando gli venne proposto lo
svolgimento della voce Armi: Araldica, obiettò che era « del tutto superflua
dato che io ho trattato delle armi sotto la voce Araldica », ed infatti la trattazione sulle Armi non comprende riferimenti a questa disciplina, alla quale
rinviano invece le voci Corona nobiliare e Stemma, come da lui richiesto 14;
redasse invece Aquila: Araldica.
Lo scritto relativo ad Albero genealogico di Lodolini (vol. II, 1929, pp.
169-171) è di circa una colonna — contro le trenta righe annotate sul Lemmario — che si dilata in tre pagine per effetto delle illustrazioni 15, 4 tavole in
b/n più sei figure anch’esse in b/n: « Non si può ampliare di più per non
invadere il campo della voce Genealogia », rispondeva Lodolini il 19 ottobre
del 1928 ad una lettera della redazione di Storia medievale e moderna dello
stesso giorno 16; la missiva fu inviata per restituire il manoscritto della voce,
« completato come da istruzioni » 17.
Probabilmente la primitiva previsione di trenta righe si era rivelata
troppo povera; del resto le effettive necessità di spazio si chiarivano solo
quando il volume cominciava completamente a delinearsi, smentendo a volte
le previsioni fatte « a tavolino » da direttori di sezione, redattori e redattore
capo, a causa ad esempio della mancata consegna di alcune voci, illustrazioni,
oppure, al contrario, di trattazioni eccessivamente prolisse che sconfinavano
dai limiti prestabiliti.
Della voce Almanacco, di quattro colonne e mezzo circa (vol. II, 1929,
pp. 569-573), Lodolini stese la parte Storia, di due colonne, mentre il Lemmario ne prevedeva una. L’intera voce è costituita da una parte generale di Carlo
Alfonso Nallino (professore di Storia e istituzioni musulmane nella Facoltà di
Filosofia e Lettere dell’Università di Roma) e dalla parte sulla Bibliofilia di
Seymour de Ricci, studioso francese.
La voce Blasone è trattata in due parti, una generale di poche righe, redatta da Lodolini, a cui nel Lemmario era all’inizio affidata l’intera compilazione, e una intitolata Il blasone popolare di Raffaele Corso dell’Istituto
orientale di Napoli.
14
AS IEI, EI, L, fasc. « Manaresi », Manaresi a redazione EI, 1° ago. 1928, citata.
Le illustrazioni ricoprirono un ruolo fondamentale nell’Enciclopedia: Gentile ne capì il
valore didattico e volle l’opera riccamente ornata di disegni, figure e fotografie. Cfr. il catalogo
della mostra La Treccani compie 70 anni… cit, p. 395.
15
16
AS IEI, EI, L, fasc. « Lodolini », Lodolini a redazione EI, 19 ott. 1928.
17
La lettera della redazione è solo citata da Lodolini ma non è presente nel fascicolo.
240
Alessandra Cavaterra
Lodolini e Manaresi, ebbero altri incarichi per lo svolgimento di temi
inerenti alle materie finora citate, apparendo gli studiosi più apprezzati per
questo tipo di collaborazione.
Genealogia fu, come molte altre, voce di più autori e con una sfaccettatura cronologica. Nel volume XVI, del 1932, essa si presenta divisa in tre
parti, Bibbia, di Giuseppe Ricciotti, ecclesiastico, biblista, Antichità classica,
di Arnaldo Momigliano, Medioevo e epoca moderna, di Lodolini, che curò
anche la bibliografia. La voce non risulta molto lunga né ornata di figure o di
fotografie.
Per quanto riguarda la sfragistica, altra disciplina tradizionalmente inserita nel novero delle scienze ausiliarie, il tema venne trattato sotto tale specifico
lemma in modo molto sintetico da Manaresi (vol. XXXI, 1935), con un rinvio
a Sigillo, voce in origine non prevista dal Lemmario. Il contributo di Manaresi
a Sigillo, voce non breve e di molti autori, sembra poco consistente, limitato
all’introduzione, che appare comunque firmata da « G. Ben. » (Goffredo
Bendinelli, docente di Archeologia e Storia dell’Arte antica nella facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università di Torino). Potrebbe però essere sua la
sezione Diplomatica, siglata, forse per errore, F. Ro. (Filippo Rossi, direttore
presso la Sovrintendenza all’arte medievale e moderna di Firenze), autore del
paragrafo successivo, intitolato Storia artistica.
Dall’esame delle carte di archivio sembra che sia stata affidata a Manaresi anche la voce Cronologia, benché essa non compaia nella sua scheda di
assegnazione. Composta da più sezioni, una redazionale sull’Oriente (contrassegnata da un asterisco), una di Guido Giannelli (G.Gi.) dell’Università
cattolica di Milano sulla Grecia e Roma, e una di anonimo per il Medioevo e
l’età moderna, non presenta il nome di Manaresi, molto probabilmente perché
venne assai rimaneggiata, come notò egli stesso il 13 giugno 1931 scrivendo
alla direzione dell’Enciclopedia, con ogni probabilità al ricevimento delle
bozze: « Quanto allo smembramento che si è fatto della voce Cronologia,
poiché è stato suggerito dai fini enciclopedici, non ho nulla da obiettare ».
Qualcosa obiettò per la voce Nobiltà, assai articolata; essa era infatti
composta da una introduzione di Giovanni Sabini, libero docente di Diritto
pubblico nell’Università di Roma; un paragrafo sulla “Nobilitas” romana
diviso tra Giuseppe Cardinali, preside della Facoltà di Filosofia e Lettere
dell’Università di Roma e ordinario di Storia romana nella stessa facoltà, e
Manaresi, un altro sulla Nobiltà nel Medioevo e nell’età moderna, ancora di
Manaresi; infine da uno sulla Nobiltà nel diritto pubblico italiano — con un
subparagrafo sull’Ordinamento attuale in Italia — a metà fra Sabini e Manaresi, mentre la bibliografia non è firmata. Notava Manaresi: « Quanto alle
inserzioni di parti redatte da altri collaboratori, debbo osservare che ne è
risultata una certa discontinuità di pensiero, come ad esempio là dove io
avevo messo in rilievo che la nobiltà romana era connessa con l’ufficio e
non ereditaria, a somiglianza di quella medievale al tempo degli Ottoni. Per
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
241
il resto non posso che inchinarmi a chi in argomento ne sa certamente più
di me » 18.
Nell’ambito della materia cronologica Manaresi redasse gli articoli Era e
Data che comprendevano una parte redazionale e presentavano le medesime
scansioni: Grecia, Roma, Medioevo ed Età moderna.
Le competenze che i due autori dimostravano sono sintomatiche del tipo
di formazione allora richiesto agli archivisti che padroneggiavano assai meglio
le scienze ausiliarie della storia che la disciplina archivistica ancora in fase di
elaborazione. Non meraviglia del resto questa tendenza in un’epoca in cui la
storiografia era orientata per lo più al Medioevo e all’età moderna come
terreno nobile della ricerca, e le discipline ausiliarie erano un mezzo per
approfondire la conoscenza di quei periodi storici.
Il quadro archivistico si completa con le voci su Mabillon e Bonaini. Su
Jean (« Giovanni » nel Lemmario) Mabillon scrisse Manaresi, su Francesco
Bonaini Antonio Panella, dell’Archivio di Stato di Firenze. Anche Panella fu
un protagonista nella costruzione della Enciclopedia Italiana, con importanti e
numerosi interventi.
3. Le voci di cultura generale. — Negli elenchi dei collaboratori dell’Enciclopedia e in appendice al volume di Giovanni Treccani Enciclopedia
Italiana. Come e da chi è stata fatta (Milano 1947) è possibile rintracciare gli
autori delle singole voci. La ricerca è facilitata dalle specificazioni professionali e dai titoli scientifici che seguono il nome di ogni collaboratore. Ciò ha
consentito di individuare tra gli autori diversi archivisti dell’epoca, molti dei
quali impegnati negli Archivi di Stato, altri in archivi ecclesiastici o locali,
altri ancora stranieri.
Erano gli stessi collaboratori dell’Enciclopedia a declinare, insieme con
le loro generalità, i titoli professionali e accademici in un apposito modulo,
spedito loro a cura della segreteria con preghiera di rinvio. Qualche volta, per
errori o distrazioni dell’ufficio di segreteria, erano costretti a puntualizzazioni
o correzioni di quanto pubblicato. Forse è stato così anche nel caso di Armando Lodolini, che nel volume II dell’Enciclopedia (il primo a cui collaborò) fu definito « avvocato in Roma » 19, probabilmente perché la carta su cui
scrisse era intestata « Comm. Avv. Armando Lodolini. Pubblicista ». Dal III
volume in poi, dopo una intuibile ma non documentata puntualizzazione,
comparve come appartenente agli Archivi di Stato.
Gli archivisti chiamati a collaborare all’Enciclopedia furono trenta, di cui
ventidue dell’Amministrazione dello Stato, uno di un archivio locale (il
Civico di Milano) e sette di archivi ecclesiastici, di cui tre dell’Archivio
18
AS IEI, EI, L, fasc. « Manaresi », in particolare per la citazione, Manaresi a EI, 4 apr.
1934.
19
Ibid., fasc. « Lodolini », Lodolini a Gentile, 9 gen. 1926. Il suo ingresso negli Archivi di
Stato risale al 1909 a Modena, nel 1911 fu trasferito all’Archivio di Stato di Roma.
Alessandra Cavaterra
242
segreto vaticano 20. Certamente tra questi si trovano i più bei nomi dell’archivistica dell’epoca: Casanova, Lodolini, Manaresi, Panella, Vittani, Bonelli,
Loevinson, Re. Il numero di archivisti non è irrisorio se rapportato ai 3.266
autori chiamati a redigere le voci dell’Enciclopedia. Ai 28 si possono aggiungere 14 archivisti stranieri chiamati a dare il loro contributo ad un’opera che,
pur destinata alla cultura nazionale, voleva essere di amplissimo respiro.
Agli archivisti vennero comunque affidate non solo voci squisitamente
tecniche, ma anche altre di cultura più generale. La pratica quotidiana con i
documenti e con le fonti rendeva gli archivisti i ricostruttori ideali del substrato storico locale, nel quadro di un’opera sentita e pensata quale strumento per
rafforzare il senso di appartenenza ad una comune tradizione culturale: gli
archivisti rivestivano un ruolo non secondario nel portare o riportare alla luce
istituzioni, personaggi, azioni spesso minori, legati a determinate aree geografiche. Essi furono infatti tra i più prolifici autori di quelle biografie cui tanto
teneva Gentile 21 e non mancarono di fornire voci anche su famiglie patrizie
di ogni regione italiana.
Anche se in linea di massima le voci affidate agli archivisti non sono di
grande rilevanza, alcune di esse hanno un certo peso: ad Antonio Panella e a
Bernardino Barbadoro, entrambi dell’Archivio di Stato di Firenze, spettò il
compito di redigere, il primo una storia della Toscana dal V secolo d.C., il
secondo quella di Firenze, mentre a Georges Bourgin, delle Archives nationales di Francia, fu richiesta la storia di Parigi: la maggior parte delle collaborazioni riguardò tuttavia temi meno ampi. Va però anche detto che alcuni
archivisti vennero reclutati perché esperti di argomenti che esulavano dallo
specifico ambito delle discipline tecniche e dalla storia locale.
Va qui innanzitutto ricordato il napoletano Fausto Nicolini, ispettore generale degli Archivi di Stato 22 e docente di Letteratura italiana. La figura di
Nicolini, amico fidato di Gentile, è molto importante nella storia dell’Enciclopedia, perché grazie alle sue vaste competenze scrisse un buon numero di
voci (più di 70) e rivide molti lemmi altrui, fra cui Archivio e archivistica di
Casanova 23. La sua frequentazione con Gentile non gli impediva di essere in
rapporti di amicizia anche con Benedetto Croce, la cui rottura con il direttore
scientifico dell’Enciclopedia italiana era ormai insanabile. Sembra che Nicolini abbia tentato un riavvicinamento tra i due filosofi, stando alle lettere che
scriveva a Gentile a proposito di temi da inserire nei vari volumi, per i quali
suggeriva di rivolgersi a Croce che, come si sa, aveva rifiutato di collaborare
all’Enciclopedia 24.
Cfr. Appendice.
Per la preparazione del Dizionario biografico degli Italiani v. D. CIONI, La biografia nazionale… cit., pp. 272-274.
22
Sulla carica di ispettore degli Archivi di Stato cfr. E. LODOLINI, Organizzazione e legislazione archivistica italiana, Bologna 1989, pp. 411-413.
23
Cfr. A. CAVATERRA, La voce… cit., passim.
24
AS IEI, EI, L, fasc. « Nicolini », Nicolini a Gentile, 6 gen. 1928.
20
21
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
243
Nicolini, oltre a redigere numerose voci su personaggi napoletani, di
varia rilevanza, spaziando dal campo storico (Domenico Caracciolo, Gaetano
Filangieri, Pietro Giannone, Giambattista Marino, Luigi Settembrini) a quello
letterario ed artistico (attori e attrici, poeti ecc.), affrontò anche la biografia di
illustri europei del Cinque, Sei e Settecento, e soprattutto scrisse su molte
maschere italiane della Commedia dell’arte (Arlecchino, Brighella, Pulcinella,
Zani), su cui aveva una particolare competenza. Un collaboratore, dunque,
molto prezioso per l’Enciclopedia, nel quale Gentile riponeva grande fiducia,
tanto da nominarlo tra l’altro nel 1926 coordinatore della Commissione per
l’Italia meridionale per il Dizionario biografico 25.
L’estremo scrupolo scientifico di Nicolini lo portò a non accettare
l’incarico ricevuto da Gentile di redigere la voce Archivio, poi assegnata a
Casanova, in quanto dichiarò di non essere « la persona più adatta », giacché
« i miei studi di archivistica risalgono al 1908 » 26.
Un altro archivista napoletano, Alessandro Cutolo, fu incaricato di diverse voci, ventisette per l’esattezza, legate alla storia del Mezzogiorno, ma
con qualche eccezione (come quelle sull’antipapa Niccolò V e sullo Stato
dei Presidi).
Antonio Panella aveva invece una formazione più squisitamente tecnica
rispetto all’erudito Nicolini. Archivista di Stato, docente di Archivistica presso
la Scuola speciale per bibliotecari e archivisti paleografi dell’Università degli
studi di Firenze dal 1925 27, negli elenchi dei collaboratori è indicato fino al
vol. XX (1933) come archivista presso l’Archivio di Stato di Firenze, e in
seguito, dal XXI (1934) e fino alla fine (1937), direttore del medesimo archivio 28. Prima di lui, la carica di direttore era stata ricoperta da Bernardino
Barbadoro, anch’egli collaboratore dell’Enciclopedia che, assumendo nel 1931
quelle funzioni, scrisse a Gentile che ciò gli dava la possibilità di « restituire
all’Archivio di Stato la sua vera efficienza come istituto di cultura » 29. Barbadoro era contemporaneamente incaricato di Storia presso l’Istituto superiore di
magistero di Firenze, nonché direttore dell’« Archivio storico italiano » e vice
segretario del Consiglio direttivo della Deputazione di storia patria per le
province toscane. Barbadoro lasciò gli archivi per l’università nel 1932, e
Panella fu nominato suo successore.
La collaborazione di Panella fu consistente e continuativa: scrisse in 20
dei 35 volumi complessivi cominciando dal VI, per un totale di quasi 50 voci.
L’unico contributo di carattere archivistico è proprio la biografia di Bonaini
25
Cfr. A. CAVATERRA, La voce… cit., p. 38.
26
Ibidem.
27
E. LODOLINI, Archivistica. Principi e problemi, Milano 1984, p. 249.
Nei ruoli matricolari del personale dell’Amministrazione degli Archivi di Stato Panella è
indicato quale direttore dal 1932.
28
29
AS IEI, EI, L, fasc. « Barbadoro », Barbadoro a Gentile, 13 feb. 1931.
Alessandra Cavaterra
244
da lui in seguito ripresa 30; tutti gli altri, tranne due, sono biografie di uomini
o donne fiorentini o toscani, alcune delle quali relative a personaggi ragguardevoli, come Cosimo I de’ Medici, l’imperatore Leopoldo II (per la parte che
lo descrive quale granduca di Toscana), Pompeo Neri, Giuseppe Montanelli.
Non a caso la materia della collaborazione indicata nell’elenco dei collaboratori accanto al nome e ai titoli è « Storia toscana ». La voce di notevole
ampiezza Toscana. Storia (quasi otto colonne nel vol. XXXIV del 1937)
comincia, come si è detto, dal V sec. d.C., e presenta per il periodo precedente due rinvii; Etruschi: Storia e Etruria. La bibliografia, di una colonna e
mezzo, fu siglata da Sergio Camerani (Ser. C.), archivista dell’Archivio di
Stato di Firenze, che portò all’Enciclopedia questo solo contributo 31.
Alcuni anni prima, nel 1927, a Barbadoro era stata affidata la voce Firenze: Storia, pubblicata nel vol. XV del 1932. In un primo momento gli era
stata commissionata solo la parte di storia medievale 32, ma in seguito
l’impegno venne allargato alla parte moderna. Ne risultò una trattazione di più
di 12 colonne: « Giunto al 1530 sono rimasto imbarazzatissimo, non soltanto
per l’angustia dello spazio, ma anche perché le successive vicende appartengono piuttosto alla voce Toscana che a quella Firenze: ma credo di essermela
cavata bene, completando la voce attuale senza invadere quella futura. In tutto
l’articolo, che è contenuto nei rigorosi limiti di spazio assegnati, ho messo
in sobria evidenza tutti quei nomi che hanno riscontro in altre voci dell’Enciclopedia » 33. L’ultima frase dimostra una sensibilità enciclopedica piuttosto notevole: scrivere con questi accorgimenti significa porre il lettore in
grado di approfondire un argomento con cognizione di causa, in sintonia con
la funzione pedagogica dell’opera. Da un altro passo della lettera citata
Barbadoro sembra essere convinto che gli sarebbe spettata la trattazione
storica relativa alla Toscana. Ma nella scheda di assegnazione e nella corrispondenza non c’è traccia in proposito: la sua collaborazione terminò nel
1936 con il XXX volume (lettera « S »), ma già dal 1933 l’impegno si era
diradato.
È da notare che sugli elenchi dei collaboratori Barbadoro non risulta archivista di Stato, ma professore nel R. Istituto superiore di magistero di
Firenze; ciò non deve meravigliare perché anche quando nel 1931 venne
nominato direttore dell’Archivio di Stato di quella città, scriveva a Gentile
che non intendeva rinunciare alle sue « più vere vocazioni per l’insegnamento » 34. La sua qualifica di storico spiega del resto l’affidamento di tre
30
A. PANELLA, Archivisti italiani: Francesco Bonaini, in « Notizie degli Archivi di Stato »,
II, 1942, pp. 163-165.
31
In seguito, dal 1954 al 1969, Camerani divenne direttore di questo Archivio.
32
AS IEI, EI, L, fasc. « Barbadoro », Barbadoro a Gentile, 22 dic. 1927.
33
Ibid., Barbadoro a Gentile, 28 dic. 1931.
34
Ibid., Barbadoro a Gentile, 13 feb. 1931.
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
245
voci su alcune tipologie di fonti quali: Commentari, Cronaca, Diario. All’inizio riluttante, come emerge da una lettera in cui prega Gentile di dispensarlo
« dall’assumere Commentari, Cronaca, Diario, che ella ultimamente mi proponeva con sua cortese lettera del 27 ottobre [1930] », si lasciò in seguito
convincere e inviò gli articoli, seppure in leggero ritardo, ma « a scusarmi
dell’indugio valga l’aver io accettato certe voci non facili soltanto per spirito
di disciplina e per doveroso ossequio al suo desiderio » 35.
Umberto Dorini, direttore dell’archivio fiorentino prima della direzione
di Barbadoro, collaborò in modo limitato con appena cinque voci, per lo più
biografie di famiglie o personaggi fiorentini o toscani, a tre dei volumi dell’Enciclopedia, tra il 1929 e il 1931.
Anche Lodolini e Manaresi scrissero voci biografiche oppure su luoghi o
istituti medievali e moderni. Il primo pose la sua firma sotto le brevi biografie
di protagonisti minori del Risorgimento (Luigi Angeloni, Federico Campanella) e del romanista Antonio Bosio 36 nonché di due famiglie romane, Pamphilj
e Odescalchi; Manaresi fu l’autore di diversi articoli piuttosto brevi su istituzioni medievali lombarde (è sua, ad es. la voce Carroccio, il cui contenuto,
peraltro, non è esclusivamente lombardo, mentre lo è la bibliografia).
La collaborazione di Ermanno Loevinson, archivista prima a Roma con
l’incarico di « capo archivista » 37, poi direttore a Parma e a Bologna, esce
invece dall’ambito della storia locale. Loevinson fu contattato da Vittorio
Fiorini, responsabile della sezione di Storia del Risorgimento, una delle tre
nelle quali la materia storica venne divisa. In una lettera a Volpe del 10 aprile
1925 Loevinson riteneva di essere stato scelto da Fiorini per alcuni suoi scritti
su Garibaldi e sugli ufficiali napoleonici. Ma al tempo stesso informava Volpe
« nella sua qualità di direttore della sezione di Storia moderna », di essere
disponibile per una più ampia collaborazione, facendo presenti due campi
« coltivatissimi da me, seppure in via secondaria: storia tedesca medievale e
moderna e storia degli ebrei ». Ricordava di avere studiato storia medievale e
moderna all’Università di Berlino e di avere lì conseguito la laurea prima di
quella in Lettere all’Università di Roma; adduceva infine come titoli di merito
diverse sue pubblicazioni in italiano e in tedesco 38.
Il contributo di Loevinson fu imponente, con circa 80 voci distribuite in
vari volumi, tutte relative alla storia austriaca e tedesca. Per molte di esse
si servì di collaboratori, a nome dei quali chiese più volte compensi straordinari 39. Numerosissime sono le biografie, tra cui quelle di diversi Asburgo, di
35
Ibid., Barbadoro a Gentile, 7 apr. 1931.
La redazione della biografia di Antonio Bosio, autore di Roma sotterranea, ampio studio
sulle catacombe, fece attribuire a Lodolini, nell’elenco dei collaboratori, tra le materie trattate,
l’archeologia.
36
37
AS IEI, EI, L, fasc. « Loevinson », Loevinson a Volpe, 10 apr. 1925.
38
Ibidem.
39
Ibid., Loevinson a EI, 14 mar. 1928 e 22 mar. 1932.
Alessandra Cavaterra
246
Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht. Diverse sono anche le trattazioni
storiche di voci geografiche (Assia, Bamberga, Brandeburgo ecc.) e suo è
l’articolo sugli Junker.
L’impossibilità di stabilire con precisione il numero esatto di voci redatte
da Loevinson è dovuto al fatto che dalla corrispondenza risulta che egli inviò
all’Enciclopedia alcune trattazioni non incluse nella scheda di assegnazione e
pubblicate nei volumi senza sigla. L’unica identificabile di queste voci è la
breve biografia di Hitler, inviata nel 193140 e poi di nuovo « aggiornata,
rifatta, ampliata » nel luglio 1932 41, circa un anno prima della pubblicazione
nel XVIII volume (giugno 1933) nel quale fu inserita. La voce potrebbe non
essere siglata probabilmente perché, di solito, secondo una disposizione di
Gentile, le biografie dei personaggi viventi dovevano apparire anonime. Il
contenuto è estremamente cauto, senza giudizi sia pure velati.
Loevinson elaborò anche voci previste dal Lemmario, ma in seguito non
pubblicate (come Koller, Alessandro) a causa di scelte editoriali che hanno
portato a tagli consistenti del materiale a disposizione.
Sulle competenze di storia locale degli archivisti i responsabili dell’Enciclopedia fecero invece affidamento per altri lemmi. Se per Roma, data la
sua importanza — per così dire — ideologica, la trattazione venne affidata a
storici di fama, Giorgio Falco e Alberto Maria Ghisalberti, per Trento e
Trentino, zone con minoranze linguistiche, la scelta cadde su Antonio Zieger,
che nell’elenco dei collaboratori è qualificato come « direttore dell’Archivio
di Stato di Bolzano », anche se, secondo le fonti ufficiali, tale carica venne
ricoperta ad interim tra il 1930 e il 1935 da Fulvio Mascelli, direttore
dell’Archivio di Stato di Trento. Zieger collaborò a diversi volumi, dal XIV al
XXXV (venne contattato anche, come molti altri, per la II Appendice, 19471948) e in tutti la carica riportata nell’elenco dei collaboratori è quella di
responsabile dell’Archivio di Stato di Bolzano; ma nel vol. XXX (1936)
appare come direttore dello stesso Archivio un altro nominativo: Guido
Pantanelli 42 (G. Pant.), chiamato a trattare il lemma Sabbioneta.
È probabile che, dato l’interim di Mascelli, a Zieger sia stata affidata de
facto la responsabilità dell’Istituto, situazione rimasta tale anche quando
Pantanelli assunse la gestione dell’Archivio nel 1935 43. Non meraviglia che a
Pantanelli sia stata commissionata la voce Sabbioneta dato che come direttore
dell’Archivio di Stato di Mantova dal 1930 al 1935 poté acquisire una conoscenza diretta della storia di quel territorio. Un altro direttore dell’Archivio di
40
Ibid., Loevinson a EI, 22 mag. 1931.
41
Ibid., Loevinson a EI, 20 lug. 1932.
42
Sugli elenchi dell’Enciclopedia è erroneamente indicato il nome Giuseppe.
Zieger sarà poi direttore dell’Archivio di Stato di Trento dal 1943 al 1947. Cfr. L’attività dell’amministrazione archivistica nel trentennio 1963-1992. Indagine storico-statistica, a
cura di MANUELA CACIOLI, ANTONIO DENTONI-LITTA, ERILDE TERENZONI, Roma 1996, pp. 339
e 347.
43
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
247
Stato di Mantova, Pietro Torelli (1920-1930), fu autore di due voci, una sul
conte Carlo d’Arco, pittore mantovano, dunque di storia locale, e una più
generale e più impegnativa, Scolastici, di storia del diritto.
Continuando l’esame delle voci affidate agli archivisti appare riconfermata la preminenza delle biografie e della storia locale rispetto ad altre materie:
così, se per le biografie di Federico II e di Federico III, di altri re siciliani e
di Giovanni da Procida fu chiamato Giuseppe La Mantia, direttore dell’Archivio di Stato di Palermo, a cui furono affidate anche le trattazioni storiche
di Marsala e Monreale, ad Emilio Re, indicato prima come appartenente
all’Archivio di Stato di Roma (vol. II, 1929), poi (voll. III e VII, 1929 e
1930) direttore dell’Archivio di Stato di Napoli, furono commissionate le voci
di sei famiglie nobili romane. Bernardino Barbadoro ebbe a sua volta il
compito di redigere, oltre a quelle già citate, le voci Consorteria, Marzocco e
la biografia di Carlo di Valois; ad Antonio Panella si devono tra l’altro le
biografie di Cambray Digny, di Pompeo Neri, di Giangastone de’ Medici, di
Ferdinando di Lorena e di tanti personaggi minori operanti in Toscana tra il
Medioevo e il Risorgimento.
Eugenio Lazzareschi, direttore dell’Archivio di Stato di Lucca, scrisse tra
l’altro la biografia di Castruccio Castracani e voci su famiglie lucchesi, oltre
alla trattazione sul Volto Santo, la celebre scultura venerata nella cattedrale di
Lucca; Giovanni Cecchini, direttore dell’Archivio di Stato di Siena, fu incaricato della stesura della parte di storia medievale e moderna della voce Siena;
don Giovanni Drei 44, direttore dell’Archivio di Stato di Parma, redasse la
subvoce Storia dell’articolo su Bobbio; don Filippo Pottino, dell’Archivio di
Stato di Palermo, offri il suo contributo con la trattazione sulla famiglia
patrizia siciliana dei Lanza e la biografia di P. Lanza di Scalea. Anche ad
Emanuele Librino, « primo archivista nell’Archivio di Stato di Roma », come
recita la specifica professionale sull’elenco dei collaboratori del volume III, fu
commissionata, quale esperto di cultura siciliana — aveva in precedenza
prestato servizio presso l’Archivio di Stato di Palermo —, la biografia di
Tommaso Fazello, l’erudito cinquecentesco autore del monumentale De rebus
siculis.
Giuseppe Bonelli, dell’Archivio di Stato di Milano, e Giovanni Vittani,
direttore del medesimo Archivio, collaborarono all’Enciclopedia italiana con
una voce ciascuno, distinguendosi dagli altri per l’originalità del contributo. A
Bonelli venne commissionata una parte della storia della caccia (vol. VIII,
1930), ma enucleare il suo contributo non è facile: le scansioni della voce non
riportano al termine la sigla di nessuno degli autori, che compaiono tutti
insieme alla fine dell’articolo, per cui l’ipotesi più plausibile è che Bonelli
abbia scritto il paragrafo sulla caccia nel Medioevo e nell’età moderna.
Il nome di Giovanni Vittani, che scrisse la voce Vittani, famiglia nel
volume XXXV (1937), era stato fatto anni prima anche per la voce Archivio,
44
Drei e Pottino, di seguito citato, erano sacerdoti.
Alessandra Cavaterra
248
come attesta una postilla di Gentile che, su probabile suggerimento di Nicolini 45, prendeva in considerazione la possibilità di affidargli tale importante
trattazione. Nulla sappiamo sul seguito della vicenda: non si conoscono
contatti tra i responsabili dell’Enciclopedia e Vittani dato che manca il suo
fascicolo nell’archivio dell’Istituto, anche se esso doveva in origine esistere se
non altro per la collaborazione da lui prestata all’ultimo volume dell’opera.
L’unica cosa certa è che la voce Archivistica venne alla fine affidata non a
Vittani ma a Casanova.
Ancora per Milano ci furono qualificati interventi del direttore dell’archivio civico, Ettore Verga, anche in questo caso quasi esclusivamente di
natura biografica, Francesco I Sforza duca di Milano, Francesco II Sforza
duca di Milano, per esempio, e ancora Beatrice di Tenda, Bona Sforza, Gian
Galeazzo Sforza.
Si può dunque concludere che nella collaborazione degli archivisti all’Enciclopedia italiana prevalgano le voci biografiche affidate anche a chi era
stato chiamato ad intervenire su materie più specialistiche come Manaresi e
Lodolini.
Analogo ma non identico il destino per gli archivisti stranieri.
Spicca fra tutti il nome di Georges Bourgin, delle Archives Nationales di
Parigi, che scrisse per l’Enciclopedia circa 230 contributi, numero rilevantissimo che lo rende presente in tutti i volumi. Si tratta per lo più di voci non
lunghe, su molte città e personaggi francesi, ma di altre più ampie ed importanti, come Stati Generali (vol. XXXII, 1936), di due colonne e mezza,
Parigi. Storia (dal III sec. d.C.), di 6 colonne nel vol. XXVI, Legione
d’onore, 1 colonna, vol. XX (1933).
Bourgin coinvolse nella redazione delle voci due suoi collaboratori, Paul
Courteault e Henri Patry. Del primo, da non confondere con lo storico omonimo, non si conosce bene la qualifica: sulla scheda di assegnazione, dove era
annotata la professione, è indicata la sola provenienza, Parigi. Egli si limitò a
redigere la parte della voce Bordeaux riguardante i monumenti; H. Patry,
delle Archives Nationales, fu più prolifico, con 26 voci pubblicate tra biografie e trattazioni storiche di località.
Venne contattato anche Henri Courteault, « conservateur aux Archives
Nationales, Secrétaire général de la Société de l’histoire de France », come
egli stesso si definì nella scheda per la registrazione dei dati inviatagli
dall’Enciclopedia 46. Era figlio di Paul, storico francese, di cui gli venne
richiesta la biografia, che non fu però pubblicata. Anche altre voci di storia
francese da lui proposte (per es. Ecole des chartes 47, Fronda e altre) non
ebbero seguito.
45
Cfr. A. CAVATERRA, La voce… cit., pp. 38-39.
46
AS IEI, EI, L, fasc. « Courteault, Henri ».
Ecole des chartes, assente dall’Enciclopedia, era stata prevista dal Lemmario di Storia
medievale e moderna.
47
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
249
Un altro illustre archivista collaboratore fu José A. de Luna, dell’Archivo General de Indias di Siviglia autore di 111 voci di « storia spagnola e
ispano-americana », come informano molti volumi dove gli articoli di de Luna
compaiono.
Tra i collaboratori stranieri, si trovano quattro archivisti boemi, tra cui
Jan Novák, direttore dell’Archivio nazionale, il quale contribuì tra l’altro con
la parte storica su Zagabria e la biografia del vescovo di Praga, Adalberto.
Il direttore dell’Archivio federale di Berna, Heinrich Türler, collaborò
con articoli di « storia svizzera » come le trattazioni su Berna, Basilea, sul
Baden e sulla vita di personaggi storici svizzeri di varie epoche, e di « storia
dell’economia ».
Un archivista dell’Archivio di Stato di Vienna, Rudolf Wolkan, fu incaricato dell’importante voce sulla storia dell’Austria.
Pur richiedendo agli archivisti stranieri numerosissime biografie, la redazione sembrava maggiormente interessata ai contributi riguardanti la storia di
località o regioni.
Anche gli archivisti ecclesiastici collaborarono, per quanto di loro competenza, a voci biografiche, per lo più vite di santi, quali Filippo Neri di
Pericle Perali, dell’Archivio Vaticano, Giacinta, santa di Aniceto Chiappini,
« bibliotecario e archivista generale dei Frati Minori », Bruno, santo, di
Medardo Ilge, archivista della Certosa di Farneta nella provincia di Lucca,
Felice da Cantalice di Fredegando d’Anversa, archivista generale dei Frati
minori cappuccini.
Di maggiore spessore gli interventi di Bruno Katterbach, dell’Archivio
Vaticano, autore, per la voce Archivio e archivistica, della parte sull’istituzione ove prestava la sua opera. Per l’Enciclopedia scrisse anche Abbreviatori, Bolla, Breve.
4. Le voci Archivio e Archivistica (1948-1991). — La voce di Casanova
Archivio e archivistica, comparsa nel IV volume dell’Enciclopedia datato
1929, fu aggiornata nel primo volume della Seconda Appendice del 1948 da
Emilio Re nel lemma Archivio. La voce consta di una colonna (con ogni
probabilità richiesta esplicitamente dalla redazione dell’opera) ma, per effetto
delle tavole in b/n che illustrano la voce precedente, Architettura, essa abbraccia le pp. 232 e 241. L’articolo si apre con l’aggiornamento normativo.
La legge del 1939 viene riassunta in alcune righe e di essa sono citate le
novità più importanti: l’istituzione di un archivio in ogni provincia (« una
sezione d’archivio in ogni capoluogo di provincia »), la ricostituzione delle
Sovrintendenze per la vigilanza sugli archivi privati, di cui si sottolinea
l’importanza, la concentrazione degli archivi notarili anteriori al 1800 negli
Archivi di Stato. Gran parte della voce è dedicata agli archivi durante la
guerra e alle distruzioni subite, con riferimento quasi esclusivo alla situazione
italiana; la bibliografia contiene riferimenti alle pubblicazioni all’epoca più
250
Alessandra Cavaterra
recenti, cioè il periodico « Notizie degli Archivi di Stato » nato nel 1941 e il
volume Gli Archivi di Stato italiani (Bologna 1944) che costituisce una prima
guida del patrimonio documentario del nostro paese.
Né la Terza (1961) né la Quarta Appendice (1978-1981) previdero una
revisione, benché l’emanazione del d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409 avrebbe
potuto essere un’occasione per rinnovare il lemma; l’istituzione del Ministero
per i beni culturali e ambientali viene registrata nella Quarta con un accenno
sotto le voci Biblioteca e Restauro.
La Quinta Appendice (vol. I, 1991) contiene l’aggiornamento del tema
degli archivi nell’ambito della voce Beni culturali e ambientali, che si configura in sostanza come un excursus delle norme emanate nel settore. La voce
dunque è costituita da una serie di subvoci, Legislazione a tutela dei beni di
Raffaele Feola, di cinque colonne, a mo’ di introduzione, Beni archeologici di
Licia Vlad Borrelli, di una colonna e mezza, Beni artistici di Maria Luigia
Pagliani, di due colonne, Beni architettonici di Susanna Pasquali, anch’essa di
due colonne, Beni archivistici di Paola Carucci, di tre colonne circa, Beni
librari di Armando Petrucci, che consiste in poco più di una colonna. La voce
prende in esame la tutela dei beni culturali, ma, nonostante il titolo, mancano
quelli ambientali, a cui peraltro si accenna nella parte introduttiva, con un
rinvio alla voce Ambiente (non c’è però analogo rinvio alla voce Architettura
quando si tratta dei beni architettonici).
La voce Beni archivistici era stata affidata a Claudio Pavone, che suggerì
il nome di Paola Carucci. Il compito primario di illustrare oltre quarant’anni
di normativa ha impedito in gran parte di affrontare i progressi teoricodottrinali, anche se non manca un breve cenno alla sempre più rilevante
attività editoriale dell’Amministrazione archivistica dal 1980 in poi.
La subvoce si apre con le più importanti novità legislative introdotte tra
cui, in primis, la « legge sugli archivi », il d.p.r. 30 settembre 1963, n. 1409,
sopra citato e l’istituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali, con
d.l. 14 dicembre 1974, n. 657, convertito nella 1. 29 gennaio 1975, n. 5.
L’articolo non rinuncia a rimarcare alcune manchevolezze della normativa, quali le competenze lasciate al Ministero dell’interno in ordine alla consultazione anticipata di documenti riservati e la soppressione di un organo
consultivo collegiale in cui erano rappresentati archivisti e storici.
Nell’Appendice 2000 la trattazione sugli archivi a cura di Maria Guercio
ancora contenuta all’interno del lemma Beni culturali e ambientali, pur dando
conto delle norme più recenti — da quelle sulla consultabilità dei documenti
(l. 31 dic. 1996, n. 675 e d.lgs. 30 lug. 1999, n. 281) al testo unico sui beni
culturali (d.lgs. 29 ott. 1999, n. 490) —, dà largo spazio alla teoria, soprattutto in relazione alle nuove problematiche nate con l’innovazione tecnologica e
« l’introduzione dell’informatica nella fase di gestione e, ancor più, in quella
della creazione dei documenti ».
Un paragrafo della subvoce riguarda gli Archivi non statali di Gabriella
Nisticò, dove si sottolinea il crescente interesse di numerosi istituti culturali
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
251
per la salvaguardia e la valorizzazione della propria documentazione. Un
interesse che in questi ultimi anni si è esteso alla creazione di apposite reti
informatiche che permettono « una comunicazione tra fonti conservate in
luoghi diversi » per « integrare “virtualmente” ciò che è fisicamente separato », e per ricomporre in unità « i vari frammenti di una memoria comune ».
ALESSANDRA CAVATERRA
Istituto della Enciclopedia italiana
Alessandra Cavaterra
252
APPENDICE
ARCHIVISTI CHE HANNO COLLABORATO ALLA
ENCICLOPEDIA ITALIANA DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
ARCHIVISTI DI STATO
1. BARBADORO, Bernardino (B. B.) - AS Firenze
Alberti, conti (vol. II)
Anzilotti, Antonio (vol. III)
Campaldino (vol. VIII)
Carducci, Francesco (vol. VIII)
Carlo di Valois (vol. IX)
Cerchi (vol. IX)
Certaldo: Storia (vol. IX)
Commentari (parte generale) (vol. X)
Compagnacci (vol. X)
Compagni, Dino (vol. X)
Consorteria (vol. XI)
Cortona: Istituti di cultura, Storia (seconda parte) (vol. XI)
Cronaca (vol. XII)
Davidsohn, Robert (vol. XII)
Diario (vol. XII)
Donati, Corso (vol. XIII)
Fiesole: Storia (seconda parte) (vol. XV)
Firenze: Storia. Età medievale e moderna (vol. XV)
Frescobaldi (parte generale) (vol. XVI)
Giano della Bella (vol. XVI)
Gonfaloniere (vol. XVII)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
Gubbio: Storia (seconda parte) (vol. XVIII)
Malebranca, Latino (vol. XXII)
Marzocco (vol. XXII)
Monteaperti: La battaglia di Monteaperti (vol. XXIII)
San Genesio (vol. XXX)
2. BONELLI, Giuseppe (Gius. B.) - AS Milano
Caccia (vol. VIII)
3. CAMERANI, Sergio (Ser. C.) - AS Firenze
Bibliografia di Toscana. Storia (vol. XXXIV)
4. CASANOVA, Eugenio (Eu. C.) - AS Roma
Archivio e archivistica (vol. IV)
5. CECCHINI, Giovanni (Gio. Ce.) - AS Siena
Siena: Storia. Medioevo e età moderna (vol. XXXI)
6. CUTOLO, Alessandro (A. Cu.) - AS Napoli
Ladislao d’Angiò Durazzo, re di Napoli (vol. XX)
Luigi di Taranto, re di Sicilia (vol. XXI)
Luigi I d’Angiò, re titolare di Sicilia (vol. XXI)
Luigi II d’Angiò, re titolare di Sicilia (vol. XXI)
Luigi III d’Angiò, re titolare di Sicilia (vol. XXI)
Maria d’Enghien, regina di Sicilia (vol. XXII)
Maria di Blois (o di Châtillon), regina titolare di Sicilia (vol. XXII)
Marzano (vol. XXII)
Niccolò V antipapa (vol. XXIV)
Orsini del Balzo (prima parte) (vol. XXV)
Perrelli, monsignor (vol. XXVI)
Philo (anche Filo) (vol. XXVII)
Pipino conti di Altamura (vol. XXVII)
Presidi, Stato dei (vol. XXVIII)
Ripandelli (vol. XXIX)
Ruffo, Fabrizio, principe di Castelcicala (vol. XXX)
Sangro, di (vol. XXX)
Sangro, Raimondo di, principe di Sansevero (vol. XXX)
Sanseverino (vol. XXX)
253
Alessandra Cavaterra
254
Sanseverino, Ferrante, principe di Salerno (vol. XXX)
Serracapriola, Antonino Maresca, duca di (vol. XXXI)
Sorrento: Storia (seconda parte) (vol. XXXII)
Stefaneschi, Jacopo Gaetano (vol. XXXII)
Strongoli, principi di (vol. XXXII)
Torre Annunziata: Storia (vol. XXXIV)
Torre del Greco: Storia (vol. XXXIV)
Zurlo, Giuseppe (vol. XXXV)
7. DORINI, Umberto (U. D.) - AS Firenze
Albizzi (vol. II)
Albizzi, Rinaldo degli (vol. II)
Berardenga, abbazia della (vol. VI)
Dei, Andrea (vol. XII)
Dei, Benedetto (vol. XII)
8. DREI, Giovanni (G. Drei) - AS Parma
Bobbio: Storia (vol. VII)
9. LA MANTIA, Giuseppe (G. L. M.) - AS Palermo
Alagona (vol. II)
Bonavoglia, Chefez Mosè (vol. VII)
Butera: Principi di Butera (vol. VIII)
Federico II d’Aragona, re di Sicilia (vol. XIV)
Federico III d’Aragona, re di Sicilia (vol. XIV)
Giovanni da Procida (vol. XVII)
La Lumia, Isidoro (vol. XX)
Lanza (vol. XX)
Maria d’Aragona, regina di Sicilia (vol. XXII)
Marsala: Storia (seconda parte) (vol. XXII)
Martino il giovane, re di Sicilia (vol. XXII)
Monreale: Storia (vol. XXIII)
10. LAZZARESCHI, Eugenio (Eu. L.) - AS Lucca
Castracani, Castruccio (vol. IX)
Fiorentini, Francesco Maria (vol. XV)
Orsetti, Stefano (vol. XXV)
Rapondi (vol. XXVIII)
Sbarra (vol. XXX)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
Trenta (vol. XXXIV)
Volto Santo (vol. XXXV)
11. LIBRINO, Emanuele (E. Li.) - AS Roma
Fazello, Tommaso (vol. XIV)
12. LODOLINI, Armando (A. Lo.) - AS Roma
Albero genealogico (vol. II)
Almanacco: Storia (vol. II)
Angeloni, Luigi (vol. III)
Blasone (parte generale) (vol. VII)
Bosio, Antonio (vol. VII)
Campanella, Federico (vol. VIII)
Genealogia: Medioevo e epoca moderna (vol. XVI)
Odescalchi (vol. XXV)
Pamphili (o Pamfili) (vol. XXVI)
13. LOEVINSON, Ermanno (E. Loe.) - AS Bologna
Adler, Friedrich Wolfgang (vol. I)
Adler, Viktor (vol. I)
Adlerberg, conte Aleksandr (vol. I)
Ador, Gustave (vol. I)
Alberto Federico Augusto, re di Sassonia (vol. II)
Allenstein (vol. II)
Altenburg (vol. II)
Andechs (vol. III)
Andernach (vol. III)
Annaberg (vol. III)
Annweiler (vol. III)
Ansbach (vol. III)
Arenberg, conti e principi di (vol. IV)
Arnsberg (vol. IV)
Arnstadt (seconda parte) (vol. IV)
Asburgo, Carlo Stefano d’, arciduca d’Austria (vol. IV)
Asburgo, Giuseppe Carlo Lodovico d’, arciduca d’Austria (vol. IV)
Asburgo, Ottone d’, arciduca d’Austria (vol. IV)
Asburgo, Ranieri d’, arciduca d’Austria (vol. IV)
Asburgo, Sofia d’, arciduchessa d’Austria (vol. IV)
Aschaffenburg: Storia (vol. IV)
255
Alessandra Cavaterra
256
Aschersleben: Storia (vol. IV)
Assia: La contea, poi langraviato e principato d’Assia, Il langraviato, poi principato elettorale di Assia-Cassel, Il langraviato, poi granducato di AssiaDarmstadt, Il langraviato di Assia-Homburg (vol. V)
Auersperg, Adolph (vol. V)
Auerspeg, Karl VIII, duca di Gottschee, conte di Wels (vol. V)
Auerswald, Rudolph (vol. V)
Babenberg (vol. V)
Bamberga: Storia, Il principato vescovile di Bamberga (vol. VI)
Barnim (vol. VI)
Battenberg, famiglia (vol. VI)
Bayreuth: Storia (vol. VI)
Berg, contea, poi ducato, infine granducato di (vol. VI)
Bielefeld: Storia (vol. VI)
Bingen: Storia (vol. VII)
Bonn (vol. VII)
Boppard: Storia (vol. VII)
Brandenburgo (vol. VII)
Braunsberg (vol. VII)
Breisach (vol. VII)
Brisgovia (vol. VII)
Brühl, Heinrich, conte di (vol. XVI)
Gerlach, Ernst Ludwig von (vol. XVI)
Gotha: Il congresso di Gotha (vol. XVII)
Grünne, Karl Ludwig, conte di (vol. XVII)
Haase, Hugo (vol. XVIII)
Hainisch, Michael (vol. XVIII)
Hammer, Johann Bernhard (vol. XVIII)
Hartig, Franz, conte von (vol. XVIII)
Helfferich, Karl (vol. XVIII)
Herbst, Eduard (vol. XVIII)
Hertling, Georg, conte di (vol. XVIII)
Hitler, Adolf
48
(vol. XVIII)
Hoensbroech, Paul, conte di (vol. XVIII)
Hohenlohe-Ingelfingen, Adolf, principe di (vol. XVIII)
Hohenlohe-Schillingsfürst, Chlodwig sesto principe di (vol. XVIII)
Hohenlohe-Schillingsfürst, Konrad, principe di (vol. XVIII)
48
Voce edita senza sigla.
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
257
Hohenwart, Karl Siegmund von (vol. XVIII)
Hohenzollern, Adalbert, principe di Prussia (vol. XVIII)
Hohenzollern, Leopold, principe di Hohenzollern e conte di Sigmaringen (vol.
XVIII)
Holstein, Friedrich August von (vol. XVIII)
Junker (vol. XX)
Kapp, Wolfgang (vol. XX)
Kellersperg, Ernst Leopold, barone di (vol. XX)
Khevenhüller (vol. XX)
Ketteler, Wilhelm Emmanuel (vol. XX)
Kopp, Georg (vol. XX)
Kremsier (vol. XX)
Kühlmann, Richard von (vol. XX)
Lammasch, Heinrich (vol. XX)
Liebknecht, Karl (vol. XXI)
Liebknecht, Wilhelm (vol. XXI)
Lützow, Ludwig Adolf, barone di (vol. XXI)
Luxemburg, Rosa (vol. XXI)
Marx, Wilhelm (vol. XXII)
Mayer, Wilhelm (vol. XXII)
Menger, Max (vol. XXII)
Montenuovo, Wilhelm Albrecht (vol. XXIII)
Württemberg, Albrecht, duca di (vol. XXXV)
14. MANARESI, Cesare (Ce. M.) - AS Milano
Aquila: Araldica (vol. III)
Araldica (vol. IV)
Ariberto da Antimiano (vol. IV)
Carroccio (vol. IX)
Chiaravalle Milanese (vol. IX)
Costanza: La pace di Costanza (vol. XI)
Data (vol. XII)
Diplomatica (vol. XII)
Era (vol. XIV)
Mabillon, Jean (vol. XXI)
Martesana (vol. XXII)
Morena, Acerbo (vol. XXIII)
Morena, Ottone (vol. XXIII)
Morimondo (parte generale) (vol. XXIII)
Alessandra Cavaterra
258
Motta (vol. XXIII)
Nobiltà: Ordo senatorius, La nobiltà nel medioevo e nell’età moderna, Araldica
(vol. XXIV)
Raul, Sire (vol. XXVIII)
Sant’Ambrogio, Banco di (vol. XXX)
Sant’Ambrogio, Credenza di (vol. XXX)
Sant’Ambrogio, Monastero di (vol. XXX)
Seprio (vol. XXXI)
Sfragistica (vol. XXXI)
Sigillo: Introduzione, Diplomatica (vol. XXXI)
15. NICOLINI, Fausto (F. N.) - Ispettore generale degli Archivi di Stato
Altilio, Gabriele (vol. II)
Arlecchino (vol. IV)
Astore, Francesco Antonio (vol. V)
Baldacchini, Francesco Saverio (vol. V)
Baldacchini, Michele (vol. V)
Baronio, Cesare (vol. VI)
Basile, Adriana (vol. VI)
Basile, Giambattista (vol. VI)
Bianchini, Francesco (vol. VI)
Botta, Carlo (vol. VII)
Bracco, Roberto (vol. VII)
Brighella (vol. VII)
Burattino (vol. VIII)
Cammarano (vol. VIII)
Cantù, Carlo (vol. VIII)
Capece, Scipione (vol. VIII)
Caracciolo, Domenico (vol. VIII)
Carafa, Antonio (vol. VIII)
Carafa, Diomede (vol. VIII)
Caravita, Nicola (vol. VIII)
Cortese, Giulio Cesare (vol. XI)
De Ferrariis, Antonio (vol. XII)
Della Porta, Giambattista (vol. XII)
Del Tuppo, Francesco (vol. XII)
De Rosa, Loise (vol. XII)
Di Giacomo, Salvatore (vol. XII)
Egizio, Matteo (vol. XIII)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
259
Epinay, Louise-Florence-Pétronille Tardieu d’Esclavelles, detta Madame d’ (vol.
