Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLIV n. 9 (46.551) Città del Vaticano lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 . Nell’udienza al corpo diplomatico il Papa invoca soluzioni negoziali ai conflitti in corso e denuncia le tragedie legate alla fame, all’aborto, alla tratta di esseri umani e alle migrazioni La strada maestra E domenica all’Angelus ha annunciato la nomina di diciannove cardinali nel concistoro del 22 febbraio y(7HA3J1*QSSKKM( +&!"!#!=![! Politica papale Lo sguardo ampio e il cuore largo che devono caratterizzare il servizio dei cardinali della Chiesa di Roma e che Papa Francesco raccomanda esplicitamente in una lettera scritta di suo pugno sono gli stessi che percorrono il tradizionale discorso al corpo diplomatico, cioè al mondo intero. Un discorso che richiama alla mente una perfetta espressione del lungo appunto che Paolo VI stese a Castel Gandolfo il 5 agosto 1963, poche settimane dopo l’elezione, quasi un programma spirituale del pontificato appena iniziato: «Iniziativa sempre vigilante al bene altrui: politica papale». E la politica papale nasce, ha voluto sottolineare Francesco, dal suo «cuore di pastore» e dall’attenzione «alle gioie e ai dolori dell’umanità», parole che riecheggiano l’inizio di uno dei più celebri documenti del concilio, la Gaudium et spes. Subito questa attenzione è andata alla famiglia, che deve assomigliare a quella di Gesù appena nato: una comunità aperta a tutti dove si possa imparare la fraternità. Il vescovo di Roma non si nasconde certo le difficoltà che la famiglia deve oggi affrontare, dall’indebolimento del senso di appartenenza a condizioni troppe volte precarie, e chiede per questo politiche che la sostengano e la consolidino. E ancora una volta il Papa ha appuntato l’attenzione sulla debolezza di due fasce della società — gli anziani e i giovani — di fatto emarginate da una cultura dell’effimero che finisce per esaurirsi in un consumo avido e miope che mette a rischio il futuro stesso di molte società. È questa chiusura che va combattuta a favore di una cultura dell’incontro. Così in Siria, dove quotidianamente la guerra semina distruzione, atrocità e morte. La giornata di digiuno e di preghiera indetta dal Papa in settembre è stata importante e ha suscitato consensi inattesi, ma su questa strada è ora urgente una «volontà politica comune» per porre fine al conflitto, mentre si avvicina la conferenza di Ginevra. E mentre i diplomatici ascoltavano il discorso papale, proprio sulla tragica situazione siriana alla Pontificia accademia delle scienze si teneva un seminario a porte chiuse. Nel panorama internazionale, alle preoccupazioni per le tensioni e le violenze in Libano, Iraq ed Egitto, in Africa e in Asia, fanno tuttavia riscontro positivo gli sforzi per assistere milioni di profughi in fuga dalla Siria, nello stesso Libano e in Giordania e i progressi sulla questione nucleare iraniana. È questa la strada maestra che la Santa Sede non si stanca di indicare, attiva da oltre un secolo sulle frontiere della pace. Per questo si adoperò Benedetto XV contro l’«inutile strage» provocata dal tremendo conflitto mondiale, al cui centenario si è così riferito Papa Francesco. Con fiducia, ostinatamente, il Pontefice segnala ogni spiraglio positivo, ma non nasconde la denuncia di ricorrenti e persistenti tragedie che continuano a mietere innumerevoli vittime, soprattutto tra i bambini. A causa della fame, dell’aborto, della guerra, della tratta di esseri umani, «delitto contro l’umanità». La pace — ripeteva Paolo VI ricordato oggi dal suo successore — non è infatti solo assenza di guerra e «si costruisce giorno per giorno». Ma per questo è necessario il contributo di tutti, senza distinzioni. g.m.v. Non ci sono alternative: la strada maestra per la pace è «quella diplomatica del dialogo». Lo aveva già affermato Benedetto XV nella sua Lettera ai capi dei popoli belligeranti il 1° agosto del 1917 durante la prima guerra mondiale. Lo ha ripetuto Papa Francesco questa mattina, lunedì 13 gennaio 2014 — a cento anni dall’inizio di quel catastrofico evento — rivolgendosi ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuti nella Sala Regia per il tradizionale incontro all’inizio dell’anno nuovo. Un discorso ampio, quello del Pontefice, nel quale, accanto al triste elenco delle principali tragedie che sconvolgono popoli e nazioni — il quadro delineato da Papa Francesco ha spaziato dalla Siria all’intera regione mediorientale, dall’Africa all’Asia, senza trascurare le «ferite alla pace» inferte dalla tragedia della fame, dal dramma dell’emigrazione, dalle con- seguenze delle catastrofi ambientali, dalle moderne forme di schiavitù come la tratta degli esseri umani — ci sono indicazioni precise per seguire quel cammino che finalmente può condurre a una pace stabile e duratura. A partire dalla famiglia, il cui modello dovrebbe ispirare, ha detto il Papa, la nascita di una comunità aperta, nella quale ci sia spazio per tutti, anziani e giovani, poveri e ricchi, vicini e lontani. All’Angelus di ieri, domenica 12, solennità del Battesimo del Signore, Papa Francesco aveva annunciato che nel concistoro del prossimo 22 febbraio nominerà 19 cardinali. E poco prima, nella cappella Sistina, aveva battezzato 32 neonati, presentandoli come i nuovi anelli di quella catena, mai interrotta, che unisce i cristiani al battesimo di Gesù. PAGINE 7 Incontro a Parigi tra Brahimi, Kerry e Lavrov La tensione spirituale di Kandinsky Ore cruciali per la conferenza sulla Siria Nelle profondità dell’anima PARIGI, 13. Restano incerte le possibilità di successo della conferenza internazionale di pace sulla Siria, promossa congiuntamente dall’O nu, dagli Stati Uniti e dalla Russia e prevista per il 22 gennaio prima a Montreux e poi a Ginevra. Oggi si incontrano a Parigi l’inviato dell’Onu e della Lega araba, Lakhdar Brahimi, il segretario di Stato americano, John Kerry, e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, per cercare di sciogliere i nodi che ancora sussistono. Kerry, dopo una riunione tenuta ieri, sempre a Parigi, del gruppo Amici della Siria, formato da undici Paesi che sostengono l’opposizione al presidente Bashar Al Assad, si è detto ottimista sulla partecipazione alla conferenza dell’opposizione stessa, peraltro formata da gruppi in diversi casi in lotta tra loro, oltre che contro le forze governative. L’unico riferimento degli Amici della Siria, però, resta la Coalizione nazionale siriana, che riunisce solo parte degli oppositori di Assad, presente a Parigi con il suo presidente Ahmad Jarba. Anche la presenza delle delegazioni internazionali resta incerta, soprattutto riguardo alla partecipazione dell’Iran, principale alleato mediorientale del Governo di Damasco, alla quale si oppongono soprattutto gli Stati Uniti e alcuni Paesi dell’area come Arabia Saudita, Qatar e Turchia. Di contro, la Russia ne ritiene indispensabile la presenza, e lo stesso Segretario generale dell’O nu, Ban Ki-moon, è favorevole, pur avendola per il momento esclusa dalla lista dei Paesi invitati. E 8 A PAGINA 4 Vassily Kandinsky, «Su bianco II» (1923, particolare) LUCETTA SCARAFFIA NOSTRE INFORMAZIONI In data 12 gennaio, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale del Vicariato Apostolico di Soddo (Etiopia), presentata da Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Rodrigo Mejía Saldarriaga, S.I., in conformità al canone 401 § 1 del Codice di Diritto Canonico. Gli succede Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Tsegaye Keneni Derara, Coadiutore del medesimo Vicariato Apostolico. Erezione di Esarcato Apostolico e relativa Provvista Piccoli profughi siriani in territorio turco (Afp) In data 13 gennaio, il Santo Padre ha eretto l’Esarcato Apostolico per i fedeli maroniti residenti nell’Africa Occidentale e Centrale, con sede ad Ibadan (Nigeria), e ha nominato il Reverendo Simon Faddoul, finora Presidente di Caritas-Liban, all’ufficio di primo Esarca Apostolico, senza carattere episcopale. Nomine di Visitatori Apostolici In data 13 gennaio, il Santo Padre ha nominato il medesimo Esarca Apostolico, Reverendo Simon Faddoul, all’ufficio di Visitatore Apostolico per i fedeli maroniti nell’Africa Meridionale. In data 13 gennaio, il Santo Padre ha nominato Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Georges Chihane, Vescovo Eparchiale del Cairo e del Sudan dei Maroniti, all’ufficio di Visitatore Apostolico per i fedeli maroniti residenti nei Paesi del Nord Africa non compresi nel suo territorio eparchiale. In data 13 gennaio, il Santo Padre ha nominato Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Basile Georges Casmoussa, Arcivescovo emerito di Mossul (Iraq) e Vescovo della Curia Patriarcale SiroCattolica, all’ufficio di Visitatore Apostolico per i fedeli Siri residenti in Europa Occidentale. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 Elezioni tra due settimane Decine di migliaia di persone si sono riversate oltre i confini del Paese precipitato nella guerra civile Incerta tregua a Bangui dopo la svolta politica Sud Sudan dei profughi Firma di un accordo tra la Santa Sede e la Repubblica del Camerun pagina 2 BANGUI, 13. Un’incerta tregua tra le milizie che si fronteggiano nella Repubblica Centroafricana si registra nella capitale Bangui dopo la svolta politica, accompagnata dall’annuncio di elezioni tra due settimane, realizzata con la rimozione dal potere dei principali leader della Seleka, la coalizione ex ribelle che nel marzo scorso aveva rovesciato il presidente François Bozizé. I Paesi della Comunità economica dell’Africa centrale (Ceeac) avevano ottenuto venerdì scorso, durante un vertice nella capitale ciadiana N’Djamena, le dimissioni del leader della Seleka, Michel Djotodia, che si era autoproclamato presidente, e del suo primo ministro, Nicolas Tiangaye. Djotodia è andato in esilio in Benin direttamente da N’D jamena, mentre alcune fonti danno Tiangaye per rientrato in patria. Ad assumere la guida del Paese ad interim è stato Alexandre Ferdinand Nguendet, il presidente del Consiglio nazionale di transizione (Cnt), una sorta di Parlamento insediato dopo il colpo di Stato. Tutti i 135 esponenti del Cnt erano stati portati a N’D jamena per avallare la svolta. Come primo atto ufficiale da presidente ad interim, ieri Nguendet ha visitato l’immenso campo sfollati di Mpoko, all’aeroporto di Bangui, dove ha esortato le centomila persone lì riparate a tornare a casa, impegnandosi a garantire la loro sicurezza. In base all’impegno preso con la Ceeac e e già formalizzato dalla Corte costituzionale di Bangui, entro 15 giorni Nguendet deve organizzare l’elezione del futuro presidente di transizione. Da oggi si stanno tenendo consultazioni con rappresentanti dei partiti politici e della società civile per stilare una lista di possibili candidati. Tra i nomi più accreditati circolano quelli di alcuni generali: Gailloty Bibanga, finora capo di stato maggiore della Ceeac, Parfait Mbaye, già ministro degli Esteri, e il colonnello Anicet Saulet, attuale ambasciatore al Cairo. Tra i politici si parla dell’ex ministro degli Esteri Karim Meckassoua, dell’ex ministro della Difesa Jean-Jacques Demafouth e dell’ex ministro dell’Amministrazione territoriale Josué Binoua, mentre non viene esclusa una conferma dello stesso Nguendet. In lizza sembrano però esserci anche esponenti della società civile, a partire da due donne: Beatrice Epaye, da anni in prima linea a favore dei bambini di strada, e l’attuale sindaco di Bangui, Catherine Samba Panza. Civili sudsudanesi ammassano i loro averi nei pressi della missione Onu a Juba (LaPresse/Ap) JUBA, 13. Decine di migliaia di persone si sono riversate oltre i confini del Sud Sudan, precipitato da un mese a questa parte nella guerra civile tra le forze fedeli al Governo guidato dal presidente Salva Kiir Mayardit e i ribelli che fanno riferimento all’ex vicepresidente Rijek Machar. Mentre non si segnalano sviluppi nel negoziato aperto da una settimana ad Addis Abeba per cercare di fermare il conflitto, l’alto commissariato dell’O nu per i rifugiati (Unhcr) ha comunicato ieri che almeno diecimila persone hanno varcato la frontiera settentrionale, quella con il Sudan. La cifra, fornita dal responsabile dell’Unhcr a Khartoum, Nicolas Brass, si aggiunge a quella dei 33.000 rifugiati già registrati in Uganda — ma la Croce rossa locale parla di già 46.000 — e degli oltre diecimila in Etiopia e Kenya e sembra purtroppo destinata ad aumentare. Brass ha precisato che la maggior parte dei profughi arrivati in Sudan sono donne e bambini, ai quali serve tutto, dall’acqua al cibo, dalle medicine a un qualsiasi riparo. Già due giorni fa, inoltre, l’Unhcr aveva paventato che il numero di sfollati interni in Sud Sudan possa quasi raddoppiare nei prossimi mesi, passando dai 232.000 attuali a oltre 400.000 entro aprile. Ad Addis Abeba, nel frattempo, si protrae lo stallo nel negoziato originariamente convocato dall’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), un organismo che raccoglie sei Paesi, ma nel quale sono subentrate poi in veste di mediatori l’Unione africana e soprattutto la Cina, prin- L’inverno mediterraneo non ferma i migranti L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt 00120 Città del Vaticano [email protected] http://www.osservatoreromano.va Costituite municipalità serbe nel nord del Kosovo PRISTINA, 13. Dopo giorni di polemiche e rinvii, si sono ieri tenute le prime riunioni costitutive delle quattro municipalità serbe del nord del Kosovo, scaturite dalle elezioni del 3 novembre e primo dicembre scorsi (con i turni di ballottaggio). Le cerimonie inaugurali delle nuove amministrazioni comunali, tutte a porte chiuse, si sono tenute nel settore nord (serbo) di Kosovska Mitrovica, a Zvečan, Zubin Potok e Leposavić — i quattro centri principali del nord del Kosovo a maggioranza serba. Ieri era il termine ultimo per tenere le prime riunioni delle quattro Una cartolina arriva dopo 44 anni BERLINO, 13. Dopo ben quarantaquattro anni, è arrivata a destinazione una cartolina-concorso spedita nel 1969 dalla Ddr, l’ex Germania dell’Est, da un giovane studente di diciotto anni, Günter Zettl, allora residente nella regione orientale del Meclemburgo, che voleva partecipare ad un concorso radiofonico dell’emittente occidentale Saarbrücker Rundfunk (Sr), nella Saar. Nel 1969, il ragazzo aveva ascoltato sulle onde medie la trasmissione Europawelle, indovinando il titolo della canzone «Painter Man». La cartolina fu però intercettata dal ministero per la Sicurezza dello Stato, ovvero la Stasi — la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Ddr — e finì nei suoi archivi. Anche se la trasmissione di allora non esiste più da 40 anni, la Sr ha deciso di dedicare una trasmissione speciale a Zettl il 14 gennaio, invitandolo in studio insieme alla sua famiglia. cipale acquirente del petrolio sudanese e sudsudanese. All’Igad continua invece a fare riferimento la diplomazia statunitense, che sta a sua volta aumentando l’impegno nella vicenda. Un comunicato dei ribelli ha reso noto ieri che c’è stato un incontro, in una località segreta, tra Rijek Machar e l’inviato statunitense in Sudan e Sud Sudan, Donald Booth. Sull’incontro non sono stati forniti particolari, ma tra i temi in discussione dovrebbe esserci stato il motivo principale dello stallo negoziale, cioè la questione degli oppositori arrestati dal Governo di Juba e accusati di complotto e di tentativo di colpo di Stato. Sabato, il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva chiesto a Salva Kiir Mayardit di liberarli per favorire la conclusione del conflitto. entità amministrative, in