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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLIV n. 9 (46.551)
Città del Vaticano
lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014
.
Nell’udienza al corpo diplomatico il Papa invoca soluzioni negoziali ai conflitti in corso e denuncia le tragedie legate alla fame, all’aborto, alla tratta di esseri umani e alle migrazioni
La strada maestra
E domenica all’Angelus ha annunciato la nomina di diciannove cardinali nel concistoro del 22 febbraio
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Politica
papale
Lo sguardo ampio e il cuore largo
che devono caratterizzare il servizio dei cardinali della Chiesa di
Roma e che Papa Francesco raccomanda esplicitamente in una
lettera scritta di suo pugno sono
gli stessi che percorrono il tradizionale discorso al corpo diplomatico, cioè al mondo intero. Un
discorso che richiama alla mente
una perfetta espressione del lungo
appunto che Paolo VI stese a Castel Gandolfo il 5 agosto 1963,
poche settimane dopo l’elezione,
quasi un programma spirituale
del pontificato appena iniziato:
«Iniziativa sempre vigilante al bene altrui: politica papale».
E la politica papale nasce, ha
voluto sottolineare Francesco, dal
suo «cuore di pastore» e dall’attenzione «alle gioie e ai dolori
dell’umanità», parole che riecheggiano l’inizio di uno dei più celebri documenti del concilio, la
Gaudium et spes. Subito questa attenzione è andata alla famiglia,
che deve assomigliare a quella di
Gesù appena nato: una comunità
aperta a tutti dove si possa imparare la fraternità.
Il vescovo di Roma non si nasconde certo le difficoltà che la
famiglia deve oggi affrontare,
dall’indebolimento del senso di
appartenenza a condizioni troppe
volte precarie, e chiede per questo
politiche che la sostengano e la
consolidino. E ancora una volta il
Papa ha appuntato l’attenzione
sulla debolezza di due fasce della
società — gli anziani e i giovani —
di fatto emarginate da una cultura dell’effimero che finisce per
esaurirsi in un consumo avido e
miope che mette a rischio il futuro stesso di molte società.
È questa chiusura che va combattuta a favore di una cultura
dell’incontro. Così in Siria, dove
quotidianamente la guerra semina
distruzione, atrocità e morte. La
giornata di digiuno e di preghiera
indetta dal Papa in settembre è
stata importante e ha suscitato
consensi inattesi, ma su questa
strada è ora urgente una «volontà
politica comune» per porre fine
al conflitto, mentre si avvicina la
conferenza di Ginevra. E mentre i
diplomatici ascoltavano il discorso papale, proprio sulla tragica situazione siriana alla Pontificia accademia delle scienze si teneva un
seminario a porte chiuse.
Nel panorama internazionale,
alle preoccupazioni per le tensioni e le violenze in Libano, Iraq
ed Egitto, in Africa e in Asia, fanno tuttavia riscontro positivo gli
sforzi per assistere milioni di profughi in fuga dalla Siria, nello
stesso Libano e in Giordania e i
progressi sulla questione nucleare
iraniana. È questa la strada maestra che la Santa Sede non si
stanca di indicare, attiva da oltre
un secolo sulle frontiere della pace. Per questo si adoperò Benedetto XV contro l’«inutile strage»
provocata dal tremendo conflitto
mondiale, al cui centenario si è
così riferito Papa Francesco.
Con fiducia, ostinatamente, il
Pontefice segnala ogni spiraglio
positivo, ma non nasconde la denuncia di ricorrenti e persistenti
tragedie che continuano a mietere
innumerevoli vittime, soprattutto
tra i bambini. A causa della fame,
dell’aborto, della guerra, della
tratta di esseri umani, «delitto
contro l’umanità». La pace — ripeteva Paolo VI ricordato oggi dal
suo successore — non è infatti solo assenza di guerra e «si costruisce giorno per giorno». Ma per
questo è necessario il contributo
di tutti, senza distinzioni.
g.m.v.
Non ci sono alternative: la strada maestra per
la pace è «quella diplomatica del dialogo». Lo
aveva già affermato Benedetto XV nella sua
Lettera ai capi dei popoli belligeranti il 1° agosto
del 1917 durante la prima guerra mondiale. Lo
ha ripetuto Papa Francesco questa mattina, lunedì 13 gennaio 2014 — a cento anni dall’inizio
di quel catastrofico evento — rivolgendosi ai
membri del corpo diplomatico accreditato
presso la Santa Sede, ricevuti nella Sala Regia
per il tradizionale incontro all’inizio dell’anno
nuovo.
Un discorso ampio, quello del Pontefice,
nel quale, accanto al triste elenco delle principali tragedie che sconvolgono popoli e nazioni
— il quadro delineato da Papa Francesco ha
spaziato dalla Siria all’intera regione mediorientale, dall’Africa all’Asia, senza trascurare le
«ferite alla pace» inferte dalla tragedia della
fame, dal dramma dell’emigrazione, dalle con-
seguenze delle catastrofi ambientali, dalle moderne forme di schiavitù come la tratta degli
esseri umani — ci sono indicazioni precise per
seguire quel cammino che finalmente può condurre a una pace stabile e duratura. A partire
dalla famiglia, il cui modello dovrebbe ispirare, ha detto il Papa, la nascita di una comunità
aperta, nella quale ci sia spazio per tutti,
anziani e giovani, poveri e ricchi, vicini e lontani.
All’Angelus di ieri, domenica 12, solennità
del Battesimo del Signore, Papa Francesco
aveva annunciato che nel concistoro del prossimo 22 febbraio nominerà 19 cardinali. E poco
prima, nella cappella Sistina, aveva battezzato
32 neonati, presentandoli come i nuovi anelli
di quella catena, mai interrotta, che unisce i
cristiani al battesimo di Gesù.
PAGINE 7
Incontro a Parigi tra Brahimi, Kerry e Lavrov
La tensione spirituale di Kandinsky
Ore cruciali per la conferenza sulla Siria
Nelle profondità dell’anima
PARIGI, 13. Restano incerte le possibilità di successo della conferenza
internazionale di pace sulla Siria,
promossa congiuntamente dall’O nu,
dagli Stati Uniti e dalla Russia e
prevista per il 22 gennaio prima a
Montreux e poi a Ginevra. Oggi si
incontrano a Parigi l’inviato dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar
Brahimi, il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli
Esteri russo, Serghiei Lavrov, per
cercare di sciogliere i nodi che ancora sussistono.
Kerry, dopo una riunione tenuta
ieri, sempre a Parigi, del gruppo
Amici della Siria, formato da undici
Paesi che sostengono l’opposizione
al presidente Bashar Al Assad, si è
detto ottimista sulla partecipazione
alla conferenza dell’opposizione stessa, peraltro formata da gruppi in diversi casi in lotta tra loro, oltre che
contro le forze governative. L’unico
riferimento degli Amici della Siria,
però, resta la Coalizione nazionale
siriana, che riunisce solo parte degli
oppositori di Assad, presente a
Parigi con il suo presidente Ahmad
Jarba.
Anche la presenza delle delegazioni internazionali resta incerta, soprattutto riguardo alla partecipazione dell’Iran, principale alleato mediorientale del Governo di Damasco,
alla quale si oppongono soprattutto
gli Stati Uniti e alcuni Paesi
dell’area come Arabia Saudita, Qatar
e Turchia. Di contro, la Russia ne ritiene indispensabile la presenza, e lo
stesso Segretario generale dell’O nu,
Ban Ki-moon, è favorevole, pur
avendola per il momento esclusa
dalla lista dei Paesi invitati.
E
8
A PAGINA
4
Vassily Kandinsky, «Su bianco II» (1923, particolare)
LUCETTA SCARAFFIA
NOSTRE INFORMAZIONI
In data 12 gennaio, il Santo Padre ha accettato la
rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Soddo (Etiopia), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Rodrigo
Mejía Saldarriaga, S.I., in conformità al canone
401 § 1 del Codice di Diritto Canonico.
Gli succede Sua Eccellenza Reverendissima
Monsignor Tsegaye Keneni Derara, Coadiutore
del medesimo Vicariato Apostolico.
Erezione di Esarcato Apostolico
e relativa Provvista
Piccoli profughi siriani in territorio turco (Afp)
In data 13 gennaio, il Santo Padre ha eretto
l’Esarcato Apostolico per i fedeli maroniti residenti nell’Africa Occidentale e Centrale, con sede
ad Ibadan (Nigeria), e ha nominato il Reverendo
Simon Faddoul, finora Presidente di Caritas-Liban, all’ufficio di primo Esarca Apostolico, senza
carattere episcopale.
Nomine di Visitatori Apostolici
In data 13 gennaio, il Santo Padre ha nominato
il medesimo Esarca Apostolico, Reverendo Simon
Faddoul, all’ufficio di Visitatore Apostolico per i
fedeli maroniti nell’Africa Meridionale.
In data 13 gennaio, il Santo Padre ha nominato
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Georges Chihane, Vescovo Eparchiale del Cairo e del
Sudan dei Maroniti, all’ufficio di Visitatore Apostolico per i fedeli maroniti residenti nei Paesi del
Nord Africa non compresi nel suo territorio eparchiale.
In data 13 gennaio, il Santo Padre ha nominato
Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Basile
Georges Casmoussa, Arcivescovo emerito di Mossul (Iraq) e Vescovo della Curia Patriarcale SiroCattolica, all’ufficio di Visitatore Apostolico per i
fedeli Siri residenti in Europa Occidentale.
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Elezioni tra due settimane
Decine di migliaia di persone si sono riversate oltre i confini del Paese precipitato nella guerra civile
Incerta tregua
a Bangui
dopo la svolta
politica
Sud Sudan dei profughi
Firma
di un accordo
tra la Santa Sede
e la Repubblica
del Camerun
pagina 2
BANGUI, 13. Un’incerta tregua tra
le milizie che si fronteggiano nella
Repubblica Centroafricana si registra nella capitale Bangui dopo la
svolta
politica,
accompagnata
dall’annuncio di elezioni tra due
settimane, realizzata con la rimozione dal potere dei principali leader della Seleka, la coalizione ex
ribelle che nel marzo scorso aveva
rovesciato il presidente François
Bozizé. I Paesi della Comunità
economica dell’Africa centrale
(Ceeac) avevano ottenuto venerdì
scorso, durante un vertice nella
capitale ciadiana N’Djamena, le
dimissioni del leader della Seleka,
Michel Djotodia, che si era autoproclamato presidente, e del suo
primo ministro, Nicolas Tiangaye.
Djotodia è andato in esilio in Benin direttamente da N’D jamena,
mentre alcune fonti danno Tiangaye per rientrato in patria.
Ad assumere la guida del Paese
ad interim è stato Alexandre Ferdinand Nguendet, il presidente
del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), una sorta di Parlamento insediato dopo il colpo di
Stato. Tutti i 135 esponenti del
Cnt erano stati portati a N’D jamena per avallare la svolta.
Come primo atto ufficiale da
presidente ad interim, ieri Nguendet ha visitato l’immenso campo
sfollati di Mpoko, all’aeroporto di
Bangui, dove ha esortato le centomila persone lì riparate a tornare a
casa, impegnandosi a garantire la
loro sicurezza.
In base all’impegno preso con
la Ceeac e e già formalizzato dalla
Corte costituzionale di Bangui,
entro 15 giorni Nguendet deve organizzare l’elezione del futuro
presidente di transizione. Da oggi
si stanno tenendo consultazioni
con rappresentanti dei partiti politici e della società civile per stilare
una lista di possibili candidati.
Tra i nomi più accreditati circolano quelli di alcuni generali: Gailloty Bibanga, finora capo di stato
maggiore della Ceeac, Parfait
Mbaye, già ministro degli Esteri, e
il colonnello Anicet Saulet, attuale
ambasciatore al Cairo. Tra i politici si parla dell’ex ministro degli
Esteri Karim Meckassoua, dell’ex
ministro della Difesa Jean-Jacques
Demafouth e dell’ex ministro
dell’Amministrazione territoriale
Josué Binoua, mentre non viene
esclusa una conferma dello stesso
Nguendet. In lizza sembrano però
esserci anche esponenti della società civile, a partire da due donne: Beatrice Epaye, da anni in prima linea a favore dei bambini di
strada, e l’attuale sindaco di Bangui, Catherine Samba Panza.
Civili sudsudanesi ammassano i loro averi nei pressi della missione Onu a Juba (LaPresse/Ap)
JUBA, 13. Decine di migliaia di persone si sono riversate oltre i confini del Sud Sudan, precipitato
da un mese a questa parte nella guerra civile tra
le forze fedeli al Governo guidato dal presidente
Salva Kiir Mayardit e i ribelli che fanno riferimento all’ex vicepresidente Rijek Machar. Mentre
non si segnalano sviluppi nel negoziato aperto da
una settimana ad Addis Abeba per cercare di fermare il conflitto, l’alto commissariato dell’O nu
per i rifugiati (Unhcr) ha comunicato ieri che almeno diecimila persone hanno varcato la frontiera settentrionale, quella con il Sudan.
La cifra, fornita dal responsabile dell’Unhcr a
Khartoum, Nicolas Brass, si aggiunge a quella
dei 33.000 rifugiati già registrati in Uganda — ma
la Croce rossa locale parla di già 46.000 — e degli
oltre diecimila in Etiopia e Kenya e sembra purtroppo destinata ad aumentare. Brass ha precisato
che la maggior parte dei profughi arrivati in Sudan sono donne e bambini, ai quali serve tutto,
dall’acqua al cibo, dalle medicine a un qualsiasi
riparo. Già due giorni fa, inoltre, l’Unhcr aveva
paventato che il numero di sfollati interni in Sud
Sudan possa quasi raddoppiare nei prossimi mesi,
passando dai 232.000 attuali a oltre 400.000 entro aprile.
Ad Addis Abeba, nel frattempo, si protrae lo
stallo nel negoziato originariamente convocato
dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo
(Igad), un organismo che raccoglie sei Paesi, ma
nel quale sono subentrate poi in veste di mediatori l’Unione africana e soprattutto la Cina, prin-
L’inverno mediterraneo
non ferma i migranti
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Costituite municipalità serbe
nel nord del Kosovo
PRISTINA, 13. Dopo giorni di polemiche e rinvii, si sono ieri tenute le
prime riunioni costitutive delle
quattro municipalità serbe del nord
del Kosovo, scaturite dalle elezioni
del 3 novembre e primo dicembre
scorsi (con i turni di ballottaggio).
Le cerimonie inaugurali delle
nuove amministrazioni comunali,
tutte a porte chiuse, si sono tenute
nel settore nord (serbo) di
Kosovska Mitrovica, a Zvečan,
Zubin Potok e Leposavić — i quattro centri principali del nord del
Kosovo a maggioranza serba.
Ieri era il termine ultimo per tenere le prime riunioni delle quattro
Una cartolina
arriva
dopo 44 anni
BERLINO, 13. Dopo ben quarantaquattro anni, è arrivata a destinazione una cartolina-concorso spedita nel 1969 dalla Ddr, l’ex Germania dell’Est, da un giovane studente di diciotto anni, Günter
Zettl, allora residente nella regione orientale del Meclemburgo,
che voleva partecipare ad un concorso radiofonico dell’emittente
occidentale Saarbrücker Rundfunk (Sr), nella Saar. Nel 1969, il
ragazzo aveva ascoltato sulle onde
medie la trasmissione Europawelle, indovinando il titolo della canzone «Painter Man». La cartolina
fu però intercettata dal ministero
per la Sicurezza dello Stato, ovvero la Stasi — la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio
della Ddr — e finì nei suoi archivi.
Anche se la trasmissione di allora
non esiste più da 40 anni, la Sr ha
deciso di dedicare una trasmissione speciale a Zettl il 14 gennaio,
invitandolo in studio insieme alla
sua famiglia.
cipale acquirente del petrolio sudanese e sudsudanese. All’Igad continua invece a fare riferimento la diplomazia statunitense, che sta a sua volta
aumentando l’impegno nella vicenda. Un comunicato dei ribelli ha reso noto ieri che c’è stato un
incontro, in una località segreta, tra Rijek Machar
e l’inviato statunitense in Sudan e Sud Sudan,
Donald Booth. Sull’incontro non sono stati forniti particolari, ma tra i temi in discussione dovrebbe esserci stato il motivo principale dello stallo
negoziale, cioè la questione degli oppositori arrestati dal Governo di Juba e accusati di complotto
e di tentativo di colpo di Stato. Sabato, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva chiesto a Salva
Kiir Mayardit di liberarli per favorire la conclusione del conflitto.
entità amministrative, in caso contrario si sarebbe andati alla ripetizione del voto. Alla fine, grazie alla
mediazione di Ue e Osce, si è riusciti a trovare un compromesso, superando i contrasti fra Kosovo e
Serbia, che avevano provocato un
rinvio già il 24 dicembre. Si è deciso di coprire con degli adesivi i
simboli statali del Kosovo presenti
sui documenti ufficiali firmati nelle
cerimonie, per venire incontro alle
richieste di Belgrado, che non riconosce l’indipendenza di Pristina e
non ammette bandiere o altri simboli statali di quella che considera
ancora una provincia serba.
