Ken Follett.
CODICE A ZERO.
Traduzione di Annamaria Raffo.
TITOLO DELL'OPERA ORIGINALE: CODE TO ZERO.
ISBN 88-04-48194-3.
COPYRIGHT KEN FOLLET 2000.
© 2000 ARNOLDO MONDADORI EDITORE ERA., MILANO.
PRIMA EDIZIONE OTTOBRE 2000.
Questo libro è un'opera di fantasia. Nomi, personaggi,
organizzazioni
ed eventi sono frutto dell'immaginazione dell'autore o vengono
usati
in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, vive
o defunte, è assolutamente casuale.
CODICE A ZERO.
Nota storica.
Il lancio del primo satellite spaziale americano, l'Explorer I, era
previsto in origine per la notte di mercoledì 29 gennaio 1958.
Nella tarda serata venne rinviato al giorno seguente, con la motivazione del cattivo tempo. Gli osservatori presenti a Cape Canaveral rimasero perplessi perché era una magnifica giornata di sole. Ma l'esercito affermò che una particolare corrente d'alta quota
chiamata "jetstream" era sfavorevole.
La notte successiva ci fu un altro rinvio, sempre per la stessa
ragione.
Il lancio venne finalmente effettuato venerdì 31 gennaio.
Fin dalla sua nascita, nel 1947, la Central Intelligence
Agency ... ha investito milioni di dollari in un importante progetto di ricerca per scoprire droghe e altri
metodi alternativi in grado di portare al controllo asso-
luto di una persona normale, consenziente o meno, per
costringerla ad agire, parlare, rivelare i segreti più preziosi, persino a dimenticare su comando.
John Marks, The Search for the "Manchurian Candidate":
The Cia and Mmd Contrai, 1979
PI.
PARTE PRIMA
5.00.
Il Jupiter C è posizionato sulla rampa di lancio al Complesso 26
di Cape Canaveral. Per proteggerlo da sguardi indiscreti è co perto da grandi teloni che ne nascondono ogni parte tranne la coda,
che è quella dell'ormai noto Redstone, il missile dell'esercito. Ma
tutto il resto, mascherato dalla copertura, è davvero unico...
Si svegliò spaventato.
Anzi, peggio: era terrorizzato. Il cuore gli batteva all'impazzata, aveva il fiato corto, il corpo teso. Come dopo un incubo, solo che il risveglio non portò alcun sollievo. Capiva
che era accaduto qualcosa di terribile, ma non sapeva cosa.
Aprì gli occhi. Una luce fioca proveniente da un altro locale illuminava debolmente l'angolo in cui si trovava: riusci a distinguere sagome vaghe, familiari ma minacciose.
Da qualche parte, lì vicino, un rumore di acqua corrente.
Cercò di calmarsi. Degluti, fece dei respiri regolari,
tentò di pensare in maniera lucida. Era sdraiato su un pavimento. Aveva freddo, male ovunque e tutti i sintomi dei
postumi di una sbronza: mal di testa, bocca asciutta e una
gran nausea.
Si alzò a sedere, tremante di paura. Il pavimento era ancora umido e avverti l'odore forte e sgradevole di disinfettante. Riconobbe le sagome di una fila di lavandini.
Si trovava in un gabinetto pubblico.
Fu assalito da un'ondata di disgusto. Aveva dormito per
terra in un gabinetto. Cosa diavolo gli era successo? Si concentrò. Era completamente vestito: indossava una specie di
giaccone e scarpe pesanti, ma aveva la sensazione che quelli non fossero i suoi abiti. Il panico si stava placando, sostituito da una paura più profonda, meno isterica, più razionale. Gli era accaduto qualcosa di molto brutto.
Aveva bisogno di luce.
Si alzò in piedi. Si guardò attorno scrutando nella semioscurità, cercando di indovinare dove si trovasse la
porta. Avanzò con le braccia tese davanti a sé per parare
eventuali ostacoli e raggiunse una parete. Da lì procedette
dilato, le mani che esploravano lo spazio circostante.
Toccò una superficie liscia e fredda che immaginò fosse
uno specchio, poi trovò un rotolo di tessuto per asciugarsi
le mani, quindi una scatola di metallo che poteva essere
un distributore automatico. Finalmente le sue dita sfiorarono un interruttore.
Una luce violenta inondò le pareti di piastrelle bianche, il
pavimento di cemento e una fila di box con le porte aperte.
In un angolo c'era qualcosa che assomigliava a un fagotto
di vestiti smessi.
Com'era finito lì? Si sforzò di pensare. Cos'era accaduto
la sera prima? Non riusciva a ricordare.
Il terrore cieco ritornò non appena si rese conto che non
ricordava assolutamente nulla.
Strinse i denti per impedirsi di urlare. Il giorno precedente... quello prima ancora... niente. Come si chiamava?
Non lo sapeva.
Si voltò verso la fila di lavandini. Sopra correva un lungo
specchio: vide un lurido vagabondo vestito di stracci, i capelli arruffati, la faccia sporca e lo sguardo folle, allucinato.
Osservò quell'immagine per un secondo, poi fu colpito da
una terribile rivelazione. Fece per allontanarsi, scioccato, e
l'uomo nello specchio fece lo stesso. Quel barbone era lui.
Non poté più trattenere l'accesso di panico. Aprì la bocca e, con voce tremante per la paura, urlò: «Chi sono?».
Il fagotto di stracci nell'angolo si mosse, rotolando su se
stesso; apparve un volto e una voce borbottò: «Sei un barbone, Luke. Piantala di fare casino».
Si chiamava Luke.
Che sollievo! Un nome non era molto, ma lo aiutava a
pensare. Fissò il suo compagno. Indossava una giacca di
tweed strappata, con un pezzo di corda legato in vita a mo'
di cintura. Il volto, giovane e sporco, aveva un'espressione
scaltra. L'uomo si sfregò gli occhi e borbottò: «Mi fa male la
testa».
«Tu chi sei?» chiese Luke.
«Sono Pete, scemo. Non ci vedi?»
«Io non...» Luke deglutì, trattenendo il panico. «Io ho
perso la memoria!»
«Non mi sorprende. Ieri ti sei scolato quasi un'intera
bottiglia. E un miracolo se non hai perso tutta la testa.» Si
leccò le labbra. «A me non ne hai quasi lasciato un goccio,
di quel maledetto bourbon.»
Questo spiegava i postumi della sbronza, pensò Luke.
«E perché ne ho bevuto un'intera bottiglia?»
Pete scoppiò in una risata sarcastica. «È la domanda più
stupida che abbia mai sentito. Per ubriacarti, no?»
Luke era sgomento. Era un barbone, un alcolizzato che
dormiva nei gabinetti pubblici.
Aveva una sete terribile. Si chinò sopra un lavandino,
lasciò scorrere l'acqua fredda e bevve dal rubinetto. Questo lo fece sentire meglio. Si asciugò la bocca costringendosi a guardare di nuovo nello specchio.
Ora era più calmo. Lo sguardo allucinato era sparito,
sostituito da un'espressione confusa e sbigottita. L'immagine riflessa nello specchio era quella di un uomo vicino
alla quarantina, con capelli scuri e occhi azzurri. Non aveva né barba né baffi, solo l'ombra scura di chi non si rade
da qualche giorno.
Tornò a voltarsi verso il suo compagno. «Luke e poi?»
domandò. «Qual è il mio cognome?»
«E che ne so? Come diavolo posso saperlo, io?»
«Come ho fatto a ridurmi così? Da quanto tempo va
avanti? Com'è successo?»
Pete si alzò in piedi. «Ho bisogno di mettere qualcosa
sotto i denti.»
Luke si rese conto di aver fame. Si chiese se avesse del denaro. Frugò nelle tasche di giaccone e pantaloni: tutte vuote. Non aveva soldi né portafoglio, neppure un fazzoletto.
Niente, nessun indizio. «Credo di essere al verde» disse.
«Ma guarda» fece Pete con sarcasmo. «Su, vieni» e si
avviò barcollando verso una porta.
Luke lo seguì.
Quando uscì alla luce, subì un altro choc. Si trovava in
un enorme tempio, deserto, dove regnava un cupo silenzio. Panche di mogano erano allineate sul pavimento di
marmo, come banchi di una chiesa in attesa di una congregazione di spiriti. Tutto intorno alla grande sala, su
un'architrave di pietra che sovrastava file di colonne, surreali guerrieri di pietra con elmi e scudi facevano la guardia al luogo sacro. In alto, sopra le loro teste, c'era un soffitto a volta decorato a cassettoni ottagonali dorati. La
mente di Luke fu attraversata dal folle pensiero di essere
stato la vittima sacrificale in uno strano rito che lo aveva
lasciato senza memoria.
«Cos'è questo posto?» chiese, atterrito.
«La Union Station di Washington.»
Un relè scattò nella mente di Luke e tutto assunse un significato. Con sollievo vide lo sporco sui muri, la gomma
da masticare spiaccicata sul pavimento di marmo, le cartine di caramelle e i pacchetti di sigarette vuoti gettati negli
angoli, e si sentì uno stupido. Si trovava in un'enorme stazione ferroviaria di mattina presto, prima che si riempisse
di viaggiatori. Si era comportato come un bambino che crede di vedere dei mostri in una camera da letto buia.
Pete si diresse verso un arco trionfale con il cartello
USCITA e Luke si affrettò a seguirlo.
«Oh-oh» fece Pete, accelerando il passo.
Un uomo corpulento stretto in un'uniforme delle ferro-
L
vie puntò dritto verso di loro, gonfio di arrogante indignazione. «Da dove spuntate voi due?»
«Ce ne andiamo, ce ne andiamo» disse Pete con voce
lamentosa.
All'uomo non bastava sbarazzarsi di loro. «Avete dormito qui, non è vero?» li apostrofò, seguendoli da vicino.
«Lo sapete che non si può.»
A Luke non piaceva essere sgridato come uno scolaretto, ma forse se l'era meritato. In effetti, aveva dormito in
quella dannata latrina. Ricacciò indietro una rispostaccia e
accelerò l'andatura.
«Questo non è un ostello» proseguì l'uomo. «Levatevi
dai piedi, brutti vagabondi!» gridò, assestando uno spintone a Luke.
Luke si voltò di scatto e lo affrontò di petto. «Non mi
toccare» disse, sorpreso lui stesso dal tono calmo e insieme minaccioso della propria voce. L'uomo si arrestò di
colpo. «Ce ne stiamo andando, quindi non c'è bisogno che
tu dica altro, chiaro?»
Il tizio fece un passo indietro, intimorito.
Pete prese Luke per il braccio. «Usciamo di qui.»
Luke provò un senso di vergogna. Il tipo in uniforme era
uno stupido presuntuoso, ma lui e Pete erano dei vagabondi e qualunque dipendente delle ferrovie aveva il dovere di
cacciarli, mentre lui non aveva alcun diritto di minacciarlo.
Passarono sotto l'arco. Fuori era buio. C'erano delle auto
parcheggiate attorno all'isola spartitraffico davanti alla stazione, ma la strada era tranquilla. L'aria era fredda e pungente e Luke si strinse negli abiti logori. Era inverno, una tipica mattina gelida di Washington, forse gennaio o febbraio.
Si domandò che anno fosse.
Pete svoltò a sinistra: evidentemente sapeva dove andare. Luke lo segui. «Dove vai?» gli chiese.
«Conosco una cappella metodista in H Street dove danno da mangiare gratis, se ti adatti a cantare qualche inno.»
«Con la fame che ho sono disposto a cantare un intero
libro di salmi.»
Pete si avviò deciso seguendo un percorso che attraversava a zigzag un quartiere popolare. La città non si era ancora svegliata. Le case erano buie, le serrande dei negozi
abbassate, caffetterie e edicole ancora chiuse. Luke vide la
finestra di una camera da letto, schermata da misere tendine, e immaginò un uomo profondamente addormentato
sotto una montagna di coperte, con la moglie a fianco, e
provò una fitta di invidia. Aveva l'impressione di non appartenere a quella vita, ma di far parte di quella comunità
di uomini e donne che prima dell'alba si avventurano per
le strade gelide quando la gente comune ancora dorme:
l'uomo in abiti da lavoro che si avviava stancamente verso le fatiche quotidiane, il giovane imbacuccato in bicicletta con guanti e sciarpa, la donna con la sigaretta, unica
passeggera di un autobus tutto illuminato.
La sua mente era un ribollire di angoscianti interrogativi. Da quanto tempo si ubriacava? Aveva mai cercato di
smettere? Aveva una famiglia che potesse aiutarlo? Dove
aveva conosciuto Pete? Dove si procuravano da bere? Ma
Pete sembrava un tipo taciturno e Luke soffocò la propria
impazienza, nella speranza che l'uomo diventasse più
cordiale dopo aver mangiato qualcosa.
Arrivarono a una chiesetta che si ergeva spavalda tra un
cinema e una tabaccheria. Entrarono da una porta laterale
e scesero una rampa di scale che portava nel seminterrato.
Luke si ritrovò in una lunga stanza dal soffitto basso, forse
la cripta. A un'estremità vide un pianoforte verticale e un
piccolo pulpito, all'altra una cucina economica. Nel mezzo
c'erano tre file di tavole poggiate su cavalletti, con panche
ai due lati. Tre barboni, seduti ognuno a un tavolo diverso,
fissavano attoniti il nulla. Ai fornelli, una donna bassa e
grassa mescolava il contenuto di un pentolone. Al suo fianco, un uomo con la barba grigia e il collare da prete alzò lo
sguardo da una caffettiera e sorrise. «Entrate, entrate!» disse con fare gioviale. «Venite a riscaldarvi.» Luke lo guardò
c~n cautela, chiedendosi se non fosse un'allucinazione.
Faceva davvero caldo, anche troppo, dopo l'aria gelida
del mattino. Luke si sbottonò il giaccone sudicio. «Buongiorno~ padre Lonegan» disse Pete.
«Sei già stato qui altre volte? Ho dimenticato il tuo nome» ammise il pastore.
«Io sono Pete e lui è Luke.»
«Due apostoli!» La sua cordialità sembrava sincera. «È
un po' presto per la colazione, ma il caffè è pronto.»
Luke si chiese come facesse padre Lonegan a mantenersi
così gioviale pur dovendosi alzare prima dell'alba per preparare la colazione a un gruppo di ubriaconi catatonici.
Il pastore versò il caffè in due grosse tazze. «Latte e
zucchero?»
Luke non sapeva cosa rispondere. «Sì, grazie» rispose,
rischiando. Prese la tazza e bevve un sorso: il caffè era disgustosamente dolce e denso. Evidentemente, di solito lo
beveva senza niente. Ma servì a placargli la fame e, in pochi sorsi, lo finì.
«Tra qualche minuto diremo una preghiera» disse il pastore. «E quando avremo finito, il famoso porridge di Mrs
Lonegan dovrebbe essere cotto a puntino.»
Luke decise che i suoi sospetti erano ingiusti. Padre Lonegan era esattamente ciò che sembrava, un uomo cordiale che amava aiutare il prossimo.
Si sedette con Pete al tavolo di legno grezzo e osservò il
compagno. Fino a quel momento aveva notato solo la
sporcizia e gli abiti laceri. Ora vide che non aveva nessuna
delle caratteristiche di un alcolizzato: niente capillari rotti
né pelle squamata sul viso, niente tagli né lividi. Forse era
troppo giovane. Luke calcolò che avesse sui venticinque
anni. Aveva una voglia rosso scuro che correva dall'orecchio destro fino alla mandibola. I denti erano irregolari e
macchiati; probabilmente si era fatto crescere i baffi per
nasconderli tanto tempo addietro, quando ancora si curava del proprio aspetto. Luke avvertiva in lui una rabbia
repressa. Pensò che Pete ce l'avesse con il mondo, forse
perché l'aveva ridotto così, oppure per qualche altro motivo. Magari era convinto che il paese fosse sull'orlo della
rovina per colpa di qualche gruppo etnico che odiava immigrati cinesi, negri cocciuti - o a causa di un dan segreto di milionari che controllava nell'ombra il mercato
azionario.
«Cosa stai guardando?» chiese Pete.
Luke si strinse nelle spalle senza rispondere. Sul tavolo
c'erano un giornale aperto alla pagina del cruciverba e un
mozzicone di matita. Guardò distrattamente lo schema,
prese la matita e cominciò a riempirlo.
A poco a poco, arrivarono altri vagabondi. Mrs Lonegan tirò fuori una pila di ciotole di terraglia e cucchiai.
Luke rispose a tutti i quesiti tranne uno: "Storico principe
della Danimarca", sei lettere. Padre Lonegan si fermò alle
sue spalle a guardare lo schema, inarcò le sopracciglia sorpreso nel vederlo tutto compilato e disse piano alla moglie: «Oh, il nobile spirito che va in rovina!».
Immediatamente Luke trovò anche l'ultima risposta Amleto - e la scrisse. "Come faccio a saperlo?" si chiese
un attimo dopo.
Aprì il giornale e cercò la data sulla prima pagina. Mercoledì, 29 gennaio 1958. Un titolo catturò la sua attenzione: Per gli Usa la luna resta a terra. Andò avanti a leggere:
Cape Canaverai, martedì - A causa di numerosi problemi tecnici,
la marina degli Stati Uniti ha abbandonato oggi il secondo tentativo di lanciare il razzo spaziale Vanguard.
La decisione giunge due mesi dopo che il lancio del primo
Vanguard si è concluso con un umiliante fiasco e il missile è
esploso due secondi dopo l'accensione.
Le speranze americane di lanciare un satellite spaziale in grado di rivaleggiare con lo Sputnik sovietico ora sono tutte riposte
nel vettore dell'esercito, il Jupiter.
Il pianoforte lanciò un accordo stridente e Luke alzò lo
sguardo. Mrs Lonegan stava suonando le prime note di
un inno che gli era familiare. La donna e il marito cominciarono a cantare What a Friend We Have in Jesus e Luke si
unì a loro, lieto di ricordarne le parole.
Il bourbon aveva uno strano effetto su di lui, rifletté.
Era in grado di fare le parole crociate e di cantare un inno
a memoria, ma non ricordava il nome della propria madre. Forse erano anni che beveva e l'alcol gli aveva irrimediabilmente danneggiato il cervello. Si chiese come avesse
potuto permettere una cosa simile.
Dopo l'inno, padre Lonegan lesse alcuni versetti della
Bibbia e annunciò ai presenti che potevano salvarsi. Quel
gruppo di poveracci aveva davvero bisogno di salvezza,
pensò Luke. Ma lui non era ancora disposto a riporre in Dio
ogni sua speranza. Prima doveva scoprire chi era.
Il pastore improvvisò una preghiera, tutti insieme resero
grazie al Signore, poi si misero in fila mentre Mrs Lonegan
serviva il porridge bollente con lo sciroppo. Luke ne mangiò tre ciotole. Dopo si sentì molto meglio. I postumi della
sbronza stavano passando in fretta.
Impaziente di trovare una risposta ai suoi interrogativi,
si avvicinò al pastore. «Padre, lei mi ha già visto qui prima d'ora? Ho perso la memoria.»
Padre Lonegan lo guardò intensamente. «Mi pare di no.
Ma vedo centinaia di persone ogni settimana e potrei sbagliarmi. Quanti anni hai?»
«Non lo so» rispose Luke, sentendosi uno stupido.
«Sei vicino ai quaranta, direi, e non è molto che conduci
questa vita. Lascia il segno, sai. Tu, invece, hai ancora una
camminata sciolta e la mente abbastanza pronta da fare un
cruciverba. Se smetti di bere, tornerai a una vita normale.»
Luke si domandò quante volte il pastore avesse pronunciato quelle parole. «Ci proverò» promise.
«Se hai bisogno di aiuto, io sono qui.» Un giovane che
sembrava avere un qualche handicap mentale batteva con
insistenza sul braccio di padre Lonegan e questi si voltò
verso di lui con un sorriso paziente.
Luke si rivolse a Pete. «Da quanto tempo mi conosci?»
«Non lo so. È da un po' che ti vedo in giro.»
«Dove abbiamo passato la notte precedente a questa?»
«Rilassati, prima o poi la memoria ti tornerà.»
«Devo scoprire da dove vengo.»
Pete ebbe un attimo di esitazione. «Quello che ci serve è
una bella birra. Ci aiuterà a pensare meglio» disse, e fece
per avviarsi alla porta.
Luke lo afferrò per un braccio. «Io non voglio una birra» affermò con decisione. Evidentemente Pete non desiderava che lui scavasse nel proprio passato. Forse temeva
di perdere un compagno. Be', pazienza. Lui aveva cose
più importanti da fare che tenergli compagnia. «Anzi» aggiunse «preferirei restare solo per un
«E chi sei, Greta Garbo?»
«Dico sul serio.»
«Tu hai bisogno di me. Non ce la fai da solo. Diamine,
non ricordi neppure quanti anni hai.»
Pete aveva un'espressione disperata negli occhi, ma
Luke non si lasciò convincere. «Apprezzo il tuo interessamento, ma tu non puoi aiutarmi a scoprire chi sono.»
Dopo qualche secondo, Pete si strinse nelle spalle. «Come vuoi tu» disse, e si girò ancora verso la porta. «Magari
ci vediamo.»
«Magari.»
Pete uscì. Luke strinse la mano a padre Lonegan. «Gra-
zie di tutto.»
«Spero che tu possa trovare quello che stai cercando» gli
augurò il pastore.
Luke salì le scale e usci in strada. Pete era fermo un isolato più avanti e stava parlando con un uomo in impermeabile di gabardine verde e berretto della stessa stoffa.
Gli starà chiedendo i soldi per una birra, pensò Luke; poi
si avviò nella direzione opposta e svoltò l'angolo.
Sentiva freddo ai piedi e si accorse di essere senza calze.
Mentre procedeva a passo svelto, cominciò a cadere un leggero nevischio. Dopo qualche minuto rallentò l'andatura.
Non c'era motivo di correre, che lui camminasse in fretta o
lentamente non faceva alcuna differenza. Si fermò e trovò
riparo in un androne.
Non aveva dove andare.
6.00.
Il razzo è circondato su tre lati da una torre di servizio che lo
sorregge in una stretta di acciaio. L'incastellatura, in realtà una
torre di trivellazione modificata, poggia su rotaie. L'intera
struttura, più alta di una casa a tre piani, verrà allontanata di
un centinaio di metri prima del lancio.
Elspeth si svegliò preoccupata per Luke.
Rimase sdraiata a letto per qualche momento, il cuore
gonfio di pena per l'uomo che amava. Poi accese la luce
sul comodino e si alzò a sedere.
La stanza del motel era decorata con motivi di ispirazione spaziale. La lampada a stelo aveva la forma di un
razzo, i quadri alle pareti ritraevano pianeti, quarti di luna e orbite spaziali sullo sfondo di un cielo notturno del
tutto irreale. Lo Starlite era uno dei tanti motel sorti tra le
dune di sabbia nella zona di Cocoa Beach, in Florida, una
quindicina di chilometri a sud di Cape Canaveral, per accogliere il crescente flusso di turisti. L'arredatore aveva
evidentemente pensato che lo spazio cosmico fosse un tema appropriato, ma Elspeth aveva l'impressione di trovarsi nella camera di un ragazzino di dieci anni.
Sollevò la cornetta e chiamò l'ufficio di Anthony Carrolì
a Washington: non rispose nessuno. Provò il numero di
casa con lo stesso risultato. Che qualcosa fosse andato
storto? Decise di richiamare diii a mezz'ora. Anthony non
poteva metterci di più per andare da casa all'ufficio.
Sotto la doccia ripensò a quando aveva conosciuto Luke
e Anthony. Loro erano a Harvard mentre lei studiava alla
Radcliffe, prima della guerra. I ragazzi erano membri dell'Harvard Glee Club: Luke aveva una bella voce da baritono, Anthony era un magnifico tenore. Elspeth dirigeva
l'orchestra della Radcliffe Chorai Society e aveva organizzato un concerto in collaborazione con il Glee Club.
Luke e Anthony, amici inseparabili, formavano una strana coppia. Erano entrambi alti e atletici, ma le somiglianze
finivano lì. Le ragazze della Radcliffe li chiamavano il Bello
e la Bestia. Luke era il Bello, con i suoi capelli scuri e ondulati e i vestiti eleganti. Anthony non era attraente, con quel
suo grosso naso e il mento allungato, e sembrava sempre
che indossasse gli abiti di qualcun altro, ma alle ragazze
piacevano la sua energia e il suo entusiasmo.
Elspeth si lavò velocemente. Avvolta nell'accappatoio si
sedette alla toletta per truccarsi. Posò l'orologio accanto
all'eyeliner per controllare l'ora.
Era seduta davanti a una toletta e indossava un accappatoio anche la prima volta che aveva parlato con Luke. Era
stato durante un panty raid, un'incursione degli studenti
maschi nei dormitori delle ragazze per razziare indumenti
intimi. Una sera tardi un gruppo di ragazzi di Harvard, alcuni dei quali ubriachi, si era introdotto nel dormitorio
attraverso una finestra del piano terra. Ora, quasi vent'anni dopo, le sembrava incredibile che lei e le altre compagne
si fossero preoccupate solo che venisse loro rubata della
biancheria. Forse allora il mondo era più innocente.
Luke era entrato nella sua stanza per caso. Seguiva il
corso di matematica come lei e, nonostante indossasse
una maschera, Elspeth lo aveva riconosciuto subito dagli
abiti, una giacca di tweed grigio chiaro con un fazzoletto
di cotone a pois rossi nel taschino. Una volta rimasti soli,
Luke era parso imbarazzato, come se in quel momento si
fosse reso conto che stava facendo una cosa stupida. Lei,
con un sorriso, gli aveva indicato un armadio. "Nel primo
cassetto." Lui aveva preso un paio di graziose mutandine
bianche con il pizzo, ed Elspeth aveva provato una fitta di
rimpianto: erano costose. Ma il giorno seguente lui le aveva chiesto un appuntamento.
Cercò di concentrarsi sull'operazione trucco. Quella
mattina il compito era più arduo del solito, perché aveva
dormito male. Il fondotinta uniformò le guance e il rossetto color salmone diede luce alle labbra. Era laureata in
matematica alla Radcliffe, ma ancora si aspettavano che
andasse al lavoro curata come una modella.
Si passò la spazzola tra i capelli ramati, tagliati alla moda: un caschetto corto che le arrivava all'altezza del mento. Si vestì in fretta. Indossò un vestito di cotone a righe
verdi e beige stretto in vita da una cintura di vernice marrone scuro.
Erano passati ventinove minuti da quando aveva cercato di chiamare Anthony.
Per ingannare il tempo pensò al numero 29. Era un numero primo - non poteva essere diviso per nessun altro
numero tranne l'uno - ma a parte questo non era molto
interessante. L'unica cosa insolita era che 29 sommato a 2
per x al quadrato dava come risultato un numero primo
per valori di x da zero a 28. Calcolò mentalmente la sequenza: 29, 31, 37, 47, 61, 79, 101, 127...
Prese il telefono e chiamò di nuovo l'ufficio di Anthony.
Ancora nessuna risposta.
1941
Elspeth Twomey si innamorò di Luke subito dopo il primo bacio.
La maggior parte dei ragazzi di Harvard non sapeva
baciare. O ti maltrattavano le labbra con rozzi sfregamenti, o spalancavano così tanto la bocca che ti sembrava di
essere un dentista. Quando Luke la baciò, a mezzanotte
meno cinque all'ombra del dormitorio della Radcliffe, fu
tenero e appassionato nello stesso tempo. Le sue labbra
continuarono a muoversi, non solo sulla sua bocca, ma
sulle guance, sulle palpebre, sulla gola. Con la punta della
lingua le schiuse gentilmente le labbra, chiedendo educa-
tamente il permesso di entrare, e lei non finse neppure di
esitare. In seguito, seduta davanti allo specchio della sua
stanza, aveva sussurrato alla propria immagine riflessa:
"Credo proprio di amarlo".
Erano passati sei mesi da allora e quel sentimento si era
fatto sempre più forte. Ora vedeva Luke quasi ogni giorno. Frequentavano entrambi l'ultimo anno. Ogni giorno si
incontravano per pranzo, oppure studiavano insieme un
paio d'ore. I fine settimana li passavano quasi sempre insieme.
Non era insolilo per le ragazze della Radcliffe, nel corso
dell'ultimo anno, fidanzarsi con uno sludente di Harvard
o con un giovane professore. Si sposavano in estate, facevano una lunga luna di miele e, al ritorno, si sistemavano
in un appartamento. Cominciavano a lavorare e un annetto dopo nasceva il primo bambino.
Ma Luke non le aveva mai parlato di matrimonio.
Lo osservò mentre sedevano in un séparé in fondo al
bar di Flanagan a discutere con Bern Rothsten, uno spilungone con i baffi neri a cespuglio e un'espressione caparbia1 e la sua fidanzata, Peg. Un ciuffo di capelli scuri
continuava a cadere sulla fronte di Luke e lui lo ricacciava
indietro con la mano sinistra, in un gesto familiare. Quando fosse stato più vecchio e avesse occupato un posto di
responsabilità, li avrebbe tenuti a posto con la brillantina
e non sarebbe stato più così sexy.
Bern era comunista, come molti studenti e professori di
Harvard. «Tuo padre è un banchiere» disse a Luke con disprezzo «e anche tu lo diventerai. È ovvio che per te il capitalismo sia fantastico.»
Elspeth vide Luke avvampare. Di recente "Time" aveva
pubblicato un articolo su suo padre, che figurava tra i dieci
uomini diventati miliardari dopo la Depressione. Elspeth
intuì che era arrossito perché molto affezionato alla sua famiglia e l'implicita critica nei confronti del padre lo offendeva. «Noi non giudichiamo le persone in base ai loro genitori, Bern!» disse, indignata.
«E, comunque, l'attività bancaria è un'occupazione onorevole» ribatté Luke. «I banchieri aiutano le persone ad avviare attività e a creare posti di lavoro.»
«Sì, come nel `29.»
«Fanno degli errori come tutti. A volte aiutano le persone sbagliate. Anche i soldati commettono errori - sparano
alle persone sbagliate - ma non per questo ti accuso di essere un assassino.»
Questa volta fu Bern a offendersi. Aveva combattuto nella guerra civile spagnola - era di tre o quattro anni più vecchio di loro - ed Elspeth immaginò che ricordasse qualche
tragico errore.
«In ogni caso, io non ho intenzione di diventare banchiere» aggiunse Luke.
La ragazza di Bern, Peg, si sporse in avanti incuriosita.
Era un tipo trasandato, dalle convinzioni forti, ma non aveva la lingua tagliente di Bern. «E cosa vuoi fare, allora?»
«Lo scienziato.»
«Che genere di scienziato?»
Luke puntò il dito verso l'alto. «Voglio esplorare ciò che
si trova oltre il nostro pianeta.»
Bern scoppiò in una risata sarcastica. «Razzi spaziali!
Fantasie da adolescenti.»
Elspeth scattò nuovamente in difesa di Luke. «Piantala,
Bern. Non sai neanche di cosa stai parlando.» Bern studiava letteratura francese.
Ma Luke non sembrava essersi offeso. Forse era abituato
al fatto che la gente ridesse dei suoi sogni. «Io credo che accadrà» affermò. «E ti dico anche un'altra cosa. Sono convinto che nel corso della nostra vita la scienza farà per la gente
comune ben più del comunismo.»
Elspeth trasalì. Amava Luke, ma sapeva che riguardo alla politica era un ingenuo. «Troppo semplice» osservò. «I
vantaggi della scienza sono appannaggio di una cerchia ristretta di privilegiati.»
«Non è affatto vero» ribatté Luke. «Le navi a vapore
rendono la vita migliore sia ai marinai che ai passeggeri.»
«Sei mai stato nella sala macchine di un transatlantico?» gli chiese Bern.
«Sì, e nessuno stava morendo di scorbuto.»
Una figura alta si avvicinò al tavolo. «Ehi, ragazzi, siete
abbastanza grandi per bere alcolici in un locale pubblico?» Era Anthony Carrolì. Indossava un completo di serge
blu stazzonato a tal punto che pareva ci avesse dormito.
Era accompagnato da una ragazza così singolare che Elspeth si lasciò sfuggire un involontario mormorio di sorpresa. Era piccola e minuta, vestita alla moda con una
gonna nera dalla linea morbida, un giacchino corto rosso
e un cappellino dello stesso colore con visiera dal quale
uscivano folti riccioli neri. «Vi presento Billie Josephson»
disse Anthony.
«Sei ebrea?» chiese Bern Rothsten.
«Sì» rispose la ragazza, intimidita da una domanda così
diretta.
«Allora puoi sposare Anthony, ma non diventare membro del suo country club.»
«Io non sono membro di alcun country club» protestò
AnthOny.
«Lo sarai, Anthony. lo sarai» disse Bern.
Alzandosi per stringere la mano alla ragazza, Luke urtò
il tavolo con le cosce e rovesciò un bicchiere. Non era da
lui essere così maldestro, ed Elspeth comprese subito con
una punta di fastidio che Miss Josephson aveva conquistato la sua attenzione. «Sono sorpreso» disse, rivolgendo
alla ragazza il più fascinoso dei sorrisi. «Quando Anthony
ha detto che si sarebbe visto con Billie, ho pensato a qualcuno alto un metro e ottanta con il fisico del lottatore.»
Billie scoppiò a ridere e scivolò sulla panchetta accanto
a lui. «Mi chiamo Bilha» disse. «E un nome biblico. Era la
concubina di Giacobbe e madre di Dan. Ma sono cresciuta
a Dallas, dove tutti mi chiamavano Billie-Jo.»
«Non è graziosa?» sussurrò Anthony sedendosi accanto
a Elspeth.
Billie si poteva definire tutto fuorché graziosa, pensò Elspeth. Aveva un volto sottile con un naso affilato e grandi
occhi intensi marrone scuro, ma era l'insieme a risultare
sbalorditivo: il rossetto rosso fuoco, l'inclinazione del cappello, l'accento texano e, più di ogni altra cosa, la sua energia. Mentre parlava con Luke e gli raccontava una storia sui
texani sorrideva, aggrottava la fronte, mimava ogni genere
di emozione. «E veramente affascinante» disse Elspeth a
Anthony. «Non capisco come ho fatto a non notarla prima.»
«Lavora sempre, non la vedi spesso alle feste.»
«Allora come l'hai conosciuta?»
«L'ho incontrata al Fogg Museum. Indossava un cap-
potto verde con bottoni d'ottone e un berretto. Mi è parsa
come un soldatino uscito fresco fresco da una scatola di
giocattoli.»
Billie non era affatto un giocattolo, rifletté Elspeth. Era
pericolosa. Billie rise per qualcosa che Luke aveva detto e
gli diede un colpetto sul braccio in un finto cenno di rimprovero. Il gesto era civettuolo, pensò Elspeth. Irritata, li
interruppe chiedendo a Billie: «Hai intenzione di non rispettare il coprifuoco, questa sera?».
Le ragazze della Radcliffe dovevano far rientro nei dormitori entro le dieci. Potevano chiedere il permesso di
tornare più tardi, ma, in quel caso, dovevano annotare il
proprio nome su un registro, indicare dove avevano interizione di andare e a che ora sarebbero rientrate. Le regole
complesse, però, servivano solo a ispirare ingegnosi stratagemmi. «Ho detto che avrei passato la notte con una zia
che ha preso una suite al Ritz. E la tua storia qual è?»
«Nessuna, solo una finestra del piano terra che resterà
aperta tutta la notte.»
«In realtà dormirò presso alcuni amici di Anthony, a
Fenway» precisò Billie, abbassando la voce.
Anthony assunse un'espressione imbarazzata. «Amici
di mia madre. Hanno un grande appartamento» disse a
Elspeth. «Non mi guardare con quell'aria di disapprovazione! Sono persone più che rispettabili.»
«Lo spero proprio» rispose Elspeth compunta; aveva
avuto la soddisfazione di veder arrossire Billie. «Tesoro, a
che ora inizia il film?» chiese, rivolgendosi a Luke.
Lui guardò l'orologio. «Dobbiamo andare.»
Luke si era fatto prestare una macchina per il fine settimana. Era una decappottabile a due posti, una Ford modello A vecchia di dieci anni, il cui cofano tozzo e i parafanghi sporgenti risultavano antiquati accanto alle linee
aerodinamiche delle auto dei primi anni Quaranta.
Luke guidava la spider con abilità e piacere. Andarono
a Boston. Elspeth si chiese se non fosse stata leggermente
acida con Billie. Forse un pochino, concluse, ma non ne
era affatto dispiaciuta.
Andarono al Loew's State Theatre a vedere l'ultimo
film di Alfred Hitchcock, Il sospetto. Nell'oscurità, Luke la
circondò con un braccio e lei gli posò la testa sulla spalla.
Le parve un vero peccato aver scelto una pellicola che
trattava di un matrimonio disastroso.
Verso mezzanotte tornarono a Cambridge e si fermarono in Memorial Drive, accanto alla rimessa per le barche,
con il muso dell'auto rivolto verso Charles River. Non c'era riscaldamento ed Elspeth tirò su il collo di pelliccia del
cappotto e si strinse contro Luke per trovare calore.
Parlarono del film. Elspeth pensava che nella vita reale
il personaggio di Joan Fontaine, una ragazza repressa proveniente da una famiglia all'antica, non si sarebbe mai
sentita attratta da un buono a nulla come quello interpretato da Cary Grant.
«Ma è proprio per questo che si innamora di lui» disse
Luke «perché è un tipo pericoloso.»
«Secondo te, le persone pericolose sono affascinanti?»
«Certamente.»
Elspeth si scostò da lui e osservò la luna che si rifletteva
sulla superficie dell'acqua in movimento. Billie Josephson
era pericolosa, rifletté.
Luke avverti il suo fastidio e cambiò argomento. «Questo pomeriggio il professor Davies mi ha detto che se volessi potrei fare il master qui a Harvard.»