caso contrario si sarebbe andati alla ripetizione del voto. Alla fine, grazie alla mediazione di Ue e Osce, si è riusciti a trovare un compromesso, superando i contrasti fra Kosovo e Serbia, che avevano provocato un rinvio già il 24 dicembre. Si è deciso di coprire con degli adesivi i simboli statali del Kosovo presenti sui documenti ufficiali firmati nelle cerimonie, per venire incontro alle richieste di Belgrado, che non riconosce l’indipendenza di Pristina e non ammette bandiere o altri simboli statali di quella che considera ancora una provincia serba. Ancora proteste a Kiev Migranti soccorsi dalla marina militare italiana (Ansa) LAMPEDUSA, 13. Le difficili condizioni del mare non stanno fermando i drammatici viaggi nel Mediterraneo di migliaia di persone dirette verso le coste europee e in particolare italiane. Dall’inizio dell’anno, in meno di due settimane, sono già 1.500 i profughi e migranti soccorsi dalla Marina italiana. Ieri la nave San Marco ne ha tratti in salvo 236 da un barcone alla deriva a circa 80 miglia marine da Lampedusa, mentre sono ancora in corso nella stessa zona le operazioni di assistenza a un altro barcone con circa 200 persone. Le 236 persone soccorse dalla San Marco, compresi 39 bambini e ragazzi e 30 donne, due delle quali incinte, provengono da Siria, Senegal, Gambia, Territori palestinesi, Guinea, Ghana e Costa d’Avorio. Tutte appaiono in buone condizioni di salute e sono state trasferite sul pattugliatore Libra, atteso stamane nel porto di Augusta. Avevano invece tentato la traversata su una barca a vela sette siriani e cinque pakistani, compresa una giovane in avanzato stato di gravidanza, soccorsi sempre ieri a sud di Gallipoli, in Puglia, dalla Guardia costiera italiana, dopo un allarme lanciato da quella greca. GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile TIPO GRAFIA VATICANA EDITRICE L’OSSERVATORE ROMANO Carlo Di Cicco don Sergio Pellini S.D.B. vicedirettore Piero Di Domenicantonio caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione direttore generale KIEV, 13. Oltre cinquantamila persone si sono radunate ieri dietro le barricate a Kiev, nell’ottava domenica di manifestazioni di massa contro la decisione del Governo ucraino di congelare un accordo di associazione e libero scambio con l’Ue per riavvicinarsi a Mosca. E mentre la protesta si riaccende, l’opposizione torna a chiedere a Washington e a Bruxelles sanzioni personali contro i membri del Governo. Secondo alcuni osservatori, a rianimare la protesta sono stati gli scontri tra manifestanti e polizia di venerdì notte davanti a un tribunale di Kiev, dove sono rimasti feriti circa venti agenti e altrettanti dimostranti. Tra loro l’ex ministro dell’Interno del Governo di Yulia Tymoshenko, attualmente in carcere, Iuri Lutsenko, finito in terapia intensiva per una commozione cere- Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va brale dopo uno scontro con le teste di cuoio. La situazione è degenerata dopo che il tribunale di Sviatoshin ha condannato a sei anni di reclusione tre nazionalisti accusati di aver progettato di far saltare in aria una statua di Lenin. I dimostranti hanno usato gas lacrimogeni e lanciato pietre contro gli agenti, che a loro volta hanno colpito i dimostranti con violente manganellate e hanno anche loro usato i gas lacrimogeni. Per queste violenze e per quelle delle settimane precedenti, il leader del partito Udar, Vitali Klitschko, è tornato a chiedere ai leader europei di esaminare al più presto la richiesta di imporre delle sanzioni personali contro il presidente Ianukovich e «coloro che rappresentano la spina dorsale del suo regime». La stessa richiesta è stata avanzata anche a Washington. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Lunedì 13 gennaio 2014, nella sede del Ministero degli Affari Esteri della Repubblica del Camerun a Yaoundé è stato firmato l’Accordoquadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Camerun sullo statuto giuridico della Chiesa cattolica nel Camerun. Per la Santa Sede ha firmato l’Ecc.mo Mons. Piero Pioppo, Arcivescovo titolare di Torcello e Nunzio Apostolico in Camerun, e per la Repubblica del Camerun S.E. il Sig. Pierre Moukoko Mbondjo, Ministro degli Affari Esteri. Hanno partecipato al solenne atto: da parte ecclesiastica: S.E. il Sig. Cardinale Christian Tumi, Arcivescovo emerito di Douala; S.E. Mons. Samuel Kleda, Arcivescovo di Douala e Presidente della Conferenza Episcopale; S.E. Mons. Antoine Ntalou, Arcivescovo di Garoua; S.E. Mons. Cornelius Fontem Esua, Arcivescovo di Bamenda; S.E. Mons. Joseph Atanga, S.I., Arcivescovo di Bertoua; S.E. Mons. Jean Mbarga, Vescovo di Ebolowa e Amministratore Apostolico di Yaoundé; e il Rev.do Ervin Lengyel, Segretario della Nunziatura Apostolica in Camerun; da parte statale: il Sig. René Emmanuel Sadi, Ministro di Stato, Ministro dell’Amministrazione Territoriale e della Decentralizzazione; il Sig. Joseph Dion Ngute, Ministro Delegato presso il Ministro degli Affari Esteri, incaricato della collaborazione con il Commonwealth; il Sig. Adoum Gargoum, Ministro Delegato presso il Ministro degli Affari Esteri, incaricato della collaborazione con il mondo islamico; il Sig. Félix Mbayu, Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri; e S.E. il Sig. Antoine Zanga, Ambasciatore della Repubblica del Camerun presso la Santa Sede. L’Accordo, costituito da 9 articoli, disciplina le relazioni fra la Chiesa e lo Stato, i quali, nel quadro dell’indipendenza e dell’autonomia di ciascuno, si impegnano ad operare insieme per il benessere morale, spirituale e materiale della persona umana e per la promozione del bene comune. Esso è entrato in vigore all’atto della firma, ai sensi dell’articolo 9 dell’Accordo medesimo. Legislative in Madagascar vinte dalle forze al potere ANTANANARIVO, 13. Le forze al potere da quasi cinque anni in Madagascar — dopo il colpo di Stato, guidato dall’allora sindaco di Antananarivo e attuale capo della transizione, Andry Rajoelina, che rovesciò il presidente Marc Ravalomanana — sono accreditate, in base ai dati provvisori, della vittoria nelle elezioni dello scorso 20 dicembre. Secondo la commissione elettorale, infatti, 53 dei 151 seggi del Parlamento sono da assegnare alla coalizione Mapar (letteralmente: con il presidente Andry Rajoelina), contro i 30 delle forze vicine a Ravalomanana. Gli altri 68 erano candidati di piccole formazioni politiche o indipendenti. A questo punto il tribunale elettorale speciale ha un mese per esaminare i ricorsi e proclamare i risultati definitivi. Rajoelina non ha potuto candidarsi nelle contemporanee presidenziali — vinte, sempre in base a dati provvisori, dal suo candidato Hery Rajaonarimampianina — ma la Mapar ha annunciato che intende designarlo primo ministro. Concessionaria di pubblicità Il Sole 24 Ore S.p.A System Comunicazione Pubblicitaria Aziende promotrici della diffusione de «L’Osservatore Romano» Intesa San Paolo Alfonso Dell’Erario, direttore generale Romano Ruosi, vicedirettore generale Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 Società Cattolica di Assicurazione [email protected] Banca Carige Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 pagina 3 Secondo Obama si tratta del primo passo verso un accordo globale Decine di vittime in una sola giornata di attentati Scatta l’applicazione dell’intesa sul nucleare iraniano Violenze a Baghdad WASHINGTON, 13. A più di un mese e mezzo dall’accordo provvisorio firmato a Ginevra sul nucleare iraniano, è stato confermato ufficialmente che l’applicazione dell’intesa scatterà dal prossimo 20 gennaio. Come sottolineato dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si tratta di un progresso concreto che però non consente di nutrire eccessive il- L’ultimo saluto di Israele al generale Sharon TEL AVIV, 13. Israele dà l’ultimo saluto al generale Ariel Sharon, ex primo ministro, deceduto sabato scorso. Ieri la bara con il corpo di Sharon è stata portata a Gerusalemme. Questa mattina, nella piazza che ospita la Knesset è iniziata la commemorazione funebre alla presenza di importanti personalità internazionali. Tra queste, il vicepresidente statunitense, Joe Biden, e il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, che tornano a incontrarsi in una fase di stallo dei negoziati israelopalestinesi. Alla cerimonia seguiranno i funerali di Stato, poi il feretro di Sharon raggiungerà il ranch dei Sicomori, dove l’ex premier viveva, e sarà sepolto vicino alla tomba della moglie Lili. Intanto, l’esercito ha elevato lo stato di allerta in tutto il Neghev: ieri un razzo Qassam è stato esploso da Gaza in direzione del territorio israeliano, senza causare vittime né danni materiali. lusioni sull’esito finale del negoziato. Su di esso continuano infatti a incombere le sanzioni statunitensi qualora l’Iran non dovesse rispettare gli impegni assunti. La data di applicazione è stata annunciata ieri sera dalla portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Marziyeh Afkham, ma era già emersa nelle settimane passate. L’annuncio ufficiale era stato però rinviato per consentire che venissero concordate le modalità di applicazione dell’accordo, incagliatosi fino a qualche giorno fa sulle attività di ricerca nucleare nell’impianto iraniano di Natanz. L’intesa prevede l’imposizione di limiti al programma nucleare di Teheran, in particolare il congelamento della produzione di uranio arricchito al 20 per cento, in cambio dell’allentamento — modesto, come ha ribadito ieri Obama — delle sanzioni economiche. «Se l’Iran fallirà nel mantenere i propri impegni inaspriremo le sanzioni», ha avvertito il presidente statunitense ribadendo però che porrà il veto al nuovo embargo su cui lavora il Congresso di Washington. «Imporre nuove sanzioni adesso — ha detto — rischierebbe di rovinare i nostri sforzi per risolvere pacificamente la questione». Pur ribadendo di non nutrire eccessive illusioni e affermando di essere consapevole della difficoltà di giungere al controllo internazionale del programma atomico iraniano, il presidente statunitense ha sottolineato come questa sia la prima volta da decenni che il Governo di Teheran acconsente a fare passi indietro su punti chiave del proprio programma nucleare. E in base all’intesa preliminare raggiunta a Ginevra, a partire dal I° febbraio l’Iran riceverà la prima tranche dei fondi congelati all’estero dalle sanzioni internazionali. Si tratta di una somma di 550 milioni di dollari su un totale di 4,2 miliardi. Il resto sarà suddiviso in altri sette versamenti, sempre legati al rispetto degli obblighi previsti dall’accordo. Catherine Ashton, alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune dell’Ue e coordinatrice del gruppo cinque più uno (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina, Paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, più la Germania) che negozia sul nucleare iraniano, ha sottolineato che sono state poste le «basi per un’applicazione coerente, solida e graduale» dell’intesa di Ginevra e che ora all’Aiea verrà chiesto di prendere misure per la verifica dell’applicazione dell’accordo. un’autobomba è esplosa davanti a un’affollata stazione degli autobus nel distretto di Allawi, uccidendo almeno nove persone e ferendone 16. Non è chiaro se tra le vittime ci siano anche alcune nuove reclute dell’esercito iracheno che in quel momento si trovavano nella stazione. Un’altra autobomba, parcheggiata vicino ad alcuni autobus e taxi nel quartiere di Hurriyah a nord della capitale, è stata fatta esplodere e ha provocato la morte di 4 persone. Intanto, secondo una Ong sarebbero 370 le vittime di dieci giorni di battaglia a Ramadi e Falluja nella provincia occidentale di Al Anbar. Bangkok paralizzata dai manifestanti Manifestanti a Bangkok (Ansa) La premier del Bangladesh giura nelle mani del presidente DACCA, 13. La premier del Bangladesh, Sheikh Hasina, vincitrice delle recenti elezioni generali del 5 gennaio — svoltesi in un clima di tensione e di violenza (almeno ventisei morti) e con il duro boicottaggio dell’opposizione — ha giurato ieri in Parlamento insieme al nuovo Governo, che comprende quarantanove membri (oltre a lei, ventinove ministri, due viceministri e diciassette sottosegretari). Lo riferisce il portale di notizie BdNews24. In assenza della leader dell’opposizione e presidente del Partito nazionalista del Bangladesh, Khaleda Zia che, pur non essendosi candidata alle parlamentari, era stata invitata, Hasina ha giurato nelle mani del presidente, Abdul Hamid. Successivamente, in dichiarazioni rese alla stampa, la premier ha detto che «per salvaguardare la democrazia si potrà in futuro trovare una qualche forma di accordo politico con l’op- BAGHDAD, 13. È di almeno 34 morti e decine di feriti il bilancio delle vittime delle violenze ieri a Baghdad, secondo quanto riferito da fonti sanitarie e della sicurezza. Oltre a due autobombe che hanno provocato la morte di almeno 14 persone, scontri violenti sono avvenuti ad Abu Ghraib, a ovest della capitale, quando un gruppo di insorti jihadisti ha assaltato un convoglio militare e l’esercito ha risposto mitragliando dall’alto con un elicottero. Mentre si concludeva una visita di tre giorni in Iraq da parte del vice sottosegretario americano agli Affari per il Vicino Oriente, Brett McGurk, Per costringere il Governo alle dimissioni e annullare le elezioni anticipate del 2 febbraio Uccisi quattro soldati nello Yemen SAN’A, 13. Quattro soldati sono stati uccisi ieri, in un violento attacco condotto da miliziani tribali nella provincia di Hadramout, nel sud-est dello Yemen. Lo hanno riferito fonti militari, come riporta l’agenzia di stampa Ansa. A essere attaccata è stata una postazione militare nei pressi della località di Chehr, ha spiegato la fonte, attribuendo l’assalto a una coalizione delle tribù locali. Le tribù alleate di Hadramout, vasta provincia di un’area desertica del Paese, si sono ribellate dopo la morte del loro leader, Ben Said Habriche, ucciso all’inizio di dicembre insieme a cinque delle sue guardie del corpo, durante uno scontro armato con l’esercito yemenita, in cui sono morti anche due soldati. Un’autobomba esplosa nei pressi della capitale irachena (LaPresse/Ap) posizione». A patto, però, che terminino le violenze. Attualmente, data l’assenza di candidati dei partiti oppositori nel voto, il partito di governo, la Lega Awami, controlla i quattro quinti dei seggi del Parlamento unicamerale di Dacca. Oltre ai contrasti tra Governo e opposizione, il Paese sta affrontando nelle ultime settimane l’ondata di proteste degli operai del settore tessile, che chiedono incrementi salariali e maggiori condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro. L’industria dell’abbigliamento e degli accessori rappresenta la maggiore fonte di valuta estera per il Bangladesh, con un giro di affari che si aggira attorno ai sedici miliardi di dollari all’anno. Impiega circa quattro milioni di persone, in maggioranza giovani donne provenienti dalle zone più povere del Paese. Esplosione in un campus delle Filippine MANILA, 13. È di almeno ventiquattro feriti, di cui diciassette gravi, il bilancio — ancora provvisorio — dell’esplosione di una bomba nel campus dell’università di Arakan, a Mindanao, nelle Filippine meridionali. Lo ha reso noto un funzionario della polizia locale all’agenzia Afp, precisando che la maggior parte dei feriti sono studenti, professori e guardie dell’ateneo. Nessuno ha ancora rivendicato la responsabilità dell’attacco, anche se nella zona operano da anni gli estremisti islamici. I sospetti ricadono sul gruppo Abu Sayyaf, formazione terrorista che ha la sua base nell’arcipelago