Ancora proteste
a Kiev
Migranti soccorsi dalla marina militare italiana (Ansa)
LAMPEDUSA, 13. Le difficili condizioni del mare non stanno fermando i drammatici viaggi nel Mediterraneo di migliaia di persone dirette
verso le coste europee e in particolare italiane. Dall’inizio dell’anno,
in meno di due settimane, sono già
1.500 i profughi e migranti soccorsi
dalla Marina italiana. Ieri la nave
San Marco ne ha tratti in salvo 236
da un barcone alla deriva a circa 80
miglia marine da Lampedusa, mentre sono ancora in corso nella stessa
zona le operazioni di assistenza a
un altro barcone con circa 200 persone. Le 236 persone soccorse dalla
San Marco, compresi 39 bambini e
ragazzi e 30 donne, due delle quali
incinte, provengono da Siria, Senegal, Gambia, Territori palestinesi,
Guinea, Ghana e Costa d’Avorio.
Tutte appaiono in buone condizioni
di salute e sono state trasferite sul
pattugliatore Libra, atteso stamane
nel porto di Augusta.
Avevano invece tentato la traversata su una barca a vela sette siriani
e cinque pakistani, compresa una
giovane in avanzato stato di gravidanza, soccorsi sempre ieri a sud di
Gallipoli, in Puglia, dalla Guardia
costiera italiana, dopo un allarme
lanciato da quella greca.
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
TIPO GRAFIA VATICANA
EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO
Carlo Di Cicco
don Sergio Pellini S.D.B.
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
direttore generale
KIEV, 13. Oltre cinquantamila persone si sono radunate ieri dietro le
barricate a Kiev, nell’ottava domenica di manifestazioni di massa
contro la decisione del Governo
ucraino di congelare un accordo di
associazione e libero scambio con
l’Ue per riavvicinarsi a Mosca. E
mentre la protesta si riaccende,
l’opposizione torna a chiedere a
Washington e a Bruxelles sanzioni
personali contro i membri del Governo.
Secondo alcuni osservatori, a rianimare la protesta sono stati gli
scontri tra manifestanti e polizia di
venerdì notte davanti a un tribunale
di Kiev, dove sono rimasti feriti circa venti agenti e altrettanti dimostranti. Tra loro l’ex ministro dell’Interno del Governo di Yulia
Tymoshenko, attualmente in carcere, Iuri Lutsenko, finito in terapia
intensiva per una commozione cere-
Servizio vaticano: [email protected]
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Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998
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brale dopo uno scontro con le teste
di cuoio.
La situazione è degenerata dopo
che il tribunale di Sviatoshin ha
condannato a sei anni di reclusione
tre nazionalisti accusati di aver progettato di far saltare in aria una statua di Lenin. I dimostranti hanno
usato gas lacrimogeni e lanciato
pietre contro gli agenti, che a loro
volta hanno colpito i dimostranti
con violente manganellate e hanno
anche loro usato i gas lacrimogeni.
Per queste violenze e per quelle
delle settimane precedenti, il leader
del partito Udar, Vitali Klitschko, è
tornato a chiedere ai leader europei
di esaminare al più presto la richiesta di imporre delle sanzioni personali contro il presidente Ianukovich
e «coloro che rappresentano la spina dorsale del suo regime». La stessa richiesta è stata avanzata anche a
Washington.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
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Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Lunedì 13 gennaio 2014, nella sede
del Ministero degli Affari Esteri
della Repubblica del Camerun a
Yaoundé è stato firmato l’Accordoquadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Camerun sullo statuto
giuridico della Chiesa cattolica nel
Camerun.
Per la Santa Sede ha firmato
l’Ecc.mo Mons. Piero Pioppo, Arcivescovo titolare di Torcello e
Nunzio Apostolico in Camerun, e
per la Repubblica del Camerun
S.E. il Sig. Pierre Moukoko
Mbondjo, Ministro degli Affari
Esteri.
Hanno partecipato al solenne
atto:
da parte ecclesiastica: S.E. il
Sig. Cardinale Christian Tumi, Arcivescovo emerito di Douala; S.E.
Mons. Samuel Kleda, Arcivescovo
di Douala e Presidente della Conferenza Episcopale; S.E. Mons.
Antoine Ntalou, Arcivescovo di
Garoua; S.E. Mons. Cornelius
Fontem Esua, Arcivescovo di Bamenda; S.E. Mons. Joseph Atanga, S.I., Arcivescovo di Bertoua;
S.E. Mons. Jean Mbarga, Vescovo
di Ebolowa e Amministratore
Apostolico di Yaoundé; e il
Rev.do Ervin Lengyel, Segretario
della Nunziatura Apostolica in
Camerun;
da parte statale: il Sig. René
Emmanuel Sadi, Ministro di Stato, Ministro dell’Amministrazione
Territoriale e della Decentralizzazione; il Sig. Joseph Dion Ngute,
Ministro Delegato presso il Ministro degli Affari Esteri, incaricato
della
collaborazione
con
il
Commonwealth; il Sig. Adoum
Gargoum, Ministro Delegato presso il Ministro degli Affari Esteri,
incaricato della collaborazione con
il mondo islamico; il Sig. Félix
Mbayu, Segretario Generale del
Ministero degli Affari Esteri; e
S.E. il Sig. Antoine Zanga, Ambasciatore della Repubblica del Camerun presso la Santa Sede.
L’Accordo, costituito da 9 articoli, disciplina le relazioni fra la
Chiesa e lo Stato, i quali, nel quadro dell’indipendenza e dell’autonomia di ciascuno, si impegnano
ad operare insieme per il benessere morale, spirituale e materiale
della persona umana e per la promozione del bene comune. Esso è
entrato in vigore all’atto della firma, ai sensi dell’articolo 9 dell’Accordo medesimo.
Legislative
in Madagascar
vinte dalle forze
al potere
ANTANANARIVO, 13. Le forze al
potere da quasi cinque anni in
Madagascar — dopo il colpo di
Stato, guidato dall’allora sindaco
di Antananarivo e attuale capo
della transizione, Andry Rajoelina,
che rovesciò il presidente Marc
Ravalomanana — sono accreditate,
in base ai dati provvisori, della
vittoria nelle elezioni dello scorso
20 dicembre. Secondo la commissione elettorale, infatti, 53 dei 151
seggi del Parlamento sono da assegnare alla coalizione Mapar (letteralmente: con il presidente
Andry Rajoelina), contro i 30 delle forze vicine a Ravalomanana.
Gli altri 68 erano candidati di piccole formazioni politiche o indipendenti. A questo punto il tribunale elettorale speciale ha un mese
per esaminare i ricorsi e proclamare i risultati definitivi.
Rajoelina non ha potuto candidarsi nelle contemporanee presidenziali — vinte, sempre in base a
dati provvisori, dal suo candidato
Hery Rajaonarimampianina — ma
la Mapar ha annunciato che intende designarlo primo ministro.
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pagina 3
Secondo Obama si tratta del primo passo verso un accordo globale
Decine di vittime in una sola giornata di attentati
Scatta l’applicazione dell’intesa
sul nucleare iraniano
Violenze a Baghdad
WASHINGTON, 13. A più di un mese
e mezzo dall’accordo provvisorio firmato a Ginevra sul nucleare iraniano, è stato confermato ufficialmente
che l’applicazione dell’intesa scatterà dal prossimo 20 gennaio. Come
sottolineato dal presidente degli
Stati Uniti, Barack Obama, si tratta
di un progresso concreto che però
non consente di nutrire eccessive il-
L’ultimo
saluto di Israele
al generale
Sharon
TEL AVIV, 13. Israele dà l’ultimo
saluto al generale Ariel Sharon,
ex primo ministro, deceduto sabato scorso. Ieri la bara con il
corpo di Sharon è stata portata a
Gerusalemme. Questa mattina,
nella piazza che ospita la Knesset
è iniziata la commemorazione funebre alla presenza di importanti
personalità internazionali. Tra
queste, il vicepresidente statunitense, Joe Biden, e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov,
che tornano a incontrarsi in una
fase di stallo dei negoziati israelopalestinesi. Alla cerimonia seguiranno i funerali di Stato, poi
il feretro di Sharon raggiungerà il
ranch dei Sicomori, dove l’ex
premier viveva, e sarà sepolto vicino alla tomba della moglie Lili.
Intanto, l’esercito ha elevato lo
stato di allerta in tutto il Neghev:
ieri un razzo Qassam è stato
esploso da Gaza in direzione del
territorio israeliano, senza causare
vittime né danni materiali.
lusioni sull’esito finale del negoziato. Su di esso continuano infatti a
incombere le sanzioni statunitensi
qualora l’Iran non dovesse rispettare
gli impegni assunti.
La data di applicazione è stata
annunciata ieri sera dalla portavoce
del ministero degli Esteri iraniano,
Marziyeh Afkham, ma era già emersa nelle settimane passate. L’annuncio ufficiale era stato però rinviato
per consentire che venissero concordate le modalità di applicazione
dell’accordo, incagliatosi fino a
qualche giorno fa sulle attività di ricerca nucleare nell’impianto iraniano di Natanz.
L’intesa prevede l’imposizione di
limiti al programma nucleare di
Teheran, in particolare il congelamento della produzione di uranio
arricchito al 20 per cento, in cambio
dell’allentamento — modesto, come
ha ribadito ieri Obama — delle sanzioni economiche. «Se l’Iran fallirà
nel mantenere i propri impegni inaspriremo le sanzioni», ha avvertito il
presidente statunitense ribadendo
però che porrà il veto al nuovo embargo su cui lavora il Congresso di
Washington. «Imporre nuove sanzioni adesso — ha detto — rischierebbe di rovinare i nostri sforzi per
risolvere pacificamente la questione».
Pur ribadendo di non nutrire eccessive illusioni e affermando di essere consapevole della difficoltà di
giungere al controllo internazionale
del programma atomico iraniano, il
presidente statunitense ha sottolineato come questa sia la prima volta
da decenni che il Governo di Teheran acconsente a fare passi indietro
su punti chiave del proprio programma nucleare.
E in base all’intesa preliminare
raggiunta a Ginevra, a partire dal I°
febbraio l’Iran riceverà la prima
tranche dei fondi congelati all’estero
dalle sanzioni internazionali. Si tratta di una somma di 550 milioni di
dollari su un totale di 4,2 miliardi.
Il resto sarà suddiviso in altri sette
versamenti, sempre legati al rispetto
degli obblighi previsti dall’accordo.
Catherine Ashton, alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue e coordinatrice del gruppo cinque più uno (Stati
Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) che negozia sul nucleare iraniano, ha sottolineato che sono state poste le «basi
per un’applicazione coerente, solida
e graduale» dell’intesa di Ginevra e
che ora all’Aiea verrà chiesto di
prendere misure per la verifica
dell’applicazione dell’accordo.
un’autobomba è esplosa davanti a un’affollata stazione
degli autobus nel distretto di Allawi, uccidendo almeno
nove persone e ferendone 16. Non è chiaro se tra le vittime ci siano anche alcune nuove reclute dell’esercito
iracheno che in quel momento si trovavano nella stazione. Un’altra autobomba, parcheggiata vicino ad alcuni
autobus e taxi nel quartiere di Hurriyah a nord della
capitale, è stata fatta esplodere e ha provocato la morte
di 4 persone. Intanto, secondo una Ong sarebbero 370
le vittime di dieci giorni di battaglia a Ramadi e Falluja
nella provincia occidentale di Al Anbar.
Bangkok paralizzata dai manifestanti
Manifestanti a Bangkok (Ansa)
La premier del Bangladesh
giura nelle mani del presidente
DACCA, 13. La premier del Bangladesh, Sheikh Hasina, vincitrice delle recenti elezioni generali del 5
gennaio — svoltesi in un clima di
tensione e di violenza (almeno ventisei morti) e con il duro boicottaggio dell’opposizione — ha giurato
ieri in Parlamento insieme al nuovo
Governo, che comprende quarantanove membri (oltre a lei, ventinove
ministri, due viceministri e diciassette sottosegretari). Lo riferisce il
portale di notizie BdNews24.
In assenza della leader dell’opposizione e presidente del Partito nazionalista del Bangladesh, Khaleda
Zia che, pur non essendosi candidata alle parlamentari, era stata invitata, Hasina ha giurato nelle mani
del presidente, Abdul Hamid. Successivamente, in dichiarazioni rese
alla stampa, la premier ha detto che
«per salvaguardare la democrazia si
potrà in futuro trovare una qualche
forma di accordo politico con l’op-
BAGHDAD, 13. È di almeno 34 morti e decine di feriti il
bilancio delle vittime delle violenze ieri a Baghdad, secondo quanto riferito da fonti sanitarie e della sicurezza. Oltre a due autobombe che hanno provocato la
morte di almeno 14 persone, scontri violenti sono avvenuti ad Abu Ghraib, a ovest della capitale, quando un
gruppo di insorti jihadisti ha assaltato un convoglio militare e l’esercito ha risposto mitragliando dall’alto con
un elicottero. Mentre si concludeva una visita di tre
giorni in Iraq da parte del vice sottosegretario americano agli Affari per il Vicino Oriente, Brett McGurk,
Per costringere il Governo alle dimissioni e annullare le elezioni anticipate del 2 febbraio
Uccisi
quattro soldati
nello Yemen
SAN’A, 13. Quattro soldati sono
stati uccisi ieri, in un violento attacco condotto da miliziani tribali nella provincia di Hadramout,
nel sud-est dello Yemen. Lo hanno riferito fonti militari, come riporta l’agenzia di stampa Ansa.
A essere attaccata è stata una postazione militare nei pressi della
località di Chehr, ha spiegato la
fonte, attribuendo l’assalto a una
coalizione delle tribù locali. Le
tribù alleate di Hadramout, vasta
provincia di un’area desertica del
Paese, si sono ribellate dopo la
morte del loro leader, Ben Said
Habriche, ucciso all’inizio di dicembre insieme a cinque delle
sue guardie del corpo, durante
uno scontro armato con l’esercito
yemenita, in cui sono morti anche due soldati.
Un’autobomba esplosa nei pressi della capitale irachena (LaPresse/Ap)
posizione». A patto, però, che terminino le violenze. Attualmente,
data l’assenza di candidati dei partiti oppositori nel voto, il partito di
governo, la Lega Awami, controlla i
quattro quinti dei seggi del Parlamento unicamerale di Dacca.
Oltre ai contrasti tra Governo e
opposizione, il Paese sta affrontando nelle ultime settimane l’ondata di proteste degli operai del settore tessile, che chiedono incrementi
salariali e maggiori condizioni di
sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’industria dell’abbigliamento e
degli accessori rappresenta la
maggiore fonte di valuta estera per
il Bangladesh, con un giro di affari
che si aggira attorno ai sedici miliardi di dollari all’anno. Impiega
circa quattro milioni di persone, in
maggioranza giovani donne provenienti dalle zone più povere del
Paese.
Esplosione
in un campus
delle Filippine
MANILA, 13. È di almeno ventiquattro feriti, di cui diciassette
gravi, il bilancio — ancora provvisorio — dell’esplosione di una
bomba nel campus dell’università
di Arakan, a Mindanao, nelle Filippine meridionali. Lo ha reso
noto un funzionario della polizia
locale all’agenzia Afp, precisando
che la maggior parte dei feriti sono studenti, professori e guardie
dell’ateneo. Nessuno ha ancora rivendicato la responsabilità dell’attacco, anche se nella zona operano da anni gli estremisti islamici.
I sospetti ricadono sul gruppo
Abu Sayyaf, formazione terrorista
che ha la sua base nell’arcipelago
delle Sulu. La polizia locale ha reso noto di dovere ancora ricostruire l’esatta dinamica della forte deflagrazione.
BANGKOK, 13. Ora dopo ora, sta
prendendo sempre più consistenza il
blocco della capitale della Thailandia, Bangkok, deciso dall’opposizione contro la premier ad interim, Yingluk Shinawatra.