«Come mai ti ha detto questo?»
«Gli ho accennato che speravo di andare alla Columbia.
E lui mi ha chiesto: "Per quale motivo? Resta qui!". Gli ho
spiegato che la mia famiglia vive a New York e lui ha
esclamato: "Ah, la famiglia!". Come se non potessi diventare un matematico serio perché provo il desiderio di vedere la mia sorellina.»
Luke era il maggiore di quattro figli. Sua madre era
francese. Il padre l'aveva conosciuta a Parigi alla fine della prima guerra mondiale. Elspeth sapeva che Luke era
affezionato ai suoi due fratelli e letteralmente adorava la
sorella di dieci anni. «Il professor Davies è uno scapolone» disse. «Vive solo per il suo lavoro.»
«Hai mai pensato di prendere un master?»
Il cuore di Elspeth mancò un colpo. «Pensi che dovrei?»
Le stava chiedendo di andare alla Columbia con lui?
«Come matematica sei più brava della maggior parte
degli studenti maschi di Harvard.»
«Ho sempre desiderato lavorare al Dipartimento di
Stato.»
«Significa vivere a Washington.»
Elspeth era certa che Luke non avesse programmato
questa conversazione. Stava solo pensando ad alta voce.
Era tipico degli uomini parlare senza aver affatto riflettuto di argomenti che avrebbero profondamente influito
sulla loro vita. Ma Luke sembrava costernato all'idea che
avrebbero potuto trasferirsi in città diverse. La soluzione
a questo dilemma doveva essere ovvia per lui quanto lo
era per lei, pensò.
«Sei mai stata innamorata?» le chiese a bruciapelo. Poi,
rendendosi conto di quanto fosse stato repentino, aggiunse: «E una domanda personale, non ho alcun diritto di
fartela».
«Non c'è problema.» Se lui voleva parlare d'amore, a lei
andava benissimo. «A essere sincera, sì.» Osservò il viso
di lui alla luce della luna e fu felice di scorgervi un'ombra
fugace di turbamento. «Quando avevo diciassette anni, a
Chicago ci fu una vertenza dei lavoratori delle acciaierie.
A quel tempo partecipavo molto alla vita politica. Andai a
dare una mano come volontaria; facevo il caffè, portavo i
volantini. Lavoravo per un giovane sindacalista che si
chiamava Jack Largo, e mi innamorai di lui.»
«E lui di te?»
«Santo Dio, no. Lui aveva venticinque anni, mi considerava una bambina. Era gentile con me, e affascinante. Ma lo
era con chiunque» disse. «Una volta mi diede un bacio»
proseguì, dopo un attimo di esitazione. Si chiese se fosse il
caso di parlare con Luke di questo, ma provava il bisogno
di confidarsi. «Eravamo soli, nel retro, stavamo mettendo i
volantini nelle scatole e io gli raccontai qualcosa che lo fece
ridere. Non ricordo neppure cosa. "Sei davvero una perla,
Ellie" mi disse... Era uno di quelli che abbreviano i nomi a
tutti, tu saresti stato sicuramente Lou. Poi mi diede un bacio, sulle labbra. Io quasi svenni per la gioia, ma lui continuò a imballare volantini come niente fosse.»
«Io credo che lui fosse innamorato dite.»
«Forse.»
«Vi vedete ancora?»
Lei scosse la testa. «È morto.»
«Così giovane!»
«È stato ucciso.» Elspeth ricacciò indietro le lacrime improvvise. L'ultima cosa che voleva era che Luke pensasse
che lei era ancora innamorata del ricordo di Jack. «Due
poliziotti fuori servizio, ingaggiati dai proprietari delle
acciaierie, lo sorpresero in un vicolo e lo pestarono a morte con delle sbarre di ferro.»
«Cristo santo!» esclamò Luke, guardandola.
«Tutti sapevano chi era stato, ma non venne arrestato
nessuno.»
Lui le prese la mano. «Ho letto di queste cose sui giornali, ma non pensavo fossero vere.»
«E invece lo sono. Gli impianti non si possono fermare.
Chiunque si metta in mezzo deve essere eliminato.»
«A sentire te, gli industriali sono allo stesso livello del
crimine organizzato.»
«Io non ci vedo una grande differenza. Adesso, però,
non mi occupo più di questi argomenti. È bastato allora.»
Luke aveva cominciato a parlare d'amore e lei, stupidamente, aveva portato la conversazione sulla politica. Tornò
al discorso iniziale. «E tu? Ti sei mai innamorato?»
«Non ne sono sicuro» rispose, con una certa esitazione.
«Non credo di sapere cosa sia l'amore.» Era una tipica risposta da ragazzo. Ma poi le diede un bacio e lei si rilassò.
Quando si baciavano le piaceva accarezzarlo, sfiorargli le
orecchie e la linea della mascella, toccargli i capelli e la nuca.
Ogni tanto lui si interrompeva per guardarla e la osservava
con un accenno di sorriso; questo la faceva pensare alle parole di Ofelia, nell'Amleto, "Cominciò a scrutarmi il viso co-
me se avesse voluto disegnano". Poi riprendeva a baciarla.
Elspeth era felice al pensiero di piacergli così tanto.
Dopo un po', lui si ritrasse con un gran sospiro. «Mi
chiedo come facciano le persone sposate ad annoiarsi»
disse. «Loro non devono mai smettere di baciarsi.»
A Elspeth questi discorsi sul matrimonio piacevano.
«Suppongo siano i bambini a interromperli» osservò con
una risata.
«Tu vorresti avere dei bambini, un giorno?»
Elspeth sentì il respiro accelerare. Cosa le stava chiedendo? «Certo.»
«Io ne vorrei quattro.»
Come era stato per i suoi genitori. «Maschi o femmine?»
«Due e due.»
Ci fu una pausa. Elspeth aveva paura di parlare. Il silenzio si protrasse. Infine, lui si voltò verso di lei con un'espressione seria. «Cosa ne pensi? Ti piacerebbe avere
quattro figli?»
Era l'imbeccata che lei aspettava. Gli sorrise. «Se fossero i tuoi, mi piacerebbe molto» rispose.
Lui la baciò ancora.
Presto si fece troppo freddo per restare là e, seppur con
riluttanza, dovettero tornare ai dormitori della Radcliffe.
Mentre attraversavano Harvard Square videro una figura che si sbracciava dal ciglio della strada. «È Anthony,
quello?» chiese Luke, incredulo.
Era proprio Anthony. E con lui c'era Billie.
Luke accostò e Anthony si avvicinò al finestrino. «Sono
proprio contento di avervi visto» disse. «Ho bisogno di un
favore.»
Billie era in piedi dietro di lui, tremante per il freddo e
visibilmente arrabbiata.
«Cosa ci fate qui?» chiese Elspeth.
«C'è stato un malinteso. I miei amici di Fenway sono
andati via per il fine settimana... devono aver fatto confusione con le date. Billie non ha un posto dove andare.»
Elspeth ricordò che Billie aveva mentito a proposito di
dove avrebbe passato la notte. Ora non poteva più tornare
al dormitorio senza ammettere l'inganno.
«L'ho portata da noi» proseguì Anthony. Intendeva dire
a Cambridge House, a Harvard, dove lui e Luke alloggiavano. «Ho pensato che poteva dormire nella nostra stanza, mentre Luke e io avremmo passato la notte nella biblioteca.»
«Tu sei pazzo» disse Elspeth.
«Qualcuno l'ha già fatto» si intromise Luke. «Cosa è
successo?»
«Ci hanno visti.»
«Oh, no!» esclamò Elspeth. Quando una ragazza veniva
scoperta nella stanza di un uomo, specialmente di notte,
era una faccenda seria. Entrambi potevano venire espulsi
dall'università.
«Chi vi ha visti?» chiese Luke.
«Geoff Pidgeon e un gruppetto di altri.»
«Be', Geoff non è un problema, ma chi c'era con lui?»
«Non lo so con certezza. Era piuttosto buio ed erano
tutti ubriachi. Parlerò con loro domattina.»
Luke annuì. «Cosa intendi fare, ora?»
«Billie ha un cugino che vive a Newport, nel Rhode
Island» rispose Anthony. «L'accompagneresti fin là?»
«Cosa?» fece Elspeth. «Ma sono almeno ottanta chilometri!»
«E con questo ? Ci vorrà un'ora o due » ribatté Anthony,
come se niente fosse. «Cosa ne dici, Luke?»
«Certo» rispose lui.
Elspeth sapeva che avrebbe accettato. Per lui aiutare un
amico era una questione d'onore, a prescindere dai possibili disagi. Ciononostante, lei si arrabbiò lo stesso.
«Ti ringrazio» disse Anthony.
«Figurati» rispose Luke. «Però c'è un problema: quest'auto ha solo due posti.»
Elspeth aprì la portiera e scese. «Accomodati pure» disse, immusonita. Si vergognava a essere così scortese - Luke
faceva bene ad aiutare un amico nei guai - ma odiava l'i-
dea che lui passasse un paio d'ore a bordo di quella macchina in compagnia della sensuale Billie Josephson.
Luke avverti il suo malumore e disse: «Elspeth, salta su.
Prima porto a casa te».
Lei cercò di rispondere con gentilezza. «Non ce n'è bisogno, Anthony può accompagnarmi a piedi fino al dormitorio. E poi Billie mi sembra morta di freddo.»
«Okay, se lo dici tu.»
Elspeth avrebbe preferito che Luke non avesse accettato
così in fretta.
Billie le diede un bacio sulla guancia. «Non so proprio
come ringraziarti» le disse. Salì in auto e chiuse la portiera
senza neppure salutare Anthony.
Luke fece un cenno con la mano e partì.
Anthony ed Elspeth rimasero a osservare l'auto che
scompariva nell'oscurità.
«Accidenti!» fece Elspeth.
6.30.
Sulla fusoliera del razzo bianco c'è la scritta UE a grosse lettere
nere. Si tratta di un semplice codice c~frato:
H
12
UN
3
T
4
S
5
VI
678
LE
9
X
0
quindi UE è il missile numero 29. Il codice serve per non far
capire quanti missili sono stati costruiti.
La luce del giorno si impossessò lenta e furtiva della
città infreddolita. Uomini e donne uscivano dalle case
stringendo occhi e labbra per difendersi dal vento gelido e
si allontanavano veloci lungo le strade grigie, diretti verso
il calore e la luce brillante dei loro luoghi di lavoro.
Luke non aveva una destinazione precisa: una strada
vale un'altra se nessuna di esse significa qualcosa. Forse,
pensava, svoltato un angolo avrebbe capito, in un lampo
avrebbe riconosciuto un luogo familiare.., la strada dove
era cresciuto o l'edificio in cui aveva lavorato. Ma a ogni
angolo era una delusione.
A mano a mano che la luce del giorno si faceva più forte,
prese a studiare le persone che incrociava. Una di queste
avrebbe potuto essere suo padre, sua sorella, persino suo
figlio. Continuava a sperare che qualcuno gli facesse un
cenno, si fermasse e, abbracciandolo, gli dicesse: "Luke, cosa ti è capitato? Vieni con me, lascia che ti aiuti!". Forse,
però, un parente lo avrebbe guardato con disprezzo, tirando diritto. Magari si era comportato male con la sua famiglia, oppure i suoi vivevano in un'altra città.
Cominciò a pensare che non avrebbe avuto fortuna. Nessuno gli sarebbe andato incontro gettandogli le braccia al
collo, urlando di gioia, e lui non avrebbe mai riconosciuto la
strada in cui viveva. Vagare senza meta fantasticando su un
colpo di fortuna non era una buona strategia. Doveva pur
esserci un modo per scoprire la propria identità.
Si domandò se non potesse essere per caso una delle
tante persone scomparse. Era sicuro che ci fosse un elenco, con la descrizione di ognuna. Chi poteva avere questo
elenco? Forse la polizia.
Gli pareva di ricordare di essere passato davanti a un distretto di polizia qualche minuto prima. Si voltò di scatto
per tornare sui propri passi e, così facendo, andò a sbattere
contro un giovane in impermeabile e berretto di gabardine
color verde oliva. Aveva la sensazione di averlo già visto. I
loro sguardi si incrociarono e, per un istante, Luke si aggrappò alla speranza di poter essere riconosciuto. L'uomo,
però, distolse lo sguardo, imbarazzato, e proseguì.
Ricacciando indietro la delusione, Luke cercò di ripetere il percorso fatto in precedenza, ma era difficile perché
aveva continuato a cambiare direzione a caso. Comunque,
prima o poi, si sarebbe pur imbattuto in una stazione di
polizia.
Mentre procedeva cercò di ricavare qualche informazione su se stesso. Vide un tizio alto con un cappello floscio che si accendeva una sigaretta e tirava una lunga boccata, ma non provò alcun desiderio. Ne dedusse che non
fumava. Guardando le automobili si rendeva conto che i
modelli scattanti e affusolati che attiravano la sua attenzione erano di recente produzione. Decise che gli piacevano le auto veloci, ed era certo di saper guidare. Riconosceva anche la marca e il modello della maggior parte delle
macchine. Erano informazioni che non aveva dimenticato, così come la capacità di parlare inglese.
Guardando la propria immagine riflessa in una vetrina,
vide un barbone di età indefinibile. Ma, osservando i passanti, riusciva a capire se avevano venti, trenta, quarant'anni o più. Scoprì anche che gli veniva automatico classificare
le persone come più giovani o più vecchie di lui. Riflettendoci bene, si rese conto che quelli di vent'anni gli sembravano più giovani e quelli di quaranta più vecchi. Dunque,
doveva avere un'età intermedia.
Queste piccolissime vittorie sulla sua amnesia gli procuravano un'esagerata sensazione di trionfo.
Però si era completamente perso. Si rese conto con disappunto di trovarsi in una via affollata di misere botteghe che
vendevano articoli da quattro soldi - vestiti dozzinali, mobili usati-, agenzie di pegni, negozi di alimentari che accettavano buoni viveri. Si fermò di colpo e si guardò indietro,
riflettendo sul da farsi. Una trentina di metri più in là, vide
l'uomo con l'impermeabile di gabardine verde. Era fermo
davanti a una vetrina e guardava un televisore.
"Che mi stia seguendo?" si chiese Luke, perplesso.
Un pedinatore è sempre solo, di rado porta una valigetta o una borsa della spesa, e sembra sempre bighellonare
piuttosto che procedere in una direzione precisa. L'uomo
rispondeva perfettamente a queste caratteristiche.
Sarebbe stato facile appurarlo.
Luke giunse in fondo all'isolato, attraversò la strada e la
ripercorse in senso contrario. Arrivato all'altro capo dell'isolato si fermò sul bordo del marciapiede, poi guardò a
destra e a sinistra. L'impermeabile verde si trovava a una
trentina di metri dietro di lui. Luke attraversò un'altra volta la strada. Per non suscitare sospetti finse di studiare i
portoni davanti ai quali passava, come se stesse cercando
un numero civico. Arrivò fino in fondo, al punto da cui era
partito.
L'impermeabile lo seguì.
Luke era perplesso, ma il suo cuore palpitava per la spe-
ranza. L'uomo che lo seguiva doveva sicuramente sapere
qualcosa di lui... magari conosceva persino la sua identità.
Per essere del tutto certo di essere seguito doveva salire
a bordo di un mezzo di trasporto e costringere così il pedinatore a fare altrettanto.
Nonostante l'emozione, una voce fredda e razionale nel
fondo della sua mente chiedeva: "Come mai sai esattamente cosa fare per capire se qualcuno ti segue o no?". La
tecnica gli era venuta in mente senza alcuna difficoltà.
Aveva partecipato a qualche attività clandestina prima di
diventare un barbone?
Ci avrebbe pensato più tardi. Ora doveva procurarsi i
soldi per il biglietto dell'autobus. Nelle tasche degli abiti
laceri che indossava non c'era nulla: doveva aver speso fino all'ultimo centesimo per comperarsi da bere. Ma questo non era un problema. Il contante si trovava ovunque:
nelle tasche della gente, nei negozi, sui taxi, nelle case.
Cominciò a guardarsi intorno con occhi diversi. C'era-
no edicole da rapinare, borsette da scippa re, tasche pronte
a essere svuotate. Sbirciò dentro una caffetteria: vide un
uomo dietro il bancone e una cameriera che serviva ai tavoli. Andava bene come qualunque altro posto. Entrò.
I suoi occhi perlustrarono i tavoli alla ricerca di monete
lasciate di mancia, ma non ebbe fortuna. Si avvicinò al
bancone. Una radio trasmetteva il notiziario. "Esperti di
missilistica affermano che l'America ha solo quest'ultima
occasione per mettersi a pari con i russi nella corsa per il
controllo dello spazio cosmico." L'uomo al banco stava
preparando un espresso a una macchina luccicante dalla
quale si levavano nuvole di vapore; alle narici di Luke
giunse una fragranza deliziosa.
Cosa avrebbe detto un barbone? «Hai qualche ciambella avanzata?» chiese.
«Fuori dai piedi» disse l'uomo, brusco. «E non farti più
vedere.»
Luke contemplò l'idea di saltare il bancone e aprire la
cassa, ma gli parve una misura estrema, considerato che
gli servivano solo i soldi per l'autobus. Poi vide ciò che gli
serviva. Accanto al registratore di cassa, a portata di mano, c'era una scatola di metallo con una fessura sul coperchio e un'etichetta con la foto di un bambino e le parole
"Ricordati di chi non ha il dono della vista". Luke si spostò in modo da coprire con il corpo la scatola alla visuale
di clienti e cameriera. Ora doveva solo distrarre l'uomo
dietro il banco.
«Ce l'hai dieci centesimi da darmi?» disse.
«Okay, ora ti do io quello che meriti» ribatté l'uomo.
Posò una tazza con violenza e si pulì le mani sul grembiule. Per uscire doveva chinarsi e passare sotto il banco e per
un attimo lo avrebbe perso di vista.
In quell'attimo Luke afferrò la scatola e se l'infilò sotto
il giaccone. Purtroppo era leggera, ma un lieve tintinnio
gli fece capire che non era vuota.
L'uomo abbrancò Luke per il colletto e lo spinse fuori
dal locale. Luke non oppose resistenza finché, giunti sulla
porta, l'uomo non gli assestò un calcione nel sedere. Dimenticando ogni cautela, Luke si voltò di scatto, pronto a
reagire. Spaventato, l'uomo rientrò di corsa.
Luke si chiese perché mai se la fosse presa in quel modo. Era entrato in un posto a chiedere l'elemosina e non se
n'era andato come gli era stato intimato. Certo, quel calcio
era del tutto gratuito, ma se l'era meritato.., aveva rubato
dei soldi destinati ai bambini!
Ciononostante, dovette fare uno sforzo per mettere a tacere il proprio orgoglio, voltarsi e sgattaiolare via come
un cane con la coda tra le gambe.
Si infilò in un vicolo, trovò una pietra appuntita e sfogò
tutta la sua rabbia sulla scatola di metallo, che cedette in un
attimo. Calcolò che le monete al suo interno ammontassero
a due o tre dollari. Se le mise nella tasca del giaccone e tornò
sulla strada. Ringraziò il cielo che c'era gente caritatevole e
promise di donare tre dollari ai ciechi se mai si fosse rimes50 in carreggiata.
"E va bene" pensò. "Proviamo."
L'uomo con l'impermeabile verde leggeva un giornale,
fermo davanti a un'edicola.
Un autobus si fermò a pochi metri di distanza da Luke.
Non aveva idea di dove portasse, ma salì ugualmente.
L'autista gli lanciò un'occhiata ostile, però non lo cacciò
fuori. «Tre fermate» disse Luke.
«Non ha importanza dove vuoi andare, la tariffa è comunque diciassette centesimi, a meno che tu non abbia
già un biglietto.»
Pagò con parte degli spiccioli che aveva rubato.
Forse si era sbagliato. Andando verso il fondo dell'autobus, guardò nervosamente fuori dal finestrino. L'uomo con
l'impermeabile si stava allontanando con il giornale piegato sotto il braccio. Luke era perplesso. L'uomo avrebbe dovuto tentare di fermare un taxi. Forse, dopotutto, non lo stava pedinando. Si sentì deluso.
L'autobus ripartì e Luke si sedette.
Di nuovo si chiese come mai sapesse quel genere di cose. Forse lo avevano addestrato per un'attività segreta.
Ma perché? Che fosse un poliziotto? Forse c'entrava la
guerra. Sapeva che c'era stata una guerra. L'America aveva combattuto contro i tedeschi in Europa e contro i giapponesi nel Pacifico. Ma non riusciva a ricordare di avervi
preso parte.
Alla terza fermata scese dall'autobus insieme a un
gruppetto di altri passeggeri. Nessun taxi in vista, nessuna traccia dell'uomo con l'impermeabile. Mentre si guardava intorno vide che uno dei passeggeri scesi con lui si
attardava davanti all'ingresso di un negozio, frugandosi
nelle tasche. Mentre Luke lo osservava, l'uomo si accese
una sigaretta e tirò una lunga boccata.
Era un uomo alto con un cappello floscio.
Luke si rese conto di averlo già visto.
7.00.
La rampa di lancio è una semplice lastra d'acciaio con quattro
zampe e un buco al centro attraverso il quale si convogliano i
gas di scarico del missile. Un defi ettore con ico posto al di sotto
della lastra disperde lateralmente il getto dei gas.
Anthony Carrolì percorreva Constitution Avenue a bordo di una Cadillac Eldorado. L'auto, che aveva ormai cinque anni, apparteneva a sua madre; lui l'aveva presa in
prestito un anno prima per tornare a Washington da casa
dei suoi in Virginia, e non aveva mai trovato il tempo per
restituirla. Probabilmente, a quel punto, sua madre se n'era già comperata un'altra.
Si infilò nel parcheggio del Q Building in Alphabet
Row, una fila di edifici che assomigliavano a caserme, costruite in tutta fretta durante la guerra in un parco vicino
al Lincoln Memorial. Erano un pugno nell'occhio, su questo non esistevano dubbi, ma a lui quel posto piaceva perché vi aveva passato la maggior parte della guerra al servizio dell'Oss (Office of Strategic Service), l'organismo
che aveva poi dato origine alla Cia. Quelli sì che erano bei
tempi: un'agenzia clandestina poteva fare praticamente
tutto ciò che voleva senza dover rendere conto a nessuno,
a parte il presidente.
La Cia era l'agenzia in più rapido sviluppo dell'intera
Washington, e ora si stava costruendo una nuova sede, un
progetto da milioni di dollari, dall'altra parte del Potomac, a Langley, in Virginia. Una volta completata questa
sede, Alphabet Row sarebbe stata demolita.
Anthony si era opposto in ogni modo al progetto di
Langley, e non solo per i bei ricordi che il Q Building custodiva per lui. Al momento gli uffici della Cia erano ospitati in trentuno edifici sparsi nel quartiere noto con il nome di Foggy Bottom, occupato in prevalenza da strutture
del governo. Ed era lì che dovevano restare, aveva sostenuto Anthony con convinzione. Era molto difficile per gli
agenti stranieri capire il potere e le dimensioni della Cia
se i suoi uffici erano sparpagliati qua e là in mezzo ad altri
edifici governativi. Quando fosse entrata in funzione la
sede di Langley, chiunque, anche solo passandoci davanti
in macchina, sarebbe stato in grado di quantificarne le risorse, il potenziale umano, persino il budget.
Ma era stato sconfitto. I pezzi grossi erano decisi a reggere la Cia con mano forte. Anthony era persuaso che l'attività clandestina fosse per gente temeraria e senza scrupoli, o almeno così era stato durante la guerra. Ora, però,
il potere era nelle mani di passacarte e contabili.
Nel parcheggio c'era un posto riservato a lui, contrassegnato dalla scritta DIRETI'ORE SERVIZI TECNICI, ma andò a fermarsi proprio davanti all'ingresso principale. Alzando lo
sguardo verso quel brutto edificio si chiese se la sua imminente demolizione rappresentasse anche la fine di un'era.
Ultimamente erano sempre più frequenti le battaglie burocratiche in cui veniva sconfitto. Certo, continuava a essere
una figura molto potente all'interno dell'Agenzia. "Servizi
tecnici" era un eufemismo che stava a indicare la sezione
responsabile di furti con scasso, intercettazioni telefoniche,
esperimenti con sostanze stupefacenti e altre attività illegali. Le avevano affibbiato il soprannome di "Giochi sporchi". La posizione di prestigio ricoperta da Anthony derivava dal suo passato di eroe di guerra e da una serie di
buoni colpi messi a segno durante la guerra fredda. Molti,
però, volevano trasformare la Cia secondo l'immagine che
ne aveva l'opinione pubblica, un'agenzia per la sola raccolta di informazioni strategiche.
"Dovranno prima passare sul mio cadavere" pensava
AnthOny.
Non gli mancavano i nemici - superiori che aveva offeso con i suoi modi strafottenti, agenti incapaci cui aveva
negato un avanzamento, passacarte cui non piaceva l'idea
che il governo fosse coinvolto in operazioni clandestine -`
ognuno pronto a distruggerlo al primo errore.
E quel giorno si stava giocando davvero tutto.
Entrando a passo deciso nell'edificio, mise da parte queste preoccupazioni generiche per concentrarsi su un problema contingente: il dottor Claude Lucas, noto come Luke,
l'uomo più pericoloso d'America, colui che minacciava di
distruggere ciò per cui Anthony aveva lottato.
Aveva passato in ufficio quasi l'intera notte ed era andato a casa solo per radersi e cambiarsi la camicia. L'agente di guardia nell'atrio lo guardò sorpreso. «Buongiorno,
Mr Carrolì... già di ritorno?»
«Un angelo mi è apparso in sogno e mi ha detto: "Torna
a lavorare, brutto lavativo figlio di puttana".»
La guardia scoppiò a ridere. «C'è Mr Maxell nel suo ufficio, signore.»
Anthony rimase sorpreso. Pete Maxell avrebbe dovuto
essere con Luke. Che qualcosa fosse andato storto?
Salì le scale di corsa.
Pete sedeva sulla sedia di fronte alla scrivania; era ancora vestito come un barbone e la voglia rossa sul viso era
in parte coperta da un dito di sporcizia. Quando Anthony
entrò, lui schizzò in piedi, timoroso.
«Cos'è successo?» chiese Anthony.
«Luke ha deciso che voleva restare solo.»
Anthony lo aveva previsto. «Chi ti ha sostituito?»
«Simons, e poi c'è Betts come rimpiazzo.»
Anthony annuì con espressione pensosa. Luke si era
sbarazzato di un agente, poteva sbarazzarsi anche di un
altro. «E la memoria di Luke?»
«Completamente andata.»
Anthony si tolse il cappotto e si sedette dietro la scrivania. Luke stava causando problemi, ma lui l'aveva previsto ed era pronto ad affrontarli.
Guardò l'uomo che aveva di fronte. Pete era un buon
agente, attento e preparato, ma con poca esperienza. Però
gli era fedele fino al fanatismo. Tutti gli agenti più giovani
sapevano che Anthony aveva personalmente organizzato
un omicidio - l'uccisione del comandante delle forze armate della repubblica di Vichy, ammiraglio Darlan, ad Algeri,
la vigilia di Natale del 1942- e provavano per lui un timore
reverenziale. Pete, comunque, aveva nei suoi confronti uno
speciale debito di riconoscenza. Sulla domanda di assunzione aveva mentito affermando di non aver mai avuto
guai con la giustizia; in seguito Anthony aveva scoperto
che era stato multato per aver richiesto i favori di una prostituta quando era ancora studente a San Francisco. Per
questo avrebbe dovuto essere licenziato, ma Anthony aveva tenuto segreta la cosa e Pete gliene sarebbe stato grato
per l'eternità.
Ora, però, era abbattuto e umiliato per essere venuto
meno alle aspettative del suo capo.
«Rilassati» gli disse Anthony con fare paterno. «Raccontami esattamente cosa è successo.»
Con espressione riconoscente Pete tornò a sedersi. «Si è
svegliato che sembrava pazzo» cominciò. «Continuava a
urlare "Chi sono?" e frasi del genere. Sono riuscito a calmarlo... ma ho commesso un errore: l'ho chiamato Luke.»
Anthony aveva detto a Pete di tener d'occhio Luke, ma
di non dargli alcuna informazione. «Non ha importanza,
non è il suo vero nome.»
«Poi mi ha chiesto chi fossi, e io ho risposto Pete. Ero
così preoccupato di farlo smettere di urlare, che mi è sfuggito senza volere.»
Pete si sentiva mortificato per questi errori grossolani,
ma in realtà non erano così gravi e Anthony liquidò le sue
scuse con un gesto della mano. «E DOi?»
«L'ho portato in una cappella metodista, come avevamo programmato. Ma lui ha continuato a fare domande.
Voleva sapere se il pastore l'avesse già visto altre volte.»
AnthonY annuì. «La cosa non dovrebbe sorprenderci.
Durante la guerra era il nostro miglior agente. Ha perso la
memoria, ma non l'istinto.» Si passò una mano sul viso: la
stanchezza cominciava a farsi sentire.
«Ho cercato di impedirgli di continuare a porre domande ma credo che lui se ne sia reso conto. E allora mi ha
detto che voleva restare solo.»
«Ha scoperto qualche indizio? È accaduto qualcosa che
potrebbe condurlo alla verità?»
«No. Ha letto un articolo sul giornale che parlava del
programma spaziale, ma non mi sembra che sia rimasto
colpito in maniera particolare.»
«Qualcuno lo ha notato?»
«Il pastore era sorpreso che Luke riuscisse a fare le parole crociate. La maggior parte dei barboni non sa neppure leggere.»
Come Anthony aveva previsto, la questione si stava
complicando, ma era ancora risolvibile. «Dov'è ora Luke?»
«Non lo so, signore. Steve chiamerà non appena gli sarà
possibile.»
«Quando lo senti va' subito da lui. Qualunque cosa accada, Luke non deve sfuggirci.»
«D'accordo.»
Il telefono bianco sulla scrivania di Anthony si mise a
squillare. Lui lo fissò per qualche secondo. Era la linea diretta: non erano in molti ad avere quel numero.
Poi rispose.
«Sono io» disse la voce di Elspeth. «Cos~è successo?»
«Rilassati» fece lui. «E tutto sotto controllo.»
7.30.
Il missile è alto 20 metri, più di una casa a tre piani. Montato
sulla rampa di lancio pesa 29 tonnellate, di cui la maggior parte
è combustibile. Il satellite vero e proprio misura circa 85 centimetri e pesa poco più di 8 chili.
L"'ombra" seguì Luke per quasi mezzo chilometro in
direzione sud lungo Eighth Street.
Ormai era giorno fatto e, nonostante la strada fosse
piena di gente, Luke non ebbe difficoltà a tener d'occhio il
cappello floscio color grigio che ondeggiava tra le teste
dei passanti raccolti agli angoli delle strade e alle fermate
dell'autobus. Ma dopo aver attraversato Pennsylvania
Avenue lo perse di vista. Per l'ennesima volta si chiese se
non fosse solo uno scherzo della sua immaginazione. Si
era svegliato in un mondo sconcertante in cui tutto era
possibile. Forse l'idea di essere seguito era solo frutto della sua fantasia. Non convinto, un momento dopo riconobbe l'impermeabile verde che usciva da una panetteria.
«Toi, encore» mormorò, sottovoce. Di nuovo tu. Per un
attimo si chiese come mai avesse parlato in francese, ma
poi abbandonò il pensiero. Al momento aveva cose ben
più importanti di cui preoccuparsi. Non c'erano più dubbi: due persone lo stavano pedinando secondo una regia
preparata con cura. Doveva trattarsi di professionisti.
Cercò di immaginare cosa significasse tutto questo.
Cappello Floscio e Impermeabile potevano essere poliziotti: forse lui aveva commesso un crimine, ucciso qualcuno mentre si trovava in stato di ubriachezza. Potevano
essere spie - del Kgb o della Cia -, anche se sembrava
davvero improbabile che un poveraccio come lui potesse
essere coinvolto in attività di spionaggio. Più verosimilmente, era sposato con una donna che aveva lasciato anni
prima e che ora, volendo il divorzio, aveva assunto degli
investigatori privati per ottenere le prove del modo in cui
lui viveva. E magari la donna era francese.
Nessuna di queste era una bella prospettiva, eppure si
sentiva euforico. Probabilmente quei due sapevano chi
era. Qualunque fosse il motivo per cui lo stavano seguendo, dovevano conoscere qualcosa sul suo conto. Nella
peggiore delle ipotesi, ne sapevano sempre più di lui.
Decise che li avrebbe costretti a separarsi, dopo di che
avrebbe affrontato il più giovane.
Entrò in una tabaccheria e acquistò un pacchetto di Palì
Malì, pagandolo con parte degli spiccioli rubati. Quando
uscì, Impermeabile era sparito, sostituito da Cappello Floscio. Arrivò in fondo all'isolato e girò l'angolo.
C'era un camion della Coca-Cola parcheggiato lungo il
marciapiede; l'autista stava scaricando delle casse per consegnarle a un ristorante. Luke scese sulla strada e girò intorno al camion, andando a fermarsi in un punto da cui poteva
osservare la strada senza essere visto da chi girava l'angolo.
Dopo un minuto apparve Cappello Floscio. Camminava a passo svelto, controllando gli androni e le vetrine dei
negozi alla sua ricerca.
Luke si gettò a terra e rotolò sotto il camion. Perlustrando il marciapiede a livello della strada, individuò i pantaloni blu e le scarpe marroni del suo pedinatore.
L'uomo allungò il passo, presumibilmente preoccupato
della scomparsa di Luke. Poi si fermò e fece marcia indietro. Entrò nel ristorante per uscirne subito dopo. Girò intorno al camion, tornò sul marciapiede e proseguì. Dopo
qualche secondo si mise a correre.
Luke era soddisfatto. Non sapeva dove aveva imparato
quei giochetti, ma sembrava cavarsela molto bene. Strisciò fin davanti al camion e si rimise in piedi. Si sporse a
guardare oltre il paraurti sinistro: Cappello Floscio si stava allontanando di corsa.
Luke attraversò la strada e svoltò l'angolo. Si fermò nell'androne di un negozio di elettrodomestici. Fingendo di
osservare un giradischi in vendita a ottanta dollari, aprì il
pacchetto di sigarette, ne estrasse una e attese, tenendo
d'occhio la strada.
Comparve Impermeabile.
Era alto, quasi come lui, e aveva una corporatura atletica, ma era più giovane di almeno dieci anni e sembrava
nervoso. L'istinto gli diceva che quell'uomo non doveva
avere molta esperienza.
Come vide Luke, trasalì. Luke guardò verso di lui. L'uomo distolse gli occhi e continuò a camminare, portandosi
verso il bordo del marciapiede per scartarlo, come avrebbe
fatto chiunque per evitare il contatto con un barbone.
Luke gli sbarrò la strada. Si mise la sigaretta tra le labbra e disse: «Hai da accendere, amico?».
Impermeabile non sapeva cosa fare. Esitò, incerto. Per un
attimo Luke pensò che avrebbe tirato diritto senza rispondere, ma poi prese una rapida decisione e si fermò. «Certo»
disse, cercando di apparire naturale. Infilò una mano nella
tasca dell'impermeabile, tirò fuori una scatola di fiammiferi e ne accese uno.
Luke si tolse la sigaretta dalle labbra e chiese: «Tu sai
chi sono, vero?».
Il giovane aveva un'espressione spaventata. Al corso di
addestramento non lo avevano preparato ad affrontare un
soggetto che si mette a fare domande al proprio pedinatore. Fissò Luke, esterrefatto, finché il cerino non si consumò
del tutto. Allora lo lasciò cadere e disse: «Non so proprio di
cosa parli, amico».
«Tu mi stai seguendo» insistette Luke. «Devi pur sapere
chi sono.»
Impermeabile continuò a fingersi innocente. «Stai cercando di vendere qualcosa?»
«Ti sembro vestito come un commesso viaggiatore? Su,
dimmi la verità.»
«Io non sto seguendo proprio nessuno.»
«Mi stai alle calcagna da un'ora, e io mi sono perso!»
Il giovane sembrò scuotersi. «Tu sei matto» sibilò, e fece
per allontanarsi.
Luke si spostò dilato, bloccandogii il passo.
«Fammi passare» disse Impermeabile.
Luke non era affatto disposto a lasciarlo andare. Lo afferrò per il bavero dell'impermeabile e lo sbatté contro la
vetrina del negozio, facendola vibrare. La rabbia e l'amarezza ebbero il sopravvento. «Putain de merde!» urlò.
impermeabile era più giovane e più in forma di lui, ma
non oppose alcuna resistenza. «Toglimi le mani di dosso»
disse con tono fermo. «Io non ti sto seguendo.»
«Chi sono?» gli urlò Luke. «Dimmelo! Chi sono?»
«E come faccio a saperlo, io?» Afferrò Luke per i polsi
cercando di fargli mollare la presa sul bavero.
Luke agguantò l'uomo per la gola. «Non me le bevo le
tue stronzate» disse con voce aspra. «Ora mi spieghi cosa
sta succedendo.»
Impermeabile perse la sua freddezza e spalancò gli occhi
per la paura. Si divincolò per liberarsi dalla stretta alla gola.
Quando vide che non ci riusciva, cominciò a colpirlo allo
stomaco. Il primo pugno gli fece molto male, ma Luke mantenne la presa e attirò a sé l'avversario, cosicché i colpi seguenti risultarono meno forti. Mentre gli affondava i pollici
nella gola, vide gli occhi del giovane riempirsi di terrore.
«Ehi, cosa sta succedendo?» chiese la voce spaventata
di un passante alle spalle di Luke.
All'improvviso Luke trasalì. Lo stava ammazzando! Allentò la presa, permettendo al suo avversario di liberarsi.
Cosa diavolo gli succedeva? Era un assassino?