delle Sulu. La polizia locale ha reso noto di dovere ancora ricostruire l’esatta dinamica della forte deflagrazione. BANGKOK, 13. Ora dopo ora, sta prendendo sempre più consistenza il blocco della capitale della Thailandia, Bangkok, deciso dall’opposizione contro la premier ad interim, Yingluk Shinawatra. D all’alba, i principali incroci della metropoli sono stati occupati dai manifestanti antigovernativi. Le chiusure di sette tra gli snodi del traffico più importanti — alcuni nei centrali distretti commerciali — si sono svolte finora in modo del tutto pacifico. Le manifestazioni — che hanno mandato completamente in tilt la circolazione stradale — sono ispirate da Suthep Thaugsauban, leader del Comitato popolare per la riforma democratica ed ex deputato dell’opposizione, che da novembre scorso ha fatto invadere la capitale da centinaia di migliaia di dimostranti. La protesta ha costretto Yingluck a dimettersi dalla carica di premier e ad assumere l’interim in vista delle elezioni anticipate da lei stessa indette per il 2 febbraio. Ma l’opposizione intende impedire il voto, sostenendo che prima sono necessarie ampie riforme mirate a combattere la corruzione, di cui accusano il «regime di Thaksin Shinawatra», riferendosi all’ex primo ministro fuggito all’estero per evitare una condanna a due anni di carcere per abuso di potere, nonché fratello di Yingluck. Nessun notizia, finora, dall’incontro tra i leader delle forze armate e il Governo, che in comitato ristretto guidato dalla premier controlla la situazione dall’interno del ministero della Difesa. Più di 20.000 tra poliziotti e soldati sono stati mobilitati per proteggere ministeri e siti sensibili e garantire che la protesta non sfoci in violenza, ma la linea dell’Esecutivo sembra essere quella di lasciare fare i manifestanti, evitando derive violente che potrebbero favorire un intervento dell’esercito. I dimostranti hanno dichiarato di volere impedire ai funzionari governativi di recarsi al lavoro, minacciando di rimanere in piazza fino al 31 gennaio prossimo se Yingluck sarà ancora al potere. Dalla fine di novembre, nelle ripetute dimostrazioni si sono registrati otto morti e decine di feriti. Nei giorni scorsi, dopo avere parlato sia con la premier che con Abhisit Vejjajiva, leader dei Democratici, il maggiore partito dell’opposizione politica che appoggia dall’esterno le proteste antigovernative, il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha lanciato un appello alla calma e alla riconciliazione nazionale. Organismi umanitari internazionali hanno chiesto alle forze armate di rispettare il diritto alla protesta e l’incolumità di quanti sono coinvolti nelle dimostrazioni, ricordando i novanta morti e le centinaia di feriti provocati dall’intervento delle forze dell’ordine contro le manifestazioni delle camicie rosse, oggi a sostegno del Governo, nel maggio del 2010. Parte da Timor Orientale la sfida dell’Onu alla fame in Asia DILI, 13. Parte da Timor Orientale la Zero Hunger Challenge (sfida per la fame zero) in Asia, l’iniziativa continentale lanciata nell’aprile 2013 dalla Commissione economica e sociale dell’Onu per l’Asia e il Pacifico (Escap). Il piccolo Paese, cerniera tra il continente asiatico e il Pacifico, è stato infatti il primo a varare il piano nazionale per raggiungere lo scopo. «La fame è un imperdonabile fallimento dello sviluppo», ha ricordato Noeleen Heyzer, segretario della Escap, in un intervento davanti al Parlamento di Dili, la capitale timorense, riunito per approvare il piano. Secondo i dati dell’Onu, l’intera regione Asia-Pacifico ha complessivamente visto concreti progressi per ridurre l’incidenza della fame cronica, che nel 1992 colpiva il 24 per cento della popolazione, rispetto al 13,5 registrato nel 2013. Tuttavia, ta- le percentuale significa in cifra assoluta oltre 553 milioni di abitanti sottonutriti. Come sempre accade nelle principali tragedie mondiali, le vittime principali sono i bambini. Nelle aree più colpite dalla fame, soprattutto l’Asia meridionale e sudoccidentale, i bambini sottonutriti sono oltre un terzo del totale. Sotto questo aspetto, un decennio dopo l’indipendenza dall’Indonesia, Timor Orientale resta al fondo delle statistiche dello sviluppo regionale. Secondo i rapporti internazionali — da ultimo uno studio preliminare dell’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, sulla denutrizione nel Paese — il numero dei bambini affamati si è ridotto negli ultimi tre anni, passando dal 44,7 per cento registrati nel 2010, al 38,1 per cento dello scorso anno. Viceministro dell’industria libico assassinato a Sirte TRIPOLI, 13. Nuove esplosione di violenza in Libia. Sabato notte è stato assassinato a colpi d’arma da fuoco a Sirte il viceministro dell’Industria Hassan Al Droui, mentre nel sud continuano sanguinosi scontri etnici tra tribù rivali, con un bilancio di quasi trenta morti e decine di feriti in meno di due giorni. L’agguato di Sirte, località situata a circa cinquecento chilometri a est della capitale Tripoli dove Al Droui era nato, segna l’ennesimo punto di svolta negativo nella tragica situazione libica: l’omicidio è infatti il primo di un membro di Governo dalla caduta, nel 2011, del regime di Gheddafi. In un comunicato l’Esecutivo ha denunciato «un vile atto criminale», assicurando che «farà di tutto per catturare e processare gli autori» dell’assassinio. Al Droui era un ex esponente del Consiglio nazionale di transizione, il braccio politico della ribellione che ha rovesciato Gheddafi con l’aiuto dell’intervento armato internazionale della Nato. Anche Gheddafi era nato a Sirte ed è proprio qui che il leader libico fu catturato e ucciso il 20 ottobre 2011. La città, che fu l’ultima tra le roccaforti del leader libico a cadere, come la maggior parte del Paese non è mai stata completamente pacificata e l’agguato ne è ulteriore testimonianza. Secondo una fonte dei servizi di sicurezza, il viceministro libico è stato ucciso da «sconosciuti armati che hanno sparato raffiche di armi automatiche contro di lui». Ricoverato in città nell’ospedale Ibn Sina, i medici non hanno potuto fare nulla per salvarlo: è stato colpito, hanno detto successivamente, da molti proiettili in diverse parti del corpo. L’agguato mortale a un esponente del Governo ad interim testimonia ancora una volta la debolezza dello Stato e l’incapacità delle autorità di transizione libiche di ristabilire l’ordine e la sicurezza in un Paese di fatto in preda all’anarchia e a violenze di ogni tipo. Intanto sono continuati ieri i combattimenti — allargatisi da Sebha ad altre due località, Murzeq e Al Shati — tra uomini pesantemente armati di tribù rivali nel sud, regione desertica dove però vi sono numerosi siti petroliferi che da mesi non riescono più a effettuare attività estrattiva. Il Governo di Tripoli ha comunicato di aver inviato rinforzi ai soldati e alla polizia. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 Tradotto in italiano «Come Rack! Come Rope!» di Benson Il 14 gennaio esce «High Hopes» Conflitto culturale Quel cattolico di Springsteen di ENRICO REGGIANI «Marjorie non andò a St. Paul fino alla vigilia di Natale, sebbene la cattedrale fosse molto vicina. (...) Quarant’anni fa la vita di questa chiesa stava crescendo proprio in questa notte. (...) E ora, in questa nuova Inghilterra, la chiesa, svuotata della sua Presenza Divina, si stava svuotando anche dei suoi visitatori umani. (...) Sarebbe stata presto vuota, desolata e scura, e così sarebbe stata tutta la notte (...) Perché non protestavano con forza anche le pietre?». Così l’infaticabile penna di Robert Hugh Benson (1871-1914) contrappone, nella monumentale cornice della cattedrale londinese di San Paolo, l’esperienza del Natale della Catholic England e quella degli eredi dello scisma anglicano in un passo emblematico del romanzo Come Rack! Come Rope!: pubblicata nel 1912 due anni prima della morte del suo autore, questa ennesima «epistola di Hugh il predicatore agli Anglicani» — secondo una definizione dell’opera narrativa di Benson coniata da sir Shane Leslie (1885-1971) — è stata da poco riproposta in una versione italiana (Vieni ruota! Vieni forca!, Verona, Fede e Cultura, 2013, pagine 448, euro 18,50) volonterosa e lodevole, benché non sempre ineccepibile. Si potrebbe quasi dire che, proprio nella esplicita contrapposizione tra le «associazioni familiari della festa» della Natività prescismatica e lo «spettacolo di ombre senza senso o significato» inscenato nella Londra elisabettiana «da quando il cuore del Natale era scomparso», trova alimento narrativo e testuale il conflitto culturale e simbolico rappresentato in Come Rack! Come Rope!. Sulle dissonanze teologiche, antropologiche, culturali e socioistituzionali che da tale conflitto derivano, si fonda un fitto reticolo Robert Hugh Benson di situazioni — e di interpretazioni non convenzionali delle vicende dell’Inghilterra del secondo Cinquecento — che il romanzo di Benson intreccia in modo avvincente e appassionante. Le due differenti ricezioni e interpretazioni dello Spirit of Christmas, che Chesterton definirà nel 1933 «del tutto inappropriato per il mondo moderno», producono, infatti, conseguenze ineludibili per ciascuno dei numerosi personaggi la cui voce risuona nella partitura di questo romanzo bensoniano. Ciò vale innanzitutto per Robin Audrey, figlio sacerdote martire in nome della ancient faith, e per Master Audrey, padre apostata a causa delle «pretese irragionevoli di Dio» (in materia di sanzioni economiche per chi non abiura la ancient faith); in secondo luogo, per lo stesso Robin e per Marjorie Manners, i quali — come ha suggerito Elaine Hallett sulle pagine della «New Oxford Review» — decidono di sacrificare il loro imminente matrimonio in nome di «un amore più grande che rende manifesto l’amore di Dio sul tormentato suolo di Derby»; infine, più in generale, per tutti i recusants che intendono rimanere fedeli alla tradizionale identità religiosa del proprio Paese e per i conformists che scelgono, invece, di adeguarsi alla religione del sovrano in quel momento assiso sul trono. Il titolo inglese del romanzo di Benson, cita programmaticamente una famosa e fatale lettera di Edmund Campion (1540-1581) e si colloca idealmente tra le due note biografie del martire gesuita pubblicate dagli scrittori cattolici Richard Simpson (1820-1876) nel 1867 ed Evelyn Waugh (1903-1966) nel 1935. Perché programmaticamente? Perché tale citazione non si presta soltanto a riassumere l’intenzione creativa di quel singolo romanzo bensoniano, ma illumina anche l’intero edificio di un più ampio gruppo di opere del figlio cattolico dell’arcivescovo anglicano di Canterbury (Edward White Benson, 1829-1896). Oltre a Come Rack! Come Rope! (1912), tale gruppo include, infatti, anche By What Authority? (1904), The King’s Achievement (1905), The History of Richard Raynal, Solitary (1906), The Queen’s Tragedy (1907), Oddfish! (1914). Per identificare il genere letterario di questi romanzi, la critica è spesso ricorsa alle eti- Nella cattedrale di Saint Paul lo scrittore contrappone il Natale della Catholic England a quello degli eredi dello scisma anglicano chette, fluttuanti e apparentemente contraddittorie, di historical novel e di historical romance, non di rado impiegate simultaneamente, come testimonia l’autorevole e benevola introduzione ai Poems bensoniani (1914) del cattolico Wilfrid Meynell (1852-1948). Meynell, consorte della poetessa Alice (Thompson) Meynell (18471922), indica proprio Come Rack! Come Rope! come esempio paradigmatico della loro coesistenza e della loro interazione, elaborando quanto suggerito dallo stesso Benson nella sua prefazione al romanzo (scritta nel giorno della festa del beato Thomas More del 1912): per l’autore, infatti, esso intreccia «puri fatti storici» (dunque da historical novel) — desunti anche da un celebre volume del monaco benedettino Bede Camm (1864-1942) e da «altri venti o trenta libri che sono davanti a me mentre scrivo queste parole» — e un contenuto storico «immaginario» (da historical romance, insomma) e «impressionante», benché «non più impressionante di quanto la vita stessa lo fosse per la gente del Derbyshire tra il 1579 ed il 1588». In realtà, poiché la medesima complementarità tra historical novel e historical romance è proposta da Benson anche nel 1914 nella Author’s Note che precede la narrazione di Oddfish!, non può trattarsi di un’inconsapevole coincidenza: al contrario, essa va invece considerata alla stregua di un principio creativo, di un metodo compositivo, di un criterio di discernimento antropologico ed epistemologico, che lo scrittore cattolico potrebbe avere maturato compiutamente negli ultimi anni della sua vita. In vista di quale obiettivo, verrebbe da chiedersi? Non pare esserci dubbio che, in tal modo, Benson intendesse raggiungere due obiettivi congiunti: da un lato, quello letterario di coniugare la reinterpretazione degli eventi storici tipica del novelist e l’invenzione del passato avventuroso e culturalmente irripetibile che caratterizza l’author of the romance, come vorrebbe una distinzione proposta da Ernest Edwin Reynolds (1894-1980) in un saggio del 1959 pubblicato sulla cattolica «Dublin Review»; dall’altro, quello più strategico e culturalmente lungimirante di mettere historical novel e historical romance al servizio della old English religion, estendendone le concezioni e le pratiche testuali di matrice protestante — spesso ideologizzate, selettive e omologanti — a vantaggio di una rappresentazione dei tempi andati più aderente alla reale totalità dell’esperienza storica inglese. Ma questo è soltanto uno dei numerosi aspetti letterari e culturali dell’opera di Benson che meriterebbero di essere più accuratamente esaminati con strumenti ermeneutici adeguati (e non meramente agiografici o celebrativi) in occasione del primo centenario della sua morte che cadrà, il 19 ottobre, in questo 2014. di GAETANO VALLINI idarà la vista ai ciechi, resusciterà i morti, guarirà i malati»; «Venite uomini di Gedeone, venite uomini di Saulo, venite figli di Abramo, noi che aspettiamo fuori dalle mura del paradiso»; «La sua grazia non fallisce»; «Insieme cammineremo nella terra di Canaan». Anche nell’ultimo disco, significativamente intitolato High Hopes e in uscita il 14 gennaio in tutto il mondo, Bruce Springsteen non rinuncia a citare la Bibbia. Lo fa nel brano Heaven’s Wall, dove, in un levarsi di braccia verso il cielo, i riferimenti alle sacre scritture sono evidenti nei versi sopra riportati e in quelli che evocano Giona nel ventre della balena e la samaritana al pozzo di Sicàr. Ma anche in altri brani il Boss si affida a un contesto religioso non meno evidente. Come in Hunter of Invisible Game, dove invita a pregare per se stessi, perché non si «cada quando l’ora della salvezza arriverà per tutti noi»; o in This is Your Sword, dove, dopo aver parlato di «un mondo pieno della bellezza dell’opera di Dio» minacciato dalle tenebre, invita a non cedere: «Ora questa è la tua spada, questo il tuo scudo / questo è il potere dell’amore rivelato / Portalo ovunque vai / e dà tutto l’amore che hai nella tua anima». Non una novità, come sanno bene i fan, abituati ad ascoltare nelle canzoni del loro beniamino echi mai sopiti delle sue radici cattoliche. Una pervasività costante — sia pure non sempre univoca e giunta dopo giovanili messaggi di ribellione, non privi di banalità e di qualche tratto blasfemo — che di recente ha spinto Azzan Yadin-Israel, docente della Rutgers University di New Brunswick, in New Jersey, a organizzare nientemeno che un corso sulla teologia springsteeniana. In passato