D all’alba, i principali incroci della
metropoli sono stati occupati dai
manifestanti
antigovernativi.
Le
chiusure di sette tra gli snodi del
traffico più importanti — alcuni nei
centrali distretti commerciali — si sono svolte finora in modo del tutto
pacifico. Le manifestazioni — che
hanno mandato completamente in
tilt la circolazione stradale — sono
ispirate da Suthep Thaugsauban,
leader del Comitato popolare per la
riforma democratica ed ex deputato
dell’opposizione, che da novembre
scorso ha fatto invadere la capitale
da centinaia di migliaia di dimostranti.
La protesta ha costretto Yingluck
a dimettersi dalla carica di premier e
ad assumere l’interim in vista delle
elezioni anticipate da lei stessa indette per il 2 febbraio. Ma l’opposizione intende impedire il voto, sostenendo che prima sono necessarie
ampie riforme mirate a combattere la
corruzione, di cui accusano il «regime di Thaksin Shinawatra», riferendosi all’ex primo ministro fuggito
all’estero per evitare una condanna a
due anni di carcere per abuso di potere, nonché fratello di Yingluck.
Nessun notizia, finora, dall’incontro tra i leader delle forze armate e il
Governo, che in comitato ristretto
guidato dalla premier controlla la situazione dall’interno del ministero
della Difesa. Più di 20.000 tra poliziotti e soldati sono stati mobilitati
per proteggere ministeri e siti sensibili e garantire che la protesta non
sfoci in violenza, ma la linea dell’Esecutivo sembra essere quella di
lasciare fare i manifestanti, evitando
derive violente che potrebbero favorire un intervento dell’esercito.
I dimostranti hanno dichiarato di
volere impedire ai funzionari governativi di recarsi al lavoro, minacciando di rimanere in piazza fino al 31
gennaio prossimo se Yingluck sarà
ancora al potere. Dalla fine di novembre, nelle ripetute dimostrazioni
si sono registrati otto morti e decine
di feriti.
Nei giorni scorsi, dopo avere parlato sia con la premier che con
Abhisit Vejjajiva, leader dei Democratici, il maggiore partito dell’opposizione politica che appoggia dall’esterno le proteste antigovernative,
il segretario generale delle Nazioni
Unite, Ban Ki-moon, ha lanciato un
appello alla calma e alla riconciliazione nazionale.
Organismi umanitari internazionali hanno chiesto alle forze armate di
rispettare il diritto alla protesta e
l’incolumità di quanti sono coinvolti
nelle dimostrazioni, ricordando i novanta morti e le centinaia di feriti
provocati dall’intervento delle forze
dell’ordine contro le manifestazioni
delle camicie rosse, oggi a sostegno
del Governo, nel maggio del 2010.
Parte da Timor Orientale
la sfida dell’Onu alla fame in Asia
DILI, 13. Parte da Timor Orientale
la Zero Hunger Challenge (sfida
per la fame zero) in Asia, l’iniziativa
continentale
lanciata
nell’aprile 2013 dalla Commissione
economica e sociale dell’Onu per
l’Asia e il Pacifico (Escap). Il
piccolo Paese, cerniera tra il continente asiatico e il Pacifico, è stato
infatti il primo a varare il piano nazionale per raggiungere lo scopo.
«La fame è un imperdonabile fallimento dello sviluppo», ha ricordato
Noeleen Heyzer, segretario della
Escap, in un intervento davanti al
Parlamento di Dili, la capitale timorense, riunito per approvare il
piano.
Secondo i dati dell’Onu, l’intera
regione Asia-Pacifico ha complessivamente visto concreti progressi per
ridurre l’incidenza della fame cronica, che nel 1992 colpiva il 24 per
cento della popolazione, rispetto al
13,5 registrato nel 2013. Tuttavia, ta-
le percentuale significa in cifra assoluta oltre 553 milioni di abitanti
sottonutriti.
Come sempre accade nelle principali tragedie mondiali, le vittime
principali sono i bambini. Nelle
aree più colpite dalla fame, soprattutto l’Asia meridionale e
sudoccidentale, i bambini sottonutriti sono oltre un terzo del totale.
Sotto questo aspetto, un decennio
dopo l’indipendenza dall’Indonesia,
Timor Orientale resta al fondo
delle statistiche dello sviluppo
regionale. Secondo i rapporti internazionali — da ultimo uno studio
preliminare dell’Unicef, il fondo
delle Nazioni Unite per l’infanzia,
sulla denutrizione nel Paese — il
numero dei bambini affamati si è
ridotto negli ultimi tre anni, passando dal 44,7 per cento registrati
nel 2010, al 38,1 per cento dello
scorso anno.
Viceministro
dell’industria libico
assassinato
a Sirte
TRIPOLI, 13. Nuove esplosione di
violenza in Libia. Sabato notte è
stato assassinato a colpi d’arma da
fuoco a Sirte il viceministro dell’Industria Hassan Al Droui, mentre nel sud continuano sanguinosi
scontri etnici tra tribù rivali, con
un bilancio di quasi trenta morti e
decine di feriti in meno di due
giorni. L’agguato di Sirte, località
situata a circa cinquecento chilometri a est della capitale Tripoli
dove Al Droui era nato, segna
l’ennesimo punto di svolta negativo nella tragica situazione libica:
l’omicidio è infatti il primo di un
membro di Governo dalla caduta,
nel 2011, del regime di Gheddafi.
In un comunicato l’Esecutivo
ha denunciato «un vile atto criminale», assicurando che «farà di
tutto per catturare e processare gli
autori» dell’assassinio. Al Droui
era un ex esponente del Consiglio
nazionale di transizione, il braccio
politico della ribellione che ha rovesciato Gheddafi con l’aiuto dell’intervento armato internazionale
della Nato. Anche Gheddafi era
nato a Sirte ed è proprio qui che
il leader libico fu catturato e ucciso il 20 ottobre 2011. La città, che
fu l’ultima tra le roccaforti del leader libico a cadere, come la maggior parte del Paese non è mai
stata completamente pacificata e
l’agguato ne è ulteriore testimonianza.
Secondo una fonte dei servizi
di sicurezza, il viceministro libico
è stato ucciso da «sconosciuti armati che hanno sparato raffiche di
armi automatiche contro di lui».
Ricoverato in città nell’ospedale
Ibn Sina, i medici non hanno potuto fare nulla per salvarlo: è stato
colpito, hanno detto successivamente, da molti proiettili in diverse parti del corpo. L’agguato mortale a un esponente del Governo
ad interim testimonia ancora una
volta la debolezza dello Stato e
l’incapacità delle autorità di transizione libiche di ristabilire l’ordine e la sicurezza in un Paese di
fatto in preda all’anarchia e a violenze di ogni tipo.
Intanto sono continuati ieri i
combattimenti — allargatisi da Sebha ad altre due località, Murzeq
e Al Shati — tra uomini pesantemente armati di tribù rivali nel
sud, regione desertica dove però
vi sono numerosi siti petroliferi
che da mesi non riescono più a effettuare attività estrattiva. Il Governo di Tripoli ha comunicato di
aver inviato rinforzi ai soldati e alla polizia.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014
Tradotto in italiano «Come Rack! Come Rope!» di Benson
Il 14 gennaio esce «High Hopes»
Conflitto
culturale
Quel cattolico di Springsteen
di ENRICO REGGIANI
«Marjorie non andò a St. Paul fino
alla vigilia di Natale, sebbene la
cattedrale fosse molto vicina. (...)
Quarant’anni fa la vita di questa
chiesa stava crescendo proprio in
questa notte. (...) E ora, in questa
nuova Inghilterra, la chiesa, svuotata della sua Presenza Divina, si stava svuotando anche dei suoi visitatori umani. (...) Sarebbe stata presto vuota, desolata e scura, e così
sarebbe stata tutta la notte (...) Perché non protestavano con forza anche le pietre?». Così l’infaticabile
penna di Robert Hugh Benson
(1871-1914) contrappone, nella monumentale cornice della cattedrale
londinese di San Paolo, l’esperienza
del Natale della Catholic England e
quella degli eredi dello scisma anglicano in un passo emblematico
del romanzo Come Rack! Come
Rope!: pubblicata nel 1912 due anni
prima della morte del suo autore,
questa ennesima «epistola di Hugh
il predicatore agli Anglicani» — secondo una definizione dell’opera
narrativa di Benson coniata da sir
Shane Leslie (1885-1971) — è stata
da poco riproposta in una versione
italiana (Vieni ruota! Vieni forca!, Verona, Fede e Cultura, 2013, pagine
448, euro 18,50) volonterosa e lodevole, benché non sempre ineccepibile.
Si potrebbe quasi dire che, proprio nella esplicita contrapposizione
tra le «associazioni familiari della
festa» della Natività prescismatica e
lo «spettacolo di ombre senza senso
o significato» inscenato nella Londra elisabettiana «da quando il
cuore del Natale era scomparso»,
trova alimento narrativo e testuale il
conflitto culturale e simbolico rappresentato in Come Rack! Come
Rope!. Sulle dissonanze teologiche,
antropologiche, culturali e socioistituzionali che da tale conflitto
derivano, si fonda un fitto reticolo
Robert Hugh Benson
di situazioni — e di interpretazioni
non convenzionali delle vicende
dell’Inghilterra del secondo Cinquecento — che il romanzo di
Benson intreccia in modo avvincente e appassionante. Le due differenti ricezioni e interpretazioni dello
Spirit of Christmas, che Chesterton
definirà nel 1933 «del tutto inappropriato per il mondo moderno»,
producono, infatti, conseguenze
ineludibili per ciascuno dei numerosi personaggi la cui voce risuona
nella partitura di questo romanzo
bensoniano. Ciò vale innanzitutto
per Robin Audrey, figlio sacerdote
martire in nome della ancient faith,
e per Master Audrey, padre apostata a causa delle «pretese irragionevoli di Dio» (in materia di sanzioni
economiche per chi non abiura la
ancient faith); in secondo luogo, per
lo stesso Robin e per Marjorie
Manners, i quali — come ha suggerito Elaine Hallett sulle pagine della «New Oxford Review» — decidono di sacrificare il loro imminente matrimonio in nome di «un
amore più grande che rende manifesto l’amore di Dio sul tormentato
suolo di Derby»; infine, più in generale, per tutti i recusants che intendono rimanere fedeli alla tradizionale identità religiosa del proprio Paese e per i conformists che
scelgono, invece, di adeguarsi alla
religione del sovrano in quel momento assiso sul trono.
Il titolo inglese del romanzo di
Benson, cita programmaticamente
una famosa e fatale lettera di
Edmund Campion (1540-1581) e si
colloca idealmente tra le due note
biografie del martire gesuita pubblicate dagli scrittori cattolici Richard
Simpson (1820-1876) nel 1867 ed
Evelyn Waugh (1903-1966) nel 1935.
Perché programmaticamente? Perché tale citazione non si presta soltanto a riassumere l’intenzione creativa di quel singolo romanzo bensoniano, ma illumina anche l’intero
edificio di un più ampio gruppo di
opere del figlio cattolico dell’arcivescovo anglicano di Canterbury (Edward White Benson, 1829-1896).
Oltre a Come Rack! Come Rope!
(1912), tale gruppo include, infatti,
anche By What Authority? (1904),
The King’s Achievement (1905), The
History of Richard Raynal, Solitary
(1906), The Queen’s Tragedy (1907),
Oddfish! (1914). Per identificare il
genere letterario di questi romanzi,
la critica è spesso ricorsa alle eti-
Nella cattedrale di Saint Paul
lo scrittore contrappone
il Natale della Catholic England
a quello degli eredi
dello scisma anglicano
chette, fluttuanti e apparentemente
contraddittorie, di historical novel e
di historical romance, non di rado
impiegate simultaneamente, come
testimonia l’autorevole e benevola
introduzione ai Poems bensoniani
(1914) del cattolico Wilfrid Meynell
(1852-1948).
Meynell, consorte della poetessa
Alice (Thompson) Meynell (18471922), indica proprio Come Rack!
Come Rope! come esempio paradigmatico della loro coesistenza e della
loro interazione, elaborando quanto
suggerito dallo stesso Benson nella
sua prefazione al romanzo (scritta
nel giorno della festa del beato
Thomas More del 1912): per l’autore, infatti, esso intreccia
«puri fatti storici» (dunque
da historical novel) — desunti
anche da un celebre volume
del monaco benedettino Bede Camm (1864-1942) e da
«altri venti o trenta libri che
sono davanti a me mentre
scrivo queste parole» — e un
contenuto storico «immaginario» (da historical romance,
insomma) e «impressionante», benché «non più impressionante di quanto la vita stessa lo fosse per la gente del Derbyshire tra il 1579
ed il 1588». In realtà, poiché
la medesima complementarità tra historical novel e historical romance è proposta da
Benson anche nel 1914 nella
Author’s Note che precede la
narrazione di Oddfish!, non
può trattarsi di un’inconsapevole coincidenza: al contrario, essa va invece considerata alla stregua di un
principio creativo, di un metodo
compositivo, di un criterio di discernimento antropologico ed epistemologico, che lo scrittore cattolico potrebbe avere maturato compiutamente negli ultimi anni della
sua vita.
In vista di quale obiettivo, verrebbe da chiedersi? Non pare esserci dubbio che, in tal modo, Benson
intendesse raggiungere due obiettivi
congiunti: da un lato, quello letterario di coniugare la reinterpretazione degli eventi storici tipica del
novelist e l’invenzione del passato
avventuroso e culturalmente irripetibile che caratterizza l’author of the
romance, come vorrebbe una distinzione proposta da Ernest Edwin
Reynolds (1894-1980) in un saggio
del 1959 pubblicato sulla cattolica
«Dublin Review»; dall’altro, quello
più strategico e culturalmente lungimirante di mettere historical novel
e historical romance al servizio della
old English religion, estendendone le
concezioni e le pratiche testuali di
matrice protestante — spesso ideologizzate, selettive e omologanti — a
vantaggio di una rappresentazione
dei tempi andati più aderente alla
reale totalità dell’esperienza storica
inglese. Ma questo è soltanto uno
dei numerosi aspetti letterari e culturali dell’opera di Benson che meriterebbero di essere più accuratamente esaminati con strumenti ermeneutici adeguati (e non meramente agiografici o celebrativi) in
occasione del primo centenario della sua morte che cadrà, il 19 ottobre, in questo 2014.
di GAETANO VALLINI
idarà la vista
ai ciechi, resusciterà
i
morti, guarirà
i
malati»;
«Venite uomini di Gedeone, venite
uomini di Saulo, venite figli di
Abramo, noi che aspettiamo fuori
dalle mura del paradiso»; «La sua
grazia non fallisce»; «Insieme cammineremo nella terra di Canaan».
Anche nell’ultimo disco, significativamente intitolato High Hopes e in
uscita il 14 gennaio in tutto il mondo, Bruce Springsteen non rinuncia a citare la Bibbia. Lo fa nel
brano Heaven’s Wall, dove, in un
levarsi di braccia verso il cielo, i riferimenti alle sacre scritture sono
evidenti nei versi sopra riportati e
in quelli che evocano Giona nel
ventre della balena e la samaritana
al pozzo di Sicàr. Ma anche in altri brani il Boss si affida a un
contesto religioso non meno evidente. Come in Hunter of Invisible
Game, dove invita a pregare per se
stessi, perché non si «cada quando l’ora della salvezza arriverà
per tutti noi»; o in This is Your
Sword, dove, dopo aver parlato
di «un mondo pieno della bellezza dell’opera di Dio» minacciato dalle tenebre, invita a
non cedere: «Ora questa è la
tua spada, questo il tuo scudo
/ questo è il potere dell’amore
rivelato / Portalo ovunque
vai / e dà tutto l’amore che
hai nella tua anima».
Non una novità, come
sanno bene i fan, abituati
ad ascoltare nelle canzoni
del loro beniamino echi
mai sopiti delle sue radici
cattoliche. Una pervasività
costante — sia pure non
sempre univoca e giunta
dopo giovanili messaggi
di ribellione, non privi di
banalità e di qualche tratto blasfemo — che di recente ha spinto Azzan Yadin-Israel, docente della
Rutgers
University
di
New Brunswick, in New
Jersey, a organizzare nientemeno che un corso sulla
teologia springsteeniana.
In passato altri atenei statunitensi avevano tenuto seminari
sui testi di Springsteen, puntando
soprattutto sul messaggio sociale e
politico, ma nessuno finora si era
spinto a tanto.