Rimase sgomento di fronte alla propria violenza, e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
Impermeabile fece un passo indietro. «Pazzo bastardo!»
esclamò, con gli occhi ancora pieni di paura. «Volevi ammazzarmi!»
«Io voglio solo la verità, e so che tu puoi dirmela.»
Il giovane si massaggiò la gola. «Stronzo» disse. «Tu sei
fuori di testa.»
La rabbia di Luke si riaccese. «Tu menti!» urlò. Allungò
le mani per afferrarlo nuovamente.
Impermeabile si voltò e corse via.
Luke avrebbe potuto rincorrerlo, ma esitò. Che scopo
c'era? Cosa avrebbe fatto se anche l'avesse raggiunto? L'avrebbe torturato?
E poi era troppo tardi. Tre passanti si erano fermati a distanza di sicurezza per capire i motivi di quella lite e lo
stavano fissando. Dopo un attimo Luke si allontanò nella
direzione opposta rispetto a quella in cui erano andati i
due pedinatori.
Si sentiva peggio che mai, scosso per la sua reazione
violenta e scoraggiato per il risultato. Aveva incontrato
due persone che probabilmente sapevano chi era e non
era riuscito a raccogliere alcuna informazione.
"Bel lavoro, Luke" si disse. "Non hai concluso un accidente di niente."
Era di nuovo solo.
8.00.
Il Jupiter C ha quattro stadi. Il più grande è una versione potenziata del missile balistico Redstone. È il cosiddetto booster, il
primo stadio, un motore di enorme potenza che ha l'immane
compito di liberare il missile dal potente abbraccio della gravità
terrest re.
La dottoressa Billie Josephson era in ritardo.
Dopo aver fatto alzare la madre e averla aiutata a infilarsi una vestaglia trapuntata e a mettere l'apparecchio
acustico, l'aveva fatta accomodare in cucina davanti a un
caffè. Dopo era stato il turno di Larry, il figlio di sette anni. Lo aveva svegliato e lodato per non aver bagnato il letto, intimandogli di fare comunque la doccia. Poi era tornata in cucina.
Sua madre, una donna piccola e grassottella di settant'anni che tutti chiamavano Becky-Ma, teneva la radio
a tutto volume. Perry Como stava cantando Catch a Falling
Star. Billie infilò delle fette di pane nel tostapane, poi mise
in tavola il burro e la gelatina d'uva per Becky-Ma. Versò
dei fiocchi di cereali in una tazza per Larry, vi affettò sopra una banana e riempì una caraffa di latte.
Preparò un sandwich con burro di arachidi e gelatina e
lo mise nella cartella di Larry insieme a una mela, una
barretta di cioccolato e un succo d'arancia. Vi aggiunse il
libro di lettura e il guanto da basebalì, regalo del padre.
Alla radio, un giornalista stava intervistando i curiosi
radunatisi sulla spiaggia vicino a Cape Canaverai nella
speranza di assistere al lancio di un missile.
Larry entrò in cucina con le scarpe slacciate e la camicia
abbottonata tutta storta. Billie lo rimise in ordine, gli servì
i cereali e cominciò a preparare le uova strapazzate.
Erano le otto e un quarto e aveva quasi recuperato il ritardo. Voleva molto bene al figlio e alla madre, ma una
parte di lei segretamente mal tollerava il compito ingrato
di doversi prendere cura di loro.
Ora il giornalista stava intervistando un portavoce dell'esercito. "Ci sono rischi per i curiosi? E se il missile uscisse
di rotta e venisse a schiantarsi proprio qui sulla spiaggia?"
"Non esiste questo pericolo" fu la risposta. "Ogni razzo
è dotato di un sistema di autodistruzione. Se uscisse di
rotta verrebbe fatto esplodere in aria."
"Ma come potete farlo saltare dopo che è già decollato?"
"Il sistema è attivato da un segnale radio inviato dal responsabile della sicurezza del poligono."
"Mi sembra una soluzione pericolosa. Qualche radioamatore potrebbe attivarlo accidentalmente giocherellando
con il suo apparecchio."
"Il sistema risponde solo a un tipo di segnale complesso contenente un codice. Questi missili sono molto costosi, e non vogliamo correre rischi."
«Oggi devo costruire un razzo spaziale» disse Larry.
«Posso portare a scuola il vasetto dello yogurt?»
«No, non puoi, è ancora mezzo pieno» rispose lei.
«Ma devo portare qualche contenitore! Miss Page si arrabbierà se non lo faccio.» Era già vicino alle lacrime, con
il repentino sbalzo d'umore tipico dei bambini.
«A cosa ti servono?»
«Per costruire un razzo spaziale! Ce l'ha detto la scorsa
settimana.»
Billie sospirò. «Larry, se tu me l'avessi detto la scorsa
settimana, ti avrei messo da parte un sacco di roba. Quante volte ti ho detto di non aspettare l'ultimo minuto?»
«Cosa devo fare?»
«Troverò qualcosa. Metterò lo yogurt in una ciotola e...
che genere di contenitori ti servono?»
«A forma di razzo.»
Billie si chiese se gli insegnanti riflettessero mai sulla
mole di lavoro che procurano alle madri quando ordinano
allegramente ai bambini di portare delle cose a scuola.
Mise i toast imburrati su tre piatti e servì le uova strapazzate, ma non si sedette. Fece il giro della casa e raccolse un
contenitore cilindrico per il detersivo, una bottiglia di plastica per il sapone liquido, un barattolo del gelato e una
scatola di cioccolatini fatta a cuore.
Sulla maggior parte delle confezioni erano raffigurate
famiglie che usavano quel prodotto, solitamente composte
da una moglie graziosa, due bimbi felici e, sullo sfondo, un
padre che fumava la pipa. Si chiese se le altre donne si sentissero offese quanto lei da tale stereotipo. Non aveva mai
vissuto in una famiglia così. Suo padre, un povero sarto di
Dallas, era morto quando lei era ancora in fasce lasciando
sua madre ad allevare cinque figli nella povertà più nera.
Billie era divorziata da quando Larry aveva due anni. C'erano un sacco di famiglie senza un uomo, famiglie in cui la
madre era vedova, separata oppure quella che un tempo
veniva definita una peccatrice. Ma questo tipo di famiglie
sulle scatole di cereali non ce le mettevano mai.
Infilò tutti i contenitori in un sacchetto della spesa.
«Accidenti! Scommetto che ne ho più di tutti gli altri!»
esclamò Larry. «Grazie, mamma.»
La colazione era ormai fredda, ma lei aveva fatto felice
Larry.
Fuori, si sentì il clacson di un'auto e Billie si affrettò a
controllare il proprio aspetto nella vetrinetta di un mobile
di cucina. Si era data una pettinata veloce ai capelli ricci e
neri e non si era truccata, a parte la sottile riga di eyeliner
che aveva dimenticato di togliere la sera prima. Indossava
un maglione rosa troppo largo... ma l'effetto complessivo
era piuttosto sexy.
La porta sul retro si aprì ed entrò Roy Brodsky. Roy era il
miglior amico di Larry e i due si salutarono con calore, come se non si vedessero da un mese, anziché da poche ore.
Billie aveva notato che ora Larry aveva tutti amici maschi.
All'asilo era stato diverso, i bambini e le bambine giocavano insieme, senza distinzioni. Si chiese quali cambiamenti
psicologici avvenissero nei bimbi intorno ai cinque anni,
da far preferire loro i compagni dello stesso sesso.
Roy era con suo padre, Harold, un bell'uomo con dolci
occhi castani. Harold Brodsky era vedovo - la madre di Rov
era morta in un incidente d'auto - e insegnava chimica alla
George Washington University. Billie e Harold uscivano insieme. Lui la guardò con occhi adoranti e le disse: «Mio Dio,
sei bellissima». Lei sorrise e lo baciò sulla guancia.
Come Larry, anche Roy aveva un sacchetto pieno di
scatole. «Anche tu hai dovuto vuotare tutti i contenitori di
cartone della cucina?»
«Sì. Ho delle coppette piene di sapone per il bucato,
cioccolatini e formaggini. E sei rotoli di carta igienica sen-,
za l'anima di cartone nel mezzo.»
«Accidenti, ai rotoli di carta igienica non ci avevo proprio pensato!»
Lui scoppiò a ridere. «Ti andrebbe di venire a cena da
me, stasera?»
Billie rimase sorpresa. «Hai intenzione di cucinare?»
«Non proprio. Pensavo di chiedere a Mrs Riley di prepararci qualcosa.»
«Certo» rispose Billie. Non aveva mai cenato a casa sua.
Di solito andavano al cinema, ai concerti di musica classica o a cocktail party a casa di altri professori universitari.
Si chiese cosa l'avesse spinto a invitarla da lui.
«Stasera Roy va alla festa di compleanno di un suo cugino e si ferma a dormire là. Potremo chiacchierare senza
essere interrotti di continuo.»
«Va bene» disse Billie pensierosa. Ovviamente potevano parlare senza essere interrotti anche in un ristorante. Il
motivo per cui Harold la stava invitando a casa sua quando il figlio passava la notte fuori era un altro. Lo guardò.
Aveva un'espressione aperta e sincera.., capiva cosa stava
pensando. «Fantastico» aggiunse.
«Passerò a prenderti verso le otto. Andiamo, ragazzi!»
Scortò i bambini fuori dalla porta sul retro. Larry uscì senza salutare, cosa che Billie aveva imparato a interpretare
come segno che tutto andava per il meglio. Quando era
preoccupato o stava covando qualche malattia si attaccava a lei e non la mollava più.
«Harold è un brav'uomo» osservò Becky-Ma. «Dovresti
sposarlo al più presto, prima che cambi idea.»
«Non cambierà idea.»
«Tu bada solo a non farlo partecipare alla partita prima
che abbia messo la posta sul tavolo.»
Billie sorrise. «Non ti sfugge niente, eh, Ma?»
«Sono vecchia, ma non stupida.»
Billie sparecchiò e gettò la sua colazione nella spazzatura. Corse a disfare il suo letto e quelli di Larry e di sua madre, poi infilò le lenzuola in un sacco per la biancheria
sporca. Lo mostrò a Becky-Ma e si raccomandò: «Ricordati, devi solo consegnare questo all'uomo del bucato quando suona. D'accordo?».
«Non ho più pillole per il cuore» disse sua madre.
«Oh, Cristo!» Non imprecava quasi mai in presenza
della madre, ma quel giorno era arrivata al limite della
sopportazione. «Oggi ho una giornata infernale, non ho
tempo di andare dal farmacista!»
«Be', io non posso farci niente se sono finite.»
La cosa di Becky-Ma che più la faceva andare in bestia
era la sua capacità di trasformarsi da genitore perspicace
in bambino lagnoso. «Avresti potuto dirmelo ieri che le
stavi finendo, quando sono andata a fare la spesa! Non
posso andarci tutti i giorni, ho anche un lavoro.» Poi Billie
si placò. «Scusami.»
Becky-Ma era facile al pianto, come Larry. Cinque anni
prima, quando loro tre erano andati ad abitare insieme,
Ma l'aveva molto aiutata, prendendosi cura di Larry. Ora,
però, riusciva a malapena a tenerlo buono due ore quando tornava da scuola. Billie sperava che le cose sarebbero
migliorate, una volta che lei e Harold si fossero sposati.
Squillò il telefono. Diede un colpetto sulla spalla a Ma e
andò a rispondere. Era Bern Rothsten, il suo ex marito.
Billie andava d'accordo con lui, nonostante il divorzio.
Veniva due o tre volte la settimana a trovare Larry e contribuiva senza problemi al suo mantenimento. Billie era
stata molto in collera con lui, ma era successo tanto tempo
prima. «Ciao, Bern... ti sei alzato presto.»
«Sì. Hai notizie di Luke?»
Billie fu colta alla sprovvista. «Luke Lucas? Recenti...
no. C'è qualcosa che non va?»
«Non lo so, forse.»
Bern e Luke erano uniti dalla loro rivalità. Da giovani non
facevano altro che litigare. Nonostante le accese discussioni, però, erano rimasti molto amici per tutto il periodo del
college e della guerra. «Cos'è successo?» domandò Billie.
«Mi ha chiamato lunedì. Sono rimasto sorpreso, perché~
non lo sento spesso.»
«Neppure io.» Billie si sforzò di ricordare. «L'ultima volta che l'ho visto è stato un paio d'anni fa, credo.» Rendendosi conto di quanto tempo era passato, si chiese come mai
avesse lasciato che la loro amicizia si perdesse. Forse tutto
dipendeva dal fatto che era sempre così indaffarata, ma comunque le dispiaceva.
«Mi ha scritto l'estate scorsa» proseguì Bern. «Aveva
letto uno dei miei libri alla nipote.» Bern era l'autore dei
"Gemelli Terribili", una famosa serie per bambini. «Mi
disse che lo aveva trovato molto divertente. Era una bella
lettera.»
«E perché ti ha chiamato, lunedì?»
«Mi ha avvertito che sarebbe venuto a Washington e
che voleva vedermi perché era successo qualcosa.»
«Ti ha detto di che si trattava?»
«No, si è limitato a farmi sapere che si trattava delle
stesse cose che facevamo durante la guerra.»
Billie aggrottò la fronte, perpiessa. Durante la guerra
Luke e Bern avevano fatto parte entrambi dell'Oss, operando dietro le linee nemiche in collaborazione con la Resistenza francese. Ma dopo il 1946 si erano lasciati quel
mondo alle spalle... o no? «Secondo te che intendeva?»
«Non lo so. Ha detto che mi avrebbe chiamato una volta arrivato a Washington. Ha preso alloggio al Cariton
Hotel lunedì sera. Oggi è mercoledì e non ha ancora telefonato. E la scorsa notte non è rientrato in camera.»
«Come hai fatto a scoprirlo?»
Bern fece un'esclamazione impaziente. «Billie, eri nell'Oss anche tu. Cosa avresti fatto?»
«Suppongo che avrei dato un paio di dollari a una cameriera.»
«Brava. E così è stato fuori tutta la notte e non è ancora
tornato.»
«Forse è andato in giro a divertirsi.»
<do non lo credo. E tu?»
Bern aveva ragione. Luke aveva una forte carica sessuale, ma lui cercava l'intensità, non la varietà, Billie lo sapeva bene. «No, non lo credo neanch'io» convenne.
«Chiamami se lo senti, intesi?»
«Certo, sicuro.»
«Ci vediamo.»
«Ciao» disse Billie, e riattaccò.
Poi sedette al tavolo di cucina, dimenticando i lavori di
casa, e si mise a pensare a Luke.
1941
La Route 138 puntava a sud verso il Rhode Jsland serpeggiando attraverso il Massachusetts. Non c'era una nuvola
in cielo e la luce della luna inondava la campagna. La vecchia Ford era senza riscaldamento. Avvolta in cappotto,
sciarpa e guanti, Billie non sentiva più i piedi per il freddo,
ma non le importava. Non era un gran sacrificio passare un
paio d'ore in macchina da sola con Luke Lucas, anche se
era il ragazzo di un'altra. Nella sua esperienza gli uomini
belli erano immancabilmente vuoti e noiosi, ma lui sembrava un'eccezione.
Il viaggio verso Newport stava andando per le lunghe,
ma pareva che Luke se la stesse godendo. Alcuni studenti
di Harvard si sentivano a disagio con le belle ragazze e fumavano una sigaretta dietro l'altra, continuavano a bere
alcolici, a mettersi a posto i capelli e a raddrizzarsi la cravatta. Luke invece era rilassato, guidava senza alcuno
sforzo e chiacchierava. C'era poco traffico e lui si voltava
spesso a guardare verso di lei.
Parlarono della guerra in Europa. Quella mattina, nel
cortile della Radcliffe, studenti di opposti schieramenti
avevano sistemato alcuni banchetti dai quali distribuivano volantini. Gli interventisti chiedevano a gran voce che
l'America entrasse in guerra, gli isolazionisti del comitato
America First sostenevano il contrario con uguale fervore.
Si era radunata una piccola folla di studenti e professori e
la consapevolezza che i ragazzi di Harvard sarebbero stati
tra i primi a morire aveva reso la discussione ancor più
accesa.
«Io ho dei cugini a Parigi» disse Luke. «Vorrei che gli
americani andassero a liberarli. Capisco, però, che è una
motivazione personale.»
«Anch'io ho una motivazione personale, sono ebrea»
affermò Billie. «Ma piuttosto che mandare degli americani
a morire in Europa, aprirei le porte ai rifugiati. Preferisco
salvare delle vite anziché sacrificarne.»
«Anche Anthony la pensa così.»
Billie era ancora furibonda per la serata disastrosa.
«Non puoi immaginare quanto sia arrabbiata con lui.
Avrebbe dovuto assicurarsi che potevamo davvero stare a
casa dei suoi amici.»
Sperava di trovare comprensione in Luke, ma rimase
delusa. «Forse avete peccato entrambi di leggerezza.» Lo
disse con un sorriso cordiale che, tuttavia, non nascondeva una punta di disapprovazione.
Billie si sentì offesa ma, poiché era in debito con lui per
il passaggio in macchina, ricacciò indietro la rispostaccia
che le era affiorata alle labbra. «Tu difendi il tuo amico, ed
è giusto» ribatté pacata «ma io credo che avesse il dovere
di difendere la mia reputazione.»
«Certo, però anche tu ce l'avevi.»
La sua critica la sorprese: fino a quel momento era stato
gentilissimo. «Sembri quasi convinto che sia colpa mia!»
«È stata soprattutto sfortuna» rispose lui «ma Anthony ti
ha messo in una situazione in cui un minimo contrattempo
poteva causarti grossi guai.»
«E vero.»
«E tu glielo hai permesso.»
Billie si scoprì costernata per la disapprovazione di Luke.
Voleva che avesse una buona opinione di lei, anche se pro-
prio non riusciva a capire perché mai gliene importasse così
tanto. «Comunque non lo farò mai più, con nessuno» concluse con veemenza.
«Anthony è un tipo fantastico, intelligente e un po' stravagante.»
«A noi ragazze fa venir voglia di prendersi cura di lui,
pettinargli i capelli, stirargli i vestiti e preparargli il brodo
di pollo.»
Luke scoppiò in una risata. «Posso farti una domanda
personale?»
«Puoi provarcì.»
La guardò negli occhi per un attimo. «Sei innamorata
di lui?»
Era una domanda inaspettata, ma le piacevano gli uomini che riuscivano a sorprenderla, e così rispose con sincerità. «No. Gli voglio bene, mi piace la stia compagnia,
però non lo amo.» Pensò alla ragazza di Luke. Elspeth era
la più bella del campus, una giovane alta con lunghi capelli color rame e il volto pallido e risoluto di una regina
nordica. «E tu? Sei innamorato di Elspeth?»
Luke tornò a guardare la strada. «Non credo di sapere
cosa sia l'amore.»
«Risposta evasiva.»
«Hai ragione.» Le lanciò un'occhiata esitante, poi decise
che poteva fidarsi di lei. «Be', a essere sinceri, questa è la
cosa più vicina all'amore che abbia mai provato, ma non
so ancora se si tratta di amore vero.»
Billie provò un senso di colpa. «Chissà cosa direbbero
Anthony ed Elspeth della nostra conversazione» osservo.
Luke diede un colpetto di tosse, imbarazzato, e cambiò
argomento. «E una vera disdetta che abbiate incontrato
quei tizi al dormitorio.»
«Spero che Anthony non venga scoperto. Potrebbe essere espulso.»
«Non solo lui, anche tu potresti trovarti nei guai.»
Billie aveva cercato di non pensarci. «Non credo che
nessuno di loro mi conosca. Ho sentito che uno diceva
"sgualdrina".»
Lui le lanciò un'occhiata sorpresa.
Billie capì che Elspeth non avrebbe usato mai quella parola e si pentì di averla pronunciata. «Suppongo di essermelo meritato» aggiunse. «Ero in un dormitorio maschile
a mezzanotte.»
«Per me non esistono scusanti alla maleducazione.»
Era un rimprovero rivolto tanto a lei quanto allo studente
che l'aveva, insultata, pensò Billie con disappunto. Luke
aveva la lingua tagliente. Le stava dando sui nervi, ma questo lo rendeva ancor p~ù interessante. Decise di reagire. «E
tu? Tu che sei così critico nei confronti di Anthony e me, non
hai messo Elspeth in una situazione di vulnerabilità questa
sera, portandola in giro in macchina fino alle ore piccole?»
Con sua grande sorpresa, Luke scoppiò a ridere. «Hai
ragione. Sono un idiota e un presuntuoso» convenne.
«Tutti corriamo dei rischi.»
«Gran verità.» Billie rabbrividì. «Non so proprio cosa
farei se mi cacciassero.»
«Ti trasferiresti in un'altra scuola, suppongo.»
Lei scosse il capo. «Sono qui con una borsa di studio.
Mio padre è morto, mia madre è sola e senza un soldo. E
se venissi espulsa per condotta immorale, avrei pochissi-
me possibilità di ottenere un'altra borsa di studio. Perché
hai quell'espressione sorpresa?»
«A essere sinceri, devo dire che non ti vesti come una
che vive con una borsa di studio.»
Billie era lusingata che lui avesse notato i suoi vestiti.
«È la Leavenworth Award» spiegò.
«Accidenti.» La Leavenworth era una borsa di studio
notoriamente generosa, e migliaia di studenti meritevoli
facevano domanda per ottenerla. «Devi essere un genio.»
«Questo non lo so» rispose lei, gratificata dal tono rispettoso che aveva colto nella sua voce. «Non sono neppure abbastanza furba da assicurarmi di avere un posto
dove passare la notte.»
«D'altro canto» osservò Luke «essere cacciati dall'università non è la cosa peggiore che possa capitare nella vita. Ci sono persone intelligentissime che lasciano la scuola
e poi diventano milionarie.»
«Per me sarebbe la fine. Io non voglio diventare milionana, ma aiutare le persone malate a stare meglio.»
«Vuoi diventare medico?»
«Psicologo. Voglio capire come funziona la mente.»
«Perché?»
«É così misteriosa e complicata. La logica, il modo in cui
pensiamo, la possibilità di immaginare cose che non abbiamo davanti agli occhi.., gli animali non ce l'hanno. La capacità di ricordare.., i pesci non hanno memoria, lo sapevi?»
Luke annuì. «E come mai quasi chiunque è in grado di
riconoscere un'ottava?» disse. «Due note, di cui una ha
frequenza doppia rispetto all'altra: come mai il tuo cervello lo capisce?»
«Anche tu lo trovi interessante?» Era felice che lui condividesse la sua curiosità.
«Di cosa è morto tuo padre?»
Billie degluti a fatica, sopraffatta da un dolore improvviso, lottando contro le lacrime. Era sempre così: bastava
una parola detta a caso, e dal nulla si risvegliava un dolore così acuto che quasi le impediva di parlare.
«Mi dispiace» si scusò Luke. «Non avevo intenzione di
turbarti.»
«Non è colpa tua» sussurrò lei, con un respiro profondo. «Perse la ragione. Una domenica mattina andò a fare
il bagno nel Trinity River. Il fatto è che lui odiava l'acqua e
non sapeva nuotare. Io sono convinta che abbia cercato la
morte. Ne era convinto anche il coroner, ma la giuria ebbe
pietà di noi e decretò che si era trattato di un incidente,
così fummo in grado di riscuotere il premio dell'assicurazione sulla vita. Cento dollari... ci abbiamo vissuto per un
anno.» Fece un altro respiro profondo. «Cambiamo argomento. Raccontami della tua matematica.»
«Dunque...» Luke rifletté un momento «la matematica è
bizzarra quanto la psicologia. Prendi il ir. Perché il rapporto
tra la circonferenza e il diametro deve essere proprio 3,14?
Perché non 6,02,5? Chi lo ha deciso? E perché?»
«Tu vuoi esplorare lo spazio.»
«Credo che sia l'avventura più eccitante che si sia mai
presentata per l'umanità.»
«E io voglio esplorare la mente» aggiunse lei, sorridendo. Il dolore si stava sopendo. «Sai, noi due abbiamo qualcosa in comune... abbiamo entrambi grandi idee.»
Lui rise e frenò di colpo. «EN, siamo vicini a un incrocio.»
Billie accese la torcia elettrica e guardò la cartma che teneva posata sulle ginocchia. «Gira a destra.»
Si stavano avvicinando a Newport. Il tempo era passato
in fretta. A Billie dispiaceva che il viaggio stesse per finire.
«Non ho idea di cosa dirò a mio cugino.»
«Che tipo è?»
«È un po' strano.»
«Strano? In che senso?»
«Nel senso che è omosessuale.»
Lui le lanciò un'occhiata sorpresa. «Capisco.»
Billie non sopportava gli uomini convinti che le donne
dovessero girare intorno all'argomento sesso. «Ti ho scioccato un'altra volta, vero?»
Lui sorrise. «Come diresti tu... gran verità.»
Billie rise. Era un'espressione tipicamente texana. Le faceva piacere che lui avesse notato tutte queste cose di lei.
«C'è un bivio» disse Luke.
Billie consultò di nuovo la cartina. «Devi fermarti perché non riesco a trovarlo.»
Luke fermò l'auto e si sporse verso Billie per studiare la
cartina alla luce della torcia. Allungò una mano per girarla verso di sé e le loro dita si sfiorarono. «Forse siamo qui»
azzardò indicando un punto.
Invece di guardare la cartina, lei si scopri a fissare il volto di Luke. Era avvolto nell'ombra, illuminato solo dalla
luna e dalla luce indiretta della torcia. Un ciuffo di capelli
gli ricadeva sull'occhio sinistro. Dopo un attimo lui si accorse che lei lo guardava e alzò gli occhi. Senza riflettere,
Billie sollevò la mano e gli accarezzò la guancia con la
parte esterna del mignolo. Lui ricambiò lo sguardo e nei
suoi occhi lei lesse smarrimento e desiderio.
«Da che parte andiamo?» mormorò lei.
Lui si ritrasse bruscamente e innestò la marcia. «Prendiamo...» si schiarì la voce «prendiamo la strada a sinistra.»
Billie si chiese cosa diavolo stesse facendo. Luke aveva
passato la serata a pomiciare con la ragazza più bella del
campus e lei era uscita con il suo compagno di stanza.
Che accidenti aveva nella testa?
I suoi sentimenti per Anthony non erano mai stati forti,
neppure prima di quella disastrosa serata. Però usciva
con lui e quindi non avrebbe dovuto flirtare con il suo migliore amico.
«Perché lo hai fatto?» chiese Luke, arrabbiato.
«Non lo so» rispose lei. «Non l'ho fatto apposta, è successo. Rallenta.»
Lui imboccò una curva troppo veloce. «Non voglio provare questo per te!» urlò lui.
Billie rimase senza fiato. «Questo cosa?»
«Lascia perdere.»
All'improvviso si sentì l'odore del mare e Billie capì che
erano vicini alla casa di suo cugino. Riconobbe la strada. «La
prossima traversa a sinistra. Se non rallenti, la perderai.»
Luke pestò sul freno e imboccò la stradina sterrata.
Una parte di Billie desiderava solo arrivare a destinazione, scendere dall'auto e lasciarsi alle spalle quell'insopportabile tensione. L'altra avrebbe voluto viaggiare all'infinito insieme a Luke.
«Siamo arrivati» disse.
Si fermarono davanti a una semplice ma gradevole costruzione di legno con grosse gronde e un lampione accanto alla porta d'ingresso. I fari della Ford illuminarono un
gatto seduto immobile sul davanzale di una finestra, che li
guardava impassibile e sprezzante del tumulto delle emozioni umane.
«Vieni dentro» lo invitò Billie. «Denny ti farà un po' di
caffè per tenerti sveglio durante il viaggio di ritorno.»
«No, grazie» rispose lui. «Aspetterò qui finché non sei
entrata.»
«Sei stato molto gentile con me. Non credo di meritarlo» disse, e gli porse la mano.
«Amici?» chiese lui, stringendola.
Billie si portò la mano di lui alle labbra, la baciò e la premette contro la guancia, chiudendo gli occhi. Dopo un attimo udì un gemito sommesso. Aprì gli occhi e vide che
lui la fissava. La mano di lui la prese dietro la nuca e l'attirò a sé. Si baciarono. Fu un bacio delicato, uno sfiorarsi
di labbra, le dita di lui leggere sui capelli. Se l'avesse afferrata, lei non gli avrebbe resistito, lo sapeva. Il pensiero la
fece ardere di desiderio.
Udì la voce di Denny. «Chi c'è là fuori?»
Si staccò da Luke e si voltò. Vide le luci accese e Denny
sulla soglia, avvolto in una vestaglia di seta color porpora.
Tornò a voltarsi verso Luke. «Potrei innamorarmi dite
nel giro di venti minuti» gli disse «ma non credo che riusciremmo mai a essere amici.»
Rimase a fissarlo ancora un momento e nei suoi occhi vide lo stesso conflitto di sentimenti che provava lei in fondo
al cuore. Distolse lo sguardo, fece un sospiro profondo e
scese dall'auto.
«Billie?» fece Denny. «Cosa diavolo ci fai qui?»
Lei attraversò il giardino, sali i pochi gradini del portico
e gli si gettò tra le braccia. «Oh, Denny!» mormorò. «Amo
quell'uomo e lui appartiene a un'altra!»
Denny le diede un colpetto affettuoso sulla schiena. «Sapessi come ti capisco, tesoro!»
Billie sentì l'auto muoversi e si voltò per salutare. Mentre la macchina le passava davanti, le parve di veder luccicare qualcosa sulle guance di Luke.
Poi l'auto scomparve nell'oscurità.
8.30.
Sulla punta del missile Redstone è attaccata una struttura che
assomiglia a una grossa voliera con un ripido tetto a punta e un
palo infisso sulla sommità. Questa sezione, lunga circa 4 metri,
contiene il secondo, il terzo e il quarto stadio del missile, nonché
il satellite vero e proprio.
In America gli agenti segreti non erano mai stati tanto
potenti come nel gennaio del 1958.
Il direttore della Cia, Allen Dulles, era fratello di John
Foster Dulles, il segretario di Stato di Eisenhower, quindi
l'Agenzia godeva di un filo diretto con l'amministrazione.
Ma questo era solo uno dei motivi.
Dulles aveva alle sue dipendenze quattro vicedirettori,
di cui solo uno era importante, il vicedirettore per la pianificazione. La Direzione pianificazione, nota anche con la
sigla CS (Clandestine Services), era la sezione che aveva
organizzato i colpi di Stato contro i governi di sinistra in
Iran e in Guatemala.
L'amministrazione Eisenhower era rimasta sorpresa e
al tempo stesso molto soddisfatta di queste imprese incruente e poco onerose, specialmente se confrontate con i
costi di una vera guerra, tipo quella in Corea. Di conseguenza i membri del CS godevano di enorme prestigio nei
circoli governativi, ma non tra l'opinione pubblica, cui la
stampa aveva fatto credere che le rivolte fossero opera di
forze anticomuniste locali.
Alla Direzione pianificazione appartenevano i Servizi
tecnici, con a capo Anthony Carrolì. Era stato assunto alla
Cia nel 1947, anno della sua fondazione. Aveva sempre
avuto intenzione di lavorare a Washington - si era laureato in scienze politiche - e durante la guerra era stato un
uomo di punta dell'Oss. A Berlino, dove era di stanza negli anni Cinquanta, aveva diretto la realizzazione di un
tunnel che andava dal settore americano fino a una conduttura telefonica nella zona sovietica e che aveva reso
possibile l'intercettazione delle comunicazioni del Kgb. Il
tunnel era stato scoperto sei mesi dopo, ma in quell'arco
di tempo la Cia aveva raccolto una montagna di informazioni preziose. Questa era stata l'azione di spionaggio più
importante di tutta la guerra fredda e Anthony si era così
guadagnato una posizione al vertice dell'Agenzia.
Il fatto che alla Cia fosse proibito, per legge, operare all'interno degli Stati Uniti era solo un trascurabile dettaglio.
In teoria, i Servizi tecnici erano una divisione incaricata
dell'addestramento. C'era una grossa tenuta in Virginia
dove le reclute imparavano a introdursi nelle abitazioni e
piazzare microfoni nascosti, a usare codici segreti e inchiostro invisibile, a ricattare diplomatici e a tenere in pugno gli informatori. Ma l"'addestramento" serviva anche
da copertura per azioni segrete all'interno degli Stati Uniti. Praticamente tutto quello che Anthony decideva di fare, dal mettere sotto controllo i telefoni dei dirigenti sindacali allo sperimentare l'effetto di alcuni farmaci sui
detenuti, poteva passare per attività di addestramento.
Proprio come la sorveglianza di Luke.
Nell'ufficio di Anthony si trovavano radunati sei agenti. Era una stanza grande e spoglia, arredata con pochi
mobili essenziali risalenti al periodo della guerra: una piccola scrivania, uno schedario di metallo, un tavolo su cavalletti e un certo numero di sedie pieghevoli. Sicuramente i nuovi uffici di Langley sarebbero stati pieni di divani
imbottiti e pannellature di mogano, ma Anthony preferiva di gran lunga la sobrietà.
Mentre Anthony aggiornava gli agenti sugli sviluppi,
Pete Maxell distribuì una foto d'archivio di Luke e un foglio con la descrizione degli abiti che indossava. «Oggi il
nostro obiettivo è un funzionario di medio rango del Dipartimento di Stato che però ha accesso a informazioni
molto riservate» disse. «Recentemente ha avuto una specie
di esaurimento nervoso. Lunedì è arrivato da Parigi, ha
passato la notte al Carlton e martedì si è dato ai bagordi. È
stato fuori tutta la notte, e questa mattina si è presentato in
un centro di aiuto per i senzatetto. Il rischio per la sicurezza del paese è evidente.»
Uno degli agenti, "Red" Rifenberg, alzò una mano. «Domanda.»
«Di' pure.»
«Perché non lo fermiamo e gli chiediamo cosa diavolo
sta facendo?»
«Be', prima o poi lo faremo.»
La porta dell'ufficio si aprì ed entrò un uomo calvo e
grassoccio. Era Carì Hobart, capo della divisione Servizi
speciali che, oltre ai Servizi tecnici, comprendeva le sezioni Archivi e Crittografia. In teoria, era l'immediato superiore di Anthony.
Anthony imprecò dentro di sé e pregò che Hobart non
interferisse con la sua attività, quel giorno più che mai.
Poi proseguì con l'aggiornamento.
«Prima di scoprirci, dobbiamo vedere cosa fa il soggetto, dove va, se contatta qualcuno e chi. Potrebbe semplicemente avere delle difficoltà coniugali, ma potrebbe anche
essere che stia passando informazioni al nemico, per motivi ideologici o perché vittima di un ricatto, e magari la
tensione è diventata per lui insopportabile. Se è coinvolto
in un tradimento, prima di prelevarlo dobbiamo raccogliere tutte le informazioni possibili.»
«Cosa state facendo?» chiese Hobart, interrompendolo.
Anthony si voltò lentamente verso di lui. «Una piccola
esercitazione. Stiamo conducendo un'attività di sorveglianza su un diplomatico sospetto.»
«Passala all'Ebi» disse Hobart secco.
Durante la guerra Hobart aveva lavorato nei servizi segreti della marina. Per lui lo spionaggio consisteva semplicemente nello scoprire dove si trovava il nemico e cosa stava facendo. Non gli piacevano i veterani dell'Oss, né i loro
giochetti sporchi. Avevano imparato il mestiere durante la
guerra e nutrivano poco rispetto per budget e protocollo.
La loro disinvoltura faceva infuriare i burocrati, e Anthony
era l'archetipo dell'avventuriero: un arrogante senza scrupoli che poteva permettersi anche di uccidere solo perché
sapeva farlo.
«Perché?» chiese Anthony rivolgendogli uno sguardo
gelido.
«È compito dell'Ebi, e non nostro, catturare le spie comuniste in America, e tu lo sai perfettamente.»
«Dobbiamo seguire le tracce fino al vertice. Un caso come questo potrebbe fornirci un'enorme quantità di informazioni, se lo gestiamo bene. I federali, invece, cercano solo di farsi pubblicità sbattendo i rossi sulla sedia elettrica.»
«È la legge!»
«Ma tu e io sappiamo benissimo che è una stronzata!»
«Non fa differenza»
L'unica cosa che univa i gruppi di potere rivali all'interno
della Cia era l'odio per l'Fbi e per il suo megalomane direttore, I. Edgar Hoover, e così Anthony aggiunse: «Quand'è
stata l'ultima volta che l'Ebi ci ha passato qualcosa?».
«Mai» rispose Hobart. «E, comunque, ho un altro incarico per te, oggi.»
Anthony cominciava ad arrabbiarsi. Perché quello stronzo non la smetteva? E poi non era compito suo assegnare gli
incarichi. «Di cosa stai parlando?»
«La Casa Bianca ha richiesto un rapporto inerente a un
gruppo di ribelli a Cuba. Ci sarà un incontro al vertice
questa mattina sul tardi, e ho bisogno dite e di tutti i tuoi
uomini migliori per un ragguaglio.»
«Mi stai chiedendo informazioni su Fidei Castro?»
«Certo che no. So tutto su Castro. Quello che mi serve
sono suggerimenti pratici per arginare l'insurrezione.»
Anthony provava un forte disprezzo per gli ipocriti.
«Perché non dici apertamente quello che hai in mente?
Vuoi sapere come fare a eliminarli.»
«Può essere.»
Anthony scoppiò in una risata sarcastica. «Be', cos'altro
potremmo fare... organizzargli dei corsi di catechismo?»
«Sta alla Casa Bianca decidere. Il nostro compito è illustrare tutte le opzioni, e tu puoi darmi dei suggerimenti.»
Anthony continuò a fingersi indifferente, ma dentro di sé
era preoccupato. Quel giorno non aveva tempo per le distrazioni e gli servivano tutti gli agenti migliori per tenere
d'occhio Luke. «Vedrò cosa posso fare» disse, sperando che
Hobart si accontentasse di una promessa vaga.