XIV)
Farsa (vol. XV)
Filangieri, Carlo (vol. XV)
Filangieri, Gaetano (vol. XV)
Filomarino (vol. XV)
Fogliani d’Aragona, Giovanni, marchese di Pellegrino (vol. XV)
Fuentes (vol. XVI)
Galiani, Celestino (vol. XVI)
Galiani, Ferdinando (vol. XVI)
Giannone Pietro (vol. XVI)
Giovanni d’Angiò (vol. XVII)
Giovio, Paolo (vol. XVII)
Giustiniani, Lorenzo (vol. XVII)
Gravina, Gian Vincenzo (vol. XVII)
Gregorio XII, papa (vol. XVII)
Gregorio XIII, papa (vol. XVII)
Gregorio XIV, papa (vol. XVII)
Gregorio XV, papa (vol. XVII)
Grimani, Vincenzo (vol. XVII)
Guacci, Maria Giuseppina (vol. XVIII)
Guicciardini, Lodovico (vol. XVIII)
Marino, Giambattista (vol. XXII)
Memmo, Andrea (vol. XXII)
Michaud, Joseph (vol. XXIII)
Michiel, Marcantonio (vol. XXIII)
Montefredini, Francesco (vol. XXIII)
Montalambert (de) (vol. XXIII)
Montalambert, Charles Forbes, conte di (vol. XXIII)
Mornay, Philippe du Plessis (vol. XXIII)
Napoli: Storia, Teatro di prosa, Letteratura dialettale e folklore (vol. XXIV)
Nicolini, Nicola (vol. XXIV)
Nitti, Francesco (vol. XXIV)
Pufendorf, Samuel (vol. XXVIII)
Pulcinella (vol. XXVIII)
Sarnelli, Pompeo (vol. XXX)
Scala, Flaminio (vol. XXX)
Settembrini, Luigi (vol. XXXI)
Sgruttendio, Felippo (vol. XXXI)
Alessandra Cavaterra
260
Summonte, Pietro (vol. XXXII)
Valletta, Giuseppe (vol. XXXIV)
Vico, Giambattista (vol. XXXV)
Volpicella (vol. XXXV)
Zani (vol. XXXV)
16. PANELLA, Antonio (A. Pan.) - AS Firenze
Bartolommei, Ferdinando, marchese (vol. VI)
Bonaini, Francesco (vol. VII)
Cambray Digny, Luigi Guglielmo, conte di (vol. VIII)
Canestrini, Giuseppe (vol. VIII)
Capei, Pietro (vol. VIII)
Ciampolini, Luigi (vol. X)
Cosimo I, granduca di Toscana (vol. XI)
Cosimo II (vol. XI)
Cosimo III (vol. XI)
De Laugier, Cesare (vol. XII)
Deputazione di storia patria (vol. XII)
Fabbroni, Giovanni Valentino Mattia (vol. XIV)
Ferdinando I de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XV)
Ferdinando II de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XV)
Ferdinando III di Lorena, granduca di Toscana (vol. XV)
Francesco I de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XV)
Franchetti, Augusto (vol. XV)
Galluzzi, Jacopo Riguccio (vol. XVI)
Giangastone de’ Medici, granduca di Toscana (vol. XVI)
Gianni, Francesco Maria (vol. XVI)
Leopoldo II imperatore (seconda parte) (vol. XX)
Lorena, duchi di (vol. XXI)
Lorena, Ferdinando di (vol. XXI)
Malenchini, Vincenzo (vol. XXII)
Mari, Adriano (vol. XXII)
Maria Luisa di Borbone (vol. XXII)
Marzucchi, Celso (vol. XXII)
Mayer, Enrico (vol. XXII)
Mazzini, Andrea Luigi (vol. XXII)
Mazzoni, Giuseppe (vol. XXII)
Montanelli, Giuseppe (vol. XXIII)
Montani, Giuseppe (vol. XXIII)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
Montazio, Enrico (vol. XXIII)
Neri, Pompeo (vol. XXIV)
Nerli, Filippo (vol. XXIV)
Paoli, Cesare (vol. XXVI)
Riccardi (vol. XXIX)
Ricci (vol. XXIX)
Ridolfi (vol. XXIX)
Rinuccini (vol. XXIX)
Rucellai (vol. XXX)
Serristori, Luigi (vol. XXXI)
Toscana. Storia (vol. XXXIV)
Valussi, Pacifico (vol. XXXIV)
Zerbi, Antonio (vol. XXXV)
17. PANTANELLI, Giuseppe (G. Pant.) - AS Bolzano
Sabbioneta: Storia (vol. XXXI)
18. POTTINO, Filippo (F. Po.) - AS Palermo
Lanza (vol. XX)
Lanza di Scalea, Pietro 49 (vol. XX)
19. RE, Emilio (E. R) - AS Napoli
Albani (vol. II)
Altieri (vol. II)
Anguillara (vol. III)
Annibaldi (vol. III)
Boncompagni e Boncompagni-Ludovisi (vol. VII)
Borghese (vol. VII)
20. TORELLI, Pietro (P. Tor.) - AS Mantova
Arco, Carlo conte d’ (vol. I)
Scolastici (vol. XXXI)
21. VITTANI, Giovanni (G. Vitt.) - AS Milano
Vittani (vol. XXXV)
49
Voce pubblicata senza sigla.
261
Alessandra Cavaterra
262
22. ZIEGER, Antonio (An. Z.) - AS Bolzano
Eppan, conti di (vol. XIV)
Gaissmayr, Michele (vol. XVI)
Lodron - Laterano (vol. XXI)
Merano: Storia (vol. XXII)
Ortenburg, Albrecht, conte di (vol. XXV)
Riva: Storia (vol. XXIX)
Rovereto: Storia (vol. XXX)
Tolomei, Ettore (vol. XXXIII)
Trentino: Storia (seconda parte) (vol. XXXIV)
Trento: Storia (seconda parte) (vol. XXXIV)
Vigilio (vol. XXXV)
ARCHIVISTI COMUNALI
VERGA, Ettore (E. V.) - Archivio civico di Milano
Ambrosiana, Repubblica (vol. II)
Balestrieri, Domenico (vol. V)
Beatrice di Tenda, duchessa di Milano (vol. VI)
Bona Sforza, regina di Polonia (vol. VII)
Caravaggio: Il santuario di Caravaggio (vol. VIII)
Corio, Bernardo (vol. XI)
Francesco I Sforza, duca di Milano (vol. XV)
Francesco II Sforza, duca di Milano (vol. XV)
Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (vol. XVI)
Gian Galeazzo Sforza, duca di Milano (vol. XVI)
ARCHIVISTI
ECCLESIASTICI
1. CENCI, Pio (P. Ce.) - Archivio segreto vaticano
Arsenio, vescovo di Orte (vol. IV)
2. CHIAPPINI, Aniceto (An. C.) - bibliotecario e archivista generale dei Frati minori,
Roma
Ferraris, Lucio (vol. XV)
Francesco Solano, santo (vol. XV)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
263
Frati minori 50 (vol. XVI)
Gerardo da Borgo S. Donnino (vol. XVI)
Gerardo di Odone (vol. XVI)
Giacinta Mariscotti, Santa (vol. XVI)
Giovanni di S. Facondo, santo (vol. XVII)
Hickey, Antonio (vol. XVIII)
La Haye, Jean (vol. XX)
Leonardo da Porto Maurizio, santo (vol. XX)
Marcellino da Civezza (vol. XXII)
Mario da Calascio (vol. XXII)
Motolinia, Toribio da Benavente, detto (vol. XXIII)
3. D’ANVERSA, Fredegando (F. d’A.) - archivista generale dei frati minori cappuccini
Angelo d’Acri, beato (vol. III)
Angelo Calreno, detto da Cingoli, beato (vol. III)
Bernini, Giuseppe (vol. VI)
Carli, Dionigi (vol. IX)
Fedele da Sigmaringen, santo (vol. XIV)
Felice da Cantalice, santo (vol. XIV)
Frati minori 51 (vol. XVI)
Giovanni Pili da Fano (vol. XVII)
Lorenzo da Brindisi (vol. XXI)
Matteo da Bascio (vol. XXII)
4. ILGE, Medardo (M. I.) - Archivista della Certosa di Farneta (LU)
Bruno o Brunone, san (vol. VII)
5. KATTERBACH, Bruno (B. K.) - Archivio Segreto Vaticano
Abbreviatori (vol. I)
Archivio e archivistica: Archivio vaticano (vol. IV)
Bolla (parte generale) (vol. VII)
Breve (vol. VII)
6. MONTICONE, Giuseppe (Giu. Mon.) - Archivista della Congregazione di Propaganda
Fide
Propaganda Fide (vol. XXVIII)
50
Voce svolta con Fredegando d’Anversa (F. d’A.).
51
Voce svolta con Aniceto Chiappini (An. C.).
Alessandra Cavaterra
264
7. PERALI, Pericle (P. Pe.) - Archivio segreto vaticano
Acquapendente (vol. I)
Aldobrandeschi (vol. II)
Bagnoregio: Storia (vol. V)
Filippo Neri, santo (vol. XV)
ARCHIVISTI STRANIERI
1. BOURGIN, Georges (G. Bou.) - Parigi, Archives nationales
Aiguillon (prima parte) (vol. II)
Ailly, Pietro di (vol. II)
Aimoino (vol. II)
Aix: Battaglia delle Acque Sestie (vol. II)
Albi (vol. II)
Albret (vol. II)
Alençon. La contea di Alençon (vol. II)
Alfonso, conte di Poitiers e di Tolosa (vol. II)
Alvernia: Storia (vol. II)
Amboise (vol. II)
Anger: Storia (vol. III)
Argenson: Marc-Pierre de Voyer, conte d’ (vol. IV)
Arles: Regno d’Arles (vol. IV)
Armagnac: I conti di Armagnac (vol. IV)
Armagnacchi (vol. IV)
Artois (seconda parte) (vol. IV)
Arturo I, duca di Bretagna (vol. IV)
Arturo III, duca di Bretagna e conte di Richemont (vol. IV)
Aubusson, Pierre d’ (vol. V)
Aumale: Storia (vol. V)
Aumont (vol. V)
Austrasia (vol. V)
Autun: Storia (vol. V)
Auxerre: Storia (vol. V)
Avesnes (vol. V)
Bar-Le-Duc: Storia (vol. VI)
Bazard, Saint-Amand (vol. VI)
Béarn: Storia (vol. VI)
Beaucaire (vol. VI)
Beaujeu (vol. VI)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
Beaumanoir (vol. VI)
Bedford, John Plantagenet, duca di (vol. VI)
Belfort: Storia (vol. VI)
Belle-Isle, Carlo Luigi Augusto Fouquet, conte, poi duca di (vol. VI)
Bergerac: Storia (vol. VI)
Berry: Storia (vol. VI)
Berry, Carlo di Francia, duca di (vol. VI)
Berry, Gilles le Bouvier, detto le Héraut (vol. VI)
Berry, Giovanni di Francia, duca di (vol. VI)
Bertrada 52 (vol. VI)
Berwick, James Fitzjames, duca di (vol. VI)
Besançon: Storia. L’età medievale e moderna (vol. VI)
Béthune: Storia (vol. VI)
Béziers: Storia (vol. VI)
Bigorre (vol. VI)
Biron, Armand de Gontaut, barone di (vol. VII)
Blois: Storia (vol. VII)
Boigne, Benoît-Leborgne, conte di (vol. VII)
Bonneval, Claude-Alexandre, conte di (vol. VII)
Borgogna: Storia (vol. VII)
Bosone, re di Provenza (vol. VII)
Bouillon: La contea poi ducato di Bouillon (vol. VII)
Bourges: Storia. L’età medievale e moderna (vol. VII)
Bouthillier, Claude de (vol. VII)
Bresse: Storia (vol. VII)
Brest: Storia (vol. VII)
Brienne-le-Château: Conti di Brienne (vol. VII)
Brunechilde (vol. VII)
Burgundi (vol. VIII)
Caen: Storia (vol. VIII)
Calais: Storia (vol. VIII)
Carcassona. Storia (vol. VIII)
Carpentras: Storia e monumenti (vol. IX)
Carrier, Jean-Baptiste (vol. IX)
Chaumette, Pierre-Gaspard (vol. IX)
Clermont-Ferrand: Medioevo e epoca moderna (vol. IX)
Collot d’Herbois, Jean-Marie (vol. X)
52
Voce edita senza sigla.
265
Alessandra Cavaterra
266
Corbie (vol. XI)
Corday d’Armont, Marianne Charlotte de (vol. XI)
Couthon, George (vol. XI)
Daguesseau, Henri-François (vol. XII)
Dax: Storia (vol. XII)
Die: Storia (vol. XII)
Dieppe: Storia (vol. XII)
Digione: Storia (vol. XII)
Douai: Storia (vol. XIII)
Dreux: Storia (vol. XIII)
Ducos, Pierre Roger (vol. XIII)
Dunkuerque: Storia (vol. XIII)
Entragues (o Entraigues), Catherine-Henriette de Balzac d’ (vol. XIV)
Épernon (vol. XIV)
Épinal: Storia (vol. XIV)
Ermengarda, contessa di Carcassonne (vol. XIV)
Ermengarda, regina di Provenza (vol. XIV)
Essarts, Pierre des (vol. XIV)
Evreux: Storia (vol. XIV)
Fleuranges (o Floranges), Robert III de la Marck, sire de (vol. XV)
Flote (o Flotte), Pierre (vol. XV)
Foix: La contea di Foix (vol. XV)
Francia, Isola di (vol. XV)
Frayssinous, Denis-Luc (vol. XVI)
Fulrado, santo (vol. XVI)
Garin (Guarin o Guérin), frate (vol. XVI)
Gay, Jules (vol. XVI)
Gebhart, Émile (vol. XVI)
Giovanni I re di Francia (vol. XVII)
Giovanni II re di Francia (vol. XVII)
Goffredo il bello, detto Plantageneto, conte di Angiò e duca di Normandia (vol.
XVII)
Gozlin (o Gozlen, Gaucelin o Gauslin), vescovo di Parigi (vol. XVII)
Guglielmo V il Grande, duca di Aquitania (vol. XVIII)
Guglielmo IX il Giovane, duca di Aquitania (vol. XVIII)
Guglielmo, il Bretone (vol. XVIII)
Guibert de Nogent (vol. XVIII)
Halphen, Louis 53 (vol. XVIII)
53
Voce edita senza sigla.
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
Hénault, Charles-Jean-François (vol. XVIII)
Houssaye, Henri (vol. XVIII)
Huillard-Bréholles, Jean-Louis-Alphonse (vol. XVIII)
Incmaro, arcivescovo di Reims (vol. XVIII)
Ingeborga, regina di Francia (vol. XIX)
Joigny (vol. XIX)
Jordan, Edouard (vol. XIX)
Jouffroy, Jean (vol. XIX)
Jouvenel des Ursins (vol. XIX)
Joyeuse (vol. XIX)
Isabella di Baviera (vol. XIX)
Isabella di Francia, regina d’Inghilterra (vol. XIX)
Issoudun (vol. XIX)
Juge, Boffile de (vol. XX)
Jusseraud, Jean-Adrien-Antoine-Jules (vol. XX)
Lanfrey, Pierre (vol. XX)
Langlois, Charles-Victor (vol. XX)
Lavisse, Ernst (vol. XX)
Legione d’onore (vol. XX)
Le Tellier, Michel 54 (vol. XX)
Le Tellier, Michel 55 (vol. XX)
L’Hospital, Michel de (vol. XXI)
Linguadoca: Parte introduttiva, Storia (vol. XXI)
Lionne, Hugues de (vol. XXI)
Madelin, Louis (vol. XXI)
Mathiez, Albert (vol. XXII)
Maulde de la Clavière, Marie-Alphonse-René de (vol. XXII)
Metz: Storia (vol. XXIII)
Mignet, François-Auguste-Marie (vol. XXIII)
Nancy: Storia (vol. XXIV)
Nantes: Storia (vol. XXIV)
Naquet, Alfred (vol. XXIV)
Narbona: Storia (vol. XXIV)
Nemours: Introduzione, I duchi di Nemours (vol. XXIV)
Nérac (vol. XXIV)
Nevers: Storia (vol. XXIV)
Nîmes: Storia (vol. XXIV)
54
Statista.
55
Teologo.
267
Alessandra Cavaterra
268
Noailles (vol. XXIV)
Noirmoutier: Storia (vol. XXIV)
Normandia (parte generale) (vol. XXIV)
Noyon: Storia (vol. XXIV)
Orange: Storia (seconda parte) (vol. XXIV)
Orléans: Storia, Il ducato di Orléans (vol. XXV)
Parigi: Storia (vol. XXVI)
Pasquier, Etienne (vol. XXVI)
Pau: Storia (vol. XXVI)
Périgueux: Storia (vol. XXVI)
Péronne: Storia (vol. XXVI)
Perpignano: Storia (vol. XXVI)
Perrens, François-Tony (vol. XXVI)
Perron, Pierre Cuiller, detto (vol. XXVI)
Petit-Dutaillis, Charles Edmond 56 (vol. XXVII)
Petitot, Claude Bernard (vol. XXVII)
Piccardia: Storia (vol. XXVII)
Pigaud, Albert 57 (vol. XXVII)
Pihtou, Pierre (vol. XXVII)
Poitiers: Storia (vol. XXVII)
Poitou: Storia (vol. XXVII)
Polignac (vol. XXVII)
Pontigny (vol. XXVII)
Provins: Storia (vol. XXVIII)
Quicherat, Jules (vol. XXVIII)
Rambaud, Alfred (vol. XXVIII)
Rebenac, François de Pas-Feuquières, conte di (vol. XXVIII)
Reims: Storia (vol. XXIX)
Rennes: Storia (vol. XXIX)
Roberto I d’Artois (vol. XXIX)
Roberto I, conte d’Artois detto il Buono o il Valente (vol. XXIX)
Roberto II, conte d’Artois detto l’Illustre o il Nobile (vol. XXIX)
Roberto il Forte (vol. XXIX)
Roberto il Pio, re di Francia (vol. XXIX)
Roberto I duca di Normandia (vol. XXIX)
Roberto II duca di Normandia (vol. XXIX)
Romier, Lucien (vol. XXX)
56
Voce edita senza sigla.
57
Voce edita senza sigla.
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
Rossiglione (vol. XXX)
Rouen. Storia (seconda parte) (vol. XXX)
Sagnac, Philippe 58 (vol. XXX)
Saint-Germain des Près (vol. XXX)
Saint-Germain en Laye: Storia (vol. XXX)
Saint-Malo: Storia (vol. XXX)
Saint-Omer: Storia (vol. XXX)
Saintonge: Storia (vol. XXX)
Saint-Priest, François-Emmanuel-Guignard (vol. XXX)
Saint-Réal, César Vischard de (vol. XXX)
Sainte-Marthe, Gaucher III, detto Scévole e Louis de (vol. XXX)
San Quintino: Storia (vol. XXX)
Séguier, Pierre (vol. XXXI)
Ségur, Louis Philippe, conte de (vol. XXXI)
Ségur, Philippe Paul, conte de (vol. XXXI)
Seignobos, Charles 59 (vol. XXXI)
Semblançay, Jacques de Beaune, signore di (vol. XXXI)
Senlis: Storia (vol. XXXI)
Sigeberto (vol. XXXI)
Sigeberto di Gembloux (vol. XXXI)
Simone di San Quintino (vol. XXXI)
Soissons: Storia (vol. XXXII)
Sorel (Sorelle o Soreau), Agnès (vol. XXXII)
Stati Generali: Stati Provinciali (vol. XXXII)
Steeg, Théodore (vol. XXXII)
Strasburgo: Storia (vol. XXXII)
Suger de Saint-Denis (vol. XXXII)
Tardieu, André-Eugène-Gabriel (vol. XXXIII)
Tolosa: Storia (seconda parte), La contea di Tolosa (vol. XXXIII)
Tours. Storia (vol. XXXIV)
Trochu, Louis-Jules (vol. XXXIV)
Troyes: Storia (vol. XXXIV)
Turenna: Storia (vol. XXXIV)
Vaillant, Jean-Baptiste-Philippe (vol. XXXIV)
Vaissete (o Vaissette), Jean-Joseph (vol. XXXIV)
Valenciennes: Storia (vol. XXXIV)
Valentinois (seconda parte) (vol. XXXIV)
58
Voce edita senza sigla.
59
Voce edita senza sigla.
269
Alessandra Cavaterra
270
Valois, Joseph-Marie-Noël (vol. XXXIV)
Vermandois: Storia (vol. XXXV)
Versailles: Storia (vol. XXXV)
Vienne: Storia (seconda parte) (vol. XXXV)
Viennese (Viennois) (vol. XXXV)
Viviani, René-Raphaël (vol. XXXV)
Waddington, William Henry (vol. XXXV)
Waldeck-Rousseau, Pierre-Marie-Ernest (vol. XXXV)
2. CZOTOWSKI, Alessandro (A. Cz.) - Leopoli, Archivio municipale
Leopoli: Storia (prima parte) (vol. XX)
3. DE LUNA, José A. (J. A. d. L.) - Siviglia, Archivo general de Indias
Colombia: Storia (vol. X)
Costa Rica: Storia (vol. XI)
Ecuador: Storia (vol. XIII)
Eldorado (vol. XIII)
Ermenegildo, santo (vol. XIV)
Escoiquiz, Juan (vol. XIV)
Federmann, Nikolaus (vol. XIV)
Figueroa y Cordoba, Alonso de Luna (vol. XV)
Freire, Ramon (vol. XVI)
Galizia: Storia (vol. XVI)
Garay, Juan de (vol. XVI)
Garcia, Fernandez, conte di Castiglia (vol. XVI)
Garcia del Rio, Juan (vol. XVI)
Gasca, Pedro de la (vol. XVI)
Giamaica (prima parte) (vol. XVI)
Goyeneche, Josè Manuel (vol. XVII)
Granata: Storia (vol. XVII)
Guatemala: Storia (vol. XVIII)
Guayaquil: Storia (vol. XVIII)
Haiti: Storia (vol. XVIII)
Hatuey (vol. XVIII)
Heredia, Pedro (vol. XVIII)
Herrera, Nicolas (vol. XVIII)
Huayna Capac (vol. XVIII)
Huelva: Storia (vol. XVIII)
Huesca: Storia (vol. XVIII)
Jaca: Storia (vol. XVIII)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
Jaen: Storia (vol. XVIII)
La Mar, José de (vol. XX)
Las Heras, Juan (vol. XX)
Laso de la Vega, Francisco (vol. XX)
Laso de la Vega, José Silvestre (vol. XX)
Lautaro (vol. XX)
Lima: Storia (vol. XXI)
Liniers y de Bremont, Santiago de (vol. XXI)
Lopez de Zuniga, Francisco, marchese di Baides (vol. XXI)
Luque, Ferdinando de (vol. XXI)
Malaga: Storia (quarta parte) (vol. XXI)
Martinez de Irala (vol. XXII)
Martinez de Rosas, Juan (vol. XXII)
Martinica: Storia (vol. XXII)
Mendoza: Storia (vol. XXII)
Mendoza, Antonio de (vol. XXII)
Mendoza, Pedro (vol. XXII)
Montejo, Francisco de (vol. XXIII)
Monteverde, Domingo de (vol. XXIII)
Montevideo: Storia (vol. XXIII)
Moreno, Mariano (vol. XXIII)
Mosquera, Rodrigo o Rui García (vol. XXIII)
Muñoz Cabrera, Ramón (vol. XXIV)
Murillo Toro, Emanuele (vol. XXIV)
Nuñez, José (vol. XXV)
Pacheco, Juan (vol. XXV)
Pacheco, Pedro (vol. XXV)
Pacheco, Toribio (vol. XXV)
Padilla, Juan Lopez de (vol. XXV)
Padilla, Lorenzo de (vol. XXV)
Padilla, Maria de (vol. XXV)
Paez, José Antonio (vol. XXV)
Pardo, Manuel (vol. XXVI)
Paz, la: Storia (vol. XXVI)
Pelagio (Pelago), re delle Asturie (vol. XXVI)
Pellegrini, Carlos (vol. XXVI)
Pereira, José Francisco (vol. XXVI)
Pérez Caballero y Ferrer, Juan (vol. XXVI)
Pí y Margall, Francisco (vol. XXVII)
Pinto, Francisco Antonio (vol. XXVII)
271
Alessandra Cavaterra
272
Portales, Diego José Victor (vol. XXVII)
Posada Herrera, José (vol. XXVIII)
Prado, Mariano Ignacio (vol. XXVIII)
Quintana, Manuel (vol. XXVIII)
Quiroga, Juan Facundo (vol. XXVIII)
Ramirez, Norberto (vol. XXVIII)
Ramiro II re di León (vol. XXVIII)
Ramiro III re di León (vol. XXVIII)
Recaredo, re visigoto di Spagna (vol. XXVIII)
Ribeiro, Juan Antonio (vol. XXIX)
Rivadavia, Bernardino (vol. XXIX)
Rivera, Fructuoso (vol. XXIX)
Roca, Vicente Ramón (vol. XXIX)
Roca de Togores y Carrasco, Mariano, marchese de Molins (vol. XXIX)
Rocafuerte, Vicente (vol. XXIX)
Rodriguez de Almella, Diego (vol. XXIX)
Roncisvalle (seconda parte) (vol. XXX)
Ruiz Zorrilla, Manuel (vol. XXX)
Saldanha, Juan Carlos d’Oliveira Daun, duca di (vol. XXX)
Sanchez Guerra, José (vol. XXX)
Sancio III, re di Castiglia detto el Deseado (vol. XXX)
San José: Storia (vol. XXX)
San Salvador: Storia (vol. XXX)
Santander: Storia (vol. XXX)
Santander, Francisco de Paula (vol. XXX)
Santiago: Storia (vol. XXX)
Santiago de Cuba: Storia (vol. XXX)
Santos: Storia (vol. XXX)
Segovia: Storia (vol. XXXI)
Serrano y Dominguez, Francisco (vol. XXXI)
Siviglia: Storia (seconda parte) (vol. XXXI)
Soria: Storia (vol. XXXIII)
Sucre: Storia (vol. XXXII)
Tarragona: Storia (seconda parte) (vol. XXXII)
Toledo: Storia 60 (vol. XXXIII)
Tolosa: Storia (vol. XXXIII)
Tudela: Storia (vol. XXXIV)
Vaca de Castro, Cristobal (vol. XXXIV)
60
La sigla indicata (J.F.R.) è errata.
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
273
Valdivia: Storia (vol. XXXIV)
Valdivia, Pedro de (vol. XXXIV)
Valparaiso: Storia 61 (vol. XXXV)
Velazquez de Cuellar, Diego (vol. XXXV)
Vitoria: Storia (vol. XXXV)
Zamora: Storia (vol. XXXV)
4. GRAZIANI, Paolo (P. Gr.) - Ajaccio, Archives départementales de la Corse-du-Sud
Ajaccio (seconda parte) (vol. II)
Arena, Bartolomeo (vol. IV)
Bacciocchi (vol. V)
Bacciocchi, Felice (vol. V)
Bastia: Storia (vol. VI)
Bonifacio: Storia (vol. VII)
5. JANOUŠEK, Emanuele (Em. J.) - Praga, Ministero dell’agricoltura
Tesin: Storia (vol. XXXIII)
6. JENŠOVSKÝ, Bedřich (B. J.) - Praga, Státní ústřední archiv
Bruna (Brno, Brünn): Monumenti (vol. VII)
Budejovice (Budweis): Storia (vol. VIII)
Harrach, Ernst Adalbert (vol. XVIII)
Harrach, famiglia (vol. XVIII)
Jost (Jodocus, Giodoco), margravio di Moravia (vol. XIX)
Kinsky (vol. XX)
Kolovrat (vol. XX)
Lobkovic (vol. XXI)
Martinic (vol. XXII)
Nostic (vol. XXIV)
Pernstejn (vol. XXVI)
Rabstejn (vol. XXVIII)
Rozmberk (vol. XXX)
Šternberk (vol. XXXII)
Vratislao di Mitrovice (vol. XXXV)
Waldstein (anche Wallenstein) (vol. XXXV)
61
La sigla indicata (S.A.d.L.) è errata.
Alessandra Cavaterra
274
7. KRISTEN, Zdeněk (Z. K.) Praga, Státní ústřední archiv
Hradec Králové: Storia (vol. XVIII)
Jáchymov: Storia (vol. XVIII)
Karlovy Vary: Storia (vol. XX)
Kolín: Storia (vol. XX)
Krumlov: Storia (vol. XX)
Liberec: Storia (vol. XXI)
Litoměřice: Storia (vol. XXI)
Litomyšl (vol. XXI)
Mariánské Lázně: Storia (vol. XXII)
Most: Storia (vol. XXIII)
Münsterberg (vol. XXIV)
Nitra: Storia (vol. XXIV)
Olomouc: Storia (vol. XXV)
Opava: Storia (vol. XXV)
Pardubice, Ernesto di (vol. XXVI)
Plzeň: Storia (vol. XXVII)
Poděbrady (seconda parte) (vol. XXVII)
Příbram (seconda parte) (vol. XXVIII)
Venceslao I re di Boemia (vol. XXXV)
Venceslao II re di Boemia e di Polonia (vol. XXXV)
Venceslao III re di Boemia, di Polonia e di Ungheria (vol. XXXV)
Vratislao I duca di Boemia (vol. XXXV)
Vratislao II duca e più tardi primo re di Boemia (vol. XXXV)
Znojmo: Storia (vol. XXXV)
8. MONICAT, Jacques (J. Mo.) - Parigi, Archives nationales
Harcourt (vol. XVIII)
Harcourt, Henry de Lorraine, conte di (vol. XVIII)
Haussonville, Charles-Louis-Bernard de Cléron, conte di (vol. XVIII)
Issoire (vol. XIX)
9. NOVÁK, Jan B. (J. B. N.) Praga, Státní ústřední archiv
Adalberto, vescovo di Praga (vol. I)
Boleslao I, duca di Boemia (vol. VII)
Boleslao II, duca di Boemia (vol. VII)
Boleslao III, duca di Boemia (vol. VII)
Bořivoj (vol. VII)
Bretislao I (vol. VII)
Gindely, Antonio (vol. XVII)
Gli archivisti e l’Enciclopedia italiana
275
Giovanni di Lussemburgo (vol. XVII)
Karlstejn (vol. XX)
Ludmila, santa, duchessa di Boemia (vol. XXI)
Zagabria: Storia (vol. XXXV)
10. PATRY, Henri (He. P.) - Parigi, Archives nationales
Angoulème: Storia (vol. III)
Annecy (seconda parte) (vol. III)
Arbois de Jubainville, Henri d’ (vol. IV)
Auch: Storia (vol. V)
Aurillac: Storia (vol. V)
Avranches (vol. V)
Baiona: Storia (vol. V)
Bayeux (vol. VI)
Bec, Abbazia del (vol. VI)
Bignon, Louis-Pierre-Édouard, barone di (vol. VI)
Bordeaux: Storia - Età medievale e moderna (vol. VII)
Boulogne-sur-Mer: Storia (vol. VII)
Bretagna: Storia (vol. VII)
Briançon: Storia - Età medievale e moderna (vol. VII)
Briconnet (vol. VII)
Brie: Storia (vol. VII)
Brinvilliers, Marie-Madeleine-Marguerite d’Aubray, marchesa di (vol. VII)
Estreés, d’ (vol. XIV)
Estreés, Gabrielle d’, marchesa di Monceaux e duchessa di Beaufort (vol. XIV)
Étampes: Storia (vol. XIV)
Gaillard, Gabriel-Henri (vol. XVI)
Godefroy (vol. XVII)
Hyères: Storia (vol. XVIII)
Laporte, Pierre (detto Roland) (vol. XX)
Rochelle, La: Storia (vol. XXIX)
11. REINÖHL, Fritz (Fr. R.) - Vienna, Österreichisches Staatsarchiv
Arneth, Alfred von (vol. IV)
Aspern (vol. IV)
Baden (vol. V)
Büdinger, Max (vol. VIII)
Dengel, Ignaz Philipp 62 (vol. XII)
62
Voce pubblicata senza sigla.
Alessandra Cavaterra
276
Dietrichstein, Franz principe di (vol. XII)
Spinola, Cristóbal Rojas de (vol. XXXI)
12. TÜRLER, Heinrich (H. Tü.) - Berna, Schweizerisches Bundesarchiv
Aarau (vol. I)
Affry (vol. I)
Altdorf (vol. II)
Appenzell: Storia (vol. III)
Argovia: Storia (vol. IV)
Baden: Storia (vol. III)
Basilea: Storia, Il principato vescovile di Basilea, Trattati di Basilea (vol. VI)
Baumgartner, Gallus Jakob (vol. VI)
Berna: Storia (vol. VI)
Bezenval (Besenval de Brunnstatt) (vol. VI)
Biel: Storia (vol. VI)
Blonay de (vol. VII)
Borromea, Lega (vol. VII)
Brun, Rudolf (vol. VII)
Bullinger, Heinrich (vol. VIII)
Camperio, Filippo (vol. VIII)
Cherbuliez, Antoine-Élisée (vol. IX)
Chillon: Storia (vol. X)
Coira: Storia (seconda parte) (vol. X)
Daguet, Alexandre (vol. XII)
Davel, Jean-Daniel-Abraham (vol. XII)
De la Rive (vol. XII)
Dierauer, Jean (vol. XII)
Diodati (vol. XII)
Disentis (prima parte) (vol. XIII)
Engelberg: L’Abbazia di Engelberg (vol. XIII)
Erlach (vol. XIV)
Escher (vol. XIV)
Etterlin, Petermann (vol. XIV)
Sellon, Jean-Jacques de (vol. XXXI)
13. WOLKAN, Rudolf (R. W.) - Vienna, Österreichisches Staatsarchiv
Austria: Storia - Dalle origini al 1815 (prima parte) (vol. V)
L’AUTONOMIA E LA RINASCITA DELLA SARDEGNA
NELLE CARTE DELL’ARCHIVIO DI STATO DI CAGLIARI
Premessa. — Una ricerca su temi quanto mai attuali come l’autonomia e
la rinascita della Sardegna, proprio nel momento in cui va sviluppandosi un
vivace dibattito nell’opinione pubblica e nelle stesse forze politiche circa
l’istituto autonomistico e le scelte fatte dalla classe dirigente isolana in questi
cinquant’anni di Regione autonoma, indirizza spesso lo studioso a privilegiare
un tipo di fonti « complementari » quali la stampa, le registrazioni sonore, i
filmati o le interviste ai personaggi che hanno partecipato attivamente a quelle
vicende o le hanno vissute da semplici osservatori. Una corretta indagine che
permetta di ricostruire un quadro storico il più ampio ed oggettivo possibile,
non può tuttavia prescindere da uno scavo sistematico delle fonti archivistiche
sia pubbliche che private.
L’Archivio di Stato di Cagliari, istituto deputato alla conservazione dei
documenti prodotti dagli uffici dello Stato operanti nel territorio provinciale,
possiede vari fondi di epoca contemporanea che possono essere investigati
con buoni risultati 1. Due archivi in particolare rivestono grande rilevanza per
le tematiche strettamente legate alla nascita delle istituzioni autonomistiche, ai
momenti della ricostruzione e della ripresa economica della Sardegna: l’Alto
Commissariato per la Sardegna e la Consulta regionale sarda.
Il primo, istituito con r.d.l. 27 gennaio 1944, n. 21, amministrò di fatto
l’isola all’indomani del secondo conflitto mondiale; il secondo, creato con
d.l.lgt. 28 dicembre 1944, n. 417 (art. 3), ebbe natura assembleare ed affiancò
l’Alto Commissario, generale Pietro Pinna, nell’azione governativa svolgendo
un ruolo fondamentale nella definizione e nella elaborazione concreta dello
Statuto regionale 2. Entrambi gli istituti cessarono la propria attività quasi
1
Per una panoramica delle fonti documentarie conservate nell’Archivio di Stato di Cagliari
cfr. Guida generale degli Archivi di Stato italiani, I, voce Cagliari, a cura di G. OLLA REPETTO,
Roma 1981, pp. 731-766.
2
Sulle tematiche relative alla elaborazione dello Statuto sardo cfr. tra le numerose pubblicazioni G. CONTINI, Lo statuto della Regione Sarda. Documenti sui lavori preparatori, Milano
1971; M. ROSA CARDIA, La nascita della Regione autonoma della Sardegna 1943-1948, Milano
1992; ID., Le origini dello Statuto speciale per la Sardegna. Il testo, i documenti, i dibattiti, voll.
3, Sassari 1995; ID., La conquista dell’autonomia (1943-1949), in Storia d’Italia. Le regioni
dall’Unità a oggi. La Sardegna, a cura di L. BERLINGUER e A. MATTONE, Torino 1998, pp. 717-
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
278
contemporaneamente nel maggio 1949, all’indomani delle elezioni regionali
ed in concomitanza dell’insediamento del primo Consiglio regionale sardo.
Gli archivi, frutto dell’attività di uffici statali, vennero così acquisiti di
diritto dalla neonata Rappresentanza del governo presso la Regione sarda
— organo di collegamento tra il governo centrale e l’ente regionale — che,
quasi per continuità, rimase nella stessa sede che fu dell’Alto Commissariato,
situata a Cagliari in piazza del Carmine.
Tra l’ottobre 1968 ed il giugno 1969, tutto il materiale prodotto dall’Alto
Commissariato e dalla Consulta fu versato proprio dalla Rappresentanza del
governo all’Archivio di Stato cagliaritano; esso era corredato di un elenco che
descriveva in maniera piuttosto sommaria le carte, indicava il numero complessivo dei pacchi senza alcuna segnatura che contraddistinguesse la tipologia documentaria.
1. L’archivio della Consulta regionale sarda. — Le carte della Consulta,
ben distinte da quelle dell’Alto Commissariato, sono state le prime ad essere
oggetto di riordinamento e di inventariazione 3. Si trovavano racchiuse in 44
pacchi ed erano costituite per lo più da una quantità considerevole di verbali
— stenografici, manoscritti e dattiloscritti — corrispondenza varia, appunti
minutati, bozze, veline e pagine di quotidiani. Nell’inventario è stata messa in
evidenza sia l’attività amministrativa che tale istituto svolgeva attraverso un
proprio ufficio di segreteria, sia l’attività istituzionale specifica, cioè quella
politica vera e propria ed il suo modo di operare in seduta plenaria o in
commissioni. Nel corso della schedatura del materiale archivistico è emersa
anche l’attività della Giunta consultiva, un organo collegiale istituito con r.d.l.
16 marzo 1944, n. 90 che, « senza nessuna specifica attribuzione di funzioni e
di responsabilità », coadiuvò l’alto commissario prima dell’istituzione della
Consulta 4.
La Giunta era composta da sei consultori quali rappresentanti dei partiti
del comitato regionale di concentrazione antifascista, scelti tra eminenti
personalità consapevoli degli interessi, dei bisogni e dei problemi dell’isola.
Figure come Antonio Segni (DC), Enrico Musio (indipendente), Salvatore Sale
774. Per un quadro d’insieme sull’autonomia, dalle radici all’esperienza autonomistica, cfr.
L’autonomia regionale. Storia e istituzioni dell’autonomia della Sardegna, in La Sardegna.
Enciclopedia, a cura di M. BRIGAGLIA, II, La cultura popolare, l’economia, l’autonomia,
Cagliari 1982, pp. 1-190 e i più recenti L’isola della rinascita. Cinquant’anni di autonomia della
Regione Sardegna, a cura di A. ACCARDO, Roma-Bari 1998 e G. GIACOMO ORTU, Storia e
progetto dell’autonomia, Cagliari 1998.
3
Cfr. su questo archivio, A. ARGIOLAS - C. FERRANTE, L’archivio della Consulta regionale sarda, in « Le carte e la storia », II (1996), 2, pp. 140-147; ID., Le carte dell’autonomia nella
Consulta regionale sarda (1944-1949), in ARCHIVIO DI STATO DI CAGLIARI, Millenovecentoquarantotto, millenovecentonovantotto, cinquant’anni dello Statuto regionale della Sardegna, Cagliari 1998.
4
ARCHIVIO DI STATO DI CAGLIARI (d’ora in poi AS CA), Consulta Regionale Sarda, fasc. 24.
L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
279
(PSd’Az), Jago Siotto (PSI), Giuseppe Tamponi (PCI) e Guido Zoccheddu
(PLI), furono chiamati a farne parte dal 30 settembre 1944 al 27 gennaio 1945,
riunendosi per dieci « adunanze » tenutesi a Cagliari, Sassari e Macomer.
All’ordine del giorno delle sedute erano ricorrenti le questioni strettamente connesse alla sussistenza, al regime dei prezzi, alla produzione, all’ammasso del grano, all’approvvigionamento alimentare. I problemi erano numerosi e di difficile risoluzione; nella riunione del 28 ottobre 1944 il generale
Pinna sottopose all’attenzione dei consultori una relazione da inviare al
Consiglio dei ministri sulla situazione della Sardegna al fine di sollecitare
l’adozione dei provvedimenti più urgenti ed indispensabili per venire incontro
alle necessità dell’isola. Nell’acceso dibattito che scaturì sia fra i consultori
che all’interno delle organizzazioni politiche, appariva impellente la necessità
di una revisione dell’istituto alto commissariale e della Giunta. Lo stesso
Pinna lamentava che l’attività ufficiale di quest’ultimo « contenuta entro la
sfera del parere non vincolante e neanche obbligatorio, non avrebbe potuto
realizzare i presupposti di un autogoverno locale, impossibile del resto, per gli
stessi limiti dei poteri delegati dal governo all’Alto Commissariato ». In effetti
i poteri che questo istituto poteva esercitare, in virtù delle disposizioni legislative del gennaio e del marzo 1944, quale organo sostitutivo del governo
centrale, erano circoscritti ad un vago ed ipotetico « caso di necessità » che
limitava di fatto l’azione dell’Alto Commissario al solo evento concreto ed
eccezionale e non permetteva di creare i presupposti per un piano di riforma
istituzionale tale da consentire il riassetto della Sardegna. Infatti, nonostante
l’intensa attività dei consultori, delle forze politiche e delle organizzazioni
sindacali impegnate a promuovere iniziative per il rinnovamento e il decentramento regionale, ed il sostegno della stampa per riuscire ad apportare
modifiche al testo del decreto sul nuovo provvedimento da adottarsi per
l’isola, il Consiglio dei ministri procedette « ad una particolareggiata disamina
ed a una sostanziale rielaborazione del progetto proposto dall’Alto Commissario e dalla Giunta consultiva » che sfociò nella emanazione del d.l. 28 dicembre 1944, n. 417 5. Il nuovo provvedimento, pur non accogliendo in pieno le
istanze del Pinna, ampliò in parte le competenze altocommissariali, ed istituì
« una Consulta presieduta dall’Alto Commissario e composta di diciotto
membri scelti fra i rappresentanti delle organizzazioni politiche, economiche,
sindacali e culturali, fra competenti ed esperti » 6. Spettava alla Consulta
regionale esaminare i problemi dell’isola, formulare proposte per l’ordinamento regionale ed assistere l’Alto Commissario nell’esercizio delle sue
funzioni, pronunciandosi sui provvedimenti che sarebbero stati sottoposti al
suo esame. In sostanza era chiamata a proporre, suggerire e definire in maniera concreta piani finanziari per il riassetto agricolo e fondiario, per la ricostru5
Ibidem. Tutte le espressioni riportate tra virgolette sono tratte dal discorso tenuto dal generale Pinna in occasione della seduta inaugurale della Consulta il 29 aprile 1945.
6
Cfr. d.l.lgt. 28 dic. 1944, n. 417, Provvedimenti regionali per la Sardegna, art. 3.
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
280
zione industriale e per la ripresa mineraria, nonché avanzare le proposte per
l’elaborazione dello Statuto della Regione autonoma della Sardegna.
In base alla documentazione della Consulta è stato possibile ricostruire la
storia dell’organismo nelle sue tre fasi istituzionali. La prima fase (19451946) vede, con d.l. 28 dicembre 1944, n. 417, l’istituzione della Consulta,
composta di diciotto consultori e sei esperti; con il d.l.lgt 10 agosto 1945,
n. 516, il numero dei consultori politici venne portato da diciotto a ventiquattro e quello degli esperti a sette. Con la seconda fase (1946-1948), mutati i
rapporti di forza delle rappresentanze politiche in seguito alle elezioni politiche del 2 giugno 1946, la Consulta con il d.p.c.m. 8 ottobre 1946 venne
ricostituita sulla base del numero dei seggi e dei voti riportati dai partiti
nell’isola secondo il sistema proporzionale. Fu questa Consulta a varare il
progetto di Statuto speciale per la Sardegna, che fu discusso interamente nella
VI tornata (15-23 aprile 1947) dai vari schieramenti politici, revisionato e
coordinato dall’apposita Commissione per l’ordinamento regionale ed approvato nella VII tornata il 29 aprile 1947. Nella terza fase (1948-1949) i risultati
elettorali del 1948 modificarono nuovamente i rapporti di forza delle rappresentanze politiche e la Consulta fu ricostituita con d.p.c.m. 14 giugno 1948.
In questa fase l’attenzione dei consultori si concentrò su alcuni delicati temi
quali lo sviluppo commerciale, i trasporti, l’energia elettrica, le miniere
carbonifere del Sulcis, l’attivazione del Banco di Sardegna, la legge sul
Mezzogiorno, e sui problemi legati al perfezionamento della questione autonomistica, nonché sulle norme di attuazione dello Statuto.
Chiunque intenda affrontare una ricerca sulle condizioni della Sardegna
negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, dovrà quindi necessariamente avvicinarsi alle carte della Consulta regionale sarda 7. Dai verbali delle
assemblee e delle commissioni emerge chiaramente non solo l’acceso dibattito
in cui si confrontarono i padri delle carta statutaria sarda, ma anche la delicata
situazione politico-sociale che vedeva impegnate tutte le forze isolane nella
risoluzione dei problemi legati all’autonomia e alla ripresa economica dell’isola.
2. L’archivio dell’Alto Commissariato per la Sardegna. — Più ricco di
informazioni su questi argomenti, anche perché quantitativamente più consistente, è l’archivio dell’Alto Commissariato della Sardegna, utile per indagini
e approfondimenti di carattere storico, politico, istituzionale ed economicosociale relativi agli anni immediatamente precedenti e successivi al secondo
dopoguerra 8. Nel fondo, attualmente in corso di riordinamento, sono confluiti
7
L’inventario della Consulta, allegato in appendice, è stato redatto dalle autrici, negli anni
1979-1980, sotto la direzione di Gabriella Olla Repetto.
8
Per ulteriori approfondimenti sulle vicende di questi anni cfr., oltre alle pubblicazioni già
citate, F. SPANU SATTA, Il dio seduto. Storia e cronaca della Sardegna 1942-1946, Sassari 1978,
la raccolta dei dodici volumi della Stampa periodica in Sardegna 1943-1949, Cagliari 1974-
L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
281
sia i documenti prodotti da quegli organi amministrativi che operarono prima
dell’istituzione dell’Alto Commissariato per la Sardegna sia quelli della
Rappresentanza del governo, ufficio che ne ereditò alcune funzioni. Attraverso
la schedatura del materiale documentario vanno intanto delineandosi le istituzioni che furono create ed operarono per far fronte all’emergenza bellica ed ai
problemi relativi all’organizzazione della vita civile dell’isola, scaturiti dalla
totale mancanza di collegamento col governo centrale e dalla improvvisa
interruzione di ogni traffico col Continente.
Nel 1943 la Sardegna, completamente isolata dal resto della penisola, fu
dichiarata « zona operativa » ed i poteri civili, ai sensi dell’art. 16 della legge
di guerra (r.d.l. 8 lug. 1938, n. 1415), furono esercitati dal Comando delle
Forze armate della Sardegna 9. Il 23 marzo dello stesso anno, vista « la necessità di coordinare i servizi civili nelle provincie (…) sarde, in relazione allo
stato di guerra e alle esigenze di carattere militare », con r.d. n. 149 venne
istituito un Commissario straordinario per gli affari civili della Sardegna che,
posto alle dipendenze del Comando militare di stanza nell’isola, aveva il
compito di curare il collegamento tra il comando stesso e le autorità civili
« per il coordinamento dei servizi civili in relazione allo stato e alle esigenze
militari » 10. Dell’incarico fu investito Pietro Bruno, funzionario appartenente
al Ministero dell’interno che, nel corso del suo mandato, per sopperire alla
sussistenza alimentare, si adoperò adottando misure per la protezione dei
raccolti, per l’ammasso del grano e degli altri generi di prima necessità.
Bruno fece fronte anche alla carenza dei trasporti, dell’energia elettrica e ai
problemi di ordine pubblico soprattutto in relazione agli atti di sabotaggio e
alle manifestazioni di protesta che, con la ripresa dell’attività politica, si
stavano ormai diffondendo. La funzione del prefetto Bruno quale Commissario straordinario fu di breve durata: il 2 settembre, col parere favorevole del
Comando supremo e del Ministero della guerra, il comandante delle Forze
armate della Sardegna, generale Antonio Basso, assunse direttamente i poteri
civili e, dopo l’armistizio, la completa responsabilità del governo dell’isola. In
una relazione del 16 ottobre 1943 trasmessa al capo del governo Pietro
Badoglio, il generale Basso faceva il punto della situazione riferendo sui gravi
problemi che aveva dovuto fronteggiare (carenza di generi alimentari e
vestiario, scarsa circolazione di moneta, attività delle aziende industriali, degli
istituti di credito e delle industrie estrattive, situazione politica, ricostruzione
della città di Cagliari ed esportazioni di pelli caprine) per la cui risoluzione
non aveva esitato ad adottare severi provvedimenti.
1976; S. RUJU, Società, economia, politica dal secondo dopoguerra a oggi (1944-98), in Storia
d’Italia. Le regioni… cit., pp. 777-992.
9
AS CA, Alto Commissariato per la Sardegna (in corso di riordinamento), lettera del 21
ottobre 1943 diretta dal capo del governo Badoglio al generale di corpo d’armata Antonio Basso,
comandante delle forze armate della Sardegna.
10
Cfr. r.d. 23 marzo 1943, n. 149, « Istituzione di commissari civili in Sicilia e in Sardegna », art. 2.
282
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
Il 22 ottobre il generale Basso lasciò la Sardegna perché destinato in
Campania. Pochi giorni dopo, il 30 dello stesso mese, il Comando delle Forze
armate in Sardegna fu soppresso ed il VII Corpo d’armata assunse le funzioni
di Comando militare della Sardegna con a capo il generale Giovanni Magli a
cui era stato anche affidato l’esercizio dei poteri civili per tutta l’isola. Unica
eccezione veniva fatta per la piazza marittima di La Maddalena dove le stesse
funzioni dovevano essere esercitate dal comandante di quella piazza.
La documentazione prodotta dall’Ufficio del Commissario straordinario
per gli affari civili e dal Comando militare della Sardegna, è costituita per lo
più da ordinanze, provvedimenti per la tutela dell’ordine pubblico e per gli
approvvigionamenti alimentari, nonché da tutte quelle disposizioni emanate
per requisire locali da destinare ad uffici e a civili abitazioni, insieme a
verbali di riunioni e relazioni inviate al capo del governo e ai responsabili dei
ministeri. Da essa traspare la necessità di conseguire una unità di indirizzo e
un coordinamento più efficace ed efficiente tra le strutture periferiche e quelle
del governo centrale. Il 27 gennaio 1944, proprio per rispondere a queste
istanze, con r.d.l. n. 21 fu istituito « con carattere temporaneo » l’Alto Commissariato per la Sardegna (art. 1) a cui venne affidato l’incarico: a) di sovrintendere e dirigere nel territorio dell’isola tutte le amministrazioni statali, civili
e militari, nonché gli enti locali, gli enti ed istituti di diritto pubblico, ed in
genere tutti gli enti sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato; b) dirigere e
coordinare l’attività dei prefetti e delle dette amministrazioni per assicurare
unità di indirizzo; c) esercitare, in caso di necessità, le attribuzioni del governo centrale (art. 2). A dirigere tale organo fu chiamato il generale di squadra
aerea Pietro Pinna, un sardo nato a Pozzomaggiore (SS) il 12 gennaio 1891;
l’alto ufficiale era stato prigioniero di guerra nello Stato dell’Arkansas e, dopo
l’armistizio, si era proposto per azioni militari contro i tedeschi. L’allora capo
del governo Badoglio, in una lettera del 27 gennaio inviata al prefetto di
Cagliari per comunicare la nomina del Pinna, così chiariva i motivi che
avevano portato all’istituzione altocommissariale: « Per venire incontro alle
peculiari necessità della Sardegna, nelle attuali gravi contingenze, con r.d.l. in
corso di pubblicazione viene istituito apposito Alto Commissariato con carattere di temporaneità. Il nuovo organo deve attuare, negli intendimenti del
governo, un opportuno decentramento che renda più spedita e più consona
alle esigenze locali la riorganizzazione su basi adeguate alla attività amministrativa, restaurando la finanza e l’assistenza pubblica, riattivando i traffici e
le industrie, ponendo, per quanto è possibile, pronto riparo ai danni sofferti
dagli abitati e dalle fonti stesse di produzione a causa della guerra. A tal fine
vengono conferiti all’Alto Commissario ampi poteri civili e militari, i quali,
peraltro, debbono intendersi esercitati per delega del governo centrale, nel cui
nome l’Alto Commissario stesso sovraintende e dirige, nel territorio dell’Isola,
tutte le amministrazioni statali, civili e militari, nonché gli enti locali, quelli di
diritto pubblico ed, in genere, tutti gli enti ed istituti sottoposti a tutela o
vigilanza dello Stato. Esso eserciterà, inoltre, tutte le attribuzioni spettanti al
L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
283
Ministro dei lavori pubblici nei confronti del Provveditorato delle opere
pubbliche di Cagliari; promuoverà la stipulazione di eventuali convenzioni o
concessioni in corso. L’Alto Commissario ha, insomma, il compito di realizzare unità di indirizzo fra tutte quante le Autorità civili e militari dell’Isola,
conformemente alle direttive del governo centrale (…) » 11.