Un’esagerazione? Forse, ma non
c’è da meravigliarsi troppo, visto
che non sono mancati negli anni
saggi di teologi cattolici e protestanti che attestavano la sensibilità
religiosa del cantautore americano,
l’uso di un linguaggio e di una
simbologia tratti dalla Bibbia. Anche «La Civiltà Cattolica» nell’ottobre 2002 dedicava al Boss un
lungo articolo di padre Antonio
Spadaro dal titolo “La risurrezione”
di Bruce Springsteen.
Alcuni — come «Time» in occasione della pubblicazione di The
Rising, disco militante dopo la tragedia dell’11 settembre — si sono
persino spinti ad attribuire ai testi
del rocker una qualità redentiva
laddove, tra desiderio di fuga da
«R
tutamente di essere liberati dal male, le storie d’amore sono presentate come una manifestazione della
grazia divina». Il tutto come contraltare ai dubbi e alla percezione del male e del
peccato ben noti nella
produzione del cantautore, che con i suoi testi esplora e racconta
da oltre quarant’anni
quelle che oggi potremmo definire, con
un’espressione di Papa
Francesco, le periferie
esistenziali della provincia americana sem-
pre in bilico tra il mito dell’American dream e la disillusione di una
realtà ben diversa. Storie di uomini
e donne normali, dunque, ma anche nascosti eroi del quotidiano,
con le loro debolezze e le loro
paure, la loro rabbia e la loro voglia di riscatto.
Che non si tratti di semplici speculazioni lo testimoniano alcune
dichiarazioni dello stesso Springsteen. «Credo che nei primi dodici
anni — disse al «Corriere della Sera» il 12 ottobre 2002 — accumuliamo le immagini che ci accompagneranno per tutta la vita. Io frequentavo una scuola cattolica.
L’anima non è un’astrazione per
un bambino. È molto reale. La
prendi alla lettera. E l’immaginario
cattolico, così come la Bibbia, è un
modo straordinario di esprimere il
viaggio dell’uomo, dello spirito
umano. Io ritorno a quelle immagini d’istinto». E ancora al «New
York Times» il 25 aprile
2005, rispondendo al«L’immaginario cattolico
l’intervistatore che notava come «pensieri di reè un modo straordinario di esprimere
denzione, scelte morali e
il viaggio dell’uomo
invocazioni a Dio» si
fossero fatti più espliciti
Io ritorno a quelle immagini d’istinto»
nelle ultime produzioni,
ha detto in un’intervista
il Boss ribadiva: «Era
qualcosa che ho allontanato per molto tempo,
un presente difficile e un anelito a ma ci ho ripensato molto più tardi.
un futuro migliore, fanno riferi- Non sono un praticante, ma mi somento alla dicotomia tra perdizio- no reso conto, col passare del temne e speranza, puntando chiara- po, che la mia musica è piena di
mente su quest’ultima, anche se immaginario cattolico». E aggiunnon sempre dietro alla rinascita vi geva: «C’era un potente universo
è un richiamo diretto al trascen- capace di sviluppare un forte immaginario che diveniva vivo e vitadente.
The Promise Land, la terra pro- le e vibrante, ed era in grado conmessa di Springsteen, divenuta temporaneamente di suscitare pauLand of Hope and Dreams, terra di ra e offrire una promessa di estasi
speranza e di sogni, nel penultimo e di paradiso. Era questo incredibidisco Wrecking Ball, non sempre è le panorama interiore che si creava
quella di Dio, ma più volte tutta- dentro di te. Crescendo, ho assunvia coincide con essa. E non a caso to un atteggiamento meno difensici si è spinti a trovare un legame vo. Penso di aver ereditato questo
stretto tra l’appassionarsi alla musi- particolare panorama e penso di
ca del Boss e una esperienza di poterlo ricostruire in qualcosa di
conversione di carattere religioso. veramente mio».
E questo perché le canzoni contenNon mancano neppure gesti di
gono molti riferimenti alla rinascita devozione, a testimonianza di una
spirituale e al rinnovamento inte- fede talora dubbiosa e vacillante
riore.
ma probabilmente mai venuta meGià dopo l’uscita di Tunnel of no. Uno ce lo racconta Ermanno
Love, nel 1987, la rivista «Rolling Labianca, che al Boss ha dedicato
Stone» sottolineava che poteva es- diversi libri, tra cui una trilogia di
sere «chiaramente percepita l’edu- analisi critica dei testi, edita da Arcazione cattolica ricevuta da Sprin- cana. «Quando incontrai Springgsteen; i protagonisti pregano ripe- steen a Bologna, nel 1998, lo scorsi
accendere un cero — per il padre,
morto da poco, mi disse poi — nella basilica di San Petronio. Gli
chiesi quanto si sentisse religioso,
visto che qualche suo brano era
stato definito una preghiera laica.
Rispose che si era sempre sentito
un cattolico in fuga, anche se fin
da piccolo era stato invitato ad
ascoltare le preghiere. Mi disse anche che la Bibbia aveva avuto per
lui una grande importanza».
«Camminava per le navate con
rispetto — aggiunge Labianca — e
con la consapevolezza di essere
molto piccolo, lui con la sua arte,
al cospetto dei grandi artisti che
avevano affrescato quella basilica.
Gli raccontai che alcuni di loro
avevano trascorso dieci-quindici
anni sdraiati per ore su una impalcatura per completare quegli affreschi. Diede un umile, nuovo valore
ai suoi “capolavori”. Non so se si
trattasse di una garbata cortesia
verso la situazione e il Paese che lo
ospitava, ma le sue parole e il suo
candore mi colpirono molto. Se
credi nelle qualità di un artista, se
ami le sue canzoni traendone forza, fiducia, amore, quando lo scopri così aderente a tanti sentimenti
da lui espressi in musica senti di
aver ricevuto una bella ricompensa».
La prova di un percorso spirituale non ancora giunto al termine
sta proprio nei testi delle canzoni,
veri e propri racconti brevi. «La
sensazione — spiega ancora Labianca — è che da un certo momento in poi, ovvero da The
Rising, che era carico di immagini
bibliche, Springsteen abbia premuto l’acceleratore su certi te-
mi, maturando una forte coscienza
in senso religioso. Tuttavia questa
era latente, perché sia pure in maniera più frenata, fin dall’inizio
della carriera ha sempre fatto uso
di certe immagini. C’è ad esempio
Adam Raised a Cain del 1978, eppoi la figura di Maria, presente in
molti modi anche nelle canzoni
precedenti all’esordio». Nei testi si
possono riconoscere non solo la
poetica dello Steinbeck de I giardini dell’Eden, ma soprattutto l’influenza di Flannery O’Connor,
scrittrice cattolica apprezzata da
Springsteen, come lui con origini
irlandesi.
Certo l’universo
del Boss, soprattutto agli inizi, è decisamente più cupo e
si fa più fatica a individuare l’azione
di quella grazia che
nella scrittrice è direttamente riconducibile al trascendente, ma si avverte
tuttavia la tensione,
l’inquietudine verso
una salvezza che
non sempre può
arrivare dagli uomini. Ciò è particolarmente evidente
in Darkness on the
Edge of Town (1978)
dove afferma «sono
un uomo e credo in
una terra promessa». E ancora in
The River (1980), quando in Drive
all Night si spinge a una sorta di
preghiera: «E vorrei che Dio mi
mandasse una parola / mi mandasse qualcosa da aver paura di perdere»; così come in Nebraska
(1982), dove si coglie un’implorazione in quel «liberami dal nulla»
(State Trooper).
Tutto sembra più evidente nel
citato Tunnel of Love. Springsteen
ha appena divorziato, avverte il
fallimento, e in Brilliant Disguise
ammette: «Stanotte nel nostro letto freddo / mi sono perso
nell’oscurità del nostro amore /
Dio abbia pietà dell’uomo / che
non dubita di ciò di cui è sicuro».
Anche se poi, raccontando l’incubo del protagonista di Cautious
Man, torna un’immagine tutt’altro
che di tenebra: «Ai bordi del letto
spostò i capelli del viso di sua moglie / mentre la luna illuminava la
sua pelle così bianca / Riempiendo
la loro stanza con la bellezza della
luce di Dio». La stessa luce che in
Valentine’s Day gli fa dire: «E la luce di Dio giungeva a illuminare
tutto».
E se i dubbi sembrano tornare
in Human Touch (1992), dove non
si trovano parole di pietà e di perdono di un dio sopra di noi e tut-
tavia si coglie un’aspirazione alla
pace e alla speranza, in Living
Proof, brano dell’album Lucky Town
(1992), la gioia della paternità
esplode quasi in un inno gioioso:
«Una notte d’estate in una stanza
buia / entrò una minima parte della luce eterna del Signore / urlando come se avesse inghiottito la luna accesa / Nelle braccia di sua
madre c’era tutta la bellezza possibile / Come le parole mancanti di
una preghiera / che non sarei mai
riuscito a inventare / in un mondo
così duro e sporco così disonesto e
confuso/ in cerca di un po’ della
misericordia di Dio / ho trovato la
prova vivente». Anche se poi in
The New Timer torna un certo pessimismo laddove si stenta a trovare
una risposta al male incomprensibile che affligge la società: «Mio
Gesù, il tuo amore misericordioso
e la tua pietà / stanotte, mi dispiace, non riescono a riempire il mio
cuore / quanto un buon fucile / e
il nome di chi dovrei ammazzare».
Ma, come accennato, è in The
Rising che il messaggio si fa netto
e inequivocabile, e assume una valenza in qualche modo redentiva.
E così nel fuoco che avvolge il
World Trade Center colpito a morte l’11 settembre 2001 si intravede
una luce. Nel brano Into the Fire le
parole fede, speranza e amore accompagnano il protagonista, un
pompiere «sparito nella polvere».
E se la pioggia si trasforma in una
lacrima che scende dal cielo in
Waitin’ on a Sunny Day, sicuramente si può aspettare «un giorno di
sole / per cacciare via le nuvole».
E in My City of Ruins si può esortare «Avanti, sorgi!» e pregare per
averne la forza: «Con queste mani
/ prego Signore / prego per la forza, Signore / con queste mani /
prego per la fede, Signore / preghiamo per il tuo amore, Signore /
preghiamo per i perduti, Signore /
preghiamo per questo mondo, Signore / preghiamo per la forza».
Mentre nel brano che dà il titolo
all’album si affaccia una visione:
«Ci sono spiriti sopra e dietro di
me / facce diventate nere, occhi
che bruciano e splendono / Possa
il loro sangue prezioso legarmi /
Signore, quando mi troverò davanti alla tua luce ardente». Una preghiera che nel protagonista di
Countin’ on a Miracle si trasforma
in affidamento a Dio, sperando in
un miracolo.
Nel 2005 con Devils & Dust
Springsteen torna a sonorità del
passato, e pure i testi riecheggiano
i temi ambivalenti della disperazione e della ricerca di vie d’uscita
dall’inferno della realtà. Ma anche
qui, in un mondo che sembra «abbandonato da Dio», con Jesus Was
an Only Son l’autore ritrova un’autentica ispirazione religiosa. E parla di Maria, madre di Gesù, e del
suo stare accanto al figlio «lungo il
cammino che si tingeva del suo
sangue». Sangue di redenzione di
tutti gli afflitti e diseredati raccontati dal Boss nelle sue canzoni.
Quell’umanità dolente eppure fiduciosa alla quale in Rocky
Ground, contenuta in Wrecking
Ball, chiede di affidarsi all’O nnipotente: «Dai il tuo meglio, il resto lo metterà Dio».
Springsteen seguita a fare del
suo meglio, con il suo impegno
etico e i suoi messaggi coerenti che
non escludono una visione di fede.
Un impegno che si conferma anche in quest’ultimo High Hopes,
dal quale emerge ancora una volta,
come sottolinea Labianca, «la forza di un uomo che continua a portare valori importanti dentro una
musica che resta ugualmente ancorata alle prime intenzioni dirompenti da cui scaturì il rock’n’roll».
Altro che musica del diavolo!
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014
pagina 5
La tensione spirituale di Kandinsky
Sui media
Nelle profondità
dell’anima
La Chiesa
che guarda
al mondo
delle icone bizantine riprodotte
dall’arte popolare. L’artista stesso,
l pubblico che visita la mo- del resto, in un intenso libretto di
stra dedicata a Vassily memorie, ricorda come scoprì per
Kandinsky presso il Palaz- la prima volta la sua vocazione
zo Reale di Milano è nu- pittorica: «Ricordo ancora che entrando per la prima volta nelle sameroso, ma stranamente
le di un’isba restai inchiodato di
concentrato e silenzioso: il grande stupore davanti alle pitture sorpittore della prima metà del No- prendenti che da ogni lato mi cirvecento ancora stupisce, e scuote condavano».
gli animi anche di persone che
Nel filmato che viene proiettato
forse conoscono appena la sua vi- in una sala dell’esposizione milata e il suo posto nella storia del- nese, Nina Kandinsky guida lo
l’arte contemporanea. L’energia che
Anche in assenza di immagini sacre
esplode dalle sue
composizioni e la
si avverte che nelle sue opere
profondità che sugc’è qualcosa di più
geriscono quegli accostamenti di forme
della sola energia della bellezza
e di colori sembradel colore e dell’armonia
no colpire l’anima
di tutti, indurli a
osservare con calma quei veri e spettatore nello studio parigino
propri miracoli di vita che sono le dell’artista, e mostra gli oggetti
raccolti a lui più cari: vediamo di
sue opere.
La mostra, che espone il ricco nuovo delle icone, pitture sacre su
vetro e la statuetta di un angelo in
fondo delle sue opere di proprietà
ceramica colorata. Oltre la lettura
del Centre Pompidou di Parigi (in
dei suoi testi che furono molto
gran parte dono della moglie Ni- importanti — Kandinsky è anche
na), permette di ripercorrere la un notevole scrittore — sono prosua evoluzione artistica, a comin- prio questi oggetti a testimoniare
ciare dalle prime opere figurative la forte tensione spirituale che at— paesaggi inondati di luce — traversava il fondatore dell’arte
spesso ispirate alla tradizione po- astratta contemporanea.
polare russa. Si vedono disegni e
La sua scelta di superare il sogdipinti che riprendono temi delle getto, di abbandonare la riprodufiabe, e soprattutto colori e forme zione della natura, è ispirata infatdi LUCETTA SCARAFFIA
I
ti dall’intenso desiderio di cogliere
l’anima del mondo, i suoi nessi interni profondi: «Tutto mi mostra il
suo volto, il suo essere profondo,
la sua anima segreta che tace più
spesso che non parli. Fu così che
ogni punto, ogni linea immota o
animata diventavano vive per me
e mi offrivano la loro anima».
Questo passaggio all’astrattismo è
influenzato anche dalla scoperta
della divisione dell’atomo, che lo
introduce in una dimensione incerta, in cui la scienza avanzava a
tentoni nella spiegazione del mondo, superando continuamente se
stessa.
È un percorso lungo e difficile
il suo, che si svolge contemporaneamente a due guerre mondiali
che lo coinvolgono direttamente, a
una rivoluzione nel suo Paese
d’origine, la Russia che non dimenticherà mai, e a due dittature,
quella comunista e quella nazista,
che lo costringeranno alla fuga da
un Paese all’altro. Kandinsky è un
pittore profondamente europeo,
che sintetizza nelle sue opere varie
componenti.
Agli stimoli ricevuti in Russia —
questa rimane sempre la sua fonte
di ispirazione più profonda — si
mescolano in Kandinsky le suggestioni di Monaco, dove ha fatto
parte del gruppo di artisti fortemente innovativi che darà luogo a
due movimenti artistici fondamentali nella storia del Novecento come Der Blaue Reiter e il Bauhaus,
«Trenta» (1937)
di SILVIA GUIDI
«Piccoli mondi» (1922)
e infine quelle di Parigi, che era il
cuore dell’arte europea. La storia
entra prepotentemente nelle sue
opere, anche se tradotta in linee,
punti, forme, ed egli rappresenta
continuamente la frantumazione
di un mondo e la nascita di un altro, nuovo, ricco di energia ma
anche di ombre nere.
La sua intensa spiritualità si coglie già nelle prime opere, quelle
ancora naturaliste, in cui la luce,
che arriva a trasfigurare il mondo
e a creare i colori, è più di
un’esperienza fisica, perché testimonia l’esistenza di una realtà misteriosa e di un tempo diverso,
che oltre gli occhi illuminano
l’anima. Come si coglie chiaramente dalla descrizione dell’emozione che sentiva ammirando il
tramonto a Mosca, quando il sole
rosso infiamma la città, le case, le
chiese, il Cremlino e culmina in
un’esperienza spirituale: «E sopra
tutto, come un grido di trionfo,
come un alleluja immortale scoppia la linea bianca, intagliata, rigida del campanile di Ivan Velikij.