Non fu così. «Nella mia sala riunioni, con tutti i tuoi
agenti più esperti, alle dieci. E non voglio scuse.» Detto
questo, si voltò.
Anthony prese una decisione. «No» disse.
Hobart si voltò sulla soglia. «Non è un suggerimento. E
un ordine.»
«Stammi bene a sentire» fece Anthony.
Seppur con riluttanza, Hobart fu costretto ad ascoltare.
«Vaffanculo» scandì lentamente Anthony.
Uno degli agenti ridacchiò.
La zucca pelata di Hobart si fece tutta rossa. «Ne riparleremo» disse. «A lungo.» Poi uscì, sbattendo la porta.
Gli uomini scoppiarono a ridere.
«Rimettiamoci al lavoro» riprese Anthony. «In questo
momento Simons e Betts si trovano sulle piste del soggetto,
ma tra poco bisognerà dar loro il cambio. Voglio che siano
Red Rifenberg e Ackie Horwitz a sostituirli nella sorveglianza. Faremo quattro turni di sei ore ciascuno, con una
squadra di rimpiazzo sempre pronta. Per ora è tutto.»
Tutti gli agenti uscirono, tranne Pete Maxell. Si era rasato
e indossava il solito completo con cravatta stretta stile Madison Avenue. Ora i denti guasti e la voglia rossa sulla
guancia erano più evidenti, come una finestra rotta su una
facciata dipinta di fresco. Era timido e poco socievole, forse
per via del suo aspetto fisico, ma molto leale verso gli amici. «Non ha corso un grosso rischio con Hobart?» chiese a
Anthony con espressione preoccupata.
«E uno stronzo.»
«Sì, ma è anche il suo capo.»
«Non posso permettergli di mandare a monte un'operazione di sorveglianza importante come questa.»
«Ma gli ha mentito. Non ci metterà molto a scoprire che
Luke non è un diplomatico.»
Anthony si strinse nelle spalle. «Allora gli racconterò
un'altra storia.»
Pete era perplesso, ma assentì e andò verso la porta.
«Però hai ragione» convenne Anthony. «Mi sono esposto troppo. Se qualcosa va storto, Hobart non si lascerà
sfu~gire l'occasione per farmi fuori.»
«E quello che pensavo.»
«Allora sarà meglio fare in modo che niente vada storto.»
Pete uscì. Anthony rimase a fissare il telefono, cercando
di calmarsi. Le politiche interne lo mandavano in bestia,
ma l'Agenzia era piena di gente come Hobart. Cinque minuti dopo il telefono squillò e lui rispose. «Carrolì.»
«Hai di nuovo fatto arrabbiare Carì Hobart.» Era la voce asmatica di un uomo che aveva passato la maggior parte della vita a bere e a fumare senza moderazione.
«Buongiorno, George» disse Anthony. George Cooperman, suo vecchio commilitone dei tempi della guerra, era
il vicedirettore delle Operazioni e diretto superiore di Hobart. «Hobart deve lasciarmi in pace.»
«Vieni qui, arrogante testa di cazzo» ordinò George con
tono affabile.
«Arrivo subito.» Anthony riattaccò. Aprì il cassetto della
scrivania e prese una busta che conteneva un fascicolo di
cianografie. Poi indossò il cappotto e si avviò verso l'ufficio
di Cooperman che si trovava lì accanto, nel P Building.
Cooperman era un uomo alto e magro sui cinquant'anni, con il volto prematuramente coperto di rughe. Aveva
davanti una gigantesca tazza di caffè e una sigaretta tra le
labbra. Stava leggendo la "Pravda", il quotidiano di Mosca. Era laureato in letteratura russa a Princeton.
Gettò il giornale sulla scrivania. «Perché non riesci a essere gentile con quel grasso coglione?» ringhiò. Parlava
senza togliere la sigaretta dalla bocca. «So che è difficile,
ma potresti farlo per me.»
Anthony si sedette. «È colpa sua. A quest'ora avrebbe
dovuto capire che lo insulto solo se è lui a rivolgermi la
parola per primo.»
«Qual è la tua giustificazione, stavolta?»
Anthony gettò la busta sulla scrivania. Cooperman la
prese e guardò le cianografie. «Piani di costruzione» disse. «Di un missile, parrebbe. E allora?»
«Sono materiale top secret. Li ho presi a un soggetto
che stiamo pedinando. È una spia, George.»
«E hai preferito non dirlo a Hobart.»
«Voglio pedinare questo tizio finché non tradisce l'intera
rete... e poi approfittarne per un'azione di disinformazione.
Hobart non farebbe altro che passare il caso all'Fbi, che sbatterebbe dentro il tizio, e la sua rete svanirebbe nel nulla.»
«Accidenti, hai ragione. Però ho bisogno che partecipi a
questa riunione. La presiederò io. Puoi lasciare comunque
che la tua squadra continui il pedinamento. Se succede
qualcosa possono chiamarti.»
«Grazie, George.»
«Ah, senti: questa mattina hai mandato a fare in culo
Hobart davanti a tutti i tuoi agenti, giusto?»
«Suppongo di sì.»
«La prossima volta vedi di farlo con maggior discrezione, d'accordo?» Cooperman riprese in mano la "Pravda".
Anthony si alzò per uscire e prese i disegni. «E accertati di
condurre bene questa sorveglianza» aggiunse. «Se combini qualche altro casino, oltre a insultare il tuo capo, potrei
non essere più in grado di proteggerti.»
Anthofly uscì. Ma non tornò subito nel suo ufficio. La fila
di edifici condannati alla demolizione che ospitava questa
parte della Cia occupava una striscia di terreno compresa
tra Constitution Avenue e il viale con la Reflecting Pool. Gli
ingressi per i veicoli erano sul lato verso la strada, ma
Anthony uscì da un cancelletto sul retro che dava sul parco.
Passeggiò lungo il viale fiancheggiato da olmi, respirando l'aria fredda e pulita. Gli alberi secolari e l'acqua immobile riuscirono a calmarlo un po'. Quella mattina c'erano
stati momenti di difficoltà, ma lui aveva tenuto duro, ricorrendo a una serie di bugie, ognuna diversa per ogni parte
in causa.
Arrivò in fondo al viale e si fermò a metà strada tra il
Lincoln Memorial e il Washington Monument. "È tutta
colpa vostra" pensò, rivolto ai due presidenti. "Avete fat-
to credere agli uomini che potevano essere liberi. Io mi sto
battendo per i vostri ideali. Non sono neppure più sicuro
di credere negli ideali, ma suppongo di essere troppo cocciuto per smettere. Vi siete mai sentiti così anche voi?"
I presidenti non risposero e, dopo un po', lui fece ritorno al Q Building.
In ufficio trovò Pete e la squadra che stava seguendo
Luke: Simons, con un cappotto blu scuro, e Betts che portava un impermeabile verde. Con loro c'era anche la squadra
che avrebbe dovuto rilevarli: Rifenberg e Horwitz. «Cosa
diavolo succede?» chiese Anthony, improvvisamente allarmato. «Chi c'è con Luke?»
Simons stringeva un cappello floscio tra le mani tremanti. «Nessuno» rispose.
«Cos'è successo?» urlò Anthony. «Cosa cazzo è successo, brutti stronzi?»
Fu Pete a rispondere, dopo un attimo. «Lo abbiamo...»
deglutì a fatica «lo abbiamo perso.»
9.00.
Il Jupiter C è stato costruito dalla Chrysler Corporation per l'esercito. Il grosso motore a razzo che spinge il primo stadio è prodotto dalla North American Aviation, Inc. Il secondo, terzo e
quarto stadio sono stati progettati e collaudati dal Jet Propulsion
Laboratory a Pasadena.
Luke era furibondo con se stesso. Aveva gestito male la
faccenda~ trovate due persone che probabilmente conoscevano la sua identità, se l'era fatte scappare.
Era tornato nel quartiere popolare dalle parti della cappella metodista in H Street. La luce del freddo rnattinò invernale si era fatta più forte e le strade sembravano ancor
piÙ sudicie, le case più vecchie, la gente più trasandata.
Vide due barboni che si passavano una bottiglia di birra
nell'androne di un negozio sfitto. Con un brivido, allungò
il passo.
Ma poi si rese conto cb~ questo era molto strano. Un alcolizzato aveva sempre voglia di bcrQ. Lui no. La vista della
birra a quell'ora del mattino Io nauseava. Quindi, concluse
con enorme sollievo, non poteva essere un alcolizzato.
Ma se non era un ubriacone, allora cos era
Ricapitolò quanto sapeva sul proprio conto. Aveva
un'età compresa tra i trenta e i quaranta, non fumava, nonostante le apparenze nor~ era un alcobzzato, a un certo
punto della sua vita era stato coinvolto in attività clande-
stine, e conosceva le parole di WImt a Friend We Have in lesus. Era davvero troppo poco.
Aveva continuato nella ricerca di una stazione di polizia, ma senza fortuna. Decise di chiedere a qualcuno. Un
attimo dopo, passando davanti a un terreno recintato da
pannelli di lamiera ondulata, vide un poliziotto uscire sul
marciapiede da un varco nella recinzione. Deciso a sfruttare l'occasione, Luke gli chiese: «Come faccio ad arrivare
alla stazione di polizia più vicina?».
Il poliziotto era un uomo corpulento con baffi biondo
rossiccio. Osservò Luke con disprezzo e gli disse: «Nel
baule della mia auto, se non ti togli subito dai coglioni».
Luke trasalì per la brutalità del linguaggio, ma era stan-
co di vagare senza meta e aveva bisogno di indicazioni,
così insistette. «Vorrei solo sapere dov'è la stazione di polizia più vicina.»
«Guarda che non te lo ripeto, sacco di merda.»
Luke si adombrò. Chi diavolo credeva di essere quel tipo? ~<Jo le ho rivolto educatamente una domanda, signore» disse, brusco.
Il poliziotto si mosse con velocità inattesa per un uomo
della sua stazza. Afferrò Luke per il bavero del giaccone
logoro e lo spinse all'interno della recinzione. Luke incespicò e cadde, facendosi male a un braccio.
Con sorpresa, vide che non era solo. Poco più in là c'era
una ragazza con i capelli tinti di biondo e il trucco pesante.
Indossava un lungo cappotto aperto sopra un abito morbido, scarpe da sera con il tacco alto e calze smagliate. Si stava tirando su le mutandine. Luke capì che era una prostituta che aveva appena offerto una prestazione al poliziotto.
L'agente si infilò nel varco e gli sferrò un calcio nello
stomaco.
Luke senti la giovane che diceva: «Per l'amor del cielo,
Sid, cos'ha fatto questo poveraccio, ha sputato per terra?
Lascialo in pace!».
«Questo stronzo deve imparare a portare rispetto» ribatté il poliziotto, biascicando le parole.
Con la coda dell'occhio Luke lo vide estrarre il manganello e sollevarlo. Quando il colpo scese, Luke si girò su
un fianco. Ma non fu abbastanza veloce e l'estremità del
bastone lo prese di striscio sulla spalla sinistra, facendogli
perdere per un momento la sensibilità. Il poliziotto alzò di
nuovo il braccio pronto a colpire.
Qualcosa scattò nel cervello di Luke.
invece di allontanarsi rotolò tra i piedi dell'uomo che,
sbilanciato in avanti, cadde a terra lasciando andare il
manganello. Luke balzò in piedi con agilità. Mentre anche
il poliziotto si rialzava, Luke chiuse la distanza, saltellandogli davanti in modo che l'altro non riuscisse a inquadrarlo. Poi lo afferrò per i risvolti della giacca e lo attirò a
sé con movimento brusco, colpendolo con la fronte in pieno volto. Si senti il rumore secco del naso che si rompeva,
e l'uomo urlò per il dolore.
Luke mollò la presa, piroettò su un piede e centrò ancora l'uomo con un calcio nella parte laterale del ginocchio.
Le scarpe sfondate non erano abbastanza rigide per rompere l'articolazione, ma il ginocchio non ha molta resistenza ai colpi dilato e il poliziotto stramazzò a terra.
Una parte del cervello di Luke si chiese dove avesse imparato a combattere in quel modo.
Il poliziotto sanguinava dal naso e dalla bocca, ma si
sollevò puntellandosi sul gomito sinistro e fece per estrarre la pistola con la destra.
Prima ancora che questa uscisse dalla fondina, Luke gli
fu addosso. Lo afferrò per l'avambraccio destro e gli sbatté
violentemente la mano sul cemento facendo cadere l'arma.
Poi tirò con forza il braccio verso l'alto, torcendolo in modo
che l'uomo perdesse l'appoggio e crollasse a terra. Con un
unico movimento gli piegò il braccio dietro la schiena e si
lasciò cadere su di lui piantandogli tutte e due le ginocchia
nelle reni e togliendogli il fiato. Infine, gli afferrò l'indice
Spingendolo all'indietro.
Il poliziotto urlò. Luke piegò ancora di più il dito. Si
Senti un rumore secco e l'uomo svenne.
«Per un po' non picchierai altri barboni, stronzo» disse
Luke.
Si rialzò, raccolse la pistola, estrasse tutti i proiettili e
li
scagliò lontano.
La prostituta lo osservava con occhi sgranati. «Chi cazzo sei, Elliott Ness?»
Luke la guardò. Era magra, e sotto il trucco si intuiva
un incarnato malaticcio. «Non lo so chi sono.»
«Be', di sicuro non sei un barbone» commentò lei. «Non
ne ho mai conosciuto uno in grado di prendere a pugni un
grosso stronzo come Sidney.»
«È quello che pensavo anch'io.»
«Sarà meglio che andiamo via di qui» suggerì lei. «Quando rinviene sarà una belva.»
Luke annuì. Non aveva paura di Sidney, ma presto sul
posto sarebbero arrivati altri poliziotti e lui aveva da fare.
Uscì dal varco della recinzione e si allontanò a passo
svelto.
La donna lo seguì facendo ticchettare i tacchi alti sul
marciapiede. Luke rallentò per aspettarla. Provava una
certa solidarietà per lei: entrambi erano stati vittime della
prepotenza dell'agente Sidney.
«Mi ha fatto piacere vedere Sidney alle prese con qualcuno più forte di lui» disse. «Credo proprio di essere in
debito con te.»
«Figurati.»
«Be', la prossima volta che ne hai voglia, per te è gratis.»
Luke cercò di nascondere la propria repulsione. «Come
ti chiami?»
~<Dee-Dee.»
La guardò con espressione curiosa.
«Veramente il nome sarebbe Doris Dobbs» ammise lei
«ma che nome è per una ragazza che fa il mio mestiere?»
«Io sono Luke. Il cognome non lo so, ho perso la memoria.»
«Accidenti! Devi sentirti un po'... strano.»
«Disorientato.»
«Ecco» disse lei «ce l'avevo proprio sulla punta della
lingua.»
Le lanciò un'occhiata. La giovane aveva un sorriso iron ico sulle labbra e Luke si rese conto che si stava prendendo gioco di lui. Cli piacque per questo. «Non è che mi sia
dimenticato il mio cognome e il mio indirizzo» spiegò.
«Non so neppure che tipo di persona sono.»
«Cosa intendi dire?»
«Per esempio, sono una persona onesta?» Forse era
sciocco confidarsi con una prostituta, ma non aveva nessun altro. «Sono un marito fedele, un padre affettuoso e
un buon collega di lavoro? Oppure sono un gangster?
Non saperlo mi fa impazzire.»
«Tesoro, se è questo che ti preoccupa, io ho già capito
che tipo di persona sei. Un gangster avrebbe pensato:
"Chissà se sono ricco, chissà se ammazzo le puttane, chissà se la gente ha paura di me?".»
Non aveva tutti i torti. Luke annuì, ma non era ancora
soddisfatto. «Un conto è desiderare di essere una brava
persona... altro conto è esserlo veramente.»
«Benvenuto tra i comuni mortali, dolcezza» disse lei.
«Ci sentiamo tutti così, sai.» Si fermò davanti a un portone. «È stata una nottata lunga. Io mi fermo qui.»
«Arrivederci.»
Lei esitò un attimo. «Lo accetti un consiglio?»
«Certo.»
«Se vuoi che la gente la smetta di trattarti come un pezzo di merda, sarà meglio che ti metti un po' in ordine. Fatti la barba, pettinati e trova un cappotto che non sembri
uno straccio rubato dalla cuccia del cane.»
Luke si rese conto che la ragazza aveva colto nel segno.
Nessuno gli avrebbe dato ascolto, e tanto meno lo avrebbe
aiutato a scoprire la sua identità, se aveva l'aspetto di un
pazzo. «Credo proprio che tu abbia ragione» disse. «Grazie.» E fece per allontanarsi.
«E trovati un cappello!» gli gridò lei.
Luke si toccò la testa e poi si guardò attorno. Era l'unica
persona sulla strada, uomo o donna che fosse, a non portare un cappello. Ma come faceva un barbone a procurarsi
degli abiti nuovi? La manciata di spiccioli che aveva in tasca sarebbe servita a ben poco.
La soluzione prese forma nella sua mente. O era un
problema molto facile, oppure si era già trovato in una situazione simile. Sarebbe andato in una stazione ferroviaria. Di solito le stazioni sono piene di gente che ha con sé
vestiti e il necessario per l'igiene personale, il tutto ordinatamente riposto in valigia.
Andò all'angolo più vicino per localizzare la sua posizione. Era all'incrocio tra A Street e la Seventh. Uscendo
dalla Union Station, quella mattina, aveva notato che si
trovava vicina all'angolo tra la F e la Second.
Si avviò in quella direzione.
10.00.
Il primo stadio del missile è attaccato al secondo con bulloni
esplosivi circondati da molle elicoidali. Quando il booster avrà
finito di bruciare, i bulloni esploderanno separando i due stadi e
liberando le molle che forniranno un'ulteriore spinta per allontanare il primo stadio, ormai inutile.
Il GeorgetoWn Mmd Hospital era un beh `edificio vittonano di mattoni rossi unito sul retro a un'ala moderna
con il tetto piatto. Billie josephson parcheggiò la Ford
Thunderbird rossa ed entrò di corsa.
Non sopportava di arrivare in ritardo. Le sembrava irrispettoso nei confronti del suo lavoro e dei colleghi. Il loro
compito era molto importante. A poco a poco, con grande
fatica, stavano imparando a comprendere i meccanismi
della mente umana. Era come costruire la mappa di un
pianeta lontano, la cui superficie poteva essere intravista
solo attraverso squarci tra le nuvole, la cui fugacità era comunque promettente.
Aveva fatto tardi per colpa di sua madre. Dopo che
Larry era uscito per andare a scuola, Billie era corsa a
prendere le pillole per il cuore e, tornata a casa, aveva trovato Becky-Ma sdraiata sul letto, ansimante. Il medico era
arrivato subito, e non aveva detto niente di nuovo: BeckyMa aveva il cuore debole. Quando si sentiva mancare il
fiato, doveva sdraiatsi. Doveva pure ricordarsi di prende~
re sempre le sue pillole, E di evitare lo stress,
"E io?" avrebbe voi uto dire l3illie. "A me io stress non fa
male?" Invece, si era ripromessa per l'ennesima volta di
trattare la madre cori p~ù gentilezza.
~3i fermò all'accettazione e diede un'occhiata al registto
della notte. La sera prima, sul tardi, dopò che lei se n'era andata, era stato ricoverato un nuovo paziente, Joseph Bellow,
uno schizofrenico. Il nome non le era nuovo, ma non riusciva a ricordare dove lo avesse già sentito. Stranamente, il paziente età stato poi dimesso nel corso della notte.
Attraversò la saletta di ritrovo, diretta al suo ufficio. Il
televisore era acceso: un gioriialista, inquadrato su una
spiaggia polverosa, stava dicendo: "Qui a Cape Canaverai
la domanda che tutti si pongono è: `Quando avverrà il
tentativo di lancio dell'esercito?'. E dovrà per forza avvenire entro i prossimi giorni".
I pazienti oggetto delle ricerche di Billie si trovàvano
nella saletta: alcuni guardavano la televisione, altri facevano giochi di società ò Leggevano, altri ancora fissavano attoniti il nulla. Salutò Tom coìi un cenno della mano. Era un
giovane che non coniprendeva il significato delle pàrole.
«Còme stai, Tomrny?» disse, Lui le sorrise e ricambiò il salutò. Riusciva a interpretaì-e senza difficoltà il linguaggio
del corpo e spesso reagiva come se sapesse ciò che la gente
gli stava dicendo: Billie ci aveva messo mesi prima di tendersi conto che il ragazzo non capiva una sola parola.
In tiri angolo, Marlene, un'alcolizzata, stava flirtando
con un giovane infermiere. Aveva cinquant'anni, ma non
ricordava nulla di quanto le erà accaduto dopo i diciannové. Credeva di essere ancora una ragazza e si rifiutava di
credere che "il vecchio" che l'amava e si prendeVa cura di
ICì fosse ~uo màrito.
Attraverso la vetrata di una saletta per i colloqui, vide
Ronaid, un brillante architettO che aveva subito un grave
trauma cranico in un ini~idente d'auto. Stava rispondendo
ai test di ufl questionario. Il suo problema era la perdita
ddlla capacità di lavorare con i humeri, che lo costringeva
a contare con esasperàntC lentezza aiutandosi con le dita,
Molti pazienti soffrivano di varie forme di schizofrenia,
un'incapacìt~ a mettersi in relazione con il mondo reale.
Alcuni potevano essere curati, con farmaci o con l'elettroshock, o con i due trattamenti combinati, ma il compito di
Billie era di verificare gli esatti confini dei loro disturbi. Grà~
zie allo studio degli handicap mentali meno gravi stava
tracciando a grandi linee le funzioni di una mente nòrmale.
Davanti a un gruppo di oggetti posati sii un Vassoio, Ronald
era in grado di dire che erano tre o quattro, ma se erano dodici e lui doveva contarii, impiegava moltissimo tempo e
spesso sbagliava. Questo faceva ritenere che l'abilità di capile a colpo d'occhiO quanti oggetti facevano parte di un
piccolo gruppo fosse separata dailà capacità di contare.
In questo modo Billie stava lentamente esplorando le
profondità della mente, individuando il centro della memoria qui, quello del linguaggio là, quello della matematica in un'altra zon.a ancora. Se il deficit erà legato a un
dànno cerebrale lieve, Billie potevà avànzare l'ipotesi che
la funzione normale fosse situata in quelb parte del cervello che era stata irrìmediabilmeùte danneggiata. Alla fi~
ne, l'immagine astratta delle fulizioni mentali sarebbe stata riportata su una mappa fisicà del cervello umano.
Vista la lentezza coii cui pùocedeva, sarebbero occotsi
duecento anni circa. Ma @a sola a lavorare su quel progetto, Con l'aiutò di un team di psicologi avrebbe potuto
progredire molto più in fretta e vedete la mappa completata prima della sua morte. Questa era la sua ambizione.
La depressione che aveva portato suo padre al suicidiO
era molto lontana. Non esistevano cure rapide per la malattia mentale e la mente umaiia continUava a essere un
mistero per gli scienziàti. Si sarebbero capite molte più cose se Billie avesse potùto procedete più spedità con le sue
ricerche e allota, forse, sarebbe statò possibile aiutare le
persone come suo padre.
Salì le scale che portavano al piano superiore, pensando
al nuovo paziehte, Josep Bellow suonava un po' come
joe Blow, il tipico nome di fantasia. E perché era stato dimesso nel cuore della notte?
Arrivata nel suo ufficiò, andò allà finestra ~ guardò il
cantiere lì vicinO. Stavano cOstruendo una nuova ala dell'o..
spedale, e con essa sarebbe stata creata anche una nuova
carica: direttore della ricerca. Billie aveva fatto domanda
per quel posto, come pure un suo collega, il dottor Leonard
Ross. Len aveva più anzianità, ma lei aveva più esperienza
e più pubblicazioni al suo attivo: parecchi articoli e un librO
di testO, Introduzione alla psicologia della memoria. Era sicura
di poter battere Len, ma non sapeva chi altri avesse fatto
domanda. E lei voleva quel posto con tutte le sue forze. Come direttore avrebbe potuto contare su mOlti collaboratori.
Nell'area d~1 cantiete notò, offre agli Operai, hn grup~ettò di uomini vestiti con abiti formali, cappotti e cappelli anziché tute dà lavoro ed elmetti di protezioì~e. Sembrava
stessero facendo un giro d'ispezione. Guardando meglio
vide ihe tra lorO c'era Len Ro~s.
«Chi sono quei tizi che girano per il cantiere accompàgn~dì da Len Ross?>~ chiese alla sua segretaria~
«Sono della Forid~Ìzione Sowerby.»
Billie si accigliò. La fondazione avrebbe finanziato il
nuovo reparto. Avrebbero avuto molta voce in capitolo
sulla nomina del direttore. E Len se li stava lavorando.
«Ci avevano avvertiti ché sarebbero venuti oggi?»
~<Len ha detto che le aVeva mandatO un biglietto. È pàssato di qui questa mattihà a chiarÌ~arla, nia lei non c'era.»
Non c'era mai stato nessun biglietto, l3illie ne era sicura.
Len aveva deliberatarriente evitato di avvertirla. E lei era
pure arrivata in ritardo.
«Maledizione!» esclamò e corse fuori per raggiungere il
gruppetto sul cantiere.
Non ripensò più a Joseph Bellow per parecchie ore.
11.00.
Poiché il mis~ile è statò assemhlato in tutta fretta, invece di uno
nuovo gli stadi superiori uhlizzaho un ftiotore a razzo che è gi~
in produzione da alcuni anni. Gli scienziati hanno optato per
una versione ridotta del collaudatissimo razzo Sergeant. Gli
stadi superiori del missile sono spinti da gruppi di questi piùcoii
razzi, noti con il nome di J3al~y Sergeant.
Districandosi nel dedalo di strade che portavano alla
Union Station, Luke si scoprì a contrOllare più volte ~e
qualcuno lo seguiva.
Aveva seminato le sue due "ombre" da più di un'ora e,
probabitrnent~, adesso lo stavano cercando. Era spaventato e perpiesso. Chi erano? E perché lo stavano seguendo?
L'istinto gli diceva che non stavatio dalla sua parte. In
caso contrario, perché avrebbero dovuto sorvegliarlo di
nascosto?
Scosse la testa come per schiarirsi le idee. Tutte queste
ipotesi campate in aria erano frustranti. Non aveva senso
continuare ~i fare congetture. I)oveva scoprire come stavano realmente le cose.
Prima di tutto bisognava darsi una ripulita. L'intenzione
era quella di rubare il bagaglio a un viaggiatore sceso dal
treno. Era certo di averlO già fatto prima, in un qualche momento della sua vita precedente. Quando cércò di ricorda-
re, gli venne in mente una frase in francese: "La valise d'un
type qui descend du train".
Non sarebbe stato facile. I suoi abiti sporchi e logori
avrebbero attirato l'attenzione tra una folla di rispettabili
viaggiatori. Dee-Dee, la prostituta, aveva ragione. Nessuno avrebbe dato retta a un barbone.
Se l'avessero arrestato, la polizia non avrebbe mai creduto che lui non era un vagabondo e sarebbe finito in galera. Il pensiero lo fece rabbrividire. Non era tanto l'idea
della prigione in sé a spaventarlo, quanto la prospettiva di
passare settimane, se non addirittura mesi, nell'ignoranza
e nella confusione, senza sapere chi fosse realmente e senza poter fare nulla per scoprirlo.
Giunto in Massachusetts Avenue vide davanti a sé il colonnato di granito bianco della Union Station, simile a
una cattedrale romanica trasportata lì dalla Normandia.
Pensando alle mosse successive, rifletté che dopo aver
messo a segno il furto della valigia avrebbe avuto bisogno
di un'auto per allontanarsi in fretta. Nessun problema: sapeva esattamente come fare.
Nelle vicinanze della stazione la strada era tutta una fila di macchine parcheggiate. Certamente la maggior parte
apparteneva a persone che avevano preso il treno. Railentò il passo quando vide un'auto infilarsi in un posto
davanti a lui. Era una Ford Fairlane blu e bianca, nuova
ma non troppo vistosa. Perfetta. Il motorino d'avviamento veniva fatto partire con una chiave, non da un bottone,
ma si poteva facilmente aggirare il problema estraendo un
paio di cavi da dietro il cruscotto.
Si chiese come facesse a saperlo.
Dalla Ford scese un uomo in cappotto scuro che, presa
una piccola valigia dal portabagagli, chiuse a chiave la
portiera e si diresse verso la stazione.
Quanto tempo sarebbe stato via? Era possibile che dovesse fare qualcosa in stazione per tornare dopo pochi minuti. A quel punto avrebbe subito denunciato il furto della macchina. Luke correva il rischio di venir arrestato nel
giro di poco, una prospettiva nient'affatto buona. Doveva
assolutamente scoprire dov'era diretto quell'uomo.
Lo segui all'interno della stazione.
ii maestoso interno, che quella mattina gli era apparso
come un tempio sconsacrato, adesso era pieno di vita.
Luke si sentiva in imbarazzo: sembravano tutti così puliti
e ben vestiti! Molti distoglievano lo sguardo, altri lo guardavano con disgusto o disprezzo. Gli venne in mente che
avrebbe potuto imbattersi nel funzionario che lo aveva
cacciato fuori solo qualche ora prima. Il tizio si sarebbe sicuramente ricordato di lui e ci sarebbe stato un po' di
trambusto.
Il proprietario della Ford andò a mettersi in coda alla
biglietteria. Luke fece altrettanto. Teneva gli occhi bassi,
attento a non incrociare lo sguardo di nessuno e nella speranza che nessuno lo notasse.
La coda si spostò in avanti e la sua vittima arrivò allo
sportello. ~<Philadelphia, andata e ritorno» disse.
Per Luke era più che sufficiente. Philadelphia era a
qualche ora di viaggio. L'uomo sarebbe rimasto fuori città
tutto il giorno. Nessuno avrebbe denunciato il furto dell'auto prima del suo ritorno. Luke sarebbe stato al sicuro
fino a sera.
Si staccò dalla coda allontanandosi in fretta.
Uscire fu un sollievo. Anche i barboni avevano diritto
di stare in strada. Tornò in Massachusetts Avenue, verso
la Ford parcheggiata. Per risparmiare tempo dopo, avrebbe forzato la portiera adesso. Guardò su e giù per la strada: era un continuo passaggio di macchine e pedoni. Il
problema era che lui aveva l'aria del criminale. Ma se
avesse aspettato finché non c'era nessuno in giro, sarebbe
stato lì tutto il giorno. La soluzione era agire in fretta.
Fece alcuni passi, girò intorno alla macchina e si fermò
davanti alla portiera del guidatore. Premette i palmi delle
mani contro il vetro del finestrino e spinse verso il basso.
Non accadde nulla. Diede una rapida occhiata intorno:
nessuno gli prestava attenzione. Si sollevò in punta di pie-
di per far pressione sul meccanismo del finestrino anche
con il peso del corpo. Infine, il vetro cedette e scivolò piano verso il basso.
Quando fu completamente aperto, Luke infilò una mano all'interno e sbloccò la sicura. Aprì la portiera, tirò su il
finestrino e richiuse di nuovo la portiera. Tutto era pronto
per una fuga veloce.
Considerò l'ipotesi di avviare il motore adesso e lasciarla in moto, ma qi.iesto avrebbe potuto attirare l'attenzione
di qualche poliziotto di passaggio o anche solo di un passante curioso.
Tornò all'interno della stazione. Temeva che qualcuno
delle ferrovie lo notasse. Poteva anche non essere necessariamente l'uomo che lo aveva gettato fuori quella mattina.... qualsiasi dipendente coscienzioso avrebbe potuto
considerare un suo preciso dovere quello di cacciarlo via,
come raccogliere una carta di carameila lasciata cadere sul
pavimento. Faceva del suo meglio per passare inosservato. Camminava né lento né veloce, cercava di tenersi rasente ai muri, stava attento a non tagliare la strada a nessuno e a non incrociare lo sguardo degli altri.
Il momento migliore per rubare una valigia era subito
dopo l'arrivo di un treno affollato, quando l'atrio si riernpiva di gente. Studiò il tabellone degli orari. Nel giro di
dodici minuti sarebbe arrivato un espresso da New York.
Perfetto.
Mentre osservava il tabellone, cercando il binario sul
quale sarebbe arrivato il treno, sentì rizzarsi i peli sulla
nuca.
Si voltò. Doveva aver visto qualcosa con la coda dell'occhio, qualcosa che lo aveva istintivamente messo in allarme. Cosa? Il cuore prese a battergli più veloce. Cosa lo
aveva spaventato?
Cercando di non farsi notare, si allontanò dal punto in
cui si trovava e si fermò davanti all'edicola, allo scaffale
dove erano esposti i quotidiani. Lesse i titoli:
Presto al via il missile dell'esercito
Arrestato l'uomo che ha ucciso dieci persone
Dulles rassicura Baghdad
Ultima chance per Cape Canaverai
Un attimo dopo si guardò alle spalle. Una ventina di
persone attraversavano l'atrio in ogni direzione, appena
arrivate o dirette ai marciapiedi. Molte altre erano sedute
sulle panche di mogano o aspettavano pazientemente in
piedi, parenti e autisti in attesa di passeggeri in arrivo da
New York. Un gestore era fermo sulla porta del ristorante,
confidando sull'arrivo di qualche cliente. C'erano cinque
facchini, che fumavano e chiacchieravano...
E due agenti.
Era certissimo che si trattasse di agenti: entrambi giovani, ben vestiti, con cappotto e cappello, le scarpe lucidate
con cura. Ma non li tradiva tanto l'aspetto quanto il loro
atteggiamento. Stavano sul chi vive, tenevano d'occhio
l'atrio studiando i volti delle persone, guardavano ovunque... tranne che verso il tabellone degli arrivi e delle partenze. L'unica cosa a non interessarli erano i treni.
Fu tentato di andare a parlare con loro. Pensandoci bene, sentiva prepotente il bisogno di un semplice contatto
umano con gente che lo conoscesse. Desiderava tanto che
qualcuno gli dicesse: "Ciao, Luke, come stai? Che piacere
rivederti! ".
Invece, probabilmente, quei due gli avrebbero comunicato: "Siamo agenti dell'Fbi e lei è in arresto". Luke pensò
che sarebbe stato quasi un sollievo. Ma il suo istinto lo mise in guardia. Ogni volta che provava la tentazione di fidarsi di loro, si chiedeva perché mai lo seguissero dì nascosto, se avevano buone intenzioni.
Voltò loro la schiena e si allontanò, cercando di tenersi
al riparo dietro l'edicola. Giunto vicino a un grande arco,
si arrischiò a guardare indietro. I due uomini stavano attraversando l'atrio.
Chi diavolo erano?
Uscì dalla stazione, proseguì per alcuni metri lungo il
grandioso portico che ne ornava la facciata, e rientrò nell'atrio principale giusto in tempo per vedere i due agenti
dirigersi verso l'uscita ovest.
Guardò l'orologio. Erano passati dieci minuti: ne mancavano solo due all'arrivo dell'espresso d~i New York. Si
affrettò verso il cancello del marciapiede di arrivo e si mise ad aspettare, cercando di confondersi con l'ambiente.
Come il primo passeggero uscì, una calma gelida si impossessò di lui. Osservò attentamente le persone che arrivavano. Era mercoledì, un giorno feriale, quindi c'erano
molti uomini d'affari e militari in uniforme, ma pochi turisti e poche donne e bambini. Cercò un uomo che avesse la
sua stessa altezza e corporatura.
A mano a mano che i passeggeri si riversavano dal cancello, le persone in attesa si spostavano in avanti dando
origine a un ingorgo. La folla attorno.all'uscita si fece più
fitta per poi diradarsi nuovamente, con le persone che si
aprivano un varco a spintoni, irritate. Luke notò un giovane della sua taglia, ma indossava un montgomery e un
berretto da marinaio: probabilmente nella sua sacca non
c'era un completo. Allo stesso modo scartò un anziano
viaggiatore che era dell'altezza giusta, ma troppo magro.
Individuò un uomo che era perfetto, però aveva con se solo una valigetta portadocumenti.
Ormai erano già usciti almeno un centinaio di passeggeri, ma sembrava ce ne fossero altri. L'atrio si riempì di
persone impazienti. E poi Luke vide l'uomo giusto. Era
della sua stessa altezza, corporatura ed età. Il soprabito
grigio sbottonato lasciava intravedere una giacca sportiva
di tweed e pantaloni di flanella... ciò stava a significare
che, quasi certamente, aveva un abito formale nella valigia di pelle marrone chiaro che portava nella mano destra.
Aveva un'espressione assorta e camminava a passo svelto, come se fosse in ritardo per un appuntamento.
Luke si intrufolò tra la gente e si fece largo fino a trovarsi subito dietro di lui.
La folla era fitta e si muoveva lenta; l'obiettivo di Luke
procedeva nervosamente, a scatti. Poi l'assembramento si
diradò un poco e l'uomo si infilò veloce in un varco.
Fu allora che Luke gli fece lo sgambetto, agganciandogli saldamente la caviglia con il piede e scalciando verso
l'alto.
L'uomo lanciò un urlo mentre si proiettava in avanti,
mollando la valigia per mettere le mani davanti a sé.
Andò a sbattere contro la schiena di una donna impellicciata che, a sua volta, inciampò e rovinò a terra con uno
strillo, lasciando cadere la borsetta e un'elegante valigia
di pelle bianca. L'uomo crollò sul pavimento di marmo
con un tonfo chiaramente percettibile e perse anche il cappello, che rotolò via.
Presto si formò un capannelio di persone che cercavano
di aiutare i due poveretti.