Il generale Pietro Pinna assunse la carica il 10 febbraio e diffuse subito,
ancor prima di riunire i prefetti delle Province e le autorità civili e militari, un
proclama alle « Popolazioni di Sardegna » in cui, se da un lato ricordava che
la nazione era ancora in guerra e doveva essere liberata dai tedeschi e dall’oppressione fascista, dall’altro invitava ad una maggiore collaborazione con gli
Alleati nella guerra di liberazione a favore della democrazia 12. Il generale era
del parere che democrazia e disciplina dovessero andare di pari passo, pertanto il rispetto delle leggi era indispensabile per non vanificare l’opera di ricostruzione e di rinascita dell’isola.
L’Alto Commissario riteneva prioritaria la risoluzione di « cinque problemi fondamentali » da affrontare e risolvere nel più breve tempo « se si
voleva che la vita dell’isola cominciasse a normalizzarsi o, perlomeno, ad
avviarsi verso la normalizzazione ». Si trattava di: 1) far partire l’enorme
massa di truppe dall’isola; 2) sgombrare Cagliari dalle macerie e ricostruire
quanto più era possibile per riportare in città gli uffici e la popolazione
sfollata; 3) far rientrare, al più presto, nella sede normale gli uffici pubblici;
4) far rinascere nel popolo la fiducia ed il rispetto verso le autorità civili e
militari; 5) assicurare il minimo di vettovagliamento alla popolazione e
colpire gli speculatori ed il mercato nero.
Un delicato compito si profilava per l’alto funzionario che doveva esercitare un’attività di coordinamento e di integrazione e talvolta di innovazione in
sintonia con le norme contenute nel regio decreto istitutivo del nuovo organo.
Si presentava l’occasione perché l’isola potesse entrare in un regime di
autonomia amministrativa che, nel rispetto dell’unità nazionale, le consentisse
di proporre ed attuare provvedimenti tesi ad avviare l’opera di ricostruzione.
La documentazione dell’Alto Commissariato per la Sardegna è pervenuta
all’Archivio di Stato di Cagliari in totale disordine ed in cattivo stato di
conservazione. Il riordinamento, attualmente in corso, si presenta quindi piuttosto lungo e difficoltoso in quanto le carte, benché nel loro nascere seguissero un quadro di classificazione, così come rivelano le segnature riportate sulle
stesse, sono state poi accorpate le une alle altre senza alcun legame. Come
purtroppo spesso accade, l’archivio non più necessario allo svolgimento dell’attività dell’ufficio, è stato accantonato senza alcun riguardo e rispetto dell’ordine originario.
11
AS CA, Prefettura, Gabinetto, Alto Commissariato per la Sardegna (in corso di riordinamento).
12
Ibidem.
284
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
Al momento il lavoro di schedatura, già avviato, lascia intravedere l’esistenza di una struttura organizzativa articolata in un ufficio di Gabinetto,
strettamente dipendente dal Pinna e in quattro Divisioni amministrative,
ognuna delle quali si occupava del disbrigo delle pratiche correnti per le
materie di propria competenza. La produzione documentaria però non ha
sempre seguito uno svolgimento lineare, nel senso che si notano delle sovrapposizioni tra gabinetto e divisioni, e intrecci tra una divisione e l’altra che si
rispecchiano anche nella segnatura di più codici di classificazione sui documenti.
Accanto alle carte che si possono ricondurre direttamente alle suddivisioni interne dell’Alto Commissariato, vi è una parte consistente della documentazione che è il prodotto dell’attività di altri uffici posti alle dipendenze
dell’organo, come, ad esempio, l’Ispettorato regionale per la pubblica sicurezza, il Comando del Nucleo Guardia di finanza e l’Ufficio servizi formaggi
di Macomer. Essi si presentano come dei piccoli archivi all’interno di un
superfondo e, con tutta probabilità, alla conclusione del lavoro di riordinamento, costituiranno dei subfondi o delle serie archivistiche ben definite. Così
pure avverrà per le pratiche avviate dall’Alto Commissario e portate a termine, quasi senza soluzione di continuità, dal primo rappresentante del governo,
il prefetto Stanislao Caboni che, essendo stato segretario generale dell’Alto
Commissariato, conosceva perfettamente l’organizzazione amministrativa di
quell’istituto. La documentazione prodotta esclusivamente dalla Rappresentanza del governo sarà quindi attribuita a questo ufficio.
Il censimento ancora parziale delle carte dell’Alto Commissariato ha finora messo in rilievo che, tra gli « affari » trattati, magna pars era costituita
da provvedimenti tesi a limitare i disagi e a migliorare la qualità di vita delle
popolazioni. In questo ambito rientravano le disposizioni emanate per l’ammasso del grano, delle leguminose e dell’olio (1946-1949). La situazione
granaria era rigidamente controllata e così pure le assegnazioni delle quote
destinate ai granai del popolo; diversi episodi di malcontento si registrarono
proprio fra contadini affamati e, il più delle volte, essi sfociarono in assalti ai
magazzini per l’ammasso. Alla stessa disciplina annonaria erano soggetti gli
olivicoltori che dovevano consegnare il 60% della loro produzione agli oleari
del popolo. Per ogni provincia erano state stabilite le quantità da versare e
questo fu motivo di protesta da parte dei piccoli produttori.
La carenza di alloggi, soprattutto a Cagliari, si faceva sentire con estrema
urgenza; gli sfollati e gli uffici trasferitisi nelle zone interne dell’isola, in
seguito ai bombardamenti che avevano colpito la città nel 1943, avevano
necessità di rientrare in sede. Per questo motivo erano stati compilati elenchi
delle strutture danneggiate e predisposti piani di intervento per la ricostruzione; soprattutto per gli anni 1945-1949 si ritrovano gli atti relativi al riattamento degli edifici pubblici e privati. Alcune pratiche avviate nel periodo altocommissariale furono portate avanti dalla Rappresentanza del governo, come
ad esempio il ripristino di palazzo Tirso della Società elettrica sarda (1943-
L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
285
1950), la riparazione dell’edificio delle Poste e Telegrafi (1945-1951) o,
ancora, la sistemazione ed il completamento dei padiglioni, già casermette
funzionali, siti a Is Mirrionis — quartiere popolare di Cagliari — e destinati
a reparto ospedaliero per le malattie infettive (1945-1957).
Anche il lavoro costituiva preoccupazione costante; numerose erano infatti le richieste da parte dei reduci che scatenavano campagne diffamatorie
nei confronti delle donne lavoratrici, accusate di lavorare « solo per il belletto ». Significativi i dati relativi all’attività mineraria, alle agitazioni degli
operai e delle maestranze del Sulcis. Tante ancora le richieste di assegnazione
di sussidi. Lo stato di miseria che emerge dalle carte è impressionante. Allo
stesso tempo però si percepisce la volontà di rinascita. Una cospicua serie
documentaria riguarda infatti i nuovi programmi di industrializzazione che
seguirono al blocco degli impianti. Tra il 1945 e il 1947 un certo fermento
pervase tutta l’isola, preludio della ripresa e potenziamento dell’attività industriale. Numerosi privati presentavano richieste per impiantare, in taluni casi
ripristinare e ampliare, stabilimenti e fabbriche. Si trattava per la maggior
parte di concerie di pelli ovine, caprine, bovine ed equine; saponifici (saponette e sapone di Marsiglia, saponi medicinali, dentifrici, cosmetici e
disinfettanti), caseifici per la produzione di formaggi fusi e molli, impianti per
la salagione del pesce, per conserve (marmellate e concentrato di pomodoro),
farine alimentari, prodotti dietetici, bibite, bevande gassate e vini frizzanti,
distillerie per la produzione di acquavite, vetrerie per bicchieri, bottiglie e
prodotti affini, falegnamerie e manifatture per la produzione di oggetti in
sughero, oltre alle fabbriche di laterizi, mattonelle, maioliche e vernici nonché
fabbriche per costruzione di oggetti metallici, ricambi per automobili e prodotti chimici. Le nuove autorizzazioni rilasciate per l’impianto di mulini (ad
esempio il fasc. « Disciplina industria molitoria », 1946-1952) scatenarono
ricorsi da parte dei vecchi possessori che si ritenevano danneggiati economicamente dalle nuove concessioni prefettizie. Non mancano inoltre documenti
sui provvedimenti presi per lo sfruttamento di peschiere demaniali da parte di
cooperative di pescatori (1944-1949) e per l’istituzione dei consorzi di bonifica a partire dagli anni Cinquanta (1950-1958).
Ancora sull’opera di ricostruzione postbellica si ritrovano infine molte
testimonianze sul ripristino dei trasporti e delle comunicazioni (servizi marittimi, aerei e ferroviari), sui lavori di sistemazione delle strade interne dissestate, come quelle di Sassari (1945-1952) o di Illorai (1950-1959) e sulla costruzione di nuove arterie tra cui la Santa Teresa di Gallura - Castelsardo (19461950), nonché le concessioni ad alcune società private (tra cui la SITA, Tosi,
Biggio ecc.) dei servizi di autolinee per collegare i vari distretti dell’isola.
3. Gli altri fondi archivistici. — Altro fondo archivistico su cui si deve
indirizzare la ricerca e che può integrare le informazioni che si ricavano
dall’Alto Commissariato è quello della Prefettura di Cagliari. La documentazione di questo archivio, in corso di ordinamento, abbraccia i secoli XIX-XX.
286
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
Nella serie Gabinetto (3° versamento) si trovano i seguenti fascicoli:
« Attribuzioni dei poteri civili nella zona delle operazioni » (1943-1944);
« Comando delle Forze armate. Ordini e disposizioni » (1943); « Segnalazioni
del Commissario civile per la Sardegna » (1943); « Bandi del Capo di Stato
Maggiore Generale » (1943); « Ordinanze del Comando delle Forze armate »
(1943-1944); « Bandi sulle competenze spettanti ai marittimi militarizzanti
imbarcati sul naviglio ausiliario » (1943); « Bando sulla riassicurazione da
parte del governo italiano dei rischi di guerra sui motovelieri e sulle merci
trasportate » (1943); « Alto Commissariato per la Sardegna » (1944). In quest’ultimo si trovano documenti relativi alla nomina del generale Pietro Pinna,
uno schema del decreto legislativo che istituiva dell’Alto Commissariato, il
proclama indirizzato alle popolazioni e comunicazioni di assenza e di rientro
in sede da parte del Pinna.
Sempre nella serie Gabinetto si trovano i resoconti periodici (mensili,
trimestrali e quadrimestrali) che il prefetto inviava al Ministero dell’interno e
di cui per gli anni 1943-1946 trasmetteva copia prima all’Ufficio affari civili
e poi all’Alto Commissariato per la Sardegna. Il giorno 2 di ogni mese il
prefetto era tenuto a trasmettere all’Alto Commissario una relazione intorno ai
seguenti argomenti: « 1) situazione economica ed alimentare della Provincia;
2) situazione dei trasporti; 3) situazione politica, con speciale riguardo
all’attività dei vari partiti ed in particolare alle manifestazioni aperte o sotterranee dei simpatizzanti col vecchio regime fascista ».
Il fondo archivistico della Prefettura è molto vasto, date le molteplici attribuzioni che competono a tale organo e che vanno, tra l’altro, dal coordinamento alla vigilanza sulle amministrazioni pubbliche sino all’adozione di
interventi straordinari in casi di calamità naturali e di sicurezza; non è improbabile quindi che, nel corso del riordinamento, si ritrovino documenti che
vadano ad aggiungersi ai precedenti individuati e che accrescano le possibilità
di ricerca soprattutto per quanto riguarda il periodo « della rinascita ».
Di particolare rilevanza per gli aspetti giuridico-amministrativi è il materiale conservato nel fondo dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Cagliari,
serie Affari consultivi. Tra le carte relative al contenzioso amministrativo che
tale ufficio doveva dirimere, in qualità di organo preposto alla difesa legale e
alla consulenza delle diverse branche dell’Amministrazione dello Stato, si
possono individuare numerosi fascicoli (nn. 972-3434) riconducibili a situazioni e fatti accaduti in Sardegna negli anni 1943-1952. All’Avvocatura si
rivolsero diversi uffici come il Comando ed il Presidio militare di Cagliari, di
Macomer, di Bonorva, il Provveditorato alle opere pubbliche, l’Azienda
nazionale autonoma statale della strada, le Ferrovie dello Stato, la Prefettura
ecc., per sottoporre quesiti di natura amministrativo-finanziaria e richiedere il
patrocinio al fine di accertare le responsabilità in caso di incidenti o di contravvenzioni. Così, ad esempio, nel 1944, l’Ispettorato compartimentale per
l’agricoltura fece ricorso all’Avvocatura per ottenere un parere per la destituzione del sindaco di Villaurbana accusato di non aver osservato le disposizio-
L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
287
ni di legge relative ai « granai del popolo » (fasc. 1328). Anche l’Alto Commissario chiese in diverse occasioni (1944-1948) la consulenza legale dell’Avvocatura (fascc. 1280, 1382, 1543, 1661, 1675, 1827, 1955, 2171, 2254), ad
esempio, su questioni relative al coordinamento dei servizi attinenti alla
ricostruzione della città di Cagliari; sul sequestro conservativo di beni immobili per il recupero dei profitti del regime fascista, e anche sulla figura giuridica dell’Ente regionale sardo di approvvigionamento. La stessa Regione
autonoma della Sardegna, al suo esordio, al fine di organizzare la sua struttura
amministrativa e stabilire un coordinamento dei servizi, si rivolse spesso all’Avvocatura (1951-1952) per la formulazione di contratti, convenzioni con
enti pubblici e privati e per quesiti come quello sulla natura delle entrate
regionali (fascc. 2844, 2868, 2871, 2964, 3003, 3052, 3078, 3381). Gli uffici
dell’Intendenza di finanza di Cagliari e Nuoro si avvalsero anch’essi dell’opera dell’Avvocatura in particolare per gli affari inerenti i beni provenienti
dal disciolto Partito nazionale fascista (fascc. 2383, 2386, 2401).
Riferimenti a questioni inerenti al passato regime si possono individuare
nel fondo Intendenza di finanza di Cagliari, nei documenti relativi alla Liquidazione dei beni mobili appartenenti all’ex-PNF (1943-1954). Le carte sono il
risultato della ricognizione dei beni esistenti presso vari Comuni, per lo più
attrezzature da ufficio, quali ad esempio macchine per scrivere, tavoli, cancelleria, a cui segue la consegna degli stessi ad uffici statali e ad enti vari.
Documentazione che potrebbe offrire informazioni specifiche sulle attività politiche svolte da gruppi e dai partiti e notizie sulla delinquenza comune
per il periodo che va dal secondo dopoguerra agli anni più vicini a noi, è
contenuta nel fondo della Questura di Cagliari. Nella Divisione I Gabinetto
(1943-1967), si trovano in particolare i fascicoli relativi alle associazioni
politiche e ai partiti (1945-1960), alla tutela dell’ordine pubblico (1943-1962),
alle elezioni politiche, amministrative, regionali e al referendum (1945-1958).
Nella Divisione II oltre ai fascicoli relativi ai vari reati, si trova la corrispondenza relativa a delitti contro la personalità dello Stato, la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, il sentimento religioso, l’ordine
pubblico e l’incolumità pubblica (1945-1960).
Della stessa natura sono gli archivi del Commissariato di P.S. di Carbonia (1940-1956) e del Commissariato di P.S. di Iglesias (1944-1960). In
entrambi i fondi le carte sono suddivise in due serie: la Divisione I, Gabinetto
contiene documentazione relativa a informazioni, associazioni apolitiche,
misure di vigilanza e sequestro stampa; la Divisione II raggruppa invece
fascicoli inerenti ai vari tipi di reato.
Materiale documentario che rinvia alle fasi della ricostruzione è contenuto nel fondo Provveditorato regionale delle opere pubbliche, articolato in due
serie: Progetti e Carteggi. Nella prima si trovano progetti per la sistemazione,
completamento e costruzione di strade come la Orgosolo-Nuoro, NuoroSiniscola, Villanovafranca-Guasila, Fonni-Desulo (1947-1950); per la costruzione di edifici scolastici come a Borore, Bosa, Desulo e Aritzo (1947-1950);
288
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
per la costruzione di una diga di ritenuta a formazione del lago per l’acqua
potabile della Colonia penale e della Stazione sanitaria dell’Asinara (19521953) o ancora il progetto per la costruzione della chiesa della Solitudine,
tomba di Grazia Deledda a Nuoro (1953). Nei Carteggi un fascicolo in
particolare tratta dei danni di guerra, del blocco delle costruzioni e riporta un
elenco delle riparazioni da effettuare.
Anche le carte prodotte dall’Ufficio del genio civile relative alla Bonifica
di Monserrato (1924-1956) e alla Bonifica di Santa Giusta (1939-1953)
possono contribuire ad arricchire il quadro degli interventi effettuati per il
miglioramento della situazione socioeconomica.
Di carattere strettamente privato sono infine le lettere, tredici complessivamente, contenute nella Raccolta Carlo Mastio, scritte da Emilio Lussu a
Carlo Mastio tra il 1969 e il 1974. Esse sono la testimonianza della profonda
amicizia che legava i due uomini, l’uno esponente di spicco del Partito sardo
d’Azione e fautore dell’istituto autonomistico sardo, l’altro, fratello di Silvio,
esule antifascista sardo, molto unito al Lussu, e che fu ucciso nel Venezuela
durante gli scontri armati contro il dittatore Gomez nel 1931.
ALESSANDRA ARGIOLAS - CARLA FERRANTE
Archivio di Stato di Cagliari
L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
289
CONSULTA REGIONALE SARDA (1944-1949)
INVENTARIO
SEGRETERIA
RAPPORTI CON L’ALTO COMMISSARIATO PER LA SARDEGNA
Affari generali
1. Personale amministrativo
1946-1948
2. Economato
1946-1949
3. Consultori della Giunta consultiva
1944-1945
4. Consultori della 1ª Consulta
1945-1946
5. Consultori della 2ª Consulta
1946-1948
6. Consultori della 3ª Consulta
1948-1949
7. Convocazioni ai lavori della Giunta
1944-1945
8. Convocazioni ai lavori dell’assemblea della 1ª Consulta
1945-1946
9. Convocazioni ai lavori delle commissioni della 1ª Consulta
1945-1946
10. Convocazioni ai lavori dell’assemblea della 2ª Consulta
1946-1948
11. Convocazioni ai lavori delle commissioni della 2ª Consulta
1946-1948
12. Convocazioni ai lavori dell’assemblea della 3ª Consulta
1948-1949
13. Convocazioni ai lavori delle commissioni della 3ª Consulta
1948-1949
14. Presenze dei consultori, un registro
1945-1949
15. Ordini di servizio
1945-1948
16. Relazioni, stralci di relazione e appunti dell’Alto Commissario
1945-1949
Divisioni amministrative
17. Appunti riassuntivi per le divisioni sui lavori dell’assemblea
della 2ª Consulta
1946-1947
18. Appunti riassuntivi per le divisioni sui lavori dell’assemblea
della 3ª Consulta
1948-1949
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
290
RAPPORTI CON ALTRI SOGGETTI PUBBLICI E PRIVATI
19. Governo ed altri Alti Commissariati
1944-1949
20. Uffici statali, enti pubblici e privati
1945-1949
21. Stampa
1945-1949
GIUNTA CONSULTIVA
22. Verbali di adunanza:
1944 set. 30
- 1945 mar. 3
22a Processi verbali, un registro
1944-1945
CONSULTA
1 a CONSULTA
Lavori dell’assemblea
23-49. Ordini del giorno e verbali delle sedute dalla 1ª tornata alla 1945 apr. 29-30
14a tornata 13
- 1946 mag.
8-10
50. Processi verbali della 1ª tornata e parte della 4ª, un registro
1945
51. Processi verbali della 5ª tornata e parte della 7ª, un registro
1945
52. Processi verbali della 8ª tornata e parte della 12ª, un registro
53. Processi verbali della 12ª tornata e parte della 13ª, un registro
1945-1946
1946
Lavori delle commissioni
54. Verbali dei lavori della commissione per i lavori pubblici
1945
55. Verbali dei lavori della commissione per l’agricoltura
1945-1946
56. Verbali dei lavori della commissione per il commercio e
scambio
1945-1946
57. Verbali dei lavori della commissione per l’alimentazione
13
La tornata non si è tenuta.
1946
L’autonomia e la rinascita della Sardegna nelle carte dell’Archivio di Stato di Cagliari
291
58. Verbali dei lavori della commissione per l’igiene, sanità,
assistenza e beneficenza
1946
59. Verbali dei lavori della commissione di inchiesta
1946
60. Verbali dei lavori della commissione per l’ordinamento
regionale
1945-1946
61. Processi verbali delle commissioni
1945-1946
2 ª CONSULTA
Lavori dell’assemblea
62-88. Ordini del giorno e verbali delle sedute dalla 1ª alla 12ª
tornata 14
89. Abbozzi di verbali delle sedute
90. Indice riassuntivo delle tornate della 2ª consulta; indice degli
argomenti trattati nella 2ª consulta; elenco alfabetico dei
consultori e delle loro interrogazioni
1946 nov.
17-18
- 1948 mar. 6
s. d.
1946-1948
Lavori delle commissioni
91. Verbali dei lavori delle commissioni riunite agricoltura e
alimentazione
1946
92. Verbali dei lavori delle commissioni per i lavori pubblici
1946
93. Ordini del giorno e verbali dei lavori della commissione per
l’agricoltura e la disciplina casearia
1947
94. Ordini del giorno e verbali dei lavori della commissione per
l’igiene, sanità, assistenza, e istruzione
1947
95. Verbali dei lavori della commissione per l’ordinamento
regionale
1947
3 ª CONSULTA
Lavori dell’assemblea
96-107. Ordini del giorno e verbali delle sedute dalla 1ª alla 6ª 1948 lug. 10-12
tornata
- 1949 mag. 4
14
La tornata non si è tenuta.
292
Alessandra Argiolas - Carla Ferrante
Lavori delle commissioni
108. Verbali della commissione per il bilancio, credito e risparmio
1948
109. Verbali della commissione per l’ordinamento regionale
1949
110. Verbali stenografati dei lavori delle assemblee e delle commissioni
s. d.
Rassegna stampa
111. Raccolta quotidiani
1945-1949
L’ARCHEOLOGIA DEL DOCUMENTO D’IMPRESA.
L’« ARCHIVIO DEL PRODOTTO »
Le omogeneità (e eterogeneità) enunciative s’intrecciano con delle
continuità (e dei cambiamenti) linguistici, con delle identità (e delle
differenze) logiche, senza che le une e le altre camminino con lo
stesso passo o si condizionino necessariamente. Tra loro deve esistere però un certo numero di rapporti e interdipendenze il cui
campo indubbiamente molto complesso dovrà essere inventariato
(M. Foucault, L’archeologia del sapere)
Introduzione. — Il trattare della memoria in generale — e nello specifico
di quella relativa alle imprese — ci porta ad avvicinarci a posizioni di autori
(Bloch, Le Goff, Foucault 1) che hanno voluto guardare al di là del documento
scritto e non scritto nel concepirlo nella sua forma più articolata di « monumento ». Senza pretendere che l’archivistica assolva ad uno scopo che non le
è proprio, e senza forzare più di quanto già non si farà più avanti la definizione di « particolari » documenti d’archivio nelle imprese, vogliamo qui riportare alcune affermazioni che possono introdurre e delineare il discorso:
« La varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita. Tutto ciò che
l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce, tutto ciò che sfiora, può e deve fornire
informazioni su di lui »
« Malgrado quel che talora sembrano credere i principianti, i documenti non
spuntano fuori qua o là, per effetto di non si sa qual misterioso decreto degli dèi. La
loro presenza o la loro assenza, in quei fondi d’archivio, in quella biblioteca, in quel
suolo, dipendono da cause umane (...) » 2.
Abbiamo perciò voluto raccogliere le argomentazioni che seguiranno sotto un titolo che applica, in maniera piuttosto ardita e provocatoria, il termine
« archeologia » all’analisi della documentazione « contemporanea » delle imprese, enfatizzando una contraddizione in termini per cercare di definire i
termini di una contraddizione.
1
Cfr. M. BLOCH, Apologia della storia, Torino, Einaudi, 1998; J. LE GOFF, Documento /
monumento, in Enciclopedia. V, Torino, Einaudi, 1978, pp. 38-48; M. FOUCAULT, L’archeologia
del sapere, Milano, Rizzoli, 1980
2
M. BLOCH, Apologia della storia… cit., pp. 52 e 56.
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
Antonella Bilotto
294
Ed è stato proprio lo « scavo » 3 all’interno delle imprese e l’osservazione
dell’attenzione posta da queste stesse nella conservazione di particolari forme
documentarie a spingerci verso riflessioni diverse da quelle sedimentatesi
« nello spessore delle abitudini collettive » 4.
I luoghi delle fonti documentarie nelle imprese. — Nel linguaggio quotidiano, spesso rafforzato da quanto si legge sui giornali, si registra una tendenza generale che porta a considerare come equivalenti archivi, biblioteche,
centri di documentazione, quasi che la distinzione tra loro fosse soltanto una
puntualizzazione della nostra strana disciplina. Il medesimo atteggiamento
però si registra anche all’interno delle imprese e significativo sembra essere
l’esempio del Dizionario edito da Jaca Book, L’informazione (tramite media),
che alla voce Archivio indica:
« L’archivio costituisce la memoria — indispensabile memoria — di qualsiasi
giornale. Esso è una sorta di immenso magazzino (…) In archivio un apposito personale (…) compila le schede dei personaggi noti dei più svariati settori. Queste schede
consentiranno in caso di necessità di individuare rapidamente il materiale di documentazione (biografie, cenni, foto e soprattutto ritagli, cioè pezzi del giornale o di altri
giornali) [per la costruzione da parte del giornalista dell’articolo]. L’archivio ha anche
funzioni diverse (…) Può in alcuni casi e per certe tematiche sopperire alla mancanza
di statistiche ufficiali. Infine in archivio si possono reperire tutte le collezioni del
giornale e delle altre testate » 5.
Tra le righe si intuisce un non chiaro confine tra archivio, centro di documentazione e infine biblioteca/emeroteca, alla quale rimanda lo stesso termine « collezione ».
In un’impresa possono esistere diversi luoghi di concentrazione di fonti
documentarie che, oltre a poter essere tra loro diversi per natura, sono profondamente differenti rispetto alle funzioni che incarnano. Genericamente tali
luoghi si possono indicare come:
a) archivi, ovvero luoghi dell’accumulazione della produzione documentaria dell’impresa che testimonia lo svolgimento di un’attività produttiva,
quindi luoghi di conservazione della memoria nel suo divenire, luoghi
3
Devo l’idea di un articolo sull’archivio del prodotto nella realtà delle imprese, oltre alle
ormai quotidiane discussioni con Giuseppe Paletta, direttore del Centro per la cultura d’impresa,
al coordinamento (proprio con Paletta) del censimento degli archivi d’impresa a Milano (v.
http://www.culturadimpresa.org - Censimento degli archivi d’impresa in Lombardia) che mi ha
permesso di osservare da vicino le imprese, di « scavare » appunto nei loro depositi d’archivio,
raccogliendo e registrando gli « atteggiamenti », indipendenti dalla tipologia o dal settore
produttivo, che le imprese tengono nella conservazione della propria memoria come testimonianza della propria identità.
4
5
Cfr. M. FOUCAULT, L’archeologia del sapere… cit., p. 84.
Cfr. L’informazione (tramite media), Milano, Jaca Book, 1993, parte II, Dizionari, alla
voce Archivio, p. 104.
L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »
295
delle risposte alle « domande di carattere commerciale tecnico e legale »
ma anche luoghi della ricerca scientifica per mezzo di fonti primarie 6;
b) centri di documentazione propriamente detti, ma anche biblioteche,
emeroteche, fototeche interni all’impresa, che svolgono funzioni informative e di supporto attraverso documenti « utilizzati dall’impresa » ma non
creati a testimonianza dello svolgimento dell’attività propria e delle funzioni proprie;
c) musei o luoghi di concentrazione di raccolte, per lo più collezioni di
oggetti ma anche di documenti cartacei, « passati » 7 all’interno dell’impresa e accorpati a distanza di tempo per finalità espositive 8.
Rimandando alle argomentazioni che seguiranno le definizioni con formule meno approssimative e improprie delle particolarità distintive, ci interessa in questa sede individuare, comparando i diversi documenti conservati nei
luoghi sopra descritti, quelli che in un’impresa possono essere considerati
documenti d’archivio.
Dato che, come è noto, ogni archivio rappresenta per i soggetti che lo
producono « uno strumento necessario alla loro esistenza e alle loro azioni
come mezzo per vivere ed operare » 9 — anche se ovviamente per le imprese
non il più importante — è fondamentale che « i documenti che lo compongono [siano] identificabili con certezza rispetto alle fonti di diversa natura » 10.
Differentemente i centri di documentazione 11 e i luoghi che raccolgono
altro materiale documentario — come « contenitori » di oggetti o altro tipo di
documenti in forma di collezione — non possono considerarsi propriamente
archivi pur conservando funzioni informative, a volte anche molto importanti,
rispetto a soggetti che stanno fuori dall’impresa. I documenti che in essi si
conservano, utilizzati nello svolgimento dell’attività dell’impresa, non sono
stati da questa prodotti e non ne riflettono direttamente l’attività.
6
Cfr. H. A. WESSEL, Gli archivi di impresa in Germania, in « Rassegna degli Archivi di
Stato », XLIV (1984), p. 495.
7
Si fa riferimento a documenti acquisiti a vario titolo: dalle antiche riviste consultate per il
loro apporto tecnico agli strumenti o macchinari utilizzati per la realizzazione dei manufatti (un
torchio in una stamperia ad esempio).
8
Riguardo ai musei d’impresa segnaliamo il prezioso volume di M. NEGRI, Manuale di
museologia per i musei aziendali, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2003 (La memoria
dell’impresa. Collana del Centro per la cultura d’impresa, 8), alla cui bibliografia rimandiamo
anche per un inquadramento generale; rispetto invece alla definizione di « collezione » segnaliamo l’interessante saggio alla voce Collezione di K. POMIAN, Enciclopedia, III, Torino, Einaudi,
1978, pp. 330-364.
9
L. DURANTI, I documenti archivistici. La gestione dell’archivio da parte dell’ente produttore, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio centrale per i beni archivistici,
1997, p. 57 (Quaderni della Rassegna degli Archivi di Stato, 82).
10
P. CARUCCI - M. MESSINA, Manuale di archivistica per l’impresa, Roma, Carocci, 1998,
p. 17.
11
Non sempre nella realtà dei fatti, soprattutto presso i centri di documentazione, i documenti informativi prodotti al di fuori dell’attività dell’impresa sono conservati separatamente da
quelli prodotti nello svolgimento dell’attività del soggetto impresa considerato.
Antonella Bilotto
296
Ancora una volta l’elemento certo di distinzione tra archivio e non archivio risiede nel concetto di produttore, inteso nel significato tradizionale di
« creatore » dell’archivio nel quale si convogliano « quei documenti che hanno
partecipato alla conduzione degli affari dell’organizzazione » 12, e riflettono
l’attività dell’organizzazione stessa.
L’impresa: un produttore in divenire. — È dunque, lasciando da parte
per un momento funzioni e tipologie documentarie, il produttore il primo
punto di riferimento nella ricerca dell’archivio in un’impresa. Data però la
magmaticità dell’impresa stessa, è necessario pensarla fin dall’inizio come
ipotetica catalizzatrice di più archivi, ovvero di più produttori. Non si pensi,
come sotto meglio si specificherà, a produttori che con l’impresa interagiscono in maniera indiretta. Si pensi invece a produttori che nell’impresa sono
confluiti per diverse ragioni di trasformazione giuridica (fusioni, acquisizioni,
ecc.).
Gli archivi d’impresa riflettono dunque un mondo in frenetico divenire e
sono lo specchio di modificazioni, a volte molto sfumate e per questo complesse, che coprono archi temporali anche piuttosto limitati e convogliano
produttori diversi, diversi archivi; l’impresa va quindi letta in tutte le sue
trasformazioni « significative ». Individuate tali trasformazioni, saranno meglio
delineate le aree occupate, in termini documentari, dall’archivio dell’impresa
così come compare nella sua ultima forma (vivente o cessata che sia) e da
quelli ad essa aggregati. Le diverse trasformazioni giuridiche intervenute in
un’impresa potranno quindi dar vita ad un unico archivio di un unico produttore che nel tempo trasforma sé stesso e nel quale quindi si riscontrano
soltanto delle « cesure », ma anche ad un archivio composito che porta con sé
e dentro di sé le tracce dell’attività di altri produttori d’archivio: gli archivi
delle altre « forme giuridiche cessate » che in quell’impresa sono confluite 13.
Vista attraverso l’archivio, l’impresa si presenta come una molecola
composta da settori documentari che si sono formati in relazione ad almeno
tre « fattori » caratterizzanti: la propria natura giuridica, il prodotto o servizio
offerto 14 e un terzo fattore, forse il meno tangibile, che dipende fortemente
12
13
L. DURANTI, I documenti archivistici… cit., p. 60.
Sulla documentazione prodotta nelle imprese e sulla gestione dei loro archivi correnti si
veda A. BILOTTO, Records management e archivi d’impresa, di prossima pubblicazione su
« Archivi e computer » già uscito in forma più ampia come A. BILOTTO - M. GUERCIO, The
management of corporate records in Italy: traditional practice and methods and digital environment, in « Journal of Records Management », 3 (2003), pp. 136-146.
14
Segnaliamo a tal proposito un articolo in preparazione di L. ALIOTTA, A. BILOTTO, S.
GALIMBERTI, G. PALETTA, La formazione delle linee documentarie negli archivi d’impresa:
costruzione di un modello, relativo proprio al tentativo di comporre una griglia di riferimento
delle serie archivistiche reperibili in un’impresa in relazione all’incrocio tra la forma giuridica e
il prodotto o servizio offerto, contemplando sia quelli che sono gli obblighi di legge nella
formazione di determinati documenti sia quelle che sono invece le consuetudini gestionali e non
da ultimo la lettura in chiave storica dei documenti che nel tempo si modificano mantenendo
invariate le funzioni. Tale articolo si vuol porre, ancora una volta, come un tentativo di costru-
L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »
297
proprio dal dinamismo dell’impresa (e determina poi la complessità metodologica del lavoro archivistico), il cui fulcro sta nella presenza di un principio
di competizione che è assente nelle istituzioni pubbliche. Da tale principio
deriva la centralità del modello organizzativo come strumento di adeguamento
dell’impresa al mutare delle condizioni del mercato. Si noti che la variabilità
organizzativa è certamente presente anche nel settore pubblico, ma il suo
ruolo nell’impresa è più pregnante perché può portare alla distruzione del
fondamento istitutivo: l’impresa può scegliere di destrutturarsi per sopravvivere in particolari condizioni di mercato così come può arrivare a sostituire i
mezzi con i fini. Tenendo in conto tali considerazioni l’archivistica non deve
far altro che rispettare e cercare, laddove questo manchi, di ricostituire il
divenire di tale modello organizzativo. In questi termini la stessa natura
giuridica dell’impresa va « tarata » e la sua analisi va affiancata dalla ricerca
della dimensione più generale che potremmo definire del percorso imprenditoriale 15. La lettura di quest’ultimo in archivio è possibile soprattutto attraverso i documenti che testimoniano proprio l’attività produttiva nelle sue
costanti e nelle sue trasformazioni.
Portiamo degli esempi.
In alcuni casi il parametro interpretativo delle trasformazioni giuridicoistituzionali è sufficiente alla lettura e ricostruzione dell’archivio d’impresa.
Analizziamo l’accorpamento di due soggetti/imprese, per esempio due banche,
per loro natura molto vicine alla dimensione dell’istituzione pubblica, che si
fondono in una terza. Nonostante la trasformazione giuridica il prodotto/
servizio non cambia, così come rimane immutata la funzione sul mercato; di
tale trasformazione si ritrovano in archivio i segni visibili che verranno letti
come semplici cesure interne 16. Già però se ci spostiamo su imprese che,
nonostante la loro ben definita natura giuridica di società per azioni, sono
controllate da capogruppo, ci si presenta un quadro complesso che mostra da
un lato una certa autonomia operativa e dall’altro una forte concentrazione
(molto simile a quello caratterizzante i rami aziendali o le divisioni) tipica
delle holding, che tendono ad accentrare determinate e specifiche funzioni
comuni alle imprese di cui sono capogruppo o addirittura ad assegnare parte
della propria operatività in outsourcing. Ne deriva che la stessa formazione
dell’archivio e quindi la lettura dell’identità documentaria delle singole imprese appare molto più complicata 17.
zione di modelli che tengano conto sia del metodo archivistico sia dei comportamenti delle
imprese. A tale scopo, oltre all’esperienza di professionisti quale il consulente del lavoro
(Aliotta) e il commercialista (Galimberti) è fondamentale l’attenta osservazione proprio delle
imprese sia in termini di quantità che di « tipo » (per questo è stata determinante l’esperienza del
già citato censimento degli archivi d’impresa).
15
Le riflessioni sul modello organizzativo nell’impresa e soprattutto sul percorso imprenditoriale si riferiscono ad un articolo di G. Paletta in preparazione.
16
Cfr. A. BILOTTO, L’archivio della Banca privata Italiana, in « Imprese e storia », 23,
gennaio-giugno 2001, pp. 197-203.
17
Per esempio, una holding può decidere di accentrare nella propria struttura organizzativa
la gestione del personale di tutte le imprese di cui è la capogruppo; in termini archivistici nelle
298
Antonella Bilotto
L’attività delle imprese comprese nella holding entra a far parte dell’archivio di quest’ultima e proprio l’osservazione dell’attività produttiva (quindi
dei diversi prodotti) diventa la bussola per l’orientamento in quello che è
l’archivio nel suo insieme, alla ricerca delle sue parti componenti e delle
specifiche documentarie 18 poste in essere dalle singole società partecipate o
divisioni. La lettura dei documenti relativi all’attività produttiva acquista una
funzione fondativa nell’analisi dell’archivio perché può essere assunta
dall’archivista come indicatore delle modificazioni. Il prodotto entra allora a
pieno titolo in archivio, indipendentemente dalle sue caratteristiche tecniche,
perché rappresenta il discrimine interpretativo del percorso imprenditoriale
che l’archivista ha il compito di seguire e privilegiare. Può così costituire un
canovaccio, un punto di riferimento nell’analisi della vita di un’impresa nel
suo divenire.
Quanto detto vale per la grande impresa e può valere anche quando ci
spostiamo verso la piccola e media impresa, laddove ci rendiamo conto che il
percorso imprenditoriale è contrassegnato dalla nascita di una miriade di
imprese e consorzi che l’imprenditore genera per sviluppare la propria attività.
Può capitare infatti che la forma giuridica ultima rappresenti soltanto il
modello organizzativo finale rispetto ad un’attività cominciata molti anni
prima, tanto che misurazioni della durata nel tempo che non siano basate sul
parametro della continuità economica della medesima attività possono risultare fuorvianti (es. i passaggi ereditari di padre in figlio a volte pongono cesure
fittizie rispetto ad una continuità fattuale). Ecco allora che il percorso imprenditoriale si sostanzia nella vita dell’imprenditore e che nell’archivio dell’impresa si confondono le caratteristiche dell’archivio personale e dell’archivio
istituzionale. Ma è ancora una volta il prodotto che comunica la continuità o
l’interruzione di tale percorso.
I prodotti delle imprese segmenti d’archivio? — L’impresa, come soggetto giuridicamente riconosciuto nel quadro socio-economico, prima di essere il
soggetto produttore del proprio archivio e quindi di fissare attraverso documenti la memoria del proprio agire (al di là dei vincoli giuridici o gestionali
che la obbligano a farlo), ha la funzione primaria di produrre un prodotto.
Difatti, come abbiamo detto, pur essendo un’istituzione mutevole con una struttura che geneticamente è sempre variabile, mantiene un’unica costante fissa:
esiste in funzione della produzione di una forma specifica di bene o servizio 19.
singole imprese vengono a mancare i segmenti d’archivio che testimoniano l’attività del personale. Si crea una specie di vuoto documentario. Tale modo di procedere risulta ancora più complicato nel caso contrario, quando cioè ad un certo punto una delle imprese si « stacca » dalla
holding provocando e pretendendo necessariamente difficili e complesse migrazioni documentarie
da una all’altra.
18
Molto spesso si tratta di intere sezioni d’archivio costituite da serie archivistiche particolari (es. dalla documentazione cartacea di ricerca ai campioni di laboratorio di un’impresa
chimica compresa in un gruppo petrolifero).
19
Nel particolare ci riferiamo al volume di F. GALGANO, Diritto Privato, Padova, Cedam,
1988, al capitolo « Impresa », pp. 427-428.
L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »
299
Proprio in relazione a questa funzione andiamo ora ad analizzare gli archivi d’impresa dal punto di vista delle tipologie documentarie.
Innanzitutto, al contrario di quanto riteneva una tradizione ormai superata, non ci si trova di fronte soltanto a documenti scritti, ma è anche possibile
incontrare un documento « illustrato, trasmesso mediante il suono, l’immagine, o in qualsiasi altro modo » 20. È vero che non tutte le tipologie documentarie sopraindicate — e molte nuove se ne creano in continuazione — assumono la forma di documenti d’archivio. È anche vero però che certe tipologie
documentarie, quelle lontane dal testo scritto o a stampa, che si costituiscono
su supporti definiti non tradizionali dall’archivistica, trovano spesso molte
difficoltà ad essere comprese negli archivi, soprattutto da parte di operatori
esterni ai luoghi in cui sono state create.
È evidente infatti che le forme tradizionali di documentazione rappresentano il « genere di memoria consolidato » e che « in ogni società vi sono
istituzioni che sanciscono quali siano le forme della memoria legittime e
illegittime » 21, ma è altrettanto evidente che le imprese, che esistono in
quanto producono un bene o un servizio, possono creare in certi casi documenti non propriamente allineati a queste forme.
Già da qualche anno l’archivistica ha ampliato il proprio orizzonte di analisi per includere tipologie documentarie nuove rispetto al passato, prime tra
tutte i documenti informatici. L’attenzione viene posta anche su documenti
fissati su supporti non cartacei, benché spesso, non solo per problemi di
conservazione, mantenuti in fondi separati. Vengono considerati quindi parte
integrante dell’archivio, per fare solo qualche esempio, i supporti magnetici
contenenti le registrazioni delle sedute dei Consigli di amministrazione o
addirittura documenti, non propriamente legati all’attività del produttore, che
rappresentano operazioni « culturali » esterne ma che in archivio trovano la
loro collocazione. Ci riferiamo in quest’ultimo caso all’attenzione prestata alle
fonti orali 22 come prodotti documentari creati con funzioni di testimonianza
di una attività alle volte terminata da decenni e fatta rivivere proprio attraverso la creazione di questi documenti, non coevi all’attività ma utili alla costru20
Diplomatique, a cura di G. TESSIER, in L’histoire et ses méthodes, a cura di C. SAMAParis, Gallimard, 1961, p. XII (Encyclopédie de la Pléiade, 11). L’espressione è ripresa da J.
LE GOFF, Documento/monumento… cit., V, p. 41, a proposito della rivoluzione documentaria.
RAN,
21
A. L. TOTA, Sociologie dell’arte. Dal museo tradizionale all’arte multimediale, Roma,
Carocci, 1999, p. 84.
22
Per riflessioni aggiornate sulle fonti orali si veda il numero monografico del periodico
dell’Associazione nazionale archivistica italiana, « Archivi per la storia », XVI (2003), 1,
soprattutto il saggio di A. MULÈ, Le fonti orali in archivio. Un approccio archivistico alle
fonti orali, pp. 111-125, che in alcuni passaggi richiama problematiche di definizione dei
documenti d’archivio applicabili parimenti all’archivio del prodotto. Si segnala inoltre l’attività
di un gruppo di lavoro all’interno del Centro per la cultura d’impresa impegnato nella
ricerca della definizione di standard per la conservazione e descrizione delle fonti orali e in
numerose ricerche sul campo riguardanti l’uso delle fonti orali per la storia economica (si veda
http://www.culturadimpresa.org).
300
Antonella Bilotto
zione della memoria della stessa (interviste a ex dirigenti di un’impresa ai fini
di una ricerca, ecc.). Rimangono sempre più rari i casi in cui l’archivista si
avvicina all’impresa con l’aspettativa di limitare il proprio intervento al
« carteggio » tradizionale, relegando i documenti tecnici allo stato di oggetti di
catalogazione 23.
È vero che molte volte ci si trova di fronte a segmenti parziali rispetto a
quella che è la completezza e complessità di un archivio. E ribadiamo pure la
necessità di inserimento del segmento documentario « tecnico », come potrebbe essere quello relativo ai disegni, all’interno del complesso archivistico
globale dell’impresa, alla ricerca di quei vincoli naturali esistenti tra i documenti, ma allo stesso tempo sottolineiamo l’importanza, ben chiara alle
imprese, proprio di quell’archivio del prodotto non sempre « fissato » su
supporti tradizionali. D’altro canto un fondo archivistico dovrebbe comunque
sempre essere un « insieme di documenti, senza riguardo alla forma o al
supporto, automaticamente ed organicamente creati e/o accumulati [nel nostro
caso da un’organizzazione] (…) nel corso delle [proprie] attività e funzioni » 24.
In un archivio d’impresa si dovrebbero quindi ritrovare i « segni » 25, le
testimonianze, di questa attività produttiva (per noi d’ora in poi più semplicemente indicati in senso ampio come prodotti, siano essi beni o servizi) e
dell’organizzazione costruita intorno ad essa.
A seconda del tipo di impresa — e non ci riferiamo in questo caso ovviamente alla forma giuridica — si ha un tipo di prodotto, in quanto frutto
dell’attività produttiva che è molto diversificata tra i soggetti genericamente
individuati con l’etichetta impresa. Astraendo e separando in maniera a volte
un po’ artificiosa cerchiamo di indagare quindi i modi in cui tale prodotto si
« concretizza », si « esprime », « comunica » con l’esterno, ovvero « si materializza ». Schematicamente ci si imbatte in:
1. supporti « tradizionali », ovvero il prodotto si concretizza attraverso
documenti scritti, immagini iconografiche 26, ecc.;
23
Un’efficace descrizione in chiave autobiografica di questo tipo di approccio è riportata in
A. ROMITI, Tecnica archivistica e archivi d’impresa, in L’archivio nella realtà delle imprese, a
cura di F. DEL GIUDICE, Pisa, Associazione Amici della Scuola Normale Superiore, 1999, in
particolare alle pagine 188-189.
24
Cfr. L. DURANTI, I documenti archivistici …cit., p. 59 e anche La traduzione italiana
delle ISAD(G), in « Rassegna degli Archivi di Stato », LV (1995), pp. 392-413 e la versione
originale inglese in LIV (1994), pp. 133-153.
25
Di norma si tratta dei prodotti finiti, ma si intende in questo senso anche documentazione « intermedia », preparatoria alla costruzione del prodotto o documenti creati a testimonianza
per esempio della produzione di un « servizio » (es. la fotografia di un evento conservata nell’archivio di un’impresa il cui prodotto è organizzare manifestazioni culturali).
26
Riguardo ai materiali iconografici sono interessanti le riflessioni riportate da G. NISTICÒ,
Tra memoria e futuro. Mutazioni in atto negli archivi contemporanei, in Le carte della memoria,
a cura di M. MORELLI e M. RICCIARDI, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 161, che sottolineano lo
sforzo nel fare accettare da parte della comunità scientifica nuove fonti documentarie, definite
L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »
301
2. altre forme documentarie riconosciute da discipline quali la biblioteconomia, la storia dell’arte, ecc.
3. manufatti, ovvero « oggetti » materiali.
Da questa prima ripartizione derivano alle volte profonde differenze tra
l’approccio degli archivisti e l’approccio dell’impresa nella considerazione del
prodotto. Nelle esemplificazioni sopra citate il primo è fondamentalmente il
caso in cui i due punti di vista più facilmente convergono, riconoscendo
questo tipo di prodotto come facente parte dell’archivio dell’impresa (per es.
il prodotto fido di un’impresa che produce credito); nel secondo caso invece
gli archivisti prendono talvolta le distanze da quelli che sono prodotti quali
libri, giornali, riviste non solo rispetto alla loro collocazione in archivio ma
anche e soprattutto rispetto alla competenza nel loro trattamento; infine, per il
caso dei manufatti, la prassi non contempla la competenza dell’archivista, che
di norma li esclude dall’archivio e li considera in alcuni casi « materiale di
supporto » alla documentazione d’archivio, in altri casi li relega in un ipotetico limbo in attesa di un loro assorbimento in una struttura museale o in
aggregazioni proprie delle collezioni.
A proposito di libri e di imprese editoriali Laura M. Coles scriveva:
Tecnically, a published book belongs in a library, not an archives. But in publishing company the book is the fruit of your editorial efforts; it is an essential piece
of your history 27.
Nel caso del prodotto libro è abbastanza evidente che in un’impresa che
produce libri il valore e le funzioni sia gestionali-amministrative che di
memoria di questa documentazione abbiano una valenza diversa rispetto a
quelle riferite ad un libro prodotto « fuori » da quell’impresa, cioè da un’altra
impresa. È ancor più evidente che le due tipologie di « libro » a confronto non
sono equivalenti pur presentando la stessa forma e gli stessi contenuti: per
l’impresa/produttore del libro questo afferisce al proprio archivio, per quella
che non lo produce ma lo acquisisce il libro è materiale della biblioteca.
Ancora in questo senso, e molti potrebbero essere gli esempi, pensiamo
alle differenze sostanziali nelle valenze e funzioni attribuibili ai quotidiani
prodotti e conservati presso l’editore/produttore e la stessa identica raccolta
conservata da una impresa che la utilizza a fini esclusivamente informativi e
in essa non individua nulla di suo. Va ricordato infatti che proprio nel prodotto l’impresa si riconosce.
È necessario allora inserire il prodotto come documento legato agli altri
documenti, indipendentemente dalla forma e dal supporto materiale, in posi« materiali fastidiosi » sostanzialmente perché « pongono problemi di descrizione e ordinamento
in specie se inseriti in complessi archivistici ».
27
L. M. COLES, Archival Gold. Managing & Preserving Publishers’ Records, Vancouver,
Canadian Centre for Studies in Pubblishing, 1989, p. 27; per la segnalazione si ringrazia Luisa
Finocchi della Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori.
Antonella Bilotto
302
zione logica all’interno dell’archivio in modo da mantener fede al naturale e
proprio vincolo archivistico all’interno delle serie che lo compongono. Inoltre
perché « tecnicamente » 28 ciò non valga bisognerebbe non riconoscere nel
« prodotto/documento » libro, così come nei giornali o in altri tipi di documento, i connotati del documento d’archivio e dare forza semplicemente alla
forma, prescindendo radicalmente dal « contesto documentario » all’interno
del quale si è creato il documento come « strumento o residuo di un’attività
pratica » 29. Vorrebbe dire inoltre non riconoscergli le altre caratteristiche
tipiche soltanto dei documenti d’archivio: « naturalezza (…) interdipendenza
(…) unicità » anche in presenza di plurime copie, di documenti identici 30, e
ancora « imparzialità (…) autenticità » 31, quest’ultima « connessa al reale
bisogno di auto-documentazione del soggetto produttore che infatti organizza
il proprio sistema archivistico in modo da garantirsi una produzione documentaria affidabile e sicura che conservi tali qualità sia nel momento della gestione attiva che nelle successive fasi di trattamento e conservazione » 32. Proprio
in questi termini il fatto che documenti quali il bilancio di una società, i
numeri di un quotidiano oppure oggetti quali i bottoni vengano prodotti in
plurime copie assolutamente identiche e disperse sul territorio non scardina il
nostro discorso ma sottolinea che i loro caratteri di autenticità sono fortemente legati al produttore. Ci si muove nella direzione che lega fortemente
l’autenticità del documento non ai suoi caratteri « formali » (che potrebbero
mancare) ma al legame con l’istituzione che lo ha prodotto come garante e
certificatore proprio della autenticità.
Ma allora il prodotto, se riporta i caratteri costitutivi sopra citati, può essere documento d’archivio, non enfatizzato nella sua forma e quindi non
sradicato dal contesto archivistico per essere collocato in contenitori strutturati
dall’esterno secondo aggregazioni non coeve alla sua formazione (biblioteche,
emeroteche, ecc.) e, quando su supporto non cartaceo, nemmeno recluso in
artefatte forme di collezione a causa della propria materialità di oggetto fisico.
28
L. M. COLES, Archival Gold …cit., p. 27.
29
L. DURANTI, I documenti archivistici … cit., pp. 17-18.
30
L. DURANTI, La definizione di memoria elettronica, in L’ecclisse delle memorie, a cura
di T. GREGORY e M. MORELLI, Bari, Laterza, 1994, pp. 152.