altri atenei statunitensi avevano tenuto seminari sui testi di Springsteen, puntando soprattutto sul messaggio sociale e politico, ma nessuno finora si era spinto a tanto. Un’esagerazione? Forse, ma non c’è da meravigliarsi troppo, visto che non sono mancati negli anni saggi di teologi cattolici e protestanti che attestavano la sensibilità religiosa del cantautore americano, l’uso di un linguaggio e di una simbologia tratti dalla Bibbia. Anche «La Civiltà Cattolica» nell’ottobre 2002 dedicava al Boss un lungo articolo di padre Antonio Spadaro dal titolo “La risurrezione” di Bruce Springsteen. Alcuni — come «Time» in occasione della pubblicazione di The Rising, disco militante dopo la tragedia dell’11 settembre — si sono persino spinti ad attribuire ai testi del rocker una qualità redentiva laddove, tra desiderio di fuga da «R tutamente di essere liberati dal male, le storie d’amore sono presentate come una manifestazione della grazia divina». Il tutto come contraltare ai dubbi e alla percezione del male e del peccato ben noti nella produzione del cantautore, che con i suoi testi esplora e racconta da oltre quarant’anni quelle che oggi potremmo definire, con un’espressione di Papa Francesco, le periferie esistenziali della provincia americana sem- pre in bilico tra il mito dell’American dream e la disillusione di una realtà ben diversa. Storie di uomini e donne normali, dunque, ma anche nascosti eroi del quotidiano, con le loro debolezze e le loro paure, la loro rabbia e la loro voglia di riscatto. Che non si tratti di semplici speculazioni lo testimoniano alcune dichiarazioni dello stesso Springsteen. «Credo che nei primi dodici anni — disse al «Corriere della Sera» il 12 ottobre 2002 — accumuliamo le immagini che ci accompagneranno per tutta la vita. Io frequentavo una scuola cattolica. L’anima non è un’astrazione per un bambino. È molto reale. La prendi alla lettera. E l’immaginario cattolico, così come la Bibbia, è un modo straordinario di esprimere il viaggio dell’uomo, dello spirito umano. Io ritorno a quelle immagini d’istinto». E ancora al «New York Times» il 25 aprile 2005, rispondendo al«L’immaginario cattolico l’intervistatore che notava come «pensieri di reè un modo straordinario di esprimere denzione, scelte morali e il viaggio dell’uomo invocazioni a Dio» si fossero fatti più espliciti Io ritorno a quelle immagini d’istinto» nelle ultime produzioni, ha detto in un’intervista il Boss ribadiva: «Era qualcosa che ho allontanato per molto tempo, un presente difficile e un anelito a ma ci ho ripensato molto più tardi. un futuro migliore, fanno riferi- Non sono un praticante, ma mi somento alla dicotomia tra perdizio- no reso conto, col passare del temne e speranza, puntando chiara- po, che la mia musica è piena di mente su quest’ultima, anche se immaginario cattolico». E aggiunnon sempre dietro alla rinascita vi geva: «C’era un potente universo è un richiamo diretto al trascen- capace di sviluppare un forte immaginario che diveniva vivo e vitadente. The Promise Land, la terra pro- le e vibrante, ed era in grado conmessa di Springsteen, divenuta temporaneamente di suscitare pauLand of Hope and Dreams, terra di ra e offrire una promessa di estasi speranza e di sogni, nel penultimo e di paradiso. Era questo incredibidisco Wrecking Ball, non sempre è le panorama interiore che si creava quella di Dio, ma più volte tutta- dentro di te. Crescendo, ho assunvia coincide con essa. E non a caso to un atteggiamento meno difensici si è spinti a trovare un legame vo. Penso di aver ereditato questo stretto tra l’appassionarsi alla musi- particolare panorama e penso di ca del Boss e una esperienza di poterlo ricostruire in qualcosa di conversione di carattere religioso. veramente mio». E questo perché le canzoni contenNon mancano neppure gesti di gono molti riferimenti alla rinascita devozione, a testimonianza di una spirituale e al rinnovamento inte- fede talora dubbiosa e vacillante riore. ma probabilmente mai venuta meGià dopo l’uscita di Tunnel of no. Uno ce lo racconta Ermanno Love, nel 1987, la rivista «Rolling Labianca, che al Boss ha dedicato Stone» sottolineava che poteva es- diversi libri, tra cui una trilogia di sere «chiaramente percepita l’edu- analisi critica dei testi, edita da Arcazione cattolica ricevuta da Sprin- cana. «Quando incontrai Springgsteen; i protagonisti pregano ripe- steen a Bologna, nel 1998, lo scorsi accendere un cero — per il padre, morto da poco, mi disse poi — nella basilica di San Petronio. Gli chiesi quanto si sentisse religioso, visto che qualche suo brano era stato definito una preghiera laica. Rispose che si era sempre sentito un cattolico in fuga, anche se fin da piccolo era stato invitato ad ascoltare le preghiere. Mi disse anche che la Bibbia aveva avuto per lui una grande importanza». «Camminava per le navate con rispetto — aggiunge Labianca — e con la consapevolezza di essere molto piccolo, lui con la sua arte, al cospetto dei grandi artisti che avevano affrescato quella basilica. Gli raccontai che alcuni di loro avevano trascorso dieci-quindici anni sdraiati per ore su una impalcatura per completare quegli affreschi. Diede un umile, nuovo valore ai suoi “capolavori”. Non so se si trattasse di una garbata cortesia verso la situazione e il Paese che lo ospitava, ma le sue parole e il suo candore mi colpirono molto. Se credi nelle qualità di un artista, se ami le sue canzoni traendone forza, fiducia, amore, quando lo scopri così aderente a tanti sentimenti da lui espressi in musica senti di aver ricevuto una bella ricompensa». La prova di un percorso spirituale non ancora giunto al termine sta proprio nei testi delle canzoni, veri e propri racconti brevi. «La sensazione — spiega ancora Labianca — è che da un certo momento in poi, ovvero da The Rising, che era carico di immagini bibliche, Springsteen abbia premuto l’acceleratore su certi te- mi, maturando una forte coscienza in senso religioso. Tuttavia questa era latente, perché sia pure in maniera più frenata, fin dall’inizio della carriera ha sempre fatto uso di certe immagini. C’è ad esempio Adam Raised a Cain del 1978, eppoi la figura di Maria, presente in molti modi anche nelle canzoni precedenti all’esordio». Nei testi si possono riconoscere non solo la poetica dello Steinbeck de I giardini dell’Eden, ma soprattutto l’influenza di Flannery O’Connor, scrittrice cattolica apprezzata da Springsteen, come lui con origini irlandesi. Certo l’universo del Boss, soprattutto agli inizi, è decisamente più cupo e si fa più fatica a individuare l’azione di quella grazia che nella scrittrice è direttamente riconducibile al trascendente, ma si avverte tuttavia la tensione, l’inquietudine verso una salvezza che non sempre può arrivare dagli uomini. Ciò è particolarmente evidente in Darkness on the Edge of Town (1978) dove afferma «sono un uomo e credo in una terra promessa». E ancora in The River (1980), quando in Drive all Night si spinge a una sorta di preghiera: «E vorrei che Dio mi mandasse una parola / mi mandasse qualcosa da aver paura di perdere»; così come in Nebraska (1982), dove si coglie un’implorazione in quel «liberami dal nulla» (State Trooper). Tutto sembra più evidente nel citato Tunnel of Love. Springsteen ha appena divorziato, avverte il fallimento, e in Brilliant Disguise ammette: «Stanotte nel nostro letto freddo / mi sono perso nell’oscurità del nostro amore / Dio abbia pietà dell’uomo / che non dubita di ciò di cui è sicuro». Anche se poi, raccontando l’incubo del protagonista di Cautious Man, torna un’immagine tutt’altro che di tenebra: «Ai bordi del letto spostò i capelli del viso di sua moglie / mentre la luna illuminava la sua pelle così bianca / Riempiendo la loro stanza con la bellezza della luce di Dio». La stessa luce che in Valentine’s Day gli fa dire: «E la luce di Dio giungeva a illuminare tutto». E se i dubbi sembrano tornare in Human Touch (1992), dove non si trovano parole di pietà e di perdono di un dio sopra di noi e tut- tavia si coglie un’aspirazione alla pace e alla speranza, in Living Proof, brano dell’album Lucky Town (1992), la gioia della paternità esplode quasi in un inno gioioso: «Una notte d’estate in una stanza buia / entrò una minima parte della luce eterna del Signore / urlando come se avesse inghiottito la luna accesa / Nelle braccia di sua madre c’era tutta la bellezza possibile / Come le parole mancanti di una preghiera / che non sarei mai riuscito a inventare / in un mondo così duro e sporco così disonesto e confuso/ in cerca di un po’ della misericordia di Dio / ho trovato la prova vivente». Anche se poi in The New Timer torna un certo pessimismo laddove si stenta a trovare una risposta al male incomprensibile che affligge la società: «Mio Gesù, il tuo amore misericordioso e la tua pietà / stanotte, mi dispiace, non riescono a riempire il mio cuore / quanto un buon fucile / e il nome di chi dovrei ammazzare». Ma, come accennato, è in The Rising che il messaggio si fa netto e inequivocabile, e assume una valenza in qualche modo redentiva. E così nel fuoco che avvolge il World Trade Center colpito a morte l’11 settembre 2001 si intravede una luce. Nel brano Into the Fire le parole fede, speranza e amore accompagnano il protagonista, un pompiere «sparito nella polvere». E se la pioggia si trasforma in una lacrima che scende dal cielo in Waitin’ on a Sunny Day, sicuramente si può aspettare «un giorno di sole / per cacciare via le nuvole». E in My City of Ruins si può esortare «Avanti, sorgi!» e pregare per averne la forza: «Con queste mani / prego Signore / prego per la forza, Signore / con queste mani / prego per la fede, Signore / preghiamo per il tuo amore, Signore / preghiamo per i perduti, Signore / preghiamo per questo mondo, Signore / preghiamo per la forza». Mentre nel brano che dà il titolo all’album si affaccia una visione: «Ci sono spiriti sopra e dietro di me / facce diventate nere, occhi che bruciano e splendono / Possa il loro sangue prezioso legarmi / Signore, quando mi troverò davanti alla tua luce ardente». Una preghiera che nel protagonista di Countin’ on a Miracle si trasforma in affidamento a Dio, sperando in un miracolo. Nel 2005 con Devils & Dust Springsteen torna a sonorità del passato, e pure i testi riecheggiano i temi ambivalenti della disperazione e della ricerca di vie d’uscita dall’inferno della realtà. Ma anche qui, in un mondo che sembra «abbandonato da Dio», con Jesus Was an Only Son l’autore ritrova un’autentica ispirazione religiosa. E parla di Maria, madre di Gesù, e del suo stare accanto al figlio «lungo il cammino che si tingeva del suo sangue». Sangue di redenzione di tutti gli afflitti e diseredati raccontati dal Boss nelle sue canzoni. Quell’umanità dolente eppure fiduciosa alla quale in Rocky Ground, contenuta in Wrecking Ball, chiede di affidarsi all’O nnipotente: «Dai il tuo meglio, il resto lo metterà Dio». Springsteen seguita a fare del suo meglio, con il suo impegno etico e i suoi messaggi coerenti che non escludono una visione di fede. Un impegno che si conferma anche in quest’ultimo High Hopes, dal quale emerge ancora una volta, come sottolinea Labianca, «la forza di un uomo che continua a portare valori importanti dentro una musica che resta ugualmente ancorata alle prime intenzioni dirompenti da cui scaturì il rock’n’roll». Altro che musica del diavolo! L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 pagina 5 La tensione spirituale di Kandinsky Sui media Nelle profondità dell’anima La Chiesa che guarda al mondo delle icone bizantine riprodotte dall’arte popolare. L’artista stesso, l pubblico che visita la mo- del resto, in un intenso libretto di stra dedicata a Vassily memorie, ricorda come scoprì per Kandinsky presso il Palaz- la prima volta la sua vocazione zo Reale di Milano è nu- pittorica: «Ricordo ancora che entrando per la prima volta nelle sameroso, ma stranamente le di un’isba restai inchiodato di concentrato e silenzioso: il grande stupore davanti alle pitture sorpittore della prima metà del No- prendenti che da ogni lato mi cirvecento ancora stupisce, e scuote condavano». gli animi anche di persone che Nel filmato che viene proiettato forse conoscono appena la sua vi- in una sala dell’esposizione milata e il suo posto nella storia del- nese, Nina Kandinsky guida lo l’arte contemporanea. L’energia che Anche in assenza di immagini sacre esplode dalle sue composizioni e la si avverte che nelle sue opere profondità che sugc’è qualcosa di più geriscono quegli accostamenti di forme della sola energia della bellezza e di colori sembradel colore e dell’armonia no colpire l’anima di tutti, indurli a osservare con calma quei veri e spettatore nello studio parigino propri miracoli di vita che sono le dell’artista, e mostra gli oggetti raccolti a lui più cari: vediamo di sue opere. La mostra, che espone il ricco nuovo delle icone, pitture sacre su vetro e la statuetta di un angelo in fondo delle sue opere di proprietà ceramica colorata. Oltre la lettura del Centre Pompidou di Parigi (in dei suoi testi che furono molto gran parte dono della moglie Ni- importanti — Kandinsky è anche na), permette di ripercorrere la un notevole scrittore — sono prosua evoluzione artistica, a comin- prio questi oggetti a testimoniare ciare dalle prime opere figurative la forte tensione spirituale che at— paesaggi inondati di luce — traversava il fondatore dell’arte spesso ispirate alla tradizione po- astratta contemporanea. polare russa. Si vedono disegni e La sua scelta di superare il sogdipinti che riprendono temi delle getto, di abbandonare la riprodufiabe, e soprattutto colori e forme zione della natura, è ispirata infatdi LUCETTA SCARAFFIA I ti dall’intenso desiderio di cogliere l’anima del mondo, i suoi nessi interni profondi: «Tutto mi mostra il suo volto, il suo essere profondo, la sua anima segreta che tace più spesso che non parli. Fu così che ogni punto, ogni linea immota o animata diventavano vive per me e mi offrivano la loro anima». Questo passaggio all’astrattismo è influenzato anche dalla scoperta della divisione dell’atomo, che lo introduce in una dimensione incerta, in cui la scienza avanzava a tentoni nella spiegazione del mondo, superando continuamente se stessa. È un percorso lungo e difficile il suo, che si svolge contemporaneamente a due guerre mondiali che lo coinvolgono direttamente, a una rivoluzione nel suo Paese d’origine, la Russia che non dimenticherà mai, e a due dittature, quella comunista e quella nazista, che lo costringeranno alla fuga da un Paese all’altro. Kandinsky è un pittore profondamente europeo, che sintetizza nelle sue opere varie componenti. Agli stimoli ricevuti in Russia — questa rimane sempre la sua fonte di ispirazione più profonda — si mescolano in Kandinsky le suggestioni di Monaco, dove ha fatto parte del gruppo di artisti fortemente innovativi che darà luogo a due movimenti artistici fondamentali nella storia del Novecento come Der Blaue Reiter e il Bauhaus, «Trenta» (1937) di SILVIA GUIDI «Piccoli mondi» (1922) e infine quelle di Parigi, che era il cuore dell’arte europea. La storia entra prepotentemente nelle sue opere, anche se tradotta in linee, punti, forme, ed egli rappresenta continuamente la frantumazione di un mondo e la nascita di un altro, nuovo, ricco di energia ma anche di ombre nere. La sua intensa spiritualità si coglie già nelle prime opere, quelle ancora naturaliste, in cui la luce, che arriva a trasfigurare il mondo e a creare i colori, è più di un’esperienza fisica, perché testimonia l’esistenza di una realtà misteriosa e di un tempo diverso, che oltre gli occhi illuminano l’anima. Come si coglie chiaramente dalla