Senza dare nell'occhio, Luke raccolse la valigia marrone
e si allontanò a passo svelto, dirigendosi verso l'uscita più
vicina. Non si voltò indietro, ma rimase con le orecchie
dritte per captare qualche urlo o il rumore di passi che lo
inseguivano. Era pronto a scappare: non aveva intenzione
di rinunciare al suo bottino e si sentiva in grado di correre
più veloce di chiunque altro, anche con la valigia in mano.
Ma, mentre procedeva verso le porte, gli sembrava di avere un bersaglio da tiro a segno disegnato sulla schiena.
Arrivato all'uscita si girò a guardare. La folla era sempre radunata nello stesso punto. Non riusciva a scorgere il
viaggiatore che aveva fatto cadere, né la donna con la pelliccia. Vide però un uomo alto, dall'aspetto autoritario,
che perlustrava attentamente con lo sguardo l'atrio, come
in cerca di qualcosa. La sua testa ruotò all'improvviso in
direzione di Luke.
Luke uscì in fretta.
Una volta fuori, imboccò Massachusetts Avenue. Un
minuto dopo arrivò alla Ford Fairlane. Automaticamente
andò verso il bagagliaio per nascondervi la valigia rubata,
ma non riuscì ad aprirlo. Rammentò di aver visto il pro-
prietario chiuderlo a chiave. Si voltò a guardare verso la
stazione. L'uomo alto stava attraversando di corsa l'isola
spartitraffico davanti alla stazione, scartando le auto. Veniva verso di lui. Chi era? Un poliziotto fuori servizio? Un
detective? Un ficcanaso?
Luke girò svelto intorno alla macchina, aprì la portiera
del guidatore e gettò la valigia sul sedile posteriore. Poi
salì a bordo.
Si chinò sotto il cruscotto per trovare i cavi sui due lati
dei biocchetto d'accensione. Li estrasse e li collegò. Non
accadde nulla. Nonostante il freddo aveva la fronte impenata di sudore. Perché non funzionava? La risposta si
presentò nella sua mente: era il filo sbagliato. Infilò di
nuovo le mani sotto il cruscotto. C'era un altro cavo sulla
destra. Lo tirò fuori e lo avvicinò agli altri.
il motore partì.
Pestò sul pedale dell'acceleratore e il motore andò su di
giri.
Innestò la marcia, mollò il freno a mano, mise la freccia
e si mosse. L'auto era parcheggiata con il muso verso la
stazione e quindi fu costretto a fare inversione di marcia
per allontanarsi.
Un sorriso gli passò sul volto. A meno che non fosse
stato davvero sfortunato, si era procurato un cambio completo di vestiti. Gli pareva di aver cominciato a riprendere
il controllo della propria vita.
Ora gli serviva un posto dove lavarsi e cambiarsi.
12.00.
Il secondo stadio è costituito da undici razzi Baby Sergeant disposti ad anello intorno a una struttura cilindrica centrale. Il
terzo stadio ha tre Baby Sergeant tenuti insieme da tre diaframmi di supporto trasversali. Sopra al terzo stadio c'è il quarto,
composto da un singolo razzo, che porta il satellite sulla punta.
Il conto alla rovescia procedeva: mancavano 630 minufi
all'ora X, e a Cape Canaveral ferveva l'attività.
Gli esperti in missilistica erano tutti uguali: potevano
anche progettare armi, se il governo glielo chiedeva, ma
sognavano lo spazio cosmico. La squadra dell'Explorer
aveva costruito e lanciato molti missili, ma questo sarebbe
stato il primo a vincere l'attrazione terrestre e a volare libero oltre l'atmosfera. Per la maggior parte di loro, il lancio di quella sera avrebbe significato il realizzarsi delle
speranze di tutta una vita. Lo stesso per Elspeth.
Erano di base all'hangar D e all'hangar R, che si trovavano l'uno accanto all'altro. La struttura degli hangar per
aerei si prestava anche per i missili: c'era un ampio spazio
centrale per il controllo dei motori a razzo, circondato sui
due lati da un corpo su due piani dove trovavano posto
uffici e piccoli laboratori.
Elspeth era nell'hangar R. Aveva una scrivania e una
macchina per scrivere nell'ufficio del suo capo, Willy Frednickson, il direttore di lancio, che passava quasi tutto il
suo tempo altrove. Il compito di Elspeth era quello di preparare e distribuire il programma.
Il problema era che il programma variava di continuo.
Negli Stati Uniti nessuno aveva mai spedito un razzo nello
spazio prima di allora. Sorgevano sempre nuovi problemi,
e gli ingegneri improvvisavano soluzioni di fortuna per sostituire questo o quel componente, o per bypassare un sistema. Qui il nastro adesivo veniva chiamato nastro da missili.
E così Elspeth continuava a preparare nuovi aggiornamenti del programma. Doveva tenersi in contatto con ogni
gruppo della squadra, prendere nota dei cambiamenti sul
suo taccuino da stenografa, quindi batterli a macchina, farne delle copie e distribuirli. Questo compito richiedeva che
lei andasse ovunque e fosse al corrente di ogni aspetto dell'impresa. Se c'era un intoppo, ne veniva informata quasi
subito; ed era anche tra i primi a conoscere la soluzione.
Aveva la qualifica di segretaria, e come tale veniva pagata,
ma nessuno avrebbe potuto fare quel lavoro senza una laurea di tipo scientifico. Lei non si lamentava per lo stipendio
basso: era contenta di avere un lavoro stimolante. Alcune
delle sue compagne della Radcliffe scrivevano ancora lettere sotto dettatura alle dipendenze di uomini in abito di
flanella grigia.
L'aggiornamento di mezzogiorno era prÒnto. Afferrò la
pila di fogli e si preparò a distribuirli. Non aveva neppure
il tempo per respirare, ma quel giorno era un bene: le impediva di preoccuparsi costantemente di Luke. Se avesse
ceduto al suo istinto, avrebbe telefonato a Anthony ogni
cinque minuti per chiedergli se ci fossero novità. Ma sarebbe stata una cosa stupida. Se qualcosa fosse andato
storto, lui l'avrebbe avvertita subito, pensò. Nel frattempo
doveva concentrarsi sul lavoro.
Andò nella sa]a stampa, dove gli ufficiali addetti alle relazioni pubbliche erano tutti ai telefono per informare i reporter di fiducia che quella sera ci sarebbe stato un lancio.
L'esercito voleva dei giornalisti sul posto perché fossero
testimoni del suo trionfo. Ma l'informazione non sarebbe
stata divulgata fin dopo l'avvenimento. I lanci in progralTima vet~ivano spesso ritardati, e talvolta annullati se
si preSentav~I~O ostacoli imprevisti. Gli uomini del programma missilistico avevano imparato, a loro spese, che
un normale rinvio, necessario a risolvere un problema tecnico, in mano alla stampa poteva passare per un totale fallimento. Così, avevano un accordo con tutte le principali
agenzie di stampa: le informavano in anticipo dei lanci a
condizione che non trapelasse nulla finché non ci fosse
stato "fuoco nella coda", quando cioè il motore del razzo
fosse stato acceso.
Era un ufficio tutto al maschile e parecchi occhi la seguirono mentre attraversava la stanza e porgeva Il programma al capo dell'ufficio stampa. Elspeth sapeva di essere attraente, con la sua figura statuaria e il pallido incarnato
vichingo, ma c'era qualcosa in lei che incuteva timore - la
piega determinata della bocca, forse, o la luce minacciosa
degli occhi verdi - per cui gli uomini abituati a fischiare o a
fare commenti con lei si trattenevano.
Nel laboratorio di propulsione trovò cinque scienziati
in maniche di camicia radunati intorno a un bancone. Fissavano preoccupati un pezzo di metallo piatto tutto bruciacchiato. «Buongiorno, Elspeth» disse il capo del gruppo, il dottor Keller. Parlava con un forte accento straniero.
Come molti degli scienziati era tedesco, catturato alla fine
della guerra e poi portato in America per collaborare al
programma spaziale.
Gli porse una copia dell'aggiornamento e lui lo prese
senza neppure guardarlo. «Cos'è quello?» chiese Elspeth
accennando con il capo all'oggetto posato sul bancone.
«L'aletta di un ugello di scarico.»
Elspeth sapeva che il primo stadio era guidato per mezzo di ugelli posti nella coda. «Cosa gli è successo?»
<dl combustibile, bruciando, corrode il metallo» spiegò
lui. L'accento tedesco si fece più marcato, mentre si accalo-
rava nell'esposizione. «Fino a un certo punto è un fenomeno normale. Con il comune propellente a base di alcol gli
ugelli durano il tempo necessario a fare il loro lavoro. Oggi invece stiamo usando un nuovo combustibile, l'Hydyne, che assicura un periodo di combustione più lungo e
una maggiore velocità dei gas di scarico, ma questo può
deteriorare gli ugelli al punto da renderli inefficaci per go..
vemare la rotta.» Allargò le mani in un gesto di sconforto.
«Non abbiamo avuto il tempo di condurre un numero sufficiente di prove.»
«Be', io devo sapere se questo ritarderà il lancio.» Le
sembrava di non poter più sopportare un altro rinvio. La
tensione la stava logorando.
«È quello che stiamo cercando di decidere.» Keller guardò
i colleghi. «E credo che la nostra risposta sia: rischiamo.» Gli
altri annuirono con espressione grave.
Elspeth si sentì sollevata. «Terrò le dita incrociate» disse, e si avviò verso la porta.
«Anche noi non possiamo fare di meglio» osservò Keller, e gli altri sorrisero mesti.
Elspeth uscì sotto il sole cocente della Florida. Gli hangar si trovavano su una radura sabbiosa ricavata tra la vegetazione bassa che ricopriva il capo, piante di palmetto,
querce nane e lappola, un'erba molto tagliente che ti feriva se camminavi a piedi nudi. Attraversò uno spiazzo
polveroso ed entrò nell'hangar D. L'ombra gradevole al
suo interno le sfiorò il viso come il tocco di una brezza fresca.
Nella sala telemetria vide Hans Mueller, noto a tutti come I-Iank. Le puntò un dito contro e disse: «Centotrentacinque».
Era un gioco che facevano tra loro. Lei doveva dire cosa
c'era di insolito in quel numero. «Troppo facile» rispose.
«Prendi la prima cifra, aggiungi il quadrato della seconda
più il cubo della terza e ottieni il numero che mi hai appE.
na detto.» Poi gli enunciò l'equazione:
1~ + 3~+ 53= 135
«Va bene» disse lui. «Qual è il numero maggiore e più
prossimo che segue lo stesso schema?»
Elspeth si concentrò e poi disse: ~<Ce:ntosettantacinque».
1~ + 72~ 5~175
«Esatto! Hai vinto il primo premio.» Infilò una mano in
tasca e tirò fuori una monetina da dieci centesimi.
Lei la prese. «Ti do la possibilità di riprendertela» disse.
«Centotrentasei.»
«Ah» fece lui, aggrottando la fronte. «Aspetta... somma
il cubo delle cifre che lo compongono.»
1~+ 33+6~=244
«Ora ripeti il procedimento e ottieni il numero che hai
detto!»
2~+4~+4~= 136
Gli restituì la monetina e gli consegnò una copia del
programma aggiornato.
Mentre usciva, le cadde Io sguardo su un telegramma
fissato alla parete con una puntina da disegno: "Il mio
piccolo satellite l'ho avuto, ora pensa al tuo". «È della moglie di Stuhlinger» le spiegò Mueller, accortosi del suo interesse. Stuhlinger era il responsabile della ricerca. «Ha
avuto un bambino.» Elspeth sorrise.
Trovò Willy Fredrickson nella sala telecomunicazioni in
compagnia di due tecnici dell'esercito; stavano provando
il collegamento telex con il Pentagono. Il suo capo era un
uomo alto e magro, la testa calva tranne che per una corona di riccioli che lo faceva assomigliare a un monaco medievale. La telescrivente non funzionava e Willy era avvilito. Prendendo l'aggiornamento dalle mani di Elspeth,
però, sorrise e le disse: «Elspeth, sei un vero gioiello».
Un attimo dopo due persone si avvicinarono a Willy:
un giovane ufficiale dell'esercito che portava una cartina e
Stimmens, uno degli scienziati. «Abbiamo un problema»
esordì l'ufficiale, porgendo la cartina a Willy. ~<Il jetstream
si è spostato verso sud e soffia a 146 nodi.»
Elspeth si sentì mancare il cuore. Sapeva cosa significava.
Il jetstream era una corrente d'alta quota che si muoveva
nella stratosfera tra i 10.000 e i 14.000 metri. Di solito non arrivava sopra Cape Canaveral, ma poteva spostarsi, e se fosse stata troppo forte avrebbe potuto spingere il missile fuori traiettoria.
«Quanto a sud?» chiese Willy.
«Su tutta la Florida» rispose l'ufficiale.
Willy si rivolse a Stimniens. «Ne abbiamo tenuto conto,
vero?»
«Non esattamente» disse Stimmens. «Sòno tutte ipotesi,
è ovvio, ma abbiamo calcolato che il missile possa sopportare venti fino a 120 nodi, non di più.»
«Quali sono le previsioni per stasera?» chiese Willy all'ufficiale.
«Velocità sino a 177 nodi e nessuna indicazione che il
jetstream torni a spostarsi verso nord.»
«Maledizione.» Willy si passò una mano sulla pelata.
Elspeth sapeva che stava riflettendo. Forse sarebbe stato
necessario rinviare il lancio all'indomani. «Mandate su un
pallone sonda, per favore» ordinò. «Verificheremo le previsioni del tempo alle cinque.»
Elspeth prese un appunto per ricordarsi di aggiungere
al programm.a la riunione per aggiornare le previsioni del
tempo, e poi se ne andò, avvilita. Erano in grado di risolvere i problemi tecnici, ma contro i capricci del tempo erano impotenti.
Salì sulla jeep e andò a] Complesso di lancio 26. La strada
era un sentiero sterrato e polveroso che si snodava tra i cespugli, e il veicolo sobbalzava sulle buche. Il suo passaggio
spaventò un cervo che si stava abbeverando a un fosso; l'arLimale fuggì nella boscaglia. La zona era popolata da una
grande varietà di animali selvatici che vivevano nella vegetazione bassa. La gente diceva che c'erano anche alligatori e
puma, ma lei non ne aveva mai visti.
Si fermò fuori dalla casamatta e osservò la rampa di
lancio 26B, circa trecento metri più in là. L'incastellatura
di servizio era una torre di trivellazione per pozzi petroliferi, opportunamente modificata e verniciata con antiruggine arancione per proteggerla dagli effetti corrosivi dell'aria umida e salmastra della Florida. Su un lato c'era un
ascensore che portava alle piattaforme. L'intera costruzione era sgraziata, dettata da meri criteri pratici, rifletté Eispeth: una struttura funzionale messa insieme senza alcuna preoccupazione per il risultato estetico.
La lunga matita bianca del razzo lupiter C sembrava tenuta prigioniera da un groviglio di travi arancioni, come
una libellula impigliata in una ragnatela. Quando parlavano dell'Explorer, gli uomini usavano sempre il femminile, nonostante la sua forma fallica, e così faceva anche Eispeth. Un velo formato da grandi teloni aveva tenuto
nascosti gli stadi superiori del missile da occhi indiscreti
fin dal giorno del suo arrivo là, ma ora la mascheratura
era stata rimossa e il missile era nudo, con la vernice immacolata che scintillava sotto i raggi del sole.
Gli scienziati non si preoccupavano di politica, ma sapevano di avere gli occhi del mondo intero puntati addosso.
Quattro mesi prima, l'Unione Sovietica aveva stupito tutti
mandando in orbita il primo satellite spaziale, lo Sputnik.
In tutti i paesi in cui era ancora in atto il braccio di ferro tra
capitalismo e comunismo, dall'Italia all'india, all'America
Latina, così come in Africa e in Indocina, il messaggio era
stato chiaro: gli scienziati comunisti sono i migliori. Un
mese dopo, i sovietici avevano lanciato un secondo satellite, lo Sputnik 2, con una cagnetta a bordo. Gli americani
erano rimasti sconvolti. Oggi un cane, domani un uomo.
Il presidente Eisenhower aveva promesso che prima della fine dell'anno sarebbe stato lanciato un satellite americano. Il primo venerdì di dicembre, alle undici e quarantacinque, la marina degli Stati Uniti aveva lanciato il missile
Vanguard davanti a giornalisti di tutto il mondo. Il missile
Si era sollevato in aria di qualche metro, poi aveva preso
fuoco e si era inclinato dilato andando a schiantarsi sulla
base in cemento. E un Flopnik! aveva titolato un giornale.
il lupiter C era l'ultima speranza dell'America. Noi-i c'era un terzo razzo disponibile. Se quel giOrno àVesserò fatto fiasco~ gli Stati Uniti sarebbero rimasti fuori dalla corsa
allo spazio. Ma il fallimento a livello di propaganda era
solo l'ultimo dei problemi: il programma spaziale sarebbe
stato totalmente sconvolto e per l'immediato futuro i russi
avrebbero avuto il controllo dello spazio.
E tutto dipendeva da cluci razzo, rifletté Elspeth.
Nella zona circostante la rampa non era permesso l'accèsso ai veicoli, tranne quelli indispensabili alle operaziOni di lancio, come i camion del combustibile; Elspeth parcheggiò la jeep e attraversò a piedi la spianata conipresa
tra la casamatta ~ l'incastellatura di lancio, seguendo il
tracciato di un condotto metallico in cui correvaho tutti i
cavi di collegamento. Attaccata sul retro della torre a livello del terreno c'éra una lunga cabina di metallo, pitturata
dello stesso color arancione, che ospitava uffici e macchinari. Elspeth entrò da una porta metallica sul retro.
Il respOnsabile, Harry Lane~ con casco di protezione e
scarpe da lavoro, ~ra seduto su una seggioliùa pieghevole
e stava studiando un disegno. ~<Cìao, Ilarry» disse lei,
cordiale.
Lui borbottò un saluto. Non tollerava che ci fossero
donne in giro nei pressi della rampa di lancio, e nessun
senso di cortesia lo avrebbe spinto a nasconderlo.
Elspeth lasciò cadere l'aggiori-tainerito su un tavolo di
metallo e uscÌ. TOrnò alla casarliatta, una costruzione bassa e biànca con finestre strette di vetro verde. Le porte erano spalancate e lei entrò; L'interno era diviso in tre cornparti: una sala strumentaziorie che prendeva tutta la
lunghezza dell'edificio, e due sale di lancio, la sala A sulla
sinistra ~ la sala B sulla destra> rivolte rispettivamente
verso le due rampe di lancio che venivano gestite dalla casamatta. Elspeth entrò nella sala di lanciò B.
La forte luce del sole che filtrava dai vetri vei~di gettava
un tiflesso irreale all'interno, facendolo assomigliare a un
acquario. Davanti alle finestre c'era un gruppo di tecnici
seduti a una fila di pannelli di controllo. Elspeth notò che
indoSsavano tutti camicie a maniche corte, come se fosse
un'uniforme, e portavan0 delle cuffie per comunicare con
gli uomini sulla rampa di lancio. Potevano tenere d'occhio il missile attraverso le finestre poste sopra i pannelli
di comando, oppure per mezzo degli schermi a colori.
`Tùtta la parete alle loro spalle era occdpata da registratori
grafici che seguivano l'andamento di temperatura e pressione del sistema di alimentazione e l'attività dei circuiti
elettrici. In un angolo c'era un pannello che indicava il peso del missile sulla rampa di lancio. Si avvertiva un'atmosfera di calma innaturale mentre gli uomini parlavano a
voce bassa nelle cuffie e operav&io sui pannelli, agendO
su manopole e interruttori, tenendo costantemente sotto
controllo tutta la strumentaziOri~ Sopra le loro teste l'indicatore per il contò alla rovescia segnava i minuti che
maiìcàv~no all'accensione. Quando Elspeth alzò lo sguardo, la lancetta. si mosse da 600 a 599.
Consegnò il programma aggiornato e uscì dall'edificio.
Mentre rientrava verso l'hangar pensò a Luke e si rese
conto di avere una scusa più che plausibile per chiamare
Anthony. Lo avrebbe inforniatò del jetstreain e poi gli
avrebbe chiesto di Luke.
Questo la tirò un po' su di morale. Entrò nell'hangar e
salì di corsa le scale che portavano al suo ufficio. Compose Il numeto della linea diretta di A.nthony, che rispose
immediataniente. «È probabile che il lancio venga rinviato a domani» gli disse. «Ci sono forti correnti in quota a livello della stratosfera.»
«Non sapevo che ci fòssero venti, a quell'altezza.»
«Sì, sono le correnti a getto. Il rinVio non e ancOra d~finitivo e alle cinque ci sarà una riuìiione per esaminare le
condizioni meteorologiche. Come sta Luke?»
«Fammi sapete che cosa decidono a quella riunione,
d'accordo?»
«Certo. Come sta Luke?»
«Be'... abbiamo un problema.»
Il cuore di Elspeth mancò un colpo. «Che tipo di problema?»
«Lo abbiamo perso.»
Elspeth si sentì gelare. «Cosa?»
«Ha seminato i miei uomini.»
«Che il Signore ci aiuti» disse lei. «Ora sì che siamo nei
guai.»
1941
Quando Luke fece
ritorno a Boston era ormai l'alba. Dopo
aver parcheggiato la
vecchia Ford, sgattaiolò attraverso la
porta sul retro di
Cambridge House. Salì in camera per le
scale di servizio e
trovò Anthony che dormiva della grossa. Si lavò la faccia e
si gettò sul letto in mutande e canottiera.
Si svegliò con
Anthony che lo scrollava. «Luke! Svegliati!»
Aprì gli occhi.
Sapeva che era accaduto qualcosa di grave, ma non ricordava
cosa. «Che ore sono?» borbottò.
«È l'una, ed Elspeth
ti sta aspettando di sotto.»
Il nome di lei gli
rinfrescò la memoria. Ecco cos'era successo: lui non l'amava
più. «Oh, Dio!» esclamò.
«Faresti meglio a
scendere da lei.»
Sì era innamorato di
Billie Josephson. Era questa la sciagura che avrebbe
sconvolto le vite di tutti e quattro: quella
di Elspeth, Billie,
Anthony, e la sua.
«Accidenti» mormorò,
alzandosi.
Si fece una doccia
fredda. Quando chiudeva gli occhi
vedeva Billie, i suoi
occhi scuri ed espressivi, le Labbra rosse che ridevano.
Indossò calzoni di flanella, maglione,
scarpe da tennis e
scese barcollando al piano di sotto.
Elspeth lo aspettava
nell'atrio, un salone spazioso con
un caminetto e comode
poltrone, l'unico ambiente dell'edificio in cui, a parte
alcune particolari occasioni chiamate
Ladies' Afternoon, erano ammesse le ragazze. Era stupenda come sempre, con un abito di lana color delle carnpanule e un grande cappello. Il giorno prima la vista di lei gli
avrebbe aperto il cuore; oggi, sapere che si era fatta bella
per lui lo fàceva sentire ancora più disonesto,
Quando lo vide, Eìspeth scoppiò a ridere. «Mi sembri
un bambino che non riesce a svegliarÀ!»
Luke la baciò sulla guancia e si lasciò cadere su una
poltrona. «Ci sono vOI ute ore per arrivare a Newport» si
giustificò.
«Evidentemente ti sei dimenticato che oggi dovevi portarmi fuori a pr~n.zo!» dissd lei con tono leggero.
La guardò: ~ra stupenda, e tuttavia lui non l'amava. Non
sapeva se era mai stato innamorato di lei> prima, ma era certò di nOn esserlo ora. Si sentiva un mascalzone della peggior
specie. Quel giorno Elspeth era cOsì allegra e lui avrebbe distrutto la sua felicità! Non sapeva come confessarglielo. Il
senso di vergogna gli causava quàsi un dolore al cuore.
Doveva dire qualcosa. «Possiamo rinunciare àl pranzo?
Non mi sono neppure fatto la barba.»
Un'ombra passò sul volto pallido e superbo di lei~ ave~
va capito che qualcosa non andava, ma la sua reazione fu
comunque spertsierata. «Certo» rispose. «I principi azzurri hanno bisogno di riposo per essere belli.»
Luke si ripromise che nel pomeriggio le avrebbe parlatO
serian~ente, e con la massima sincerità. «Mi dispiace che
tu Li si~ fatta bella per niente» commentò avvilito.
«Non per niente; dovevo Vedere te. inoltre, pare che ai
tuoi colleghi la mi ~ mise sia piaciuta.» Si alzò. «E, comunque, il professor Durkham e signora oggi danno un party~»
Luke sì alzò e l'aiutò a Indossare il cappotto. «Potrem~
mo vederci più tardi.» Doveva dirglielo al più presto, sarebbe stàto disonesto lasciar passare anche un solo giorno
senza cònféssarle la verità.
~<l3ene» rispose Elspeth tutta allegra «passa a prendermi
alle sei.» Gli lanciò un bacio e uscì come una star del cinema.
Luke sapeva che stava fingendo, ma era una brava ~ttrké.
Afflitto, tornò nella sua stànza. Anthony stava leggendo il giornale della domenica. «Ho fatto il caffè» gli disse.
«Grazie» fece Luke e se ne versò una tazza.
«Non so proprio come ririgraziarti» proseguì Anthohy.
«Ieri sera hai salvato la vita a Billie.>~
«Tu avresti fatto io stesso per me.» Luke bevve un sorso
di caffè e cominciò a sentirsi meglio. «Pare proprio che l'abbiarno scampata. Ti hanno detto qualcosa, stamattina?>~
«Assolutamente no. »
«Billie è una ragazza unica» proseguì Luke. Sapeva che
era pericc)los(~ parlare di l~l, ma non poteva farne a meno.
«E fantastica, vero?» convenne Anthony. Luke osservo
sgomento l'espressione orgogliosa del. compagno di caméra. «Continu~mvo a domandarmi: "Per quale ragione
nOn dovrebbe uscire con me?", ma non credevo che l'avrebbe fatto. Non so come mai, forse perché è così carina e
piena di vita. Quando mi ha detto di sì non riuscivo a crédere alle mie orecchie. Volevo chiederle di mettemmelo per
iscritto.'>
Le esagerazioni erano il modo di Anthony per essere
spiritOso e Luke si sforzò di sorridere, ma dentro di s~ era
costernato. Rubare la ragazza di un altro era comunque
un comportamento spregevole, ma il fatto che Anthony
fosse così pazzo di Billie rendeva le cose ancora peggiOri.
Luke si lasciò sfuggire un gemito. «Cosa c'è?» ~hie~e
Anthony.
Luke decise di dirgli una mezza vem~ità. <Nòn sono più
innamorato di Elspeth. Penso che do~vrei làsci~rìa.»
Anthony parve scioccato. «Peccato, voi due siete una
bella coppia.»
«Mi sentO un verme.»
«NOn ti colpevolizzare, succede, Non siete sposati... e
neppure fidan~a ti.»
«Non ufficiaJn~ente.»
«Le hai chiesto dì sposarti?» chiese Anthony marcando
le sopracciglia.
«No.»
«E allora non siete fidanzati, né ufficialmente né ufficiosamente.»
«Abbiamo parlato di quanti bambini ci piacerebbe
avere.»
«Non è un fidanzamento.»
«Immagino che tu abbia ragione, ma mi sento comunque un mostro.»
Bussarono alla porta: era un uomo che Luke non aveva
mai visto. «Mr Lucas e Mr Carroli, suppongo.» Era trasandato nel vestire ma aveva modi altezzosi, e Luke imma-
ginò che fosse un sorvegliante del college.
Anthony balzò in piedi. «Sì» rispose. «E lei deve essere
il dottor Uterus, il famoso ginecologo. Grazie per essere
venuto!»
Luke non rise: l'uomo teneva in mano due buste bianche e lui temeva di sapere cosa fossero.
«Sono il segretario del preside. Mi ha chiesto di consegnarvi queste personalmente.» L'uomo porse una busta a
ciascuno e se ne andò.
«Accidenti!» esclamò Anthony non appena la porta si
fu richiusa, e aprì la busta. «Maledizione!»
Luke aprì la propria e lesse la breve comunicazione in
essa contenuta.
Gentile Mr Lucas,
la prego di presentarsi nel mio studio alle tre di questo pomeriggio.
Distinti saluti,
Il Preside
Peter Ryder
Queste lettere significavano sempre guai. Qualcuno aveva riferito che la notte prima c'era una ragazza nel dormitorio. Probabilmente Anthony sarebbe stato espulso.
Luke non aveva mai visto il compagno di stanza spaventato - la sua disinvoltura sembrava incrollabile - ora,
però, era impallidito per lo choc. «Non posso tornare a casa» sussurrò. Non parlava quasi mai dei suoi genitori, ma
Luke si era fatto l'idea che avesse un padre prepotente e
una madre succube. Ora capì che la realtà poteva essere
persino peggiore. Per un attimo il volto di Anthony fu come una finestra spalancata sui suo inferno privato.
Si sentì di nuovo bussare alla porta e questa volta entrò
Geoff Pidgeo~, l'affabile compagnone che occupava la
stanza accanto. «Era il segretario del preside quello che ho
visto uscire?»
«Proprio così» rispose Luke sbandierando la lettera.
«Guarda che io non ho fatto parola con nessuno che ti
ho visto con quella ragazza.»
«Allora chi è stato?» chiese Anthony «L'unica spia qui
dentro è Jenkins.» Paul Jenkins era un fanatico bacchettone
che si era messo in testa di riformare i costumi degli studenti di Harvard. «Ma lui è andato via per questo weekend.»
«No, ha cambiato programma» disse Pidgeon.
«E allora dev'essere stato lui, che gli venga un colpo»
osservò Anthony. «Voglio strangolarlo con le mie mani
quel figlio di puttana.»
Luke si rese conto all'improvviso che se Anthony fosse
stato espulso Billie sarebbe stata libera, ma subito si vergognò per il proprio egoismo in un momento come quello, in
cui la vita del suo migliore amico stava per essere rovinata.
E poi capì che anche Billie avrebbe potuto trovarsi nei guai.
«Chissà se anche Elspeth e Billie sono state convocate?»
«E perché dovrebbero?» ribatté Anthony.
«Probabilmente Jenkins conosce il nome delle nostre ragazze, lui ha un interesse morboso per queste cose.»
«Se sa i loro nomi, possiamo stare sicuri che le ha denunciate» fece Pidgeon. «Lui è fatto così.»
«Elspeth non corre alcun pericolo. Lei non era qui e
nessuno può dimostrare il contrario, ma Billie potrebbe
essere espulsa e perderebbe la borsa di studio. Me l'ha
spiegato ieri sera. Non potrà più studiare in nessun'altra
università.»
«Non posso preoccuparmi anche di Billie io» affermò
Anthony. «I-lo già il mio bel daffare a pensare come cavarmela io.»
Luke era scioccato. Era stato Anthony a cacciare Billie
nei guai e avrebbe dovuto essere più preoccupato per lei
che per se stesso. Luke intravide un pretesto per parlare
con Billie e non resistette alla tentazione. «Quasi quasi vado al dormitorio delle ragazze a vedere se Billie è già tornata da Newport» annunciò, ignorando il senso di colpa.
«Davvero lo faresti?» chiese Anthony. «Grazie.»
Pidgeon uscì e Anthony si sedette sul letto a fumare,
scuro in volto. Luke si fece la barba velocemente e si cambiò d'abito, ma nonostante la fretta si vesti con cura, scegliendo una camicia azzurra, pantaloni nuovi di flanella e
la sua giacca preferita di tweed grigio.
Quando arrivò al dormitorio della Radcliffe erano le
due. L'edificio quadrangolare di mattoni rossi si sviluppava attorno a un piccolo parco dove passeggiavano coppie
di studenti. Era lì che aveva baciato Elspeth per la prima
volta, rif]etté mogio, la mezzanotte di un sabato, alla conclusione dei loro primo appuntamento. Odiava gli uomini
che cambiavano ragazza con la stessa facilità con cui cambiavano camicia, eppure ora si stava comportando proprio così, e non poteva farci nulla.
Una cameriera in uniforme lo fece entrare nell'atrio del
dormitorio. Chiese di vedere Billie. La cameriera sedette a
una scriVania, sollevò un portavoce come quelli usati sulle navi, soffiò nel microfono e annunciò: «Una visita per
Miss Josephson».
Billie scese subito. Indossava un golfino di cashmere
grigio tortora e una gonna a scacchi; benché turbata, era
incantevole. Luke avrebbe voluto prenderla tra le braccia
e consolarla. Anche lei era stata convocata nell'ufficio di
Peter Ryder, e l'uomo che le aveva consegnato la lettera
ne aveva lasciata una anche per Elspeth.
Lo fece accomodare nella sala per fumatori, unico posto
dove si potevano ricevere i visitatori maschi. «E ora cosa
faccio?» Aveva il volto teso per l'angoscia, sembrava una
vedova in gramaglie. Gli parve ancor più affascinante del
giorno prima. Avrebbe voluto rassicurarla, ma non riusci
va a trovare una via d'uscita. «Anthony potrebbe sostenere che c'era un'altra ragazza nella stanza, ma dovrebbe dichiararne l'identità.»
«Non so proprio cosa dirò a mia madre.»
«E se Anthony pagasse qualcuno... sai, una ragazza di
strada, per farle dire che si trattava di lei?»
Billie scosse la testa. «Non ci crederanno.»
«E Jenkins affermerà di non riconoscerla. È lui la spia
che vi ha denunciato.»
«La mia carriera è finita» dichiarò, poi aggiunse con un
sorriso amaro: «Sarò costretta a tornare a Dallas e fare da segretaria a un petroliere in cappellaccio e stivali da cowboy».
Appena ventiquattr `ore prima, Luke era stato un uomo
felice.., quasi non sembrava possibile.
Due ragazze in cappotto e cappello entrarono di corsa
ne] salotto, tutte eccitate. «Avete sentito la notizia?» chiese
una.
Luke scosse la testa. A lui non interessavano le notizie.
«Cos'è successo?» chiese Billie distrattamente.
«Siamo in guerra!»
«Cosa?!» esclamò Luke.
«E vero» disse la seconda ragazza. ~<I giapponesi hanno
bombardato le Hawaii!»
Luke faceva fatica a capire. «Le Hawaii? E perché mai?
Cosa c'è alle Hawaii?»
«Ma è vero?» chiese Billie, incredula.
«In strada non si parla d'altro. C'è pieno di gente.»
Billie guardò Luke. «Ho paura» disse.
Lui le afferrò la mano. Avrebbe voluto dirle che si sarebbe preso cura di lei qualunque cosa fosse accaduta.
Entrarono altre due ragazze che discutevano animatamente. Qualcuno portò giù una radio e attaccò la spina.
Ci fu un silenzio carico di tensione mentre aspettavano
che l'apparecchio si scaldasse. Poi udirono la voce dello
Speaker. "La corazzata Arizona è stata distrutta e l'Oklalioma è affondata. Le prime notizie da Pearì Harbor parlano
cli cento aerei americani distrutti al suolo nelle basi di
Ford Island, Wheeler Field e Hickam Field. Si calcola che
le vittime americane ammontino ad almeno duemila morti e mille feriti."
Luke provò un impeto di rabbia. «Duemila morti!»
ripeté.
Altre ragazze fecero il loro ingresso nella sala parlando
concitate e vennero bruscamente zittite. "Non c'è stato alcun preavviso all'attacco giapponese che è cominciato alle
sette e cinquantacinque, ora locale, poco prima dell'una
del pomeriggio sulla costa est" proseguì l'annunciatore.
«Questo significa guerra, non è vero?» chiese Billie.
«Ci puoi giurare» rispose Luke furioso. Sapeva che era
stupido e irrazionale odiare un intero popolo, ma era proprio quello che provava. «Vorrei poter radere al suolo l'intero Giappone.»
Lei gli strinse la mano. «Non voglio che tu vada in guerra» sussurrò, con gli occhi velati di lacrime. «Non voglio
che ti succeda qualcosa.»
Luke si sentì scoppiare il cuore. «Sono felice che tu pensi questo» disse con un sorriso mesto. «Il mondo sta andando in malora e io sono felice.» Guardò l'orologio.
«Suppongo che ci tocchi comunque andare dal preside,
anche se siamo in guerra.» In quel momento gli venne
un'idea e si bloccò.
«Cosa c'è?» chiese Billie.
«Forse c'è un modo perché tu e Anthony possiate restare a Harvard.»
«Quale?»
«Fammici pensare.»
Elspeth era nervosa, ma cercava di convincersi che non
aveva nulla da temere. Certo, la notte prima non aveva rispettato il coprifuoco, ma non era stata scoperta. Era quasi
sicura che la faccenda non riguardasse né lei né Luke. Erano Anthony e Billie a trovarsi nei guai. Elspeth conosceva
appena Billie, ma voleva bene a Anthony e aveva il terribile presentimento che sarebbe stato cacciato dall'università.
Si ritrovarono tutti e quattro davanti allo studio del preside. «Ho un piano» disse Luke, ma prima che potesse
proseguire~ la porta dello studio si aprì e vennero fatti accomodare. Luke ebbe solo il tempo di dire: «Lasciate parlare me».
Peter Ryder era un uomo puntiglioso e all'antica. Indossava gilet e giacca nera sopra calzoni grigi gessati. Il
farfallino era annodato alla perfezione, le scarpe brillavano e i capelli impomatati ricordavano pennellate di pittura nera su un uovo sodo. Insieme a lui c'era una zitella
con i capelli grigi, Iris Rayford, responsabile della condotta morale delle studentesse della Radcliffe.
Sedettero in cerchio. Il preside si accese una sigaretta.
«Dunque. Voi ragazzi fareste meglio a dire la verità, come
si addice a dei veri gentiluomini» esordì. «Cos'è successo
nella vostra stanza, ieri sera?»
Anthony ignorò la domanda e reagì come se avesse la
situazione in pugno. «Dov'è Jenkins?» chiese brusco. «È
lui che ha fatto la spia, non è vero?»