31
L. DURANTI, I documenti archivistici… cit., pp. 18-19, riporta come caratteristiche dei
documenti archivistici la « naturalezza, che deriva dal fatto che i documenti archivistici risultano
da esigenze pratico-amministrative e si accumulano naturalmente e continuamente; interdipendenza, che deriva dalla loro spontanea e al tempo stesso strutturata coesione, dovuta alla ragione
per cui essi sono creati e necessaria alla loro esistenza e alla loro capacità di raggiungere il loro
scopo e di servire come testimonianza; unicità, che deriva dal rapporto unico che ciascuno di essi
ha con il suo contesto sia documentario che amministrativo; imparzialità, che deriva dal fatto che
i documenti archivistici formano una parte reale delle attività da cui risultano; autenticità, che
deriva dal fatto che i documenti archivistici sono generati credibili e affidabili da coloro che
hanno bisogno di agire per mezzo di essi e sono mantenuti con le appropriate garanzie per
ulteriori attività, per consultazione, informazione e testimonianza ».
32
M. GUERCIO, La gestione dei documenti d’archivio. Principi e metodi, in Gli archivi
nella realtà dell’impresa… cit., p. 148, ma anche pp. 136-137.
L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »
303
In questo secondo senso risulterebbe addirittura paradossale non riconoscere
questi prodotti/oggetti come parti integranti d’archivio in un’epoca in cui il
documento virtuale ha proprio il problema di non essere un « oggetto fisico,
definito nello spazio e nel tempo » in una forma stabile 33.
Allo stesso tempo non si vuole dare ad intendere che all’interno dell’impresa non siano presenti forme documentarie che rappresentino qualcosa di
diverso dai documenti d’archivio, che non possano cioè esistere nelle imprese
le biblioteche, le emeroteche o le raccolte di oggetti. Ma se esistono tali
luoghi non contengono (o non dovrebbero contenere) quei documenti che
costituiscono la rappresentazione interna ed esterna dell’attività di quella
determinata impresa, siano essi documenti cartacei o manufatti. Non è possibile paragonare i prodotti materiali posti in essere da un’impresa agli oggetti
di una collezione — anch’essa interna all’impresa — degli strumenti per
esempio che nel tempo si sono utilizzati per la costruzione dei prodotti stessi
(i quali in altri luoghi potranno essere segmenti di archivio di prodotto di
quelle imprese che li hanno creati). Allo stesso tempo non vogliamo cadere in
una specie di « vizio dell’enfasi della forma » considerando gli oggetti sempre
e indistintamente come documenti d’archivio.
È evidente che quanto detto finora sembra proporre uno schema certo in
cui collocare le diverse tipologie di fonti documentarie mostrandole con un
profilo ben definito. Nonostante quanto affermato, vorremmo ora introdurre
quelli che sono gli elementi di problematicità che emergono dall’analisi fin
qui effettuata. Prima però evidenzieremo quelli che vogliamo sottolineare
come punti fermi di queste riflessioni. Il primo, che deriva da quanto detto
finora, si sostanzia nella considerazione che i prodotti materiali sono a tutti gli
effetti delle serie archivistiche. Con ciò non vogliamo dire che in un’impresa
che conserva solo tre prodotti sporadici relativi alla propria attività, questi
rappresentino una serie archivistica. Lo stesso problema lo incontreremmo in
presenza di archivi cartacei dispersi: capita alle volte che la memoria di
un’impresa si riduca alla conservazione di un vecchio bilancio, uno statuto e
qua e là qualche foglio sparso relativo a una corrispondenza di cui si sono
perse le tracce. Una cosa è la conservazione, altra cosa è la produzione di
documenti. L’altro punto che vogliamo evidenziare come elemento forte e
caratterizzante un archivio d’impresa volge nella direzione dell’unitarietà dello
stesso come insieme di più segmenti tra loro anche profondamente diversi (il
segmento amministrativo-gestionale, il segmento tecnico, il segmento relativo
al prodotto finito, ecc.). A questo punto possiamo cominciare ad individuare
quelli che si presentano come problemi legati alla definizione di confini e
funzioni che, pur in qualche modo evidenziati e schematizzati sopra, non
sempre trovano una connotazione così netta e precisa rispetto a come li
abbiamo proposti. Esiste un intero settore « grigio » non facilmente identifica33
M. GUERCIO, La gestione dei documenti… cit., p. 137.
304
Antonella Bilotto
bile e tanto meno collocabile in una riflessione sul metodo attraverso gli
strumenti finora utilizzati.
La stessa identificazione dell’archivio del prodotto in quanto tale può
porre questo tipo di problemi. Durante il ciclo produttivo, per ragioni non
propriamente attinenti alla nostra analisi, può accadere che il prodotto o parte
di esso venga commissionato all’esterno dell’impresa, ad altre imprese. Ciò
significa che nel ciclo produttivo intervengono archivi del prodotto di altre
imprese (per es. alcuni componenti di un’automobile). Il prodotto finito in
questo caso rappresenta un insieme, indipendente dalle percentuali, di quelli
che sono i « prodotti »/componenti di altri che a questo sono aggregati. Se ci
riferissimo ai fascicoli cartacei li definiremmo « allegati »; dovremmo forse
domandarci se ciò può valere anche nel caso dei prodotti.
Un’altra considerazione va fatta riguardo alla conservazione dell’archivio
del prodotto. Le ragioni per cui in un’impresa questo non venga mantenuto
nel tempo possono essere molteplici. Di norma non sono ragioni relative
all’ingombro 34 — o lo possono essere solo parzialmente — ma sono motivazioni legate soprattutto al carattere di unicità. Se la produzione è rappresentata
da un’attività artigianale, come per esempio in oreficeria, l’archivio presso
l’impresa conserverà la catena documentaria relativa ad un determinato
prodotto fino a che il prodotto non « esce » dall’impresa (troveremo il carteggio relativo ai materiali, il carteggio relativo alla vendita, il disegno, ecc.).
L’oggetto prodotto in un unico esemplare (un anello ad esempio) è uscito
dall’impresa. In pratica ci si trova di fronte ad un archivio del prodotto
disperso sul territorio al pari — e qui non si fraintenda la comparazione —
della produzione artistica di un pittore: tale documentazione potrebbe essere
eventualmente ricollocata all’interno dell’archivio dell’impresa di cui è parte o
potrebbe finire in altri luoghi, slegata dall’impresa, all’interno di collezioni/musei, laddove non sono la concatenazione archivistica e il vincolo archivistico le logiche dell’aggregazione.
È questo, a nostro parere, il terreno sul quale sviluppare e ampliare i discorsi metodologici propri dell’archivistica. Dove comincia e dove finisce un
fondo? 35 Quali documenti in questo fondo possono essere a ragion veduta
compresi? E forse ancor più che cos’è un fondo nei termini della documentazione di un’impresa? Le fotografie comprate alle agenzie di stampa che
vengono pubblicate su un quotidiano e che di solito stanno in un centro di
documentazione quanto sono o non sono archivio e perché? Quali sono le
caratteristiche dei fondi separati in un archivio d’impresa? Perché siamo
34
Si pensi per esempio agli eccellenti esempi, forniti dall’industria automobilistica, di conservazione di prototipi di automobile che senza dubbio, rispetto ad altri prodotti, sono da
considerarsi abbastanza ingombranti.
35
Ciò vale non solo per gli archivi d’impresa. Più volte ci si domanda dove finisce l’archivio di uno scrittore: la sua corrispondenza, i suoi manoscritti, le sue bozze stanno a pieno
titolo nel fondo che testimonia la sua attività di uomo e di scrittore. Ma la copia a stampa dei
suoi scritti, pubblicata da case editrici diverse, fa parte dell’archivio o no?
L’archeologia del documento d’impresa. L’« archivio del prodotto »
305
portati così spesso a considerare gli oggetti materiali prodotti dalle imprese
come segmenti non d’archivio ma componenti di strutture museali che pur
esistono all’interno delle imprese e con questa etichetta vengono connotati?
Rispetto a quest’ultimo punto vorremmo proporre solo una breve riflessione. All’interno delle imprese — o grazie al concorso tra più imprese —
sono nate recentemente esperienze di valorizzazione del patrimonio storicoculturale che hanno preso il nome di museo d’impresa. Ci sembra però che
esista una prima differenza tra quello che può essere definito un museo che si
basa su documenti aggregati secondo, sia permesso il termine, una materia e
musei i cui componenti sono esclusivamente i prodotti di una specifica
impresa. Un ipotetico museo dell’editoria potrebbe comprendere e comparare
al proprio interno i documenti prodotti da più imprese editoriali magari sul
filo conduttore forte dei prodotti di una specifica impresa. Il museo di
un’impresa di mobili di design o di un’impresa automobilistica che comprende solo i prodotti relativi alla propria attività specifica ci sembra già qualcosa
di diverso dal modello museale proposto sopra. La missione di queste esperienze — a volte segmenti dell’impresa, a volte istituzioni giuridicamente
autonome — è quella di manifestare la rilevanza culturale di un ramo
d’azienda (museo del prodotto) o dell’impresa stessa, anche se, nei due casi
proposti, cambiano sicuramente i contenuti e non solo. Nel primo caso ci
troviamo di fronte ad un’operazione culturale che, inseguendo un filo rosso,
attraversa più produttori d’archivio, attingendo a più archivi; nel secondo caso
ci troviamo di fronte a una diversa finalità che è quella di trasmettere attraverso il prodotto l’espressione più autentica della propria identità.
Inoltre un fattore discriminante permane e ci sembra importante evidenziarlo alla comunità scientifica come nodo di un dibattito da affrontare. Esso
risiede nella marcata funzione espositiva che è connaturale all’approccio
museale e nell’impresa è enfatizzata da una più forte attenzione agli aspetti
della valorizzazione rispetto a quelli della conservazione. Ne deriva che il
museo d’impresa illustra l’evoluzione del prodotto aziendale e quindi si fa
carico della finalità espositiva imponendo una selezione (una sorta di scarto
estetico) essenziale ad assicurare l’efficacia dell’esperienza percettiva da parte
del fruitore.
L’impresa potrebbe, certo con valenze differenti, comunicare all’esterno
prodotti culturali diversi come potrebbe avvenire per esempio attraverso
pubblicazioni che attingono sempre agli stessi documenti d’archivio. Quello
che però intendiamo in questa sede sottolineare — e in questo ci ricolleghiamo alla volontà di non separare i prodotti dagli altri documenti d’archivio —
è che ciò che muove verso la mediazione espositiva è la volontà di realizzare
appunto un’operazione culturale (non è necessario farlo, ma può essere fatto).
Nel caso della formazione dell’archivio questa valenza non c’è: l’archivio si
forma naturalmente per gli scopi già sottolineati più volte in queste pagine.
Riflettendo su questo nodo concettuale crediamo sia possibile sostenere
che la garanzia della corretta e completa conservazione dell’archivio del
306
Antonella Bilotto
prodotto possa essere meglio fornita dall’approccio archivistico, più attrezzato
per resistere alle tentazioni delle logiche d’uso nella formazione del patrimonio strorico-documentale.
Quanto finora proposto sull’archivio del prodotto che, come abbiamo già
accennato, definiamo strumentalmente in questo modo ma non consideriamo
come archivio separato dal resto dell’archivio d’impresa, pone grandi problemi a chi realmente si trova a dover operare laddove il prodotto non rappresenta la forma più diffusa dei documenti d’archivio, quelli cartacei, nei termini
per esempio del riordinamento e dell’inventariazione, ma soprattutto nei
termini delle descrizioni. Descrivere un oggetto — ma al pari di una pergamena, di un disegno tecnico o di una fotografia — richiede competenze
specifiche. Riteniamo la figura dell’archivista centrale nell’individuazione dei
legami interni ai documenti che solo chi ha trattato l’archivio nella sua interezza può cogliere. È fondamentale il riconoscimento dell’unità archivistica
corrispondente per esempio al numero della rivista pubblicata che tiene insieme, secondo una sedimentazione naturale, il complesso delle tavole dipinte
a mano o ancora le fotografie del progetto di costruzione di una centrale
elettrica o, perché no, le matrici in piombo delle medaglie coniate per un
determinato evento o ancora il gruppo di bottoni esperimento di una innovazione tecnologica nello smalto. Di qui poi il riordinamento, l’inventariazione e
quanto in archivistica è necessario alla descrizione di questo materiale documentario in collaborazione con figure professionali individuate a seconda del
settore (storico dell’arte, esperto chimico, ecc.) specializzate nelle descrizioni
particolari.
Nella pratica archivistica non sempre questo approccio agli archivi d’impresa è facilmente realizzabile. Esistono atteggiamenti fortemente contrastanti
con complicazioni di ordine giuridico (per esempio sulle competenze rispetto
alla tutela delle diverse Soprintendenze) anche molto complesse.
Perciò, posto che non possa esistere una separazione nell’archivio d’impresa in relazione alla materialità dei documenti che lo compongono, l’approccio non può che basarsi su un sistema integrato di competenze che su di
esso intervengano sia dal punto di vista delle professionalità sia dal punto di
vista dell’indirizzo e della tutela giuridica.
ANTONELLA BILOTTO
Centro per la cultura d’impresa
GIORNATA DI STUDIO:
« PUBBLICO E PRIVATO NELLE CARTE SCHIFF GIORGINI.
DALLA DISPERSIONE AL DEPOSITO
PRESSO L’ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE »
(Archivio di Stato di Firenze, 16 maggio 2002)
Si pubblicano i testi delle relazioni tenute in occasione di una giornata di
studio organizzata dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana in collaborazione con l’Archivio di Stato di Firenze per presentare al pubblico il
deposito presso quest’ultimo Istituto di un consistente nucleo delle carte Schiff
Giorgini, a conclusione di un complesso intervento di tutela.
Rassegna degli Archivi di Stato, LXII (2002), 1-2-3
308
Rosalia Manno Tolu - Maria Grazia Pastura
Introduzioni ai lavori
309
INTRODUZIONI AI LAVORI
Nell’aprire i lavori dell’incontro di studi dedicato alle carte Schiff Giorgini, sono lieta di esprimere il compiacimento dell’Archivio di Stato di Firenze per la realizzazione di questa iniziativa, avvenuta in stretta collaborazione
con la Soprintendenza archivistica per la Toscana.
Il titolo del convegno, « Pubblico e privato nelle carte Schiff Giorgini.
Dalla dispersione al deposito presso l’Archivio di Stato di Firenze », allude, da
un lato, a possibili, differenti percorsi di ricerca all’interno del fondo documentario che oggi viene depositato presso il nostro Istituto, dall’altro sottende
i problemi affrontati dalla Soprintendenza per superare, nella misura del
possibile, la dispersione dell’archivio della famiglia Giorgini, da tempo avvenuta. Causa di ciò fu soprattutto la presenza in quel fondo dei documenti
riguardanti le figlie di Alessandro Manzoni, Matilde e Vittoria, quest’ultima
andata sposa a Giovanni Battista Giorgini nel 1846; lettere, diari, scritture
particolarmente ambite e dense di suggestioni evocative, sono tornate adesso,
grazie all’intervento sapiente e tenace della Soprintendenza archivistica, nell’alveo originario delle carte di famiglia, giunte agli Schiff a seguito del
matrimonio di Roberto con Matilde di Giovanni Battista Giorgini.
Le relazioni previste nella sessione mattutina di questa giornata daranno
conto, con Paola Benigni, delle vicende dell’archivio Schiff Giorgini nel corso
del Novecento e, quindi, della diaspora di quelle carte, divise adesso tra
cinque istituti culturali (il Centro studi manzoniani, la Biblioteca Braidense, il
Gabinetto Vieusseux, la Società toscana del Risorgimento e l’Archivio di
Stato di Firenze), che potranno cooperare nella creazione di un’efficace guida
inventario dell’archivio, promuovendone così una ricomposizione virtuale.
Successivamente, Alessandro Breccia e Romano Paolo Coppini tratteranno di eminenti rappresentanti di casa Giorgini — Niccolao, Gaetano e Giovanni Battista — che, originari di Montignoso, parteciparono attivamente,
durante tutto il sec. XIX, alla vita pubblica, politica e culturale, nella Repubblica e nel Ducato lucchese e, poi, nel Granducato di Toscana e nell’Italia
unita. Concluderà la sessione mattutina del convegno Emilio Capannelli, che
rievocherà la tragedia del primo conflitto mondiale attraverso le lettere dal
fronte di Giorgio Schiff Giorgini. Nel pomeriggio saranno di scena aspetti
della vita privata, colti soprattutto attraverso le vicende delle figure femminili,
Rosalia Manno Tolu - Maria Grazia Pastura
310
attrici principali delle « memorie manzoniane di casa Giorgini », ripercorse da
Giuseppe Nicoletti.
Seguirà la lettura animata di un atto unico di Donatella Contini, Le due
signore 1, le cui protagoniste sono entrambe creature di Manzoni, la figlia
vera, Matilde, e la figlia « di carta », la monaca Gertrude dei Promessi sposi,
accompagnata dal suo modello storico, Marianna de Leyva. Leggeranno il
testo teatrale: Stefano Gambacurta, Patrizia Ficini, Costanza Geddes, Ilaria
Parri ed Elisabetta Santini.
Alla Soprintendenza archivistica per la Toscana, ai relatori, alla scrittrice
e agli attori, che hanno reso possibile la realizzazione di questa giornata, va la
nostra più sentita gratitudine.
ROSALIA MANNO TOLU
Archivio di Stato di Firenze
L’opera di attenta ricostruzione delle vicende di un archivio, della traditio dei documenti che lo compongono, è parte integrante del lavoro d’indagine
che l’archivista è tenuto a compiere nel consegnare ai ricercatori le chiavi
della memoria. La sedimentazione delle carte di un archivio non è, infatti,
casuale né neutrale rispetto alle scelte compiute dal suo creatore: nel caso di
un archivio familiare essa è anche il risultato di alleanze, matrimoni, percorsi
di vita dei membri della famiglia, o delle famiglie che lo hanno costituito. La
frammentazione dell’archivio, la dispersione delle carte è quindi un vulnus
talvolta irrecuperabile, poiché ne compromette la leggibilità. Il lavoro compiuto dalla Sovrintendenza in cinquant’anni di difficile tutela, ripercorsi da Paola
Benigni nel suo contributo, per rintracciare e ricondurre ad unità, almeno sulla
carta, l’archivio Schiff Giorgini è quindi ineccepibile nel metodo. Del risultato
conseguito sottolineo l’importanza, poiché esso ha restituito, nella sua integrità, alla ricerca un pezzo importante del nostro comune patrimonio culturale.
Non uso a caso questa locuzione. La consapevolezza che gli archivi sono
parte integrante e infungibile del patrimonio culturale è maturata nel nostro
Paese dopo un lungo percorso di elaborazione dottrinale, che ha avuto i suoi
momenti più alti nei lavori della Commissione comunemente nota col nome
del suo presidente, Franceschini, a metà degli anni Sessanta del Novecento.
Il tema riecheggia ora nella Raccomandazione del Consiglio dei ministri
dell’Unione Europea per una « politica europea in materia di comunicazione
di archivi », approvata a Strasburgo nel 2000, dove si afferma tra l’altro che
1
D. CONTINI, L’autore smemorato e Le due signore, Firenze, Nicomp Letture, 2001.
Introduzioni ai lavori
311
un Paese non accede pienamente alla democrazia se non pone ciascun cittadino nella condizione di conoscere « in maniera oggettiva gli elementi della sua
storia », che ha negli archivi, specialmente in quelli dell’apparato pubblico,
una fonte primaria. Il conservare e il trasmettere alla riflessione delle generazioni che verranno le fonti documentali, pubbliche e private, è quindi, per una
nazione, un irrinunciabile obiettivo di civiltà. Obiettivo a cui tutti sono chiamati a concorrere.
L’organizzazione amministrativa e la legislazione di tutela che lo Stato
italiano si è dato nel corso di oltre un secolo hanno assecondato quello che
con espressione felice è stato definito il « policentrismo della conservazione »,
assicurando tuttavia sempre più consapevolmente unitarietà di indirizzi per la
salvaguardia e la trasmissione del patrimonio storico-documentale. È stato così
realizzato un modello istituzionale, seguito anche da legislazioni estere, che
coniuga pluralismo culturale e tutela unitaria, quest’ultima assicurata, sul
territorio, dalle Soprintendenze.
In ragione di questa impostazione, confermata anche dal decreto legislativo 490/1999, recante il testo unico dei beni culturali ed ambientali, i primi
destinatari degli indirizzi impartiti dalla legislazione di tutela sono i proprietari, possessori o detentori degli archivi: ad essi fa capo infatti, in via primaria,
l’obbligo di conservarli nella loro integrità — dove, per conservazione, si
intende quella fisica dei materiali documentari, assicurata anche mediante il
restauro, quella dell’ordinamento delle carte, condizione indispensabile per la
leggibilità dell’archivio, o meglio, per dirla con il Testo unico, « per assicurare
la conservazione e la protezione dei suoi valori culturali » —, come pure
l’obbligo di consentire l’accesso agli utenti.
In un sistema istituzionale che riconosce anche la funzione pubblica della
proprietà privata, questi oneri vanno letti, quando ricadono su un soggetto privato, nella prospettiva dell’interesse che la carta costituzionale riconnette alla
salvaguardia del patrimonio culturale nazionale. In ragione del rilievo costituzionale dei beni, le istituzioni pubbliche sono chiamate in diversa misura a
concorrere: lo Stato, in quanto titolare della funzione di tutela, le Regioni, gli
enti locali, gli enti funzionali, in quanto titolari di funzioni di conoscenza,
conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale nazionale.
Nel caso degli archivi privati, gli obblighi ai quali ho fatto cenno sorgono
nel momento in cui un formale provvedimento della Soprintendenza ne
dichiari il notevole interesse storico: meglio, con l’avviso di avvio del procedimento che si concluderà con la dichiarazione. Da quel momento, ogni condotta che trasgredisca a quegli obblighi è perseguibile penalmente, in ragione
del fatto che il nuovo testo normativo estende anche agli archivi l’apparato di
sanzioni già previsto dalla legge 1089 del 1939 a tutela dei beni di interesse
artistico e storico.
La legislazione chiama tuttavia i privati a cooperare con lo Stato per
l’individuazione del patrimonio storico-documentale nazionale. In questo
senso deve essere letta la norma che invita i detentori di documenti che
312
Maria
Grazia
Pastura
Rosalia Manno
Tolu
- Maria
Grazia Pastura
abbiano più di settant’anni a dichiarne il possesso, nel presupposto che essi
abbiano, per la loro stessa antichità, notevole interesse storico; o quella che
obbliga i titolari di case di vendita e i pubblici ufficiali preposti alle vendite
mobiliari di comunicare al soprintendente archivistico l’elenco degli archivi e
dei documenti posti in vendita, ivi compresi quelli non dichiarati dal soprintendente.
Questo è, in estrema sintesi, il quadro della disciplina di tutela, rigoroso
come richiede il compito cui vuole assolvere, e tuttavia non sempre bastante a
sostenere quel compito.
Al di là del rigore normativo, io credo che le prospettive di conservazione del nostro immenso patrimonio siano soprattutto affidate alla presa di
coscienza, da parte delle istituzioni pubbliche e dei privati, del profilo di
civiltà che distingue il comune impegno alla conservazione degli archivi. Se
questa felice condizione si verificherà, e da molti segnali si può cogliere il
risveglio dell’interesse verso gli archivi, l’obiettivo della trasmissione della
memoria storica nazionale diverrà un obiettivo a portata di mano, se mi
consentite l’espressione.
Occorre, a questo fine, cooperazione tra le istituzioni e tra istituzioni e
privati: proprietari di archivi, studiosi, cittadini. L’opera delle Soprintendenze
è spesso resa difficile proprio dalla mancanza di questa collaborazione, specie
nella fase dell’individuazione del patrimonio culturale di proprietà privata. Lo
stesso procedimento di dichiarazione di notevole interesse storico diviene un
momento critico, se non c’è, da parte del privato, la disponibilità a riconoscere
la funzione pubblica del tesoro di carte che possiede: tesoro non tanto — o
non solo — in ragione del suo valore venale ma per l’intrinseco valore di
testimonianza che le carte recano. Matilde Schiff-Giorgini era ben consapevole dell’importanza delle care memorie familiari: il venir meno di questa
consapevolezza ha generato la dispersione di quelle memorie. Né l’attenzione
ad esse dedicata da parte degli storici e da parte dell’organo di tutela ha
potuto evitare la diaspora.
Ora questa possibilità di cooperazione diviene una prospettiva concreta
alla luce della più recente disciplina sui beni culturali. Come ho accennato in
apertura, la vigente normativa (e la recente legge costituzionale di riforma del
Titolo V della carta costituzionale accentua questo indirizzo) attribuisce non
solo allo Stato, ma anche alle Regioni e agli enti locali, funzioni di intervento
per la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale pubblico e
privato presente nel proprio territorio. In ragione della nuova disciplina, spetta
anche alle Regioni e agli enti locali assumere iniziative di censimento e inventariazione di archivi pubblici e privati, nell’ambito dei principi generali definiti con legge dello Stato. Alla amministrazione statale conferisce strumenti di
intervento più duttili, ampliando, ove ricorrano precise condizioni, la facoltà
di sostenere gli interventi con risorse a carico dell’erario statale. Le Commissioni regionali, istituite dal decreto legislativo 112/98 con il compito di istruire
e formulare proposte di piani pluriennali e annuali di valorizzazione dei beni
Introduzioni ai lavori
313
culturali e di promozione delle relative attività, momento importante di confronto e di collaborazione, sono assunte come luogo nel quale, dalla composizione dei diversi interessi, prendono corpo programmi organici capaci di
influire sulle linee programmatiche nazionali.
È importante che le istanze coinvolte operino in modo che questo momento di confronto e collaborazione non si trasformi in un nuovo « scacco
istituzionale », qual’è stato il sostanziale fallimento del Comitato regionale
previsto dal vecchio decreto 805 del 1975 sull’organizzazione del Ministero
per i beni culturali ed ambientali.
D’altra parte, l’ambizioso obiettivo della conservazione e della trasmissione del nostro immenso patrimonio culturale deve necessariamente mobilitare e coinvolgere tutte le risorse disponibili, pubbliche e private. E quindi non
possiamo non ricordare, in questa prospettiva, l’art. 38 del collegato alla legge
finanziaria 2001, che introduce nuovi benefici fiscali per chi investe nel
settore dei beni e delle attività culturali, nell’intento di coinvolgere risorse
private nell’opera di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale
nazionale.
In conclusione, credo di poter affermare che la legislazione che ho brevemente commentato indica la via della cooperazione, della condivisione di
progetti, della messa in comune di risorse, come quella da seguire per la
salvaguardia del patrimonio culturale, nella consapevolezza che l’obiettivo
della sua tutela sia un’impresa di alto profilo civile alla quale nessuno deve
sentirsi estraneo: non l’istituzione pubblica, alla quale fa carico l’onere più
gravoso, non il privato che, in quanto proprietario o semplicemente detentore
di un bene di rilievo costituzionale, svolge anch’egli una funzione pubblica.
Ma poiché le leggi camminano con le gambe degli uomini, la riuscita di
questo chiaro disegno normativo dipenderà da quanti, con diverso profilo e
diversi compiti, si impegneranno con onestà intellettuale in questa meritoria
impresa.
MARIA GRAZIA PASTURA
Direzione generale per gli archivi
Servizio III. Archivi non statali
TRA MEMORIA ED OBLIO:
L’ARCHIVIO SCHIFF GIORGINI NEL NOVECENTO *
Il 15 giugno del 1940 moriva a Firenze Matilde Schiff Giorgini, figlia di
Giovanni Battista Giorgini e di Vittoria Manzoni e nipote diretta dell’autore
dei Promessi Sposi.
Un testimone d’eccezione, Giovanni Gentile, che, come vedremo aveva
nei suoi confronti un particolare debito di riconoscenza, ne delineò negli « Annali Manzoniani » dell’anno successivo, un breve, ma significativo profilo 1.
Di donna Matilde, definita « come l’ultima superstite della famiglia e la
degna erede di quelle domestiche tradizioni manzoniane (…) oggetto di
universale curiosità e di assidue ricerche degli studiosi », egli ricordava
soprattutto l’amore per gli studi e il culto costante delle memorie familiari di
cui curò personalmente l’edizione e diffuse la conoscenza o permise ad altri,
con signorile liberalità, lo studio e la pubblicazione.
Tra i molti che si rivolsero a lei « per ragguagli e documenti del suo archivio prezioso », Gentile cita alcuni dei principali cultori di studi manzoniani
dei primi decenni del secolo: Alessandro d’Ancona, che nel 1913 pubblicò le
lettere di argomento manzoniano di Giovan Battista Giorgini 2; Michele
Scherillo che da donna Matilde ebbe, per il secondo volume di Manzoni
Intimo uscito nel 1923, tutte le lettere inedite scritte da Manzoni alle figlie
Matilde e Vittoria e al genero Giovan Battista 3; Domenico Bulferetti, che
sempre grazie alla sua disponibilità, curò nel medesimo anno la pubblicazione
dell’inedito manzoniano Sentir messa 4.
* Questo articolo riprende, con alcuni approfondimenti, considerazioni da me già svolte nel
contributo L’archivio Schiff Giorgini da scrigno di “care memorie” a terreno di caccia di antiquari e collezionisti, presentato ad una giornata di studio tenutasi sul medesimo tema a Firenze il
2 marzo 2001 e poi pubblicato in « Paragone », LI (2000), terza serie, 27-28-29, pp. 146-155.
1
« Annali Manzoniani », II (1941), pp. 290-291; da qui, fino a diversa indicazione, sono
tratte le citazioni che compaiono nel testo tra virgolette.
2
A. D’ANCONA, Otto lettere di argomento manzoniano di G. B. Giorgini, Pisa 1913, ripubblicate in ID., Pagine sparse di letteratura e di storia, Firenze 1914, pubblicate di nuovo in
Manzoni Intimo, un tesoro di lettere inedite dirette alle figlie Vittoria e Matilde e al genero G. B.
Giorgini, II, a cura di M. SCHERILLO, Milano 1923, pp. 249-274, appendice II.
3
Manzoni Intimo, II… cit., pp. 1-234.
4
D. BULFERETTI, Sentir Messa, Milano, Bottega di poesia, 1923.
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
315
Né manca di ricordare, Gentile, quanti ebbero accesso al tesoro delle
carte domestiche, conservato da Donna Matilde, per studiare l’età risorgimentale; cita, in proposito, l’aiuto prezioso che ella prestò ad Albertina Simoni per
il suo saggio su La vita, l’attività e gli scritti di Giovan Battista Giorgini,
pubblicato nel 1925 5, e la collaborazione disinteressata fornita a molti altri
studiosi che, come Vittorio Cian 6 ed Angelo Gambaro 7, si occuparono più
specificatamente del ruolo avuto dal padre nel processo di unificazione nazionale e dei suoi rapporti con i principali protagonisti delle vicende politiche del
Risorgimento.
Quanti e quali tesori conservasse l’archivio Giorgini l’aveva del resto rivelato con efficacia la stessa Matilde pubblicando nel 1910, nel volume dal
titolo Vittoria e Matilde Manzoni, le Memorie della madre con un’introduzione e un apparato di note, ricchi di documenti inediti 8.
In realtà la morte della madre, che aveva segnato per lei la fine della
giovinezza immemore, l’aveva condotta negli anni immediatamente seguenti il
1892 ad assumere su di sé il ruolo che ella aveva svolto, in ordine alla conservazione e al culto delle più intime memorie familiari, e a recuperare « tra le
moltissime carte di cui erano pieni i cassetti di casa » avvenimenti e figure del
comune passato.
« Finché visse mia madre — ella dice parlando delle lettere inviate da
Enrichetta Blondel e da Giulia Beccaria a Vittoria in collegio — io avevo
viste più volte nel suo secrétaire queste vecchie lettere dirette al Monastero
delle Grazie ma, quelle carte ingiallite, avevano appena tentata la mia curiosità negli anni della giovinezza. Quando poi gli anni si moltiplicano, e specialmente in certe date disposizioni di animo che ci fanno guardare con diffidenza
il presente e con timore l’avvenire, allora le dolci memorie del passato ci
offrono come un rifugio di pace; e, buon per chi, cercando fra i ricordi familiari, può trovarne di quelli capaci di spargere un così soave lavacro sullo
spirito inquieto » 9.
Sin dal 1893 Matilde trascrive 134 lettere che Alessandro Manzoni aveva
inviato alle figlie Vittoria e Matilde e al genero Giovan Battista e ne fa
5
A. SIMONI, La vita, l’attività e gli scritti di Giovanni Battista Giorgini, Pisa 1925.
6
V. CIAN, Gian Battista Giorgini, in « Nuova Antologia », 1° luglio 1908, pp. 1-28.
7
Ad Angelo Gambaro, donna Matilde prestò ben 48 lettere datate 1848-1867 indirizzate da
Raffaello Lambruschini al padre G. Battista, cfr. Appendice 1.
8
Vittoria e Matilde Manzoni, a cura di MATILDE SCHIFF GIORGINI, Pisa, Nistri, 1910 (in
soli 50 esemplari); di questo libro, riedito da Michele Scherillo nel 1923, nel I volume di
Manzoni Intimo, esiste nell’archivio Schiff Giorgini un esemplare a stampa con annotazioni
autografe di Matilde Schiff Giorgini, ora in ASFI, Schiff Giorgini/Montignoso, 245. Le segnature
archivistiche del nucleo di carte Schiff Giorgini (depositato dalla Soprintendenza archivistica
per la Toscana nell’Archivio di Stato di Firenze con convenzione del 28 gennaio 2003) che
compaiono in questo articolo e in quelli di A. Breccia, E. Capannelli e R. P. Coppini, sono provvisorie.
9
Ibid., in part. l’Introduzione, pp. VIII-XXVIII.
Paola Benigni
316
l’indice 10; pubblica nel 1899 l’autobiografia del bisnonno Niccolao Giorgini
di cui ha ritrovato il manoscritto autografo 11 e recupera le lettere che il
duca di Lucca gli aveva inviato nel 1848-49 12; trova, infine, tra le carte del
nonno paterno Gaetano, un pacco di documenti relativo al fidanzamento dei
genitori 13.
Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1908, scopre tra le sue carte alcune pagine di un Journal della zia Matilde — di cui pubblica qualche brano nel
volumetto, già ricordato, del 1910 14 — e le 27 lettere che egli scrisse nella
primavera del 1848 alla moglie Vittoria dal campo della Prima guerra di
indipendenza, di cui cura l’edizione nel 1912 15.
Delle sue pubblicazioni, in ogni modo, quella che attira maggiormente
l’interesse e la curiosità degli studiosi, per la messe di documenti inediti che
fa intravedere, è senza dubbio Vittoria e Matilde Manzoni che riceve, tra gli
altri, i giudizi entusiastici dell’erudito Giovanni Sforza 16 e di Alessandro
D’Ancona 17 e diverse recensioni anche sulla stampa.
Da più parti, comunque, si esorta donna Matilde a curare una seconda
edizione del volume in un maggior numero di copie (la prima era uscita in
10
Manzoni Intimo… cit., II, in particolare l’Avvertenza.
11
(...), Cenni autobiografici sulla vita pubblica di Niccolao Giorgini, a cura di M. SCHIFF
GIORGINI, Pisa, Nistri 1899; l’autografo si trova oggi alla Biblioteca Braidense di Milano.
12
Si veda per questo Vittoria e Matilde… cit., nota 2, pp. 73-77. Niccolao Giorgini fu dal
1840 ministro dell’interno e presidente del Consiglio di ministri del Ducato di Lucca, di cui fu
nominato reggente nel 1847 al momento dell’unificazione con la Toscana; sette lettere di Carlo
Ludovico di Borbone a Niccolao Giorgini (1838-1848) si trovano oggi in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso 39/1-7, tra esse anche quella datata Weisstropp, 20 dicembre 1848 edita da donna
Matilde nel 1910 insieme alla lettera che il duca, il 16 giugno 1849 invia da Königstein sempre a
Niccolao Giorgini e di cui, invece, al momento, si sono perse le tracce.
13
Si veda per questo Vittoria e Matilde… cit., in particolare l’Introduzione pp. L-LXIII; alcuni di questi documenti, già raccolti da Gaetano Giorgini in un pacco intitolato « Fidanzamento
di Bista », sono oggi in AS FI, Schiff Giorgini/ Montignoso, 22/1-22.
14
Cfr. in Vittoria e Matilde… cit., nota 6, pp. 81-86; l’autografo del Journal è oggi depositato in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 249/1. Per altra documentazione autografa di Matilde
Manzoni cfr. ibid. 249/2-9 e 41/1-2.
15
G. B. GIORGINI, XXVII lettere dal campo, a cura di M. SCHIFF GIORGINI, Pisa, Nistri
1912; cfr. Vittoria e Matilde… cit., nota 4, p. 78.
16
Cfr. AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 156/57: lettera di Giovanni Sforza a Matilde
Schiff Giorgini: « Venezia 4 del 1911, Carissima Matilde, è dal primo di novembre che alla
direzione dell’Archivio di Torino unisco anche quella dell’Archivio di Venezia. Quest’ultima
però, per buona fortuna, provvisoriamente. Corro dunque da Torino a Venezia e viceversa come
le secchie e mi resta appena il tempo di mangiare e di dormire. Del tuo libro me ne aveva scritto
entusiasticamente il Del Lungo; e avendolo trovato a Torino con la tua lettera nel tornare ieri a
Venezia mi fu gradita lettura durante il viaggio e riconosco che gli entusiasmi del Del Lungo
sono giustissimi... ».
17
A. D’ANCONA, Ricordi storici del Risorgimento Italiano, Memorie domestiche di due
famiglie italiane, Firenze, Sansoni, 1910, pp. 483-506.
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
317
soli 50 esemplari!) e a dare alle stampe anche gli altri documenti inediti
dell’archivio, in primo luogo le lettere autografe di Alessandro Manzoni 18.
È nel 1922 che, in vista delle celebrazioni del centenario dei Promessi
Sposi e del cinquantesimo della morte del Manzoni, indette per l’anno successivo, donna Matilde consente finalmente alla riedizione delle Memorie della
madre (già pubblicate in Vittoria e Matilde) e all’edizione integrale di tutte le
lettere autografe del nonno Alessandro, conservate nell’archivio Giorgini.
Ma la preparazione del volume, che in un primo momento sembrava dovesse essere curato da Domenico Bulferetti e da Michele Scherillo per la casa
editrice Hoepli di Milano, non tarda a procurarle disillusioni ed amarezze 19.
Gli acerbi contrasti, ben presto sorti per i volumi di Manzoni Intimo tra
Michele Scherillo e Ulrico Hoepli, da una parte, e Domenico Bulferetti, dall’altra, esasperati anche dal fatto che quest’ultimo si era, nel contempo,
aggiudicato da solo la pubblicazione, con la casa editrice Bottega di poesia,
del Sentir messa, altro importante inedito manzoniano ritrovato tra le carte
Giorgini, fanno temere a donna Matilde che l’impresa non potesse essere
condotta in porto.
Era in pensiero, oltretutto, per gli autografi manzoniani tra i quali, rispetto alle 134 lettere elencate nel 1893, aveva registrato, sin dagli anni immediatamente seguenti il 1908, ben 11 mancanze e che ora aveva dovuto, almeno in
parte, affidare a mani estranee, per ridurre i tempi della pubblicazione 20.
Coinvolta, suo malgrado, nella lotta senza esclusione di colpi scatenatasi
tra autori e case editrici per la pubblicazione degli inediti manzoniani, donna
Matilde, pur cercando di mediare tra i contendenti, esprime tutto il suo disagio: « Suppongo — ella dice scrivendo a Hoepli il 12 aprile del 1923 — che
Ella possa facilmente immaginare quanto debbano essere penose e urtanti per
18
Ibid., p. 495 dove il D’Ancona, esprimendo ancora il più vivo apprezzamento per il volume Vittoria e Matilde, così conclude: « Vinca la sua ritrosia la gentile autrice, e ne procuri, o
ne lasci fare una seconda edizione, la quale dovrebbe anche accrescere con i ricordi autobiografici del vecchio Nicolao, con le lettere dal campo e dal Parlamento del marito (sic!) e soprattutto
con oltre un centinaio di lettere del Manzoni alle figlie, così lontane di persona da lui, ma così
presso al suo cuore... ».
19
Le prime fasi della vicenda, iniziata nel dicembre del 1922, sono riassunte dalla stessa
Matilde in una lunga lettera dattiloscritta inviata da Pisa ad Ulrico Hoepli, il 28 marzo del 1923,
oggi in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 81/23.
20
Per l’elenco degli 11 autografi manzoniani mancanti al 1923 cfr. Manzoni Intimo… cit.,
II, p. VIII; sempre nel 1923 sia Michele Scherillo che Domenico Bulferetti ricevono in prestito
da Matilde lettere autografe di Alessandro Manzoni, cfr. per questo AS FI, Schiff Giorgini/
Montignoso, 81/23, lettera citata alla precedente nota e vedi, ancora, Manzoni Intimo… cit., II, p.
VII quando, a proposito appunto degli inediti manzoniani, Scherillo dice che donna Matilde, « la
quale… ne ha finalmente consentita, ed in ogni maniera aiutata e agevolata la pubblicazione
integrale… per una buona metà ne ha essa medesima eseguita la collazione sugli autografi; e per
il rimanente ha, con generosità rara, consegnate nelle nostre mani le preziose carte, perché ne
traessimo direttamente copia e ne curassimo la stampa ».
Paola Benigni
318
me tutte queste piccole quistioni che si agitano intorno alle cose che mi sono
più care e più sacre » 21.
E dopo aver ricevuto, il 29 aprile dello stesso anno, un telegramma di
Scherillo e di Hoepli che dichiaravano che la pubblicazione contemporanea
di altri inediti manzoniani avrebbe danneggiato gravemente il successo dei
volumi di Manzoni Intimo e la esortavano « vivamente diffidare Professore B
[Bulferetti], ingiungendogli sospendere abusiva sua pubblicazione, indegna
speculazione » 22, ella così si sfoga, sempre con Hoepli: « Se il Sen. Scherillo
e Lei potessero sapere (…) quante noie ho avuto io per questa pubblicazione
per la quale mi sono anche finita gli occhi, capirebbero quanto io debba essere
pentita di aver tirato fuori dai cassetti quelle vecchie, venerate carte (…).
Troppe cose sono andate proprio al contrario di quello che avevo pensato » 23.
Anche la presentazione al pubblico dell’edizione di Sentir Messa, annunziata dalla casa editrice Bottega di Poesia in toni trionfalistici e denigrando i
volumi di Manzoni Intimo (« questa nostra pubblicazione non andrà confusa
né con le solite raccolte di documenti o di lettere, né con le solite commemorazioni più o meno ufficiali e noiose, più o meno brillanti e inutili ») la
sdegna, tanto da scrivere di suo pugno sulla locandina della Bottega di Poesia:
« Mi sembra assai poco serio l’offrire Manzoni in questo modo! » 24.
Altra amarezza Le sarà poi di certo derivata da una lettera della cugina
Vittoria Manzoni Brambilla del luglio del 1923 in cui quest’ultima — che ha
visto la pubblicazione — manifesta a Matilde tutto il suo stupore per il fatto
che sia stato scoperto tra le carte Giorgini il Sentir Messa che « non è altro
— ella dice — che il lavoro sulla lingua che si trovava alla morte del Nonno
nel suo sécretaire a Milano insieme agli altri manoscritti suoi ».
Vittoria, figlia di Pietro Manzoni e moglie di quel Pietro Brambilla che
aveva rilevato dagli eredi i manoscritti manzoniani e ne aveva fatto dono, già
dal 1886, alla Braidense, si chiede chi può aver estratto il Sentir Messa dal
gruppo degli autografi già destinati alla Biblioteca; ipotizza, in questo, il ruolo
di Giovanni Sforza che avrebbe a suo tempo ricevuto il manoscritto dallo
stesso Pietro, per mostrarlo al padre di Matilde, Giovan Battista; ed esprime,
infine, il timore che possano sorgere « de’ guaj » con la Casa Editrice Hoepli
che — a suo dire — aveva avuto, dal marito (« povero Pierino ») il diritto di
stampare in esclusiva gli autografi manzoniani di Brera 25.
21
AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 81/24.
22
Ibid., 81/22.
23
Ibid., 81/25, Matilde Schiff Giorgini a Ulrico Hoepli, Pisa, giovedì 3 maggio 1923, lettera dattiloscritta con firma autografa. Ulteriori notizie sulla vicenda potrebbero eventualmente
emergere dalle lettere indirizzate a Matilde da Domenico Bulferetti, Ulrico Hoepli e Michele
Scherillo, oggi conservate nella Biblioteca Braidense di Milano, nonché dalla consultazione degli
appunti per la pubblicazione di Manzoni Intimo, che si trovano tra le carte di donna Matilde
approdate al Gabinetto Vieusseux di Firenze.
24
25
Ibid., 81/33.
Ibid., 153, Vittoria Manzoni Brambilla a Matilde Schiff Giorgini, Brusuglio 4 luglio
1923; per la donazione di autografi e cimeli manzoniani alla Braidense, da parte di Pietro
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
319
Ma le celebrazioni manzoniane non le dovevano riservare solo amarezze!
Il 7 gennaio del 1924, Giovanni Gentile che, in qualità di ministro della
Pubblica istruzione le aveva solennemente aperte a Milano, il 22 maggio del
’23, con un discorso su Alessandro Manzoni tenuto al Teatro della Scala e poi
stampato nei « Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere »,
le fa recapitare alcune copie del suo intervento, accompagnate da una cortese
letterina 26.
La prosa del Gentile che collocava il Manzoni « tra i più grandi di ogni
tempo e d’ogni gente » e lo ricordava come il « grande maestro nazionale »
che concepì il problema politico della patria come problema morale e religioso e liberò il popolo italiano « dal secolare servaggio della letteratura, dell’arte
pura, dell’indifferenza, del dilettantismo, della rettorica e del classicismo
vuoto, formale, della tradizione », dovette colpire donna Matilde.
Inizia forse da qui un rapporto che, fattosi sempre più confidenziale, sarà
decisivo anche per la sorte degli autografi manzoniani conservati in casa
Giorgini.
Istituito l’8 luglio del 1937 il Centro nazionale di studi manzoniani, di
cui Giovanni Gentile venne nominato Regio commissario, donna Matilde che
nel marzo del ’38 lo aveva ricevuto a casa per fargli visionare, come egli
stesso dice, « quei tali manoscritti e cimeli manzoniani » 27, si decide — il 12
aprile successivo — a donarli al Centro 28.
Giunsero così a Milano 116 lettere di Manzoni alle figlie Vittoria e
Matilde e al genero Giovan Battista, l’autografo del Sentir Messa e le bozze di
un opuscolo di Giovan Battista Giorgini (Dell’Unità d’Italia in ordine al
diritto e alla storia, Milano 1861), con le correzioni autografe di Alessandro
Manzoni 29.
Brambilla, e per l’allestimento e le vicende della Sala Manzoniana di quella Biblioteca si veda
l’interessante contributo di M. GOFFREDO DE ROBERTIS, La Sala Manzoniana nella Biblioteca
Nazionale Braidense di Milano, in Manzoni scrittore e lettore europeo, catalogo della mostra
presso la Biblioteca Nazionale Braidense (8 febbraio - 31 marzo 2001), Roma 2000, pp. 129-135.
26
L’opuscolo a stampa Alessandro Manzoni, discorso del Ministro dell’Istruzione… tenuto
al Teatro della Scala il 22 maggio 1923, estr. dai « Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di
Scienze e Lettere », LVI (1923), XII e la lettera autografa di Giovanni Gentile del 7 gennaio
1924, sono oggi conservati in AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 241. Le citazioni che seguono,
fino a diversa indicazione, sono tratte dal testo a stampa del discorso.
27
AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 246/18 Giovanni Gentile a Matilde Schiff Giorgini,
Roma 5 marzo 1938: « Cara e Illustre Signora, intorno al 18 c.m. sarò a Pisa e farei una gita a
Massa, se Ella si trova ancora costà e consente che io venga a disturbarLa, per quei tali manoscritti e cimeli manzoniani. Aspetto perciò un Suo cenno. Spero che il Professore Schiff stia
meglio e La prego di gradire gli auguri e saluti cordiali di Erminia e del Suo dev.mo e aff.mo
Giovanni Gentile. P.S. Da un accenno del Professor Bulferetti argomenterei che Ella, oltre il
manoscritto di Sentir Messa, ne aveva un altro: Unicuique suum. Può darmene notizia? ».
28
29
« Annali Manzoniani », I (1939): Notizie 12 aprile 1938.
Per l’elenco dettagliato di questo materiale si veda in BIBLIOTECA NAZIONALE BRAIDENSE,
Milano, Autografi di proprietà del Centro Nazionale di Studi Manzoniani in deposito presso la
320
Paola Benigni
Quali motivi possano aver sollecitato donna Matilde a disfarsi delle più
care tra le sue « care memorie » lo possiamo in parte ipotizzare sulla scorta
dei carteggi e dei documenti di lei sinora recuperati; testimonianze più complete, anche su questo punto, potranno senza dubbio venire da quel lavoro di
ricomposizione complessiva dei vari nuclei dell’archivio Schiff Giorgini che
oggi siamo finalmente in grado di progettare.
La decisione di mettere gli autografi manzoniani al sicuro dovette, comunque, maturare in lei nel tempo e per un concorso di circostanze diverse.
Vi era anzitutto il problema del lento, ma costante decremento di questo
patrimonio documentario. Dei 134 autografi e delle altrettante copie da lei
stessa elencate nel 1893 erano rimaste al 1938 solo 116 lettere originali e
qualche copia.
È ben vero che nel 1922 la stessa Matilde aveva donato a papa Pio XI la
lettera che Manzoni aveva scritto alla figlia Vittoria il 10 aprile del 1835, in
occasione della sua prima Comunione. Ma è altrettanto vero che lettere
manzoniane provenienti dall’archivio Giorgini affioravano via via nei luoghi
più diversi: all’Archivio di Stato di Lucca (a Matilde e Vittoria, Lesa, 2
ottobre 1849) o sul mercato antiquario francese (a Vittoria e Matilde, Milano
11 maggio 1848; a Giovan Battista, Milano 6 maggio 1859, entrambe acquistate a Parigi nel 1925 da Federico Gentili e da lui donate alla Biblioteca
Braidense di Milano).
All’atto della donazione al Centro di studi manzoniani, risultavano mancanti in tutto 26 lettere di cui ben 13 scomparse dopo che lo Scherillo ne
aveva visto e pubblicato gli autografi, nel 1923 30. Mancavano, altresì, quasi
tutte le copie.
È quindi comprensibile che Donna Matilde potesse nutrire qualche preoccupazione sul futuro di questi documenti e, considerato ciò che era successo
in occasione della pubblicazione di Manzoni Intimo e di Sentir Messa, che
avesse formulato anche più di una riserva sulla purezza delle intenzioni di
quanti — studiosi ed editori — proclamavano di interessarsene per motivi
esclusivamente culturali e scientifici.
Biblioteca nazionale braidense, dattiloscritto che ho potuto consultare in fotocopia grazie alla
cortese collaborazione di Mariella Goffredo De Robertis. Per una minuta manoscritta del discorso
Dell’Unità d’Italia… si veda AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 205.
30
Si tratta delle seguenti 13 lettere autografe di Alessandro Manzoni a: 1. G. Giusti e G.
Battista Giorgini s.d. (Manzoni Intimo… cit., II, X); 2. Vittoria, Gessate 24 giugno 1833 (ibid., II,
II); 3. Matilde [Milano] 19 giugno 1845 (ibid., II, VIII); 4. Matilde e Vittoria, Milano 8 maggio
1848 (ibid., II, XXIII); 5. Matilde e Vittoria, Milano 11 maggio 1848 (ibid., II, XXV); 6.
Matilde, Milano 10 aprile 1851 (ibid., II, XLVII); 7. Matilde, Lesa 12 ottobre 1853 (ibid., II,
LXV); 8. Vittoria, Milano 12 luglio 1854 (ibid., II, LXVIII); 9. Vittoria, Milano 13 aprile 1856
(ibid., II, LXXXV); 10. G. Battista e Vittoria, Milano, maggio 1857 (ibid., II, LXXXVIII); 11. G.
Battista Giorgini, Milano 6 maggio 1859 (ibid., II, XCII); 12. G. Battista Giorgini, Milano 2
[gennaio] 1861 (ibid., II, C); 13. G. Battista Giorgini, Milano 25 gennaio 1873 (ibid., II,
CXXXIX).