La testa d’oro della sua cupola
tende verso il cielo una nostalgia
acuta ed eterna. La sua sagoma
slanciata è, tra le stelle multicolori
o dorate delle altre cupole, il vero
sole di Mosca».
La particolarità di Kandinsky
sta nel fatto che non solo faceva
rifluire queste sensazioni nelle sue
opere, ma era capace di descriverle, diventandone così il primo interprete: «L’arte, in molti punti, è
simile a una religione» scrive, perché «il suo sviluppo procede da
illuminazioni repentine, simili al
lampo» e «queste illuminazioni rischiarano di una luce abbagliante
nuove prospettive, nuove verità,
che, in fondo, non sono che lo
sviluppo organico, la crescita organica della saggezza prima».
Egli quindi, ben consapevole
che la sua opera esprime una vita
interiore e anche un tempo interno, dirà che non è estranea alla
tradizione religiosa, ma anzi a essa
va ricollegata: «Notai allora con
mio grande stupore che questa
esigenza è sorta sulle basi che il
Cristo erige a fondamento dei valori della Morale, che questa visione dell’Arte è una visione cristiana
e contiene in sé al tempo stesso
gli elementi necessari per ricevere
la terza rivelazione, la rivelazione
dello Spirito».
La sua rinuncia al figurativo
è influenzata
anche dalla scoperta
della divisione dell’atomo
che lo introduce in una
dimensione in cui la scienza
avanzava a tentoni
Dopo di lui, l’arte astratta ha
poi proceduto per altre vie, ha
scelto per lo più percorsi emozionali piuttosto che spirituali e ha
reciso in sostanza — a parte naturalmente alcune eccezioni — il legame che Kandinsky sentiva così
chiaramente, in profonda fedeltà
con la tradizione delle icone, fra
ispirazione ed esperienza mistica.
Ma i visitatori che osservano emozionati le meravigliose opere esposte a Milano avvertono che c’è in
esse qualcosa di più della sola
energia della bellezza, del colore,
dell’armonia.
Intuiscono, forse senza neppure
confessarlo a se stessi, che guardando Kandinsky si riallaccia il
loro legame interiore con la vita
spirituale, anche in apparente assenza di immagini sacre.
Anche Angela da Foligno riaffiora nell’opera poetica di Luigi Fallacara
di FEDERICO MAZZO CCHI
Come tanti altri poeti definiti minori, Luigi
Fallacara (Bari, 1890 – Firenze, 1963) deve
l’aggettivo alla diffusione ristretta della sua
opera presso il grande pubblico piuttosto
che a un giudizio di valore; nel suo caso,
anzi, è la storia letteraria ad aver distrattamente lasciato in ombra una poesia densissima e fibrillante di significato, esatta nella
sua pronuncia terrena e spirituale. Poterne
riscoprire alcuni scritti dopo averne appena
ricordato il cinquantenario della morte è
così molto più che una semplice occasione
di lettura.
Assieme alle due ristampe de I giorni incantati (Roma, Storia e Letteratura, 2013,
pagine 140, euro 22) e del romanzo Terra
d’argento (Bari, Stilo, 2013, pagine 256, euro
16), è il volume antologico Le ragioni
dell’anima (Firenze, Fondazione Ernesto
Balducci, 2012) a riassumere nella sua integrità il percorso di Fallacara, attraverso una
scelta di poesie e prose e una nutrita sezione di lettere, per la maggior parte inedite.
Qui, respiriamo appieno il milieu che ha alimentato l’opera di Fallacara: giunto a Firenze nel 1912, per laurearsi nel 1917 con
una tesi su Rimbaud, collaborò con la rivista «Lacerba» di Papini e Soffici e, successivamente, fece parte della redazione del
«Frontespizio», assieme a Bargellini, Betocchi, Bo e Lisi. In mezzo a queste due esperienze, un quinquennio ad Assisi, nel quale
divenne frate terziario e tradusse Angela da
Sull’orlo dell’assoluto
Foligno, appropriandosi sia del profondo
amore creaturale di Francesco che dell’ardore mistico-ascetico della santa folignate; elementi che irroreranno la sua opera, non soltanto poetica (basti pensare al libriccino
Mistici medievali, scritto nel 1956 con Betocchi e Lisi, o all’edizione delle Laudi di Iacopone da Todi).
Dalle lettere emerge tutta la considerazione tributatagli da amici, scrittori, critici.
È già nota la stima di Dino Campana, che
nel donare una copia dei suoi Canti orfici
era solito strappare le pagine giudicate al di
sopra della comprensione di chi riceveva il
libro (la leggenda narra che a qualcuno diede soltanto la copertina): ebbene, sulla copia per Fallacara fece addirittura delle aggiunte manoscritte, appositamente per lui.
Betocchi in una lettera lo definisce «uno
degli esempi più puri e onesti tra i poeti
della sua età»; Barile parla di un «dono
fatto all’arte e all’anima insieme»; Pierri sostiene che la sua poesia «luminosa» è così
alta da restare «fuori da una generazione limitata come la nostra»; Caproni infine afferma di una sua raccolta: «Quanti anni vivi, quanta vita! (...) Mai mi è stato fatto un
dono così prezioso». Sono solo alcuni
esempi attinti da altrettante autorità, che
aiutano a entrare senza remore nei versi di
questo poeta “integrale”, ugualmente amante della creaturalità della natura e del principio spirituale che la informa: non potrebbe essere più eloquente a tal proposito il titolo di una sua raccolta di liriche, I firmamenti terrestri.
La sua cattolicità non fu mai una mera
scelta confessionale, ma l’universale testimonianza di un amore dimidiato tra cielo e
terra. È in questa diade che si riassume il
senso dell’opera di Fallacara; lontano da
ogni dualismo, la prosa Terra e cielo ci restituisce l’identità assoluta dei due piani:
«Non esiste terra senza il suo completamento di cielo. Non esistono stagioni che
non siano un fenomeno celeste a cui la terra partecipi. (...) Non dimenticate, dunque:
anche la terra è cielo». Si tratta della figura
centrale dell’«orlo», del «limite», l’esperienza paradossale di una lontananza resa
prossima e interiore. Come nella bellissima
terzina: «Cristo in me, Cristo in te Cristo,
che abbonda / al limite del nostro inteso
ardore, / Cristo dell’universo levata onda».
A indicare l’apice di questa forte mediazione spirituale vi è una frase di Oreste
Macrì, critico tra i più lucidi e perspicaci
del Novecento, di cui quest’anno cade il
centenario della nascita. Amico ed estimatore di Fallacara (curò nel 1987 per l’editore
Longo il suo corpus poetico, Poesie (19141963)) Macrì sosteneva che i sonetti conclusivi della raccolta Illuminazioni potevano
essere collocati, nel loro «verticale ed esclamato amore al Cristo e alla Croce», «quasi
fuori dalla poesia», spiegando icasticamente
(per testimonianza orale tramandata da
Gaetano Chiappini, suo allievo) che tali sonetti «non ritornano». Un’espressione
quanto mai paradigmatica: come nel “trasumanar” dantesco, la parola poetica di Fallacara pronunciata al proprio limite sembra
davvero eccedere l’umano, affidandosi totalmente a un dialogo altro, un perpetuo cominciamento in quell’area che i poeti han-
Il cinquantenario della morte
è stato l’occasione per la riscoperta
di una poesia distrattamente lasciata
in ombra dalla storia letteraria
no chiamato alternativamente grido o silenzio, per dire di tutto ciò che dà sostanza alla parola rimanendone sempre oltre, ma vicino.
«Essere solo un orlo da cui sempre / comincia ogni altra forza che consuma; / senza più adesso, senza più ancora / essere solo del tempo una dimora». È ancora intatta, dopo anni in cui lenta si è decantata, la
poesia di Luigi Fallacara.
Lo sguardo della Chiesa sempre più
aperto al mondo è il filo rosso dei commenti della stampa internazionale dopo
l’annuncio da parte di Papa Francesco
dei prossimi nuovi cardinali. «Papa
Francesco sposta il peso della Chiesa
verso il sud del mondo» scrive Franca
Giansoldati sul quotidiano italiano «Il
Messaggero» del 13 gennaio. E sulla
stessa linea è Mauro Magatti nel commento dedicato ai «primi cardinali della
Chiesa mondiale» pubblicato sul «Corriere della Sera». Con l’annuncio di domenica 12 gennaio, scrive Magatti,
«Francesco compie un altro, deciso passo nella direzione verso cui sta orientando il suo pontificato. Le categorie a cui
siamo abituati — conservatore vs progressista — non colgono il nocciolo della questione. Che è piuttosto il riequilibrio tra curia romana e chiesa residenziale. Dopo due europei, il Papa venuto
“dalla fine del mondo” deve confrontarsi con quel gigantesco processo di globalizzazione dispiegatosi nell’ultima
parte del XX secolo. Così, come la modernità per Giovanni XXIII e il totalitarismo sovietico per Giovanni Paolo II, è
quel potente impasto fatto di economia,
tecnica, comunicazione mediale che avvolge ormai l’intero pianeta a costituire
il termine di riferimento dell’azione di
Francesco. Di fronte a un tale compito,
il Papa sa di non avere scelta: la Chiesa
deve rinnovarsi profondamente per rimanere se stessa e tramandare la fede. E
sa anche che l’unico cambiamento che
può e deve realizzare coincide con il ritorno alla sua vocazione originaria: solo
partendo da ciò che è piccolo e umile,
essa può essere “grande” e capace di
parlare al cuore dell’uomo».
Numerosi i commenti sulla stampa
internazionale: Sébastian Maillard, sul
quotidiano francese «la Croix», fa
notare ai lettori la giovane età di due
futuri
cardinali:
Gérald
Cyprien
Lacroix, arcivescovo di Québec in Canada, ha 56 anni, mentre monsignor
Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes,
con i suoi 55 anni sarà il secondo più
giovane nel collegio cardinalizio (lo precederà solo l’indiano Baselius Clemis
Thottunkal, creato cardinale da Benedetto XVI nel suo ultimo concistoro).
Langlois sarà il primo cardinale di Haiti, il Paese più povero dell’America latina, colpito per di più negli ultimi anni
anche da gravi tragedie come il terremoto e le epidemie. Molti — sottolinea
Franca Giansoldati — non si aspettavano la porpora. Come l’arcivescovo filippino Orlando Quevedo, «una figura assai popolare. Proviene da Mindanao,
l’isola sconvolta da una decennale guerra civile, un pastore di periferia che ha
sempre fatto sentire la sua voce per difendere i diritti degli ultimi e delle minoranze, tra cui quella cattolica». Thomas C. Fox sul «National Catholic Reporter» definisce Quevedo l’«architetto
della pastorale delle Chiese asiatiche».
Fino agli anni Settanta, scrive Fox, le
Chiese locali comunicavano poco tra di
loro, ma tutto cambiò dopo la visita di
Paolo VI a Manila; in quell’occasione
nacque per la prima volta l’idea di una
conferenza episcopale panasiatica, diventata realtà qualche anno dopo. E
Quevedo è stato segretario della Federazione delle conferenze episcopali e tuttora ne è uno dei membri più attivi.
Sottolinea l’attenzione al mondo in
via di sviluppo Jim Yardley che, ripercorrendo la storia recente dei concistori
sul «New York Times», ricorda come
Papa Francesco abbia scelto vescovi
provenienti da Paesi piccoli e poveri come Haiti, Burkina Faso, Nicaragua e
Costa d’Avorio; una tendenza presente,
peraltro, anche nel 2012 in cui Benedetto XVI creò molti cardinali non europei.
Lizzy Davies, corrispondente del britannico «Guardian», dedica invece prevalentemente il suo articolo all’arcivescovo
di Westminster, Vincent Nichols, che
sarà creato cardinale nel concistoro del
22 febbraio prossimo, mentre «The Wall
Street Journal» affianca a un articolo
firmato da Deborah Ball, Liam
Moloney e Tamara Audi un diagramma
che mette in evidenza i numeri del futuro collegio cardinalizio e sottolinea la
sempre maggiore apertura al mondo intero nelle scelte della Chiesa di Papa
Francesco.
Fra le notizie riportate dai quotidiani
e dai siti in rete, ricordiamo l’articolo di
José Beltrán che, su «La Razón», racconta come Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona,
ha ricevuto la notizia della porpora: domenica scorsa, durante l’Angelus del
Papa, stava celebrando la messa nella
cattedrale di Málaga, quando il concelebrante, il vescovo diocesano Jesús Catalá ha saputo della nomina e l’ha annunciata immediatamente ai fedeli. E allo
stesso Sebastián Aguilar, che non ne era
ancora al corrente.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014
Per i crimini di guerra nello Sri Lanka
Messa del Papa a Santa Marta
La Chiesa
chiede giustizia
Un amore artigianale
COLOMBO, 13. I cattolici nell’ex zona di guerra dello Sri Lanka chiedono un’indagine internazionale sui
crimini di guerra compiuti nel corso
del conflitto che ha coinvolto il
Paese, in particolare per verificare
se siano state usate bombe a grappolo e armi chimiche contro la popolazione.
I sacerdoti Rayappu Joseph e
Thomas Saundaranayagam hanno
presentato la richiesta durante un
incontro con Stephen J. Rapp, ambasciatore degli Stati Uniti per i
crimini di guerra. Nel corso di una
conferenza stampa, padre Joseph ha
spiegato che i civili sopravvissuti alla sanguinosa guerra interna, protrattasi un quarto di secolo fino al
2009, avrebbero riferito del massiccio uso di bombe a grappolo e di
armi chimiche.
La Chiesa in Sri Lanka ha chiesto che le indagini si concentrino
anche sulle accuse di attacchi deliberati contro ospedali e luoghi di
culto come pure su azioni tese a
bloccare l’arrivo di cibo e medicinali ai civili.
L’ambasciatore Rapp, che è in visita in Sri Lanka per discutere le
questioni sui presunti crimini di
guerra con i funzionari di Governo,
ha incontrato diversi leader religiosi, etnici e politici tamil. Nei prossimi giorni è previsto un altro incontro con altri funzionari di Governo
prima di lasciare l’isola.
Nel 2012 — riferisce l’agenzia Associated Press — un esperto di sminamento delle Nazioni Unite ha segnalato la presenza di munizioni a
grappolo inesplose nella ex zona di
guerra nel nord dello Sri Lanka.
Nello stesso anno un operatore sanitario ha raccontato che molte delle migliaia di feriti nell’offensiva del
Governo hanno riportato ustioni
compatibili con quelle causate da
bombe incendiarie al fosforo bianco. In un report dei funzionari delle Nazioni Unite, inoltre, veniva se-
Cresce la tensione
in Malaysia
per l’uso
della parola Allah
KUALA LUMPUR, 13. Pendono sulla
tua testa qualcosa come centonove
denunce per aver affermato, in un
articolo apparso il 27 dicembre sul
settimanale «The Herald» da lui diretto, che i fedeli cattolici hanno il
diritto di continuare a utilizzare la
parola Allah per riferirsi a Dio. Padre Lawrence Andrew, gesuita, è
ora indagato dalla giustizia in Malaysia e rischia di essere incriminato
e processato per “sedizione”. Lo riferisce l’agenzia Fides. Nell’articolo,
il direttore citava, come prova evidente, una preghiera cristiana di oltre cent’anni fa, in lingua malese, in
cui si usava il nome Allah. «La situazione è piuttosto grave. C’è
grande preoccupazione nella Chiesa
cattolica perché la vicenda ha preso
una brutta piega», spiega, sempre a
Fides, fra Augustine Julian, missionario dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Kuala Lumpur ed ex segretario della Conferenza episcopale
della Malaysia: «L’indagine della
magistratura è una sottile forma di
pressione verso tutti i cristiani. C’è
preoccupazione nella comunità e
tensione con i gruppi islamici radicali». Anche i vescovi, che in questi
giorni sono riuniti a Johor, esamineranno la delicata questione, anche se è improbabile un intervento
ufficiale. L’indagine su padre
Lawrence Andrew giunge dopo il
recente sequestro di trecentocinquanta bibbie, nello Stato di Selangor, perché contenenti la parola Allah.
gnalato l’uso di munizioni a grappolo nella zona di conflitto già nel
febbraio del 2009, specificando che
a quanto pare era stato colpita una
zona adiacente all’ospedale. Il Governo però ha sempre negato l’utilizzo delle munizioni a grappolo e
di qualsiasi altra arma vietata.