«A questo incontro non sarà presente nessun altro» rispose Mr Ryder.
«Ma un uomo ha diritto al confronto con il proprio accusatore» continuò Anthony.
«Qui non siamo in tribunale, Mr Carrolì. Miss Rayford
e io siamo stati incaricati di stabilire i fatti. Le misure disciplinari, se necessarie, verranno decise a tempo debito.»
«Non sono convinto che questo sia accettabile» insistette Anthony, altezzoso. «Jenkins dovrebbe essere qui.»
Elspeth capì a cosa mirava. Sperava che Jenkins fosse
troppo spaventato per ripetere le sue accuse davanti a lui.
Se le cose fossero andate così, la presidenza del college
avrebbe potuto lasciar cadere la questione. Non pensava
che avrebbe funzionato, ma valeva la pena di tentare.
Ma Luke troncò la discussione sul nascere. «Adesso basta» disse con un gesto d'impazienza, poi si rivolse al preside. «Signore, la notte scorsa ho portato una donna nel
dormitorio.»
Elspeth si lasciò sfuggire un'esclamazione di sorpresa.
Cosa stava dicendo?
Mr Ryder aggrottò la fronte. «A me risulta che sia stato
Mr Carrolì a invitare una donna»
«Temo che lei sia stato male informato, signore.»
«Ma non è vero!» sbottò Elspeth.
Luke le lanciò un'occhiata che la raggelò. «A mezzanotte Miss Twomey si trovava nel suo dormitorio, come dimostrerà il registro della direttrice.»
Elspeth lo guardò allibita. Ovvio che il registro lo avrebbe confermato, visto che un'amica aveva contraffatto la sua
firma. Capì che avrebbe fatto meglio a stare zitta, prima di
cacciarsi nei guai. Ma cosa aveva intenzione di fare Luke?
Anthony si chiedeva la stessa cosa. «Luke, io non so cosa
tu stia facendo, ma...» obiettò, guardandolo con espressione confusa.
«Lasciami spiegare» disse Luke, e poiché Anthony sembrava ancora perplesso, aggiunse: «Ti prego».
Anthony si strinse nelle spalle, rassegnato.
«Proceda pure, Mr Lucas. Non vedo l'ora di ascoltare»
lo invitò il preside, sarcastico.
«Ho incontrato la ragazza al Dew Drop mn» attaccò
Luke.
Miss Rayford aprì bocca per la prima volta. ~<Il Dew
Drop mn?» disse, incredula. «È uno scherzo?»
«No.»
«Continui, Mr Lucas.»
«Lavora lì come cameriera. Si chiama Angela Carlotti.»
Era chiaro che il preside non credeva a una sola parola.
«Mi è stato riferito che la persona vista a Cambridge House
ieri sera era Miss Bilha Josephson.»
«No, signore» ribatté Luke con lo stesso tono perentorio. «Miss Josephson è una nostra amica, ma ieri sera era
fuori città. Ha passato la notte a casa di un parente, a
Newport, nel Rhode Island.»
«E questo parente può confermarlo?» domandò Miss
Rayford, rivolta a Billie.
Billie lanciò un'occhiata perpiessa a Luke e poi rispose:
«Sì, Miss Rayford».
Elspeth osservava Luke. Aveva davvero intenzione di
sacrificare la propria carriera per salvare Anthony? Era
pazzesco! Luke era una persona leale, ma stava esagerando con l'amicizia e la lealtà!
«Può dimostrare l'esistenza di questa... cameriera?»
chiese il preside, pronunciando la parola "cameriera" con
disgusto, quasi stesse dicendo "prostituta".
«Sì, signore.»
«Molto bene.»
Elspeth era allibita. Luke aveva offerto dei soldi a una
ragazza perché fingesse di essere lei la colpevole? Non
avrebbe mai funzionato. Jenkins avrebbe giurato che si
trattava della ragazza sbagliata.
«Ma non ho intenzione di tirarla dentro a questa faccenda» aggiunse Luke.
«Ah» fece Mr Ryder «in questo caso, mi risulta difficile
accettare la sua versione.»
A questo punto Elspeth era davvero perplessa: Luke
aveva raccontato una storia poco plausibile e non aveva
modo di confermarla. Dove voleva arrivare?
«Non credo che la testimonianza di Miss Carlotti sarà
necessaria.»
«Non sono affatto d'accordo, Mr Lucas.»
E allora Luke lasciò cadere la bomba: «Ho intenzione di
lasciare il college questa sera stessa, signore».
«Luke!» esclamò Anthony.
«Non le servirà a nulla andarsene prima di essere cacciato» disse Mr Ryder. «Ci sarà comunque un'inchiesta.»
«Il nostro paese è in guerra.»
«Lo so, giovanotto.»
<dntendo arruolarmi nell'esercito domattina, signore.>~
<(No!» gridò Elspeth.
Per la prima volta il preside non sapeva cosa dire. RiIflase a fissare Luke a bocca aperta.
Elspeth si rese conto che Luke era stato molto furbo. Il
college non poteva promuovere un'azione disciplinare nei
confronti di un giovane che rischiava la propria vita per il
paese, E se non ci fosse stata alcuna inchiesta, Billie era
salva.
Un velo di disperazione le oscurò la vista. Luke aveva
sacrificato tutto per lei.
Era possibile che Miss Rayford pretendesse comunque
una testimonianza dal cugino di Billie, e lui avrebbe sicuramente mentito. Il punto era che la Radcliffe non poteva
certo chiedere che Billie dimostrasse l'esistenza di questa
Angela Carlotti.
Al momento, però, a Elspeth non interessava niente di
tutto questo. Riusciva solo a pensare che aveva perso Luke.
Ryder borbottò qualcosa a proposito di un rapporto e
che avrebbe lasciato decidere ad altri. Miss Rayford si diede un gran daffare per prendere nota dell'indirizzo del
cugino di Billie. Ma era tutta una farsa. Erano stati giocati,
e lo sapevano.
Alla fine, gli studenti vennero congedati.
Non appena fuori della porta, Billie scoppiò in lacrime.
«Non partire, Luke!»
«Mi hai salvato la vita» disse Anthony, abbracciandolo
«non lo dimenticherò mai. Mai.» Si staccò da lui e prese
Billie per una mano. «Non ti preoccupare» la tranquillizzò
«Luke è troppo furbo per farsi uccidere.»
Luke si voltò verso Elspeth e, incontrando il suo sguardo, trasalì. Lei capì che la propria collera doveva essere
evidente, ma non le importava. Lo fissò per lunghi attimi,
poi sollevò la mano e gli diede uno schiaffo violentissimo.
Luke si lasciò sfuggire un'esclamazione di dolore e sorpresa.
«Maledetto bastardo» disse Elspeth.
Quindi gli voltò le spalle e se ne andò.
13.00.
Ogni Baby Sergeant misura I metro e 20 di lunghezza e 15 centimetri di diametro, per un peso di 26 chili. Il suo motore funziona solo per 6 secondi e mezzo.
Luke era in cerca di una zona residenziale tranquilla.
Washington gli risultava del tutto estranea, come se non
vi fosse mai stato prima. Allontanandosi dalla Union Station aveva scelto una direzione a caso, puntando verso
ovest. La strada lo aveva portato verso il centro cittadino,
un'area fitta di imponenti edifici governativi che offriva
scorci straordinari. Forse era una bella città, ma tutto
quello sfoggio di potenza e ricchezza lo intimidiva. Sapeva che se avesse proseguito in linea retta, prima o poi sarebbe arrivato in un'area occupata da case e famiglie più
normali.
Attraversò un fiume e si trovò in un quartiere tranquillo e ordinato con stradine strette bordate di alberi. Passò
davanti a un edificio la cui insegna diceva CEORGETOWN
MIND HOSPITAL e immaginò che quella zona si chiamasse
Georgetown. Svoltò in una strada alberata occupata da
abitazioni modeste. Promettente. Le persone che vivevano lì non potevano permettersi della servitù fissa e quindi
c'erano buone possibilità di trovare una casa vuota.
Dietro una curva la strada finiva bruscamente contro il
muro di un cimitero. Luke parcheggiò la Ford con il muso
rivolto verso la direzione da cui era arrivato, così da poter
ripartire in tutta fretta se fosse stato necessario.
Gli occorreva qualche attrezzo, uno scalpello o un cacciavite e un martello. Era probabile che ci fosse una cassetta dei
ferri nel bagagliaio, ma era chiuso a chiave. Se avesse trovato un pezzo di fu di ferro avrebbe potuto forzarlo. Altrimenti sarebbe stato costretto a cercare un negozio di ferramenta
dove procurarsi in qualche modo ciò che gli serviva.
Allungò un braccio verso il sedile posteriore e prese la
valigia. Frugando tra gli abiti trovò un fascicolo contenente dei documenti. Prese una graffetta metallica che teneva
insieme alcuni fogli e richiuse la valigia.
Gli bastarono trenta secondi per aprire il bagagliaio.
Come sperava trovò degli attrezzi in una scatola di metallo vicino al cric. Scelse il cacciavite più grande. Non c'erano martelli, ma prese una pesante chiave inglese che face-
va perfettamente al caso suo. Si infilò tutto nella tasca del
giaccone logoro e richiuse il baule.
Prese la valigia, chiuse la portiera e si avviò oltre la
curva. Era consapevole di dare nell'occhio, un barbone vestito di stracci che se ne andava a spasso in un quartiere xi~
spettabile con una valigia costosa. Se l'inevitabile ficcanaso
avesse chiamato i poliziotti, e quella mattina loro non avessero avuto molto da fare, si sarebbe trovato nei guai nel giro di pochi minuti. D'altro canto, se tutto andava liscio, in
mezz'ora lui si sarebbe lavato, sbarbato e vestito come un
cittadino perbene.
Puntò verso la prima casa della strada. Attraversò il
giardinetto sul davanti e bussò alla porta.
Rosemary Sims vide una bella auto bianca e blu passare
lenta davanti a casa e si chiese di chi fosse. I Browning potevano aver comperato una macchina nuova. Avevano un
sacco di soldi, quelli. Oppure apparteneva a Mr Cyrus,
che essendo scapolo non era costretto a fare economie. In
caso contrario, rifletté, doveva trattarsi di un forestiero.
Aveva ancora gli occhi buoni, e dalla comoda poltrona
sistemata davanti alla finestra del primo piano riusciva a
vedere quasi tutta la strada, specialmente in inverno,
quando gli alberi erano spogli. Così lo notò subito, appena uscì dalla curva del cimitero. Era un tipo strano: senza
cappellO~ giaccone strappato, scarpe tenute insieme con lo
spago. Però aveva una bella valigia nuova.
L'uomo si diresse verso la porta di Mrs Britsky e bussò.
Era vedova e viveva sola, ma non era una sprovveduta...
si sarebbe subito sbarazzata di un estraneo, Mrs Sims lo
sapeva. Infatti, Mrs Britsky comparve dietro il vetro della
finestra e con gesto perentorio gli intimò di andarsene.
Allora l'uomo si fermò alla casa accanto e bussò da Mrs
Loew. Lei aprì. Era una donna alta, con i capelli scuri, un
po' troppo arrogante per i gusti di Mrs Sims. Scambiò
qualche parola con l'intruso ma poi gli sbatté la porta in
faccia.
L'uomo passò alla casa dopo, sembrava intenzionato a
farsi tutta la strada. Jeannie Evans venne ad aprire con la
piccola Rita in braccio. Frugò nella tasca del grembiule e
gli diede qualcosa, probabilmente qualche spicciolo. Allora era un mendicante.
L'anziano Mr Clark venne alla porta in accappatoio e
pantofole di stoffa. Da lui l'estraneo non ottenne nulla.
Il proprietario della casa seguente, Mr Bonetti, era al lavoro e sua moglie Angelina, incinta di sette mesi, era uscita
pochi minuti prima con la borsa a rete, evidentemente per
fare la spesa. Lì, il forestiero non avrebbe trovato nessuno
A quel punto Luke aveva avuto il tempo necessario per
osservare le porte d'ingresso, tutte uguali, dotate di serrature Yale del tipo con un chiavistello sul lato della porta e
una piastra di bloccaggio in metallo fissata nello stipite.
La serratura si apriva da fuori con una chiave e da dentro
con un pomello.
Ogni porta aveva una finestrella di vetro scuro ad altezza d'occhi. Per entrare sarebbe stato sufficiente rompere il
vetro, infilare un braccio all'interno e girare il pomello.
Ma una finestrella rotta sarebbe stata perfettamente visibile dalla strada. Decise di usare il cacciavite.
Lanciò un'occhiata in entrambi i lati della strada. Era
stato sfortunato: aveva dovuto bussare a cinque porte prima di trovare una casa vuota, e poteva aver già attirato
l'attenzione di qualcuno, anche se non aveva visto nessuno in giro. Comunque, non aveva altra scelta: era un rischio che doveva correre.
Mrs Sims si scostò dalla finestra e sollevò la cornetta del
telefono che si trovava accanto alla poltrona. Lentamente,
con attenzione, compose il numero della locale stazione di
polizia, che conosceva a memoria.
Luke doveva agire in fretta.
Inserì la punta del cacciavite tra la porta e lo stipite, all'altezza della serratura. Poi, con la testa della chiave inglese, assestò un colpo al manico del cacciavite, cercando
di infilare lo stelo nella placca metallica dello stipite.
Il primo colpo non riuscì a smuovere il cacciavite, che
era incastrato contro l'acciaio. Luke lo spostò leggermente, cercando di trovare un punto migliore. Diede un altro
colpo con la chiave inglese, questa volta più forte, ma il
cacciavite non voleva saperne di entrare nella sede. Nonostante il freddo, Luke aveva la fronte imperlata di sudore.
Si impose di restare calmo. Aveva già fatto altre volte
cose del genere. Quando? Non ne aveva idea, ma adesso
non era importante. La tecnica funzionava, ne era certo.
Inserì meglio il cacciavite. Questa volta gli parve di far
presa contro qualcosa. Lo colpì di nuovo, con quanta forza aveva. La punta affondò di qualche centimetro.
Luke fece leva sul manico, spostando il chiavistello fuori
dalla placca. Con suo grande sollievo la porta si aprì verso
l'interno.
Il danno allo stipite era minimo, troppo piccolo per poter essere visto dalla strada.
Entrò velocemente e si richiuse la porta alle spalle.
Quando Rosemary Sims ebbe finito di comporre il numero, guardò di nuovo fuori dalla finestra, ma il forestiero era scomparso.
Aveva fatto in fretta.
L'operatore della polizia rispose. Confusa, Mrs Sims
riattaccò senza dire una parola.
Perché aveva smesso di bussare alle porte? Dov'era
sparito? Chi era?
Mrs Sims sorrise. Aveva qualcosa a cui pensare per occupare la giornata.
Era la casa di una giovane coppia, arredata con un miscuglio di regali di nozze e cianfrusaglie. In soggiorno c'erano un divano nuovo e un grosso televisore, ma in cucina
usavano ancora cassette da frutta sovrapposte per riporre
le stoviglie. Sul termosifone dell'ingresso c'era una busta
ancora chiusa indirizzata a Mr G. Bonetti.
Nessuna traccia di bambini. Probabilmente sia il marito
sia la moglie lavoravano e sarebbero rimasti fuori tutto il
giorno, ma non poteva contarci.
Salì al piano superiore. C'erano tre camere, ma una sola
era arredata. Gettò la valigia sul letto e l'aprì. All'interno
trovò un gessato blu piegato con cura, alcune camicie e una
cravatta dal disegno classico a righe oblique. C'erano anche delle calze scure, biancheria pulita e un paio di scarpe
nere perfettamente lucidate che gli parvero solo di mezzo
numero più grandi.
Si tolse gli abiti sudici e con un calcio li gettò in un angolo. Gli faceva una strana impressione trovarsi nudo in
casa di estranei. Pensò di lasciar perdere la doccia, ma
puzzava troppo.
Attraversò il piccolo pianerottolo, diretto verso il bagno. Fu una sensazione fantastica starsene sotto l'acqua
calda e insaponarsi tutto il corpo. Quando uscì rimase immobile per un attimo, in ascolto. La casa era silenziosa.
Si asciugò con uno dei teli da bagno di Mrs Bonetti - un
altro regalo di nozze, pensò -, poi indossò mutande, pan-
taloni, calze e scarpe. Se qualcosa fosse andato storto
mentre si faceva la barba, essere mezzo vestito avrebbe
accelerato la sua fuga.
Mr Bonetti usava il rasoio elettrico, ma Luke preferiva
quelli a lametta. Nella valigia trovò un rasoio di sicurezza
e un pennello. Si insaponò il viso e si rase in fretta.
Mr Bonetti non aveva acqua di colonia, ma forse ce n'era una boccettina in valigia. Dopo aver puzzato come
caprone per tutta la mattina, a Luke piaceva l'idea di pro.
fumare di buono. Trovò un nécessaire di pelle e lo apri.
Niente acqua di colonia, ma cento dollari in biglietti da
venti accuratamente piegati: denaro per le emergenze.
li mise in tasca, ripromettendosi di rimborsare il proprietario, un giorno o l'altro. Dopotutto, quel tale non era
coilaborazionista.
Cosa diavolo voleva dire? Un altro mistero.
Indossò una camicia bianca, cravatta e giacca. Gli andavano quasi a pennello: era stato ben attento a scegliere una
vittima che avesse la sua stessa corporatura. Gli abiti
di buona qualità. Sulla targhetta della valigia c'era un indirizzo di Central Park South, New York. Luke immaginò che
il proprietario fosse un pezzo grosso di qualche grande industria venuto a Washington per un incontro di lavoro.
Dietro la porta della camera da letto c'era uno specchio
a figura intera. Non si era più guardato allo specchio dall'alba, nel gabinetto della Union Station, quando era rimasto scioccato nel vedere quel sudicio barbone che lo fissava stralunato.
Luke si preparò al peggio.
Invece vide un uomo alto e prestante sui trentacinque
anni, con capelli neri e occhi azzurri: una persona normale, forse con l'espressione un po' turbata. Provò un senso
di sollievo.
Che lavoro fa una persona come questa? si chiese.
Aveva le mani morbide e, ora che erano pulite, non
sembravano più quelle di un manovale. Il viso era di una
persona che non lavora all'aria aperta, che non passa molto tempo esposto alle intemperie, e poi aveva un buon tagliO di capelli. L'uomo nello specchio sembrava perfettamente a proprio agio negli abiti di un dirigente d'azienda.
Di sicuro non era un poliziotto.
Nella valigia non c'erano ne cappello né cappotto. Luke
sapeva che senza avrebbe dato nell'occhio, in quella fredda
giornata di gennaio. Pensò che forse poteva trovare qualcosa lì in casa. Valeva la pena perdere qualche minuto.
Aprì l'armadio. Dentro non c'era molto. Mrs Bonetti
aveva tre vestiti. Il marito possedeva una giacca sportiva
per il weekend e un abito nero che, probabilmente, metteva per andare a messa la domenica. Niente cappotto - Mr
Bonetti non poteva permettersene due, e sicuramente uno
doveva averlo addosso quel giorno -, ma c'era un impermeabile leggero. Luke lo staccò dalla gruccia e lo indossò.
Era una taglia in meno della sua, ma meglio di niente.
Nell'armadio non vide neppure cappelli, ma un berretto
di tweed, forse da indossare con la giacca sportiva. Luke lo
provò. Era troppo piccolo. Avrebbe dovuto comperame uno
con i soldi trovati nel nécessaire, ma per ora poteva andare.
Sentì un rumore al pianterreno. Si immobilizzò e rimase in ascolto.
«Cos'è successo alla porta d'ingresso?» disse una voce
giovane di donna.
«Sembra che qualcuno abbia cercato di forza ria!» rispose un'altra voce, simile alla prima.
Luke imprecò tra sé. Era rimasto nella casa troppo a
lungo.
«Accidenti, credo proprio che tu abbia ragione!»
«Forse dovresti chiamare la polizia.»
Evidentemente Mrs Bonetti non era uscita per andare al
lavoro ma per fare la spesa. Al negozio aveva incontrato
un'amica e l'aveva invitata a casa a prendere un caffè.
«Non saprei... sembra che i ladri non siano riusciti a
entrare»
«Come fai a dirlo? Sarà meglio che controlli se hanno
rubato qualcosa.»
Luke capì che doveva andarsene da lì in fretta.
«Cosa c'è da rubare? I gioielli di famiglia?»
«Il televisore?»
Luke aprì la finestra della camera da letto e guardò giù
nel giardino sul davanti della casa: ne alberi ne pluviali
dai quali calarsi fino a terra.
«Non hanno toccato nulla» sentì che diceva Mrs Bonetti. «Non credo proprio che siano entrati.»
«E il piano di sopra?»
Senza fare rumore, Luke attraversò il ballatoio ed entrò
in bagno. Assolutamente niente sul retro della casa, solo
un pericoloso salto verso il patio in pietra.
«Vado a dare un'occhiata.»
«Non hai paura?»
Si udì una risatina nervosa. «Sì, ma cos'altro posso fare?
e
~ai che figura da stupide se chiarnassimo la polizia e non
ci fosse nessuno...»
Luke udì rumore di passi sulle scale. Si nascose dietro
la porta del bagno.
I passi salirono fino in cima, attraversarono il ballatoio
ed entrarono in camera da letto. Mrs Bonetti lanciò un piccolo urlo.
«Di chi è quella valigia?» chiese la voce dell'amica.
«Non l'ho mai vista prima d'ora!»
Luke scivolò silenzioso fuori dal bagno. Da lì vedeva la
porta della camera aperta, ma non le due donne. Scese le
scale in punta di piedi, ringraziando il cielo per il rivestimento di moquette.
«Che genere di ladro si porta dietro il bagaglio?»
«Io chiamo la polizia. Ho paura.»
Luke aprì la porta d'ingresso e uscì.
Sorrise. Ce l'aveva fatta.
Richiuse piano e si allontanò a passo svelto.
Mrs Sims era perpiessa. L'uomo che stava uscendo
la casa dei Bonetti indossava l'impermeabile nero di M
Bonetti e il berretto che usava quando andava a vedere
partite dei Redskins, ma questo era più robusto di lui e gli
abiti non gli andavano del tutto giusti.
Lo osserva venire lungo la strada e svoltare l'angolo.
Avrebbe dovuto tornare indietro: la strada finiva. Un attimo dopo, da dietro l'angolo sbucò a gran velocità la stessa
auto bianca e blu che aveva notato prima. Si rese conto
che l'uomo uscito dalla casa era il mendicante che prima
aveva visto passare di porta in porta. Doveva essersi introdotto in casa dei Bonetti e aver rubato degli abiti!
Mentre l'auto sfrecciava davanti alla sua finestra, Mrs
Sims lesse il numero di targa e lo memorizzò.
13.30.
I razzi Sergeant hanno superato 300 prove statiche, 50 test di
volo e 290 prove di accensione senza un solo insuccesso.
Anthony sedeva nella sala riunioni, nervoso e impaziente.
Luke era ancora in giro per Washington, libero, e nessuno sapeva cosa avrebbe potuto combinare. Lui invece era
bloccato lì, ad ascoltare un burocrate del Dipartimento di
Stato sproloquiare sulla necessità di contrastare i ribelli che
si stavano ammassando sulle montagne di Cuba. Anthony
sapeva tutto su Fidel Castro e Che Guevara. Avevano meno di mille uomini al loro comando. Certo, si poteva spazzarli via, ma non ce n'era motivo: se Castro fosse stato ucciso, qualcun altro avrebbe subito preso il suo posto.
Anthony voleva solo uscire di lì e mettersi a cercare Luke.
Lui e i suoi uomini avevano contattato quasi tutte le
stazioni di polizia dell'area metropolitana di Washington,
chiedendo di essere informati nel dettaglio su qualsiasi
incidente che vedesse coinvolti alcolizzati o barboni, o su
reati di qualunque genere commessi da un uomo che si
esprimeva con il linguaggio di un professore universitario, e, comunque, su ogni evento fuori dell'ordinario. ipoliziotti erano felicissimi di collaborare con la Cia: l'idea di
essere coinvolti in un'operazione di spionaggio internazionale era troppo eccitante.
L'uomo del Dipartimento di Stato finì il suo sproloquio
e iniziò la discussione. Anthony sapeva che l'unico modo
per evitare che un personaggio come Castro si impadronisse del potere era che gli Stati Uniti appoggiassero un
governo moderato e riformista. Fortunatamente per i comunisti, questo pericolo non sussisteva.
La porta si aprì e Pete Maxell sgattaiolò dentro. Fece un
cenno di scuse in direzione di George Cooperman, che
presiedeva la riunione, e andò a sedersi accanto a
Anthofly Gli consegnò un fascicolo contenente alcuni rapporti di polizia.
Erano accadute cose insolite praticamente in ogni distretto. Una bella donna arrestata per borseggio al lefferson
Mernorial era poi risultata essere un uomo; allo zoo alcuni
beatnik avevano tentato di aprire una gabbia per liberare
un'aquila; un uomo di Wesley Heights aveva cercato di
soffocare la moglie con una pizza al formaggio; un camion
appartenente a una càsa editrice di testi religiosi aveva perso il suo carico a Petworth e il traffico lungo Georgia Ave-
nue era rimasto bloccato da una valanga di bibbie.
Era possibile che Luke avesse lasciato Washington, ma
Anthony lo riteneva improbabile. Luke non aveva denaro
per acquistare un biglietto del treno o dell'autobus. Poteva rubarlo, certo, ma perché avrebbe dovuto farlo? Non
aveva dove andare. Sua madre viveva a New York, la sorella a Baltimora, ma ora lui non lo ricordava. Non aveva
alcun motivo di spostarsi.
Mentre Anthony scorreva velocemente i rapporti, ascoltava con orecchio distratto il suo capo, Carì Hobart, parlare dell'ambasciatore americano a Cuba, Earl Smith, il quale aveva lavorato senza tregua per screditare capi religiosi
e leader politici che volevano riformare Cuba con metodi
pacifici. A volte Anthony si chiedeva se Smith non fosse in
realtà un agente del Cremlino. Forse era semplicemente
uno stupido.
Uno dei rapporti di polizia attirò la sua attenzione. Lo
mostrò a Pete. «E vero?» sussurrò, incredulo.
Pete annuì. «Un barbone ha aggredito un agente di pattuglia tra A Street e la Seventh.»
«Un barbone ha picchiato un poliziotto?»
«E non è molto lontano dal punto in cui abbiamo perso
Luke.»
«Potrebbe trattarsi di lui!» esclamò Anthony eccitato.
Cari Hobart, che stava ancora parlando, gli lanciò un'oc.
chiataccia. Anthony ridusse la voce a un bisbiglio. «Ma
perché avrebbe dovuto aggredire un agente? Gli ha ruba~
to qualcosa, magati la pistòla?»
«Noi ma lo ha conciato per le feste. L'agente è stato portato all'ospedale per una frattura all'indice della mano
destra.»
Anthony avverti come una scossa.. «13, lui!» esclamò a
voce alta.
«Insòmma!» sbottò Cari Hobart.
«Anthony» si intromise George Cooperman «chh~di
quella cazzo di bòcca o vai fuori a parlare, d'accordò?»
Anthony si alzò. «Scusa, Geòrge. Torno sùbito.» Usci dalla sala, seguito da Pete. «È lui» ripeté non appena la porta si
fu richiusa. «Era la sua firìnà1 durante la guefta. Lo
sempre con agl.ì agenti della Gestapo; gli spezzava il dito
del grilietto.»
«Come fa a saperlo?» chiese Pete sorpreso.
Anthony si rese conto di aver commesso un errore madornale. Pete credeva che Luke fosse un diplomatico vitti~
ma di uil esaurimento nervoso e lui non gli aveva mai còn~
fessato di conoscerlo personalmente. Si màledisse per
propria sbadataggine. «Non ti ho raccontato tutto» ammise costringèndosi a adoitate un tono indifferente. «Ho lavorato con lui nell'Os~.»
Pete aggrottò La fronte. «E dopo la guerra è diventato ~
diplomatico» concluse, guardando Anthony con esptesSiò~
ne scaltrà. <~Nori si tratta solo di problemi coniugali, giustoTh
«No, sono sicuro che c'è sotto qualcosa di più serio.>~
Pete accettò la spiegàziòne. «Sembrerebbe un tipò spietato, j er rompere il dito a una persOna, così a sangue freddo.
«Spietato?» Anthony non aveva mai pensato a Luke in
quei termini; certo, aveva un carattere molto risoluto. ~<Sì,
suppongo che lo fosse> in fondo.» Aveva rimediato all'errore, pensò con sollievo. Ma doveva ancora trovare Luke.
«Quando è avvenuta la ris~a?»
«Alle nOve e mezzo.»
«i)iamnine, più di quattro ore fa. Al momento potrebbe
trovarsi ovunque.»
«Cosa facciamo?»
«Manda un paio di uomini giù in A Street a mostrate in
giro la foto di Luke e vedi se riescono a trovare qualche
indica~ìone su dove può essere andato. E va' a parlare con
quel poliziotto.»
«D'accordo.»
«Se scopri qualcOsa non farti problerrii a interrompere
questa stupida rltmiòne.»
«Capito.»
Anthon~ rientrò. George Coopermnan> il suo co.rn.militone del tempo di guerra, stava dicendo spazientito: «Dovreùimo mni~ndare laggiù un gruppetto di duri delle Forze
speciali. Spazzerebbero via Castro e il suo esercito di
straccioni in meno di due giorni».
«Ma riusciremmno a tener segreta l'operaziOne?» chiese
l'uomo del Dipartimento di Stato, chiaramente ~reoccupato.
«No» rispose George «però potremmo farlo passare per
un conflitto locale, come ~ successo con l'Iran e il Guatemala.»
«Perdonate se la mia è una domanda ingenua» li interruppe CarI Hobart. «Perché teniamo segreto quello che
abbiamo fatto in iran e Guatemala?»
«Perché non vogliamo pubblicizzare i nostri metodi, è
ovvio» risposé l'uomo del Dipartimento dì Stato.
«Scusatemi, ma è una cosa molto stùpida» ribatté Hobart. «j russi sanno che siamo stati hoi. In Iran e Guatemala sanno che siamo stati noi. In Europa persino i giornali
hanno scritto a chiare lettere che siamo stati noi! Non c'è
cascato nessuno, tranne gli americani. Perché dovremmo
mentire a loro?»
George rispose con crescente irritazione. «Se si venisse..
ro a sapere tutti i retroscena, ci sarebbe un'interrogazione
al Congresso. Quei fottuti di politici comincerebbero a
chiedere se ne avevamo il diritto, se era legale e cosa ne è
stato dei poveri contadini iraniani e di quei mangiabanane di sudamericani.»
«Forse non sono poi domande così sbagliate» insistette
Hobart, ostinato. «Abbiamo davvero fatto la cosa giusta
in Guatemala? Non c'era molta differenza tra il regime di
Armas e un gruppo di gangster.»
George perse la pazienza. «Ora basta!» urlò. «Non siamo qui per dar da mangiare agli iraniani che muoiono di
fame né per garantire le libertà civili agli zappaterra del
Sudamerica, perdio! Il nostro compito è quello di tutelare
gli interessi americani... E `fanculo la democrazia!»
Ci fu un attimo di silenzio, poi CarI Hobart disse: «Grazie, George, sono felice che tu abbia infine chiarito questo
punto».
14.00.
Il sistema di accensione dei Sergeant è costituito da due terminali elettrici e da un rotolo di gelatina esplosiva contenuto in un involucro di plastica. È cos? sensibile che se una tempesta elettrica
si avvicina a meno di venti chilometri da Cape Canaveral è necessario isolano per evitare un `acc~'nsione accidentale.
In un negozio di abbigliamento per uomo di Georgetown Luke comperò un cappello grigio e un cappotto blu
scuro. Li indossò e uscì, sentendo finalmente di poter
guardare il mondo negli occhi.
Ora era pronto ad affrontare i suoi problemi. Prima di
tutto doveva farsi un'idea sui meccanismi della memoria.
Voleva conoscere le cause dell'amnesia, se ne esistevano
tipi diversi e quanto poteva durare. E, cosa ancora più importante, voleva informazioni sulle possibili cure.
Dove si potevano reperire queste informazioni? In una
biblioteca. Come si faceva a trovare una biblioteca? Si consultava una cartina. Se ne procurò una a un'edicola vicina
al negozio di abbigliamento. Segnata in bella evidenza
c'era la Central Public Library, all'intersezione tra New
York Avenue e Massachusetts, dall'altra parte della città.
Prese la macchina e vi si diresse.
Era un grandioso edificio in stile neoclassico che si ergeva sopra il livello della strada come un tempio greco.
Sul frontone, sopra l'ingresso ornato da colonne, erano incise le parole: SCIENZA POESIA STORIA.
Giunto in cima alla scalinata, Luke provò una leggera
esitazione, poi si disse che ora era un normale cittadino ed
entrò.
Gli effetti del suo nuovo aspetto furono subito evidenti,
Una bibliotecaria dai capelli grigi seduta dietro il bancone
si alzò in piedi tutta premurosa e gli chiese: «In cosa posso
esserle utile, signore?».
Luke provò un enorme sollievo nel vedersi trattare con
gentilezza. «Vorrei consultare dei libri sulla memoria.»
«Sono nella sezione psicologia» disse la donna. «Se vuole
seguirmi, le mostro dov'è.» Gli fece strada su per una larga
scala che saliva al piano superiore e indicò un angolo.
Luke guardò i volumi sullo scaffale. C'era un'infinità di
testi sulla psicoanalisi, sullo sviluppo infantile e sulla percezione, nessuno dei quali gli poteva essere di qualche
utilità. Tirò fuori un grosso tomo intitolato Il cervello umano e lo sfogliò, ma non diceva molto sulla memoria, e quel
poco sembrava troppo tecnico per lui. C'erano delle equazioni e una certa quantità di dati statistici che non ebbe
difficoltà a comprendere, ma il resto presupponeva una
conoscenza della biologia umana che lui non possedeva.
Gli cadde l'occhio su un libro dal titolo Introduzione alla
psicologia della memoria di Bilha Josephson. Questo sembrava più promettente. Lo tirò fuori e trovò un capitolo
sui disturbi della memoria. Lesse:
La comune condizione nella quale il paziente "perde la memoria" è nota come "amnesia globale".
Luke si sentì euforico: allora non era l'unico!
Questo paziente non ricorda la propria identità e non è in
grado di riconoscere i propri genitori o i figli, ma rammenta
molte altre cose. E capace di guidare un'auto, cli parlare lingue
straniere, di smontare un motore, di citare il nome del primo
ministro del Canada. Questa condizione potrebbe essere definita con maggior precisione "amnesia autobiografica".
Esattamente ciò che era accaduto a lui. Era in grado di
capire se qualcuno lo seguiva e di far partire un'auto senza la chiave.
La dottoressa Josephsofl passava poi a illustrare la teoria secondo la quale il cervello conteneva parecchi serba-
toi di memoria, come archivi separati per i vari tipi di
informazioni.
La memoria autobiografica registra avvenimenti che abbiamo vissuto di persona. Questi vengono catalogati con indicazioni spazio-temporali: normalmente noi ricordiamo non solo
cosa è accaduto, ma dove e quando.
La memoria semantica a lungo termine di solito custodisce
informazioni tipo il nome della capitale della Romania e la capacità di risolvere equazioni di secondo grado.
La memoria a breve termine è quella che entra in funzione
quando, dopo aver visto un numero di telefono sulla guida, lo
teniamo a mente per il tempo necessario a comporlo.
Il testo riportava l'esempio di un paziente che aveva
perso un tipo di memoria pur mantenendone altre, un po
come lui. Provò un profondo senso di sollievo - e anche di
gratitudine - nei confronti dell'autrice del libro quando si
rese conto che quanto gli era capitato era in realtà un fenomeno psicologico ben studiato.
Poi gli venne un'ispirazione. Era sui trentacinque anni,
quindi da circa dieci doveva avere un lavoro. Le sue conoscenze professionali dovevano trovarsi ancora nella sua
testa, stivate nella memoria semantica a lungo termine,
Poteva utilizzarle per capire in che campo aveva lavorato.
Da qui sarebbe partito per scoprire la propria identità.
Alzando gli occhi dal libro, cercò di pensare quali conoscenze particolari possedeva. Tralasciò le capacità da
agente segreto perché ormai aveva concluso che, a giudicare dall'aspetto della sua pelle, non poteva essere un poliziotto di alcun genere. Quali altre particolari conoscenze
Possedeva?
Era terribilmente difficile da stabilire. Accedere alla mernoria non era come aprire un frigorifero il cui contenuto è
visibile a colpo d'occhio. Somigliava più alla consultazione di un catalogo di biblioteca: dovevi sapere cosa cercare.
Era frustrante, ma si impose di essere paziente e continuare a riflettere.
Se fosse stato avvocato, non avrebbe ricordato migliaia
dileggi? Se fosse stato medico, non avrebbe dovuto essere
in grado di visitare una persona e dire: "Questo ha l'appendicite"?.
No, così non funzionava. Ripensando agli ultimi
ti, l'unico elemento di un qualche interesse era che ave~
compreso senza difficoltà le equazioni e le teorie
che riportate nel libro sul cervello umano, anche se gli altri aspetti della psicologia non gli erano del tutto chiari.
Forse la sua professione riguardava i numeri: poteva essere un contabile o magari un assicuratore. Oppure un insegnante di matematica.
Trovò la sezione dedicata alla matematica e passò
rassegna gli scaffali. Un libro intitolato La teoria dei
attirò la sua attenzione. Lo sfogliò. Era esposto con chiarezza, ma un po' superato.
Di colpo alzò lo sguardo. Aveva scoperto qualcosa: capiva le regole matematiche.
Era un indizio di estrema importanza. La maggior parti
delle pagine conteneva più equazioni che testo. E non
roba per profani, ma un'opera a livello accademico. E li
la comprendeva. Doveva essere uno studioso di n
scientifiche.