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
321
Oltretutto si doveva sentire sola nella difesa delle memorie familiari, forse anche impari al compito che si era data di diffonderne la conoscenza e i
valori e di trasmetterli alla generazione successiva. I figli — Ruggero e
Giorgio — del tutto diversi da lei e fra di loro, per inclinazioni e genere di
vita, residenti l’uno a Roma e l’altro a Parigi, non sembravano infatti molto
interessati a raccogliere l’esortazione che ella aveva loro rivolto sin dal 1910
nella dedica a Vittoria e Matilde: « Ora siete rimasti voi soli custodi delle
vecchie case e delle care memorie: custodite le prime, per quanto rimpiattate e
modeste, con attenzione e amore; custodite le seconde e meditatele, affinché
non sieno perdute per voi » 31.
La sua morte, che coincide con l’inizio per l’Italia del secondo conflitto
mondiale, fa entrare l’archivio Giorgini in una zona d’ombra che solo di
recente è stato possibile penetrare!
Non è che dopo la guerra si fosse persa completamente la memoria
dell’esistenza di un archivio Giorgini. Già nel 1950, infatti, Antonio Panella,
primo responsabile della Soprintendenza archivistica per la Toscana che,
istituita nel 1939, cominciava solo allora a funzionare, chiedeva al Ministero
dell’interno di essere autorizzato a prendere contatto con i proprietari, al fine
di conoscerne la sorte 32.
Il fatto è che, nel secondo dopoguerra, di questo archivio in cui, soprattutto sulla scia del Manzoni Intimo di Michele Scherillo, si sapeva che c’erano
autografi manzoniani, non si conosceva né il contenuto preciso, né, tantomeno, l’effettivo destino.
Le versioni sulla scomparsa di queste carte, date per disperse durante
l’occupazione tedesca del Castello di Montignoso 33 o, almeno parzialmente,
recuperate nei giorni convulsi della liberazione mentre stavano per esser
bruciate 34 o salvate in extremis dalle mani di persone di servizio che, ignare
del loro valore, intendevano gettarle nell’immondizia 35, nascono in questa
fase e circolano a lungo e con grande fortuna.
Oltre che dal clima di confusione e di diffusa incertezza prodotto dalla
guerra, che aveva cancellato ben altro, tali ipotesi furono rese del tutto atten31
Cfr. Vittoria e Matilde... cit., p. 70.
32
ARCHIVIO DELLA SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER LA TOSCANA (d’ora in poi ASAT),
fasc. « Schiff Giorgini-Montignoso-Massa V.21.6 », 1950-2000, in particolare lettera del soprintendente archivistico al Ministero dell’interno - Ufficio centrale Archivi di Stato, 4 febbraio 1950,
prot. 34.50.
33
Per questa ipotesi riferita, in particolare, ad alcune lettere scritte da Enrichetta Blondel
alla figlia Vittoria, in collegio a Lodi, cfr. Enrichetta Manzoni Blondel, Lettere familiari, a cura
di G. BACCI, Bologna 1974, in particolare l’Avvertenza a p. 11 e le pp. 301-355; sulla medesima
questione si veda quanto riferito in questo stesso articolo alle pp. 325-327 e note 46-54.
34
Si veda per questo A. BRECCIA, Note per la biografia di un funzionario dell’Ottocento:
Gaetano Giorgini (1795-1874), tesi di laurea discussa nell’Università di Pisa, Facoltà di scienze
politiche, a.a. 1998-1999, relatore prof. Romano Paolo Coppini, in particolare le pp. 100-104.
35
M. MANZONI, Journal, a cura di C. GARBOLI, Milano 1992, in particolare l’Introduzione,
pp. 72 e 73.
Paola Benigni
322
dibili anche da una dichiarazione, circa il « preteso archivio di famiglia »,
inviata nel 1957 al prefetto di Massa da Giorgio Schiff Giorgini, il figlio
minore di Matilde Giorgini e di Roberto Schiff, unico superstite italiano del
ramo della famiglia che discendeva direttamente da Giovan Battista e da
Vittoria.
Stabilitosi in Francia fin dal 1925 e rientrato in Italia, in particolare a
Montignoso solo nel 1945, egli informa il prefetto che dell’archivio di famiglia « che comprendeva numerosissime lettere di mio bisnonno Alessandro
Manzoni, di mio zio Massimo d’Azeglio e di tutti i più illustri uomini del
Risorgimento non resta più che qualche busta vuota con francobollo strappato.
Per carità di Patria accusiamo i tedeschi di queste depredazioni » 36.
Da queste affermazioni che, più che ad un ipotetico intervento straniero,
sembravano imputare la scomparsa dell’archivio a responsabilità nostrane
derivano due convinzioni le quali, rivelatesi sostanzialmente errate solo molto
più tardi, furono, in realtà, determinanti per creare le condizioni più favorevoli
alla dispersione.
- La prima e principale di queste convinzioni consistette nel ritenere che
dell’archivio Giorgini, distrutto o disperso durante la guerra, o negli anni
immediatamente successivi, nulla si trovasse più a Montignoso;
- La seconda, strettamente connessa alla prima, consistette nel presumere
che queste carte, ed in primo luogo gli autografi manzoniani, pervenuti in
mani e luoghi diversi, potessero ricomparire in maniera casuale e frammentaria.
In realtà molti sono stati i « misteri », i colpi di scena, gli equivoci e le
informazioni totalmente o parzialmente false che hanno scandito, nella seconda metà del secolo scorso, la storia di questo archivio.
36
ASAT, fasc. « Schiff Giorgini, Montignoso-Massa V.21.6 », 1950-2000, in particolare lettera di Giorgio Schiff Giorgini al prefetto di Massa Carrara, Montignoso 10 agosto 1957; è da
rilevare che più o meno nello stesso periodo in cui Giorgio Schiff Giorgini rende queste dichiarazioni, circa « il preteso archivio di famiglia », il prof. Euro Paradiso Guidi, suo amministratore e
uomo di fiducia, porta a termine l’Elenco numerativo dei fascicoli di cui si compone l’Archivio o
Carteggio Storico della famiglia Giorgini e Schiff Giorgini di Montignoso, corredato da cenni
biografici dei personaggi principali elencati in ordine alfabetico e da un Riepilogo delle date più
importanti della famiglia Giorgini e Schiff Giorgini, dalla nascita di G. B. Giorgini in poi,
aggiornato al 1959. In questo strumento, ora conservato in fotocopia presso la Soprintendenza
archivistica e di cui a Montignoso, nell’autunno del 2000, si è potuto consultare l’originale
manoscritto di Euro Paradiso Guidi da lui stesso firmato e datato 26 novembre 1954, la
documentazione dell’archivio compare sommariamente descritta e organizzata sotto 739 voci. Si
tratta di una panoramica generale del contenuto dell’archivio, effettuata prima delle estrapolazioni
e delle dispersioni verificatesi dopo la morte di Giorgio Schiff Giorgini, avvenuta nel 1965. Vi
compaiono, ad esempio, tra l’altro, tutti gli inserti consegnati da Guidi all’avvocato Giovanni
Cecchieri nel 1978, nonché sotto il n. 140, le lettere scritte da Giulia Beccaria alla nipote
Vittoria, successivamente pervenute all’Archivio Contemporaneo del Gabinetto Vieusseux, fondo
Giorgini e alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. Per tutto questo si veda più avanti
anche la nota 47.
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
323
Anzitutto il « giallo » sull’esistenza e sul reale contenuto dell’archivio
Giorgini di Montignoso; poi, collegato a questo, « l’equivoco » sulla sorte
degli autografi manzoniani di cui, per un concorso di circostanze — e per un
curioso fenomeno di rimozione della memoria — è stata, quasi fino ad oggi,
dimenticata la consegna al Centro studi manzoniani, avvenuta, come si è
detto, nel 1938.
Si tratta, nell’insieme, di un’incredibile, grottesca, storia in cui i documenti dell’archivio Giorgini conservati nella villa di Montignoso, residenza
avita della famiglia, vengono dichiarati scomparsi, come nel 1957; riappaiono,
in parte, come negli anni Sessanta, quando sono oggetto di un inventario
sommario che li elenca organizzati in 739 fascicoli 37 e vengono anche dichiarati di notevole interesse storico con un provvedimento, peraltro, molto generico 38; spariscono, infine, di nuovo, insieme al loro elenco sommario, e in
maniera che sembra al momento definitiva, nel periodo immediatamente
seguente la morte di Giorgio Schiff Giorgini, avvenuta nel 1965.
Nel 1975, Euro Paradiso Guidi, amministratore e uomo di fiducia dei
Giorgini, riferisce, infatti, al funzionario inviato a Montignoso dalla Soprintendenza che l’archivio sarebbe andato disperso dopo la divisione dei beni
intervenuta nel 1970 tra i due figli di Giorgio Schiff Giorgini (che all’epoca
aveva cambiato il proprio cognome in Giorgini Diana Paleologo), Guy ed
Ellis, ma che non sa dire a chi sia stato venduto o regalato 39.
Nel 1980, sempre il prof. Guidi informa la Soprintendenza archivistica di
aver consegnato nel 1978 al legale degli Schiff Giorgini, l’avv. Giovanni
Cecchieri di Massa, ciò che rimaneva dell’archivio di famiglia, ma dichiara
anche, poco dopo, di aver ritrovato presso di sé centodieci fascicoli dell’archivio che il conte Giorgio Schiff Giorgini gli avrebbe consegnato prima della
sua morte 40.
37
ASAT, fasc. « Schiff Giorgini, Montignoso-Massa, V.21.6 », 1950-2000, in particolare
Relazione sull’archivio privato Giorgini del direttore dell’Archivio di Stato di Massa, G. Arsento,
incaricato dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana della visita ispettiva all’archivio
Giorgini di Montignoso. La relazione datata 17 settembre 1965 è trasmessa alla Soprintendenza il
20 settembre successivo. L’inventario sommario a cui si fa riferimento nella relazione è l’Elenco
numerativo di cui alla nota 36.
38
Ibid., provvedimento n. 113 del 29 settembre 1965 che, come era solito in quegli anni,
non comprendeva l’elenco dei documenti dichiarati di notevole interesse storico.
39
Ibid., Breve relazione sull’ispezione effettuata all’archivio privato Giorgini di Montignoso dal direttore dell’Archivio di Stato di Massa, Angelo Aromando, incaricato dalla Soprintendenza archivistica. La relazione datata 26 novembre 1975 è trasmessa alla Soprintendenza il 2
dicembre successivo.
40
Ibid., Archivio Giorgini in Montignoso (Massa Carrara): visita effettuata dal dott. Luigi
Borgia presso il prof. Euro Guidi Paradiso ex amministratore della famiglia Schiff Giorgini; la
visita è del 16 ottobre 1980, mentre la relazione è datata al 25 ottobre successivo. Di quest’ultima
fanno parte integrante: 1) l’elenco numerico di 51 fascicoli dell’archivio Schiff Giorgini consegnati il 19 maggio del 1978 dal prof. Guidi all’avvocato Giovanni Cecchieri come « carteggio
residuo della famiglia Schiff Giorgini Paleologo che si trovava nella villa del Fondaccio »; 2)
l’elenco sommario di n. 110 unità di documentazione Schiff Giorgini che il medesimo professore
324
Paola Benigni
Frattanto nell’estate del 1976 il presidente del Centro di studi manzoniani, Claudio Cesare Secchi, preoccupato per alcune voci sulla vendita
dell’archivio ed evidentemente ignaro della donazione del 1938, aveva scritto
a Francesca Morandini, allora soprintendente archivistico per la Toscana, per
segnalare il pericolo che « cimeli manzoniani di primaria importanza, lettere
autografe di Alessandro Manzoni » 41 già pubblicate da Michele Scherillo e
facenti parte dell’archivio Giorgini asportato dalla villa di Montignoso venissero vendute, forse, in America. « Ciò che è perduto — ammoniva giustamente Secchi nell’occasione — non si recupera più. Vedremo comparire le carte
manzoniane tra un certo numero di anni in una delle aste che si faranno in
città straniere (…) o meglio le vedranno i nostri discendenti perché prima che
vengano poste in vendita ci vorranno degli anni » 42.
Anche più recentemente si sono, da più parti, cercati a Montignoso gli
autografi manzoniani dell’archivio Giorgini, senza sapere o ricordare, tanto la
memoria può ingannare ed essere ingannata, che questi, donati come si è
detto, al Centro studi manzoniani nel 1938, erano passati in deposito, nel
secondo dopoguerra, alla Braidense e lì « dimenticati » come materiale non
appartenente a quella biblioteca 43.
Il pericolo di dispersione paventato da Secchi per gli autografi manzoniani, che, benché dimenticati, si trovavano tuttavia, come si è visto, in un luogo
sicuro, era in procinto di verificarsi, nell’indifferenza quasi generale, per il
resto dei documenti dell’archivio Schiff Giorgini! L’esposto che il soprintendente archivistico pro-tempore presentò, nel dicembre del 1976, alla Procura
della Repubblica di Massa rimase infatti senza esito 44.
dichiara, nell’occasione, non comprese nei 739 inserti dell’archivio inventariato (di cui si
sarebbero perse le tracce a seguito delle divisioni ereditarie) e che egli dice di aver ricevuto in
consegna dal conte Giorgio poco prima della sua morte « con preghiera di riordinarle ».
41
Ibid., lettera di Claudio Cesare Secchi, presidente del Centro nazionale di studi manzoniani al soprintendente archivistico per la Toscana, Francesca Morandini, datata Milano, 21
giugno 1976.
42
Ibid., lettera di Secchi a Francesca Morandini, datata Milano, 9 luglio 1976; della questione della « scomparsa » da Montignoso delle lettere autografe di Alessandro Manzoni si occuparono all’epoca, sempre su sollecitazione del presidente del Centro nazionale di studi manzoniani, anche il capo gabinetto del ministro, il direttore generale per i beni archivistici e il prefetto di
Massa. Più o meno lo stesso copione si ripeterà nell’estate del 2000 allorquando la segnalazione
della scomparsa degli autografi manzoniani dell’archivio Giorgini, partita da Giancarlo Vigorelli,
presidente del Centro nazionale di studi manzoniani, raccolta dall’on. Carlo Carli, sottosegretario
ai beni culturali e girata a Salvatore Italia, direttore generale per gli archivi, giungerà nuovamente
alla Soprintendenza archivistica per la Toscana dando origine all’ultimo atto (ma sarà l’ultimo?)
di questa lunga storia.
43
Sui rapporti tra la Biblioteca nazionale Braidense e il Centro nazionale di studi manzoniani in merito alla conservazione e alla gestione dei documenti e cimeli manzoniani, si rimanda
ancora all’articolo di Mariella Goffredo De Robertis citato alla nota 25.
44
ASAT, fasc. « Schiff Giorgini Montignoso - Massa V.21.6 », 1950-2000, in particolare
l’esposto alla Procura della Repubblica di Massa del 21 dicembre 1976, prot. n. 2414.
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
325
Nel 1981 un consistente nucleo di carte Schiff Giorgini comparso sul
mercato antiquario romano presso il libraio Maurizio Bifolco ed acquistato da
Duilio Susmel residente a Firenze viene comprato, auspice la Soprintendenza
archivistica, dalla Regione Toscana che lo destina all’Archivio contemporaneo
del Gabinetto Vieusseux 45.
In questo gruppo di documenti, oltre ai carteggi di Niccolao, Gaetano,
Giovanbattista e Giorgio Giorgini, Matilde Schiff Giorgini e Ruggero Schiff,
vi sono anche alcuni componimenti poetici di Vittoria già conservati, come
ricorda donna Matilde, a Montignoso in un « piccolo mobile variopinto » e da
lei stessa parzialmente editi nel 1910 (Vaneggiamenti, Nella penombra,
Memorie e rimpianti, Invocazioni alla carità, Dal vero, Una cara data) 46; vi
sono altresì alcune lettere di Giulia Beccaria e di Enrichetta Blondel a Vittoria, ricordate da donna Matilde e da lei parzialmente pubblicate, sempre nel
1910 47.
45
Nell’archivio della Soprintendenza è documentato tutto l’iter che, negli anni tra il 1980 e
il 1981, condusse all’acquisto da parte della Regione Toscana di questo primo lotto di carte Giorgini, a tutt’oggi conservato presso l’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux e descritto
in un inventario di consistenza dattiloscritto, conservato, in copia, agli atti della Soprintendenza
stessa.
46
Cfr. ARCHIVIO CONTEMPORANEO DEL GABINETTO VIEUSSEUX (d’ora in poi ACGV),
Fondo Giorgini IV, XXIV quaderno non legato comprendente varie poesie, parzialmente edite in
Vittoria e Matilde… cit., nota 20, pp. 107-115.
47
ACGV, Fondo Giorgini IV, XXI, in particolare le lettere di Giulia Beccaria alla nipote
Vittoria: Gessate 1833/1834; Milano 9 aprile 1835, Brusuglio settembre 1835 e giugno 1841,
edite integralmente da A. ALBERTINI, Frammenti dell’archivio Giorgini: quattro lettere di Giulia
Beccaria, in « Il Vieusseux », 7, gennaio-aprile 1990, pp. 61-69 ed ora nuovamente pubblicate,
con la lettera datata Brusuglio 14 settembre 1831, attualmente conservata nella Biblioteca
nazionale Braidense di Milano, in G. BECCARIA, “Col core sulla Penna”, lettere 1791-1841, a
cura di G. M. GRIFFINI ROSNATI, Milano, Centro nazionale di studi manzoniani, 2001, pp. 186195, con la segnatura ACGV, Fondo Giorgini, Arch. III 379, 380, 381 e 382. Alcune di queste
lettere, quelle datate Brusuglio 14 settembre 1831; Gessate 1833/34 e giugno 1841, erano state
ricordate da Matilde Schiff Giorgini come facenti parte dell’archivio di famiglia e parzialmente
edite in Vittoria e Matilde… cit., rispettivamente alle pp. XI, XXIII, XXIV e XXVII. Delle lettere di
Giulia Beccaria a Vittoria, edite da donna Matilde, non è stata a tutt’oggi rintracciata quella
datata 8 aprile 1835 (cfr. in Vittoria e Matilde… cit., pp. XXV e XXVI) in cui la Beccaria si dice
non ancora rassegnata alla morte della nipote Giulia, avvenuta nel settembre del 1834. Delle due
lettere di Enrichetta Blondel pervenute all’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux
(ACGV, Fondo Giorgini IV, XXI, Milano 13 giugno 1832 e Azeglio 21 agosto 1832) la prima,
ancora negli anni ’70 del Novecento, era conservata « nella biblioteca del Conte Schiff Giorgini a
Montignoso » dove la poté consultare Giuseppe Bacci, che in quegli anni curava l’edizione delle
Lettere familiari di Enrichetta Blondel poi pubblicata nel 1974 (cfr. Enrichetta Manzoni Blondel.
Lettere… cit., in particolare lett. 76, pp. 321-322); la seconda, invece, quella datata Azeglio 21
agosto 1832, parzialmente edita in versione italiana da donna Matilde (in Vittoria e Matilde…
cit., Introduzione, p. XVI) era segnalata già da Bacci (Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit.,
in particolare lett. 83, p. 334) come « autografo non rintracciato, già conservato nella biblioteca
del Conte Schiff Giorgini a Montignoso… che, a quanto si dice, subì dispersioni di documenti
durante l’occupazione militare del castello nella seconda guerra mondiale »; Bacci perciò si limitò
Paola Benigni
326
Ventinove lettere autografe di Enrichetta Blondel alla figlia Vittoria in
collegio degli anni 1831-33 sono state trovate anche nel nucleo già conservato
a Montignoso, presso Euro Guidi, oggi depositato dalla Soprintendenza archivistica nell’Archivio di Stato di Firenze 48. Tra esse, anche alcune di quelle
segnalate da Giuseppe Bacci nell’edizione delle Lettere familiari di Enrichetta
Blondel, pubblicate nel 1974, come « autografo non rintracciato, già conservato nella Biblioteca del conte Schiff Giorgini a Montignoso (...) che, a quanto
si dice, subì dispersioni di documenti durante l’occupazione militare del
castello nella seconda guerra mondiale » 49.
Più o meno nello stesso periodo la Regione Toscana, oltre al nucleo di
carte Schiff Giorgini, poi consegnato al Gabinetto Vieusseux, acquistò quarantadue lettere autografe di Massimo d’Azeglio a Giovan Battista Giorgini, provenienti dal medesimo circuito (antiquario romano, acquirente privato fiorentino, più un ulteriore passaggio presso un antiquario fiorentino) per destinarle
alla Società toscana del Risorgimento di Firenze 50.
Duilio Susmel dichiara inoltre di avere presso di sé, oltre a quelli venduti
alla Regione Toscana, altri documenti Giorgini provenienti dalla medesima
fonte.
Tra il luglio e l’agosto del 1981 la Sovrintendenza archivistica per la Toscana emette tre diversi provvedimenti di notevole interesse storico tendenti a
proteggere i nuclei di documentazione Giorgini ancora in mani private: il
primo indirizzato a Duilio Susmel 51 e gli altri due destinati rispettivamente
all’avv. Giovanni Cecchieri 52 e al prof. Euro Paradiso Guidi 53.
Tra il 1988 e il 1989, infine, il nucleo di carte Giorgini già dichiarate al
Susmel vengono vendute dalla sua vedova alla Biblioteca Braidense di Milaa riproporne la traduzione italiana di donna Matilde, presa dalla riedizione fattane nel 1923 da
Michele Scherillo nel primo volume di Manzoni Intimo. Su altre lettere di Enrichetta Blondel alla
figlia Vittoria in collegio, già conservate nell’archivio Giorgini di Montignoso ed ora approdate a
diversi Istituti di conservazione, si vedano anche l’Appendice 2 e la nota 49.
48
Cfr. Appendice 2.
49
In mancanza dei rispettivi autografi, Bacci si limita a ripubblicare i brani che, già editi
nel 1910 in traduzione italiana da Matilde Schiff Giorgini in Vittoria e Matilde, erano stati
nuovamente pubblicati nel 1923 da Michele Scherillo quando ristampò, nel I volume di Manzoni
Intimo, il volumetto curato da donna Matilde. Le lettere autografe si trovano ora in AS FI, Schiff
Giorgini/Montignoso, 219/2; 219/4; 219/5; 219/10; 219/11; 219/13; 219/17; 219/18; 219/20;
219/21; 219/23; 219/24; 219/25; 219/27.
50
ASAT, fasc. « Schiff Giorgini Montignoso - Massa V.21.6 », 1950-2000, cfr. in particolare la richiesta di informazioni indirizzata al Soprintendente archivistico per la Toscana dallo
studioso manzoniano Georges Virlogeux il 17 ottobre 1987 e la risposta del Soprintendente datata
4 dicembre 1987 prot. n. 5638.
51
Ibid., provvedimento del 15/7/1981, n. 375, di cui fa parte integrante l’elenco della documentazione.
52
53
Ibid., provvedimento del 5/8/1981, n. 377.
Ibid., provvedimento del 5/8/1981, n. 378, di cui fa parte integrante l’elenco della documentazione.
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
327
no, non senza aver subito dispersioni. Alcuni di questi documenti, affiorati sul
mercato antiquario bolognese, furono prontamente recuperati dalla direzione
della Biblioteca 54.
Oltre ai carteggi e ai documenti di vari membri della famiglia Giorgini e
Schiff Giorgini si trova in questo secondo lotto di documenti, assolutamente
complementare a quello conservato al Vieusseux e a quelli di Montignoso e
Massa ora in deposito presso l’Archivio di Stato di Firenze, anche il manoscritto originale di quei Cenni autobiografici sulla vita pubblica di Niccolao
Giorgini che donna Matilde, attingendo all’archivio di famiglia, aveva pubblicato nel lontano 1899 55.
Più recentemente — il 24 dicembre del 1995 — diversi documenti autografi di Matilde Manzoni, tra cui le pagine del suo Journal, già ritrovate da
donna Matilde nel 1910 tra le carte del padre ed edite nel 1992 da Cesare
Garboli insieme con 2 album, note di spese e « memoranda », estrapolati dal
nucleo di documenti Giorgini conservato a Montignoso, già dichiarato di
notevole interesse storico nel 1981, vengono ceduti al prof. Loris Iacopo
Bononi, che li conserva nel suo castello di Castiglion del Terziere 56.
L’intervento condotto sulle carte di Montignoso dalla Sovrintendenza archivistica, in collaborazione con il Nucleo fiorentino dei Carabinieri per la
protezione del patrimonio culturale, ha permesso, oltre al recupero presso il
Bononi dei documenti autografi di Matilde Manzoni, anche l’individuazione
presso il prof. Guidi di altri interessanti documenti Schiff Giorgini, sfuggiti
alla dichiarazione di notevole interesse storico del 1981 57.
Nello stesso tempo l’avvocato Giovanni Cecchieri di Massa ha spontaneamente consegnato alla Sovrintendenza i documenti Schiff Giorgini ancora in
suo possesso 58.
Il deposito di tutte queste carte nell’Archivio di Stato di Firenze è stato
realizzato grazie alla collaborazione degli eredi Giorgini rintracciati all’estero,
54
Ibid., in particolare il sottofascicolo « Carte della famiglia Schiff Giorgini acquistate dalla
Biblioteca nazionale Braidense di Milano » 1989-1998, con elenco del materiale effettivamente
consegnato alla Biblioteca, datato, Milano 30 ottobre 1989.
55
Si rimanda per questo alla nota 11.
56
ASAT, Schiff Giorgini Montignoso-Massa V.21.6, 1950-2000, sottofascicolo « Documenti di Matilde Manzoni », in particolare lettera di Loris Jacopo Bononi a Paola Benigni, soprintendente archivistico per la Toscana, datata Castiglion del Terziere 13 novembre 2000, con allegata
nota dei documenti.
57
Ibid., si veda in particolare l’« Elenco di consistenza del nucleo dell’archivio Schiff
Giorgini consegnato da Euro Paradiso Guidi nel luglio 2001 », allegato al verbale di deposito del
materiale nell’Archivio di Stato di Firenze, datato 29 luglio 2002, in cui i documenti autografi di
Matilde Manzoni sono sommariamente descritti all’inserto 249/1-9.
58
Ibid., si veda in particolare l’« Elenco di consistenza del materiale Schiff-Giorgini consegnato alla Soprintendenza archivistica per la Toscana dall’avv. Giovanni Cecchieri », anch’esso
allegato al verbale di deposito dei documenti nell’Archivio di Stato di Firenze, datato 29 luglio
2002.
328
Paola Benigni
in particolare per l’impegno generoso e partecipe di Ellis Giorgini che desidero nuovamente ringraziare, e per l’indispensabile sostegno dato a questa
iniziativa dal Servizio Vigilanza della Direzione generale per gli Archivi e
dalla direzione dell’Archivio di Stato di Firenze.
Esso chiude una fase importante di questa storia, ma certamente non
esaurisce le cose da fare.
C’è, infatti, ancora da valorizzare appieno questi documenti con studi e
pubblicazioni e da realizzare l’obbiettivo di ricomporre, in un unico strumento
di consultazione, le sparse membra dell’archivio Schiff Giorgini.
La schedatura analitica dei nuclei recuperati a Montignoso, a Massa e
a Castiglion del Terziere, coordinata da chi scrive e curata da Emilio Capannelli, Elisabetta Insabato, Monica Nocentini e Iela Todros, che qui ringrazio
per l’impegno e l’entusiasmo profusi, potrà costituire un buon punto di partenza per questo lavoro che si dovrà, tuttavia, giovare anche della collaborazione, oltre che dell’Archivio di Stato di Firenze, di tutti gli altri Istituti in cui
è confluita documentazione proveniente dall’archivio Schiff Giorgini.
Concludendo, sento il dovere di sottolineare quanto il lavoro, sin qui
svolto, deve a Matilde Schiff Giorgini.
È stato, infatti, principalmente grazie al fascino della sua figura e all’intensità vibrante della sua testimonianza che si è potuto, superando il gran
vuoto di tante morti e di così lunghe assenze, riannodare le fila, lacerate e
scomposte, della memoria.
PAOLA BENIGNI
Soprintendente archivistico per la Toscana
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
329
APPENDICE
1. ELENCO DELLE LETTERE DI R. LAMBRUSCHINI A G. B. GIORGINI REDATTO DA MATILDE
SCHIFF GIORGINI
(AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso, 246/25)
11
Firenze 17 febbr. 1848
25
Figline 11 giugno 1959
12
Figline 1° marzo 1848
26
Figline 15 giugno 1859
13
Firenze 8 marzo 1848
27
Figline 19 giugno 1859
14
Firenze 29 giugno 1848
28
Figline 1° luglio 1859
15
S. Cerbone 4 sett. 1848
29
Figline 23 luglio 1859
16
Firenze 14 sett. 1848
30
S. Cerbone 9 agosto 1859
17
Firenze 15 gennaio 1849
31
Figline 29 agosto 1859
18
Firenze 19 gennaio 1849
32
Figline 8 ottobre 1859
19
S. Cerbone 30 luglio 1849
33
S. Cerbone 5 nov. 1859
10
S. Cerbone 7 sett. 1849
34
Figline 16 febbraio 1860
11
Figline 22 sett. 1849
35
Figline 22 marzo 1860
12
Figline 19 nov. 1849
36
Firenze 19 maggio 1860
13
Firenze 24 gennaio 1850
37
Firenze 12 maggio 1862
14
S. Cerbone 7 febbr. 1850
38
Firenze 30 giugno 1863
15
Livorno 21 febbr. 1850
39
S. Cerbone 16 sett. 1863
16
Figline 17 giugno 1850
40
Firenze 6 febbraio 1864
17
S. Cerbone 19 maggio 1852
41
Firenze 16 febbraio 1864
18
Figline 23 maggio 1853
42
Firenze 18 febbraio 1864
19
Figline 6 sett. 1853
43
S. Cerbone 10 giugno 1864
20
Figline 13 sett. 1853
44
S. Cerbone 13 giugno 1864
21
S. Cerbone 27 maggio 1856
45
Milano 17 luglio 1864
22
S. Cerbone 29 ottobre 1856
46
S. Cerbone 18 aprile 1865
23
Figline 29 genn. 1857
47
Firenze 18 gennaio 1867
24
Firenze 10 marzo 1857
48
Firenze 8 marzo 1867
330
Paola Benigni
2. LETTERE AUTOGRAFE IN LINGUA
VITTORIA, CON O SENZA FIRMA
FRANCESE DI
ENRICHETTA BLONDEL
ALLA FIGLIA
a) Archivio di Stato di Firenze (AS FI, Schiff Giorgini/Montignoso 219/1-29)
219/1 [nov. o dic. 1831]:
Il me semble qu’il y a un siècle…
(edita integralmente in francese in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 68, pp. 307-310)
219/2 Milano 1832 feb. 8:
Je suis chargée par ton papa de repondre pour lui…
(edita molto parzialmente, in versione italiana in
Vittoria e Matilde… cit., p. XII e in Enrichetta
Manzoni Blondel. Lettere… cit., 70, p. 313)
219/3 Milano 1832 feb. 22:
J’ai a répondre à deux de tes lettres…
(non completa, termina con: tu nous feras le plaisir)
219/4 Milano 1832 apr. 25:
Je suis encore toute pleine de bonheur de t’avoir vue
hier…
(parz. edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p.
XII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit.,
72, p. 315)
219/5 1832 mag. 23:
Madame Cosway m’a apporté ta petite lettre…
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit, p. XIII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 73, p. 316)
219/6 s.d.:
Che avrò io da aggiungere a codesta letterina che
tanto ti deve far piacere?
(bigliettino autografo in italiano, firmato « tua madre »)
219/7 Brusuglio [1832] giu. 26:
Nous voilà a Brusuglio depuis samedi après dîner…
219/8 s.l., 1832 giu. 20:
J’ai tant eu de petites affaires…
(edita integralmente in francese in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 77, pp. 323-324)
219/9, Brusuglio [1832] lug. 6:
J’ai a peine le temp de te donner les nouvelles de
notre Philippe…
219/10 Genova 1832 lug. 20:
J’ai été bien fachée d’avoir du retarder…
(non completa, termina con: la vue de la mer est
vraiment un spectacle délicieuse; parzialmente edita
in italiano in Vittoria e Matilde... cit., pp. XV e XVI e
in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 80, p.
330)
219/11 Genova 1832 ago. 13:
J’ai envoyé à la poste voir s’il y a des lettres…
(non completa, termina con: J’espère recevoir
bientôt; parzialmente edita in Vittoria e Matilde…
cit, p. XVI e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 81, p. 331)
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
331
219/12 [autunno 1832]:
Ma chère Victorine! Tu a donc aussi des angelûres?…
(edita integralmente in francese in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 87, pp. 339-340)
219/13 Milano 1832 nov. 18:
219/14 Milano 1832 dic. 1:
Tu recevras avec un double plaisir mon petit billet…
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., pp. XVII-XVIII e in Enrichetta Manzoni Blondel.
Lettere… cit., 86, p. 338)
Je t’écris depuis mon lit où j’ai été retenue…
219/15 Milano 1832 dic. 15:
Je reviens de l’Eglise, ma chère Victorine…
219/16 Milano 1832 dic. 22:
Je ne t’ai pas écrit mercredi passé…
219/17 1832 dic. 27:
Tu m’as payé ta fête dimanche…
(parzialmente edita in italiano e con la data del 26
dic. in Vittoria e Matilde… cit., p. XVIII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 89, p. 342)
219/18 [1833 gen. 1]:
La crescenza du jour de l’an…
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., pp. XVIII-XIX e in Enrichetta Manzoni Blondel.
Lettere... cit., 91, p. 345)
219/19 Milano [1833] gen. 16:
Une semaine de (sic) passée, sans t’avoir écrit un mot...
219/20 [1833 gen.]:
Je m’empresse de t’annoncer que tu est devenue
Tante…
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., p. XIX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere...
cit., 92, p. 346)
219/21 Milano [1833] gen. 30:
J’avais un besoin inexprimable de recevoir ta lettre…
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., pp. XIX-XX e in Enrichetta Manzoni Blondel.
Lettere… cit., 94, p. 348)
219/22 Milano 1833 feb. 7:
L’heure du Cavalante e passe (sic) hier, sans que je
pusses t’écrire un mot…
219/23 Milano 1833 feb. 13:
J’etais hier chez Julie…
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., p. XX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere...
cit., 96, p. 350)
219/24 Milano [1833] feb.:
Ta lettre d’hier m’a fait grand plaisir
(non completa, termina con: tout le mond; parzialmente edita in italiano, con data 7 feb., in Vittoria e
Matilde… cit. p. XX e in Enrichetta Manzoni Blondel.
Lettere… cit., 95, p. 349)
219/25 Milano [1833] apr. 24:
Je n’ai te pas écrit avant d’avoir reçù ta lettre…
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., pp. XXI-XXII e in Enrichetta Manzoni Blondel.
Lettere... cit., 98, pp. 352-353)
332
Paola Benigni
219/26 Milano [1833] mag. 14:
J’ai reçu ta lettre d’hier…
219/27 Brusuglio [1833] giu. 4:
219/28 Brusuglio 1833 giu. 18:
Je n’ai pas encore reçu ta lettre qui doit m’arriver
aujourdhui…
(parzialmente edita in italiano, esclusivamente per la
parte che riguarda la piccola Matilde in Vittoria e
Matilde… cit., p. XXII e in Enrichetta Manzoni
Blondel. Lettere… cit., 99, p. 354)
Je voulais t’écrire une lettre…
219/29 s.d.:
Voilà la pommade que tu m’as demandé…
b) Biblioteca nazionale Braidense di Milano
Altre tre lettere di Enrichetta a Vittoria in collegio, già facenti parte dell’archivio
Giorgini, si trovano oggi presso la Biblioteca Braidense di Milano perché acquistate nel
1993 a Ginevra presso la libreria antiquaria « L’Autographe »:
Brusuglio 30 ago. 1831:
Nous avons eu dejà deux fois des nouvelles…
(edita in versione italiana in Vittoria e Matilde… cit.,
pp. IX-X e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere…
cit., 66, pp. 301-303)
2 giu. 1832:
Deux mots, chère Victorine, pour te dire…
Brusuglio 9 lug. [1832]:
Oh, ma bien chère Victorine! quel plaisir m’a donc
fait ta lettre…
Tutte e tre le lettere riportano sul testo annotazioni di mano di Euro Paradiso Guidi.
c) Lettere attualmente disperse
Tuttavia, nonostante questi recenti ritrovamenti, mancano ancora all’appello ben undici
lettere di Enrichetta Blondel alla figlia Vittoria in collegio di cui conosciamo l’esistenza
perché sono state parzialmente pubblicate in traduzione italiana da donna Matilde (in
Vittoria e Matilde… cit.) e poi riedite prima da Michele Scherillo (in Manzoni Intimo...
cit., vol. I) e poi da Giuseppe Bacci, che ne ha curato anche l’edizione integrale in
francese (in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit.).
Brusuglio 25 set. 1831
(edita integralmente in francese in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere… cit., 67, pp. 304-306)
5 ott. 1831 e Milano 4 nov. 1831 (edite molto parzialmente in versione italiana in
Vittoria e Matilde… cit., pp. XI-XII)
Tra memoria ed oblio: l’Archivio Schiff Giorgini nel Novecento
333
7 mar. 1832
(edita parzialmente in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., p. XII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere...
cit., 71, p. 314)
1 giu. 1832
(edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XIV e
in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 74, pp.
317-318)
Brusuglio 1832 lug. 6
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., p. XV e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere...
cit., 79, p. 329)
Brusuglio 10 set. 1832
(edita integralmente in francese in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 84, pp. 335-336)
Brusuglio 1 nov. 1832
(edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XVII e
in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 85, p.
337)
21 gen. 1833
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., p. XIX e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere...
cit., 93, p. 347)
20 feb. [1833]
(parzialmente. edita in italiano in Vittoria e Matilde… cit., p. XXI e in Enrichetta Manzoni Blondel.
Lettere... cit., 97, p. 351)
Gessate 24 giu. 1833
(parzialmente edita in italiano in Vittoria e Matilde…
cit., p. XXII e in Enrichetta Manzoni Blondel. Lettere... cit., 100, p. 355)
LUISA
a) Roberto SCHIFF
senza eredi
ANNE AYMONE (vivente)
ELLIS (Parigi 1931 - vivente)
a) Delia CLAUZEL
b) Michela BEOMONTE
DOMENICA
DOMENICA
GIORGIO (1895-1965)
PATRICIA (vivente)
GUY (Parigi 1928-1983)
SANDRINO (1884-1888)
MATILDE (1860-1940)
GIORGIO (1853-1899)
RUGGERO (1882-1949)
LUISINA (1847-1857)
a) Vittoria di Alessandro MANZONI
CESARE SARDI
a) Raffaele SARDI
GIOVANNA (1822-1904)
ALESSANDRO (1866-?)
|
a) Carolina di Giovan Battista PALEOLOGO DIANA
GAETANO (1795-1874)
|
a) Giovanna FORTINI
b) Caterina AMBROGINI
NICCOLAO
|
GIOVANNI GIORGIO
|
NICCOLAO (1773-1854)
CARLO (1820-1887)
VITTORIO
GIOVANNI BATTISTA (1818-1908)
GIORGIO (1816-1894)
CRISTINA
3. ALBERO GENEALOGICO DELLA FAMIGLIA GIORGINI
LUIGI
GIORGIO
334
Paola Benigni
UNA FAMIGLIA DI FUNZIONARI:
NICCOLAO E GAETANO GIORGINI
Alla nascita di Niccolao Giorgini, nel 1773, i Giorgini di Montignoso non
risultavano tra le famiglie aristocratiche della Repubblica oligarchica lucchese.
Come ricorda Giovanni Sforza, Niccolao e il padre Giovanni Giorgio furono
infatti insigniti della nobiltà « personale » lucchese — vitalizia, non ereditaria — solo il 20 settembre del 1797 1 per « i servigi » che avevano prestato
alla Repubblica aristocratica dopo i primi moti della Rivoluzione francese 2.
Una promozione sociale che dunque risentiva fortemente della situazione
politica contingente: con i pericolosi « giacobini » letteralmente alle porte
della Repubblica (a Massa), Montignoso diventava il primo naturale obiettivo
dei rivoluzionari; tale condizione poteva consentire ad una delle famiglie più
autorevoli di quella comunità di « rinegoziare » la propria fedeltà a Lucca,
ottenendo come contropartita riconoscimenti pubblici.
La fedeltà di Niccolao Giorgini alla Repubblica oligarchica non si dimostrò tuttavia « irriducibile ». Sforza lo descrive come « un partigiano delle
libertà francesi bene accetto ai giacobini » 3: fu così che, mentre con l’avvento
della Repubblica democratica del 1799 i « nobili originari » del patriziato
lucchese — come racconta Antonio Mazzarosa — « umiliati (…) ritiravansi
alle proprie case di campagna » 4, egli, da poco « nobilitato », non solo non si
diede alla fuga, ma al contrario accettò di rivestire un’importante carica repubblicana, quella di membro del consiglio dei giuniori 5.
1
G. SFORZA, Memorie storiche di Montignoso, Lucca, Tip. di Bartolomeo Canovetti, 1867,
p. 223.
2
Cfr. l’Autobiografia di Niccolao Giorgini, manoscritto datato 1852 conservato presso la
Biblioteca nazionale Braidense di Milano (d’ora in poi BNB), nel Fondo Giorgini I (Carte di
Niccolao Giorgini), pubblicato quasi integralmente in Cenni autobiografici sulla vita pubblica di
Niccolao Giorgini, a cura di M. SCHIFF GIORGINI (Pisa, Nistri, 1899). Un confronto puntuale
rivela alcune difformità tra i due testi: correzioni di natura stilistica ma anche veri e propri tagli,
nelle parti forse più « scomode » politicamente, come in questo caso.
3
G. SFORZA, Memorie storiche… cit., p. 223.
4
A. MAZZAROSA, Storia di Lucca dall’origine fino al 1814, Lucca 1833, t. II, p. 174.
5
Caduta la Repubblica giacobina, Niccolao Giorgini « ebbe a subire gravi molestie quando
tornarono gli austriaci » (G. SFORZA, Memorie storiche… cit., p. 223). Un fatto che lo stesso
Giorgini nelle memorie sembra voler occultare: « Io ebbi la sorte di essere lasciato tranquillo a
casa mia », Cenni autobiografici… cit., p. 22.
336
Alessandro Breccia
La sua carriera pubblica a Lucca cominciò dunque negli « anni francesi ».
Non era certo un « pericoloso giacobino », ma il cambiamento di regime e la
conseguente rottura della continuità di funzionamento di un apparato amministrativo notevolmente chiuso 6 gli consentirono di superare la dimensione
periferica di Montignoso per proporsi come uomo di governo a livello centrale. Anche in quello Stato dunque la venuta dei francesi aveva costituito un
fattore di mobilità sociale, propiziando un rinnovamento — seppur parziale —
delle élites amministrative 7.
Da allora, nelle fasi politiche che rapidamente si succedettero, ottenne
sempre incarichi di rilievo. Inviato a Parigi nel 1804 in rappresentanza della
comunità lucchese all’incoronazione di Napoleone, l’anno successivo tornò
nella capitale francese in veste di membro della deputazione che presentò
ufficialmente all’imperatore la richiesta della trasformazione della Repubblica
in Principato, del quale fu nominato senatore. Nel 1806 divenne prefetto di
Garfagnana, quindi — nel 1807 — di Massa e Carrara 8. Dal 1809 entrò infine
a far parte del Consiglio di Stato del Granducato con speciali competenze per
i lavori pubblici e l’amministrazione finanziaria 9.
Un’ascesa, quella di Giorgini, sulle cui dinamiche restano ancora da
sciogliere alcuni interrogativi. Nella lunga carriera pubblica a Lucca egli non
poté ovviamente prescindere dal consenso dell’antico patriziato cittadino, ma
al contempo sembra possibile ipotizzare che il suo prestigio nella comunità
avesse altre motivazioni di fondo. Sostanzialmente privo di « potere economico » e impossibilitato a fare leva sull’influenza del plurisecolare rango nobiliare 10, riuscì a guadagnarsi un ruolo di rilievo ai vertici della comunità lucchese
6
Efficace, seppure viziata da eccessi polemici, la descrizione del monopolio esercitato dall’aristocrazia lucchese sulla struttura amministrativa della Repubblica effettuata dall’anonimo
autore della Memoria sullo Stato di Lucca pervenuta nel 1817 alla duchessa Maria Luisa, e
trascritta da P. G. Camaiani nel suo Dallo Stato cittadino alla città bianca. La « società cristiana » lucchese e la rivoluzione toscana, Firenze, La Nuova Italia, 1979, p. 227. Come osserva
Camaiani, « la privativa nell’accesso alle cariche più importanti era per i nobili un privilegio
consueto nella società, non soltanto lucchese, dell’ancien régime. Ma i patrizi che reggevano la
repubblica di Lucca avevano modo, anche in virtù della sua piccolezza, di organizzare il sottogoverno con maggior agio, di ricavarne degli utili senza la fastidiosa interferenza dei ceti emergenti,
di ignorare i notabili che non risiedevano nell’unica città che contasse nello Stato », p. 179.
7
Sulle trasformazioni che i ceti dirigenti degli Stati italiani ebbero a subire in età napoleonica ha scritto pagine preziose Carlo Capra nel saggio Nobili, notabili, élites: dal modello francese al caso italiano, in « Quaderni storici », XIII (1978), pp. 12-42. Tra le tante altre ricerche
sull’argomento, ci si limita a citare i saggi contenuti nel volume Stato e Pubblica Amministrazione nell’Ancien Régime, a cura di A. MUSI, Napoli, ESI, 1979.
8
Sull’esperienza di governo a Massa, si veda O. RAFFO MAGGINI, Niccolao Giorgini, prefetto di Massa (1807-1809), in « Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le antiche
provincie modenesi », XVIII (1996), pp. 299-307.
9
Fulvio Conti ha compiuto una ricostruzione sufficientemente completa delle note biografiche di Niccolao Giorgini nel Dizionario biografico degli italiani, vol. 55, Roma, Istituto della
Enciclopedia italiana, 2000, pp. 338-340.
10
Il « possesso » e l’« influenza », solidi pilastri sui quali poggiava l’egemonia del patriziato sulla comunità dei Lucchesi, cfr. P. G. CAMAIANI, Dallo Stato cittadino… cit., p. 105.
Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini
337
in una fase storica nella quale l’aristocrazia cittadina, nel perdere il monopolio
assoluto sull’apparato statale, metteva in luce tutta la limitatezza della propria
cultura pubblica.
Una condizione certamente rilevante per l’emergere di un homo novus
come Giorgini era rappresentata dal pronunciato indebolimento, soprattutto
politico, dell’oligarchia, testimoniato da una crescente impopolarità, come
scrive Antonio Mazzarosa, giudicando il provvedimento di nobilitazione deciso
dal consiglio generale — di cui beneficiarono insieme ai Giorgini trentasei
altre casate — una decisione volta « a puntellare lo stato presente con un
maggior numero di buoni cittadini » 11. Tale mossa si rivelò inefficace dal
momento che, sempre secondo Mazzarosa, « partorì fra il popolo quell’effetto
che nasce da cosa fatta per forza, e non ispontaneamente » 12. Una decisione
presa « per forza », forse anche un disperato — ma insufficiente — tentativo
di reagire al progressivo declino degli istituti della secolare Repubblica oligarchica, allargandone, seppure in minima misura, la base sociale. Estinta quella
fase storica, pare lecito affermare che le tradizionali famiglie di Lucca, incapaci di liberarsi dalle rigidità di un assetto ormai superato, dimostrassero
nell’immediato una certa inadeguatezza nel misurarsi con le mutate caratteristiche del sistema del potere pubblico, non riuscendo a contrastare con efficacia l’ascesa a posizioni pubbliche di rilievo di personaggi estranei al ceto
dominante.
Niccolao Giorgini mantenne per sé e per la sua famiglia un’« identità »
distinta rispetto al modello delle casate aristocratiche. Alla base di tale scelta
sembra essere la volontà di sfruttare le opportunità di affermazione sociale
offerte dai mutamenti del quadro politico ed istituzionale, l’avvento dello
Stato amministrativo e soprattutto l’esigenza dei nuovi regnanti di inserire nei
ruoli-chiave dell’apparato dello Stato un gruppo di uomini di indiscussa lealtà
che avesse esclusiva fonte di legittimazione e prestigio nel potere sovrano.
Egli si propose così come uomo di assoluta fiducia prima dei principi
Baciocchi ed in seguito della dinastia dei Borbone-Parma, fino a stringere con
essi un legame quasi confidenziale (in special modo con Elisa e Carlo Lodovico). L’élite nobiliare — al contrario — non legò poi le proprie sorti a quelle
della corona, pronta alla prima occasione a rispolverare sterili appelli « muni11
A. MAZZAROSA, Storia di Lucca… cit., p. 141. La questione della necessità di concedere
a nuove casate il privilegio patrizio si trascinava da tempo, senza che tuttavia fosse stato preso
alcuna decisione in tal senso. Finalmente nel 1797 « si fecero alcune poche concessioni di
cittadinanza originaria, o a famiglie o a persone singole, ma a stento e con evidente ripugnanza »
(S. BONGI, Inventario del Regio Archivio di Stato in Lucca, Lucca 1880, I, p. 204). Sembra
opportuno notare che tra i beneficiari del medesimo provvedimento fossero personaggi ai quali
— come a Giorgini — sarebbero stati affidati importanti incarichi di governo dopo la caduta
della repubblica aristocratica. Basti menzionare gli avvocati Luigi Vannucci e Luigi Matteucci,
importanti ministri del periodo baciocchiano. Alcuni cenni biografici sui due in S. BONGI,
Inventario… cit., III, pp. 140 e 106.
12
A. MAZZAROSA, Storia di Lucca… cit., p. 141.
Alessandro Breccia
338
cipalisti » al ritorno all’indipendenza del passato; una linea tenuta del resto in
tutti i momenti decisivi della storia cittadina del XIX secolo.
Dopo la caduta della Repubblica, a Lucca si verificò tra « il nuovo ceto
dei funzionari ed impiegati » ed il vecchio patriziato 13, un processo di amalgama sul quale pesava in modo determinante la persistente egemonia economica di quest’ultimo; tale fenomeno tuttavia non comportò mai del tutto la
perdita da parte del primo gruppo di importanti elementi di « differenziazione » rispetto al secondo, fino a decidere di non recepirne completamente il
modello socio-culturale e di costume: non a caso Giorgini non fece mai
proprio quel « cattolicesimo moralistico e moralizzatore » 14 che costituiva il
segno distintivo della condotta pubblica di molti aristocratici, così come non
dimostrò particolare interesse per i « i gusti e le frivole abitudini del patriziato » 15, imponendo alla famiglia un tenore di vita ispirato alla sobrietà e al
rifiuto del lusso 16.
Egli seppe dunque proporsi come uomo di governo di provata lealtà dinastica e scelse la medesima strada per il figlio Gaetano, concependo quella che
può essere interpretata come una vera e propria « strategia » della formazione
di un funzionario di professione. Dopo essere stato da bambino paggio della
principessa Baciocchi, all’età di 15 anni — nel 1810 — Gaetano Giorgini fu
inviato a Parigi, dove trascorse gli anni decisivi della sua educazione scientifica e professionale, prima in qualità di allievo del Lycée Louis-Le Grand ed in
seguito della prestigiosa Ecole Polytechnique 17. Il soggiorno nella capitale
francese fu finanziato in gran parte dai granduchi toscani 18, i quali, come con
13
La dominazione francese fece emergere un ceto di « funzionari ed impiegati » di cui facevano parte « alcuni esponenti del ceto medio », cfr. P. G. CAMAIANI, Dallo Stato cittadino…
cit., p. 186.
14
Ibid., p. 365.
15
C. SARDI, Lucca e il suo Ducato dal 1814 al 1859, Firenze, Tip. cooperativa, 1912, p. 21.
16
Come si evince dalla lettura delle missive di Niccolao al figlio Gaetano Giorgini, custodite in BNB, Fondo Giorgini II (Carte di Gaetano Giorgini), la moglie di quest’ultimo, contessa
Carolina Diana Paleologo, dava origine a continui contrasti perché incline ad uno stile di vita
sfarzoso e dispendioso che i Giorgini non vollero mai accettare. Pare opportuno ricordare che a
Lucca i Giorgini non « misero radici ». Forse non a caso la permanenza nella città fu limitata al
periodo in cui il capo-famiglia ebbe a svolgere incarichi pubblici: Niccolao Giorgini cedette la
propria casa in città poco dopo essere stato messo a riposo dal governo granducale; lo ricorda
Vittoria Giorgini Manzoni a p.10 delle sue Memorie, pubblicate in Vittoria e Matilde Manzoni, a
cura di M. SCHIFF GIORGINI, Pisa, Nistri, 1910.