La visita di Rapp nel Paese asiatico avviene proprio in coincidenza
con una forte pressione internazionale sul Paese affinché svolga le
proprie indagini sui presunti crimini di guerra commessi da entrambe
le parti. Gli Stati Uniti hanno sostenuto due risoluzioni al Consiglio
dei diritti umani delle Nazioni Unite sollecitando un’indagine locale
credibile. È previsto che il Consiglio dei diritti esamini i progressi
compiuti in Sri Lanka nelle sessioni
di marzo. L’Alto commissario delle
Nazioni Unite per i diritti umani,
Navanethem Pillay, ha annunciato
di voler raccomandare al Consiglio
di istruire la propria indagine se lo
Sri Lanka non sarà in grado di dimostrare a breve i progressi compiuti in tema di crimini di guerra.
Un gruppo di sostenitori del Governo ha invece protestato per la visita di Rapp, accusando gli Stati
Uniti di ignorare le proprie violazioni dei diritti umani. I manifestanti hanno accusato gli Usa di
volere vendicarsi dello Sri Lanka
per aver sconfitto le Tigri tamil, definiti un’organizzazione terroristica.
Inoltre, hanno affermato che il Paese americano usa un doppio metro
di valutazione ignorando le proprie
violazioni dei diritti umani.
Un rapporto delle Nazioni Unite
afferma che ben quarantamila civili
di etnia tamil potrebbero essere stati uccisi negli ultimi mesi del conflitto. Tra le numerose accuse di
abusi ci sono quelle di aver utilizzato i civili come scudi umani, di esecuzioni sommarie e di aver reclutato bambini soldato tra la popolazione.
Dio prepara la strada per ciascun
uomo. Lo fa con amore: un «amore
artigianale», perché la prepara personalmente per ognuno. Ed è pronto a intervenire ogni qualvolta il
cammino è da correggere, proprio
come fanno una mamma e un papà.
È la riflessione proposta da Papa
Francesco lunedì mattina, 13 gennaio, durante la celebrazione della
messa nella cappella di Santa Marta.
Il Pontefice ha preso spunto
dall’episodio del Vangelo di Marco
(1, 14-20) dove si narra che Gesù,
dopo l’arresto di Giovanni, andò in
Galilea, dando l’impressione di voler iniziare un’altra tappa del cammino. «E proclama il Vangelo — ha
notato il Papa — con le stesse parole
di Giovanni: il tempo è compiuto e
il regno di Dio è vicino, convertitevi. La stessa cosa che diceva Giovanni, la dice Gesù. Giovanni aveva
preparato la strada a Gesù. E Gesù
la segue».
«Preparare le strade, anche preparare le nostre vite, è proprio di Dio,
dell’amore di Dio per ognuno di
noi» ha spiegato il vescovo di Roma. «Lui — ha proseguito — non ci
fa cristiani per generazione spontanea. Lui prepara la nostra strada,
prepara la nostra vita, da tempo». E
riferendosi ancora alla pagina evangelica, ha aggiunto: «Sembra che
Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni sono stati qui definitivamente
eletti»; ma questo non significa che
da questo momento siano anche stati «definitivamente fedeli». In realtà
proprio loro commettono degli sbagli: fanno proposte «non cristiane al
Signore», di fatto lo rinnegano. E
Pietro più degli altri. Si sono spaventati, ha spiegato il Pontefice, e
sono «andati via, hanno abbandonato il Signore».
Si tratta di un’opera di preparazione, ha detto ancora il Santo Padre, che Gesù porta avanti da tante
generazioni. E a conferma di ciò il
Pontefice si è riferito ad Anna, la
seconda moglie di Elkanà, citata
nella prima lettura della liturgia (cfr.
1 Samuele 1, 1-8). La donna, «sterile,
piangeva» quando l’altra moglie,
Penninà, che aveva figli, la derideva.
Ma nel pianto di Anna c’era la preparazione alla nascita del grande
Samuele. «Così il Signore — ha
puntualizzato il Papa — ci prepara
da tante generazioni. E quando le
cose non vanno bene, lui si immischia nella storia» e le sistema. Nella stessa genealogia di Gesù, ha ricordato, ci sono «peccatori e peccatrici. Ma come ha fatto il Signore?
Si è immischiato; ha corretto la strada; ha regolato le cose. Pensiamo al
grande Davide, grande peccatore e
L’arcivescovo di Dhaka contro le violenze
Speranza per il Bangladesh
DACCA, 13. La piccola comunità
cristiana bengalese «porta un messaggio di speranza» a un Paese segnato da violenze e caos. È quanto afferma l’arcivescovo della capitale, Patrick D’Rozario, descrivendo la situazione all’indomani delle
elezioni politiche del 5 gennaio
scorso.
«La situazione sociale e politica
resta tesa. Come cristiani, non abbiamo vissuto particolari problemi,
ma un ordigno ha colpito una
chiesa di Dacca, causando pochi
danni e nessuna vittima. I cittadini cristiani bengalesi vivono questo momento tormentato per il
Paese con tutti gli altri, pregando
e sperando», ha detto il presule
all’agenzia Fides.
L’arcivescovo di Dhaka spiega
come «le elezioni, con la bassa affluenza e il boicottaggio dell’opposizione, non sono state un buon
segnale per la democrazia: ma l’alternativa era il caos e dunque, fra
le innumerevoli sfide e problemi:
non c’era altra scelta». In questo
clima, ha precisato, «l’appello della Chiesa resta quello alla pace e
alla riconciliazione. Il nostro auspicio è che il nuovo anno possa
portare prosperità e pace. In
quanto piccola minoranza — i cristiani sono lo 0,5 per cento su 165
milioni di abitanti — continuiamo
a dare il nostro contributo, promuovendo il dialogo, il rispetto
dell’altro, l’armonia, la dignità
umana».
poi grande santo. Il Signore sa.
Quando il Signore ci dice: con
amore eterno io ti ho amato, si riferisce a questo. Da tante generazioni
il Signore ha pensato “in noi”». E
così ci accompagna provando i nostri stessi sentimenti quando ci si ac-
stre mamme, le nostre nonne, i nostri padri, i nostri nonni, e i bisnonni, tutti: il Signore fa così. E questo
è il suo amore: concreto, eterno e
anche artigianale».
«Preghiamo — è stata l’esortazione conclusiva — chiedendo questa
Nomine
nelle Chiese
orientali
Le nomine di oggi riguardano la
Chiesa maronita e quella sira.
Simon Faddoul
primo
esarca apostolico
per i fedeli maroniti
residenti nell’Africa
centrale e occidentale
Nato il 7 gennaio 1958 a Dik El
Mehdi, nell’arcieparchia di Antélias dei maroniti, in Libano, ha
compiuto gli studi filosofico-teologici all’Università Saint Esprit di
Kaslik, conseguendo una licenza
in educazione e formazione degli
insegnanti (1985). Si è poi trasferito negli Stati Uniti d’America, dove ha ottenuto una licenza in educazione e amministrazione scolastica (1986) e un dottorato in educazione e amministrazione (1989).
Ordinato sacerdote il 9 agosto
1987 per l’arcieparchia di Antélias,
ha svolto servizio pastorale nella
parrocchia statunitense di Saint
Anthony a Cincinnati, ed è stato
poi collaboratore a Cipro nella
cattedrale di Nicosia. Tornato in
Libano è stato parroco della chiesa Saint Elie ad Aïn Aar e parroco
della chiesa di Jal El Dib - Bkennaya. Dal 2010 era presidente di
Caritas-Liban.
Georges Chihane
visitatore apostolico
per i fedeli
maroniti
residenti nel Nord Africa
costa al matrimonio, quando si è in
attesa di un figlio: in ogni momento
della nostra storia «ci attende e ci
accompagna».
«Questo — ha ribadito il Pontefice — è l’amore eterno del Signore.
Eterno ma concreto. Un amore anche artigianale, perché lui va facendo la storia e va preparando la strada per ognuno di noi. E questo è
l’amore di Dio».
Quindi il Papa si è rivolto a un
gruppo di sacerdoti che hanno concelebrato in occasione del loro sessantesimo di ordinazione e ha detto:
«Voi pensate ai vostri sessant’anni
di messa. Quante cose sono accadute. Quante cose. Il Signore era lì a
preparare la strada anche per altri
che non conosciamo, ma lui conosce». Egli è «il Signore della preparazione, che ci ama da sempre e mai
ci abbandona». Forse — ha ammesso — «è un atto di fede non facile
da credere questo, è vero. Perché il
nostro razionalismo ci fa dire: ma
perché il Signore, con le tante persone con le quali ha a che fare va a
pensare a me?». Eppure egli «ha
preparato la strada a me, con le no-
Lutto nell’episcopato
Monsignor Francis Deniau, vescovo
emerito di Nevers, in Francia, è
morto domenica 12 gennaio a Parigi.
Il compianto presule era nato nato in Neuilly-sur-Seine, in diocesi di
Nanterre, il 3 ottobre 1936 ed era
stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1961.
Eletto alla sede residenziale di
Nevers il 26 giugno 1998, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il
successivo 4 ottobre. Il 27 agosto
2011 aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi.
grazia di capire l’amore di Dio. Ma
non si capisce mai, eh! Si sente, si
piange, ma capirlo non si capisce.
Anche questo ci dice quanto grande
è questo amore».
Gennaio e febbraio 2014
Calendario
delle celebrazioni
presiedute
da Papa Francesco
Gennaio
19 II D OMENICA
DEL TEMPO ORDINARIO
Visita pastorale alla Parrocchia
romana Sacro Cuore di Gesù a
Castro Pretorio, ore 16
25 SABATO
SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE
DI SAN PAOLO
Basilica di San Paolo fuori le
Mura, ore 17.30, Celebrazione dei
Vespri
Febbraio
2 D OMENICA
FESTA DELLA PRESENTAZIONE
DEL SIGNORE
XVIII GIORNATA MONDIALE
DELLA VITA CONSACRATA
Basilica Vaticana, ore 10, Santa
Messa con i membri degli Istituti
di Vita Consacrata e delle Società
di Vita Apostolica
16 VI D OMENICA
DEL TEMPO ORDINARIO
Visita pastorale alla Parrocchia
romana San Tommaso Apostolo,
ore 16
22 SOLENNITÀ
DELLA CATTEDRA DI SAN PIETRO
Basilica di San Pietro, ore 11,
Concistoro Ordinario Pubblico
per la creazione di nuovi Cardinali
23 VII D OMENICA
DEL TEMPO ORDINARIO
Basilica di San Pietro, ore 10,
Cappella Papale, Santa Messa
con i nuovi Cardinali
Città del Vaticano, 10 gennaio
2014
Monsignor GUID O MARINI
Maestro delle Celebrazioni
Liturgiche Pontificie
Nato il 31 maggio 1953 a Haret
Sakhr, nella regione di Jounieh, in
Libano, ha compiuto gli studi al
seminario patriarcale di Ghazir e
all’Università Saint Esprit di Kaslik. Ordinato sacerdote il 12 agosto 1979 per l’eparchia patriarcale
dei maroniti, dopo alcuni anni di
servizio pastorale nella parrocchia
di Notre-Dame du Secours ad
Haret Sakhr, è stato inviato a Parigi per la specializzazione all’Institut Catholique, dove ha conseguito un diploma in pastorale catechetica, svolgendo nel contempo
il ministero nella parrocchia di
Notre-Dame de Compassion. Ritornato in Libano, è stato assegnato come parroco alla chiesa Saint
Nohra a Sahel Alma, responsabile
della Caritas di Kesrouan e incaricato delle vocazioni del vicariato
di Jounieh. Nel 1997 è stato trasferito come parroco a Saint Charbel
in Amman (Giordania), dove era
pure cappellano del Cammino
Neocatecumenale. Dopo essere
stato per qualche mese amministratore patriarcale dell’arcieparchia di Haifa e Terra Santa dei
maroniti (Israele) e dell’esarcato
patriarcale di Gerusalemme, Palestina e Giordania, il 16 giugno
2012 è stato nominato vescovo
eparchiale del Cairo (Egitto) e del
Sudan dei maroniti. Il successivo
28 luglio ha ricevuto l’ordinazione
episcopale.
Basile Georges Casmoussa
visitatore apostolico
per i fedeli siri
residenti
in Europa Occidentale.
Nato il 25 ottobre 1938 a Karakoche, arcieparchia di Mossul dei
siri (Iraq), è entrato nel 1951 nel
seminario Saint Jean di Mossul,
dove ha compiuto gli studi di filosofia e di teologia. Ordinato sacerdote il 10 giugno 1962, è rimasto in Libano per due anni, durante i quali è stato assistente del
rettore del seminario maggiore di
Charfet e ha collaborato nella segreteria del patriarcato di Antiochia dei siri a Beirut. Tornato in
Iraq, si è occupato di apostolato
giovanile. È stato responsabile per
molti anni della direzione della rivista
«Al-Fikr
Al
Masihi».
All’Università di Lovanio, in Belgio, ha studiato scienze sociali dal
1973 al 1976, conseguendo una licenza. È tra i fondatori dell’associazione sacerdotale Les prêtres
du Christ-Roi. L’8 maggio 1999, il
Sinodo della Chiesa siro-cattolica
l’ha eletto arcivescovo di Mossul e
ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 9 dicembre. Il
26 giugno 2010 è stato trasferito
all’ufficio di vescovo della curia
patriarcale di Antiochia dei siri.
Ha scritto e tradotto vari libri.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014
pagina 7
Udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede
La via maestra della pace
La fraternità è il fondamento e la via
per la pace. Papa Francesco ha
riproposto il senso del messaggio per la
Giornata mondiale della pace di
quest’anno rivolgendosi ai membri del
Corpo Diplomatico accreditato presso la
Santa Sede durante il consueto
incontro d’inizio d’anno svoltosi questa
mattina, lunedì 13 gennaio, nella Sala
Regia. Questo il discorso del Pontefice.
Eminenza, Eccellenze, Signore
e Signori,
È ormai una lunga e consolidata tradizione quella che, all’inizio di ogni
nuovo anno, vuole che il Papa incontri il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per porgere voti augurali e scambiare alcune
riflessioni, che sgorgano anzitutto
dal suo cuore di pastore, attento alle
gioie e ai dolori dell’umanità. È perciò motivo di grande letizia l’incontro di oggi. Esso mi permette di formulare a Voi personalmente, alle Vostre famiglie, alle Autorità e ai popoli che rappresentate i miei più sentiti
auguri per un Anno ricco di benedizioni e di pace.
Ringrazio anzitutto il Decano
Jean-Claude Michel, il quale ha dato
voce, a nome di tutti Voi, alle
espressioni di affetto e di stima che
legano le Vostre Nazioni alla Sede
Apostolica. Sono lieto di rivedervi
qui, così numerosi, dopo avervi incontrato una prima volta pochi giorni dopo la mia elezione. Nel frattempo sono stati accreditati numerosi nuovi Ambasciatori, a cui rinnovo
il benvenuto, mentre, tra coloro che
ci hanno lasciato, non posso non
menzionare, come ha fatto il Vostro
Decano, il compianto Ambasciatore
Alejandro Valladares Lanza, per diversi anni Decano del Corpo Diplomatico, che il Signore ha chiamato a
sé alcuni mesi fa.
L’anno appena conclusosi è stato
particolarmente denso di avvenimenti non solo nella vita della Chiesa,
ma anche nell’ambito dei rapporti
che la Santa Sede intrattiene con gli
Stati e le Organizzazioni internazionali. Ricordo, in particolare, l’allacciamento delle relazioni diplomatiche con il Sud Sudan, la firma di
accordi, di base o specifici, con Capo Verde, Ungheria e Ciad, e la ratifica di quello con la Guinea Equatoriale sottoscritto nel 2012. Anche
nell’ambito regionale è cresciuta la
presenza della Santa Sede, sia in
America centrale, dove essa è diventata Osservatore Extra-Regionale
presso il Sistema de la Integración
Centroamericana, sia in Africa, con
l’accreditamento del primo Osservatore Permanente presso la Comunità
Economica degli Stati dell’Africa
O ccidentale.
Nel Messaggio per la Giornata
Mondiale della Pace, dedicato alla
fraternità come fondamento e via per
la pace, ho notato che «la fraternità
si comincia ad imparare solitamente
in seno alla famiglia» (Messaggio per
la XLVII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2013, 1), la quale «per
vocazione, dovrebbe contagiare il
mondo con il suo amore» (ibid.) e
contribuire a far maturare quello spirito di servizio e di condivisione che
edifica la pace (cfr. ibid., 10). Ce lo
racconta il presepe, dove vediamo la
Santa Famiglia non sola e isolata dal
mondo, ma attorniata dai pastori e
dai magi, cioè una comunità aperta,
nella quale c’è spazio per tutti, poveri e ricchi, vicini e lontani. E si
comprendono così le parole del mio
amato predecessore Benedetto XVI, il
quale sottolineava come «il lessico
familiare è un lessico di pace» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLI
Giornata Mondiale della Pace [8 dicembre 2007], 3: AAS 100 [2008],
39).