Mosso da un crescente ottimismo individuò la sezior
di chimica e il volume Ingegneria dei polimeri. Era con
prensibile, ma non facile. Allora passò alla fisica e pro~~
con Il comportamento dei gas a bassa temperatura. Era
nante, come leggere un buon romanzo.
Stava restringendo il campo. Il suo lavoro aveva a ci
fare con la matematica e la fisica. Quale branca della fi
ca? I gas a bassa temperatura erano interessanti, ma
gli sembrava di essere allo stesso livello dell'autore del
bro. Passò in rassegna gli scaffali e, ricordandosi di qui
l'articolo dì giornale intitolato Per gli Usa la luna resta a terra, si fermò davanti alla sezione di geofisica. Dallo scaffale
prese Principi di progettazione dei missili.
Era un testo elementare e, ciononostante, nella prima
pagina trovò subito un errore. Proseguendo nella lettura
ne scovò altri due...
«Sì!» esultò, facendo trasalire un ragazzo che stava studiando biologia. Se era in grado di riconoscere gli errori
su un libro di testo, doveva essere un esperto della materia. Dunque, era uno scienziato spaziale.
Si chiese quanti scienziati di quel tipo esistessero negli
Stati Uniti probabilmente qualche centinaio. Corse al banco delle informazioni e chiese aiuto alla bibliotecaria dai
capelli grigi.. «Avete un elenco degli scienziati?»
«Certo» rispose la donna. ~<Il Dizionario degli scienziati
americani, all'inizio della sezione scientifica.»
Lo trovò senza difficoltà; era un grosso volume, ma non
poteva certo elencare tutti gli scienziati americani, si doveva limitate ai più importanti. Valeva comunque la pena di
tentare. Luke sedette a un tavolo e cominciò dall'indice,
cercando tutti quelli con il suo nome. Si sforzò di tenere a
bada la propria impazienza e di scorrere l'elenco con attenzione. Trovò un biologo che si chiamava Luke Parfitt, un archeologo di nome Lucas Dimittry e un Luc Fontainebleau
farmacologo, ma nessun fisico.
Allora fece un controllo incrociato e passò in rassegna
l'elenco dei geofisici e degli astronomi, ma non trovò nessuno che si chiamasse Luke o qualche sua variante. Certo,
pensò deluso, non era neppure sicuro che quello fosse effettivamente il suo nome. Pete lo aveva chiamato così, ma
per quello che ne sapeva lui, il suo vero nome poteva anche essere Percival.
Era avvilito, ma non ancora disposto ad arrendersi.
Tentò con un altro approccio. Da qualche parte dovevano esserci persone che lo conoscevano. Il nome Luke poteva anche non essere il suo, ma la faccia, quella sì. Il Dizionario degli scienziati americani riportava solo le fotografie dei
personaggi più importanti, come il dottor Werriher von
Braun, ma Luke pensò che doveva pur avere amici e colle.ghi in grado di riconoscerlo. Il problema era trovarli, ma
ora sapeva dove cercare: tra gli scienziati spaziali.
Dove si po~soùo trovare degli scienziati?
In un'universi t~.
Sull'enciclopedia cercò Washington, La voce comprendeva anche ufl elenco delle università della città. Scelse la
Georgetown University perché era già stato a Georgetown
quel giorfio e sapeva come ritornarvi. Localizzò l'università sulla cartina e vide che il suo campus. inoltò esteso, occupava almeno dieci isolati. Pròbabilmente c'era anche un
dipartimento di fisica importante, con decine di professori,
e chissà, forse uno di loro avrebbe potuto conoscerlo.
Uscì dalla biblioteca pieno dì speranza e risalì in auto.
14.30.
In origine il sistema di accensione non chi stato p~oge1tato per
funzion~ire nel vuoto Per il hizzo lupiter soUo state apportake le
seguenti modifiche: 1) l'intero motole è sigillato in un «orn partimento stagno; 2) ne! caso in Cui questo s~ìbissc danni, l'accenditore è chiuso a sua volta in un contenitote sigillato; 3) l'accenditore è Comimque in grado di attivarsi nel vuoto. Questo sistema
di sicurezze multiple si traduce in quel ~mncì pio di progettazioUe noto come ridondanza.
I partecipanti alla riunione su Cuba fecero Urta pausa
per il caffè e Anthony corsè al Q Building con la speranza
che i suoi uomini avesserò trovatò nuovi indizi, qualche
traccia sugli spostamenti di Luke.
Incontrò Pete sulle scale. «Qui ho qualcosa di strano»
disse il gioVane.
Il cuore di Anthony fece un balzo. «Dim.tni!»
«E un rapporto della polizia di Georgetowr't. Una casalinga torna a casa dal supermercato e scopre che qualcuno
ha forzato la porta di casa, è entrato e si è fattò la doécià.
L'intruso è sparito> ma si è lasciato dietrò una valigia e un
fagotto di stracci.»
Anthony era elettrizzato. «Finalmente unò sphaglio!
Dammi subito l'indirizzo.»
«Pensa che si tratti del nostro uotùo~»
~<Ne sono certo, È stufo di sembrare un barbone e così sì
è introdotto in una casa vuota, si è lavato e ha indossato
degli abiti decenti. È proprio da lui: non sopporta di essere mal vestito.
«Lei deve conoscerlo piuttosto bene» osservò Pete, perplesso.
Anthony si rese conto di aver fatto un altro errore. «No,
in effetti no» rispose secco. «Ho studiato il suo fascicolo.»
«Scusi» disse Pete, e dopo un attimo aggiunse: «Chissà
perché ha lasciato lì quella roba».
«La mia ipotesi è che la donna sia rientrata a casa prima
che lui avesse finito di prepararsi.»
«E la riunione su Cuba?»
Anthony fermò una segretaria che stava passando nel
corridoio. «Chiami la sala riunioni al P Building, per favore, e dica a Mr Hobart che mi è venuto il mal di stomaco e
Mr Maxell ha dovuto accompagnarmi a casa.»
«Mal di stomaco» ripeté la donna, impassibile.
«Esatto» rispose lui, allontanandosi. E poi aggiunse, senza neppure voltarsi: «A meno che non le venga in mente
qualcosa di meglio».
Uscì dall'edificio con Pete alle calcagna. Saltarono sulla
vecchia Cadillac gialla. «La cosa va gestita con attenzione»
disse Anthony, prendendo la direzione di Georgetown. «La
buona notizia è che Luke ci ha lasciato degli indizi, quella
cattiva è che noi non abbiamo un centinaio di uomini per seguirli. Quindi la mia idea sarebbe di fare in modo che la polizia di Washington svolga il lavoro di gambe per noi.»
«Buona fortuna» commentò Pete, scettico. «Io come devo comportarmi?»
«Sii gentile con i poliziotti e lascia parlare me.»
«Questo credo di poterlo fare.»
Anthony guidava veloce e trovò subito l'indirizzo ri-
portato sul rapporto della polizia. Era una casetta unifamiliare in una stradina tranquilla. Davanti c'era parcheggiata un'autopattuglia.
Prima di entrare Anthony si fermò a osservare le case
sull'altro lato della strada. Qualche attimo e trovò ciò che
stava cercando: una persona che lo guardava da una finestra al primo piano. Era una donna anziana con i capelli
bianchi. Quando i loro occhi si incrociarono lei non si ritras5e, anzi ricambiò lo sguardo con aperta curiosità. Era
proprio quello che gli ci voleva, una vicina ficcanaso. Le
sorrise e le fece il saluto militare; lei piegò la testa dilato in
cenno di risposta.
Anthony si voltò avviandosi verso la casa che era stata
"visitata". Vide alcuni graffi e una leggera intaccatura nello stipite, nel punto in cui la serratura era stata forzata: un
lavoro pulito, da professionisti, senza inutili danni. Tipico
di Luke.
Venne ad aprire una giovane carina che aspettava un
bambino.., e non mancava molto, pensò Anthony. Li fece
accomodare in soggiorno, dove già c'erano due uomini
seduti sul divano che fumavano e bevevano caffè. Uno
era un agente di pattuglia in uniforme, l'altro, un giovane
vestito con un abito dozzinale, era probabilmente un detective. Davanti a loro, su un tavolino basso con il ripiano
di formica, c'era una valigia aperta.
Anthony si presentò, ma mostrò il suo tesserino solo ai
poliziotti. Non voleva che Mrs Bonetti - e con lei tutte le
sue amiche e vicine - venissero a sapere che la Cia era interessata a quel caso e così si limitò a dire: «Siamo colleghi
di quest.i agenti».
Il detective si chiamava Lewis Hite. «Sapete qualcosa?»
chiese con cautela ai nuovi arrivati.
«Crediamo di essere in possesso di qualche informazione che potrebbe esservi utile, ma prima ho bisogno di sapere cosa avete voi.»
i-lite allargò le braccia in un gesto che esprimeva sconcerto. «Abbiamo una valigia che appartiene a un certo Rowley
Anstruther jr di New York. Si è introdotto in casa di Mrs Bonetti, si è fatto una doccia e se n'è andato lasciando qui la
valigia. Chi ci capisce qualcosa è bravo...»
.Anthony osservò la valigia di pelle marrone. Era costosa e piena neanche per metà: passò in rassegna il contenu-
to. C'erano camicie e biancheria pulita, ma niente scarpe,
né pantaloni o giacche.
«Pare che Mr Anstruther sia arrivato a Washington oggi
da New York» disse.
Hite annuì, nia Mrs Bonetti osservò, ammirata: «Come
fa a saperlo?».
Anthony sorrise bonario. «Se lo faccia spiegare dal detective Hite.» Non voleva offenderlo rubandogli la scena.
«La valigia contiene cambi di biancheria pulita, ma niente biancheria sporca» spiegò il detective. «Il tizio non si è
cambiato, quindi, probabilmente, non ha passato la notte
fuori. Questo significa che è partito da casa stamattina.»
«Mi risulta che avete anche trovato degli abiti vecchi.»
«Li ho qui io» disse l'agente di pattuglia, che sì chiamava Lonnie. Prese una scatola di cartone posata accanto
divano. «Giaccone» elencò, facendo l'inventano «camicia,
pantaloni, scarpe.»
Anthony li riconobbe: erano gli stracci che indossai
Luke. «Non credo che sia stato Mr Anstruther a introdursi
in questa casa» osservò. «Credo che la valigia gli sia stata
rubata questa mattina, probabilmente alla Union Station.»
Guardò l'agente di pattuglia. «Lonnie, ti dispiacerebbe
chiamare il distretto di polizia più vicino alla stazione e
vedere se è stato denunciato un furto di questo tipo? Sempre che Mrs Bonetti ci permetta di usare il telefono.»
«Certo» disse lei. «È in corridoio.»
«Sulla denunci a dovrebbe essere riportato anche il contenuto della valigia» aggiunse Anthony. «Scommetto che
scoprirai che mancano anche un abito e un paio di scarpe.» Tutti lo guardavano allibiti. «Fatti dare la descrizione
dettagliata dell'abito.»
«Okay.» L'agente andò in corridoio.
Anthony era soddisfatto. Era riuscito ad assumere il
controllo delle indagini senza umiliare la polizia; il dete&
tive Hite lo guardava come se stesse aspettando istruzioni. «Anstruther deve essere un uomo dalla corporatura
atletica, alto sul metro e ottantacinque, intorno ai novanta
chili di peso» disse. «Lewis, se controlli la misura di quelle camicie, scoprirai che sono sedici di collo e trentacinque
di manica.»
«Esatto... ho già controllato» confermò Hite.
«Avrei dovuto saperlo che mi avevi preceduto.» Anthony
lo gratificò di un sorriso sarcastico. «Abbiamo una foto dell'uomo che pensiamo sia l'autore del furto della valigia e
dell'effrazione in questa casa.» Fece un cenno con il capo a
Pete, il quale porse un gruppo di foto a Hite. «Non sappiamo come si chiama» menti Anthony. ~<È alto un metro e ottantacinque, pesa una novantina di chili, corporatura robusta, e potrebbe fingere di aver perso la memoria.»
«Com'è la storia?» chiese Hite incuriosito. «Questo tizio
voleva gli abiti di Anstruther ed è venuto qui a cambiarsi?»
«Qualcosa del genere.»
«E perché?»
Anthony assunse un'espressione mortificata. «Mi dispiace, ma questo proprio non posso raccontartelo.»
«È riservato, eh? Capisco. Nessun problema» disse Hite,
compunto.
Lonnie tornò in soggiorno. «Aveva proprio ragione a
proposito del furto. E avvenuto alla Union Station, alle
undici e trenta di questa mattina.»
Anthony annuì. Aveva fatto colpo sui due poliziotti. «E
il vestito?» chiese.
«Blu scuro, gessato.»
«Allora potete diramare una foto e la descrizione degli
abiti che indossa» disse, rivolgendosi al detective.
«È convinto che si trovi ancora in città?»
«Sì.» Anthony non ne era così sicuro, ma non riusciva a
pensare a un solo motivo per cui Luke dovesse lasciare
Washington.
«Suppongo abbia un'auto.»
«Lo scopriremo subito» assicurò Anthony. Poi si rivolse
a Mrs Bonetti: «Come si chiama quella signora con i capelli bianchi che vive un paio di case più in giù, sull'altro lato
della strada?».
«Rosemary Sims.»
«Passa molto tempo alla finestra?»
«Noi la chiamiamo Rosa la Curiosa.»
«Magnifico.» Anthony si girò verso il detective. «An-
diamo a scambiare quattro parole con questa signora?»
«Sicuro.»
Attraversarono la strada e bussarono alla porta di Mrs
Sims. Lei aprì all'istante: li aspettava in corridoio. «L'ho visto!» disse, subito. «È entrato che sembrava un barbone ed
è uscito tutto in ghingheri!»
Anthony fece un gesto verso Ilite per indicare che spettava a lui fare le domande. «Mrs Sims, quell'uomo aveva
una macchina?» chiese il detective.
«Sì, una bella macchina nuova, blu e bianca. Ho pensato subito che non poteva essere di nessuno che abiti qui.»
Li guardò con espressione scaltra. «So cosa mi chiederete
adesso.»
«~ riuscita a vedere la targa?» domandò Hite,
«Certo» rispose la donna, trionfante. «E ho preso nota
del numero.»
Anthony sorrise.
15.00.
Gli stadi superiori del tnissile sono racchiusi all'interno di un
cilindro in alluminio con una base in lega di magnesio. Questo
cilindro posa su dei cuscinetti che gli permettono di ruotare liberamente durante il volo. Il regime di rotazione sarà di circa
550 giri al minuto per migliorare l'accuratezza della traiettoria.
Sulla Thirty-seventh Street i cancelli della Georgetown
University erano aperti. Gli edifici di pietra grigia bugnata in stile gotico occupavano tre lati di un prato fangoso;
studenti e insegnanti corre'Yano da un edificio all'altro avvolti nei soprabiti pesanti. Entrando piano con l'automobile, Luke fantasticò che qualcuno lo riconoscesse e lo salutasse: "Ehi, Luke! Come va?". E l'incubo sarebbe finito.
Notò che molti degli insegnanti portavano un colletto da
sacerdote e capì che doveva trattarsi di un'università cattolica. Sembrava anche riservata ai soli studenti maschi.
Chissà se lui era cattolico?
Parcheggiò davanti all'ingresso principale, un portico
con tre arcate su cui era scritto HEALY HALL. All'interno
trovò un banco informazioni e la prima donna del campus. Apprese che il dipartimento di fisica si trovava proprio sotto di loro: bastava uscire e imboccare le scale che
Portavano al piano inferiore. Luke si senti vicino al cuore
del mistero, come un cacciatore di tesori che sta per intro~
dursi nelle camere di urta piramide egizia~
Seguendo le indicazioni, trovò un grande laboratori9
con banconi di lavoro al centro e ai lati porte che si aprivano su piccoli uffici. Un gruppo di uomini radunati intorno
~ un bancone stava lavorando ai componenti di un radiospettrografo~ Portavano tutti gli ocdhiali e, a giudicare
dall'età, dovevano essere professori e laureandi. Tra questi potevano esserci dei suoi conoscenti. Si avvicinò pieno
di speranza.
Uno dei più anziani incrociò il suo sguardo, rita non
sembrò riconoscerlo. «Posso esserle utile?»
«Lo spero proprio» rispose Luke. «C'è ufi dipartinientò
di geofisica, qui?»
«Oh, bUon Dio, ho» rispose l'uomo. «In questa univerSit~ persino la fisica è considerata una materia compiernentare.» Gli altri scoppiaùorro a ridere.
Luke diede loro la possibilità di guardarlo bene, ma nessuno parve identificarlo~ Aveva scelto male, pensò, avvilito. Forse avrebbe dovuto andare alla George Washington
University. «E astronomia?»
«Oh, certo, sì. I cieli li studiamo. Il nostro osservatorio ~
famoso.»
Il morale di Luke si risollevò. «Dove si trova?»
L'uomo indicò una porta. «Vada in fòndo a questo edificio e da lì lo vedrà sul lato opposto del campo da base~
balI.» Poi tornò a rivolgere la propria attenzione alle apparecchiature sul bancone.
Luke seguì un lungo corridoio buio e polveroso che
correva per tutta la lunghezza dell'edificio. Vide venire
verso di sé un uomo curvo vestito di tweed che aveva tutta l'aria di essere un professore e lo guardò negli occhi,
pronto a sorridergli caso mai questi aVesse dato segnò di
riconoscerlo. Ma l'uomo tirò diritto coli espressione imbarazzata.
Luke proseguì irnpertcrrito, rivolgendo la stess~ occhiata a chiunque in&ontrasse e avesse l'aria dello scienziato~ xiia non ebbe fortuna. IJscendo, vide alcuni càmpi
da tennis, il Potomac e a ovest, oltre i campi sportivi, una
cupola bianca.
Con crescente speranza si avviò in quella direzione. Sul
tetto piatto di una piccola costruzione a due piani c'era la
grande cupola rotante di un osservatorio, con la caratteristica porzione di copertura scorrevole~ Fra una struttura
importante che faceva pensare a un dipartimento di astronomia molto ben attrezzato. Luke entrò.
Le stanze erano disposte intorno a un grosso pilastro
centrale che sosteneva l'enorme peso della cupol& Luke
apri una porta e vide una biblioteca vuota. Provò con
un'altra e vi troVò una donna attraente, più o meno della
sua età, seduta a una macchina per scrivere. «~uongiotnO» disse Luke «C'è il professore?»
«Intende dire padre Heyden?»
«Sì. . »
«E lei è?..
«Ehm...» Stupidamente, Luke non aveva previsto che
gli avrebbero chiesto il nonne. La sua esitazionC fece sì che
la segretaria lo guardasse con sospetto. «L~ui non mi conosce» spiegò Luke. «Cioè, penso che lui conQsca, almeno
spero, tua non per nome.»
I..~a diffidenza della donna crebbe. «Ma un nome ce l'aVrà pure?»
«Lu ke. Professor I.uke.»
«Presso quale università lavora, professor Luke?»
«Hmm~.. New York.»
«Quale, in particolare, fra i tanti atenei di quella città?»
Luke si sentì mancare. Nel suo entusiasmo, aveva di<
meuticato di pianificare questo ihcontro e ora capiva di
aver combinato un gran pasticcio. Quando ci si caccia nei
guai conviene stare zitti e fermi per non peggiorare la situazione. «Non soilo venuto qui per essere sottoposto a
un terzo grado» disse, gelido. «Se non le dispiace, riferiSca a padre Heyden che il professor Luke, il fisico spazia-
le, è passato di qui e vorrebbe scambiare qualche parola
con lui.»
«Temo che non sarà possibile» rispose la donna, irremovibile.
Luke uscì dalla stanza sbattendo la porta. Era in collera
più con se stesso che con la segretaria; in fondo, lei stava
solo proteggendo il suo capo dalle molestie di uno squilibrato. Decise di guardarsi intorno, continuando ad aprire
porte finché qualcuno non lo avesse riconosciuto oppure
cacciato fuori. Salì le scale che portavano al primo piano.
Gli ambienti sembravano deserti. Da lì una scala di legno
senza corrimano portava all'osservatorio. Anche questo
era vuoto. Mentre ammirava il grande telescopio con il
suo complesso sistema di posizionamento, un vero capolavoro di ingegneria, si chiese cosa avrebbe fatto.
La segretaria salì le scale. Luke era pronto ad affrontare
una discussione, e invece lei gli si rivolse con simpatia.
«Lei è nei guai, vero?» gli chiese.
Il tono gentile della donna gli fece venire un groppo alla
gola. «È molto imbarazzante da spiegare» disse. «Ho perso
la memoria. So che lavoro nel campo della missilistica, e
speravo di incontrare qualcuno che potesse riconoscermi.»
«Al momento non c'è nessuno, qui» riprese lei. «Il professor Larkley sta tenendo una conferenza sul propellente
per motori a razzo allo Smithsonian Institute, nell'ambito
degli incontri per l'Anno geofisico internazionale, e tutti i
docenti dell'istituto si trovano là.»
Luke provò un sussulto di speranza. Invece di un solo
geofisico, poteva incontrarne un'aula intera. «Dov'è lo
Smithsonian Institute?»
«In centro, proprio sul Malì, all'altezza di Tenth Street.»
Aveva girato Washington abbastanza da capire che non
era molto lontano. «A che ora si tiene la conferenza?»
«È iniziata alle tre.»
Luke guardò l'orologio: erano le tre e mezzo. Se si fosse
affrettato, avrebbe potuto arrivare là per le quattro. «Allo
Smithsonian» ripeté.
«Veramente è nell'Aircraft Building, sul retro dello
Smithsonian.»
«Sa quante persone saranno presenti alla conferenza?»
«Circa centoventi.»
Di certo, almeno uno di loro doveva conoscerlo!
«Grazie!» disse. Si precipitò giù dalle scale e uscì di corsa dall'edificio.
15.30.
La rotazione del cilindro stabilizza la traiettoria del missile
equilibrando gli effetti delle eventuali dfferenze di spinta tra gli
undici piccoli motori a razzo raccolti in cerchio attorno all'asse
centrale.
Billie era furibonda con Len Ross perché aveva tentato
di ingraziarsi quelli della Sowerby Foundation. Il posto di
direttore della ricerca doveva andare al miglior scienziato,
non al più ruffiano. Era ancora arrabbiata quel pomeriggio, quando la segretaria del direttore la chiamò per dirle
che lui l'aspettava nel suo ufficio.
Charles Silverton si occupava di far quadrare i conti,
ma capiva le ragioni dei ricercatori. L'ospedale era di proprietà di una fondazione che promuoveva lo studio e la
cura della malattia mentale. Silverton era convinto che
fosse suo compito far sì che il personale medico non venisse distratto da problemi amministrativi e finanziari.
Billie lo stimava per questo.
Il suo ufficio occupava quella che un tempo era stata la
sala da pranzo di una dimora vittoriana, e ne conservava
ancora il caminetto e le modanature del soffitto. Fece cenno
a Billie di sedersi. «Hai parlato con quelli della Sowerby
Foundation, questa mattina?».
«Sì. Len gli stava facendo fare un giro e io li ho raggiunti. Perché?»
Silverton non rispose alla domanda. «Ritieni di aver
detto qualcosa che possa averli offesi?»
Billie aggrottò la fronte, perplessa. «Non penso proprio.
Abbiamo parlato del nuovo reparto.»
«Sai, io volevo che avessi tu il posto di direttore della
ricerca.»
Billie si allarmò. «Non mi piace questo uso del passato!»
«Len Ross è un ricercatore competente, ma tu sei eccezionale. Hai fatto molti più progressi di lui e hai dieci
anni meno.»
«La fondazione appoggia Len per quel posto?»
Silverton esitò, imbarazzato. «Temo che insistano perché
1 incarico vada a lui. È una clausola della loro sovvenzione.»
«Che gli venga un accidente!» Billie era allibita.
«Conosci qualcuno della fondazione?»
«Sì, uno dei consiglieri di amministrazione è un mio
vecchio amico. Si chiama Anthony Carrolì. È il padrino di
mio figlio.»
«Come mai è in quella posizione? Che lavoro fa?»
«Lavora per il Dipartimento di Stato, ma sua madre è
molto ricca e lui collabora con varie istituzioni di beneficenza.»
«Ha del rancore verso dite?»
Per un attimo, Billie tornò indietro nel tempo. Si era
molto arrabbiata con Anthony dopo la catastrofe che aveva portato Luke a lasciare Harvard, e aveva troncato ogni
relazione con lui. Ma poi, nel vedere come si era comportato con Elspeth, lo aveva perdonato. Lei si era lasciata andare, trascurava gli studi con il rischio di non riuscire a
laurearsi. Se ne andava in giro come stordita, uno spettro
pallido dai lunghi capelli rossicci, sempre più magra e
sempre più assente. Era stato Anthony a salvarla. Erano
diventati intimi, ma il loro era più un rapporto d'amicizia
che una relazione sentimentale. Cominciarono a studiare
insieme e lei si rimise in carreggiata quel tanto da superare l'esame finale. Anthony si riguadagnò il rispetto di Billie e da allora erano rimasti sempre amici.
«Nel 1941 ho avuto forti contrasti con lui» confidò a
Charles «ma abbiamo fatto pace da tempo.»
«Forse qualcuno che sta nel consiglio di amministrazione ammira l'operato di Len.»
Billie rifletté su quella possibilità. «L'approccio di Len è
diverso dal mio. Lui è un freudiano convinto, è sempre alla ricerca di motivazioni psicoanalitiche. Se un paziente
perde all'improvviso la capacità di leggere, lui presuppone che la causa stia in un timore inconscio della letteratura che è stato represso. Io, invece, penso subito a un danno cerebrale.»
«Quindi, nel consiglio d'amministrazione potrebbe esserci un freudiano accanito contro dite.»
«È possibile» ammise Billie con un sospiro. «Ma possono fare una cosa simile? Mi sembra così ingiusto.»
«Di sicuro è insolito» osservò Charles. «Normalmente
le fondazioni stanno ben attente a non interferire nelle decisioni che richiedono valutazioni sull'esperienza professionale. Ma non esiste una regola che lo vieti.»
«Be', io non ho alcuna intenzione di subire questa decisione senza lottare. Che motivazione hanno addotto?»
«Ho ricevuto una telefonata in via ufficiosa dal presidente del consiglio di amministrazione. Mi ha detto che
ritengono Len più qualificato.»
Billie scosse la testa. «Dev'esserci un'altra spiegazione.»
«Perché non lo chiedi al tuo amico?»
«È esattamente quello che intendo fare.»
15.45.
Si è fatto ricorso a uno stroboscopio per determinare l'esatta distribuzione dei pesi e garantire così il perfetto bilanciamento del
cilindro. In caso contrario, la gabbia interna inizierebbe a vibrare provocando la disintegrazione dell'intera struttura.
Prima di lasciare il campus della Georgetown University,
Luke aveva consultato la cartina stradale di Washington.
Mentre percorreva K Street guardò l'orologio. Sarebbe arrivato allo Smithsonian in dieci minuti. Supponendo di mettercene altri cinque per trovare l'aula dove si teneva la
conferenza, forse sarebbe potuto arrivare prima della conclusione. E allora avrebbe scoperto la sua identità.
Erano passate quasi undici ore da quando si era svegliato immerso in un incubo. Ma, poiché non riusciva a ricordare nulla di quanto era accaduto prima delle cinque
di quella mattina, gli pareva che quel tormento durasse
da una vita.
Svoltò a destra sulla Ninth Street, dirigendosi a sud
verso il Malì, pieno di speranza. Qualche attimo dopo udì
una sirena e si sentì mancare.
Guardò nello specchietto retrovisore. Un'autopattuglia
della polizia gli stava alle calcagna, con il lampeggiante
acceso. A bordo c'erano due agenti. Uno indicò il marciapiede sulla destra intimandogli di accostare.
Luke era sconvolto. Proprio adesso che ce l'aveva quasi
fatta!
Possibile che avesse commesso qualche infrazione al
codice della strada e volessero multarlo? Ma anche così
avrebbero voluto vedere la sua patente e lui non aveva
documenti. E poi non si trattava di una piccola infrazione:
lui era alla guida di un veicolo rubato. Aveva calcolato che
il furto non sarebbe stato scoperto fino al rientro del proprietario da Philadelphia, ma evidentemente qualcosa era
andato storto. Erano lì per arrestarlo.
Prima, però, dovevano prenderlo.
Qualcosa scattò dentro diluì. Il suo subconscio passò al
programma di fuga. Davanti a lui, nella strada a senso unico, c'era un lungo autoarticolato. Senza pensarci due volte,
schiacciò il pedale dell'acceleratore e lo sorpassò.
I poliziotti partirono subito all'inseguimento.
A tutta velocità, Luke finì il sorpasso e andò a mettersi
davanti al camion. Agendo d'istinto, mise il cambio in folle per evitare che il motore si spegnesse, poi girò bruscamente il volante verso destra e pestò con forza sul freno.
La Ford partì in sbandata, girando su stessa. Il camion
sterzò con violenza a sinistra per evitarla, costringendo la
macchina della polizia a fare altrettanto.
Luke si fermò con il muso della sua auto contromano;
inserì di nuovo la marcia e diede gas, andando incontro al
traffico che sopraggiungeva.
Gli automobilisti si buttavano a destra e a sinistra come
impazziti per evitare lo scontro frontale. Luke sterzò a destra per scansare un autobus, andò a urtare una station
wagon ma proseguì imperterrito inseguito da un coro di
clacson inferociti. Una vecchia Lincoln anteguerra salì sul
marciapiede e andò a sbattere contro un lampione. Un
motociclista perse il controllo del mezzo e cadde. Luke
sperò che non si fosse fatto troppo male.
Arrivò all'incrocio e svoltò a destra su un grande viale.
Percorse due isolati a tutta velocità, bruciando i semafori,
poi guardò nello specchietto: della polizia nessuna traccia.
Svoltò di nuovo, questa volta andando a sud. Si era perso, ma sapeva che il Malì era in quella direzione. Ora che
non aveva più inseguitori alle calcagna, era consigliabile
guidare con più calma. Ma erano già le quattro, e gli ultimi eventi lo aveva fatto allontanare ancora di più dallo
Smithsonian. Se ci avesse messo troppo, avrebbe trovato
l'aula deserta. Pestò sull'acceleratore.
La strada che stava percorrendo era senza sbocco verso
sud, e fu costretto a girare a destra. Cercò di guardare la
cartina mentre procedeva sorpassando i veicoli più lenti. Si
trovava in D Street. Un attimo dopo arrivò sulla Seventh e
svoltò in direzione sud.
Sull'altro lato del Malì, alla sua destra, vide un grosso
edificio color rosso scuro, simile a un castello delle fiabe.
Il museo si trovava esattamente nel punto indicato dalla
cartina. Fermò l'auto e guardò l'orologio. Le quattro e cinque. A quell'ora di sicuro il pubblico se n'era già andato.
Imprecò e si precipitò fuori.
Attraversò il Malì di corsa. La segretaria gli aveva detto
che la conferenza si sarebbe tenuta nell'Aircraft Building,
sul retro del museo. Quello era il davanti o il retro? Sembrava più il davanti. A lato dell'edificio partiva un sentiero che attraversava un giardinetto. Lo prese e si ritrovò su
un grande viale a due sensi di marcia. Sempre correndo, si
imbatté in un cancello in ferro battuto che portava all'ingresso posteriore del museo. Alla sua destra, oltre una distesa erbosa, c'era una struttura che ricordava un vecchio
hangar. Entrò.
Si guardò attorno. Appesi al soffitto c'erano aerei di ogni
genere: vecchi biplani, un jet del periodo bellico, persino
un pallone aerostatico. A livello del pavimento c'erano delle bacheche di vetro contenenti insegne, tenute da pilota,
apparecchi per riprese aeree, fotografie. Luke si rivolse a
un guardiano in uniforme. «Sono qui per la conferenza sul
prol?ellente per motori a razzo.»
«E in ritardo» rispose l'uomo guardando l'orologio.
«Sono le quattro e dieci, la conferenza è già terminata.»
«Dove si è tenuta? Forse troverò ancora il relatore.»
aggrottò la fronte, leggermente risentito per l'interru«Penso che se ne sia già andato.»
parte di un estraneo.
Luke gli rivolse un'occhiata minacciosa e disse lentaabito di tweed, invece, lo guardò allibito e dis-
chi
zione da
L'uomo in
mente: «Tu pensa solo a rispondere alla mia domanda:
Dio, e tu cosa ci fai qui a Washington, Luke?».
dov'è?».
sentì così felice che si sarebbe messo a piangere.
L'uomo, intimorito, si affrettò a rispondere. «In fondo al
corridoio.»
Luke corse per tutta la lunghezza dell'edificio. Arrivato
in fondo, trovò una sala conferenze improvvisata con un
leggio, una lavagna e file di sedie. La maggior parte del
pubblico era già uscita e gli inservienti avevano cominciato a togliere le sedie di metallo, impilandole ai lati della
sala. Ma un gruppetto di otto o nove persone si era attardato a discutere in un angolo, attorno a un uomo con i capelli bianchi che poteva essere il relatore.
Luke era avvilito. Solo pochi minuti prima lì c'erano più
di un centinaio di scienziati suoi colleghi, ora ne restava
una manciata, e forse nessuno di loro lo conosceva.
L'uomo con i capelli bianchi guardò verso di lui, poi
tornò a rivolgersi agli altri. Era impossibile capire se lo
avesse riconosciuto o meno. Stava parlando e proseguì
nel discorso senza alcuna pausa. «Il nitrometano è quasi
impossibile da maneggiare. Non si può ignorare l'aspetto
della sicurezza.»
«Si può arrivare alla sicurezza con le giuste procedure,
se il combustibile è sufficientemente buono» ribatté un
giovane che indossava un abito di tweed.
Luke conosceva bene l'argomento. Erano stati compiuti
esperimenti con una incredibile varietà di combustibili,
molti dei quali più potenti della usuale miscela di alcol e ossigeno liquido, ma tutti presentavano degli inconvenienti.
«Cosa ne pensate della dimetilidrazina asimmetrica?»
chiese un uomo con l'accento del Sud. «Ho sentito dire
che stanno facendo degli esperimenti al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.»
«Funziona, ma è velenosissima» disse Luke di getto.
Tutti si voltarono verso di lui. L'uomo con i capelli bian-
se: «Mio
Luke si
PARTE TERZA
16.15.
Un programmatore a nastro nel cilindro fa variare in modo continuo la velocità di rotazione degli stadi superiori tra i 450 e i
750 giri al minuto, così da evitare l'instaurarsi di fenomeni di
risonanza che potrebbero portare il missile a disintegrarsi nello
spazio.
Luke non riusciva neppure a parlare. L'emozione e il
sollievo erano così forti da serrargli la gola. Per tutto il
giorno si era sforzato di rimanere calmo e razionale, ma
ora si sentiva vicino al crollo.
Gli altri scienziati ripresero a conversare, ignari del suo
turbamento, tranne il giovane in abito di tweed che gli
chiese, preoccupato: «Ehi, ti senti bene?».
Luke annuì e dopo un attimo riuscì a dire: «Potremmo
parlare un attimo?».
«Certo, certo. C'è un piccolo ufficio dietro la mostra sui
fratelli Wright. L'ha utilizzato poco fa il professor Larkley.»
Si diressero verso una porta laterale. «A proposito, sono
stato io a organizzare questa conferenza» aggiunse, mentre
gli faceva strada in un locale piccolo e spartano arredato
con una scrivania, un paio di sedie e un telefono. Sedettero.
«Cosa succede?» chiese il giovane.
«Ho perso la memoria.»
«Oh, mio Dio!»
«Amnesia autobiografica. Ricordo tutto del mio lavoro,
ed è così che vi ho trovato, ma non so niente di me!»
«Sai chi sono io?» chiese il giovane con espressione
scioccata.
Luke scosse la testa. «No. Non sono neppure sicuro di
quale sia il mio nome.»
«Accidenti!» L'uomo era sconcertato. «Non mi è mai capitato di vedere una cosa simile.»
«Ho bisogno che tu mi racconti tutto quello che sai sul
mio conto.»
«Immagino... Da dove devo cominciare?»
«Mi hai chiamato Luke.»
«Tutti ti chiamano Luke. Tu sei il dottor Claude Lucas,
ma il nome Claude non ti è mai piaciuto molto. Io sono
Will McDermot.»
Luke chiuse gli occhi, sopraffatto dalla felicità. Finalmente aveva scoperto il proprio nome. «Grazie, Will.»
«Della tua famiglia non so nulla. Ti ho incontrato solo
un paio di volte, in occasione di conferenze scientifiche.»
«Sai dove vivo?»
«A Huntsville, in Alabama, credo. Lavori per la Ballistic
Missile Agency dell'esercito che è di base al Redstone Arsenal, a Huntsville. Ma tu sei un civile. Il tuo capo è Wernher
von Braun.»
«Non puoi capire il piacere che mi fa sapere queste cose!»
«Sono rimasto sorpreso di vederti perché il tuo gruppo
sta per lanciare un razzo che porterà il primo satellite
americano nello spazio. Sono tutti giù a Cape Canaverai, e
si dice che il lancio potrebbe avvenire questa sera.»
«L'ho letto sul giornale questa mattina... Mio Dio, e io
ho lavorato a quel razzo?»
«Certo. L'Explorer. È il lancio più importante nella storia
del programma spaziale americano, specialmente dopo il
successo dei russi con lo Sputnik e il fallimento della nostra marina con il Vanguard.»
Luke era euforico. Solo poche ore prima aveva pensato
di essere un vagabondo, un ubriacone, e ora saltava fuori
che era uno scienziato al culmine della carriera. «Io dovrei
essere là per il lancio!»
«Esatto. Non hai proprio idea del perché ti trovi qui?»