17
Per le note biografiche su Gaetano Giorgini rimandiamo a G. SFORZA, Nelle esequie solenni del senatore Gaetano Giorgini, Lucca, per i Tipi di Bartolomeo Canovetti, 1874. Una
ricostruzione sintetica ed efficace della figura di Giorgini si può leggere nell’omonima voce,
curata da Danilo Barsanti per il Dizionario biografico degli italiani, vol. 55 … cit., pp. 332-334.
18
Con sovrano decreto del 3 febbraio 1813 Elisa Baciocchi aveva concesso a Gaetano
Giorgini una pensione annuale di 1.500 franchi. La comunicazione ufficiale del provvedimento si
trova nel fondo Schiff Giorgini di recente recuperato ed ora custodito presso l’Archivio di Stato
di Firenze (d’ora in poi AS FI); la collocazione provvisoria è AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso,
207/29-1. Il giovane Giorgini non fu l’unico beneficiario di siffatti finanziamenti: « Questa predi-
Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini
339
insistenza Niccolao Giorgini ricordava al figlio, avevano già pianificato il suo
futuro di ingegnere idraulico dello Stato. In una lettera al giovane Gaetano
studente a Parigi, il padre Niccolao scriveva: « Di commissione espressa di
S.A.I.R la Vostra Augusta Sovrana io debbo avvertirvi che [è] suo preciso
comando che Voi vi dedichiate interamente allo studio dei Ponti, e Argini. La
prelodata A.S.I. mi a [sic] in questa circostanza assicurato che fra due anni
allorché Voi sarete uscito dalla Scuola vi farà andare in Olanda a fare una
pratica sulle materie idrauliche (…) quindi Vi richiamerà in Patria per darVi
un buon impiego, e mettere sotto i Vostri ordini della gioventù per opera da
Voi diretta » 19. L’azione di governo dei nuovi sovrani, egli spiegava di
continuo nelle lettere al figlio, avrebbe segnato una netta cesura con il passato
della Repubblica oligarchica, contrapponendo all’immobilismo di quest’ultima
la pronta realizzazione delle opere pubbliche di cui da sempre abbisognava il
popolo lucchese: « oggi, che siamo governati da Principi, che vogliono il
nostro bene, ed al genio benefico dei quali non mancano i mezzi per realizzare
i loro voleri, oggi appunto è arrivato quel giorno che con un braccio forte,
e preveggente saranno realizzate le speranze di tante famiglie che vedono
divorarsi dal tempo quelle proprietà, che somministravano ad essi una volta
ubertosi prodotti, e che ora vanno a divenire stagni, paludi » 20.
I principi, infatti, miravano a consolidare la propria autorità presentandosi
come efficienti « benefattori » con l’esclusiva volontà di servire il bene comune; una miscela di paternalismo e buona amministrazione alla quale « burocrati » come Niccolao Giorgini e tecnici preparati come il figlio Gaetano avrebbero dovuto dare esecuzione, assimilando ed uniformandosi ai nuovi caratteri
che la figura dell’uomo di governo stava assumendo nel modello di Stato
burocratico in via di affermazione nella Francia imperiale. Come del resto
stava avvenendo oltralpe, essi sarebbero entrati a far parte di quella « élite de
fonction publique » 21, nuovo ceto di impiegati dello Stato che trovavano nella
propria condizione professionale e nell’appartenenza alla burocrazia la ragione
della propria collocazione sociale. Un nuovo personale di governo organizzato
in modo più razionale, nella selezione del quale si sarebbe attribuita sempre
maggiore importanza alla professionalità e all’efficienza.
Nelle loro differenti caratteristiche di uomini pubblici i due Giorgini
avrebbero impersonato le caratteristiche della nuova figura funzionariale che si
lezione [della Sovrana] per la cultura la indusse a creare delle borse di perfezionamento all’estero
in favore degli studenti più meritevoli (…). Di queste borse di studio, oltre Lorenzo Nottolini e
Gaetano Giorgini, godettero il Frugoni inviato a Roma a studiare architettura e Ferdinando
Fontana mandatovi a perfezionarsi nella scultura », ARCHIVIO DI STATO DI LUCCA, Regesto del
carteggio privato dei Principi Elisa e Felice Baciocchi (1803-1814), a cura di D. CORSI, Roma
1963, p. XX.
19
Lettera di Niccolao a Gaetano Giorgini del 13 gennaio 1812, in BNB, Fondo Giorgini II.
20
21
Lettera a Gaetano Giorgini del 18 aprile 1813, ibidem.
M. REINHARDT, Élite et noblesse dans la deuxième moitié du XVIII siècle, in « Revue
d’histoire moderne et contemporaine », III (1956), pp. 5-37, in particolare p. 7.
Alessandro Breccia
340
stava affermando pressoché in tutti gli Stati della penisola: uomo « vicino alla
corona » atto a svolgere ruoli direttivi nell’amministrazione il padre, « tecnico » altamente preparato chiamato a prestare servizio allo Stato in virtù delle
sue specifiche qualifiche scientifiche il figlio. Non dotato di specifica preparazione, Niccolao Giorgini aveva tutto sommato ancora i tratti dell’esponente
della burocrazia di corte dello Stato amministrativo settecentesco; Gaetano
invece si preparava ad interpretare le nuove emergenti esigenze tecnicoscientifiche degli apparati di governo 22.
Caduto Napoleone, e con lui i granduchi Baciocchi, Gaetano Giorgini
non potè che fare ritorno da Parigi a Lucca. Malgrado la giovane età, diede
alle stampe opere scientifiche presto note agli studiosi più illustri e fu investito quasi subito di importanti incarichi; prima, nel 1818, la nomina a direttore
della neoistituita Direzione delle acque e strade del Ducato, poi, l’anno successivo, quella a professore di meccanica e calcolo infinitesimale del regio
liceo.
Lucca stava ancora attraversando una fase di transizione dal vecchio al
nuovo regime. Poco tempo dopo, tra il 1820 e il 1821, Niccolao Giorgini fu
temporaneamente allontanato dall’amministrazione con l’accusa, a quanto egli
stesso scrisse, di essere « persona troppo attaccata ai passati Principi » 23.
Un’« eclissi » che con tutta probabilità costò al figlio Gaetano la fine di ogni
possibilità di carriera pubblica presso i Borbone-Parma 24. Niccolao invece
22
Un’evoluzione che sicuramente si palesò in anticipo nella Francia settecentesca; basti rimandare ai volumi di C. C. GILLISPIE, Scienza e potere in Francia alla fine dell’ancien régime,
Bologna, Il Mulino, 1983 e di L. BLANCO, Stato e funzionari nella Francia del ’700: gli
ingénieurs des ponts et chaussées, Bologna, Il Mulino, 1991.
23
24
Cenni autobiografici… cit., p. 55.
La grave piena del fiume Serchio del 1820, che Giorgini affrontò con l’impopolare « taglio » a Sant’Alessio, segnò l’inizio del fallimento della sua carriera nel Ducato: la drastica scelta
di far straripare il fiume suscitò nei confronti del suo operato aspre critiche, a volte costruite ad
arte. Pochi mesi dopo — il 10 febbraio 1821 — la duchessa emise un proclama (S. BONGI,
Inventario… cit., III, p. 330) nel quale si annunciava la conclusione di un accordo con il
granduca di Toscana per la comune intrapresa di lavori idraulici al fine di « garantire la pianura
lucchese dai danni delle acque ». Per la sua attuazione si sarebbe seguito il progetto di regolamentazione delle acque elaborato dall’architetto Nottolini. Giorgini, che dissentiva da quel progetto,
non era stato nemmeno avvertito delle trattative. Constatando di non godere più della fiducia
della sovrana, decise di rassegnare le proprie dimissioni, che vennero accettate da Maria Luisa il
22 marzo 1821. La minuta della lettera di dimissioni, di notevole interesse, è conservata presso
l’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux di Firenze (d’ora in avanti ACGV), nel fondo
Gaetano Giorgini. L’« infinita » disputa tra i due tecnici, che coinvolse anche numerosi esperti
della scienza della regimentazione delle acque, ebbe come unico effetto pratico quello di bloccare
per decenni ogni intervento sulla pianura condivisa dai due Stati. Per un’analisi dettagliata
dell’opera di ingegnere idraulico di Gaetano Giorgini e per la disamina delle numerose dispute
scientifiche di cui fu protagonista rimando a D. BARSANTI, Gaetano Giorgini e la bonifica per
separazione delle acque, in « Rivista di storia dell’agricoltura », XXIX (1989), p. 137. Le aspre
querelles su questioni tecniche non sembrano altro che pretesti per consumare lotte politiche
interne agli ambienti di potere vicini ai sovrani. Malgrado non vi siano conferme dirette in tal
senso, appare plausibile sostenere che i due ingegneri idraulici appartenessero a due « fazioni »
Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini
341
riacquistò la fiducia dei duchi di Lucca, riuscendo perfino a stringere un
rapporto di intima amicizia con Carlo Lodovico, come rivelano alcune lettere
del sovrano 25. Proseguì la carriera pubblica senza più intoppi fino alla cessazione del Ducato, dal 1822 al 1840 in qualità di gonfaloniere di Lucca, poi
come ministro dell’interno e presidente del consiglio dei ministri (dal 1843).
Anche la sua attività di governo sulla città ebbe tratti di discontinuità rispetto
alle passate amministrazioni, ispirata com’era all’idea di renderla capitale di
uno Stato moderno, nel quale il capoluogo divenisse centro direttivo politico
ed amministrativo; un modello centralistico che ambiva a superare l’antica
concezione della città-Stato slegata dai territori dominati 26.
Per Gaetano Giorgini la lontananza dalle funzioni pubbliche, provocata
con tutta probabilità come si è detto da una fase di scarse fortune politiche del
padre, fu comunque di breve durata. Con il motuproprio del 1° novembre
1825 il granduca di Toscana lo chiamò ad insegnare matematiche applicate
all’Accademia di belle arti di Firenze; poco tempo dopo, nel febbraio 1826,
fu scelto come membro di un nuovo organo statale, il Consiglio degli ingegneri 27, insieme a Giuliano Frullani e a Ferdinando Tartini.
contrapposte. A titolo esemplificativo basti rammentare le vicende della costruzione dell’acquedotto cittadino. Antonio Mazzarosa, nel suo Sulle opere e sui concetti dell’architetto ed ingegnere Lorenzo Nottolini. Ragionamento del marchese Antonio Mazzarosa, Lucca, Giusti, 1856,
ricorda che il progetto presentato dall’ormai riabilitato gonfaloniere Niccolao Giorgini — approvato dalla sovrana il 7 ottobre 1822 — era affidato all’architetto G. Valentini. Ma l’approvazione
della duchessa non bastò, visto che « nato per avventura qualche dubbio nella mente di Maria
Luisa (…) volle essa che il Nottolini Regio architetto esaminasse, suggerisse (…). L’ultimo dello
stesso ottobre sancivasi il suo concetto e se ne comandava subito l’esecuzione » (p. 7). Pare che
Giorgini fosse riuscito ad escludere l’importante architetto dalla realizzazione di quella prestigiosa opera pubblica. Ma Nottolini, o altri per lui, « riacciuffò » il prestigioso incarico facendo
nascere « qualche dubbio » nella mente della duchessa. Documenti relativi a tale questione sono
contenuti nella porzione di fondo Schiff Giorgini recentemente recuperata dalla Soprintendenza
archivistica per la Toscana a Massa presso l’avv. Cecchieri e depositata nell’Archivio di Stato di
Firenze (AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 30/1-6).
25
Basti citare una missiva di Carlo Lodovico datata 15 giugno 1841: « A rivederci a Montignoso. Vengo in casa vostra, ma! Intendiamoci, vorrei il letto un po’ più duro; l’estate se sto
così soffice affogo (…) »; in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 39/3.
26
Come ricorda M. L. TREBILIANI, Studi storici lucchesi, Lucca, Pacini Fazzi, 1992, pp. 7778, in qualità di gonfaloniere Niccolao Giorgini fu chiamato a presiedere la nuova Deputazione
degli edili della città di Lucca. La Deputazione era stata istituita per avviare una sistematica
opera di riqualificazione ed abbellimento della città, « il cui esterno », sono parole di Giorgini
contenute nel documento che istituisce il nuovo organo, fu condannato « ad un lungo abbandono
[per] la indolenza dei nostri maggiori su questo oggetto ». Si trattava, come osserva l’autrice, di
« una critica del Gonfaloniere della capitale del Ducato rivolta alla città-Stato del passato, dalla
quale si vo[levano] prendere le distanze ».
27
Sull’istituzione del Corpo degli ingegneri, un provvedimento che andava nella direzione
di una decisa razionalizzazione e centralizzazione degli apparati dello Stato, si veda D. TOCCAFONDI, La nascita di una professione: gli ingegneri in Toscana in Età Moderna, in La politica
della scienza. Toscana e Stati italiani nel tardo Settecento, a cura di G. BARSANTI, V. BECAGLI,
R. PASTA, Firenze, Olschki, 1996, pp. 148-169 e A. GIUNTINI, La formazione didattica e il ruolo
342
Alessandro Breccia
Varie furono le condizioni che consentirono a Giorgini di varcare i confini di Lucca ed entrare a far parte dell’apparato amministrativo del Granducato.
La prima, quasi ovvia, fu la prospettata fusione tra i due Stati. In seguito ai
deliberati del Congresso di Vienna la separazione tra Granducato di Toscana e
Ducato di Lucca era destinata ad essere transitoria; occorreva pensare alla
futura fusione, anche integrando giovani esponenti della classe dirigente
lucchese nel corpo funzionariale toscano. Insieme a Giorgini furono chiamati
da Lucca a svolgere incarichi pubblici in Toscana altri funzionari privi di
impiego nel Ducato, come ad esempio Luigi Matteucci e Luigi Fornaciari.
Un ulteriore importante elemento fu la nuova strategia granducale nella
selezione del personale di governo: è stato osservato che numerosi alti funzionari dell’era di Leopoldo II furono, sia a livello centrale che locale, di « provenienza decentrata » 28. Essi venivano scelti principalmente per la loro sicura
fedeltà alla dinastia, spesso prescindendo dal consenso delle élites dirigenti
toscane, al quale tradizionalmente era vincolata la selezione del personale di
governo. Un fenomeno che si poteva registrare anche nelle più alte schiere
dell’amministrazione: forti quasi esclusivamente del gradimento granducale e
di certo non cooptati dalle élites fiorentine furono in quegli anni due alti
funzionari come Francesco Cempini, consigliere di Stato e direttore della
Segreteria delle regie finanze « uscito da civile famiglia di mediocri possidenti
in Terricciola nelle colline Pisane » 29 e Giovanni Baldasseroni, un « burocrate
esecutore » 30 che spesso nella sua attività di amministratore dovette fronteggiare l’ostilità degli altri ministri Fossombroni e Corsini, espressione del patriziato fiorentino. Anche un sommario esame delle cariche burocratiche intermedie fornisce conferme della volontà dell’autorità granducale di « disporre di
un proprio corpo di burocrati distinto dai ceti dirigenti cittadini » 31.
dell’ingegnere nell’amministrazione granducale della Toscana di Leopoldo II, in La Toscana dei
Lorena. Riforme, territorio, società. Atti del convegno (Grosseto, 27-29 novembre 1987), a cura
di Z. CIUFFOLETTI e L. ROMBAI, Firenze, Olschki, 1989, pp. 380-405.
28
A. VOLPI, I governatori di Pisa cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano, in L’Ordine di
Santo Stefano e la città di Pisa. Dignitari della Religione, dirigenti dello Studio e funzionari del
governo nei secoli XVI-XIX. Atti del convegno (Pisa 9-10 maggio 1997), Pisa, ETS, 1997, pp.
361-378, in particolare p. 367.
29
G. BALDASSERONI, Leopoldo II Granduca di Toscana e i suoi tempi, Firenze, Tip. all’insegna di S. Antonino, 1871, p. 60.
30
R. P. COPPINI, I funzionari del governo civile, militare ed ecclesiastico di Pisa cavalieri
dell’Ordine di S. Stefano in età lorenese, in L’Ordine di Santo Stefano e la città di Pisa… cit.,
pp. 349-358, in particolare p. 354.
31
Ibid., p. 352. Coppini prosegue notando che anche attraverso la concessione ad alcuni
funzionari dell’abito stefaniano « tendeva a prendere forma l’idea forse attentamente coltivata
dallo stesso granduca e dalla sua corte, di creare delle vere e proprie “famiglie di funzionari” (…)
destinate a contenere le resistenze delle varie aristocrazie ». Dalla semplice lettura delle memorie
di Leopoldo II (Il governo di famiglia in Toscana. Memorie (1824-1857), a cura di F. PESENDORFER, Firenze, Sansoni, 1987) si nota che numerosi uomini elevati dal granduca alle più alte
cariche pubbliche non appartenevano alle potenti famiglie della nobiltà fiorentina.
Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini
343
La scelta di chiamare in Toscana Gaetano Giorgini aveva tuttavia un’ulteriore peculiarità. Egli non era un esponente delle élites regionali, ma la sua
nomina esprimeva il tentativo, in virtù del prestigio scientifico ed accademico
di cui godeva, di avviare una forma di dialogo con gli ambienti più avanzati
della società fiorentina che contribuisse ad instaurare un rapporto quantomeno
collaborativo tra tali ambienti e la corona.
Fino ad allora per essi l’apparato statale era stato preda di quella che
Gino Capponi definiva con disprezzo « la massoneria burocratica » 32: altri
erano per i ceti dirigenti i luoghi della messa in atto e della promozione dei
propri progetti di riforma economici e sociali. Con la chiamata di Giorgini
l’autorità granducale diventava invece un interlocutore più credibile. Già
prima del trasferimento a Firenze egli aveva conquistato la stima di prestigiosi
esponenti della cultura fiorentina, iniziando a collaborare con i più importanti
centri di ricerca: l’Accademia dei georgofili l’aveva scelto come accademico
corrispondente già nel 1824.
Una volta trasferitosi a Firenze, entrò dunque a far parte del gruppo di intellettuali che gravitavano intorno all’Accademia e alle iniziative editoriali di
Giovan PietroVieusseux. Partecipò fattivamente a tutte le iniziative riformatrici, culturali ed economiche che segnarono l’identità culturale ed in senso lato
politica di quel gruppo negli anni precedenti al 1848: da quelle tese a diffondere le scuole di mutuo insegnamento agli articoli sull’« Antologia », alla
fondazione della prima Cassa di Risparmio 33, fino alle campagne di sensibilizzazione politica, come il sostegno agli esuli cacciati da alcuni Stati italiani
in seguito ai moti del 1830-31 34.
Il momento forse più compiuto di avvicinamento tra élites dirigenti del
Granducato e autorità lorenese si ebbe proprio con la riorganizzazione del
sistema degli studi universitari realizzata da Gaetano Giorgini 35. La riforma,
32
L’espressione si trova in una lettera di Gino Capponi a G. Pucci datata 10 aprile 1825, in
Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate a cura di Alessandro Carraresi, I,
Firenze, Le Monnier, 1882, p. 197.
33
Il 5 dicembre 1835 fu nominato « uno dei tre componenti il Consiglio di Amministrazione »; l’incarico aveva durata triennale.
34
Fu tra l’altro tra i mecenati che finanziarono alcune opere del professor Francesco Orioli,
mecenati che lo stesso Orioli in una lettera a Giorgini del 15 agosto 1842 definiva « mossi dal
nobile desiderio di concorrere all’opera grandemente meritoria del restituire una patria perduta ad
un uomo al quale duole immensamente questa perdita ». La missiva si trova in AS FI, Archivio
Schiff Giorgini / Montignoso, 216/74. Orioli, cittadino dello Stato della Chiesa, esule politico in
Grecia dopo i moti del 1831, rappresentò l’Università di Corfù al Congresso degli scienziati di
Pisa del 1839, del quale Giorgini era tra gli organizzatori. L’invito ad Orioli provocò le vive
proteste della Santa Sede.
35
Per un’analisi accurata del complesso dei provvedimenti di riforma, si veda D. BARSANTI,
L’Università di Pisa dal 1800 al 1860, Pisa, ETS, 1993, e R. P. COPPINI, Gaetano Giorgini e la
riforma universitaria del 1840, in L’Ordine di Santo Stefano e lo Studio di Pisa. Atti del
convegno, Pisa, 14-15 maggio 1993, Pisa, ETS, 1993, pp. 115-122.
Alessandro Breccia
344
che toccava tutto lo spettro delle discipline universitarie, fu accolta con
unanime favore dal nucleo più « illuminato » dell’aristocrazia fiorentina, che
ne condivise appieno i principi ispiratori. Nella nuova Università di Giorgini
veniva attribuita non a caso maggiore importanza allo sviluppo di attività di
ricerca e sperimentazione che individualmente alcuni esponenti di quei gruppi
da tempo stavano conducendo: un caso su tutti quello di Cosimo Ridolfi, che
entrò a far parte del corpo docente dell’ateneo pisano in qualità di professore
di agraria e pastorizia e soprattutto di direttore del nuovo Istituto agrario 36,
nel quale avrebbe potuto riprendere e sviluppare a livello istituzionale
l’attività del podere-modello di Meleto.
Il nuovo assetto del sistema degli insegnamenti universitari, al quale fu
associata la chiamata a Pisa di alcuni tra i più prestigiosi docenti italiani di
allora, contribuiva inoltre a scongiurare il rischio dell’isolamento dello Stato
lorenese, rendendo « fruibile » per i ceti dirigenti toscani « il patrimonio
conoscitivo, scientifico e politico, maturato dalle élites del continente, condizione primaria della sopravvivenza e della evoluzione [di questi ultimi] »37.
L’università così rinnovata diventava finalmente importante veicolo di diffusione di idee, conoscenze ed esperienze scientifiche — ma anche indirettamente politiche — fornendo, indipendentemente dall’esistenza di una cosciente volontà in tal senso, un contributo importante al perpetuarsi del modello di
egemonia sociale del gruppo moderato toscano, ovvero di quel riformismo
guidato dall’alto, diretto a contrastare al meglio i pericoli di sommovimento
sociale.
Poco tempo dopo la realizzazione della riforma, nei burrascosi anni immediatamente precedenti al 1848, Gaetano Giorgini fu prima impegnato come
sovrintendente agli studi a governare la calda situazione dell’ateneo pisano,
poi nell’ottobre 1847 passò a Lucca, dove — insieme al padre e al figlio
Giovanbattista — ebbe il delicato compito di gestire la « reversione » 38 alla
Toscana del Ducato.
Niccolao, Gaetano e Giovanbattista Giorgini ebbero un ruolo centrale nei
giorni del passaggio dei poteri alle autorità toscane. Fu un’ulteriore occasione
36
Nel suo Cosimo Ridolfi e l’Università di Pisa, in « Rassegna storica toscana », XLII
(1996), 2, pp. 331-344, Alessandro Volpi osserva che « dare a Ridolfi, in quel momento presidente dei Georgofili (…) la possibilità di insegnare la “sua” agronomia nell’università del granduca
significava, molto probabilmente, il riconoscimento, inespresso, da parte di Leopoldo di una sia
pur generica soggettività economica autonoma ad un’area di personaggi, ad un ceto dirigente, che
dagli anni della restaurazione l’aveva reclamata, rifiutando di appiattirsi sul ruolo di semplice
personale di governo » (p. 343). Sull’esperienza universitaria di Cosimo Ridolfi si rinvia anche a
A. BENVENUTI, R. P. COPPINI, R. FAVILLI, A. VOLPI, La Facoltà di Agraria dell’Università di
Pisa, Pisa, Pacini, 1991.
37
38
R. P. COPPINI, Gaetano Giorgini e la riforma… cit., p. 120.
Sulla reversione del Ducato si veda tra gli altri F. DE FEO, La reversione del Ducato di
Lucca del 1847, in « Archivio storico italiano », CXXIV (1966), pp. 160-207 e G. SFORZA, La
reversione del Ducato lucchese al Granducato di Toscana, in « Bollettino storico lucchese », XIII
(1941), pp. 94-104.
Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini
345
nella quale poterono manifestarsi i caratteri distintivi della famiglia di Montignoso — una « famiglia di funzionari » — rispetto al patriziato cittadino. I
patrizi lucchesi avevano sostenuto le dimostrazioni volte a ripristinare la
costituzione del 1805 39 con l’obiettivo di ridimensionare il potere assoluto del
duca, senza mettere in discussione l’esistenza di Lucca come Stato indipendente 40: « una restaurazione aristocratica contro l’assolutismo monarchico » 41;
si trattava di una campagna politica miope, alla quale i Giorgini non aderirono, diventando al contrario un punto di riferimento « operativo » 42 per le
autorità toscane, sia per l’esecuzione di istruzioni di carattere amministrativo,
sia al fine di affrontare sul piano « diplomatico » le resistenze dell’aristocrazia
cittadina. L’8 ottobre 1847 Gaetano Giorgini convocò nella casa di famiglia i
membri delle più influenti famiglie di Lucca e annunciò loro l’unione dei due
Stati; essi risposero esprimendogli compatti la propria contrarietà al mutamento di regime. Fu così che Lelio Guinigi e Antonio Mazzarosa, chiamati dal
granduca a formare con Niccolao Giorgini il triumvirato che guidasse la
transizione, rifiutarono l’incarico, lasciandolo come unico commissario provvisorio. Facendo forza esclusivamente sulla propria condizione di uomini della
« burocrazia » legati al potere lorenese, i Giorgini — « il governetto di casa
Giorgini » 43 — ebbero anche in questa importante occasione a svolgere un
ruolo decisivo, autonomo e in contrasto con le strategie immediate dell’aristocrazia cittadina. L’atteggiamento dei nobili lucchesi sarebbe comunque cambiato già nel 1849. La decisione di collaborare attivamente con le restaurate
istituzioni granducali, che avevano optato per una chiusura totale ad ogni
prospettiva di tipo anche solo genericamente liberale sul piano politico,
culturale e perfino religioso, era del resto in assoluta sintonia con il conservatorismo « bigotto » che ancora segnava la loro condotta pubblica. Ma a quel
tempo i Giorgini non avevano già più alcun ruolo di rilevo nell’apparato di
governo toscano.
Poco più di un anno dopo la « reversione » dello Stato lucchese, Niccolao
Giorgini, cessato ogni incarico pubblico, vendette la casa di Lucca per ritirarsi
a Montignoso, dove morì il 27 febbraio 1854. Anche il figlio Gaetano vide
concludersi allora la propria carriera di pubblico funzionario. Visse da protagonista il fallimento del governo « dei settanta giorni » guidato da Gino
39
Un’interessante analisi delle vicende lucchesi del 1847 è svolta nel saggio di A. CHIAVIUn moto effimero: le riforme del 1847 nel ducato di Lucca tra mobilitazione cittadina e
Ancien Régime, in « Rassegna storica toscana », XLV (1999), 2, pp. 519-569.
STELLI,
40
« Del resto, era comune a tutto il notabilato lucchese il desiderio di mantenere in vita il
più a lungo possibile il ducato e di controllare indisturbato la gestione del potere », ibid., p. 253.
41
P. G. CAMAIANI, Dallo Stato cittadino… cit., p. 40.
42
La lettura delle minute di numerose missive di Gaetano Giorgini al Presidente del consiglio Ridolfi conservate in ACGV, Gaetano Giorgini, fornisce conferme del ruolo svolto dai
Giorgini in quei frangenti.
43
107.
C. SARDI, Lucca e il suo Ducato dal 1814 al 1859, Firenze, Tip. cooperativa, 1912, p.
Alessandro Breccia
346
Capponi, del quale era ministro degli esteri. La sconfitta di tale ministero 44
mise in luce tutta la debolezza politica del progetto culturale e sociale dei
moderati toscani. Chiamati a governare, scontarono la tradizionale mancanza
nella loro strategia dell’idea della partecipazione diretta e responsabile alla
determinazione degli indirizzi politici. Del resto il gruppo moderato affrontò
quei delicati eventi senza la sufficiente unità d’intenti. Cominciava a delinearsi una divisione, anche di carattere generazionale, determinata dalle divergenze in merito all’attuazione e al sostegno di un progetto politico compiutamente
liberale: esemplari in tal senso le polemiche 45 emerse durante il « biennio
riformatore » tra il « gruppo Ricasoli-Salvagnoli » e il « gruppo di Capponi e
Ridolfi » relativamente alla legge sulla stampa o all’istituzione della guardia
civica. La più generale mancanza di un’idea coerentemente moderna dello
Stato, espressione di un pensiero liberale maturo, fu dunque alla base di quel
fallimento politico. La visione dello Stato di tali moderati risultava appiattita
sulla dimensione amministrativa, che affondava le proprie radici nel tradizionale municipalismo toscano e nel mito del « buon governo » leopoldino.
Significativa fu l’esperienza dell’elaborazione dello Statuto toscano: a differenza di quanto avvenne in altre realtà contemporanee, il testo costituzionale
non fu il risultato del processo di maturazione di un’idea della politica come
rappresentanza, ma fu un’evento « subìto » più che « costruito » 46.
Con la caduta del ministero Capponi si consumò anche la fine di quella
sorta di dialogo tra i ceti dirigenti del Granducato e la corona, del quale,
come abbiamo scritto in precedenza, la promozione di un funzionario come
Gaetano Giorgini costituiva una delle più evidenti manifestazioni. Tale fase,
già in via di esaurimento, fu chiusa definitivamente dal rientro in Toscana di
44
Per un esame dettagliato delle vicende del governo Capponi si rimanda a G. CAPPONI,
Settanta giorni di ministero, in Scritti editi ed inediti, Firenze, Barbera, 1877, pp. 62-200. Un
esecutivo che dimostrò grande debolezza, anche perché composto da uomini che non erano in
grado di fronteggiare efficacemente i rapidi mutamenti che in quei mesi stava conoscendo la
scena politica. Emblematica in tal senso una lettera di Gaetano Giorgini a Giulio Boninsegni del
1 settembre 1848: « Indipendentemente dalla mia qualità di interino [Giorgini era appunto
ministro degli esteri ad interim], i ministeri a questi lumi di luna nascono moribondi e noi non
possiamo dirò piuttosto temere che sperare lunga vita al nostro […] ci è forse permesso di
sperare che potremo se non altro preparare ai nostri successori qualche elemento di ordine di più
di che non abbiamo trovato »; il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Nazionale di
Firenze, in Carteggi vari, 324, 90. Conclusasi la comune esperienza politica, in una lettera datata
4 novembre 1848 Capponi ne scriveva così: « Di questo almeno possiamo vantarci, che abbiamo
segnato la fine di un’era ed il principio di un’altra ». La missiva si trova in Lettere di Gino
Capponi… cit., II, p. 470.
45
Per la ricostruzione di tali polemiche si rimanda a R. P. COPPINI, Il Granducato di Toscana. Dagli « anni francesi » all’Unità, Torino, UTET, 1993.
46
Il sostanziale « ritardo » di tali importanti settori delle élites toscane nella formulazione
di un progetto politico compiuto sembra pesare anche sul processo di elaborazione dello statuto
del 1848. Su tale vicenda, si veda A. CHIAVISTELLI, Toscana costituzionale: la difficile gestazione dello statuto fondamentale del 1848, in « Rassegna storica del Risorgimento », LXXXIV
(1997), 3, pp. 339-374.
Una famiglia di funzionari: Niccolao e Gaetano Giorgini
347
Leopoldo II, che scelse una politica di dura contrapposizione ai gruppi dirigenti regionali. Segnale evidente di tale cambiamento fu lo smantellamento,
nel 1850, della riforma universitaria, della quale fu cancellato l’elemento
principale, lo stabilimento a Pisa di una prestigiosa Università, completa di
tutte le facoltà e ricca di insegnamenti 47; analogamente, fu decisa la chiusura
dell’Istituto agrario di Cosimo Ridolfi.
Caduto il Granducato, Giorgini non entrò a far parte della nuova burocrazia dello Stato unitario, se si eccettua la breve e negativa esperienza alla guida
della Direzione idraulica delle bonifiche toscane e alla Direzione generale
delle acque e strade 48. Uomo di scienza chiamato a prestare servizio nell’alta
burocrazia statale, egli incarnava una figura sostanzialmente superata, i cui
destini si erano strettamente legati al declinante modello granducale dello
« Stato amministrativo-funzionariale ». Nella Toscana della seconda Restaurazione la concentrazione di tutto il potere nelle mani del sovrano non conferiva
più all’uomo di governo una dimensione politica autonoma rispetto alla
semplice esecuzione della volontà del principe: i pubblici funzionari dovevano
e potevano limitarsi alla mera attività amministrativa. Con l’avvento del
Regno d’Italia la centralità degli strumenti di rappresentanza e più in generale
della dimensione politica dell’attività pubblica obbligavano ad emanciparsi dal
vincolo dinastico. La cessazione del regime dei Lorena aveva portato via con
sé il mito del paternalismo leopoldino, fondamento della lealtà funzionariale,
senza che questo fosse sostituito da un analogo « mito sabaudo », comunque
troppo estraneo alla tradizione delle élites regionali.
In tale mutato scenario, ad imporsi fu un esponente della nuova generazione dei moderati, il figlio di Gaetano, Giovanbattista Giorgini, uomo di
governo dai tratti diversi rispetto al padre e al nonno Niccolao, importante
attore sulla scena politica e non esclusivamente competente funzionario al
servizio dello Stato.
ALESSANDRO BRECCIA
Università degli studi di Pisa
47
Sulle trasformazioni subìte dall’Ateneo pisano dopo il 1849 si veda D. BARSANTI,
L’Università di Pisa… cit., pp. 232 e seguenti.
48
Una breve ricostruzione delle vicende relative a tali incarichi, si trova in D. BARSANTI,
Gaetano Giorgini… cit. Il più volte citato fondo Schiff-Giorgini ora depositato presso l’Archivio
di Stato di Firenze contiene numerosi documenti e missive che ne riguardano il concreto svolgimento, fino ai contrasti che determinarono le dimissioni di Giorgini.
GIOVAN BATTISTA GIORGINI POLITICO DI PROFESSIONE
Giovan Battista, per tutti Bista, è stato sempre considerato dai contemporanei e dalla storiografia un personaggio centrale sia per la sua azione negli
avvenimenti preunitari sia per il ruolo esercitato durante i primi anni dei
governi della Destra. Oggetto di non sempre benevole osservazioni da parte di
contemporanei, tuttavia nessuno poté negarne la « facilità di parola », anche se
in genere se ne voleva ridurre la portata osservando che era pronto a fare bella
mostra di queste sue capacità più che alla Camera ed in pubblico soprattutto
nei salotti. Si trattava indubbiamente di un giudizio estremamente riduttivo
rispetto al reale impiego delle proprie virtù oratorie esercitato in diversi
difficili momenti della vita parlamentare da Giovan Battista Giorgini a sostegno di disegni di legge e operazioni assai controverse, anche se è innegabile
che altrettanto successo riscosse nei migliori salotti e presso le più diverse
personalità. È noto come De Amicis abbia considerato Giorgini in diversi
scritti, anche ad anni di distanza, « il principe della parola (…) idolo intellettuale delle signore » 1. Entrando nel salotto Peruzzi, di cui lo scrittore piemontese era stato assiduo frequentatore negli anni del suo soggiorno fiorentino,
« noi dicevamo “C’è Giorgini”, come si dice sulla porta del teatro c’è Tamagno » 2. La scrittrice francese Louise Colet passava dalla ammirazione del suo
perfetto uso della lingua francese e dell’altrettanto perfetto accento parigino,
già sottolineato da Ernest Renan, a più coinvolte notazioni personali su « sa
physionomie vive et pensive où l’esprit et l’éloquence éclatent tour à tour
(…). Il y a dans son oeil clair comme un attendrissement de tout ce qui est
grand et beau » 3. Addirittura la salute instabile della romantica Louise riceveva inattesi benefici da una visita di Giorgini « dont le vif esprit me rainime de
nouveau » 4. Perfino Carlo Righetti, pur calcando la mano su alcuni atteggia1
E. DE AMICIS, Un salotto fiorentino del secolo scorso, Firenze, Barbera, 1902, pp. 39-46,
e ID., L’idioma gentile, Milano, Treves, 1934, cfr. capitolo Un parlatore ideale, pp. 345-349;
quest’ultimo scritto è stato recentemente ristampato dagli Amici della Biblioteca di Montignoso
(luglio 2002).
2
E. DE AMICIS, Un salotto fiorentino… cit.
3
L. COLET, L’Italie des italiens, Paris, E. Dentu, 1862, Première partie, p. 413.
4
Ibid., Seconde partie, p. 64.
Giovan Battista Giorgini politico di professione
349
menti da esteta di Bista, non poteva negare che fosse una delle « celebrità più
chiare della deputazione toscana » 5.
Altrettanto bene Giorgini esce dai ricordi di diaristi come Marco Tabarrini o Matilde Gioli Bartolommei, dai primi scritti di storici come Vittorio Cian,
Alessandro D’Ancona, Ersilio Michel fino all’acuto lavoro biografico di Pietro
Millefiorini, che tuttora rimane il lavoro più esauriente e profondo 6.
Colmate almeno in parte le lacune circa la conoscenza dei due Giorgini,
nonno e padre di Giovan Battista 7, possiamo azzardare un primo bilancio
sulle tre generazioni considerate per concludere che questi esponenti della
famiglia hanno rivestito un peso determinante nella trasformazione interna al
ceto dirigente locale lucchese e toscano, rappresentando un efficace esempio
di adattamento al cambiamento di regime e di guida verso nuove posizioni per
un intero gruppo sociale. Come il nonno e il padre avevano dato un indubbio
contributo nel guidare l’inserimento del Ducato di Lucca nel Granducato di
Toscana, Giovan Battista ricoprì un ruolo altrettanto centrale nei mutamenti
intervenuti sullo scenario nazionale dal ’48 al compimento dell’Unità, assolvendo la funzione dell’interlocutore privilegiato di tanti politici su alcune delle
maggiori questioni che impegnarono i moderati toscani prima, e il ceto dirigente italiano poi.
In questa sede è forse opportuno soffermare l’attenzione su alcuni momenti che, per quanto già studiati, possono ricevere nuova luce dai documenti
recentemente acquisiti dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana, e
5
I 450, i deputati del presente e i deputati dell’avvenire per una società di egregi uomini
politici, letterati e giornalisti diretto da Cletto Arrighi (pseud. di Carlo Righetti), Milano-Napoli,
1864-1865. Biografia n. 265.
6
Molte osservazioni sulla figura e azione politica di G. B. Giorgini si trovano in opere concernenti ricordi del periodo preunitario; si citano solo quelle più funzionali all’argomento qui
esaminato: M. TABARRINI, Diario 1859-1860, a cura di S. PANELLA, con introduzione e nota di
S. CAMERANI, Firenze, Le Monnier, 1959; M. GIOLI BARTOLOMMEI, Il rivolgimento toscano e
l’azione popolare, 1847-1860. Dai ricordi familiari del marchese Ferdinando Bartolommei,
Firenze, Barbera, 1905; V. CIAN, Giovanbattista Giorgini, in « Nuova Antologia », 1° luglio
1908, pp. 48-73. Alessandro D’Ancona su Giorgini pubblicò una rassegna bibliografica, in
« Nuova Antologia » 1908 e alcune lettere (Otto lettere di G. B. Giorgini raccolte e annotate da
Alessandro D’Ancona, Pisa, Nistri, 1913), stimolando inoltre la figlia Matilde Schiff Giorgini a
rendere pubbliche le lettere (G. B. GIORGINI, XXVII lettere dal campo. Primavera del 1848, Pisa,
Nistri, 1912) indirizzate alla madre Vittoria Manzoni, corrispondenza ripubblicata con altre
missive di volontari del ’48, fra cui quelle del fratello di Giovan Battista, Carlo, in 1848. I
volontari di Montignoso nella prima guerra d’indipendenza, Montignoso, Archeo Club d’Italia,
1999. Ricordano la figura di Giovan Battista come professore dell’Università di Pisa, come
volontario e politico E. MICHEL, Maestri e scolari dell’Università di Pisa nel Risorgimento
nazionale, 1815-1870, Firenze, Sansoni, 1940 e P. MILLEFIORINI, Due cattolici liberali negli anni
dell’Unificazione: Leopoldo Galeotti e Giovanbattista Giorgini, in « Bollettino Storico Pisano »,
1961, pp. 333-425. Su Giovan Battista non va dimenticata la scheda biografica curata da Fulvio
Conti per il Dizionario biografico degli Italiani, vol. 55, Roma, Istituto Enciclopedia italiana,
2000, pp. 338-340.
7
Al riguardo cfr. l’articolo di A. Breccia.
Romano Paolo Coppini
350
capaci di indirizzarci altresì verso una più precisa rilettura di talune fonti
edite.
Gli anni intercorsi dal precoce inserimento di Giovan Battista nell’insegnamento universitario, in varie cattedre di discipline giuridiche prima a Siena
e poi a Pisa, alla partecipazione agli avvenimenti del ’48, e alle loro ripercussioni, rappresentano indubbiamente il periodo della vera formazione dell’uomo
politico, quale si sarebbe rivelato negli anni unitari 8. È proprio nel biennio
riformatore che si focalizzeranno alcuni suoi interessi a contatto con l’ambiente neoguelfo pisano e che si porranno le basi di una vita familiare che
avrà riflessi di grande rilievo non solo nell’ambito privato ma forse ancor più,
od almeno altrettanto, nella sfera pubblica 9.
Se la famiglia Giorgini già si era imposta nell’ambiente politico e culturale granducale, il matrimonio di Giovan Battista con la figlia di Alessandro
Manzoni, Vittoria, avvenuto alla vigilia del biennio riformatore, le conferiva
una dimensione nazionale, di incontestabile italianità, seppure ancora lontana
dal punto di vista effettivamente unitario. Il matrimonio, avvenuto a Nervi,
nella cappella di Villa Arconati il 27 settembre 1846, inseriva Giovan Battista
nella cerchia dei circoli milanesi più sensibili alle nuove idee del cattolicesimo
liberale, che avrebbero influenzato tanti suoi scritti, e nell’atmosfera di quel
nascente patriottismo che lo avrebbe di lì a poco guidato nell’avventura
del ’48 10.
Dopo la breve parentesi dell’insegnamento senese, Giovan Battista fu
chiamato all’Università di Pisa da poco riformata dal padre Gaetano. Secondo
il nuovo progetto, l’Università doveva essere indirizzata ad impartire una
cultura « utile » e non meramente erudita; avrebbe dovuto diventare un luogo
atto a fornire soluzioni concrete, efficaci e tali da incidere sulla società civile.
Le aspettative suscitate dalla riforma si sarebbero rafforzate inserendosi su
quel vasto clima culturale preparato nell’Ateneo pisano non dai soli e più
noti Montanelli e Centofanti, ma anche da quei luminari chiamati all’Università di Pisa proprio grazie alla riforma di Gaetano Giorgini, come Mossotti,
8
Cfr. D. BARSANTI, L’Università di Pisa dal 1800 al 1860. Il quadro politico e istituzionale, gli ordinamenti didattici, i rapporti con l’Ordine di Santo Stefano, Pisa, ETS, 1993, e R. P.
COPPINI, Dall’amministrazione francese all’Unità (1808-1861), in Storia dell’Università di Pisa,
II, 1737-1861, Pisa, PLUS, 2000, pp. 135-267.
9
Ovviamente furono intensi i rapporti con l’ambiente del moderatismo toscano come risulta dai carteggi scambiati con Giusti, Capponi, Lambruschini, Salvagnoli, Ricasoli ed altri, mentre
lo stretto legame con A. Manzoni, di cui fu « il genero prediletto » lo aiutò a stringere rapporti
con diversi uomini di cultura e politici, quali d’Azeglio, Minghetti, Balbo, Bonghi. Cfr. P.
MILLEFIORINI, Due cattolici… cit., pp. 364-367. L’ambiente universitario pisano induceva ad un
naturale contatto coi gruppi neoguelfi che facevano capo a Montanelli, Centofanti e a Giovanni
Fabrizi.
10
È opportuno ricordare che testimoni per lo sposo furono l’altro genero di Manzoni, Massimo d’Azeglio e Giovanni Berchet, per la sposa il marchese Giuseppe Arconati e il conte
Giacinto Provana di Collegno.
Giovan Battista Giorgini politico di professione
351
Pilla, Piria, che avrebbero avuto una parte affatto secondaria negli eventi
del ’48 11.
Dal 1847 Giovan Battista Giorgini, dopo la parentesi senese, tornò a rivivere nello stimolante ambiente pisano, in cui si era laureato nel 1838. Da
questo momento prese l’avvio una più incisiva e pressoché ininterrotta partecipazione del giovane professore alla vita pubblica, che lo avrebbe inserito di
lì a poco nella lotta politica, differenziando la sua attività rispetto alle carriere
funzionariali solite nella famiglia. Questo percorso lo avrebbe ancor più
avvicinato ai gruppi neoguelfi cittadini mentre un peso non secondario sarebbe
stato esercitato dalla lettura di Gioberti; tuttavia assunsero progressivamente
un ruolo decisivo la vicinanza e lo scambio di idee col suocero e col cognato
d’Azeglio, che avrebbero contribuito a distanziarlo dalle posizioni neoguelfe e
ad avvicinarlo all’ideale cattolico liberale, determinante per la sua visione
circa il rapporto con la Chiesa al momento dell’Unità 12 e vero perno dei suoi
scritti sull’argomento. Intanto il turbine di eventi succedutisi fra il ’47 e il ’49
avrebbe segnato gli ultimi anni della formazione di Giovan Battista indirizzandolo verso un percorso contemporaneamente intrapreso da tanti esponenti
della futura compagine moderata: l’apertura liberale su talune questioni si
accompagnava ad un, talora, cieco e acritico ossequio al potere costituito,
dettato dal timore di sussulti popolari. Così, dal ’47 collaboratore de « L’Italia » montanelliana, si cimentò soprattutto col tema tanto dibattuto della
questione nazionale e delle libertà civili: in quest’ultimo campo si impose
principalmente la sua difesa dell’uguaglianza dei diritti politici degli ebrei, che
ebbe un’eco positiva anche nello Statuto toscano 13.
Per quanto fin dagli inizi del ’48 si fosse mostrato fautore di alcuni ormai
indilazionabili mutamenti, riteneva tuttavia necessario che si attuassero nel
rispetto delle istituzioni. Il plauso portato insieme a colleghi docenti e studenti
alla Guardia civica livornese, che aveva sedato i tumulti popolari del gennaio
’48, aveva avuto questo significato: di fugare ogni timore di possibile attentato
allo stato presente, all’ordine costituito 14.
Un momento di notevole lucidità e spregiudicatezza Giovan Battista lo
aveva rivelato, scrivendo alla sua cara Vittorina dal campo dove stazionavano
i volontari del battaglione dell’Università di Pisa ai primi di maggio del ’48,
11
Cfr. R. P. COPPINI, Dall’amministrazione francese… cit., pp. 228-240.
12
Cfr. Manzoni intimo, a cura di M. SCHERILLO, II. Un tesoro di lettere inedite dirette alle
figlie Vittoria e Matilde e al genero G. B. Giorgini, Milano, Hoepli, 1933.
13
Fra i contributi di G. B. Giorgini apparsi su « L’Italia » di G. Montanelli degni di nota
sono gli articoli sulla emancipazione degli ebrei: nel n. 5, 17 luglio 1847, La causa israelitica e
nei nn. 6, 11 e 22 del 24 luglio, 21 agosto e 6 settembre 1847 tre articoli Sulla emancipazione
degli ebrei. Su una trascrizione dell’articolo del 17 luglio fatta da Matilde Schiff Giorgini e
conservata in ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE (d’ora in poi AS FI), Schiff Giorgini / Montignoso,
125, si legge « non mi sembra di papà ».
14
Cfr. Livorno, in « L’Italia »: n. 34, 11 gennaio 1848 e Indirizzo alla Guardia Civile livornese, ibid., n. 37, 18 gennaio 1848.
Romano Paolo Coppini
352
allorché fu sfiorato dalla percezione che solo la scelta sabauda avrebbe potuto
rappresentare la soluzione del mutamento dinastico nella continuità sociale:
« Se Carlo Alberto vince in Lombardia, il partito repubblicano, per qualche
anno almeno, non mi fa paura (…). La Sicilia senza principe: Napoli scontenta del suo: Pio IX che sarà quasi di certo l’ultimo re di Roma. Resta la Toscana. Mio Dio! Il principato è morto in Toscana, e dalla sola società toscana non
credo possibile che risorga un governo qualunque, tanto tutte le popolarità
sono logore, e screditate tutte le istituzioni che non siano né pretendano di
essere altro che toscane. Questa fusione dell’Italia in un solo Stato potrebbe
essere il modo di toglierla dall’anarchia, che ora la minaccia: e si potrà forse
ricostruire un Governo forte sulle rovine di tanti poteri infranti. Certo il nome
e la cosa darebbero ad un Regno d’Italia un’autorità morale, ed un prestigio al
quale tutti i partiti volentieri farebbero sacrifici » 15.
Al momento della Restaurazione granducale del 1849, nell’ambiente moderato più vicino al Governo, Giovan Battista fu ritenuto una delle persone
più adatte ad adoperarsi per evitare lo stanziamento delle truppe austriache in
Toscana. Dopo l’esito negativo della missione e dopo la punitiva istituzione
dell’Ateneo Etrusco voluto dal governo granducale contro la riottosa Università pisana 16, Giorgini si dedicò all’insegnamento e a « cultiver son jardin », al
suo privato, e da buon proprietario fondiario ai suoi orti, poderi e attrezzi
agrari.
Gli avvenimenti del ’59 lo riportarono alla realtà politica e lo videro impegnato, fino alla vigilia della partenza del Granduca, in un intenso lavoro
nelle file del gruppo dei liberali più tiepidi e incerti con Ridolfi, Peruzzi
e Digny; infatti il « Manifesto », la cui redazione gli era stata commissionata
da questo Comitato, dopo la sfavorevole accoglienza ricevuta dal gruppo
di Ricasoli e Bartolommei, diventati filounitari, per decisione dello stesso
Comitato fu dato alle fiamme per quanto fosse stato stampato in migliaia di
copie 17.
Giorgini sosteneva l’entrata in guerra degli Asburgo Lorena dalla parte
delle truppe sarde, in maniera che la tanto benemerita e amata dinastia potesse
conservare il trono e l’autonomia toscana a guerra finita. Gli eventi bellici
avrebbero ben presto dato il colpo di grazia all’autonomismo di Giovan
Battista e di molti altri che ben presto avrebbero militato nei ranghi della
Destra moderata toscana, tanto da far risultare assai ingenui gli accenti di
meraviglia di Marco Tabarrini per il fatto che addirittura lo stesso Giorgini
avesse infine scritto il documento che chiedeva l’unione della Toscana al
Regno di Sardegna: « il rapporto l’ha fatto Giorgini che era autonomista pochi
15
Lettera di G. B. Giorgini a Vittoria, Marcaria 7 maggio 1848, in 1848. I volontari di
Montignoso… cit., pp. 51-54.
16
R. P. COPPINI, Dall’amministrazione francese… cit., capitolo 7: L’Ateneo Etrusco, pp.
241-256.
17
F. MARTINI, Confessioni e ricordi (Firenze granducale), Firenze, Bemporad, 1922, p. 244.
Giovan Battista Giorgini politico di professione
353
giorni fà, e mi faceva muso perché non combattevo il Ricasoli col quale si era
rotto per questo. Chi sapeva la cosa ci ha riso di molto. Il Ricasoli dopo
l’adunanza ha baciato il Giorgini pubblicamente. Gran commedia. Una deputazione porterà il voto al Re e il Giorgini ne fa parte. Anche questa è amena.
Il rapporto è molto retorico e non è piaciuto a tutti » 18. Anche Petruccelli
della Gattina scriveva nel 1862 « autonomista prima, all’Assemblea toscana
del 1859 credette all’Unità italiana, e vi crede ancora, ma bilanciando fra
l’incentramento e le regioni del Minghetti, con ogni dovere sepolte » 19.
Bonghi, invece, assegnava a Giorgini un ruolo di primo piano ed un contributo non indifferente nell’ambito parlamentare e nella discussione svoltasi nel
paese a favore della svolta centralizzatrice ricasoliana 20. In realtà il consenso
con Ricasoli, contro i progetti di decentramento e di regionalismo minghettiano, fu indubitabile e si manifestò anche attraverso la stampa di due importanti
opuscoli, nel 1861 21, contemporaneamente alla discussione di quella che
sarebbe stata la legge del 9 ottobre sull’accentramento. La contraddizione, che
è stata sottolineata dai primi commentatori e dagli storici più recenti, fra
l’iniziale autonomismo di tanti toscani e la successiva svolta in senso centralizzatore è soltanto apparente, in quanto l’abbandono di ogni velleità di
autonomia, la rinuncia ad ogni tipo di regionalismo fu la conditio sine qua
non per l’unità, mentre, certamente agli occhi di tanta parte della Destra,
l’accentramento rappresentò la condizione imprescindibile per non vedere
questa stessa unità in pericolo 22.