descrizione dell’emozione che sentiva ammirando il tramonto a Mosca, quando il sole rosso infiamma la città, le case, le chiese, il Cremlino e culmina in un’esperienza spirituale: «E sopra tutto, come un grido di trionfo, come un alleluja immortale scoppia la linea bianca, intagliata, rigida del campanile di Ivan Velikij. La testa d’oro della sua cupola tende verso il cielo una nostalgia acuta ed eterna. La sua sagoma slanciata è, tra le stelle multicolori o dorate delle altre cupole, il vero sole di Mosca». La particolarità di Kandinsky sta nel fatto che non solo faceva rifluire queste sensazioni nelle sue opere, ma era capace di descriverle, diventandone così il primo interprete: «L’arte, in molti punti, è simile a una religione» scrive, perché «il suo sviluppo procede da illuminazioni repentine, simili al lampo» e «queste illuminazioni rischiarano di una luce abbagliante nuove prospettive, nuove verità, che, in fondo, non sono che lo sviluppo organico, la crescita organica della saggezza prima». Egli quindi, ben consapevole che la sua opera esprime una vita interiore e anche un tempo interno, dirà che non è estranea alla tradizione religiosa, ma anzi a essa va ricollegata: «Notai allora con mio grande stupore che questa esigenza è sorta sulle basi che il Cristo erige a fondamento dei valori della Morale, che questa visione dell’Arte è una visione cristiana e contiene in sé al tempo stesso gli elementi necessari per ricevere la terza rivelazione, la rivelazione dello Spirito». La sua rinuncia al figurativo è influenzata anche dalla scoperta della divisione dell’atomo che lo introduce in una dimensione in cui la scienza avanzava a tentoni Dopo di lui, l’arte astratta ha poi proceduto per altre vie, ha scelto per lo più percorsi emozionali piuttosto che spirituali e ha reciso in sostanza — a parte naturalmente alcune eccezioni — il legame che Kandinsky sentiva così chiaramente, in profonda fedeltà con la tradizione delle icone, fra ispirazione ed esperienza mistica. Ma i visitatori che osservano emozionati le meravigliose opere esposte a Milano avvertono che c’è in esse qualcosa di più della sola energia della bellezza, del colore, dell’armonia. Intuiscono, forse senza neppure confessarlo a se stessi, che guardando Kandinsky si riallaccia il loro legame interiore con la vita spirituale, anche in apparente assenza di immagini sacre. Anche Angela da Foligno riaffiora nell’opera poetica di Luigi Fallacara di FEDERICO MAZZO CCHI Come tanti altri poeti definiti minori, Luigi Fallacara (Bari, 1890 – Firenze, 1963) deve l’aggettivo alla diffusione ristretta della sua opera presso il grande pubblico piuttosto che a un giudizio di valore; nel suo caso, anzi, è la storia letteraria ad aver distrattamente lasciato in ombra una poesia densissima e fibrillante di significato, esatta nella sua pronuncia terrena e spirituale. Poterne riscoprire alcuni scritti dopo averne appena ricordato il cinquantenario della morte è così molto più che una semplice occasione di lettura. Assieme alle due ristampe de I giorni incantati (Roma, Storia e Letteratura, 2013, pagine 140, euro 22) e del romanzo Terra d’argento (Bari, Stilo, 2013, pagine 256, euro 16), è il volume antologico Le ragioni dell’anima (Firenze, Fondazione Ernesto Balducci, 2012) a riassumere nella sua integrità il percorso di Fallacara, attraverso una scelta di poesie e prose e una nutrita sezione di lettere, per la maggior parte inedite. Qui, respiriamo appieno il milieu che ha alimentato l’opera di Fallacara: giunto a Firenze nel 1912, per laurearsi nel 1917 con una tesi su Rimbaud, collaborò con la rivista «Lacerba» di Papini e Soffici e, successivamente, fece parte della redazione del «Frontespizio», assieme a Bargellini, Betocchi, Bo e Lisi. In mezzo a queste due esperienze, un quinquennio ad Assisi, nel quale divenne frate terziario e tradusse Angela da Sull’orlo dell’assoluto Foligno, appropriandosi sia del profondo amore creaturale di Francesco che dell’ardore mistico-ascetico della santa folignate; elementi che irroreranno la sua opera, non soltanto poetica (basti pensare al libriccino Mistici medievali, scritto nel 1956 con Betocchi e Lisi, o all’edizione delle Laudi di Iacopone da Todi). Dalle lettere emerge tutta la considerazione tributatagli da amici, scrittori, critici. È già nota la stima di Dino Campana, che nel donare una copia dei suoi Canti orfici era solito strappare le pagine giudicate al di sopra della comprensione di chi riceveva il libro (la leggenda narra che a qualcuno diede soltanto la copertina): ebbene, sulla copia per Fallacara fece addirittura delle aggiunte manoscritte, appositamente per lui. Betocchi in una lettera lo definisce «uno degli esempi più puri e onesti tra i poeti della sua età»; Barile parla di un «dono fatto all’arte e all’anima insieme»; Pierri sostiene che la sua poesia «luminosa» è così alta da restare «fuori da una generazione limitata come la nostra»; Caproni infine afferma di una sua raccolta: «Quanti anni vivi, quanta vita! (...) Mai mi è stato fatto un dono così prezioso». Sono solo alcuni esempi attinti da altrettante autorità, che aiutano a entrare senza remore nei versi di questo poeta “integrale”, ugualmente amante della creaturalità della natura e del principio spirituale che la informa: non potrebbe essere più eloquente a tal proposito il titolo di una sua raccolta di liriche, I firmamenti terrestri. La sua cattolicità non fu mai una mera scelta confessionale, ma l’universale testimonianza di un amore dimidiato tra cielo e terra. È in questa diade che si riassume il senso dell’opera di Fallacara; lontano da ogni dualismo, la prosa Terra e cielo ci restituisce l’identità assoluta dei due piani: «Non esiste terra senza il suo completamento di cielo. Non esistono stagioni che non siano un fenomeno celeste a cui la terra partecipi. (...) Non dimenticate, dunque: anche la terra è cielo». Si tratta della figura centrale dell’«orlo», del «limite», l’esperienza paradossale di una lontananza resa prossima e interiore. Come nella bellissima terzina: «Cristo in me, Cristo in te Cristo, che abbonda / al limite del nostro inteso ardore, / Cristo dell’universo levata onda». A indicare l’apice di questa forte mediazione spirituale vi è una frase di Oreste Macrì, critico tra i più lucidi e perspicaci del Novecento, di cui quest’anno cade il centenario della nascita. Amico ed estimatore di Fallacara (curò nel 1987 per l’editore Longo il suo corpus poetico, Poesie (19141963)) Macrì sosteneva che i sonetti conclusivi della raccolta Illuminazioni potevano essere collocati, nel loro «verticale ed esclamato amore al Cristo e alla Croce», «quasi fuori dalla poesia», spiegando icasticamente (per testimonianza orale tramandata da Gaetano Chiappini, suo allievo) che tali sonetti «non ritornano». Un’espressione quanto mai paradigmatica: come nel “trasumanar” dantesco, la parola poetica di Fallacara pronunciata al proprio limite sembra davvero eccedere l’umano, affidandosi totalmente a un dialogo altro, un perpetuo cominciamento in quell’area che i poeti han- Il cinquantenario della morte è stato l’occasione per la riscoperta di una poesia distrattamente lasciata in ombra dalla storia letteraria no chiamato alternativamente grido o silenzio, per dire di tutto ciò che dà sostanza alla parola rimanendone sempre oltre, ma vicino. «Essere solo un orlo da cui sempre / comincia ogni altra forza che consuma; / senza più adesso, senza più ancora / essere solo del tempo una dimora». È ancora intatta, dopo anni in cui lenta si è decantata, la poesia di Luigi Fallacara. Lo sguardo della Chiesa sempre più aperto al mondo è il filo rosso dei commenti della stampa internazionale dopo l’annuncio da parte di Papa Francesco dei prossimi nuovi cardinali. «Papa Francesco sposta il peso della Chiesa verso il sud del mondo» scrive Franca Giansoldati sul quotidiano italiano «Il Messaggero» del 13 gennaio. E sulla stessa linea è Mauro Magatti nel commento dedicato ai «primi cardinali della Chiesa mondiale» pubblicato sul «Corriere della Sera». Con l’annuncio di domenica 12 gennaio, scrive Magatti, «Francesco compie un altro, deciso passo nella direzione verso cui sta orientando il suo pontificato. Le categorie a cui siamo abituati — conservatore vs progressista — non colgono il nocciolo della questione. Che è piuttosto il riequilibrio tra curia romana e chiesa residenziale. Dopo due europei, il Papa venuto “dalla fine del mondo” deve confrontarsi con quel gigantesco processo di globalizzazione dispiegatosi nell’ultima parte del XX secolo. Così, come la modernità per Giovanni XXIII e il totalitarismo sovietico per Giovanni Paolo II, è quel potente impasto fatto di economia, tecnica, comunicazione mediale che avvolge ormai l’intero pianeta a costituire il termine di riferimento dell’azione di Francesco. Di fronte a un tale compito, il Papa sa di non avere scelta: la Chiesa deve rinnovarsi profondamente per rimanere se stessa e tramandare la fede. E sa anche che l’unico cambiamento che può e deve realizzare coincide con il ritorno alla sua vocazione originaria: solo partendo da ciò che è piccolo e umile, essa può essere “grande” e capace di parlare al cuore dell’uomo». Numerosi i commenti sulla stampa internazionale: Sébastian Maillard, sul quotidiano francese «la Croix», fa notare ai lettori la giovane età di due futuri cardinali: Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec in Canada, ha 56 anni, mentre monsignor Chibly Langlois, vescovo di Les Cayes, con i suoi 55 anni sarà il secondo più giovane nel collegio cardinalizio (lo precederà solo l’indiano Baselius Clemis Thottunkal, creato cardinale da Benedetto XVI nel suo ultimo concistoro). Langlois sarà il primo cardinale di Haiti, il Paese più povero dell’America latina, colpito per di più negli ultimi anni anche da gravi tragedie come il terremoto e le epidemie. Molti — sottolinea Franca Giansoldati — non si aspettavano la porpora. Come l’arcivescovo filippino Orlando Quevedo, «una figura assai popolare. Proviene da Mindanao, l’isola sconvolta da una decennale guerra civile, un pastore di periferia che ha sempre fatto sentire la sua voce per difendere i diritti degli ultimi e delle minoranze, tra cui quella cattolica». Thomas C. Fox sul «National Catholic Reporter» definisce Quevedo l’«architetto della pastorale delle Chiese asiatiche». Fino agli anni Settanta, scrive Fox, le Chiese locali comunicavano poco tra di loro, ma tutto cambiò dopo la visita di Paolo VI a Manila; in quell’occasione nacque per la prima volta l’idea di una conferenza episcopale panasiatica, diventata realtà qualche anno dopo. E Quevedo è stato segretario della Federazione delle conferenze episcopali e tuttora ne è uno dei membri più attivi. Sottolinea l’attenzione al mondo in via di sviluppo Jim Yardley che, ripercorrendo la storia recente dei concistori sul «New York Times», ricorda come Papa Francesco abbia scelto vescovi provenienti da Paesi piccoli e poveri come Haiti, Burkina Faso, Nicaragua e Costa d’Avorio; una tendenza presente, peraltro, anche nel 2012 in cui Benedetto XVI creò molti cardinali non europei. Lizzy Davies, corrispondente del britannico «Guardian», dedica invece prevalentemente il suo articolo all’arcivescovo di Westminster, Vincent Nichols, che sarà creato cardinale nel concistoro del 22 febbraio prossimo, mentre «The Wall Street Journal» affianca a un articolo firmato da Deborah Ball, Liam Moloney e Tamara Audi un diagramma che mette in evidenza i numeri del futuro collegio cardinalizio e sottolinea la sempre maggiore apertura al mondo intero nelle scelte della Chiesa di Papa Francesco. Fra le notizie riportate dai quotidiani e dai siti in rete, ricordiamo l’articolo di José Beltrán che, su «La Razón», racconta come Fernando Sebastián Aguilar, arcivescovo emerito di Pamplona, ha ricevuto la notizia della porpora: domenica scorsa, durante l’Angelus del Papa, stava celebrando la messa nella cattedrale di Málaga, quando il concelebrante, il vescovo diocesano Jesús Catalá ha saputo della nomina e l’ha annunciata immediatamente ai fedeli. E allo stesso Sebastián Aguilar, che non ne era ancora al corrente. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 Per i crimini di guerra nello Sri Lanka Messa del Papa a Santa Marta La Chiesa chiede giustizia Un amore artigianale COLOMBO, 13. I cattolici nell’ex zona di guerra dello Sri Lanka chiedono un’indagine internazionale sui crimini di guerra compiuti nel corso del conflitto che ha coinvolto il Paese, in particolare per verificare se siano state usate bombe a grappolo e armi chimiche contro la popolazione. I sacerdoti Rayappu Joseph e Thomas Saundaranayagam hanno presentato la richiesta durante un incontro con Stephen J. Rapp, ambasciatore degli Stati Uniti per i crimini di guerra. Nel corso di una conferenza stampa, padre Joseph ha spiegato che i civili sopravvissuti alla sanguinosa guerra interna, protrattasi un quarto di secolo fino al 2009, avrebbero riferito del massiccio uso di bombe a grappolo e di armi chimiche. La Chiesa in Sri Lanka ha chiesto che le indagini si concentrino anche sulle accuse di attacchi deliberati contro ospedali e luoghi di culto come pure su azioni tese a bloccare l’arrivo di cibo e medicinali ai civili. L’ambasciatore Rapp, che è in visita in Sri Lanka per discutere le questioni sui presunti crimini di guerra con i funzionari di Governo, ha incontrato diversi leader religiosi, etnici e politici tamil. Nei prossimi giorni è previsto un altro incontro con altri funzionari di Governo prima di lasciare l’isola. Nel 2012 — riferisce l’agenzia Associated Press — un esperto di sminamento delle Nazioni Unite ha segnalato la presenza di munizioni a grappolo inesplose nella ex zona di guerra nel nord dello Sri Lanka. Nello stesso anno un operatore sanitario ha raccontato che molte delle migliaia di feriti nell’offensiva del Governo hanno riportato ustioni compatibili con quelle causate da bombe incendiarie al fosforo bianco. In un report dei funzionari delle Nazioni Unite, inoltre, veniva se- Cresce la tensione in Malaysia per l’uso della parola Allah KUALA LUMPUR, 13. Pendono sulla tua testa qualcosa come centonove denunce per aver affermato, in un articolo apparso il 27 dicembre sul settimanale «The Herald» da lui diretto, che i fedeli cattolici hanno il diritto di continuare a utilizzare la parola Allah per riferirsi a Dio. Padre Lawrence Andrew, gesuita, è ora indagato dalla giustizia in Malaysia e rischia di essere incriminato e processato per “sedizione”. Lo riferisce l’agenzia Fides. Nell’articolo, il direttore citava, come prova evidente, una preghiera cristiana di oltre cent’anni fa, in lingua malese, in cui si usava il nome Allah. «La situazione è piuttosto grave. C’è grande preoccupazione nella Chiesa cattolica perché la vicenda ha preso una brutta piega», spiega, sempre a Fides, fra Augustine Julian, missionario dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Kuala Lumpur ed ex segretario della Conferenza episcopale della Malaysia: «L’indagine della magistratura è una sottile forma di pressione verso tutti i cristiani. C’è preoccupazione nella comunità e tensione con i gruppi islamici radicali». Anche i vescovi, che in questi giorni sono riuniti a Johor, esamineranno la delicata questione, anche se è improbabile un intervento ufficiale. L’indagine su padre Lawrence Andrew giunge dopo il recente sequestro di trecentocinquanta bibbie, nello Stato di Selangor, perché contenenti la parola Allah. gnalato l’uso di munizioni a grappolo nella zona di conflitto già nel febbraio del 2009, specificando che a quanto pare era stato colpita una zona adiacente all’ospedale. Il Governo però ha sempre negato l’utilizzo delle munizioni a grappolo e di qualsiasi altra arma vietata. La visita di Rapp nel Paese asiatico avviene proprio in coincidenza con una forte pressione internazionale sul Paese affinché svolga le proprie indagini sui presunti crimini di guerra commessi da entrambe le parti. Gli Stati Uniti hanno sostenuto due risoluzioni al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite sollecitando un’indagine locale credibile. È previsto che il Consiglio dei diritti esamini i progressi compiuti in Sri Lanka nelle sessioni di marzo. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navanethem Pillay, ha annunciato di voler raccomandare al Consiglio di istruire la propria indagine se lo Sri Lanka non sarà in grado di dimostrare a breve i progressi compiuti in tema di crimini di guerra. Un gruppo di sostenitori del Governo ha invece protestato per la visita di Rapp, accusando gli Stati Uniti di ignorare le proprie violazioni dei diritti umani. I manifestanti hanno accusato gli Usa di volere vendicarsi dello Sri Lanka per aver sconfitto le Tigri tamil, definiti un’organizzazione terroristica. Inoltre, hanno affermato che il Paese americano usa un doppio metro di valutazione ignorando le proprie violazioni dei diritti umani. Un rapporto delle Nazioni Unite afferma che ben quarantamila civili di etnia tamil potrebbero essere stati uccisi negli ultimi mesi del conflitto. Tra le numerose accuse di abusi ci sono quelle di aver utilizzato i civili come scudi umani, di esecuzioni sommarie e di aver reclutato bambini soldato tra la popolazione. Dio prepara la strada per ciascun uomo. Lo fa con amore: un «amore artigianale», perché la prepara personalmente per ognuno. Ed è pronto a intervenire ogni qualvolta il cammino è da correggere, proprio come fanno una mamma e un papà. È la riflessione proposta da Papa Francesco lunedì mattina, 13 gennaio, durante la celebrazione della messa nella cappella di Santa Marta. Il Pontefice ha preso spunto dall’episodio del Vangelo di Marco (1, 14-20) dove si narra che Gesù, dopo l’arresto di Giovanni, andò in Galilea, dando l’impressione di voler iniziare un’altra tappa del cammino. «E proclama il Vangelo — ha notato il Papa — con le stesse parole di Giovanni: il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino, convertitevi. La stessa cosa che diceva Giovanni, la dice Gesù. Giovanni aveva preparato la strada a Gesù. E Gesù la segue». «Preparare le strade, anche preparare le nostre vite, è proprio di Dio, dell’amore di Dio per ognuno di noi» ha spiegato il vescovo di Roma. «Lui — ha proseguito — non ci fa cristiani per generazione spontanea. Lui prepara la nostra strada, prepara la nostra vita, da tempo». E riferendosi ancora alla pagina evangelica, ha aggiunto: «Sembra che Simone, Andrea, Giacomo, Giovanni sono stati qui definitivamente eletti»; ma questo non significa che da questo momento siano anche stati «definitivamente fedeli». In realtà proprio loro commettono degli sbagli: fanno proposte «non cristiane al Signore», di fatto lo rinnegano. E Pietro più degli altri. Si sono spaventati, ha spiegato il Pontefice, e sono «andati via, hanno abbandonato il Signore». Si tratta di un’opera di preparazione, ha detto ancora il Santo Padre, che Gesù porta avanti da tante generazioni. E a conferma di ciò il Pontefice si è riferito ad Anna, la seconda moglie di Elkanà, citata nella prima lettura della liturgia (cfr. 1 Samuele 1, 1-8). La donna, «sterile, piangeva» quando l’altra moglie, Penninà, che aveva figli, la derideva. Ma nel pianto di Anna c’era la preparazione alla nascita del grande Samuele. «Così il Signore — ha puntualizzato il Papa — ci prepara da tante generazioni. E quando le cose non vanno bene, lui si immischia nella storia» e le sistema. Nella stessa genealogia di Gesù, ha ricordato, ci sono «peccatori e peccatrici. Ma come ha fatto il Signore? Si è immischiato; ha corretto la strada; ha regolato le cose. Pensiamo al grande Davide, grande peccatore e L’arcivescovo di Dhaka contro le violenze Speranza per il Bangladesh DACCA, 13. La piccola comunità cristiana bengalese «porta un messaggio di speranza» a un Paese segnato da violenze e caos. È quanto afferma l’arcivescovo della capitale, Patrick D’Rozario, descrivendo la situazione all’indomani delle elezioni politiche del 5 gennaio scorso. «La situazione sociale e politica resta tesa. Come cristiani, non abbiamo vissuto particolari problemi, ma un ordigno ha colpito una chiesa di Dacca, causando pochi danni e nessuna vittima. I cittadini cristiani bengalesi vivono questo momento tormentato per il Paese con tutti gli altri, pregando e sperando», ha detto il presule all’agenzia Fides. L’arcivescovo di Dhaka spiega come «le elezioni, con la bassa affluenza e il boicottaggio dell’opposizione, non sono state un buon segnale per la democrazia: ma l’alternativa era il caos e dunque, fra le innumerevoli sfide e problemi: non c’era altra scelta». In questo clima, ha precisato, «l’appello della Chiesa resta quello alla pace e alla riconciliazione. Il nostro auspicio è che il nuovo anno possa portare prosperità e pace. In quanto piccola minoranza — i cristiani sono lo 0,5 per cento su 165 milioni di abitanti — continuiamo a dare il nostro contributo, promuovendo il dialogo, il rispetto dell’altro, l’armonia, la dignità umana». poi grande santo. Il Signore sa. Quando il Signore ci dice: con amore eterno io ti ho amato, si riferisce a questo. Da tante generazioni il Signore ha pensato “in noi”». E così ci accompagna provando i nostri stessi sentimenti quando ci si ac- stre mamme, le nostre nonne, i nostri padri, i nostri nonni, e i bisnonni, tutti: il Signore fa così. E questo è il suo amore: concreto, eterno e anche artigianale». «Preghiamo — è stata l’esortazione conclusiva — chiedendo questa Nomine nelle Chiese orientali Le nomine di oggi riguardano la Chiesa maronita e quella sira. Simon Faddoul primo esarca apostolico per i fedeli maroniti residenti nell’Africa centrale e occidentale Nato il 7 gennaio 1958 a Dik El Mehdi, nell’arcieparchia di Antélias dei maroniti, in Libano, ha compiuto gli studi filosofico-teologici all’Università Saint Esprit di Kaslik, conseguendo una licenza in educazione e formazione degli insegnanti (1985). Si è poi trasferito negli Stati Uniti d’America, dove ha ottenuto una licenza in educazione e amministrazione scolastica (1986) e un dottorato in educazione e amministrazione (1989). Ordinato sacerdote il 9 agosto 1987 per l’arcieparchia di Antélias, ha svolto servizio pastorale nella parrocchia statunitense di Saint Anthony a Cincinnati, ed è stato poi collaboratore a Cipro nella cattedrale di Nicosia. Tornato in Libano è stato parroco della chiesa Saint Elie ad Aïn Aar e parroco della chiesa di Jal El Dib - Bkennaya. Dal 2010 era presidente di Caritas-Liban. Georges Chihane visitatore apostolico per i fedeli maroniti residenti nel Nord Africa costa al matrimonio, quando si è in attesa di un figlio: in ogni momento della nostra storia «ci attende e ci accompagna». «Questo — ha ribadito il Pontefice — è l’amore eterno del Signore. Eterno ma concreto. Un amore anche artigianale, perché lui va facendo la storia e va preparando la strada per ognuno di noi. E questo è l’amore di Dio». Quindi il Papa si è rivolto a un gruppo di sacerdoti che hanno concelebrato in occasione del loro sessantesimo di ordinazione e ha detto: «Voi pensate ai vostri sessant’anni di messa. Quante cose sono accadute. Quante cose. Il Signore era lì a preparare la strada anche per altri che non conosciamo, ma lui conosce». Egli è «il Signore della preparazione, che ci ama da sempre e mai ci abbandona». Forse — ha ammesso — «è un atto di fede non facile da credere questo, è vero. Perché il nostro razionalismo ci fa dire: ma perché il Signore, con le tante persone con le quali ha a che fare va a pensare a me?». Eppure egli «ha preparato la strada a me, con le no- Lutto nell’episcopato Monsignor Francis Deniau, vescovo emerito di Nevers, in Francia, è morto domenica 12 gennaio a Parigi. Il compianto presule era nato nato in Neuilly-sur-Seine, in diocesi di Nanterre, il 3 ottobre 1936 ed era stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1961. Eletto alla sede residenziale di Nevers il 26 giugno 1998, aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 4 ottobre. Il 27 agosto 2011 aveva rinunciato al governo pastorale della diocesi. grazia di capire l’amore di Dio. Ma non si capisce mai, eh! Si sente, si piange, ma capirlo non si capisce. Anche questo ci dice quanto grande è questo amore». Gennaio e febbraio 2014 Calendario delle celebrazioni presiedute da Papa Francesco Gennaio 19 II D OMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Visita pastorale alla Parrocchia romana Sacro Cuore di Gesù a Castro Pretorio, ore 16 25 SABATO SOLENNITÀ DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO Basilica di San Paolo fuori le Mura, ore 17.30, Celebrazione dei Vespri Febbraio 2 D OMENICA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE XVIII GIORNATA MONDIALE DELLA VITA CONSACRATA Basilica Vaticana, ore 10, Santa Messa con i membri degli Istituti di Vita Consacrata e delle Società di Vita Apostolica 16 VI D OMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Visita pastorale alla Parrocchia romana San Tommaso Apostolo, ore 16 22 SOLENNITÀ DELLA CATTEDRA DI SAN PIETRO Basilica di San Pietro, ore 11, Concistoro Ordinario Pubblico per la creazione di nuovi Cardinali 23 VII D OMENICA DEL TEMPO ORDINARIO Basilica di San Pietro, ore 10, Cappella Papale, Santa Messa con i nuovi Cardinali Città del Vaticano, 10 gennaio 2014 Monsignor GUID O MARINI Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie Nato il 31 maggio 1953 a Haret Sakhr, nella regione di Jounieh, in Libano, ha compiuto gli studi al seminario patriarcale di Ghazir e all’Università Saint Esprit di Kaslik. Ordinato sacerdote il 12 agosto 1979 per l’eparchia patriarcale dei maroniti, dopo alcuni anni di servizio pastorale nella parrocchia di Notre-Dame du Secours ad Haret Sakhr, è stato inviato a Parigi per la specializzazione all’Institut Catholique, dove ha conseguito un diploma in pastorale catechetica, svolgendo nel contempo il ministero nella parrocchia di Notre-Dame de Compassion. Ritornato in Libano, è stato assegnato come parroco alla chiesa Saint Nohra a Sahel Alma, responsabile della Caritas di Kesrouan e incaricato delle vocazioni del vicariato di Jounieh. Nel 1997 è stato trasferito come parroco a Saint Charbel in Amman (Giordania), dove era pure cappellano del Cammino Neocatecumenale. Dopo essere stato per qualche mese amministratore patriarcale dell’arcieparchia di Haifa e Terra Santa dei maroniti (Israele) e dell’esarcato patriarcale di Gerusalemme, Palestina e Giordania, il 16 giugno 2012 è stato nominato vescovo eparchiale del Cairo (Egitto) e del Sudan dei maroniti. Il successivo 28 luglio ha ricevuto l’ordinazione episcopale. Basile Georges Casmoussa visitatore apostolico per i fedeli siri residenti in Europa Occidentale. Nato il 25 ottobre 1938 a Karakoche, arcieparchia di Mossul dei siri (Iraq), è entrato nel 1951 nel seminario Saint Jean di Mossul, dove ha compiuto gli studi di filosofia e di teologia. Ordinato sacerdote il 10 giugno 1962, è rimasto in Libano per due anni, durante i quali è stato assistente del rettore del seminario maggiore di Charfet e ha collaborato nella segreteria del patriarcato di Antiochia dei siri a Beirut. Tornato in Iraq, si è occupato di apostolato giovanile. È stato responsabile per molti anni della direzione della rivista «Al-Fikr Al Masihi». All’Università di Lovanio, in Belgio, ha studiato scienze sociali dal 1973 al 1976, conseguendo una licenza. È tra i fondatori dell’associazione sacerdotale Les prêtres du Christ-Roi. L’8 maggio 1999, il Sinodo della Chiesa siro-cattolica l’ha eletto arcivescovo di Mossul e ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 9 dicembre. Il 26 giugno 2010 è stato trasferito all’ufficio di vescovo della curia patriarcale di Antiochia dei siri. Ha scritto e tradotto vari libri. L’OSSERVATORE ROMANO lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 pagina 7 Udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede La via maestra della pace La fraternità è il fondamento e la via per la pace. Papa Francesco ha riproposto il senso del messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno rivolgendosi ai membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede durante il consueto incontro d’inizio d’anno svoltosi questa mattina, lunedì 13 gennaio, nella Sala Regia. Questo il discorso del Pontefice. Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori, È ormai una lunga e consolidata tradizione quella che, all’inizio di ogni nuovo anno, vuole che il Papa incontri il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per porgere voti augurali e scambiare alcune riflessioni, che sgorgano anzitutto dal suo cuore di pastore, attento alle gioie e ai dolori dell’umanità. È perciò motivo di grande letizia l’incontro di oggi. Esso mi permette di formulare a Voi personalmente, alle Vostre famiglie, alle Autorità e ai popoli che rappresentate i miei più sentiti auguri per un Anno ricco di benedizioni e di pace. Ringrazio anzitutto il Decano Jean-Claude Michel, il quale ha dato voce, a nome di tutti Voi, alle espressioni di affetto e di stima che legano le Vostre Nazioni alla Sede Apostolica. Sono lieto di rivedervi qui, così numerosi, dopo avervi incontrato una prima volta pochi giorni dopo la mia elezione. Nel frattempo sono stati accreditati numerosi nuovi Ambasciatori, a cui rinnovo il benvenuto, mentre, tra coloro che ci hanno lasciato, non posso non menzionare, come ha fatto il Vostro Decano, il compianto Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, per diversi anni Decano del Corpo Diplomatico, che il Signore ha chiamato a sé alcuni mesi fa. L’anno appena conclusosi è stato particolarmente denso di avvenimenti non solo nella vita della Chiesa, ma anche nell’ambito dei rapporti che la Santa Sede intrattiene con gli Stati e le Organizzazioni internazionali. Ricordo, in particolare, l’allacciamento delle relazioni diplomatiche con il Sud Sudan, la firma di accordi, di base o specifici, con Capo Verde, Ungheria e Ciad, e la ratifica di quello con la Guinea Equatoriale sottoscritto nel 2012. Anche nell’ambito regionale è cresciuta la presenza della Santa Sede, sia in America centrale, dove essa è diventata Osservatore Extra-Regionale presso il Sistema de la Integración Centroamericana, sia in Africa, con l’accreditamento del primo Osservatore Permanente presso la Comunità Economica degli Stati dell’Africa O ccidentale. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, dedicato alla fraternità come fondamento e via per la pace, ho notato che «la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2013, 1), la quale «per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore» (ibid.) e contribuire a far maturare quello spirito di servizio e di condivisione che edifica la pace (cfr. ibid., 10). Ce lo racconta il presepe, dove vediamo la Santa Famiglia non sola e isolata dal mondo, ma attorniata dai pastori e dai magi, cioè una comunità aperta, nella quale c’è spazio per tutti, poveri e ricchi, vicini e lontani. E si comprendono così le parole del mio amato predecessore Benedetto XVI, il quale sottolineava come «il lessico familiare è un lessico di pace» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLI Giornata Mondiale della Pace [8 dicembre 2007], 3: AAS 100 [2008], 39). Purtroppo, spesso ciò non accade, perché aumenta il numero delle famiglie divise e lacerate, non solo per la fragile coscienza del senso di appartenenza che contraddistingue il mondo attuale, ma anche per le condizioni difficili in cui molte di esse sono costrette a vivere, fino al punto di mancare degli stessi mezzi di sussistenza. Si rendono perciò necessarie politiche appropriate che sostengano, favoriscano e consolidino la famiglia! Capita, inoltre, che gli anziani siano considerati un peso, mentre i gio- Lo confermano — se ce ne fosse bisogno — le immagini di distruzione e di morte che abbiamo avuto davanti agli occhi nell’anno appena trascorso. Quanto dolore, quanta disperazione causa la chiusura in sé stessi, che prende via via il volto dell’invidia, dell’egoismo, della rivalità, della sete di potere e di denaro! Sembra, talvolta, che tali realtà siano destinate a dominare. Il Natale, invece, infonde in noi cristiani la certezza che l’ultima e definitiva parola appartiene al Principe della Pace, che muta «le spade in vomeri e le lance in falci» (cfr. Is 2, 4) e trasforma l’egoismo in dono di sé e la vendetta in perdono. È con questa fiducia che desidero guardare all’anno che ci sta di fronte. Non cesso, pertanto, di sperare che abbia finalmente termine il conflitto in Siria. La sollecitudine per quella cara popolazione e il desiderio di scongiurare l’aggravarsi della violenza mi hanno portato, nel settembre scorso, a indire una giornata di digiuno e di preghiera. Attraverso di Voi ringrazio di vero cuore quanti contrasti che possono minare la stabilità del Paese. Penso anche all’Egitto, bisognoso di una ritrovata concordia sociale, come pure all’Iraq, che stenta a giungere all’auspicata pace e stabilità. In pari tempo, rilevo con soddisfazione i significativi progressi compiuti nel dialogo tra l’Iran ed il “Gruppo 5+1” sulla questione nucleare. Ovunque la via per risolvere le problematiche aperte deve essere quella diplomatica del dialogo. È la strada maestra già indicata con lucida chiarezza dal Papa Benedetto XV allorché invitava i responsabili delle Nazioni europee a far prevalere «la forza morale del diritto» su quella «materiale delle armi» per porre fine a quella «inutile strage» (cfr. Benedetto XV, Lettera ai Capi dei Popoli belligeranti [1 agosto 1917]: AAS 9 [1917], 421-423), che è stata la Prima Guerra Mondiale, di cui quest’anno ricorre il centenario. Occorre «il coraggio di andare oltre la superficie conflittuale» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 228), per considerare gli altri nella loro dignità più profonda, continente. In occasione del 50° anniversario delle relazioni diplomatiche con la Repubblica di Corea, vorrei implorare da Dio il dono della riconciliazione nella penisola, con l’auspicio che, per il bene di tutto il popolo coreano, le Parti interessate non si stanchino di cercare punti d’incontro e possibili soluzioni. L’Asia, infatti, ha una lunga storia di pacifica convivenza tra le sue varie componenti civili, etniche e religiose. Occorre incoraggiare tale reciproco rispetto, soprattutto di fronte ad alcuni preoccupanti segnali di un suo indebolimento, in particolare a crescenti atteggiamenti di chiusura che, facendo leva su motivazioni religiose, tendono a privare i cristiani delle loro libertà e a mettere a rischio la convivenza civile. La Santa Sede guarda, invece, con viva speranza i segni di apertura che provengono da Paesi di grande tradizione religiosa e culturale, con i quali desidera collaborare all’edificazione del bene comune. La pace è inoltre ferita da qualunque negazione della dignità umana, vani non vedono davanti a sé prospettive certe per la loro vita. Anziani e giovani, al contrario, sono la speranza dell’umanità. I primi apportano la saggezza dell’esperienza; i secondi ci aprono al futuro, impedendo di chiuderci in noi stessi (cfr. Esort. ap. Evangelii gaudium, 108). È saggio non emarginare gli anziani dalla vita sociale per mantenere viva la memoria di un popolo. Parimenti, è bene investire sui giovani, con iniziative adeguate che li aiutino a trovare lavoro e a fondare un focolare domestico. Non bisogna spegnere il loro entusiasmo! Conservo viva nella mia mente l’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro. Quanti ragazzi contenti ho potuto incontrare! Quanta speranza e attesa nei loro occhi e nelle loro preghiere! Quanta sete di vita e desiderio di aprirsi agli altri! La chiusura e l’isolamento creano sempre un’atmosfera asfittica e pesante, che prima o poi finisce per intristire e soffocare. Serve, invece, un impegno comune di tutti per favorire una cultura dell’incontro, perché solo chi è in grado di andare verso gli altri è capace di portare frutto, di creare vincoli, di creare comunione, di irradiare gioia, di edificare la pace. nei Vostri Paesi, Autorità pubbliche e persone di buona volontà, si sono associati a tale iniziativa. Occorre ora una rinnovata volontà politica comune per porre fine al conflitto. In tale prospettiva, auspico che la Conferenza “Ginevra 2”, convocata per il 22 gennaio p.v., segni l’inizio del desiderato cammino di pacificazione. Nello stesso tempo, è imprescindibile il pieno rispetto del diritto umanitario. Non si può accettare che venga colpita la popolazione civile inerme, soprattutto i bambini. Incoraggio, inoltre, tutti a favorire e a garantire, in ogni modo possibile, la necessaria e urgente assistenza di gran parte della popolazione, senza dimenticare l’encomiabile sforzo di quei Paesi, soprattutto il Libano e la Giordania, che con generosità hanno accolto nel proprio territorio i numerosi profughi siriani. Rimanendo nel Medio Oriente, noto con preoccupazione le tensioni che in diversi modi colpiscono la Regione. Guardo con particolare preoccupazione al protrarsi delle difficoltà politiche in Libano, dove un clima di rinnovata collaborazione fra le diverse istanze della società civile e le forze politiche è quanto mai indispensabile per evitare l’acuirsi di affinché l’unità prevalga sul conflitto e sia «possibile sviluppare una comunione nelle differenze» (ibid.). In questo senso è positivo che siano ripresi i negoziati di pace tra Israeliani e Palestinesi e faccio voti affinché le Parti siano determinate ad assumere, con il sostegno della Comunità internazionale, decisioni coraggiose per trovare una soluzione giusta e duratura ad un conflitto la cui fine si rivela sempre più necessaria e urgente. Non cessa di destare preoccupazione l’esodo dei cristiani dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Essi desiderano continuare a far parte dell’insieme sociale, politico e culturale dei Paesi che hanno contribuito ad edificare, e ambiscono concorrere al bene comune delle società nelle quali vogliono essere pienamente inseriti, quali artefici di pace e di riconciliazione. Pure in altre parti dell’Africa, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza dell’amore e della misericordia di Dio. Non bisogna mai desistere dal compiere il bene anche quando è arduo e quando si subiscono atti di intolleranza, se non addirittura di vera e propria persecuzione. In vaste aree della Nigeria non si fermano le violenze e continua ad essere versato tanto sangue innocente. Il mio pensiero va soprattutto alla Repubblica Centroafricana, dove la popolazione soffre a causa delle tensioni che il Paese attraversa e che hanno seminato a più riprese distruzione e morte. Mentre assicuro la mia preghiera per le vittime e per i numerosi sfollati, costretti a vivere in condizioni di indigenza, auspico che l’interessamento della Comunità internazionale contribuisca a far cessare le violenze, a ripristinare lo stato di diritto e a garantire l’accesso degli aiuti umanitari anche alle zone più remote del Paese. Da parte sua, la Chiesa cattolica continuerà ad assicurare la propria presenza e collaborazione, adoperandosi con generosità per fornire ogni aiuto possibile alla popolazione e, soprattutto, per ricostruire un clima di riconciliazione e di pace fra tutte le componenti della società. Riconciliazione e pace sono priorità fondamentali anche in altre parti del continente africano. Mi riferisco particolarmente al Mali, dove pur si nota il positivo ripristino delle strutture democratiche del Paese, come pure al Sud Sudan, dove, al contrario, l’instabilità politica dell’ultimo periodo ha già provocato numerosi morti e una nuova emergenza umanitaria. La Santa Sede segue con viva attenzione anche le vicende dell’Asia, dove la Chiesa desidera condividere le gioie e le attese di tutti i popoli che compongono quel vasto e nobile prima fra tutte dalla impossibilità di nutrirsi in modo sufficiente. Non possono lasciarci indifferenti i volti di quanti soffrono la fame, soprattutto dei bambini, se pensiamo a quanto cibo viene sprecato ogni giorno in molte parti del mondo, immerse in quella che ho più volte definito la “cultura dello scarto”. Purtroppo, oggetto di scarto non sono solo il cibo o i beni superflui, ma spesso gli stessi esseri umani, che vengono “scartati” come fossero “cose non necessarie”. Ad esempio, desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto, o quelli che vengono utilizzati come soldati, violentati o uccisi nei conflitti armati, o fatti oggetti di mercato in quella tremenda forma di schiavitù moderna che è la tratta degli esseri umani, la quale è un delitto contro l’umanità. Non può trovarci insensibili il dramma delle moltitudini costrette a fuggire dalla carestia o dalle violenze e dai soprusi, particolarmente nel Corno d’Africa e nella Regione dei Grandi Laghi. Molti di essi vivono come profughi o rifugiati in campi dove non sono più considerate persone ma cifre anonime. Altri, con la speranza di una vita migliore, intraprendono viaggi di fortuna, che non di rado terminano tragicamente. Penso in modo particolare ai numerosi migranti che dall’America Latina sono diretti negli Stati Uniti, ma soprattutto a quanti dall’Africa o dal Medio Oriente cercano rifugio in Europa. È ancora viva nella mia memoria la breve visita che ho compiuto a Lampedusa nel luglio scorso per pregare per i numerosi naufraghi nel Mediterraneo. Purtroppo vi è una generale indifferenza davanti a simili tragedie, che è un segnale drammatico della perdita di quel «senso della responsabilità fraterna» (Omelia nella S. Messa a Lampedusa, 8 luglio 2013), su cui si basa ogni società civile. In tale circostanza ho però potuto constatare anche l’accoglienza e la dedizione di tante persone. Auguro al popolo italiano, al quale guardo con affetto, anche per le comuni radici che ci legano, di rinnovare il proprio encomiabile impegno di solidarietà verso i più deboli e gli indifesi e, con lo sforzo sincero e corale di cittadini e istituzioni, di superare le attuali difficoltà, ritrovando il clima di costruttiva creatività sociale che lo ha lungamente caratterizzato. Infine, desidero menzionare un’altra ferita alla pace, che sorge dall’avido sfruttamento delle risorse ambientali. Anche se «la natura è a nostra disposizione» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pa- Il saluto del decano Jean-Claude Michel Eco dei messaggi del Papa Davanti alle tragedie della fame, dell’esclusione, dell’immigrazione, della schiavitù moderna e della tratta degli esseri umani, delle persecuzioni religiose, in particolare contro i cristiani, «noi abbiamo condiviso la vostra indignazione». Lo ha assicurato a Papa Francesco il decano del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Jean-Claude Michel, ambasciatore del Principato di Monaco, durante l’udienza di lunedì mattina, 13 gennaio. «Le prese di posizione molto forti di sua Santità — ha aggiunto — fanno di lei, oso dire, il “leader” della lotta contro questi drammi che, testimoniano, purtroppo, l’indegnità, l’intolleranza e la crudeltà di cui può essere capace l’umanità». In queste dolorose circostanze, ha affermato, noi facciamo «eco» ai «suoi messaggi, in tutta la loro intensità, presso i nostri Governi». Un accenno il decano ha poi riservato alle situazioni di conflitto che persistono in varie parti del mondo e al ricorso alla «forza cieca e cruenta, spesso in nome stesso della religione», che continua a sconvolgere «la vita di una grande parte dell’umanità». A questo proposito l’ambasciatore ha voluto rinnovare la riconoscenza al Pontefice per il suo impegno personale, soprattutto in riferimento all’esortazione apostolica Evangelii gaudium, definita un documento di «alto valore teologico» e di «grande profondità» di contenuti. «Tengo a dire in questa occasione quanto siamo stati sensibili alla vostra esortazione apostolica» ha detto mettendo l’accento in particolare sull’importanza del dialogo tra le religioni. Ricordando poi le catastrofi naturali che hanno colpito lo scorso anno le Filippine, gli Stati Uniti d’America e alcune regioni italiane, il decano ha affermato che se sentiamo «la nostra impotenza davanti le furie della natura» siamo «maggiormente sconvolti dall’indifferenza di un certo mondo davanti ai drammi generati dall’ineguaglianze sociali, dall’ingiustizia di cui sono vittime i più deboli, dall’egoismo dei ricchi». A questo proposito, ha detto il diplomatico, «abbiamo ascoltato con un’attenzione estrema i suoi appelli in favore della pace, perché cessi la violenza ovunque nel mondo e, in particolare, nel vicino Oriente, dove milioni di essere umani senza difesa, sfollati o rifugiati sono assistiti con grandi difficoltà dai Paesi della regione, che è nostro dovere aiutare ad affrontare una situazione di una eccezionale gravità». L’ambasciatore ha inoltre assicurato che l’impegno del Papa per un mondo migliore, per il rispetto della dignità umana e per la libertà di religione «troverà sempre un interlocutore attento nella ricca diversità della nostra comunità diplomatica». Il decano ha infine reso omaggio all’attività diplomatica della Santa Sede e ha ricordato che l’anno prossimo si celebrerà il cinquantesimo anniversario dell’apertura della sua missione diplomatica presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite. ce [8 dicembre 2013], 9), troppo spesso «non la rispettiamo e non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura e da mettere a servizio dei fratelli, comprese le generazioni future» (ibid.). Pure in questo caso va chiamata in causa la responsabilità di ciascuno affinché, con spirito fraterno, si perseguano politiche rispettose di questa nostra terra, che è la casa di ognuno di noi. Ricordo un detto popolare che dice: «Dio perdona sempre, noi perdoniamo a volte, la natura — il creato — non perdona mai quando viene maltrattata!». D’altra parte, abbiamo avuto davanti ai nostri occhi gli effetti devastanti di alcune recenti catastrofi naturali. In particolare, desidero ricordare ancora le numerose vittime e le gravi devastazioni nelle Filippine e in altri Paesi del Sud-Est asiatico provocate dal tifone Haiyan. Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori, Il Papa Paolo VI notava che la pace «non si riduce ad un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» (Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio [26 marzo 1967], 76: AAS 59 [1967], 294-295). È questo lo spirito che anima l’azione della Chiesa ovunque nel mondo, attraverso i sacerdoti, i missionari, i fedeli laici, che con grande spirito di dedizione si prodigano, tra l’altro, in molteplici opere di carattere educativo, sanitario ed assistenziale, a servizio dei poveri, dei malati, degli orfani e di chiunque sia bisognoso di aiuto e conforto. A partire da tale «attenzione d’amore» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 199), la Chiesa coopera con tutte le istituzioni che hanno a cuore tanto il bene dei singoli quanto quello comune. All’inizio di questo nuovo anno, desidero perciò rinnovare la disponibilità della Santa Sede, e in particolare della Segreteria di Stato, a collaborare con i Vostri Paesi per favorire quei legami di fraternità, che sono riverbero dell’amore di Dio, e fondamento della concordia e della pace. Su di Voi, sulle Vostre famiglie e sui Vostri popoli scenda copiosa la benedizione del Signore. Grazie. Relazioni con 180 Stati Sono 180 gli Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede; il 22 febbraio 2013 si sono allacciate relazioni diplomatiche con il Sud Sudan, a livello di nunziatura apostolica e di ambasciata. Inoltre, vanno aggiunti l’Unione europea, il Sovrano Militare Ordine di Malta e una missione a carattere speciale, quella dello Stato di Palestina. Per quanto riguarda le organizzazioni internazionali, il 21 gennaio 2013, la Santa Sede è diventata osservatore extra-regionale del Sistema di integrazione centroamericana (S.I.C.A.) e, il 12 dicembre 2013, ha accreditato il primo osservatore presso la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (E.C.O.W.A.S.). Le cancellerie di ambasciata con sede a Roma, incluse quelle dell’Unione europea e del Sovrano Militare Ordine di Malta, sono 82, essendosi aggiunte nel corso dell’anno le ambasciate di Armenia e di Ghana. Hanno sede a Roma anche la missione dello Stato di Palestina, e gli uffici della Lega degli Stati arabi, dell’O rganizzazione internazionale per le migrazioni e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Nel corso del 2013 si sono firmati due accordi sullo statuto giuridico della Chiesa cattolica, rispettivamente con Capo Verde il 10 giugno e con il Ciad il 6 novembre. Inoltre, il 21 ottobre, si è stipulato con l’Ungheria un accordo sulla modifica dell’accordo, firmato il 20 giugno 1997, circa il finanziamento delle attività della Chiesa cattolica e circa alcune questioni di natura patrimoniale. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 lunedì-martedì 13-14 gennaio 2014 Al termine dell’Angelus nella solennità del Battesimo del Signore il Papa annuncia un concistoro per la nomina di diciannove cardinali Nel segno dell’universalità della Chiesa Sono diciannove i cardinali che Papa Francesco creerà nel concistoro del 22 febbraio prossimo. Lo ha annunciato egli stesso ieri, domenica 12 gennaio, rivolgendosi ai fedeli in piazza San Pietro al termine della recita dell’Angelus nella solennità del Battesimo del Signore. Prima della preghiera il Pontefice aveva sollecitato l’opera di carità nei confronti dei più bisognosi per vivere «questo tempo della misericordia». Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi è la festa del Battesimo del Signore. Stamattina ho battezzato trentadue neonati. Ringrazio con voi il Signore per queste creature e per ogni nuova vita. A me piace battezzare bambini. Mi piace tanto! Ogni bambino che nasce è un dono di gioia e di speranza, e ogni bambino che viene battezzato è un prodigio della fede e una festa per la famiglia di Dio. L’odierna pagina del Vangelo sottolinea che, quando Gesù ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni nel fiume Giordano, «si aprirono per lui i cieli» (Mt 3, 16). Questo realizza le profezie. Infatti, c’è una invocazione che la liturgia ci fa ripetere nel tempo di Avvento: «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63, 19). Se i cieli rimangono chiusi, il nostro orizzonte in questa vita terrena è buio, senza speranza. Invece, celebrando il Natale, la fede ancora una volta ci ha dato la certezza che i cieli si sono squarciati con la venuta di Gesù. E nel giorno del battesimo di Cristo ancora contempliamo i cieli aperti. La manifestazione del Figlio di Dio sulla terra segna l’inizio del grande tempo della misericordia, dopo che il peccato aveva chiuso i cieli, elevando come una barriera tra l’essere umano e il suo Creatore. Con la nascita di Gesù i cieli si aprono! Dio ci dà nel Cristo la garanzia di un amore indistruttibile. Da quando il Verbo si è fatto carne è dunque possibile vedere i cieli aperti. È stato possibile per i pastori di Betlemme, per i Magi d’Oriente, per il Battista, per gli Apostoli di Gesù, per santo Stefano, il primo martire, che esclamò: «Contemplo i cieli aperti!» (At 7, 56). Ed è possibile anche per ognuno di noi, se ci lasciamo invadere dall’amore di Dio, che ci viene donato la prima volta nel Battesimo per mezzo dello Spirito Santo. Lasciamoci invadere dall’amore di Dio! Questo è il grande tempo della misericordia! Non dimenticatelo: questo è il grande tempo della misericordia! Quando Gesù ricevette il battesimo di penitenza da Giovanni il Battista, solidarizzando con il popolo penitente — Lui senza peccato e non bisognoso di conversione —, Dio Pa- dre fece udire la sua voce dal cielo: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (v. 17). Gesù riceve l’approvazione del Padre celeste, che l’ha inviato proprio perché accetti di condividere la nostra condizione, la nostra povertà. Condividere è il vero modo di amare. Gesù non si dissocia da noi, ci considera fratelli e condivide con noi. E così ci rende figli, insieme con Lui, di Dio Padre. Questa è la rivelazione e la fonte del vero amore. E questo è il grande tempo della misericordia! Non vi sembra che nel nostro tempo ci sia bisogno di un supplemento di condivisione fraterna e di amore? Non vi sembra che abbiamo tutti bisogno di un supplemento di carità? Non quella che si accontenta dell’aiuto estemporaneo che non coinvolge, non mette in gioco, ma quella carità che condivide, che si fa carico del disagio e della sofferenza del fratello. Quale sapore acquista la vita, quando ci si lascia inondare dall’amore di Dio! Chiediamo alla Vergine Santa di sostenerci con la sua intercessione nel nostro impegno di seguire Cristo sulla via della fede e della carità, la via tracciata dal nostro Battesimo. Dopo la preghiera il Pontefice ha annunciato il concistoro Lettera ai nuovi porporati Con cuore semplice e umile Pubblichiamo, nella versione in lingua italiana, la lettera che Papa Francesco ha scritto personalmente per ognuno dei cardinali che saranno nominati il prossimo 22 febbraio. Caro Fratello, nel giorno in cui si rende pubblica la tua designazione a far parte del Collegio Cardinalizio, desidero farti giungere un cordiale saluto insieme all’assicurazione della mia vicinanza e della mia preghiera. Desidero che, in quanto aggregato alla Chiesa di Roma, rivestito delle virtù e dei sentimenti del Signore Gesù (cfr. Rm 13, 14), tu possa aiutarmi con fraterna efficacia nel mio servizio alla Chiesa universale. Il Cardinalato non significa una promozione, né un onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore. E, benché sembri un paradosso, questo poter guardare più lontano e amare più universalmente con maggiore intensità si può acquistare solamente seguendo la stessa via del Signore: la via dell’abbassamento e dell’umiltà, prendendo forma di servitore (cfr. Fil 2, 5-8). Perciò ti chiedo, per favore, di ricevere questa designazione con un cuore semplice e umile. E, sebbene tu debba farlo con gaudio e con gioia, fa’ in modo che questo sentimento sia lontano da qualsiasi espressione di mondanità, da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà. Arrivederci, quindi, al prossimo 20 febbraio, in cui cominceremo i due giorni di riflessione sulla famiglia. Resto a tua disposizione e, per favore, ti chiedo di pregare e far pregare per me. Gesù ti benedica e la Vergine Santa ti protegga. Fraternamente, Dal Vaticano, 12 gennaio 2014 del 22 febbraio e i nomi dei diciannove nuovi porporati. Cari fratelli e sorelle, rivolgo a tutti voi il mio saluto cordiale, in particolare alle famiglie e ai fedeli venuti da diverse parrocchie dall’Italia e da altri Paesi, come pure alle associazioni e ai vari gruppi. Oggi un pensiero speciale vorrei rivolgerlo ai genitori che hanno portato i loro figli al Battesimo e a coloro che stanno preparando il Battesimo di un loro figlio. Mi unisco alla gioia di queste famiglie, ringrazio con loro il Signore, e prego perché il Battesimo dei bambini aiuti gli stessi genitori a riscoprire la bellezza della fede e a ritornare in modo nuovo ai Sacramenti e alla comunità. Come è stato già annunciato il prossimo 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, avrò la gioia di tenere un Concistoro, durante il quale nominerò 16 nuovi Cardinali, che — appartenenti a 12 nazioni di ogni parte del mondo — rappresentano il profondo rapporto ecclesiale fra la Chiesa di Roma e le altre Chiese sparse per il mondo. Il giorno seguente presiederò una solenne concelebrazione con i nuovi Cardinali, mentre il 20 e il 21 febbraio terrò un Concistoro con tutti i cardinali per riflettere sul tema della famiglia. Ecco i nomi dei nuovi Cardinali: 1. Mons. Pietro Parolin, Arcivescovo titolare di Acquapendente, Segretario di Stato. 2. Mons. Lorenzo Baldisseri, Arcivescovo titolare di Diocleziana, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi. 3. Mons. Gerhard Ludwig Müller, Arcivescovo-Vescovo emerito di Regensburg, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. 4. Mons. Beniamino Stella, Arcivescovo titolare di Midila, Prefetto della Congregazione per il Clero. 5. Mons. Vincent Gerard Nichols, Arcivescovo di Westminster (Gran Bretagna). 6. Mons. Leopoldo José Brenes Solórzano, Arcivescovo di Managua (Nicaragua). 7. Mons. Gérald Cyprien Lacroix, Arcivescovo di Québec (Canada). 8. Mons. Jean-Pierre Kutwa, Arcivescovo di Abidjan (Costa d’Avorio). 9. Mons. Orani João Tempesta, O.Cist., Arcivescovo di Rio de Janeiro (Brasile). 10. Mons. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve (Italia). 11. Mons. Mario Aurelio Poli, Arcivescovo di Buenos Aires (Argentina). 12. Mons. Andrew Yeom Soo jung, Arcivescovo di Seoul (Korea). 13. Mons. Ricardo Ezzati Andrello, S.D.B., Arcivescovo di Santiago del Cile (Cile). 14. Mons. Philippe Nakellentuba Ouédraogo, Arcivescovo di Ouagadougou (Burkina Faso). 15. Mons. Orlando B. Quevedo, O.M.I., Arcivescovo di Cotabato (Filippine). 16. Mons. Chibly Langlois, Vescovo di Les Cayes (Haïti). Insieme ad essi, unirò ai membri del Collegio Cardinalizio tre Arcivescovi emeriti che si sono distinti per il loro servizio alla Santa Sede e alla Chiesa: Mons. Loris Francesco Capovilla, Arcivescovo titolare di Mesembria; Mons. Fernando Sebastian Aguillar, Arcivescovo emerito di Pamplona; Mons. Kelvin Edward Felix, Arcivescovo emerito di Castries, nelle Antille. Preghiamo per i nuovi Cardinali, affinché rivestiti delle virtù e dei sentimenti del Signore Gesù, Buon Pastore, possano aiutare più efficacemente il Vescovo di Roma nel suo servizio alla Chiesa universale. A tutti auguro una buona domenica e buon pranzo. Arrivederci! Battezzati trentadue neonati nella cappella Sistina Come anelli di una catena Nella cappella Sistina, domenica mattina 12 gennaio, festa del Battesimo del Signore, il Pontefice ha battezzato trentadue neonati. «Questi bambini — ha affermato nella breve omelia pronunciata a braccio — sono l’anello di una catena». E ai genitori ha ricordato in particolare l’impegno a educare i figli, trasmettendo loro la fede cristiana. Gesù non aveva necessità di essere battezzato, ma i primi teologi dicono che, col suo corpo, con la sua divinità, nel battesimo ha benedetto tutte le acque, perché le acque avessero il potere di dare il Battesimo. E poi, prima di salire al Cielo, Gesù ci ha detto di andare in tutto il mondo a battezzare. E da quel giorno fino al giorno d’oggi, questa è stata una catena ininterrotta: si battezzavano i figli, e i figli poi i figli, e i figli... E anche oggi questa catena prosegue. Questi bambini sono l’anello di una catena. Voi genitori avete il bambino o la bambina da battezzare, ma tra alcuni anni saranno loro che avranno un bambino da battezzare, o un nipotino... È così la catena della fede! Cosa vuol dire questo? Io vorrei soltanto dirvi questo: voi siete coloro che trasmettono la fede, i trasmettitori; voi avete il dovere di trasmettere la fede a questi bambini. È la più bella eredità che voi lascerete loro: la fede! Soltanto questo. Oggi portate a casa questo pensiero. Noi dobbiamo essere trasmettitori della fede. Pensate a questo, pensate sempre come trasmettere la fede ai bambini. Oggi canta il coro, ma il coro più bello è questo dei bambini, che fanno rumore... Alcuni piangeranno, perché non sono comodi o perché hanno fame: se hanno fame, mamme, date loro da mangiare, tranquille, perché loro sono qui i protagonisti. E adesso, con questa consapevolezza di essere trasmettitori della fede, continuiamo la cerimonia del Battesimo. Il coro più bello Papa Francesco ha battezzato trentadue bambini nello splendido scenario della cappella Sistina, domenica mattina 12 gennaio, giorno della festa del Battesimo del Signore. Sono state proprio le voci dei neonati, ha detto il Papa parlando a braccio all’omelia, «il coro più bello» che ha animato la celebrazione, anche con il «rumore» e i pianti, facendo respirare un autentico clima di famiglia. Tanto che il Pontefice ha invitato espressamente le mamme a dare tranquillamente da mangiare ai piccoli durante il rito perché, ha detto, «loro sono qui i protagonisti». Hanno concelebrato gli arcivescovi Pietro Parolin, segretario di Stato, Konrad Krajewski, elemosiniere, e Giampiero Gloder, presidente della Pontificia Accademia Ecclesiastica, e il vescovo Fernando Vérgez Alzaga, segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. Era presente l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia. I canti sono stati eseguiti dal coro della cappella Sistina diretto da monsignor Massimo Pa- lombella. Il servizio dei ministranti è stato prestato dagli alunni del preseminario San Pio X . La messa ha avuto inizio alle 9.30 con il dialogo rituale del Pontefice con i genitori, i padrini e le madrine che hanno risposto alle domande proprie della liturgia del battesimo. Nel ricordare ai genitori l’impegno a educare i figli nella fede, il Papa ha aggiunto anche l’invito a «trasmettere» loro la fede, proprio per rimarcare la responsabilità che attende la famiglia: è il concetto essenziale che ha poi riaffermato anche nella breve omelia invitando i genitori a essere «trasmettitori della fede». È seguito il rito del segno della croce, fatto sulla fronte di ogni bambino prima dal Pontefice, poi dalle mamme e dai papà, quindi dai padrini e dalle madrine. Alla preghiera dei fedeli sono state ricordate le famiglie e soprattutto «i bambini che soffrono per i maltrattamenti, per la fame e per le malattie». All’invocazione dei santi è poi seguita l’orazione di esorcismo e l’unzione prebattesimale. Due concelebranti — i monsignori Gloder e Vérgez Alzaga — hanno fatto, a nome del Papa, l’unzione con l’olio dei catecumeni sul petto di tutti i piccoli. La liturgia del battesimo ha avuto inizio con la preghiera e invocazione sull’acqua pronunciata dal Papa e il rito della rinuncia a satana e la professione di fede. Il Pontefice ha quindi personalmente battezzato i trentadue bambini, presentati al fonte battesimale dai genitori, e dai fratelli e le sorelle più grandicelli. Poi l’unzione con il sacro crisma, la consegna della veste bianca e del cero acceso e il rito dell’Effeta sono stati fatti sempre dall’arcivescovo Gloder e dal vescovo Vérgez Alzaga. Proprio al momento dell’affidamento della candela accesa, il Papa ha ricordato ai genitori, parlando sempre a braccio, che «la più grande eredità» che possono lasciare ai loro figli è proprio «la luce della fede», la trasmissione della fede che dà la salvezza. A conclusione della celebrazione il Pontefice ha benedetto le madri con in braccio i bambini, i padri e poi tutti i presenti alla celebrazione.