Purtroppo, spesso ciò non accade,
perché aumenta il numero delle famiglie divise e lacerate, non solo per
la fragile coscienza del senso di appartenenza che contraddistingue il
mondo attuale, ma anche per le condizioni difficili in cui molte di esse
sono costrette a vivere, fino al punto
di mancare degli stessi mezzi di sussistenza. Si rendono perciò necessarie politiche appropriate che sostengano, favoriscano e consolidino la
famiglia!
Capita, inoltre, che gli anziani siano considerati un peso, mentre i gio-
Lo confermano — se ce ne fosse
bisogno — le immagini di distruzione e di morte che abbiamo avuto davanti agli occhi nell’anno appena
trascorso. Quanto dolore, quanta disperazione causa la chiusura in sé
stessi, che prende via via il volto
dell’invidia, dell’egoismo, della rivalità, della sete di potere e di denaro!
Sembra, talvolta, che tali realtà siano
destinate a dominare. Il Natale, invece, infonde in noi cristiani la certezza che l’ultima e definitiva parola
appartiene al Principe della Pace,
che muta «le spade in vomeri e le
lance in falci» (cfr. Is 2, 4) e trasforma l’egoismo in dono di sé e la vendetta in perdono.
È con questa fiducia che desidero
guardare all’anno che ci sta di fronte. Non cesso, pertanto, di sperare
che abbia finalmente termine il conflitto in Siria. La sollecitudine per
quella cara popolazione e il desiderio di scongiurare l’aggravarsi della
violenza mi hanno portato, nel settembre scorso, a indire una giornata
di digiuno e di preghiera. Attraverso
di Voi ringrazio di vero cuore quanti
contrasti che possono minare la stabilità del Paese. Penso anche
all’Egitto, bisognoso di una ritrovata
concordia
sociale,
come
pure
all’Iraq, che stenta a giungere all’auspicata pace e stabilità. In pari tempo, rilevo con soddisfazione i significativi progressi compiuti nel dialogo tra l’Iran ed il “Gruppo 5+1” sulla
questione nucleare.
Ovunque la via per risolvere le
problematiche aperte deve essere
quella diplomatica del dialogo. È la
strada maestra già indicata con lucida chiarezza dal Papa Benedetto XV
allorché invitava i responsabili delle
Nazioni europee a far prevalere «la
forza morale del diritto» su quella
«materiale delle armi» per porre fine
a quella «inutile strage» (cfr. Benedetto XV, Lettera ai Capi dei Popoli
belligeranti [1 agosto 1917]: AAS 9
[1917], 421-423), che è stata la Prima
Guerra Mondiale, di cui quest’anno
ricorre il centenario. Occorre «il coraggio di andare oltre la superficie
conflittuale» (Esort. ap. Evangelii
gaudium, 228), per considerare gli altri nella loro dignità più profonda,
continente. In occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con
l’auspicio che, per il bene di tutto il
popolo coreano, le Parti interessate
non si stanchino di cercare punti
d’incontro e possibili soluzioni.
L’Asia, infatti, ha una lunga storia di
pacifica convivenza tra le sue varie
componenti civili, etniche e religiose. Occorre incoraggiare tale reciproco rispetto, soprattutto di fronte ad
alcuni preoccupanti segnali di un
suo indebolimento, in particolare a
crescenti atteggiamenti di chiusura
che, facendo leva su motivazioni religiose, tendono a privare i cristiani
delle loro libertà e a mettere a rischio la convivenza civile. La Santa
Sede guarda, invece, con viva speranza i segni di apertura che provengono da Paesi di grande tradizione
religiosa e culturale, con i quali desidera collaborare all’edificazione del
bene comune.
La pace è inoltre ferita da qualunque negazione della dignità umana,
vani non vedono davanti a sé prospettive certe per la loro vita. Anziani e giovani, al contrario, sono la
speranza dell’umanità. I primi apportano la saggezza dell’esperienza;
i secondi ci aprono al futuro, impedendo di chiuderci in noi stessi (cfr.
Esort. ap. Evangelii gaudium, 108). È
saggio non emarginare gli anziani
dalla vita sociale per mantenere viva
la memoria di un popolo. Parimenti,
è bene investire sui giovani, con iniziative adeguate che li aiutino a trovare lavoro e a fondare un focolare
domestico. Non bisogna spegnere il
loro entusiasmo! Conservo viva nella
mia mente l’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio
de Janeiro. Quanti ragazzi contenti
ho potuto incontrare! Quanta speranza e attesa nei loro occhi e nelle
loro preghiere! Quanta sete di vita e
desiderio di aprirsi agli altri! La
chiusura e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante,
che prima o poi finisce per intristire
e soffocare. Serve, invece, un impegno comune di tutti per favorire una
cultura dell’incontro, perché solo chi
è in grado di andare verso gli altri è
capace di portare frutto, di creare
vincoli, di creare comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace.
nei Vostri Paesi, Autorità pubbliche
e persone di buona volontà, si sono
associati a tale iniziativa. Occorre
ora una rinnovata volontà politica
comune per porre fine al conflitto.
In tale prospettiva, auspico che la
Conferenza “Ginevra 2”, convocata
per il 22 gennaio p.v., segni l’inizio
del desiderato cammino di pacificazione. Nello stesso tempo, è imprescindibile il pieno rispetto del diritto
umanitario. Non si può accettare che
venga colpita la popolazione civile
inerme, soprattutto i bambini. Incoraggio, inoltre, tutti a favorire e a
garantire, in ogni modo possibile, la
necessaria e urgente assistenza di
gran parte della popolazione, senza
dimenticare l’encomiabile sforzo di
quei Paesi, soprattutto il Libano e la
Giordania, che con generosità hanno
accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani.
Rimanendo nel Medio Oriente,
noto con preoccupazione le tensioni
che in diversi modi colpiscono la
Regione. Guardo con particolare
preoccupazione al protrarsi delle difficoltà politiche in Libano, dove un
clima di rinnovata collaborazione fra
le diverse istanze della società civile
e le forze politiche è quanto mai indispensabile per evitare l’acuirsi di
affinché l’unità prevalga sul conflitto
e sia «possibile sviluppare una comunione nelle differenze» (ibid.). In
questo senso è positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi e faccio voti affinché
le Parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della Comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e
duratura ad un conflitto la cui fine
si rivela sempre più necessaria e urgente. Non cessa di destare preoccupazione l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Essi
desiderano continuare a far parte
dell’insieme sociale, politico e culturale dei Paesi che hanno contribuito
ad edificare, e ambiscono concorrere
al bene comune delle società nelle
quali vogliono essere pienamente inseriti, quali artefici di pace e di riconciliazione.
Pure in altre parti dell’Africa, i
cristiani sono chiamati a dare testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio. Non bisogna mai desistere dal compiere il bene anche
quando è arduo e quando si subiscono atti di intolleranza, se non addirittura di vera e propria persecuzione. In vaste aree della Nigeria non si
fermano le violenze e continua ad
essere versato tanto sangue innocente. Il mio pensiero va soprattutto alla Repubblica Centroafricana, dove
la popolazione soffre a causa delle
tensioni che il Paese attraversa e che
hanno seminato a più riprese distruzione e morte. Mentre assicuro la
mia preghiera per le vittime e per i
numerosi sfollati, costretti a vivere in
condizioni di indigenza, auspico che
l’interessamento della Comunità internazionale contribuisca a far cessare le violenze, a ripristinare lo stato
di diritto e a garantire l’accesso degli
aiuti umanitari anche alle zone più
remote del Paese. Da parte sua, la
Chiesa cattolica continuerà ad assicurare la propria presenza e collaborazione, adoperandosi con generosità
per fornire ogni aiuto possibile alla
popolazione e, soprattutto, per ricostruire un clima di riconciliazione e
di pace fra tutte le componenti della
società. Riconciliazione e pace sono
priorità fondamentali anche in altre
parti del continente africano. Mi riferisco particolarmente al Mali, dove
pur si nota il positivo ripristino delle
strutture democratiche del Paese, come pure al Sud Sudan, dove, al contrario, l’instabilità politica dell’ultimo periodo ha già provocato numerosi morti e una nuova emergenza
umanitaria.
La Santa Sede segue con viva attenzione anche le vicende dell’Asia,
dove la Chiesa desidera condividere
le gioie e le attese di tutti i popoli
che compongono quel vasto e nobile
prima fra tutte dalla impossibilità di
nutrirsi in modo sufficiente. Non
possono lasciarci indifferenti i volti
di quanti soffrono la fame, soprattutto dei bambini, se pensiamo a
quanto cibo viene sprecato ogni
giorno in molte parti del mondo,
immerse in quella che ho più volte
definito la “cultura dello scarto”.
Purtroppo, oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma
spesso gli stessi esseri umani, che
vengono “scartati” come fossero “cose non necessarie”. Ad esempio, desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai
vedere la luce, vittime dell’aborto, o
quelli che vengono utilizzati come
soldati, violentati o uccisi nei conflitti armati, o fatti oggetti di mercato
in quella tremenda forma di schiavitù moderna che è la tratta degli esseri umani, la quale è un delitto contro l’umanità.
Non può trovarci insensibili il
dramma delle moltitudini costrette a
fuggire dalla carestia o dalle violenze
e dai soprusi, particolarmente nel
Corno d’Africa e nella Regione dei
Grandi Laghi. Molti di essi vivono
come profughi o rifugiati in campi
dove non sono più considerate persone ma cifre anonime. Altri, con la
speranza di una vita migliore, intraprendono viaggi di fortuna, che non
di rado terminano tragicamente.
Penso in modo particolare ai numerosi migranti che dall’America Latina sono diretti negli Stati Uniti, ma
soprattutto a quanti dall’Africa o dal
Medio Oriente cercano rifugio in
Europa.
È ancora viva nella mia memoria
la breve visita che ho compiuto a
Lampedusa nel luglio scorso per
pregare per i numerosi naufraghi nel
Mediterraneo. Purtroppo vi è una
generale indifferenza davanti a simili
tragedie, che è un segnale drammatico della perdita di quel «senso della
responsabilità fraterna» (Omelia nella
S. Messa a Lampedusa, 8 luglio
2013), su cui si basa ogni società civile. In tale circostanza ho però potuto constatare anche l’accoglienza e
la dedizione di tante persone. Auguro al popolo italiano, al quale guardo con affetto, anche per le comuni
radici che ci legano, di rinnovare il
proprio encomiabile impegno di solidarietà verso i più deboli e gli indifesi e, con lo sforzo sincero e corale
di cittadini e istituzioni, di superare
le attuali difficoltà, ritrovando il clima di costruttiva creatività sociale
che lo ha lungamente caratterizzato.
Infine, desidero menzionare un’altra ferita alla pace, che sorge
dall’avido sfruttamento delle risorse
ambientali. Anche se «la natura è a
nostra disposizione» (Messaggio per
la XLVII Giornata Mondiale della Pa-
Il saluto del decano Jean-Claude Michel
Eco dei messaggi del Papa
Davanti alle tragedie della fame, dell’esclusione,
dell’immigrazione, della schiavitù moderna e della tratta degli esseri umani, delle persecuzioni religiose, in
particolare contro i cristiani, «noi abbiamo condiviso la
vostra indignazione». Lo ha assicurato a Papa Francesco il decano del corpo diplomatico accreditato presso
la Santa Sede, Jean-Claude Michel, ambasciatore del
Principato di Monaco, durante l’udienza di lunedì
mattina, 13 gennaio. «Le prese di posizione molto forti
di sua Santità — ha aggiunto — fanno di lei, oso dire, il
“leader” della lotta contro questi drammi che, testimoniano, purtroppo, l’indegnità, l’intolleranza e la crudeltà di cui può essere capace l’umanità». In queste dolorose circostanze, ha affermato, noi facciamo «eco» ai
«suoi messaggi, in tutta la loro intensità, presso i nostri
Governi».
Un accenno il decano ha poi riservato alle situazioni
di conflitto che persistono in varie parti del mondo e
al ricorso alla «forza cieca e cruenta, spesso in nome
stesso della religione», che continua a sconvolgere «la
vita di una grande parte dell’umanità». A questo proposito l’ambasciatore ha voluto rinnovare la riconoscenza al Pontefice per il suo impegno personale, soprattutto in riferimento all’esortazione apostolica Evangelii gaudium, definita un documento di «alto valore
teologico» e di «grande profondità» di contenuti.
«Tengo a dire in questa occasione quanto siamo stati
sensibili alla vostra esortazione apostolica» ha detto
mettendo l’accento in particolare sull’importanza del
dialogo tra le religioni.
Ricordando poi le catastrofi naturali che hanno colpito lo scorso anno le Filippine, gli Stati Uniti d’America e alcune regioni italiane, il decano ha affermato
che se sentiamo «la nostra impotenza davanti le furie
della natura» siamo «maggiormente sconvolti dall’indifferenza di un certo mondo davanti ai drammi generati dall’ineguaglianze sociali, dall’ingiustizia di cui sono vittime i più deboli, dall’egoismo dei ricchi». A
questo proposito, ha detto il diplomatico, «abbiamo
ascoltato con un’attenzione estrema i suoi appelli in favore della pace, perché cessi la violenza ovunque nel
mondo e, in particolare, nel vicino Oriente, dove milioni di essere umani senza difesa, sfollati o rifugiati sono
assistiti con grandi difficoltà dai Paesi della regione,
che è nostro dovere aiutare ad affrontare una situazione di una eccezionale gravità».
L’ambasciatore ha inoltre assicurato che l’impegno
del Papa per un mondo migliore, per il rispetto della
dignità umana e per la libertà di religione «troverà
sempre un interlocutore attento nella ricca diversità
della nostra comunità diplomatica». Il decano ha infine reso omaggio all’attività diplomatica della Santa Sede e ha ricordato che l’anno prossimo si celebrerà il
cinquantesimo anniversario dell’apertura della sua missione diplomatica presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite.
ce [8 dicembre 2013], 9), troppo
spesso «non la rispettiamo e non la
consideriamo come un dono gratuito
di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future» (ibid.). Pure in questo
caso va chiamata in causa la responsabilità di ciascuno affinché, con spirito fraterno, si perseguano politiche
rispettose di questa nostra terra, che
è la casa di ognuno di noi. Ricordo
un detto popolare che dice: «Dio
perdona sempre, noi perdoniamo a
volte, la natura — il creato — non
perdona mai quando viene maltrattata!». D’altra parte, abbiamo avuto
davanti ai nostri occhi gli effetti devastanti di alcune recenti catastrofi
naturali. In particolare, desidero ricordare ancora le numerose vittime e
le gravi devastazioni nelle Filippine
e in altri Paesi del Sud-Est asiatico
provocate dal tifone Haiyan.
Eminenza, Eccellenze, Signore e
Signori,
Il Papa Paolo VI notava che la pace «non si riduce ad un’assenza di
guerra, frutto dell’equilibrio sempre
precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio,
che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» (Paolo VI, Lett.
enc. Populorum progressio [26 marzo
1967], 76: AAS 59 [1967], 294-295). È
questo lo spirito che anima l’azione
della Chiesa ovunque nel mondo, attraverso i sacerdoti, i missionari, i fedeli laici, che con grande spirito di
dedizione si prodigano, tra l’altro, in
molteplici opere di carattere educativo, sanitario ed assistenziale, a servizio dei poveri, dei malati, degli orfani e di chiunque sia bisognoso di
aiuto e conforto. A partire da tale
«attenzione d’amore» (Esort. ap.
Evangelii gaudium, 199), la Chiesa
coopera con tutte le istituzioni che
hanno a cuore tanto il bene dei singoli quanto quello comune.
All’inizio di questo nuovo anno,
desidero perciò rinnovare la disponibilità della Santa Sede, e in particolare della Segreteria di Stato, a collaborare con i Vostri Paesi per favorire
quei legami di fraternità, che sono
riverbero dell’amore di Dio, e fondamento della concordia e della pace.
Su di Voi, sulle Vostre famiglie e sui
Vostri popoli scenda copiosa la benedizione del Signore. Grazie.