18
M. TABARRINI, Diario 1859-1860… cit., p. 78.
19
F. PETRUCCELLI DELLA GATTINA, I moribondi di Palazzo Carignano, Milano, Perelli,
1862, p. 145.
20
R. BONGHI, I partiti politici nel parlamento italiano, Bologna, Forni, 1972, pp. 36-37,
scrive che i toscani sarebbero stati inclini « ad una costituzione amministrativa d’Italia piuttosto a
regioni che a provincie », a questo disposti dalla loro cultura e dalle « abitudini » del loro stato. A
favore del mutamento di opinione di larga parte della deputazione toscana un ruolo particolare
avrebbe giocato G. B. Giorgini « ingegno sottilissimo, e contro cui penano a reggersi così i
giudizii come i pregiudizii meglio stabiliti, o che più sente ripetere intorno a sé, perché son quelli
che più lo stuzzicano ad esaminarli nelle lor ragioni presunte, che vuol dire a dissolverli e ad
abbatterli, il Giorgini, appunto perché toscano, venne via via in un’opinione affatto diversa da
quella della maggioranza della deputazione a cui apparteneva. E come non v’ha convinzione o
tenacità la quale resista alla snellezza delle sue argomentazioni, alla sagacia dei suoi appunti, alla
vaghezza e al garbo della sua conversazione, il Ricasoli si mutò di parere appena entrato al
governo », p. 37. In effetti il ruolo assegnato da Bonghi a Giorgini quale trascinatore di Ricasoli
risulta forse sopravalutato alla luce della storiografia sull’argomento, cfr. A. AQUARONE, Accentramento e prefetti nei primi anni dell’Unità, in Alla ricerca dell’Italia liberale, Napoli, Guida,
1972, pp. 157-192, ed E. RAGIONIERI, Politica e amministrazione nella storia dell’Italia unita,
Bari, Laterza, 1967, pp. 71-129.
21
G. B. GIORGINI, Dell’Unità d’Italia in ordine al diritto e alla storia. Considerazioni di
G. B. Giorgini, deputato di Siena, Milano, Redaelli, 1861 e La centralizzazione, i decreti
d’ottobre e le leggi amministrative, studio di G. B. Giorgini, Firenze, Barbera, 1861.
22
In questo senso si muove il saggio di A. AQUARONE, Accentramento e prefetti… cit.
Romano Paolo Coppini
354
Ancora più incisivo e raffinato appare il contributo di Giorgini rispetto
alla elaborazione di una precisa e articolata visione circa la risoluzione del
rapporto con la Chiesa, espresso non solo nei diversi contributi a stampa, ma
soprattutto visibile nella fitta corrispondenza con Ricasoli, le cui iniziative e
giudizi in materia furono sempre ampiamente discussi con l’amico Bista.
Anche in tal senso è innegabile comunque l’influenza esercitata su Giorgini
dall’ambiente che si muoveva intorno alla famiglia Manzoni. Dopo l’allocuzione pontificia del 29 aprile ’48 il pensiero di Giorgini, e di altri toscani con
lui, andò sempre più precisandosi in senso antitemporalista: la libertà e l’indipendenza della Chiesa e del Papa non necessitavano della tutela del potere
temporale, ma potevano essere salvaguardate con altri mezzi. In questa direzione si muoveva il primo scritto di Giorgini sull’argomento, Del dominio
temporale dei papi, apparso nel ’59, che, non ancora pubblicato, poté ricevere
le postille di Manzoni, il quale non nascondeva tuttavia qualche perplessità
circa le opinioni espresse dal genero.
Sottovalutando forse le enormi conseguenze del contrasto col papato,
Giorgini si era detto favorevole alla dichiarazione di Roma « città libera » che,
« governata dal suo municipio, sarebbe messa come fuori d’Italia » 23.
Gli effetti di una rottura con la Santa Sede a Giorgini non erano apparsi
allora così catastrofici quali poi si sarebbero mostrati: « I cattolici si rassicurino, si avvezzino a considerare la crisi che si avvicina, come una delle tante
trasformazioni per le quali il papato è passato nel corso dei secoli » 24. Questa
posizione, che Giorgini avrebbe continuato a sostenere anche nei primi anni
unitari 25, non incontrava il favore di altri esponenti del moderatismo a lui
legati da salda amicizia, come d’Azeglio e Boncompagni, tuttavia a Ricasoli
piaceva « assai assai » in quanto occorreva ribadire « quel principio (…) ormai
fatale della Riforma » della Chiesa; ed esprimendo ancor più chiaramente il
proprio pensiero il barone continuava « Questa riforma dee farsi da sé, cioè
per via di libertà, lasciando che sorga spontanea dalla necessità stessa delle
cose. Riforma non governativa, e alla quale il governo dee dare le opportunità
pel farsi; ma non vincolarla né imporla » 26. Pur consentendo su tanti principi,
tuttavia Giorgini si mostrava allarmato per le decisioni che in quello stesso
periodo si stavano prendendo in materia ecclesiastica: « Ho ripensato ai
23
G. B. GIORGINI, Sul dominio temporale dei papi, Considerazioni, Firenze, Barbera, 1859,
24
Ibid., p. 6.
p. 30.
25
Fin dal 1861 è fitto lo scambio di opinioni fra Giorgini e Ricasoli in merito alla questione romana e soprattutto alla « Riforma della Chiesa », sulla quale Giorgini scrive: « Io ti ho detto
sulla voce, sostenendo che la riforma della Chiesa noi dobbiamo lasciarla fare alla Chiesa
stessa », ammettendo che Ricasoli « non aveva tanto torto né io tanta ragione », Giorgini a
Ricasoli, 20 luglio 1861, in Carteggi di Bettino Ricasoli, a cura di G. CAMERANI e C. ROTONDI,
XVII, Roma, Istituto storico per l’età moderna e contemporanea, 1984, pp. 240-242.
26
Ibid., Ricasoli a Giorgini, 9 agosto 1861; la lettera autografa è in AS FI, Schiff Giorgini /
Montignoso, 74/11.
Giovan Battista Giorgini politico di professione
355
decreti e di nuovo ti prego di non risolvere un atto così grave senza la più
seria riflessione. È una vera campagna che si apre contro il clero » 27.
Ovviamente le questioni riguardanti il problema della Chiesa continuarono ad avere un ruolo centrale nella corrispondenza fra i due in occasione della
discussione apertasi fra il ’66 e il ’67 sulle leggi ecclesiastiche. Ormai assai
più scettici entrambi circa una pacifica e ravvicinata conciliazione con la
Chiesa, purtuttavia non si allontanavano molto dalle primitive posizioni.
Riflettendo sull’ultimo scritto di Giorgini sull’argomento, apparso recentemente, nel marzo del 1866, sulla « Nuova Antologia » 28, Ricasoli approvava le
idee di Giorgini « Il vero interesse dell’Italia politica, e dell’Italia religiosa,
secondo me, chiede che lo Stato nulla chiegga e nulla offra al Papa: e di una
cosa solo solo si occupi, di restituire cioè ai cittadini la loro libertà religiosa,
cioè il diritto di amministrare il patrimonio temporale della Chiesa, come
eglino amministrano ogni altro interesse locale e temporale dello Stato » 29.
Per quanto Giorgini non fosse stato rieletto nelle elezioni del ’65, che
avevano avuto l’esito più disastroso per la Destra toscana, era rimasto un
interlocutore privilegiato del barone, di cui continuava a ricevere le confidenze
circa la « inquietezza » che gli dava « la Camera nuova » per « il rinnuovamento molto sensibile » che vi si era verificato: « Cosa sarà tutta questa gente
nuova? Con quali idee, con quali sentimenti viene? » 30. Pur non presente in
Parlamento, Giorgini avrebbe fatto sentire il suo dissenso nel difficile momento della costituzione del secondo ministero Ricasoli, poiché pareva che il
barone non avrebbe disdegnato un’apertura ad alcuni esponenti della Sinistra
ora che la guerra contro l’Austria richiedeva un largo consenso delle forze
politiche intorno ad un suo eventuale governo.
Conosciamo le ragioni e le spiegazioni del barone, riferite da Alberto
Aquarone nel bel saggio sulla costituzione del secondo ministero Ricasoli di
fronte alla ostilità « dei suoi principali amici toscani nel suo intento di imbarcare alcuni uomini di parte democratica in un eventuale ministero da lui
presieduto » 31. In effetti si erano espressi in maniera negativa Galeotti, Peruzzi, Giorgini, insieme a diversi organi di stampa di tendenze moderate, tuttavia
Ricasoli rimaneva fermo nel suo intento di un’apertura ai democratici. Non
27
Carteggi di Bettino Ricasoli… cit., Giorgini a Ricasoli, 15 agosto 1861.
28
G. B. GIORGINI, La Chiesa e il partito liberale in Italia, in « Nuova Antologia », 31 marzo 1866, pp. 503-528.
29
AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/21, Ricasoli a Giorgini, 6 dicembre 1866. Si
pubblica interamente la lettera, in quanto non compresa in Carteggi di Bettino Ricasoli, XXII, a
cura di S. CAMERANI - G. ARFÈ, Roma, Istituto storico per l’età moderno e contemporanea, 1967,
cfr. Appendice, documento 1.
30
AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/20, Ricasoli a Giorgini, 28 ottobre 1865, cfr.
Appendice, documento 2.
31
A. AQUARONE, Dalle elezioni del 1865 alla costituzione del secondo ministero Ricasoli:
incertezze e contrasti nella classe politica italiana, in Alla ricerca dell’Italia liberale… cit.,
p. 230.
Romano Paolo Coppini
356
aveva mutato indirizzo a giudicare dalla risposta alle obiezioni mosse da
Giorgini, inviatagli il 12 maggio, quando si avvicinava l’incarico per la
formazione del ministero. A Giorgini aveva fatto rimarcare che non « si
domanda a quale parte » appartenga il sangue che sta per scorrere per l’unità e
l’indipendenza nazionale 32 e questo concetto lo animava ancora, il 14 giugno,
a pochi giorni dall’incarico a formare il governo: « quanto all’indole del
Ministero — scriveva nel suo “Diario” — io non avevo mutato parere. Sebbene Crispi si fosse reso impossibile, mi sarei limitato al Mordini, perché nella
Sinistra non scorgevo altri da surrogare a Crispi; che infine, se il Mordini
avesse declinato perché Crispi non vi era (così il Re suppone che Mordini
abbia detto) ciò non era un torto per me, e infine il sentimento di non riguardare a divisione di partiti era largamente dimostrato e non derivare da me se
non restava attuato » 33.
Non conoscevamo le articolate osservazioni di Giovan Battista, ora conservate fra le carte da poco depositate all’archivio di Stato fiorentino e stese
forse anche in preparazione di un articolo. Concordava con Bettino sull’importanza degli eventi in cui era impegnato lo Stato italiano, ma proprio partendo dallo stesso presupposto articolava una serie di serrate riserve. Se era
vero che in momenti così difficili era necessario un ministero di concordia
nazionale, si doveva pur riconoscere, obbiettava Giorgini che « la guerra volta
rende ogni opposizione impossibile » ora che « il paese sobbalza e si rimescola tutto; i volontari corrono ad arruolarsi ». Tuttavia di fronte all’annunzio di
un ministero Ricasoli-Crispi, Giorgini sentiva l’urgenza di manifestare tutte le
proprie perplessità, « quanto meno ci sentiremmo disposti a combatterlo, se
questo ministero avviasse a costituirsi - nel qual caso il solo obbligo che ci
rimanesse sarebbe quello di adeguarci con tutte le nostre forze a scongiurare i
pericoli (…), perché riuscisse a buon fine, quello che a parer nostro si fosse
incominciato con imprudenza ». Tali difficoltà sarebbero state accresciute
dalla insicurezza di poter raggiungere comuni intese con coloro che hanno
coltivato « interessi e fini partigiani dei quali non potrebbero in tutto francarsi » e continuava domandandosi quale concetto si sarebbe fatta l’opinione
pubblica europea « vedendo entrare nei consigli della Corona uomini che
giovani prendevano ancora le difese del Trabucco, assolvevano l’assassinio
politico, convalidavano l’elezione del Mazzini? » 34.
Rientrato alla Camera dopo le elezioni del 26 marzo 1867, fallita
l’esperienza Rattazzi, Giorgini si identificò nella politica dei tre ministeri
32
Cfr. lettera di B. Ricasoli a Giorgini, 12 maggio 1866, ibid., pp. 229-230.
33
Il « Diario » redatto in quei giorni da Ricasoli sulla formazione del Ministero è pubblicato in Carteggi di Bettino Ricasoli, XXII… cit., 14 giugno 1866, p. 9; segue alle pp. 12-13 il
« Diario » del segretario Celestino Bianchi sulle stesse vicende.
34
AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 72: manoscritto di un articolo Giovan Battista Giorgini sui rischi di un ministero Ricasoli-Crispi-Mordini [s.d., ma 1866], cfr. Appendice, documento 3.
Giovan Battista Giorgini politico di professione
357
Menabrea, che avevano il loro perno nei piani di risanamento finanziario del
bilancio patrocinati dal ministro delle finanze L. G. Cambray Digny 35. Come è
noto i punti cruciali del progetto ministeriale vedevano da una parte un ulteriore e più ampio inasprimento delle imposte indirette, dall’altra la prosecuzione di quella politica dei prestiti che aveva il suo necessario corollario nella
cessione a privati di aziende pubbliche, rendendo vieppiù saldo quel legame
con grandi istituti bancari nazionali ed esteri che aveva giocato un ruolo
determinante nell’azione politica della Destra toscana e che ancor più determinante sarebbe stato nel ’76 quando il distacco della consorteria toscana
avrebbe portato alla caduta della Destra.
Giorgini avrebbe avuto una funzione di primo piano nel determinare la
parte impositiva dei progetti venuti in discussione nel 1868, trattando della
tassa sulle bevande, perché questa gravasse sul consumo e non sulla produzione, ma soprattutto quale relatore della Commissione della Camera per la tassa
sul macinato. Questa volta neppure le sue abili giravolte retoriche riuscirono a
dare una parvenza di veridicità alla gracilità ed ipocrisia delle argomentazioni
addotte: Egli sosteneva infatti che qualora fossero stati tassati i ricchi le
conseguenze sarebbero ovviamente ricadute anche sui ceti meno abbienti: « Il
povero è vero non vedrebbe allora la mano che lo colpisce: per quanto grandi
fossero le sue sofferenze egli non accuserebbe noi; ma qui o signori, non si
tratta di noi. Cerchiamo il bene, non i suffragi del povero (sic) amiamo questo
popolo, salviamolo anche a suo dispetto » 36. Le risate a sinistra costituirono il
minimo e fin troppo elegante commento di un parlamento costituito in ogni
settore da esponenti dei ceti proprietari. Nella sua opera a favore dell’imposizione del macinato Bista giunse fino a spendere le sue competenze tecniche
per la messa a punto del contatore meccanico che doveva misurare la quantità
degli oggetti della molitura.
L’abbandono della cattedra, avvenuto nel ’66, aveva segnato un più deciso inserimento nella vita politica attiva del Giorgini, ormai distaccato dal
dibattito ideologico e culturale e sempre più calato nelle battaglie pratiche, e
vicino al mondo dei grands affairs. Nel 1868 aveva completamente abbracciato la deriva affaristica comune a tanti esponenti della consorteria toscana.
Nella Commissione della Camera che avrebbe dovuto giudicare della controversa questione circa la gestione della Regìa cointeressata dei tabacchi, Commissione in cui sedeva un gruppo di fidati amici di Digny vicini al mondo
della banca Fenzi (Briganti-Bellini, Peruzzi, D’Ancona). Giorgini sarebbe
stato fra i più strenui sostenitori della cessione dell’Appalto dei tabacchi alla
35
R. P. COPPINI, L’opera politica di Luigi Guglielmo di Cambray Digny, sindaco di Firenze
capitale e ministro delle finanze, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1975.
36
Per la relazione di G. B. Giorgini sulla tassa di macinazione dei cereali, vedi in Atti parlamentari, Camera, Discussioni, tornata 30 marzo 1868, pp. 5326-5329. Cfr. anche R. P. COPPINI,
L’opera politica… cit., pp. 281-282.
Romano Paolo Coppini
358
Società che faceva capo a Balduino, Bastogi e Bombrini 37. Poco dopo avrebbe ricoperto la carica di amministratore delegato nella costituita Società per la
regìa dei tabacchi 38, incarico che avrebbe mantenuto fino al 1876. Ormai
senatore dal 1872, rallentò il suo impegno pubblico, seppur si ricorda il suo
intervento nel 1880 nella discussione per la riforma della Pubblica istruzione;
da allora indirizzò verso altri lidi, prevalentemente letterari, il suo tanto
« ingegno » che, osservava Ruggero Bonghi, era « pari (soltanto) alla sua
pigrizia: il che vuol dire ch’egli ebbe un ingegno infinito » 39.
ROMANO PAOLO COPPINI
Università degli studi di Pisa
37
Le vicende della controversa operazione della concessione della Regìa dei Tabacchi ad
una società privata sono esaminate in R. P. COPPINI, L’opera politica… cit., cap. III Libero
tabacco in libero stato, pp. 297-343.
38
AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/27, B. Ricasoli a G. B. Giorgini, Brolio 7 febbraio 1872.
39
Cfr. M. PUCCIONI, Quattordici lettere di Vincenzo Salvagnoli a G. B. Giorgini, in « Miscellanea Storica della Valdelsa », 1934, p. 4.
Giovan Battista Giorgini politico di professione
359
APPENDICE
1. LETTERA INEDITA E MUTILA DI B. RICASOLI
1866
(AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 74/21)
A
G. B. GIORGINI, FIRENZE 6
DICEMBRE
Caro Bista
Due giorni discreti nel corso della malattia di mia figlia mi avevano condotto a
sperar bene, e che domani o domani l’altro potessi partire per Torino; ma per ora ho
dovuto frenare le mie speranze per tornare in una nuova sospensione d’animo, peggiorata ancora da un caso nuovo di cui non si misura oggi la gravità. Mia figlia ha avuto
stanotte una nuova esacerbazione, e mio genero è a letto da due giorni con febbre, di
cui non si può ancora determinare il carattere. Come vedi io non posso pel momento
neppure pensare a lasciare questo luogo e debbo restare fra questi due letti come
anello di congiungimento! Ma non ti dirò quello che io mi sento dentro per tante
qualità di affetti che queste circostanze mi suscitano dentro l’anima e non ultimo
affetto è quello che si rivolge alle nostre condizioni politiche e alla necessità che tutti
stiamo al nostro posto. Speriamo che io vi possa tornar presto.
Non ti so dire come mi rammarichi del non essere teco e con gli altri colleghi per
discutere e concludere intorno la Legge per l’abolizione dei conventi e l’asse ecclesiastico. Io avevo concepito una grande fiducia, che una vera Legge di avvenire fecondo
sarebbe uscita dalla Commissione nostra, ed io tenevo di grande conforto aggiungere
agli studj profondi dei colleghi miei anco il tributo di una lunga meditazione e dei vivi
miei convincimenti. Ti chiedo, Amico mio, di non paventare e porre innanzi, e scrivere
nella nuova legge i solenni e fecondi principj che debbono essere base e radice di una
libertà vera nella Chiesa. Lo Stato non deve preoccuparsi di ciò che è predestinato
rispetto alla istituzione papale, deve anzi preoccuparsi che per nessuno interesse
politico attuale quella situazione sia influita, e in quelche i modi i suoi destini ulteriori
modificati. Il vero interesse dell’Italia politica e dell’Italia religiosa, secondo me,
chiegheno che lo Stato nulla chiegga e nulla offra al Papa e di una cosa sola solo si
occupi; di restituire cioè ai cittadini le loro libertà religiose, cioè il diritto di amministrare il patrimonio temporale della Chiesa come eglino amministrano ogni altro
interesse locale e nazionale secondo le leggi dello Stato. Per questa via lo Stato aprirà
l’adito ad una stabile e feconda conciliazione tra i grandi aspetti di Religione e Libertà.
Quel giorno che non sussisterà più né gli Economati né il Ministero dei Culti, la vera
rigenerazione della Chiesa in Italia si farà. Ragioni – religiose e politiche e civili
chieggono vivamente che lo Stato si metta per questa via. Lo Stato è oggi un’usurpatore (sic) di mala fede di questo Sacrosanto diritto, della libertà religiosa. Il Papato e
l’Impero si accordano onde meglio conseguire il dispotico dominio sui popoli; l’uno
incatenò le coscienze onde l’altro potesse meglio assoggettare il pensiero, e la vita dei
Popoli; ma oggi che questi rivendicano le loro libertà civili e politiche, e lo Stato si
regge a nome di queste è iniquo e stolto, che tenga ancora in mano la libertà della
Chiesa, e specoli così sopra il tardo moto che si rivela intorno questo prezioso diritto
ancora nello Spirito altronde sveglio e progressivo degli Italiani. Gli Italiani in fatto di
sentimento religioso si dividono in due grandi schiere, gli scettici, o meglio gli indiffe-
360
Romano Paolo Coppini
renti, e i creduli. Non è a dirsi di quanti grossi mali sieno cagione l’uno e l’altro
difetto. La corruttela e la ignoranza del clero sono esse stesse la conseguenza di quei
due Stati dello Spirito umano nei rispetti del sentimento religioso. Qual stimolo per il
clero di avere dottrina e virtù se una parte degli Italiani, ed è la parte più intelligente
quella degli indifferenti, non lo cura, e lo pregia; e l’altra non lo stima e rispetta
veramente, ma lo subisce? È un vicolo vizioso questo in cui lo Stato si tiene rispetto
alla Chiesa nostra. Se vuole tenere in mano con stolti pretesti, e vi s’infrena Lui pure
con suo danno e decoro, e tiene vivo il pericolo che Roma lo chiami a qualche concordato, che sarebbe per la Chiesa e l’Italia una vera sventura. Lo Stato prenda i Beni
Stabili del Clero regolare e secolare, permuti con tanta rendita sul Gran Libro del
Debito pubblico, e prontamente la volga e l’inserisca a favore degli interessati. Una
legge determini il cerchio nel quale le province e le comunità religiose eserciteranno le
loro libertà in fatto di chiesa, come le leggi determinano il cerchio della libertà politica
e civile. Quando si disse Chiesa libera non s’intese altro che libertà religiosa. Lo Stato
che tutto ravvolge, e di tutti costituisce l’interesse nazionale (che altro non è se non
l’interesse singolo in armonia e cospirante all’interesse di tutti) ha diritto e obbligo di
porre in accordo con tutte le altre libertà quella pure della Chiesa, e così compire
all’ufficio (…)
2. LETTERA DI B. RICASOLI A G. B. GIORGINI, BROLIO 28 OTTOBRE 1865
(AS.FI, Schiff Giorgini /Montignoso, 74/20)
Mio caro Bista
quello che mi dici sulla mia lettera mi fa desiderare di rivederla un momento, e
poi te la rimando. Mandala sotto fascia a casa mia. Sono stato tartassato dalla febbre in
questa settimana; ho voluto lottare stando a tavolino e facendo altri lavori, e talvolta
mi è accaduto di dovere desistere per non sapere cosa io mi facessi. Sono curioso di
vedere questa lettera per giudicare se sia una lettera interrotta o chiusa così macchinalmente o il caso che tu supponi, e che io non posso per ora escludere.
Le nuove elezioni mi cominciano a dare qualche inquietezza. V’è un rinnuovamento molto sensibile nella Camera nuova, sopra la vecchia. Cosa sarà tutta questa
gente nuova? con quali idee, con quali sentimenti viene?. M’interrogo e non so che
rispondermi. Se debbo giudicare dallo spirito che ha presieduto nella più parte delle
elezioni me ne sento angustiato. Dalle Province Piemontesi vengono i medesimi; e se
vi sono mutazioni sono nel senso piemontese. Dalle altre Province cosa verrà? Paiono
i clericali battuti su tutta la linea; i rossi non sembrano di essersi avvantaggiati di
troppo. Che dunque sarà ciò che resta fra queste tre categorie? Io sono, ripeto, assai
preoccupato del carattere che prenderà la nuova Camera; la vecchia si conosceva, la
nuova è da conoscersi, e le incognite mi noiano finché non si sono fatte cognite. Tu
sai come si è cercato di gridare la croce addosso agli uomini più in vista della vecchia
Camera; poi le tasse, e le altre molte occasioni di scontento che non dependono
dagl’individui, ma dalle circostanze in cui siamo, e poi giudichiamo cosa sarà per
essere la nuova Camera. È meglio però di aspettare il fatto; ma intanto sono dolentissimo di vederne mancare i miei più chiari e stimati amici. Noi siamo ancora ad
invocare sopra l’Italia la Provvidenza!
Salutami tanto Vittoria e il babbo, e credimi di cuore sempre tuo amico affezionatissimo Ricasoli.
Giovan Battista Giorgini politico di professione
3. MANOSCRITTO DI ARTICOLO DI G. B. GIORGINI
CRISPI-MORDINI [s.d., MA 1866].
(AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 72)
SUI RISCHI DI UN MINISTERO
361
RICASOLI-
Noi abbiamo avvertito i nostri lettori che la nota messa in giro in questi ultimi
giorni, d’un ministero che sarebbe già pronto, e nel quale insieme col barone Ricasoli
entrerebbero gli onorevoli Crispi e Mordini, era del tutto apocrifa. Ma siccome queste
voci persistono, non ci pare inutile di rinnuovare la stessa dichiarazione, esponendo
meglio che non abbiamo anche fatto le ragioni per le quali non ci pare desiderabile che
abbiano ad avverarsi.
Noi non escludiamo a priori i ministeri di coalizione. Le coalizioni sono qualche
volta necessarie. Sono un mezzo a cui s’è forzati di ricorrere, quando non ce n’è un
altro per avere una maggioranza. Questa era la situazione che parevano aver creata le
elezioni dell’ottobre. All’aprirsi della passata sessione i partiti nella camera erano così
equilibrati, che non pareva possibile costituire una maggioranza, se due almeno dei
gruppi, nei quali s’era divisa la camera, non fossero riusciti ad intendersi. Allora un
ministero di coalizione si offriva come il solo rimedio, e noi siamo stati i primi a farne
la proposta. Se quella situazione fosse durata non avremmo ancora da proporre nulla di
meglio. Solamente ci pareva allora e ci parrebbe ora più naturale, che primi a ravvicinarsi ed a fondersi fossero quei gruppi che avevano avuto meno ragione di esistere,
che anzi non ne avevano mai avuta nessuna. Tuttavia intendiamo come a qualcheduno
dei nostri amici potesse allora parere utile il concerto d’alcuni uomini della Sinistra
(dato che potesse ottenersi) per far accettare dalla camera questa politica moderata e
conservativa, che ci era imposta dalle circostanze. A ogni modo levare all’opposizione
due o tre dei suoi principali campioni avrebbe servito ad indebolirla. Ora il caso è
diverso. La guerra volta rende ogni opposizione impossibile. Il solo annunzio ha creato
nella camera e nel paese una corrente così vigorosa, che ogni tentativo di turbare o
incagliare l’azione del governo non troverebbe alcun seguito. Il paese sobbalza e si
rimescola tutto; i volontari corrono ad arruolarsi da tutte le parti, e nessuno mette
condizioni, nessuno domanda chi saranno i ministri, nessuno chiede garanzie, ad un
governo che avrà per malleveria la guerra. Se c’è mai stato un momento in cui possiamo disprezzare davvero i meschini artifizi, sui quali sono talvolta costretti a reggersi
i governi parlamentari è senza dubbio il presente.
La presenza di qualche membro della Sinistra nel gabinetto non sarebbe utile che
nel caso (in cui forse sarebbe impossibile) d’una mutazione nello stato della politica
generale, che ci obbligasse a tornare indietro, o perlomeno a moderare l’impeto
bellicoso del paese. Finché questo momento duri essa non avrebbe che inconvenienti.
Un ministero di due, di tre pezzi, messi l’uno accanto all’altro, per sorvegliarsi a
vicenda sarebbe impacciato in tutti i suoi moti, tormento ad ogni suo passo. Se tutto
potesse camminare sur des roulettes, se l’Italia dovesse toccare l’apice d’ogni suo
desiderio, passando di vittoria in vittoria, senza nessuna scossa, nessun turbamento
all’interno, poco male farebbe l’ibrida costituzione del ministero. Ma in una guerra che
sarà probabilmente lunga, e nella quale sarà raccolta tutta l’Europa, quante questioni
verranno a galla, quanti incidenti potranno verificarsi! Su questo terreno così mobile
della politica, sconvolto tutto dalla guerra, quante evoluzioni da seguire, quante
risoluzioni da prendere lì su due piedi! Siamo noi certi che ci potremo sempre mettere
d’accordo con quelli coi quali non ci siamo trovati d’accordo mai, che hanno un modo
così diverso d’intendere il governo, la politica, altri precedenti, altri legami personali e
interessi e fini partigiani dei quali non potrebbero in tutto francarsi? E se non ci
362
Romano Paolo Coppini
potremo mettere d’accordo, a mezzo della guerra, nei momenti più difficili, nell’assenza del parlamento, col paese commosso da capo a fondo, quale non sarebbe il
pericolo d’una crisi? Come resterebbe allora il governo dimezzato, combattuto da
quelli che ne sarebbero usciti, e che del tempo passato al potere avrebbero approfittato
per accrescere la loro autorità, e quella dei loro aderenti preparando il terreno alla
futura battaglia?
Gli inconvenienti sarebbero anche maggiori per le nostre relazioni all’estero. Finché la pace si mantiene si può essere fino ad un certo punto indifferenti sul carattere di
queste relazioni. Il più od il meno di cordialità o di franchezza non può avere effetti
materiali e immediati. Ma quante sono in tempo di guerra le combinazioni, la riuscita
delle quali dipende tutta dal credito di cui si gode, dalla fiducia che s’ispira?
È evidente per noi che un ministero di coalizione scasserebbe il credito e la fiducia. Si avrebbe un bel dire che lo abbiamo fatto per provare al mondo, che tutta l’Italia
è unita per la guerra all’Austria, che davanti all’Austria non ci sono partiti. Questo
l’Italia lo prova, e lo proverà, con argomenti migliori che non sia la distribuzione dei
portafogli. Qualunque cosa si dicesse di noi il mondo vedrebbe in questo ministero la
prova che il partito governativo in Italia non è abbastanza forte per reggere il paese, la
prova di un fatto che dopo le ultime elezioni fu creduto generalmente che il partito
radicale si sia avvantaggiato tanto, da non potersi ormai far senza di esso. Che dovrebbe pensare l’Europa vedendo entrare nei consigli della corona uomini che giovani
prendevano ancora le difese del Trabucco, assolvevano l’assassinio politico, convalidavano l’elezione del Mazzini? Qual’è la fiducia che un tal ministero potrebbe ispirare ai
nostri alleati, e in special modo al più sicuro e al più potente dei nostri alleati, che
questi uomini si sono sempre sforzati di dipingerci come il nostro peggiore nemico?
Chi vorrebbe trattare con noi, prendere impegni, contare sulle promesse d’un ministero
che avendo in se stesso così poca coesione, incapace di resistere al più piccolo urto,
potrebbe da un giorno all’altro sparire dalla scena politica? Un ministero anche
omogeneo è forza anch’essa soverchia per condurre la politica estera, che non s’è fatta
mai bene se non quando s’è trovato un uomo di Stato, un ministro dirigente che ne
abbia tenuto in mano e mosse da solo tutte le fila. Un ministro sorvegliato, guardato a
vista, poco sicuro del partito che lo sostiene, e delle combinazioni sulle quali si
appoggia, si troverà nella posizione più svantaggiosa per trattare con frutto gli affari
del paese.
Questi dubbi che ci sono passati per la mente al primo annunzio di un ministero
Ricasoli-Crispi, noi abbiamo creduto che fosse nostro dovere il manifestarli in tempo
utile, dovere tanto più stretto, quanto meno ci sentiremmo disposti a combatterlo, se
questo ministero arrivasse a costituirsi -nel qual caso il solo obbligo che ci rimanesse
sarebbe quello di adeguarci con tutte le nostre forze a scongiurare i pericoli, che pure
avevamo l’obbligo di denunziare, perché riuscisse a buon fine quello che a parer
nostro si fosse incominciato con imprudenza.
LE LETTERE DAL FRONTE DI GIORGIO SCHIFF GIORGINI
La testimonianza che si può ricavare dalle carte di Giorgio Schiff Giorgini, figlio secondogenito di Roberto Schiff e di Matilde Giorgini, è in generale
estremamente interessante ed utile per comprendere un certo clima culturale
ed esistenziale dei primi tre decenni del XX secolo; qui però illustrerò in
particolare le lettere scritte nel periodo bellico (1915-18). Questa testimonianza va al di là della valutazione di quella che è stata la dimensione umana ed
intellettuale della persona che, pur nella forte caratterizzazione caratteriale e
nella dimensione avventurosa dell’esistenza, è sostanzialmente un uomo come
tanti del suo tempo. Si noti, anche per illustrare il carattere vitalistico del
personaggio, che la sua presenza nell’archivio Giorgini è data prevalentemente
dalle lettere inviate alla madre Matilde Schiff Giorgini e da lei conservate,
mentre non si può veramente parlare di un vero e proprio archivio Giorgio
Schiff Giorgini.
Nato nel 1895 da una famiglia che vantava tradizioni prestigiose, Giorgio
Schiff Giorgini dimostrò fin dalla prima infanzia un temperamento ribelle e
volitivo, che lo portò a scontrarsi con la severa impostazione morale (ma non
moralistica) propria sia del ramo degli Schiff che di quello dei Giorgini. Ben
presto le sue tendenze caratteriali preoccuparono i genitori che nel 1910
presero la decisione di fargli proseguire gli studi nel Collegio alla Querce di
Firenze, noto allora per la rigida disciplina che vi regnava; dopo tre anni di
studi, nel 1913 conseguì non senza fatica la licenza liceale, decidendo immediatamente di entrare all’Accademia militare di Modena. Al proposito tra le
carte si trova un’affettuosa e preoccupata lettera a lui indirizzata da Donato
Jaia, amico di famiglia e filosofo che fu maestro venerato da tanti idealisti,
primo fra tutti Giovanni Gentile. In questa lettera Jaja, che evidentemente
aveva speso qualche buona parola presso i professori di Giorgio, si compiace
della scelta di entrare in Accademia (« il tuo posto è là, a Modena, con
l’animo incline e fermo ad osservarne le leggi »), incitandolo a non arrendersi
di fronte alle future difficoltà (« Leva il capo, non contro i tuoi genitori, che
darebbero la vita per te, ma dentro e contro te stesso, per sommettere te a te, i
tuoi imbelli voleri (disoccupazione, scialaquamenti, capricci, gioco!, ecc.) ai
voleri degni di essere chiamati nobili umani voleri (…). È necessario, e
nessuna occasione è più propizia di questa, che tu finisca di essere un fanciullo scapato, come sei apparso finora in società » 1.
1
D. Jaja a Giorgio Schiff Giorgini, Pisa, 25 ottobre 1913, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 61/1. Le sottolineature sono nel testo.
364
Emilio Capannelli
Dopo aver portato a compimento il corso all’Accademia militare, partecipò alla Grande Guerra segnalandosi per il proprio coraggio e restando ferito
più volte, ottenendo tre medaglie d’argento. Nel dopoguerra lasciò la carriera
militare tornando ad uno stile di vita ribelle. Oppositore del fascismo, anche
per motivi politici dovette fuggire all’estero, trasferendosi a Parigi, dove si
sposò con Delia Clauzel, esponente di una prestigiosa famiglia francese, da
cui ebbe due figli. Il matrimonio però dopo alcuni anni fallì ed i due si separarono. Internato in un campo di concentramento per le sue origini ebraiche dal
1943 al 1945, tornò a vivere in Italia dopo la fine della Seconda guerra
mondiale. Giorgio Schiff è morto nel 1965.
La partecipazione alla I Guerra Mondiale: la corrispondenza dal
fronte. — In archivio è conservato un ampio carteggio di Giorgio Schiff
Giorgini con i familiari (soprattutto con la madre Matilde), all’interno del
quale vi è un nutrito numero di lettere scritte dal fronte che costituisce un’interessante e del tutto sconosciuta testimonianza militare ed umana. Si noti che,
pur non essendovi in tutta la corrispondenza traccia esplicita di suoi convincimenti interventisti, comunque non emerge mai un reale rifiuto della guerra:
se mai compare un non sempre celato disprezzo per gli « imboscati » ed il
rammarico per l’incomprensione da parte del paese dei sacrifici dei combattenti. Inoltre da tutto il carteggio di questi anni, anche da quello di carattere
più personale, che in questo intervento non viene illustrato, risulta come egli
sia sempre rimasto fedele a se stesso, sfuggendo a quell’annichilimento ed
appiattimento della personalità che è invece fenomeno assai diffuso tra i
combattenti, a fronte di una quotidianità sconvolgente nella sua tragicità.
Il 1915. — Uscito nell’aprile dall’Accademia militare di Modena col
grado di sottotenente di cavalleria, allo scoppio delle ostilità Giorgio Schiff
Giorgini viene inviato immediatamente in zona di operazioni militari (31
maggio 1915). Le lettere dei primi giorni sono caratterizzate da una visione
estremamente ottimistica sulla forza militare italiana e conseguentemente sulla
sua capacità di porre vittoriosamente termine alla guerra in tempi brevi. Scrive
il 12 giugno « il nostro esercito non è più quello strumento infido suscettibile
di passeggero entusiasmo e di improvvisi scoramenti - esso è un colosso la cui
forza disciplinata travolgerà ogni ostacolo » 2. Questo convincimento di una
guerra rapida e vittoriosa era patrimonio comune nell’Italia dei giorni successivi al « maggio radioso »: ad esempio un osservatore lucido e razionale come
Francesco Saverio Nitti ha ricordato nelle sue memorie un casuale incontro
serale con l’allora presidente del consiglio Antonio Salandra; questi dapprima
lo accusò di essere eccessivamente pessimista per aver espresso il parere che
la guerra non sarebbe stata breve, e quindi, a fronte della richiesta se erano
2
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 12 giugno 1915, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/59.
Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini
365
stati preparati gli approvvigionamenti invernali per l’esercito, « si fermò di
botto. Eravamo sotto un fanale. Ricordo ancora la sua impressione di sorpresa
e la sua aria diffidente. Mi disse: - il tuo pessimismo è veramente inesauribile.
Credi che la guerra possa durare oltre l’inverno? » 3. Le stesse truppe inviate
al fronte, ignare della terribile forma che la guerra aveva da tempo assunto
negli altri fronti europei, erano piene di entusiasmo bellicoso, convinte di
trovarsi di fronte ad un’altra guerra di tipo risorgimentale (lo scrittore e poeta
Giosuè Borsi, che cadrà sul Monte Cucco il 10 novembre 1915, nelle sue
Lettere dal Fronte espresse la convinzione di andare a combattere « una
guerra del Risorgimento, con lo stesso animo dei garibaldini, con le loro
stesse canzoni, contro lo stesso nemico! » 4; fanti ed alpini affrontarono le
prime battaglie con accompagnamento di bandiere e fanfare 5). Del resto in
Francia le proposte, avanzate poco prima della guerra, di abbandonare le
vistose divise dai pantaloni rossi per una più sobria e mimetica divisa grigioazzurra o grigioverde erano state respinte tra furibonde proteste. Luigi Cadorna dal canto suo aveva fatto pubblicare un libretto rosso rimasto famoso nel
quale era pubblicata una circolare intitolata « Attacco frontale ed ammaestramento tattico » che durante e dopo la guerra fu accusata di essere « la causa
principale delle enormi perdite subite e degli scarsi risultati raggiunti » 6.
In pratica le cose si svolgevano solitamente nel modo seguente: l’artiglieria, insufficiente per numero di bocche da fuoco e dotata di scarse munizioni, iniziava un
bombardamento sulle posizioni avversarie, che aveva il principale effetto di porre il
nemico in stato di allarme. Quando era terminato il bombardamento dell’artiglieria, i
fanti uscivano allo scoperto e trovavano i reticolati nemici intatti, e le mitragliatrici
pronte a falciarli. Se poi il bombardamento aveva aperto un varco nei reticolati (e
creato dunque un passaggio obbligato), il compito dei tiratori austriaci poteva perfino
dirsi facilitato 7.
La successiva corrispondenza di Giorgio Schiff Giorgini arriva direttamente dal fronte orientale, nella zona dell’Isonzo; dopo i primi entusiasmi
(« chi sa che non si avveri il mio sogno di salutare fra i primi Trieste italiana », scrive in una cartolina del 21 luglio 8), la partecipazione attiva alla
seconda battaglia dell’Isonzo spegne le facili illusioni: « Infuria da molti
3
L’episodio, descritto in F. S. NITTI, Rivelazioni, Dramatis personae, Napoli 1948, pp. 387388; è riportato in P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra 1915/1918, Bari, Laterza,
1972, p. 9.
4
Ibid., p. 12.
5
Ibidem.
6
Ibid., p. 35.
7
Ibidem. Sul pericolo mortale dei reticolati austriaci cfr. anche C. SALSA, Trincee, Milano,
Sonzogno, 1924, pp. 70-78.
8
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 21 luglio 1915 (cartolina postale), in
AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 157/32.
366
Emilio Capannelli
giorni sul nostro fronte la più furibonda lotta. All’urto formidabile delle nostre
armate hanno ceduto le linee austriache. Gran quantità di uomini e di armi
sono cadute nelle nostre mani. Anche a noi, però è costata cara la vittoria » 9;
in realtà questa battaglia, come tutte le undici battaglie dell’Isonzo, si concluse senza grandi risultati per nessuno dei due contendenti; unico obiettivo
importante raggiunto in queste battaglie fu la conquista italiana di Gorizia, nel
corso della sesta offensiva. I grandi progetti di Cadorna di un’ampia manovra
di stile napoleonico con avanzata verso Lubiana per poi marciare su Vienna
furono totalmente mancati dato che il fronte, prima del novembre 1918, riuscì
al massimo a progredire di 25 km oltre le vecchie frontiere.
Sulla difficoltà della situazione è significativa una breve lettera di Giorgio alla madre del 24 agosto: sulla missiva è incollata una piccola cartina del
confine orientale, con alcune aggiunte a penna e dei brevi commenti: « 1° S.
Michele - posizione importantissima costata diecine di migliaia di vite - ora
sgombra sia da Italiani che da Austriaci perché battuta dalle artiglierie di
entrambi / 2° Doberdò-. Centro dell’altipiano - fortemente difesa. Vi sono
artiglierie pesanti che battono sino al di là dell’Isonzo / 3° Monte Sei Busi.
Espugnato e rafforzato - ma a qual prezzo!… / 4° M. Cosich. Posizione
terribile austriaca che batte tutto il litorale e la piana dell’Isonzo / 5° Duino. I
305 austriaci! / 6.7.8.9.10 Posizioni fortemente difese che battono la conca di
Gorizia - a Aisovizza vi è il loro campo di aviazione »; angosciosa è la prosecuzione della lettera: « Il terribile di queste posizioni austriache sta nel reciproco appoggio che esse si danno - quando dopo titaniche lotte si riesce ad
espugnare una posizione che si crede dominante ci si accorge purtroppo che
essa è invece battuta dalle retrostanti - e così le trincee sembra si seguano di
cento in cento all’infinito - e sono tutte in cemento armato con piccoli fori per
sparare protetti da sportellini in acciaio. Pensa che da due mesi siamo a un km
da Gorizia: finché però non sarà caduto M. Santo, M. Sabotino, Podgora
nessuno potrà entrarci vivo. Che magnifica miniera di ferro sarà la piana
dell’Isonzo! Attualmente mi trovo dove fu (…). Gradisca - ti scrivo al rombo
di 700 cannoni. Par d’essere a Montignoso quando al sabato santo sparano i
mortaretti! (…) forse c’è ancora più fracasso qua » 10. Dello stesso tenore una
lettera non datata, ma probabilmente di questo periodo, ove ha lasciato, con
una punta di compiaciuto cinismo, un’attenta descrizione della quotidianità
della trincea: « Voi non potete avere neanche una pallida idea di ciò che sia la
guerra - fumo, luce e fracasso di invisibili demoni nascosti sotto terra - nulla
appare alla vista eccetto le lotte aeree che avvengono ogni giorno. Gli austriaci coperti dalle loro formidabili opere si guardano bene dal mettersi in mostra,
solo i loro infiniti cannoni vomitano incessantemente proiettili. La nostra
9
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 26 luglio 1915, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/60.
10
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 24 agosto 1915, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/61.
Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini
367
ottima artiglieria ne fa però tacere ogni notte qualcuno (dico notte perché di
giorno l’artiglieria riposa). Le trincee nemiche sotto Gorizia sono del tutto
blindate e hanno davanti un nastro di 50 metri di fili di ferro, terreni minati,
bocche di fuoco, getti di gas. I nostri sono a meno di 100 metri da esse. I
soldati s’insultano e si scherniscono continuamente a vicenda, ma non appena
la punta di un berretto si sporge dal riparo, subito grandinano centinaia di
proiettili. Il valore delle nostre fanterie è grande - gli alpini sono eroi. Ieri sera
svolazzavano su di noi 18 aereoplani (sic) e con frecce, bombe e mitragliatrici
cercavano di colpirsi l’un l’altro, mentre da terra gli austriaci inviavano
bombe. Ti assicuro che mi sono divertito un mondo. Questa notte lo spettacolo è stato ancora più bello - 500 cannoni vomitavano contemporaneamente
fuoco su Gorizia; nella oscurità dell’aria, luminose scie producevano miagolii
e sibili strani. Ho dormito due notti nel castello abbandonato e ormai (…)
vuoto di una austriaca contessa Latour, avevo in camera mia la fotoincisione
di Franz Joseph (…) Qua non esistono più gli uomini; tutti i maschi dai 16 ai
52 sono in Galizia… e i galiziani ci stanno di fronte » 11. E un’angoscia ancora
maggiore segna le successive lettere: il 7 settembre scrisse alla madre una
lunga lettera dalle retrovie - a momenti un po’ retorica - che vale la pena
riportare per ampi tratti, anche perché contiene tutto il disorientamento di chi,
ufficiale di carriera nella cavalleria, si vede calato in una realtà tanto nuova
quanto lontana da tutti i canoni della guerra convenzionale quale fino ad allora
era stata teorizzata e combattuta: « battaglioni che pochi giorni fa passarono
esuberanti di entusiasmo e di forza, laceri e decimati fanno la via del ritorno.
Che guerra mamma! Guerra plebea, monotona e triste che annienta con lenta
consunzione gli eserciti. L’individuo, atomo microscopico di colossale organismo, scompare - l’uomo verme del color della terra, strisciante di trincea in
trincea, più non può, alta la fronte, mostrare il petto al nemico. Felice chi
combatté le antiche guerre - felice chi, nel furor della carica, udì nitrire al
vento le rosse froge dei cavalli! Ora le lance nostre e le sciabole arrugginiscono nei foderi. Quando tuona il cannone, quando infuria la mitraglia, quando
tutto intorno è cupidigia di morte, anche il più forte, anche l’eroe deve, da
vile, nascondersi dietro il riparo della trincea. Oggi è passato Joffre con
Cadorna. Che fa la Francia - lascia il peso della lotta sulla Russia e su noi? I
prussiani marciano su Pietroburgo, gli Austriaci su Mosca - che cosa aspetta
dunque? Che la Russia fiaccata chieda pace? Guai se ciò avvenisse! Si parla
di mandare la cavalleria in Fiandra o in Asia Minore. Ma ci mandino a Trieste
che noi ci sentiamo la forza di spezzare la cerchia d’acciaio che infrange gli
attacchi delle nostre fanterie. Ma intanto l’inverno si avvicina e già i primi
freddi si son fatti sentire. Chi sa che il prossimo non ci trovi in trincea ancora!
Che succede in Italia? La nazione pare assai forte - forse non sa che cosa sia
11
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, s.d. (« 9 Udine »), in AS FI, Schiff
Giorgini / Montignoso, 146/80.
Emilio Capannelli
368
la guerra (…) » 12. Questa visione delle cose è in realtà rivelatrice di una
generale impreparazione: cinquant’anni di pace europea si erano accompagnati
ad uno sviluppo tecnologico senza precedenti che aveva avuto grandi implicazioni anche nel settore degli armamenti. Già la guerra franco prussiana del
1870 e la guerra civile nordamericana, avevano prospettato un enorme aumento del volume di fuoco che la fanteria era in grado di sviluppare, con danni
micidiali per le truppe d’attacco.
Poi il progresso tecnologico conobbe un’accelerazione crescente. Ci limitiamo a
sintetizzarne gli esiti al momento dello scoppio della guerra mondiale, con una precisazione importante: nel 1914 tutti gli eserciti delle potenze europee erano allo stesso
livello tecnologico, ossia i loro fucili e cannoni avevano le stesse caratteristiche e
prestazioni, con differenze minime. (…) C’erano naturalmente differenze a livello
quantitativo o scelte di priorità (…) Nel 1939 gli eserciti saranno diversi per organizzazione e armamenti, ma nel 1914 si affrontavano senza sorprese né grosse differenze.
(…) Lo sviluppo dell’artiglieria nella seconda metà dell’Ottocento fu travolgente. I
cannoni divennero a retrocarica, in acciaio, con canna rigata (la rotazione del proietto
migliorava gittata e precisione) e polveri senza fumo e assai più efficaci per il lancio.
(…) Al di là dei dettagli tecnici, il fuoco dell’artiglieria era migliorato in precisione
ritmo gittata (circa 7 chilometri per i cannoni leggeri, fino a 20-30 chilometri per
quelli pesanti) ed effetti distruttivi, senza perdere in mobilità. (…) secondo la dottrina
militare del tempo, ciò avrebbe consentito una guerra di movimento come ai tempi
napoleonici (…). Alla luce delle esperienze della prima guerra mondiale possiamo dire
che questa dottrina militare si basava su una sorta di autoinganno, perché sottovalutava
le conseguenze dello sviluppo tecnologico per non dover rinunciare alla prospettiva di
una guerra di movimento. La nuova efficacia del fuoco d’artiglieria era infatti vista
soltanto come sostegno agli attacchi della fanteria, senza pensare che avrebbe avuto un
effetto ancor maggiore in appoggio alla difesa, opponendo un muro invalicabile alla
fanteria avanzante allo scoperto. È poi significativa la generale sottovalutazione della
mitragliatrice, un’arma nota da decenni e perfezionata nei primi anni del secolo,
capace di sparare centinaia di colpi al minuto con grande precisione. (…) La fiducia
nell’offensiva ad oltranza, in campo sia tattico sia strategico, costituiva la base della
dottrina prebellica di tutti gli eserciti, anche contro l’evidenza del rafforzamento che la
difensiva traeva dall’aumento della potenza di fuoco 13.
Sull’entità della strage in atto è illuminante una considerazione scritta da
Giorgio Schiff lontano dal fronte, il 7 dicembre 1915, quando da circa un
mese è a Pinerolo per un corso di allievi ufficiali alla scuola d’applicazione di
cavalleria: « dei miei 370 compagni di Modena 200 sono morti » 14.
12
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 7 settembre 1915, in AS FI, Schiff
Giorgini / Montignoso, 146/2.
13
M. ISNENGHI - G. ROCHAT, La grande Guerra 1914-1918, Milano-Firenze, La Nuova Italia, 2000, pp. 50-53.
14
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 7 dicembre 1915, in AS FI, Schiff
Giorgini / Montignoso, 146/63.
Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini
369
Come è noto, la categoria degli ufficiali è stata quella che ha dovuto sopportare le perdite percentuali più elevate, pur in un quadro generale di perdite
umane già altissimo. Occorre dire che furono ben presto gli ufficiali di complemento a sopportare il peso maggiore della guerra, in quanto gli ufficiali di
carriera arrivarono, tramite promozioni ed avanzamenti, a posizioni che li
tenevano lontani dai combattimenti più violenti. Notava ad esempio nel suo
diario Ferdinando Martini che « gli ufficiali effettivi si imboscano negli uffici;
chi avanza, combatte e (…) muore sono gli ufficiali di complemento » 15.
Questa considerazione evidentemente non è valida per i giovani ufficiali
appena usciti dalle accademie, che non fecero in tempo a conseguire gradi più
elevati di quelli (aspirante, sottotenente, tenente, capitano…) che erano appannaggio di chi doveva materialmente condurre gli assalti dando l’esempio ai
sottoposti. Nel caso particolare occorre poi aggiungere che Giorgini per tutto
il corso della guerra, forse per le proprie peculiarità di carattere, antitetiche a
quelle necessarie ad avanzare nella carriera militare (tanto che a fine guerra
lascerà l’esercito), pur avendo ripetutamente dimostrato il proprio coraggio e
le proprie capacità di combattente, rimase sempre legato ad incarichi che lo
portavano alla partecipazione attiva ai combattimenti.
Il 1916: tenente del 28 Cavalleggeri di Treviso - IV divisione Cavalleria
appiedata. — Nella prima parte del 1916 l’esercito tedesco, per volontà del
capo di stato maggiore, il generale Erich von Falkenhayn, scatenò un’offensiva che dette luogo al grande scontro di Verdun (febbraio-giugno 1916, la
battaglia più sanguinosa della guerra, con oltre mezzo milione di morti),
contro i francesi. Successivamente gli inglesi (dal luglio al settembre 1916)
attaccarono lungo la Somme l’esercito tedesco. Ormai la tattica tedesca non
mirava più ad uno sfondamento, ma ad un progressivo logoramento delle
forze anglofrancesi, avendo gli Stati maggiori germanici maturato la convinzione che la fine della guerra non fosse prossima. Gli austriaci a loro volta
lanciarono contro l’Italia, nel fronte del Trentino, una controffensiva definita
Strafexpedition (spedizione punitiva), scattata il 15 maggio; l’offensiva,
comandata dal generale Conrad, che utilizzò anche truppe prelevate dal fronte
dell’Isonzo e dal lontano fronte russo, fu inizialmente coronata da un notevole
successo, con un avanzamento delle truppe austroungariche in Valsugana,
sull’altopiano di Asiago, in Val d’Astico, Vallarsa e val Lagarina; l’offensiva
fu però arrestata dopo un mese, il 16 giugno, e ne seguì un parziale ripiegamento austriaco, anche perché il 4 giugno sul fronte russo il generale Brusilov
iniziò un’offensiva che ottenne notevoli successi (come appena detto, l’esercito austriaco su questo Fronte era stato parzialmente sguarnito per sostenere
la Strafexpedition) tanto che Conrad dovette nuovamente trasferire qui truppe
dal fronte italiano. Tutte queste spedizioni fallirono perché, come è stato
15
F. MARTINI, Diario 1914-1918, a cura di G. DE ROSA, Milano, Mondadori, 1966, p. 778.
Emilio Capannelli
370
notato per la Strafexpedition (ma l’osservazione è valida anche per le altre
offensive qui citate) « Come sempre nella guerra di posizione, il grosso
successo iniziale di un’offensiva ben preparata si esauriva rapidamente per il
logoramento delle fanterie attaccanti e per l’impossibilità di spostare in avanti
le artiglierie medie e pesanti, mentre la difesa avversaria si rafforzava con
l’afflusso delle riserve ».
Un importante successo fu però ottenuto dalle truppe italiane con la sesta
battaglia dell’Isonzo, con la conquista di Gorizia ed il ripiegamento del fronte
austriaco su linee più arretrate. Nell’autunno il Generale Luigi Cadorna,
comandante generale dell’esercito italiano, cercò di portare ulteriormente
avanti il fronte con le cosiddette « spallate » sul Carso (settima, ottava e nona
battaglia dell’Isonzo, 14-17 settembre, 10-13 ottobre e 1-4 novembre) con
successi però limitati e considerevoli perdite umane da ambo le parti.
Giorgio Schiff Giorgini aveva subito nel mese di gennaio un serio infortunio a Pinerolo: « Ieri mattina montando un poledro della scuola feci completa panache su di una staccionata ed il cavallo ricadendo mi schiacciò sotto di
sé (…) ho fratturato la clavicola e un po’ contuso lo sterno » 16. Per alcuni
mesi resta lontano dalla prima linea, ma alla fine di maggio riparte per la
seconda volta per il Fronte.
In una lettera al padre dell’11 giugno 1916, scritta dal Basso Isonzo, nel
ricordare le dure battaglie del maggio (che, come detto, si svolsero principalmente nel Trentino, ove si sviluppò la Strafexpedition, anche se sull’Isonzo gli
austriaci lanciarono una serie di attacchi locali che costarono agli italiani
perdite per 13.000 uomini, considerate « normali » in una guerra di logoramento 17) esprime la certezza di un’imminente fine della guerra. « I Russi
sfondano e avanzano. Qua tutti si attende ansiosi la parola che ci permetta di
slanciarsi in avanti. Come belve ferite Austria e Germania hanno tentato sforzi
supremi. A Verdun, nel Trentino, nel Mar del Nord, ovunque i loro conati
sono stati infranti. L’ultima ora sta per suonare per gli Imperi centrali » 18.
Anche qui Giorgini esprimeva un’illusione collettiva dura a morire: l’illusione che la guerra sarebbe stata breve e che la fine della guerra fosse vicina,
illusione attribuibile probabilmente alla ancora non sufficiente comprensione
delle caratteristiche del conflitto in corso ed alla necessità di avere qualche
certezza che aiutasse i soldati ad affrontare gli inenarrabili sacrifici quotidiani.
Ma pochi giorni dopo, il 27 giugno, in una lettera al fratello Ruggero segue una descrizione della vita al fronte che, pur con una punta di compiaciuto
cinismo, appare assai meno trionfale (nonostante altri riferimenti alle « vittorie
russe »): « Sono da 15 giorni in trincea di prima linea. In alcuni punti il
16
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 13 gennaio 1916, in AS FI, Schiff
Giorgini / Montignoso, 146/65.
17
18
Cfr. M. ISNENGHI - G. ROCHAT, La grande Guerra… cit., p. 179.
Giorgio Schiff Giorgini a Roberto Schiff Giorgini, s.l., 11 giugno 1916, in AS FI, Schiff
Giorgini / Cecchieri, 66/1.
Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini
371
nemico è a 10 metri da noi. La lotta è continua - Bombe a mano, bombarde,
mine, fucileria, lanciafiamme, shrapnels, granate. Da principio la musica
diverte, ma alla lunga viene a noia. Quello che soprattutto spossa è il non
poter dormire. Stanotte, una enorme bombarda è caduta all’improvviso nel
ricovero dove mi trovavo con un mio ufficiale. Vedevamo nell’oscurità ardere
la miccia - ancora pochi istanti saremmo stati polverizzati - Non si sa come la
miccia si è spenta - l’infernale ordigno non è esploso. (…) Stasera c’è ballo.
Si darà l’assalto alla trincea che ci è vis a vis. È un osso duro. Dio ce la
mandi buona ». Non si trattava però di un’esagerazione: il 29 giugno Giorgio
venne ferito a Selz, nel corso dell’improvvisa offensiva nemica che precedette
di poco la sesta battaglia dell’Isonzo e che vide l’uso, per la prima volta, dei
gas asfissianti da parte austriaca, sul San Michele e sul San Martino. Pochi
giorni dopo, il 2 luglio, riuscì ad inviare un drammatico telegramma al fratello: « Sono ferito pallottola proiettile fucile traversa braccio sinistro penetr[a]
clavicola sinistra passa sotto sterno esce sopra mammella destra miracolosamente nessun organo importante leso sono proposto medaglia argento sarò
presto con voi » 19. Presso i genitori minimizzò la ferita, fino al momento della
certezza di essere fuori pericolo; sembra che, come la madre scrisse il 7
luglio, l’incidente di Pinerolo (in cui Giorgio si era rotto una spalla) fosse
stato salutare: « Pare che l’irregolarità di saldatura della tua clavicola abbia
potuto deviare il corso della pallottola in modo da farla passare sotto o sopra
lo sterno, lasciandola uscire dal tuo torace senza lasciare dei danni gravi che,
quasi sicuramente, sarebbero stati funesti! » 20. Anche in occasione dello
scontro in cui rimase ferito comunque Giorgio dimostrò il proprio coraggio
(tanto che ottenne una medaglia d’argento): in merito ai riconoscimenti che
vennero al plotone da lui comandato gli scrisse un suo soldato: « Più che a
noi, ciò è dovuto al di lei coraggio e sangue freddo con cui ci portò all’impresa » 21.
Il 1917. — Il 1917 fu un anno critico per tutte le nazioni in guerra; in
campo nemico l’esercito austro-ungarico conobbe ad esempio significative e
massicce forme di diserzione che, se adeguatamente sfruttate da parte italiana,
avrebbero potuto segnare una svolta nelle operazioni belliche; in Germania
aumentarono considerevolmente le spontanee proteste popolari contro la
guerra. In Italia, a livello di vertici militari e politici, poco ci si preoccupava
di conoscere il livello del morale delle truppe e tanto meno di svolgere opera
di propaganda tra i soldati. Comunque, da un punto di vista militare, non si
19
Giorgio Schiff Giorgini a Ruggero Schiff Giorgini, 2 luglio 1916, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 66/4.
20
Cfr. Matilde Schiff Giorgini a Giorgio Schiff Giorgini, 8 luglio 1916, in AS FI, Schiff
Giorgini / Cecchieri, 66/7.
21
Alighiero Gini a Giorgio Schiff Giorgini, 17 luglio 1916, in AS FI, Schiff Giorgini / Cecchieri, 66/9.
Emilio Capannelli
372
ebbero operazioni di rilievo per oltre un semestre, dalla fine della nona battaglia dell’Isonzo (4 novembre 1916) all’inizio della decima battaglia (12
maggio - 7 giugno 1917), con una conseguente relativa tregua che sembrò
rafforzare lo spirito dei combattenti 22. Se mai fu proprio l’altissimo costo di
questa battaglia (36.000 morti e 96.000 feriti) e gli scarsi risultati ottenuti a
provocare una grave crisi, rafforzata dall’infelice esito, nel fronte settentrionale, della battaglia dell’Ortigara (10-25 giugno 1917); alla fine di giugno il
morale delle truppe cominciò a preoccupare seriamente gli alti vertici politici
e militari 23. Ciò nondimeno lo spirito collettivo sembrava essersi ristabilito su
buoni livelli all’inizio dell’undicesima battaglia (17 agosto - 15 settembre),
detta anche battaglia della Bainsizza, accuratamente preparata e che, per una
serie di circostanze, si credeva diffusamente sarebbe stata la decisiva. I modesti risultati territoriali dell’offensiva e le gravi perdite che ancora una volta si
ebbero determinarono un nuovo crollo nel morale delle truppe italiane: « La
Bainsizza, infatti, aveva offerto la più chiara dimostrazione del fatto che la
guerra “di logoramento”, per ingenti che potessero essere i mezzi impiegati in
battaglia, estenuava tutte e due le parti contendenti, consentiva al massimo dei
risultati locali, ma non conduceva a quella soluzione finale che da due anni
ormai era attesa invano » 24.
Il 15 gennaio 1917 Giorgio Schiff Giorgini era passato dal suo vecchio
reggimento « Treviso » al « Cavalleggeri Roma », col quale rimase a Castelfranco Veneto fino al 26 aprile, poi a Vighizzolo di Montichiari (Brescia), poi
a Morsano al Tagliamento, da dove il 15 agosto ripartì per il fronte, fermandosi a Moraro sull’Isonzo; dal 1° ottobre il suo reggimento si allontanò dal
fronte, andando a Corbolone di Livenza. Scrive alla madre il 28 luglio: « siamo fermi in un paesello del vecchio confine. Si attende che cominci la festa
per essere slanciati avanti - si dice - lungo il mare. Questa volta, almeno, a
cavallo » 25. E pochi giorni dopo, il 3 agosto: « si sta ora preparando il massimo sforzo e fra pochi giorni avrà inizio l’offensiva più grande che ancora si
abbia avuto. La piana dell’Isonzo è un vivaio d’uomini e di artiglierie. Noi
siamo concentrati su Latisana ma è imminente uno sbalzo in avanti - certo in
settimana. Il comando ha deciso l’impiego a cavallo - ci porteranno dietro le
prime linee e appena le fanterie avranno sfondato le trincee nemiche noi
saremo scagliati alla cieca nei varchi. (…) Quando finirà questa storia - è tre
anni che si combatte - tre anni che mi tramuto da fienili in trincee che non
mangio che non dormo. L’ambiente in cui vivo è un semenzaio d’idioti.
Mentre vicino a noi si ode tuonare il cannone i reggimenti della I Divisione di
cavalleria fanno manovre con cartucce a salve e sfilano in parata come al
22
Cfr. ad esempio P. MELOGRANI, Storia politica… cit., pp. 284-286.
23
Ibid., pp. 288-289.
24
Ibid., pp. 290-292; per la citazione p. 292.
25
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 28 luglio 1917, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/69.
Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini
373
tempo del grande Federico. E noi che per il paese soffriamo - chi siamo? - I
fessi, i fessi che lavorano, che fanno la guerra, che si fanno ammazzare e tutto
questo per 180 franchi al mese. Gli esonerati, gli imboscati invece ingrassano,
si divertono fanno i milioni e son fatti cavalieri. Ecco l’umana giustizia ».
Quella che fu l’undicesima battaglia dell’Isonzo, iniziata il 17 agosto, mirava
a consolidare le conquiste italiane sulla riva sinistra dell’Isonzo, rese incerte
dal permanere in mano austriaca della testa di ponte di Tolmino, nel nord
dell’Isonzo, anche dopo la decima battaglia. L’undicesima battaglia investì
tutto il fronte orientale, anche se il concentramento degli sforzi avvenne nel
nord, ove operava la 2ª armata, che doveva assumere il controllo dell’altopiano della Bainsizza, a nord est di Gorizia. Giorgio Schiff Giorgini si trovava
nella parte più meridionale, con la 3a armata, il cui obiettivo era raggiungere
Comen, località situata una ventina di chilometri a nord di Trieste (ma essenzialmente la volontà era di tenere impegnate le truppe austriache, impedendone lo spostamento verso nord). Della battaglia abbiamo una testimonianza
preziosa in una lettera scritta da « al di là dell’Isonzo » alla madre: « lasciammo il Tagliamento la notte sul 15. Oltrepassato l’Isonzo dopo 16 ore di marcia
siamo in posizione di attesa in prossimità di dove fui ferito l’anno scorso.
Intorno a noi infuria la battaglia - la più colossale la più tremenda che mai si
sia combattuta. Lascio ai Barzini 26 il compito della descrizione; pensa solo
che per quanto queste possano essere iperboliche non saranno mai che un
pallido ritratto della realtà. Si ha l’impressione che l’Austria sia alle estreme
risorse - i prigionieri sono in pietosissimo stato - con gli abiti a brandelli,
denutriti, terrificati - vecchi cadenti combattono a fianco di giovani imberbi.
Ho parlato stamani con un vecchio Bosniaco prigioniero. Sono quattro anni,
mi ha detto - che lotto - dalla Serbia ai Carpazi, dalla Galizia all’Isonzo non
ne potevo più. Ha quasi pianto di gioia rivedendo il pane. In Austria non ne
esiste più - chiamano pane un’amalgama pietrosa di ceci e frumentone. Sul
Carso la resistenza è tenace ma non così più a nord - presto sentirete grandi
cose. Squadroni di cavalleria sull’altopiano di Bainsizza - è buon segno » 27.
Matilde, non a torto vista l’imminenza della rotta di Caporetto, commenta, con
un appunto sulla lettera: « vane speranze ». In realtà la battaglia, che fu effettivamente la più imponente delle battaglie dell’Isonzo, e costò agli italiani
40.000 morti, 108.000 feriti e 18.000 prigionieri (ancora maggiori le perdite
austriache) non portò al raggiungimento di alcuno dei risultati voluti, e quanto
faticosamente conquistato sarebbe stato di li a breve rapidamente perduto con
la sconfitta di Caporetto. Ancora una volta però possiamo riscontrare come le
parole di Giorgio fossero espressione di un comune sentire, riflesso del resto
26
Luigi Barzini era il più famoso dei corrispondenti di guerra, ma anche uno tra i più detestati dai soldati per la retorica e la mistificazione dei suoi scritti: i soldati si inventarono la parola
d’ordine « se trovo Barzino, gli sparo » (cfr. P. MELOGRANI, Storia politica… cit., p. 324).
27
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 24 agosto 1917, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/70.
374
Emilio Capannelli
delle difficili condizioni in cui versava l’esercito austro-ungarico (e coincidente con quanto appena detto in termini generali) 28.
Già meno di un mese dopo (14 settembre) una lettera di Giorgio rivela
uno stato d’animo assai meno ottimista (e anche in questo caso, come sopra
illustrato, comune a tanti combattenti): « attendiamo ancora - sotto l’acqua e
sotto il tiro - in un lurido borgo ridotto dai bombardamenti un cumulo di
macerie e dall’uomo un cumulo di immondizie. Sono moralmente e fisicamente stanco. È cosa insopportabile soffrire i disagi della guerra avendo coscienza
dell’inutilità del sacrificio. La nostra pestilenziale cucina mi ha definitivamente rovinato ed ho mal di stomaco in permanenza. Mi sono corazzato di pazienza e di calma e tiro avanti. Dusmet il più caro amico che avessi al reggimento è stato trasferito in fanteria; sarà credo col tempo la sorte di noi
tutti » 29. Ed il 4 ottobre, dopo essere stato nominato comandante degli Arditi
del reggimento: « Le nostre belliche imprese sono finite e siamo sulla via del
ritorno. Marciamo da quattro giorni ed ora siamo fermi all’orlo della laguna
lungo la Livenza. Quanti disagi, quanti pericoli, quante fatiche inutili abbiamo
sofferto in questi mesi? Resteremo qua a far compagnia alle zanzare e alle
ranocchie un mese, così almeno si dice e prenderemo poi i quartieri invernali
nella zona fra Padova e Vicenza » 30. Il 7 ottobre, al termine di una licenza,
probabilmente da Firenze: « Questa sera alle 2 riprenderò la via dell’esilio.
Non ne posso più. Ti prego cerca se puoi (…) trovarmi un posto da passar
l’inverno tranquillo » 31.
Appena rientrato al reggimento deve andare nei pressi di Udine: il 12 ottobre comunica infatti: « Nella mia qualità di ardito comandante la truppa
d’assalto sono stato mandato in linea per un breve periodo di addestramento sono tra la neve e il fango e il fuoco (…) Fra una settimana ritorneremo sulla
Livenza da dove spero di poter venire qualche giorno in licenza » 32.
28
La memorialistica del tempo è ricca di testimonianza similari; nel diario di un altro combattente, Angelo Gatti, troviamo, in data 25 maggio 1917 le seguenti parole: « Gli austriaci hanno
un esercito che si va sfasciando. Il tempo ha agito per noi. Gli austriaci sono stanchissimi: un
colonnello, comandante di reggimento, preso ieri dopo essere rimasto con 200 soldati soli, diceva
a noi “Ma come fate ad avere ancora voglia di combattere? Noi non ne possiamo più” », A.
GATTI, Caporetto. Dal diario di guerra inedito (maggio-dicembre 1917), a cura di ALBERTO
MONTICONE, Bologna, Il Mulino, 1964, p. 33, riportato in P. MELOGRANI, Storia politica… cit.,
pp. 280-281, che fa anche alcune interessanti annotazioni sullo stato d’animo critico del multietnico esercito austroungarico e su numerosi casi di diserzione delle sue truppe.
29
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 14 settembre 1917, in AS FI, Schiff
Giorgini / Montignoso, 146/71.
30
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 4 ottobre 1917, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/72.
31
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 7 ottobre 1917, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/73 (le sottolineature sono nel testo); in un suo appunto la madre Matilde
annotò sulla lettera « Le lettere che scrive durante l’ottobre sono quelle di uno che non ne può più ».
32
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 12 ottobre 1917, in AS FI, Schiff Giorgini / Montignoso, 146/74.
Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini
375
Invece, proprio mentre si era determinato un clima generale di allentamento della tensione nella presunzione di una sospensione invernale delle
operazioni militari (nonostante vi fossero voci di un’imminente offensiva
nemica), il 24 ottobre austriaci e tedeschi iniziarono congiuntamente l’offensiva detta Waffentreue (della fratellanza d’armi), sferrato anche nel timore che
un nuovo attacco italiano risultasse esiziale per le estenuate forza austroungariche. Lo sforzo organizzativo messo in atto era stato notevole, sia a
livello di uomini (furono fatte pervenire sul fronte carsico altre quattordici
divisioni, sette delle quali tedesche) che di armamenti (il numero delle artiglierie fu raddoppiato). L’attacco colse di sorpresa le difese italiane, di cui
furono aggirate la prima e la seconda linea, costringendo il grosso dell’esercito ad una precipitosa ritirata: ebbe inizio così la rotta di Caporetto che, come
è noto, portò a porre il fronte sulla linea del Piave e sul Monte Grappa ove gli
eserciti tedesco ed austroungarico furono fermati con la « Battaglia d’arresto »
(novembre-dicembre 1917).
Giorgio Schiff Giorgini, che era nel frattempo rientrato a Corbolone di
Livenza viene rinviato immediatamente al fronte, ove partecipa agli scontri al
comando di una pattuglia di esploratori; ferito nel corso dell’azione, ottenne
una seconda medaglia d’argento. Purtroppo non vi sono in archivio lettere ai
familiari scritte in questi giorni cruciali
Il 1918. — I primi mesi del 1918 videro la riorganizzazione e il riarmamento dell’esercito italiano, accompagnate anche da un miglior trattamento
dei soldati, insieme ad un’opera di propaganda. Si ebbe sul fronte nei mesi
invernali una tregua alle operazioni militari. Nel mese di maggio ricominciarono gli attacchi, che portarono gli italiani a riconquistare alcune posizioni.
Gli austriaci, che dopo il crollo della Russia zarista e della Romania, con le
paci di Brest-Litovsk (3 marzo) e Bucarest (7 maggio), avevano concentrato
tutte le loro forze sul fronte italiano, attaccarono sulla linea del Piave il 15
giugno ma, nonostante alcuni iniziali successi, furono respinti sulle posizioni
di partenza (23 giugno). Nella primavera sul fronte francese si svolsero tre
attacchi tedeschi che ottennero importanti successi senza però riuscire a
piegare la resistenza anglo-francese, mentre sempre più consistenti si fecero
gli aiuti agli alleati degli Stati Uniti. Il 15 luglio vi fu la quarta offensiva
tedesca sulla Marna che, dopo un iniziale successo, fu totalmente respinta con
gravi perdite da ambo le parti. L’8 agosto furono invece gli alleati a portare
avanti una prima vittoriosa offensiva, seguita da una più risolutiva tra il 26 e
il 29 settembre che travolse nei giorni successivi tutte le difese tedesche: l’11
novembre si arrivò all’armistizio. L’offensiva finale italiana era scattata invece
il 24 ottobre, ed il 28, con il passaggio del Piave, l’esercito italiano dilagò
nella pianura e sulle montagne del Trentino, mentre l’esercito austriaco si
dissolse; il comando austriaco iniziò le trattative per la resa incondizionata,
sottoscritta il 3 novembre.
Emilio Capannelli
376
Ripresosi dalle ferite riportate l’anno precedente, Giorgio Schiff Giorgini
trascorse a Cesena nel Cavalleggeri Roma i primi mesi dell’anno. Il 24 giugno, dopo ordine improvviso, il Reggimento partì per il fronte 33, questa volta
nella zona degli Altopiani di Asiago; per Giorgio Schiff Giorgini si trattò della
quarta partenza, anche se stavolta rimase dapprima nelle retrovie e poi nella
prima parte dell’autunno si trasferì a Vicenza, ove ad ottobre doveva sottoporsi ad una visita medica per problemi polmonari. Ma il 17 ottobre scelse
spontaneamente di effettuare una nuova partenza per il fronte; questa volta in
vista dell’offensiva finale, che porterà a Vittorio Veneto. Il tono delle lettere è
segnato dalla coscienza dell’imminente vittoria: scrisse il 17 ottobre: « Ero già
all’ospedale di Vicenza per ottenere l’aspettativa, quando avendo saputo che il
mio reggimento si portava avanti per prendere parte alla prossima grande
azione, ho rinunziato alla visita collegiale e sono ritornato al mio posto di
combattimento. Ti scrivo da Meolo - basso Piave. Fra breve inizieremo
l’avanzata e molto probabilmente nell’anniversario di Caporetto risaremo
vicini a Udine. Si dice che gli Austriaci siano prontissimi…. alla fuga. Sii
calma e tranquilla sul mio conto. Pensa piuttosto al mio prossimo ritorno - a
pace e vittoria ottenuta » 34. E il 27 ottobre: « La pioggia continua ha ritardato
l’azione ma oggi splende un bel sole e già, dai confini della Svizzera alla
laguna, tuonano migliaia di cannoni. Non ho mai visto un così enorme formidabile schieramento di truppe, tutta la pianura brulica di uomini e di cavalli,
ogni campo è un magazzino di proiettili, ogni radura un inverosimile garage.
Il corpo di cavalleria al completo è ammassato dietro alle fanterie - quando
queste avranno infranto le prime difese nemiche noi saremo lanciati all’inseguimento - obbiettivi: la Livenza, il Tagliamento, Udine ed oltre. Comando il
V° squ[adrone] di Roma - il morale dei miei uomini è altissimo e grandi cose
mi riprometto da loro. Vi sono 50 mila lire di premio a chi entra primo in
Udine (...). Quando riceverai questa lettera sarò già al di là del Piave » 35.
Dopo alcuni giorni di rapida avanzata, il 5 novembre comunicò, con un po’ di
comprensibile retorica: « Sono a Tolmezzo! A cavallo, alle calcagna del
nemico in fuga, ho volato per la pianura, ho guadato fiumi e torrenti, ho
valicato colline e montagne. Il mio squadrone ha catturato più di mille prigionieri - non è umanamente credibile quanto abbiamo goduto e sofferto. Freddo,
fame, fatica - entusiasmo di vittoria, voluttà d’inseguire. Il nostro Caporetto fu
un nulla in confronto a ciò che l’esercito austriaco sta facendo » 36. Sullo
33
Giorgio Schiff Giorgini a Roberto Schiff, 24 giugno 1918, in AS FI, Schiff Giorgini /
Cecchieri, 66/31.
34
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 17 ottobre 1918, in AS FI, Schiff
Giorgini / Cecchieri, 66/44 (la sottolineatura è nel testo).
35
Giorgio Schiff Giorgini a Roberto Schiff Giorgini, 27 ottobre 1918, in AS FI, Schiff
Giorgini / Cecchieri, 66/45.
36
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 9 novembre 1918, in AS FI, Schiff
Giorgini / Cecchieri, 66/47.
Le lettere dal fronte di Giorgio Schiff Giorgini
377
stesso tono l’11 novembre scrisse dalla Alpi Carniche, vicino al confine
austriaco: « L’armistizio ci ha fermati sulla via della Pontebba - [da] cavalleria
siamo divenuti alpini. Scendendo in Carnia da Belluno siamo riusciti a tagliare
la ritirata a due divisioni nemiche le quali da Osoppo tentavano risalire la
valle del Tagliamento e del Fella. Quasi senza colpo ferire abbiamo catturato
molte migliaia di prigionieri, cavalli, cannoni e carreggi. Eravamo in 900
contro ventimila ». Segue un rapido bilancio personale dell’esperienza bellica:
« I quattro più begli anni della vita trascorsi in luridi villaggi- Lunghe notti
passate marciando sotto l’acqua o dormendo al chiaro delle stelle » 37.
EMILIO CAPANNELLI
Soprintendenza archivistica per la Toscana
37
Giorgio Schiff Giorgini a Matilde Schiff Giorgini, 11 novembre 1918, in AS FI, Schiff
Giorgini / Cecchieri, 66/48.
MEMORIE MANZONIANE DA CASA GIORGINI
A scorrere soltanto l’elenco di consistenza di quella parte dell’Archivio
Schiff Giorgini di cui più di recente la Soprintendenza archivistica per la
Toscana ha ottenuto il deposito presso l’Archivio di Stato fiorentino (dopo
laboriose — è da immaginare — e annose trattative con gli eredi o gli aventi
titolo di proprietà) 1, tutta una folla di personaggi fa ressa alla nostra memoria
chiedendo di essere storicamente lumeggiata, di essere cioè ravvivata in
opportune scenografie d’epoca e, pur con i necessari supporti e suggerimenti
della documentazione disponibile, di essere rianimata con riscontri di testimonianze credibili. Sono i personaggi della paradigmatica (nella sociologia della
piccola aristocrazia lombarda di pieno Ottocento) e ramificata famiglia Manzoni che la grandezza e la straordinaria rilevanza letteraria di Alessandro,
l’unico membro dotato di vero e indiscutibile talento (e che talento!), ha
preservato dall’anonimato al quale altrimenti quei personaggi sarebbero stati
tutti, chi più chi meno, probabilmente destinati.
È indubbio infatti che solo la postuma e quasi mai decrescente fortuna
dell’opera manzoniana ha reso possibile, e in qualche modo giustificato, il
lavoro talvolta accanito e iper-specialistico richiesto dalla costituzione, che so,
del corpus epistolare di Enrichetta Blondel (già pubblicato nel ’74 da Giuseppe Bacci), ovvero di quello di Giulia Beccaria, esitato or sono pochi giorni nei
suoi termini pressoché definitivi per le cure di Grazia Maria Griffini 2: due
1
Sulle vicende otto-novecentesche dell’Archivio Schiff Giorgini, si veda preliminarmente
la ricostruzione fattane da P. BENIGNI, L’archivio Schiff Giorgini da scrigno di “care memorie”
a terreno di caccia di antiquari e collezionisti, in « Paragone », LI (2000), 27-28-29, pp. 146-155;
qui, sempre in argomento, si veda anche il saggio di R. P. COPPINI, Aristocratici, funzionari e
politici: la vicenda dei Giorgini (ibid., pp. 156-162) e di A. ALBERTINI, Memorie e medicamenti.
Lettere di Stefano Stampa alla sorellastra Vittoria Manzoni Giorgini (ibid., pp. 163-171).
L’elenco di consistenza fornitoci dalla Soprintendenza archivistica per la Toscana (23 pagine
dattiloscritte) descrive sommariamente 249 inserti e si accompagna ad un più ridotto (5 pagine)
Elenco del materiale Schiff Giorgini consegnato alla Soprintendenza archivistica per la Toscana
dall’avv. Giovanni Cecchieri.
2
Ci riferiamo naturalmente a E. MANZONI BLONDEL, Lettere familiari, a cura di G. BACCI,
Bologna, Cappelli, 1974 e al recentissimo G. BECCARIA, « Col core sulla penna ». Lettere 17911841, premessa di C. CARENA, a cura di G. M. GRIFFINI ROSNATI, Milano, Centro Nazionale di
Studi Manzoniani, 2001 (ma già prima, a cura della stessa studiosa, cfr. Lettere di Giulia
Beccaria Manzoni conservate nella Biblioteca Nazionale Braidense, Milano, Il Polifilo, 1974).
Memorie manzoniane da casa Giorgini
379
raccolte che dal discreto, mai ingombrante o loquace ma sicuro e non discusso
carisma della personalità manzoniana traggono le ragioni, non diremo per
esistere come tali, ma almeno per essere in grado di restituire al lettore
quel sottogusto intellettuale, quel sottile fascino, che sta nel nascondere, del
grand’uomo, fra le pieghe più trascurate del documento, una verità pur anche
piccola e forse impercettibile, ma decisiva.
Ebbene, da quella folla di personaggi minori e minimi, di parenti, sodali,
colleghi, famigli, ammiratori, fornitori, tecnici e prestatori d’opera di vario
genere che pure si incontrano in un epistolario non certo indiscreto come
quello manzoniano, nonché da quella folta ma fatale nidiata che rese affettivamente appagata (e però defatigante e breve) l’esistenza di Enrichetta, occorre risolversi a ritagliare, e quindi a staccare dal contesto, il profilo di
quattro soli di essi: sono questi ovviamente le due ultime figlie dello scrittore,
Vittoria e Matilde, nate rispettivamente nel 1822 e nel ’30 e quindi lo sposo
della prima, Giovan Battista Giorgini con la loro figlia, Matilde, nata nel ’60 e
morta in anni non lontanissimi dai nostri, nel 1940, già sposa ventenne del
professor Roberto Schiff, figlio a sua volta del più celebre Maurizio, fisiologo
di gran fama, « uno dei caporioni del materialismo tedesco » 3, per riprendere
un’espressione della consuocera Vittoria Manzoni, evidentemente spaventata
nel dover contrarre un rapporto di parentela con una famiglia tanto lontana dal
fervore giansenisteggiante dal quale era stata avvolta l’intera sua esistenza.
Tutto ha inizio per noi (che guardiamo a questa storia dall’ottica del suo
finale risultato e cioè il peculio suggestivo delle carte superstiti di un felice
connubio tosco-lombardo in aura risorgimentale e postunitaria) con il 30 aprile
1845, allorquando Vittoria, all’indomani della morte della sorella Sofia sposata Trotti, presso la quale era vissuta dopo aver lasciato diciannovenne il
collegio milanese annesso al Monastero della Visitazione, partì alla volta
della Toscana accompagnata dalla celeberrima — per i manzonisti — tante
Louise 4. Durante i lunghi anni di collegio Vittoria, oltre a patire la lontananza
3
Memorie di famiglia dal 1847 al 1892, scritte da Vittoria Giorgini Manzoni, in Manzoni
intimo, I: Vittoria e Matilde Manzoni; Memorie di Vittoria Giorgini Manzoni, a cura di M.
SCHERILLO, Milano, Hoepli, 1923, p. 155. Scrive ancora Vittoria a proposito del consuocero
Maurizio Schiff: « Questi fu chiamato nel ’61 all’Università di Pavia, ed è poi rimasto famoso a
Firenze per le sue esperienze sui cani. Adesso è a Ginevra. Quando Matildina era piccola (nel
’67-’68) noi abitavamo a Firenze, in Via S. Sebastiano, accanto al Palazzo Capponi, quasi di
faccia all’Istituto di Fisiologia. Gli ululati delle povere bestie in cura erano così strazianti e
insopportabili, specialmente durante la notte, che, dagli abitatori del vicinato, fu redatta una
regolare protesta. Il primo firmatario fu Gino Capponi, e il secondo fu Bista. Chi ci avesse mai
detto che lì di faccia a noi, e proprio fra le mura di quel terribile istituto, cresceva un ragazzo,
che una ventina d’anni dopo sarebbe diventato un figlio in casa nostra?! » (Ibidem).
4
Come è noto, Louise fu, di Vittoria Manzoni, al tempo stesso, cugina, zia e cognata; infatti Luisa Elisabetta Maria Maumary (1806-1871) era la sorella maggiore di Enrichetta Blondel
ma sposata in prime nozze con il proprio zio materno Henry Blondel dal quale rimase vedova a
ventiquattro anni. Cinque anni dopo, nel 1830, sposò Massimo d’Azeglio, a sua volta vedovo (da
appena un anno) di Giulietta Manzoni, primogenita di Alessandro e Enrichetta. Di una sua
380
Giuseppe Nicoletti
da casa, aveva dovuto apprendere, attraverso la normale corrispondenza
intrattenuta con la famiglia, dapprima la notizia della morte della madre e in
seguito, fra l’altro, quella della sorella primogenita Giulia: ora poi, scomparsa
da qualche tempo la nonna Beccaria, anche la fida Sofia le era venuta a
mancare e pertanto non aveva animo di prendere stanza, come sarebbe stato
naturale, nella casa di via del Morone, specie da quando il padre si era unito
in seconde nozze con la contessa Teresa Stampa nata Borri 5. Il cattivo stato di
salute, anzi la debolezza di petto (come dopo qualche tempo anche per Matilde) fu la ragione prima di un trasferimento che si era ritenuto temporaneo in
ragione del suo carattere terapeutico 6. È noto invece che il destino di Vittoria
si compì pressoché interamente in terra di Toscana, tra Pisa, Firenze, Siena e
le ville di Montignoso e Massarosa dei Giorgini; Vittoria, da tempo unica
superstite della sfortunata nidiata scodellata dall’affranta Enrichetta, sarebbe
morta settantenne nel 1892, sedici anni prima di Bista, il marito, e trentasei
dopo la sorella Matilde la quale, raggiuntala in Toscana nel ’46, venne poi a
morte ad appena ventisei anni, a casa di Vittoria appunto, a Siena, dove i
Giorgini si erano trasferiti a seguito dello spostamento in quella città, da Pisa,
della Facoltà di giurisprudenza nel cui corpo accademico il Giorgini da tempo
presunta relazione con Giuseppe Giusti accenna (per smentirla) Vittoria nelle sue Memorie dove
traccia della zia un ritratto assai convincente senza peccare di malevolenza: « Buona di fondo,
caritatevole, generosa, coraggiosa; piena d’ingegno, di spirito e di cuore, bella, elegante, di una
rara distinzione, era di piacevolissima compagnia quando voleva: ma non sempre si trovava ad
essere di buon umore: aveva una certa irrequietezza, era ombrosa, gelosa, e nelle sue cattive
giornate poteva riuscire assai disaggradevole (…). Del resto meritava compassione: sempre
innamoratissima di Massimo, e sempre con troppa ragione gelosa di lui, non poteva trovar pace
(…). Ho sentito ripetere più di una volta che la zia era stata l’amica di Beppe Giusti: roba da far
ridere i polli! Bisogna non aver conosciuto mai, neppur per un’ora, quelle due persone, per poter
ripetere una simile storiella (…) », ibid., pp. 111-112.
5
Si legga per analogia quanto scrive Vittoria a proposito della sorella minore Matilde,
anch’essa anni dopo, all’uscita del collegio, trovatasi nella condizione di tornare nella casa del
padre felicemente risposato: « Quando ne uscì [dal collegio sito nel monastero milanese della
Visitazione], io ero fidanzata con Bista, e mi preoccupavo e mi affliggevo molto pensando alla
vita triste che la povera Matilde avrebbe dovuto condurre a Milano, nella nostra casa, fra le cui
mura la morte aveva fatta tanta strage, durante gli anni della sua dimora in convento. Non ci
trovava più, rientrandoci, le care creature che ci aveva lasciate: - le nostre allegre sorelle, la
nostra nonna amorosissima, che aveva avuta una così particolare tenerezza per lei, tutte erano
sparite (…). E donna Teresa, malaticcia e bisbetica, non avrebbe potuto davvero tener luogo di
madre - e di quale madre!… - per la povera figliola », ibid., p. 86.
6
« Le due nipotine più piccole, Vittoria e Matilde, affidate per lunghi anni alla baronessa
Cosway nel suo Istituto delle dame Inglesi di Lodi, o alle monache della Visitazione in Milano,
sembravano minacciate anch’esse dal mal di petto. Dovette soccombervi ancor prima donna
Sofia, sposata a don Lodovico Trotti, e le due sorelle minori superstiti si rifugiarono nel clima
più propizio della Toscana, ove la povera Matilde lottò invano contro l’insidia del male fino al
1856 » (G. GALLAVRESI, Saggio introduttivo, in Manzoni intimo, III. 94 lettere e 17 postille
inedite alla moglie D.A Teresa e al figliastro Stefano oltre alcune lettere di Bottelli, Ermes
Visconti, Trechi, Berchet, Rosmini, Bonghi, Tommaseo, a cura di G. GALLAVRESI, Milano,
Hoepli, 1923, p. XVI).
Memorie manzoniane da casa Giorgini
381
primeggiava. Alla sua morte Vittoria lasciava, oltre al figlio Giorgio, Matilde,
la sua ultimogenita 7, personaggio per noi inevitabile e prezioso, che delle
carte della madre, di quelle del padre Bista e della famiglia Giorgini, nonché
del tesoro delle lettere che i genitori si erano scambiate per più di un quarantennio, ovvero ancora di quelle che il nonno Alessandro aveva inviato alle
figlie e al genero e comunque di ogni altra reliquia e memoria familiare si
fece attenta conservatrice e sensibile quanto misurata editrice.
Matilde infatti come pochi coltivò la religione delle memorie familiari e
quando si trattò di pubblicare le pagine autobiografiche che la madre aveva
steso negli ultimi mesi della sua vita, nel timore di « non interessare affatto
(…) a degli estranei » e, al contempo, non volendo rischiare di « tradire (…)
l’intimità » 8 di lei, volle dapprima procedere ad una pubblicazione di limitatissima circolazione salvo poi, molti anni dopo, affidare ad uno studioso e
manzonista di rango come Michele Scherillo quella stessa edizione che così
venne ristampata tal quale nel primo tomo di un’opera a tutt’oggi preziosa e
capitale e cioè il Manzoni intimo in tre volumi curati dallo stesso Scherillo e
da Giuseppe Gallavresi. Il Manzoni intimo, uscito nel 1923 può essere considerato a buona ragione il più completo (ma non certo esaustivo) contenitore
dei materiali conservati nell’Archivio Schiff Giorgini, a quel tempo, è da
ritenere, non ancora intaccato nella sua unitaria compagine documentaria;
parliamo soprattutto dei primi due volumi, giacché il terzo, curato dal Gallavresi è essenzialmente di materia milanese, riproducendo per gran parte le
lettere del Manzoni a Teresa e poi, insieme a quelle indirizzate a Stefano
Stampa, il figliastro (come allora non si aveva tema di dire e di scrivere),
poche altre di altri corrispondenti 9. I due primi volumi curati e prefati dallo
Scherillo invece, sono cosa nostra, per così dire, e contengono, il secondo, le
lettere di Alessandro alle figlie Vittoria e Matilde pubblicate in gran parte per
la prima volta, anzi, come detta il suggestivo frontespizio, « un tesoro di
lettere inedite dirette alle figlie Vittoria e Matilde e al genero Giovan Battista
Giorgini » 10 mentre il primo riproduceva, come si è detto, le Memorie di
7
Oltre a Giorgio (1853-1899) e Matilde (1860-1940), Vittoria e Giovan Battista Giorgini
ebbero una figlia, Luisa, morta poco più che decenne nel 1857.
8
Cfr. la lettera Ai miei figlioli Ruggero e Giorgio Schiff-Giorgini che Matilde premise, insieme all’introduzione di cui si dirà, all’edizione delle Memorie materne, ora in Manzoni intimo, I
cit., p. 1.
9
10
Cfr. Manzoni intimo, III cit.
Cfr. Manzoni intimo, II. Un tesoro di lettere inedite dirette alle figlie Vittoria e Matilde e
al genero G. B. Giorgini, a cura di M. SCHERILLO, Milano, Hoepli, 1923. Si legga peraltro
l’Avvertenza del curatore: « Delle centotrentanove lettere del Manzoni alle figliuole Vittoria e
Matilde e al genero G. B. Giorgini (…) qualcuna soltanto era nota (…) donna Matilde Schiff
Giorgini (…) nell’approssimarsi della celebrazione del cinquantesimo della morte del grande suo
avo, arrendendosi alle nostre istanze, ne ha finalmente consentita, e in ogni maniera aiutata e
agevolata, la pubblicazione integrale. Anzi, per una buona metà, ne ha essa medesima eseguita la
collazione sugli autografi (…). Purtroppo nemmeno questo epistolario ha potuto interamente
salvarsi dalla devastazione degli amatori e cacciatori d’autografi; e qualche lacuna è anche qui da
382
Giuseppe Nicoletti
famiglia dal 1847 al 1892 scritte da Vittoria Giorgini Manzoni, ma certo
all’interno di una cospicua — e ormai non più separabile dal vero e proprio
testo memorialistico — cornice documentaria, dovuta alla penna altrettanto
sagace e affettuosa di Matilde Schiff Giorgini. La quale utilizzando a piene
mani l’impagabile deposito delle lettere disponibili nel medesimo archivio
scambiate, ora fra la madre e il proprio fratello Pietro, ora fra lei e il cognato
Massimo d’Azeglio e ancora quelle ricevute dalla sorella minore, ovvero ancora
quelle intercorse fra Bista e il padre Gaetano, il nonno Niccolao e i cognati o
gli amici e colleghi (di studi e di parlamento), è riuscita sia ad allargare,
specie nell’introduzione, il retrospettivo racconto della madre fino a comprendere gli anni delle sua infanzia e adolescenza, sia poi a confermare l’autorità
delle materne affermazioni o dei più rari e sempre ragionevoli giudizi con
lunghe note, materiate, appunto, di inoppugnabili citazioni epistolari 11.
L’operazione congiunta di madre e figlia (riconosciuta come tale fin nel
frontespizio del primo tomo del Manzoni intimo dove si legge la sibillina
formula « Vittoria e Matilde Manzoni / Memorie / di Vittoria GiorginiManzoni ») sortì dunque un racconto di tale forza testimoniale su casa Manzoni e di riflesso sulla personalità dello stesso pater familias, che venne da
subito segnalandosi nel quadro affollato di quella, spesso affettata, letteratura
secondaria, fiorita fin dagli anni Settanta dell’Ottocento attorno e in appoggio
alla biografia manzoniana. La vicenda di Vittoria e di Matilde, da quel momento, acquistò presso gli studiosi e i cultori di cose manzoniane un rilievo
del tutto particolare, talché non è esagerato ritenere che anche grazie a quelle
pagine memorialistiche, in anni più vicini ai nostri, il loro caso e la loro storia
abbiano attirato l’attenzione di scrittori e critici di gran nome.
Il riferimento, lo si sarà compreso, è, a tacer d’altri titoli, dapprima al libro di Natalia Ginzburg, La famiglia Manzoni, uscito da Einaudi nel 1983 e
nel quale, degli otto capitoli di cui si compone, due sono espressamente
dedicati alle nostre sorelle e, in seconda istanza, alla edizione del Journal di
Matilde curata da Cesare Garboli nel 1992. Un vero e proprio avvenimento
negli studi manzoniani quest’ultimo, e non soltanto perché per la prima volta
erano tratte dalla penombra dell’inedito quelle note di diario così fresche e
dolorose (e tanto più toccanti nella loro intelligenza letteraria e introspettiva,
in quanto dovute alla penna di una ragazza destinata, come si sa, a scomparire
deplorare » (p. VII). Circa lo stato di tali lacune, si veda quanto più di recente ha affermato la
soprintendente Paola Benigni: « Delle centotrentaquattro lettere autografe e delle altrettante copie
esistenti prima del 1908 nell’archivio Giorgini, già elencate da Donna Matilde nel suo indice,
rimanevano, infatti, al 1923, solo centoventuno autografi e centotrenta copie, insieme a tredici
buste vuote » (L’archivio Schiff-Giorgini da “scrigno di care memorie” a terreno di caccia di
antiquari e collezionisti… cit., p. 149). Naturalmente tali lettere oggi possono leggersi in A.
MANZONI, Tutte le lettere, a cura di C. ARIETI. Con un’aggiunta di lettere inedite o disperse, a
cura di D. ISELLA, Milano, Adelphi, 1986, voll. 3.
11
Nel volume Manzoni intimo I cit., mentre le Memorie di famiglia di Vittoria occupano le
pp. 83-165, la Introduzione e le Note di Matilde occupano rispettivamente le pp. 5-81 e 171-228.
Memorie manzoniane da casa Giorgini
383
precocemente) ma proprio per la consistenza della nota introduttiva, laddove
lo studioso per circa cento pagine tracciava da par suo il ritratto delle due
sorelle « toscane », entrambe ormai titolari di una loro specifica e autonoma
posizione nell’ambito della società e della cultura letteraria granducale. Ma si
lasci in proposito e per un momento la parola a Cesare Garboli e proprio nel
frangente in cui, ricordando l’intrapresa manzoniana dell’autrice di Lessico
familiare, volle rivendicare anche per Matilde « una stanza tutta per sé »: « Ci
fu un giorno una grande litigata, tra me e Natalia Ginzburg, a proposito del
libro che lei stava scrivendo sulla famiglia Manzoni. Uno dei punti in discussione era il taglio del capitolo dedicato a Vittoria e a Matilde, le due sorelle
Manzoni diventate toscane. Natalia aveva raccontato questa parte della vita
famigliare dei Manzoni mettendosi dal punto di vista di entrambe le sorelle,
unificandole, trattandole congiuntamente in uno stesso capitolo che portava il
titolo, mi sembra, “Vittoria e Matilde”. Io mi ribellai, anzi sentii le mie
viscere ribellarsi. Mi parve di vedere Matilde, ancora una volta, sacrificata alla
foto di gruppo, alla coppia; non una persona ma un’ombra, l’ombra della
sorella, com’era stata in vita. E riuscii a imporre a Natalia, dopo un alterco
furente che mi vide vittorioso, di dividere il capitolo in due, di ritoccare la
parte dedicata a Vittoria e di riscriverne l’incipit, dando a Matilde uno spazio,
un punto di vista diverso, una stanza, finalmente, per dirla con una voce
famosa, tutta per sé » 12.
Non è questo il luogo (né a noi compete l’ufficio) per riprendere le linee
(ahimè piuttosto travagliate) di una storia o cronistoria dell’archivio Giorgini
all’indomani della morte di Matilde Schiff Giorgini; basti qui avanzare
l’auspicio che, finalmente e fortunatamente ricondotti alla mano pubblica
questi documenti, possano in un futuro non troppo lontano ricostituirsi in un
corpus unitario e cioè fisicamente depositato in uno stesso luogo di conservazione, reso perciò come tale disponibile alla consultazione degli studiosi
(andranno escluse, naturalmente, le lettere di mano del Manzoni che la stessa
Matilde Schiff volle, con provvido gesto, donare al Centro Nazionale di Studi
Manzoniani e da questo depositate presso la Biblioteca Braidense che resta,
come è noto, il più ricco deposito di manoscritti manzoniani) 13.
12
M. MANZONI, Journal, a cura di C. GARBOLI, Milano, Adelphi, 1992, p. 62; la Prefazione è dedicata a Natalia Ginzburg la quale, a sua volta, nel suo La famiglia Manzoni, nella
paginetta dei ringraziamenti posta a mo’ di prefazione del volume, scrive: « Devo ringraziare
Cesare Garboli di avermi ascoltato, indicato alcune vie da seguire, e della sua consueta, grande,
irascibile e generosa pazienza ».
13
Informa ancora Paola Benigni in proposito: « presso la Biblioteca Nazionale Braidense
sono risultate essere in deposito, sin dal secondo dopoguerra, ma di proprietà del Centro nazionale di studi manzoniani di Milano, ben centodiciannove lettere autografe di Manzoni alle figlie,
Vittoria e Matilde, e al genero Giovan Battista più due al consuocero Gaetano, donate al Centro
il 12 aprile del 1938 da quella stessa Donna Matilde che le aveva, sino ad allora, gelosamente
custodite » (L’archivio Schiff-Giorgini da “scrigno di care memorie” a terreno di caccia di
antiquari e collezionisti… cit., p. 150).
Giuseppe Nicoletti
384
A noi, semmai, è riservato il compito di scorrere, come si diceva all’inizio, questo cospicuo elenco di manoscritti al fine di indicare in via del tutto
preliminare e provvisoria dei percorribili orientamenti di ricerca e di studio. Il
primo di essi concerne senz’altro un progetto di edizione del più cospicuo e
interessante carteggio qui presente, parliamo cioè delle centinaia di missive
che Vittoria e Bista si scambiarono nel corso del loro lungo e, per quanto è
possibile arguire, felice matrimonio 14. Sono almeno quattro gli inserti che
contengono tali lettere ma il più rilevante appare il n. 188 dove (a tener conto
dell’« Elenco di consistenza » compilato dai funzionari della Soprintendenza)
sono contenute « 419 lettere, prevalentemente di Giovan Battista Giorgini alla
moglie Vittoria » 15. Un tal numero di pezzi, pur allo stato dei fatti meramente
indicativo, fa intendere però la rilevanza storica e la complessità umana e
psicologica di un rapporto epistolare come questo, anche considerando la
personalità e il raggio d’azione delle relazioni sociali dei due interlocutori,
nonchè gli incarichi rivestiti dal Giorgini in circostanze cruciali della storia
nazionale. Di questo carteggio qualcosa è stato già edito: nel primo tomo del
Manzoni intimo, ad esempio, sono riportati nella Introduzione III di Matilde
Schiff Giorgini brani di lettere dei due, ancora fidanzati, ma fin d’ora propensi
ad accogliere la sorella Matilde nella loro nuova casa. Bista ne parla ai suoi
per chiederne l’autorizzazione e così scrive a Vittoria il 10 agosto 1846: « Ti
sarai forse accorta che oggi sono di buon umore, ed eccomi a dirtene le
ragioni. Il progetto di prender Matilde con noi, del quale ho parlato oggi a
tavola, non solo non ha provocata nessuna obiezione, ma è stato subito approvato, lodato, raccomandato dal nonno e da Giannina, che hanno trovata ottima
l’idea di tenere accanto a te una persona della tua famiglia. Sai bene che io
non ti metto di mezzo, e gioco con te a carte scoperte: dunque ti dirò che io
stesso son rimasto sorpreso di una riuscita così pronta e così facile in un
affare, di cui non dubitavo, ma per il quale credevo che avrei dovuto mettere
in opera un po’ della mia abilità (…) » 16. Un altro gruppetto di lettere paterne
14
Fin dal tempo del loro fidanzamento, Vittoria e Bista Giorgini, oltre ad osservare una fitta cadenza nel loro carteggio, solevano gratificarsi reciprocamente manifestand
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RASSEGNA DEGLI ARCHIVI DI STATO