Relazioni
con 180 Stati
Sono 180 gli Stati che
attualmente intrattengono
relazioni diplomatiche con la
Santa Sede; il 22 febbraio 2013 si
sono allacciate relazioni
diplomatiche con il Sud Sudan, a
livello di nunziatura apostolica e
di ambasciata.
Inoltre, vanno aggiunti l’Unione
europea, il Sovrano Militare
Ordine di Malta e una missione a
carattere speciale, quella dello
Stato di Palestina. Per quanto
riguarda le organizzazioni
internazionali, il 21 gennaio 2013,
la Santa Sede è diventata
osservatore extra-regionale del
Sistema di integrazione
centroamericana (S.I.C.A.) e, il 12
dicembre 2013, ha accreditato il
primo osservatore presso la
Comunità economica degli Stati
dell’Africa occidentale
(E.C.O.W.A.S.).
Le cancellerie di ambasciata con
sede a Roma, incluse quelle
dell’Unione europea e del
Sovrano Militare Ordine di
Malta, sono 82, essendosi
aggiunte nel corso dell’anno le
ambasciate di Armenia e di
Ghana. Hanno sede a Roma
anche la missione dello Stato di
Palestina, e gli uffici della Lega
degli Stati arabi,
dell’O rganizzazione
internazionale per le migrazioni e
dell’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i rifugiati.
Nel corso del 2013 si sono firmati
due accordi sullo statuto
giuridico della Chiesa cattolica,
rispettivamente con Capo Verde
il 10 giugno e con il Ciad il 6
novembre. Inoltre, il 21 ottobre, si
è stipulato con l’Ungheria un
accordo sulla modifica
dell’accordo, firmato il 20 giugno
1997, circa il finanziamento delle
attività della Chiesa cattolica e
circa alcune questioni di natura
patrimoniale.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014
Al termine dell’Angelus nella solennità del Battesimo del Signore il Papa annuncia un concistoro per la nomina di diciannove cardinali
Nel segno dell’universalità della Chiesa
Sono diciannove i cardinali che Papa
Francesco creerà nel concistoro del 22
febbraio prossimo. Lo ha annunciato
egli stesso ieri, domenica 12 gennaio,
rivolgendosi ai fedeli in piazza San
Pietro al termine della recita
dell’Angelus nella solennità del
Battesimo del Signore. Prima della
preghiera il Pontefice aveva sollecitato
l’opera di carità nei confronti dei più
bisognosi per vivere «questo tempo
della misericordia».
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi è la festa del Battesimo del Signore. Stamattina ho battezzato
trentadue neonati. Ringrazio con voi
il Signore per queste creature e per
ogni nuova vita. A me piace battezzare bambini. Mi piace tanto! Ogni
bambino che nasce è un dono di
gioia e di speranza, e ogni bambino
che viene battezzato è un prodigio
della fede e una festa per la famiglia
di Dio.
L’odierna pagina del Vangelo sottolinea che, quando Gesù ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni nel
fiume Giordano, «si aprirono per lui
i cieli» (Mt 3, 16). Questo realizza le
profezie. Infatti, c’è una invocazione
che la liturgia ci fa ripetere nel tempo di Avvento: «Se tu squarciassi i
cieli e scendessi!» (Is 63, 19). Se i
cieli rimangono chiusi, il nostro orizzonte in questa vita terrena è buio,
senza speranza. Invece, celebrando il
Natale, la fede ancora una volta ci
ha dato la certezza che i cieli si sono
squarciati con la venuta di Gesù. E
nel giorno del battesimo di Cristo
ancora contempliamo i cieli aperti.
La manifestazione del Figlio di Dio
sulla terra segna l’inizio del grande
tempo della misericordia, dopo che
il peccato aveva chiuso i cieli, elevando come una barriera tra l’essere
umano e il suo Creatore. Con la nascita di Gesù i cieli si aprono! Dio ci
dà nel Cristo la garanzia di un amore indistruttibile. Da quando il Verbo si è fatto carne è dunque possibile vedere i cieli aperti. È stato possibile per i pastori di Betlemme, per i
Magi d’Oriente, per il Battista, per
gli Apostoli di Gesù, per santo Stefano, il primo martire, che esclamò:
«Contemplo i cieli aperti!» (At 7,
56). Ed è possibile anche per ognuno di noi, se ci lasciamo invadere
dall’amore di Dio, che ci viene donato la prima volta nel Battesimo
per mezzo dello Spirito Santo. Lasciamoci invadere dall’amore di Dio!
Questo è il grande tempo della misericordia! Non dimenticatelo: questo è il grande tempo della misericordia!
Quando Gesù ricevette il battesimo di penitenza da Giovanni il Battista, solidarizzando con il popolo
penitente — Lui senza peccato e non
bisognoso di conversione —, Dio Pa-
dre fece udire la sua voce dal cielo:
«Questi è il Figlio mio, l’amato: in
lui ho posto il mio compiacimento»
(v. 17). Gesù riceve l’approvazione
del Padre celeste, che l’ha inviato
proprio perché accetti di condividere
la nostra condizione, la nostra povertà. Condividere è il vero modo di
amare. Gesù non si dissocia da noi,
ci considera fratelli e condivide con
noi. E così ci rende figli, insieme
con Lui, di Dio Padre. Questa è la
rivelazione e la fonte del vero amore.
E questo è il grande tempo della misericordia!
Non vi sembra che nel nostro
tempo ci sia bisogno di un supplemento di condivisione fraterna e di
amore? Non vi sembra che abbiamo
tutti bisogno di un supplemento di
carità? Non quella che si accontenta
dell’aiuto estemporaneo che non
coinvolge, non mette in gioco, ma
quella carità che condivide, che si fa
carico del disagio e della sofferenza
del fratello. Quale sapore acquista la
vita, quando ci si lascia inondare
dall’amore di Dio!
Chiediamo alla Vergine Santa di
sostenerci con la sua intercessione
nel nostro impegno di seguire Cristo
sulla via della fede e della carità, la
via tracciata dal nostro Battesimo.
Dopo la preghiera il Pontefice
ha annunciato il concistoro
Lettera ai nuovi porporati
Con cuore semplice e umile
Pubblichiamo, nella versione in lingua italiana,
la lettera che Papa Francesco ha scritto personalmente
per ognuno dei cardinali che saranno nominati
il prossimo 22 febbraio.
Caro Fratello,
nel giorno in cui si rende pubblica la tua designazione a far parte del Collegio Cardinalizio, desidero
farti giungere un cordiale saluto insieme all’assicurazione della mia vicinanza e della mia preghiera. Desidero che, in quanto aggregato alla Chiesa di Roma,
rivestito delle virtù e dei sentimenti del Signore Gesù
(cfr. Rm 13, 14), tu possa aiutarmi con fraterna efficacia nel mio servizio alla Chiesa universale.
Il Cardinalato non significa una promozione, né un
onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore. E, benché sembri un paradosso, questo poter
guardare più lontano e amare più universalmente con
maggiore intensità si può acquistare solamente seguendo la stessa via del Signore: la via dell’abbassamento e dell’umiltà, prendendo forma di servitore
(cfr. Fil 2, 5-8). Perciò ti chiedo, per favore, di ricevere questa designazione con un cuore semplice e umile. E, sebbene tu debba farlo con gaudio e con gioia,
fa’ in modo che questo sentimento sia lontano da
qualsiasi espressione di mondanità, da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà.
Arrivederci, quindi, al prossimo 20 febbraio, in cui
cominceremo i due giorni di riflessione sulla famiglia.
Resto a tua disposizione e, per favore, ti chiedo di
pregare e far pregare per me.
Gesù ti benedica e la Vergine Santa ti protegga.
Fraternamente,
Dal Vaticano, 12 gennaio 2014
del 22 febbraio e i nomi
dei diciannove nuovi porporati.
Cari fratelli e sorelle,
rivolgo a tutti voi il mio saluto cordiale, in particolare alle famiglie e ai
fedeli venuti da diverse parrocchie
dall’Italia e da altri Paesi, come pure
alle associazioni e ai vari gruppi.
Oggi un pensiero speciale vorrei
rivolgerlo ai genitori che hanno portato i loro figli al Battesimo e a coloro che stanno preparando il Battesimo di un loro figlio. Mi unisco alla gioia di queste famiglie, ringrazio
con loro il Signore, e prego perché il
Battesimo dei bambini aiuti gli stessi
genitori a riscoprire la bellezza della
fede e a ritornare in modo nuovo ai
Sacramenti e alla comunità.
Come è stato già annunciato il
prossimo 22 febbraio, festa della
Cattedra di San Pietro, avrò la gioia
di tenere un Concistoro, durante il
quale nominerò 16 nuovi Cardinali,
che — appartenenti a 12 nazioni di
ogni parte del mondo — rappresentano il profondo rapporto ecclesiale
fra la Chiesa di Roma e le altre
Chiese sparse per il mondo.
Il giorno seguente presiederò una
solenne concelebrazione con i nuovi
Cardinali, mentre il 20 e il 21 febbraio terrò un Concistoro con tutti i
cardinali per riflettere sul tema della
famiglia.
Ecco i nomi dei nuovi Cardinali:
1. Mons. Pietro Parolin, Arcivescovo titolare di Acquapendente, Segretario di Stato.
2. Mons. Lorenzo Baldisseri, Arcivescovo titolare di Diocleziana, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi.
3. Mons. Gerhard Ludwig Müller,
Arcivescovo-Vescovo emerito di Regensburg, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.
4. Mons. Beniamino Stella, Arcivescovo titolare di Midila, Prefetto
della Congregazione per il Clero.
5. Mons. Vincent Gerard Nichols,
Arcivescovo di Westminster (Gran
Bretagna).
6. Mons. Leopoldo José Brenes
Solórzano, Arcivescovo di Managua
(Nicaragua).
7. Mons. Gérald Cyprien Lacroix,
Arcivescovo di Québec (Canada).
8. Mons. Jean-Pierre Kutwa, Arcivescovo di Abidjan (Costa d’Avorio).
9. Mons. Orani João Tempesta,
O.Cist., Arcivescovo di Rio de Janeiro (Brasile).
10. Mons. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve (Italia).
11. Mons. Mario Aurelio Poli,
Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina).
12. Mons. Andrew Yeom Soo
jung, Arcivescovo di Seoul (Korea).
13. Mons. Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B., Arcivescovo di Santiago
del Cile (Cile).
14. Mons. Philippe Nakellentuba
Ouédraogo, Arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso).
15. Mons. Orlando B. Quevedo,
O.M.I., Arcivescovo di Cotabato (Filippine).
16. Mons. Chibly Langlois, Vescovo di Les Cayes (Haïti).
Insieme ad essi, unirò ai membri
del Collegio Cardinalizio tre Arcivescovi emeriti che si sono distinti per
il loro servizio alla Santa Sede e alla
Chiesa:
Mons. Loris Francesco Capovilla,
Arcivescovo titolare di Mesembria;
Mons. Fernando Sebastian Aguillar, Arcivescovo emerito di Pamplona;
Mons. Kelvin Edward Felix, Arcivescovo emerito di Castries, nelle
Antille.
Preghiamo per i nuovi Cardinali,
affinché rivestiti delle virtù e dei
sentimenti del Signore Gesù, Buon
Pastore, possano aiutare più efficacemente il Vescovo di Roma nel suo
servizio alla Chiesa universale.
A tutti auguro una buona domenica e buon pranzo. Arrivederci!
Battezzati trentadue neonati nella cappella Sistina
Come anelli di una catena
Nella cappella Sistina,
domenica mattina 12 gennaio,
festa del Battesimo del Signore,
il Pontefice ha battezzato trentadue
neonati. «Questi bambini
— ha affermato nella breve omelia
pronunciata a braccio —
sono l’anello di una catena».
E ai genitori ha ricordato in
particolare l’impegno
a educare i figli, trasmettendo loro
la fede cristiana.
Gesù non aveva necessità di essere
battezzato, ma i primi teologi dicono che, col suo corpo, con la sua divinità, nel battesimo ha benedetto
tutte le acque, perché le acque avessero il potere di dare il Battesimo. E
poi, prima di salire al Cielo, Gesù ci
ha detto di andare in tutto il mondo
a battezzare. E da quel giorno fino
al giorno d’oggi, questa è stata una
catena ininterrotta: si battezzavano i
figli, e i figli poi i figli, e i figli... E
anche oggi questa catena prosegue.
Questi bambini sono l’anello di
una catena. Voi genitori avete il
bambino o la bambina da battezzare, ma tra alcuni anni saranno loro
che avranno un bambino da battezzare, o un nipotino... È così la catena della fede! Cosa vuol dire questo? Io vorrei soltanto dirvi questo:
voi siete coloro che trasmettono la
fede, i trasmettitori; voi avete il dovere di trasmettere la fede a questi
bambini. È la più bella eredità che
voi lascerete loro: la fede! Soltanto
questo. Oggi portate a casa questo
pensiero. Noi dobbiamo essere trasmettitori della fede. Pensate a questo, pensate sempre come trasmettere la fede ai bambini.
Oggi canta il coro, ma il coro più
bello è questo dei bambini, che fanno rumore... Alcuni piangeranno,
perché non sono comodi o perché
hanno fame: se hanno fame, mamme, date loro da mangiare, tranquille, perché loro sono qui i protagonisti. E adesso, con questa consapevolezza di essere trasmettitori della fede, continuiamo la cerimonia del
Battesimo.
Il coro più bello
Papa Francesco ha battezzato trentadue bambini
nello splendido scenario della cappella Sistina,
domenica mattina 12 gennaio, giorno della festa
del Battesimo del Signore. Sono state proprio le
voci dei neonati, ha detto il Papa parlando a
braccio all’omelia, «il coro più bello» che ha animato la celebrazione, anche con il «rumore» e i
pianti, facendo respirare un autentico clima di
famiglia. Tanto che il Pontefice ha invitato
espressamente le mamme a dare tranquillamente
da mangiare ai piccoli durante il rito perché, ha
detto, «loro sono qui i protagonisti».
Hanno concelebrato gli arcivescovi Pietro Parolin, segretario di Stato, Konrad Krajewski, elemosiniere, e Giampiero Gloder, presidente della
Pontificia Accademia Ecclesiastica, e il vescovo
Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del
Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Era presente l’arcivescovo Georg Gänswein,
prefetto della Casa Pontificia.
I canti sono stati eseguiti dal coro della cappella Sistina diretto da monsignor Massimo Pa-
lombella. Il servizio dei ministranti è stato prestato dagli alunni del preseminario San Pio X .
La messa ha avuto inizio alle 9.30 con il dialogo rituale del Pontefice con i genitori, i padrini e
le madrine che hanno risposto alle domande proprie della liturgia del battesimo. Nel ricordare ai
genitori l’impegno a educare i figli nella fede, il
Papa ha aggiunto anche l’invito a «trasmettere»
loro la fede, proprio per rimarcare la responsabilità che attende la famiglia: è il concetto essenziale che ha poi riaffermato anche nella breve
omelia invitando i genitori a essere «trasmettitori
della fede».
È seguito il rito del segno della croce, fatto
sulla fronte di ogni bambino prima dal Pontefice, poi dalle mamme e dai papà, quindi dai padrini e dalle madrine. Alla preghiera dei fedeli
sono state ricordate le famiglie e soprattutto «i
bambini che soffrono per i maltrattamenti, per la
fame e per le malattie». All’invocazione dei santi
è poi seguita l’orazione di esorcismo e l’unzione
prebattesimale. Due concelebranti — i monsignori Gloder e Vérgez Alzaga — hanno fatto, a nome
del Papa, l’unzione con l’olio dei catecumeni sul
petto di tutti i piccoli.
La liturgia del battesimo ha avuto inizio con
la preghiera e invocazione sull’acqua pronunciata
dal Papa e il rito della rinuncia a satana e la professione di fede. Il Pontefice ha quindi personalmente battezzato i trentadue bambini, presentati
al fonte battesimale dai genitori, e dai fratelli e le
sorelle più grandicelli.
Poi l’unzione con il sacro crisma, la consegna
della veste bianca e del cero acceso e il rito dell’Effeta sono stati fatti sempre dall’arcivescovo
Gloder e dal vescovo Vérgez Alzaga. Proprio al
momento dell’affidamento della candela accesa,
il Papa ha ricordato ai genitori, parlando sempre
a braccio, che «la più grande eredità» che possono lasciare ai loro figli è proprio «la luce della
fede», la trasmissione della fede che dà la salvezza.
A conclusione della celebrazione il Pontefice
ha benedetto le madri con in braccio i bambini, i
padri e poi tutti i presenti alla celebrazione.
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