Luke scosse la testa. «Questa mattina mi sono svegliato
nei gabinetti della Union Station. Non ho idea di come ci
sia finito.»
Will gli rivolse un sorriso complice. «Sembra proprio
che ieri sera tu abbia fatto baldoria!»
«Te lo chiedo seriamente: è normale che io mi ubriachi
al punto da perdere conoscenza?»
«Non ti conosco abbastanza a fondo per risponderti»
disse Will, e poi, pensandoci meglio, aggiunse: «Ma la cosa mi sorprenderebbe. Sai come siamo fatti noi scienziati:
la nostra idea di festa è sederci davanti a un caffè e parlare
del nostro lavoro».
A Luke sembrava logico. «Ubriacarsi non sembra così
interessante» convenne. Non riusciva proprio a spiegarsi
come fosse finito in quel pasticcio. Chi era Pete? Perché
quegli uomini lo seguivano? E chi erano quei due che lo
cercavano alla Union Station?
Pensò di parlarne a Will, ma poi decise che gli sarebbe
parsa una storia troppo strana, e avrebbe potuto pensare
che era un po' svitato. «Chiamerò Cape Canaveral» disse,
invece.
«Ottima idea.» Wil] sollevò la cornetta del telefono sulla
scrivania e compose lo zero. «Sono Will McDermot. Posso
fare una telefonata interurbana da questo apparecchio?
Grazie.» Porse la cornetta a Luke.
Luke si fece dare il numero dal servizio informazioni e lo
compose. «Parla il dottor Lucas» esordì, straordinariamente compiaciuto di poter dire il proprio nome. Non avrebbe
mai pensato che la cosa potesse essere così gratificante.
«Vorrei parlare con qualcuno del gruppo dell'Explorer.»
«Sono negli hangar D e R» rispose l'operatore. «Rimanga in linea, prego.»
Un attimo dopo, una voce maschile disse: «Sicurezza,
parla il colonnello Hide».
«Sono il dottor Lucas...»
«Luke, finalmente! Dove diavolo è finito?»
«Sono a Washington.»
«Accidenti, cosa diavolo ci fa lì? Ci ha fatti impazzire!
Abbiamo sguinzagliato la polizia militare, l'Fbi, persino la
Cia!»
Questo spiegava i due agenti che lo cercavano alla
Union Station, pensò Luke. «Senta, mi è successa una cosa
strana: ho perso la memoria. Ho vagato per la città cercando di capire chi sono. Poi, alla fine, ho trovato alcuni fisici
che mi conoscono.»
«Ma è incredibile! Com'è successo?»
«Speravo potesse dirmelo lei, colonnello.»
«Di solito mi chiama Bilì.»
«Bilì.»
«Okay, ora le racconto quello che so. Lunedì mattina è
partito dicendo che doveva andare a Washington. Ha preso un aereo da Patrick.»
«Patrick?»
«La base dell'aeronautica di Patrick, vicino a Cape Canaveral. Marigold le ha fatto la prenotazione...»
«Chi è Marigold?»
«La sua segretaria a Huntsville. Le ha prenotato anche
la solita suite al Carlton.»
Nella voce del colonnello c'era una vena di invidia e
per un attimo Luke si interrogò su quel "solita suite", ma
al momento aveva cose più importanti da chiarire. «Ho
spiegato a qualcuno lo scopo di questo viaggio?»
«Marigold le ha fissato un appuntamento con il generale Sherwood al Pentagono per le dieci del mattino di ieri.., ma lei non si è presentato.»
«Ho detto perché volevo vedere il generale?»
«A quanto pare no.»
«Di cosa si occupa?»
«Sicurezza, ma è anche un suo amico di famiglia, quindi il motivo dell'incontro avrebbe anche potuto essere
personale.»
Doveva trattarsi di qualcosa di molto importante, rifletté Luke, per spingerlo ad allontanarsi da Cape Canavera1 subito prima della partenza del razzo. «Il lancio avverrà stasera?»
«No, abbiamo dei problemi meteorologici. È stato rin-
viato a domani sera alle dieci e mezzo.»
Luke si chiese cosa diavolo avesse avuto in mente di fare. «Ho degli amici qui a Washington?»
«Certo. Uno di loro mi ha chiamato praticamente ogni
ora. Bern Rothsten» rispose Hide e gli diede il numero di
telefono.
Luke prese nota su un blocco per appunti. «Lo chiamerò subito.»
«Prima dovrebbe parlare con sua moglie.»
Luke si irrigidì. Era rimasto senza fiato. Una moglie.
Ho una moglie, pensò.
«È ancora lì?» chiese Hide.
Luke ritrovò la parola. «Ehm, Bilì...»
«Sì?»
«Come si chiama mia moglie?»
«Elspeth» rispose il colonnello. «Si chiama Elspeth. Gliela passo subito, resti in linea.»
Luke si sentiva lo stomaco chiuso per il nervosismo.
Era sciocco, pensò, in fondo si trattava solamente di sua
moglie.
«Sono Elspeth. Luke, sei tu?»
Aveva una voce bassa, calda, e una dizione precisa, senza alcun accento particolare. Se l'immaginò come una
donna alta e sicura di sé. «Sì, sono Luke» rispose. «Ho
perso la memoria.»
«Ero così preoccupata... Stai bene?»
Il fatto che qualcuno si preoccupasse di come si sentiva
fu un enorme conforto. «Ora sì... credo di sì» disse.
«Cosa è successo?»
«Non ne ho idea. Questa mattina mi sono svegliato in
un gabinetto della Union Station, e ho passato tutto il
giorno a cercare di capire chi ero.»
«Ti hanno cercato ovunque. Dove sei, ora?»
«Allo Smithsonian, nell'Aircraft Building.»
«C'è qualcuno che si prenda cura dite?»
Luke sorrise a Will McDermot. «C'è un collega che mi
sta aiutando. E ho il numero di telefono di Bern Rothsten.
Ma non ho bisogno di qualcuno che si prenda cura di me.
Sto bene, ho solo perso la memoria.»
Will McDermot si alzò, imbarazzato, e gli sussurrò: <dì
aspetto fuori».
Luke annuì, apprezzando la delicatezza.
«Quindi non ti ricordi perché sei partito per Washington così all'improvviso?» stava dicendo Elspeth.
«No. E a te, ovviamente, non ho raccontato nulla...»
«Hai detto che era meglio nonio sapessi. Ma ero preoccupata, così ho chiamato un nostro vecchio amico di Washington, Anthony Carrolì. È nella Cia.»
«E lui cosa ha fatto?»
«Ti ha chiamato al Carlton lunedì sera, e vi siete accordati per vedervi a colazione martedì mattina.., ma tu non
ci sei andato. È tutto il giorno che ti cerca. Ora lo chiamo e
gli dico che è tutto a posto.»
«Evidentemente mi è successo qualcosa tra lunedì sera
e martedì mattina.»
«Dovresti farti visitare da un dottore, fare un controllo.»
«Io mi sento bene. Ma ci sono tante cose che vorrei sapere. Abbiamo figli?»
«No.»
Luke provò una tristezza che sembrava familiare, come
il dolore sordo di una vecchia ferita.
«È da quando ci siamo sposati quattro anni fa che cerchiamo di avere un bambino» proseguì Elspeth «ma non
ci siamo ancora riusciti.»
«I miei genitori sono ancora vivi?»
«Tua mamma. Vive a New York. Tuo padre è morto da
cinque anni.»
Luke provò una pena improvvisa che sembrava scaturire dal nulla. Oltre ad aver perso il ricordo di suo padre,
non lo avrebbe mai più rivisto. Gli parve una cosa di una
tristezza insopportabile.
«Hai due fratelli e una sorella» continuò Elspeth «tutti
più giovani. Emily è la tua preferita, ha dieci anni meno di
te e vive a Baltimora.»
«Hai i loro numeri di telefono?»
«Certo. Aspetta un attimo che li prendo.»
«Ho voglia di parlare con loro, non so perché.» Dall'altro
capo della linea udì un singhiozzo soffocato. «Stai piangendo?»
Elspeth tirò su con il naso. «È tutto a posto.» Immaginò
che stesse prendendo il fazzoletto dalla borsa. «All'improvviso ho provato per te una pena immensa» disse lei
con voce rotta dal pianto. «Deve essere stato terribile.»
«Ho avuto dei brutti momenti.»
«Aspetta che ti do quei numeri.» Glieli dettò.
«Siamo ricchi?» chiese lui, dopo aver preso nota.
«Tuo padre era un banchiere di successo. Ti ha lasciato
molto denaro. Perché?»
«Bilì Hide mi ha detto che alloggio nella "solita suite"
al Cariton.»
«Prima della guerra, tuo padre era un consulente dell'amministrazione Roosevelt e quando andava a Washington gli piaceva portare con sé la famiglia. Avevate sempre
una suite d'angolo al Cariton. Immagino che tu stia solo
continuando la tradizione.»
«Quindi tu e io non viviamo dello stipendio che mi passa l'esercito.»
«No, ma a Huntsville cerchiamo di mantenere uno stile
di vita pari a quello dei nostri colleghi.»
«Potrei andare avanti un giorno intero a farti domande,
ma ciò che voglio davvero scoprire ora è cosa mi è accaduto. Potresti prendere un aereo e venire qui, stasera?»
Dall'altra parte ci fu un attimo di silenzio. «Perché?»
«Per cercare di chiarire questo mistero insieme a me. Mi
farebbe piacere avere un po' d'aiuto... e anche un po' di
compagnia.»
«Dovresti lasciar perdere ogni cosa e tornare qui.»
Era impensabile. «Non voglio lasciar perdere. Devo scoprire cosa mi è successo, è tutto troppo strano...»
«Luke, non posso lasciare Cape Canaveral proprio adesso. Diamine, stiamo per lanciare il primo satellite americano! Non posso abbandonare gli altri in un momento come
questo.»
«Immagino di no.» Comprendeva le ragioni, ma il rifiuto di lei l'addolorò. «Chi è Bern Rothsten?»
«Studiava a Harvard con te e Anthony Carrolì. Ora fa lo
scrittore.»
«A quanto pare ha cercato di mettersi in contatto con
me. Forse lui sa qualcosa di questa storia.»
«Chiamami più tardi, d'accordo? Questa sera sarò allo
Starlite Motel.»
«Okay.»
«E fa' attenzione, Luke, ti prego» si raccomandò lei.
«Te lo prometto» disse lui, e riattaccò.
Rimase seduto in silenzio per un attimo. Si sentiva emotivamente svuotato. Da una parte avrebbe voluto andare in
albergo a riposarsi, dall'altra era troppo curioso. Riprese in
mano il telefono e compose il numero lasciato da Bern
Rothsten. «Parla Luke Lucas» disse alla risposta.
Bern aveva una voce roca che tradiva un leggero accento
newyorkese. «Luke! Grazie al cielo! Cosa diavolo ti è successo?»
«È quello che mi chiedono tutti. La risposta è che sinceramente non ne so nulla, a parte il fatto che ho perso la
memoria.»
«Hai perso la memoria?»
«Esatto.»
«Oh, merda! E sai come ti è successo?»
«No. Speravo che tu potessi darmi qualche indizio.»
«Può darsi.»
«Perché hai cercato di contattarmi?»
«Ero preoccupato. Mi hai chiamato lunedì da Huntsville.»
Questo era un elemento nuovo. «Aspetta un minuto.
Hai detto da Huntsville?»
«Sì.»
«Credevo di aver preso un aereo dalla Florida.»
«Infatti è così. Ma ti sei fermato a Huntsville perché
avevi qualcosa di importante da fare laggiù.»
Né Bilì Hide né Elspeth avevano fatto parola di questo.
Forse non ne erano a conoscenza. «Prosegui.»
«Hai detto che saresti venuto qui, che volevi vedermi e
che mi avresti chiamato dal Carlton, ma non ti ho più
sentito.»
«Deve essermi successo qualcosa lunedì notte.»
«Già. Ascolta, c'è una persona che dovresti chiamare: la
dottoressa Billie Josephson è un'esperta di memoria a livello mondiale.»
Il nome non gli era del tutto nuovo. «Credo di aver visto un suo libro in biblioteca.»
«È anche la mia ex moglie, e una tua vecchia amica.»
Bern gli diede il numero di Billie.
«La chiamo subito. Senti, Bern...>)
«Sì?»
«Io perdo la memoria ed esce fuori che una mia vecchia
amica è un'esperta mondiale del campo. Non è una coincidenza incredibile?»
«Sì, davvero incredibile» convenne Bern.
16.45.
Il satellite, che costituisce la sezione anteriore dell'ultimo stadio,
misura 2 metri di lunghezza, solo 15 centimetri di diametro e
pesa 14 chili. La sua forma ricorda quella di un tubo da stufa.
Billie aveva in programma una seduta di un'ora con un
paziente, un giocatore di football "suonato", cioè rimasto
vittima di una commozione cerebrale in seguito allo scontro violento con un avversario. Era un soggetto interessante perché ricordava tutto quanto era accaduto fino a un'ora
prima della partita, e poi più niente fino al momento in cui
si era ritrovato sulla linea laterale, lontano dal gioco, chedendosi come aveva fatto a finire lì.
Ma durante l'intera seduta l'attenzione di Billie era altrove: continuava a pensare alla Sowerby Foundation e a
Anthony Carrolì. Quando ebbe finito e riuscì finalmente a
chiamare Anthony, era sulle spine. Fu fortunata e lo trovò
nel suo ufficio al primo tentativo.
«Anthony» chiese senza preamboli «cosa diavolo sta
succedendo?»
«Moltissime cose» rispose lui. «L'Egitto e la Siria hanno
deciso di unirsi, le gonne si accorciano, Roy Campanella
si è rotto l'osso del collo in un incidente stradale e potrebbe non giocare mai più con i Dodgers.»
Billie represse l'impulso di urlare. «Sono stata scavalcata per il posto di direttore della ricerca, qui in ospedale»
disse, sforzandosi di mantenere un tono calmo. «Il posto è
andato a Len Ross. Lo sapevi?»
«Sì, lo sapevo.»
«Io non capisco. Pensavo di poter essere superata da
qualcuno più qualificato di me, che so... Sol Weinberg, di
Princeton, o altri del suo calibro. Ma lo sanno tutti che io
sono più brava di Len.»
«Proprio tutti?»
«Andiamo, Anthony! Lo sai anche tu. Sei stato tu a incoraggiarmi a fare ricerche in questo campo, anni fa, alla
fine della guerra, quando...»
«Okay, okay, me lo ricordo benissimo» la interruppe lui.
«Quella storia è ancora top secret, lo sai.»
Billie non credeva proprio che quello che avevano fatto
durante la guerra potesse essere ancora considerato un segreto di Stato, e comunque non aveva importanza. «Allora perché il posto non è andato a me?»
«E secondo te io dovrei saperlo?»
Era umiliante, ma il bisogno di capire ebbe il sopravvento sull'imbarazzo. «La fondazione appoggia Len.»
«Suppongo che ne abbiano tutti i diritti.»
«Anthony, rispondimi!»
«Ti ho risposto.»
«Tu fai parte della fondazione. È molto insolito che interferiscano in questo tipo di decisioni. Normalmente le
lasciano agli esperti. Devi per forza sapere perché hanno
fatto un passo del genere.»
«No, non lo so. E credo che la scelta finale non sia ancora stata fatta. Di certo non c'è stata alcuna riunione in proposito... questo lo saprei.»
«Charles ne era sicuro.»
«Purtroppo per te, non sto mettendo in dubbio che sia
vero. Ma non è il genere di decisione che viene presa pubblicamente. È più probabile che il presidente e uno o due
membri del consiglio di amministrazione ne abbiano parlato al Cosmos Club davanti a un drink. Poi uno di loro ha
chiamato Charles e gli ha comunicato la scelta. Lui non può
permettersi di contraddirli e ha accettato. È così che vanno
queste cose, sono solo sorpreso che Charles sia stato tanto
franco con te.»
«Era quasi scioccato. Non riesce a capire perché dovrebbero fare una cosa simile. Credevo che tu potessi conoscere il motivo.»
«Probabilmente è un motivo stupido. Ross è un tipo
tutto casa e famiglia?»
«È sposato e ha quattro figli.»
«Al presidente non piacciono le donne che guadagnano
stipendi alti quando ci sono uomini che hanno una famiglia da mantenere.»
«Anch'io ho un bambino e una madre anziana da mantenere, perdio!»
«Non ho detto che sia anche logico. Senti, Billie, ora devo proprio andare. Ti richiamo più tardi.»
«Okay.»
Billie riattaccò e rimase a fissare il telefono, cercando di
analizzare le proprie sensazioni. La conversazione non la
convinceva del tutto, e si chiese il perché. Era perfettamente plausibile che Anthony potesse non essere a conoscenza
delle macchinazioni tra altri membri della fondazione. E
allora perché faceva fatica a credergli? Ripensandoci, si rese conto che era stato evasivo, e questo non era da lui. Alla
fine le aveva detto quel poco che sapeva, ma con molta riluttanza. Tutto portava a una chiara conclusione.
Anthony mentiva.
17.00.
Il quarto e ultimo stadio del missile è costruito in titanio anziché in acciaio inossidabile. Il risparmio in peso fa sì che il vettore possa trasportare un carico extra: poco meno di un chilo di
strumentazione scientfica di vitale importanza.
Appena Anthony ebbe riattaccato, il telefono riprese
immediatamente a squillare. Era Elspeth, sembrava agitata. «Insomma, è un quarto d'ora che sono in attesa!»
«Stavo parlando con Billie e...»
«Lascia perdere Billie. Ho appena parlato con Luke.»
«Oh, Cristo! Come mai?»
«Sta' zitto e ascoltami! Era allo Smithsonian, nell'Aircraft Building, insieme a un gruppo di fisici.»
«Vado subito.» Anthony mollò il telefono e si precipitò
fuori dalla porta. Pete lo vide e gli corse dietro. Scesero nel
parcheggio e saltarono a bordo dell'auto di Anthony.
Anthony era sbigottito dal fatto che Luke avesse parlato
con Elspeth. Significava che tutto stava andando a rotoli.
Ma forse, se fosse riuscito a raggiungere Luke prima degli
altri, avrebbe ancora potuto recuperare la situazione. Impiegarono quattro minuti per percorrere Independence
Avenue e Tenth Street. Lasciarono la macchina davanti all'ingresso posteriore del museo ed entrarono di corsa nel
Vecchio hangar denominato Aircraft Building.
Vicino all'ingresso c'era un telefono pubblico, ma nessuna traccia di Luke.
«Separiamoci» disse Anthony. «Io vado a destra, tu a sinistr&» Passò in mezzo agli oggetti esposti, scrutando i
volti degli uomini che guardavano dentro le bacheche di
vetro o se ne stavano con il naso rivolto all'insù per osservare gli aerei appesi al soffitto. In fondo all'edificio si ricongiunse con Pete, che allargò le bracda in un gesto
sconsolato.
Su un lato c'erano i servizi igienici e alcuni uffici. Pete
controllò il bagno degli uomini mentre Anthoriy guardava negli uffici. Luke doveva aver chiamato da uno di quegli apparecchi, ma ora se n'era andato.
«Niente» disse Pete, uscendo dai gabinetti.
«E una catastrofe!» esclamò Anthony
Pete aggrottò la fronte. «Una catastrofe?» ripeté. «Allora questo tizio è più importante di quanto mi ha detto?»
~<Sì» rispose Anthony «Potrebbe essere l'uomo più pericoloso d'America.»
«Oh, Cristo.»
Anthony vide un leggio portatile e delle sedie accatastate contro la parete in fondo. Un giovane in completo di
tweed stava parlando con due uomini in tuta da lavoro,
Anthony ricordò che Elspeth aveva detto che Luke si tro~rava con un gruppo di fisici. Forse c'era ancora una speranza di trovarlo.
Si ~vvicinò all'uomo vestito di tweed e gli chiese: «Mi
scusi, c'è stata una riunione qui?».
«Sì. Il professor Larkley ha parlato dei propellenti per
missili» rispose il giovane. «Sono Will McDermot, Ho organizzato io la conferenza nell'ambito delle manifestazioni per l'Anno geofisico internazionale.»
«Il dottor Claude Lucas era qui?»
«Lei è un SLIO amico?»
«Sì. Lei sa che il dottot Lucas ha perso la memoria?»
«So solo che non conosce va neppure il suo nome, finché
non gliel'ho detto io.»
F
H
Anthony represse un'imprecazione. Era quello che temeva, Luke aveva scoperto la propria identità.
«Ho bisogno di rintracciare immediatamente il dottor
Lucas» disse Anthony.
«Che peccato, se n'è appena andato.»
«Le ha detto dove andava?»
«No, Ho cercato di cònvincerlo a farsi vedere da un dottore, ma ha insistito che si sentiva bene. A me, però, sembrava sci occato...»
«Certo, capisco. La ringrazio per il suo aiuto.» Anthony
girò sui tacchi e si allontanò in fretta, Era furibondo.
Una volta uscito su Independence Avenue, vide un'autopattuglia della polizia. Due agenti stavano controllando
una macchina parcheggiata sull'altro lato della strada,
A.nthùny si avvicinò e vide che sI trattava di una Ford
Fairlane blu e bianca. «Guarda» disse a Pete. Controllò il
numero di targa: era proprio l'auto che Mrs Sims aveva
visto dalla finestra di casa sua a Geoùgetown.
Mostrò agli agenti il tesserino della Cia. «Controllate
quest'autò perché è parcheggiata irregolarmente?» chiese.
«No, abbiamo cercato di fermarla con un uomo a bordo
in Ninth Street» rispose il più anziano dei due «ma ci è
sfuggita.»
«Ve lo siete lasciato scappare?» disse Anthony incredulo.
«Ha fatto inversione di marcia ed è schizzato via contromano» spiegò il poliziotto più giovane. «Chiunque fosse al volante, è un asso!»
«Pochi minuti dopo abbiamo visto la macchina parcheggiata qui, ma l'uomo era scomparso.»
Anthony provò la tentazione di sbattere le teste dei due
l'una contro l'altra, lnv&e, si limitò a dire: «Il fuggiasco potrebbe aver rubato un'altra macchina ed essersi allontanato
con quella». Prese un biglietto da visita dal portàfoglio e lo
porse all'agente più anziano. «Se venite a sapeI~e di un'auto
rubata nelle vicinanze, potete chiamarmni a questo numero,
per favore?»
Il poliziotto lo guardò: «Può contarci, Mr Carrolì».
Anthony e Pete tornarono alla Cadillac gialla e ripartìrono per tornare in ufficio.
«Cosa pensa che farà, adesso?»
«Non lo so. Potrebbe andare dritto all'aeroporto e prendere un aereo per la Florida; potrebbe andare al Pentagono, oppure al suo albergo. Potrebbe persino decidere di
andare a New York per far visita a sua madre. Anche separandoci non saremmo in grado di coprire tutte le possibilità.» Per l'intero tragitto fino al Q Building, Anthony
continuò a riflettere in silenzio. Una volta giunti in ufficio,
ordinò a Pete: «Voglio due uomini all'aeroporto, due alla
Union Station e due alla stazione degli autobus. Poi voglio che altri due uomini chiamino dall'ufficio familiari,
amici e conoscenti di Luke: dobbiamo scoprire se si aspettano una sua visita o se lui si è fatto vivo con loro. Tu vai
con due uomini al Carlton Hotel. Prendete una stanza e
tenete sotto controllo la hall. Io vi raggiungerò più tardi».
Pete uscì e Anthony chiuse la porta.
Per la prima volta, quel giorno, ebbe paura. Ora che
Luke conosceva la propria identità, non si poteva sapere
cos'altro sarebbe stato capace di scoprire: Quell'operazione avrebbe potuto essere il suo maggior trionfo, ma si stava trasformando in un disastro in grado di mettere fine alla sua carriera.
Anzi, alla sua vita.
Se fosse riuscito a trovare Luke era ancora possibile recuperare la situazione. Ma avrebbe dovuto ricorrere a misure
drastiche. Non poteva più limitarsi a tenerlo sotto sorveglianza: doveva risolvere il problema una volta per tutte.
Scuro in volto, andò al ritratto del presidente Eisenhower
appeso alla parete. Tirò un lato della cornice e la fotografia
ruotò su dei perni, rivelando una cassaforte. Impostò la
combinazione, aprì lo sportello ed estrasse una pistola.
Era una Walther P38, in uso nell'esercito tedesco durante
la seconda guerra mondiale. Anthony l'aveva ricevuta in
dotazione prima di andare in Nord Africa. Possedeva anche un silenziatore espressamente progettato dall'Oss.
La prima volta che aveva ucciso un uomo era stato proprio con quell'arma.
Albin Moulier era un traditore che aveva consegnato alla polizia parecchi membri della Resistenza francese. Meritava di morire, su questo i cinque uomini della cellula
erano tutti d'accordo. Una notte, in una stalla abbandonata, illuminata da una sola lampada che proiettava ombre
irrequiete sulle pareti di pietra grezza, avevano tirato a
sorte. Essendo l'unico straniero, Anthoriy avrebbe potuto
essere esonerato, ma in quel modo avrebbe perso la stima
degli altri e così insistette per partecipare al sorteggio. Gli
toccò la pagliuzza più corta.
Albin venne legato alla ruota arrugginita di un aratro
fuori uso, non fu neppure bendato; ascoltò la discussione e
assistette al sorteggio. Quando li udì pronunciare la sua
condanna a morte se la fece addosso, e vedendo Anthony
estrarre la Walther si mise a gridare. Le urla resero la cosa
più facile a Anthony: voleva solo ucciderlo alla svelta, per
far cessare quel rumore. Gli sparò a bruciapelo in mezzo
agli occhi, un colpo solo. Dopo, gli altri gli dissero che aveva agito bene, senza esitazione né ripensamenti, come un
vero uomo.
Vedeva ancora Albin, in sogno.
Prese il silenziatore dalla cassaforte, lo avvitò alla canna
della pistola e strinse con forza. Indossò il cappotto di cammello. Era lungo, a un petto solo, con tasche profonde. Infilò la pistola nella destra con l'impugnatura rivolta verso il
basso e il silenziatore all'insù. Con il cappotto sbottonato,
infilò la mano sinistra nella tasca, estrasse la pistola afferrandola per il silenziatore, e la trasferì nella mano destra.
Quindi girò la levetta a sinistra sotto il carrello per togliere
la sicura. L'intera operazione richiese circa un secondo. Il silenziatore rendeva l'arma ingombrante e sarebbe stato più
comodo portarlo separato, ma poteva non avere il tempo di
inserirlo. In questo modo era più sicuro.
Si abbottonò il cappotto e usci.
18.00.
Il satellite ha la forma di un proiettile. In tepria una sfèra sarebbe risultata p~ù stabile ma, in pratica, un satellite ha bisogno di
antenne per le co~nunìcazioni radio e queste, proteiidendosi ver~io l'esterno, annullano i benefici della forma sferica.
Luke prese un taxi e si fece portare al Georgeio'~vn Mmd
Hospital. All'accettazione diede il proprio nome e disse che
aveva ùn appuntamento con la dottòressa Josephsot~.
Al telefono era stata molto affettuosa: si era dimostrata
molto preoccupata per lui e contenta di sentirlo. Gli aveva
detto di essere curiosa di conoscere i fatti e anche ansiosa
di incontrano al più presto. Parlava con la cadenzà del
Sud, e sembrava che nella sua voce fosse sempre in agguato una risata.
La guardò scendere le scale di cotsa~ una donna bassa di
statura in camice bianco, con grandi occhi marrone e un espressione eccitata sul viso. Luke noh poté fare a meno di
sorridere,
«Che bello vederti!» esclamò lei, abbracciandolo.
Luke provò l'impulso di contraccambiare con altrettan~*
ta espansività ma, temendo che questo potesse in qualche
modo òffenderla, si bloccò di colpo e restò con le braccia
alzate come la vittima di una rapina.
«Non ricordi come sono fatta» disse Billie ridendo di
cuore. <Rilassati, sono qùasi innocua.»
Luke le circondò le spalle: il corpo minuto della donna
era morbido e arrotondato sotto il carnice.
«Vieni, ti mostro il mio ufficio» fece lei, e lo guidò su per
le scale.
Mentre attraversavano un ampio corridoio incrociaronO una dOnna con i capelli bianchi avvolta in una Vesta~glia. «Dottoressa! Che bel ragazzo che hai!»
Wllie rise. «Poi te lo passo, Marleiie.»
L'ufficio era una piccola stanza con una scrivania sem~
plice e un archivio di metallo, ma Billie l'aveva abbellito
con dei fiori e un dipinto astratto dai colori sgargianti. Offrì a Luke del caffè e aprì una scatola di biscotti, poi cominciò a fargli domande sulla sua amnesia.
Mentre lui rispondeva, lei prendeva appunti. Luke, che
non tnangiavà da dodici ore, clivorò tutti i biscotti «Ne
vuoi ancOra?» chiese Uillie sorridendo. «Ce n'è un altro
pacchetto. » Luke rifiutò scuotendo la testa.
~<Il quadro è abbastanza cIii~ro>' disse lei infine. «Soffri
di un'amnesia globale, ma per il resto mi sembri perfettamente sano. Parlo della salute mentale, non di quella fisicà, perché quella non sòno in grado di valutarla e, anzi, ti
consiglio dì farti visitate a~peha possibile. Ma mi pare che
tu sia a posto, sei sOlo ufi po' s&osso.»
«Esiste una cuta per questo tipo dì anrnesia?»
«No, e generalmente il processo è irreversibile.»
Per Luke fu un duro colpo. Aveva sperato che tutto gli
sarebbe tornato alla mente in un lampo. «Maledizione?>
mormorò.
«Non ti scoraggiare» lo cOnfortò Billie con dolcezza.
«Chi soffre di questo tipo di aiiinesia conserva tutte le altre facoltà inalterate ed è in grado di apprendere nuovamente ciò che ha dimenticàto; di solito riesce a tornare a
una vita notmale. Si aggiusterà tutto, vedrai»
Persino mentre gli comunicava quella notizia terribile,
Luke .~i scoprì a guardarla affascinato, concentrato prima
sul suoi occhi, poi sulla bocca espressiva, quindi sui ric~
cioli neri illuminati dalla lampada sul tavolo. Avrebbe vo-
`I
luto che lei andasse avanti a parlargli all'infinito. «Cosa
può aver causato questa amnesia?» le chiese.
«La prima ipotesi da prendere in considerazione è un
danno al cervello. Ma non c'è traccia di ferite, e mi hai appena confermato che non hai mal di testa.»
«Esatto. Cos'altro?»
«Ci sono parecchie altre alternative» spiegò lei con tono
paziente. «Potrebbe essere stata causata da uno stress prolungato, da uno choc improvviso o da farmaci. L'amnesia
è anche un effetto collaterale di alcuni trattamenti per la
schizofrenia che prevedono una combinazione di elettroshock e terapie farmacologiche.»
«C'è modo di capire qual è stata la causa nei mio caso?»
«Non con sicurezza. Hai detto che questa mattina soffrivi dei postumi di una sbornia? Se non hai bevuto, potrebbe
trattarsi degli effetti collaterali di un farmaco. Ma non è
parlando con i medici che troverai una risposta certa. Devi
scoprire cosa ti è accaduto tra ieri sera e questa mattina.»
~<Be', se non altro so cosa devo cercare» osservò lui, amaro. «Choc, droghe, trattamenti contro la schizofrenia.»
«Tu non sei schizofrenico» disse Billie. «Hai un'ottima
percezione della realtà. Cosa pensi di fare, ora?»
Luke si alzò. Era riluttante a rinunciare alla compagnia di
quella donna affascinante, ma ormai lei gli aveva detto tutto quello che poteva. «Andrò a parlare con Bern Rothsten.
Credo che lui possa fornirmi qualche elemento utile.»
«Hai la macchina?»
«Ho chiesto al taxi di aspettare.»
«Ti accompagno.»
Mentre scendevano le scale, Billie lo prese a braccetto
con gesto affettuoso.
«Da quanto sei divorziata da Bern?» chiese Luke.
«Cinque anni. Quel tanto che basta per tornare a essere
amici.»
«So che è una domanda strana, ma devo proprio fartela. Tu e io siamo mai usciti insieme?»
«Se siamo usciti insieme?» fece Billie. «Altroché!»
1943.
Il giorno in cui l'Italia si arrese, Billie si imbatté per caso in
Luke nell'atrio del Q Building.
Sulle prime, non vi fece caso. Vide un uomo molto magro apparentemente sulla trentina, con un abito di almeno
due taglie più grande, e tirò dritto. Poi sì sentì chiamare:
«Billie? Non ti ricordi di me?».
Subito riconobbe la voce e il cuore prese a batterie forte.
Ma quando tornò a posare lo sguardo sull'uomo emaciato
che aveva pronunciato quelle parole, si lasciò sfuggire un
piccolo urlo. La sua testa assomigliava a un teschio. I capelli, un tempo bellissimi, avevano perso ogni lucentezza. Il
colletto della camicia era troppo largo e la giacca pareva
appesa a un attaccapanni. Gli occhi erano quelli di un vecchio. «Luke!» esclamò «hai un aspetto terribile!»
«Ehi, grazie mille» rispose lui con un sorriso stanco.
«Scusami» si affrettò ad aggiungere lei.
«Non ti scusare. Sono dimagrito, lo so. Dov'ero io non
c'era molto da mangiare.»
Billie avrebbe voluto abbracciarlo, ma si trattenne non
sapendo se lui l'avrebbe gradito o meno.
«Cosa ci fai qui?» le chiese.
Billie fece un respiro profondo. «Un corso di addestra
mento: cartografia, trasmissioni radio, armi da fuoco,
combattimento a mani nude.»
«Non è il vestito adatto per il ju-jitsu» osservò lui, sorridendo.
A Billie piaceva vestirsi alla moda, nonostante la guerra.
Quel giorno indossava un tailleur giallo pallido, composto
da un giacchino corto a bolero e una gonna audace che le arrivava alle ginocchia, e un grande cappello che ricordava
un piatto rovesciato. La paga dell'esercito non le permetteva di comperare abiti all'ultima moda, ovviamente, e quella
mise l'aveva confezionata da sé con una macchina per cucire presa a prestito. Suo padre aveva insegnato a cucire a tutti i suoi figli. «Lo considero un complimento» disse lei con
un sorriso, riprendendosi dallo choc. «Dove sei stato?»
«Hai un minuto per me?»
«Certo.» Doveva andare a una lezione di crittografia,
ma al diavolo.
«Vieni, usciamo.»
Era un caldo pomeriggio di settembre. Mentre passeggiavano accanto al bacino della Reflecting Pool, Luke si
tolse la giacca e se la gettò su una spalla. «Come mai sei
nell'Oss?»
«I-la fatto tutto Arithony Carrolì» rispose lei. L'Oss era
considerato una destinazione d'élite e gli incarichi erano
molto ambiti. ~<Anthony ha usato l'influenza della sua
famiglia per entrare. Ora è l'assistente personale di Bilì
Donovan.» Il generale "Wild Bilì" Donovan era il capo
dell'Oss. «Da un anno portavo un generale in giro per
Washington, e mi ha fatto un enorme piacere essere distaccata qui. Anthony ha sfruttato le sue conoscenze per
far entrare tutti i suoi vecchi amici di Harvard. Elspeth è a
Londra, Peg al Cairo, e mi pare di capire che tu e Bern siete stati da qualche parte dietro le linee nemiche.»
«In Francia» precisò Luke.
«Com'è stato?»
Luke si accese una sigaretta. Era un'abitudine nuova: ai
tempi di Harvard non fumava, ora, invece, inspirava il fumo come se fosse l'alito della vita. «Il primo uomo che ho
ucciso era un francese» se ne uscì lui all'improvviso.
Era evidente che aveva bisogno di parlarne. «Raccontami cosa è successo» disse Billie.
«Era un poliziotto, un gendarme. Si chiamava Claude,
come me. Non era un cattivo soggetto... antisemita, sì, ma
non peggio di tanti altri francesi, o americani, se è per
questo. Capitò per caso nella fattoria in cui ero riunito con
il mio gruppo. Non c'erano dubbi su cosa stessimo facendo: avevamo delle cartine sul tavolo e dei fucili appoggiati in un angolo, e Bern stava mostrando ai francesi come
collegare una bomba a orologeria.» Luke fece una risata
strana, priva di sentimento. «Quello stupido voleva arrestarci tutti. Non che avrebbe fatto qualche differenza. Dovevamo ucciderlo in ogni caso, qualunque fosse stata la
sua reazione.»
«E tu cos'hai fatto?» sussurrò Billie.
«L'ho portato fuori e gli ho sparato alla nuca.»
«Oh, mio Dio.»
«Non è morto subito. Ci ha messo più o meno un minuto.»
Billie gli prese la mano e gliela strinse. Lui ricambiò la
stretta e continuarono a camminare mano nella mano tutto intorno allo specchio d'acqua lungo e stretto. Lui le raccontò un'altra storia, di una partigiana caduta nelle mani
della Gestapo e torturata, e Billie pianse, con le lacrime
che le rigavano le guance e brillavano sotto il sole settembrino. Il pomeriggio si fece più fresco mentre Luke proseguiva con i suoi orribili resoconti: auto fatte saltare in aria,
ufficiali tedeschi assassinati, compagni della Resistenza
uccisi in combattimento, intere famiglie ebree deportate
verso destinazioni ignote.
Camminavano ormai da due ore quando lui incespicò e
Billie dovette sorreggerlo perché non cadesse. «Gesù, come sono stanco!» disse lui. «Sono secoli che dormo male~»
Billie fermò un taxi e lo accompagnò al suo hotel.
Alloggiava al Carlton. Solitamente l'esercito non arrivava a simili lussi, ma Billie rammentò che Luke proveniva
da una famiglia ricca, Aveva una suit~ d'angolo. C'era un
pianoforte a coda in soggiorno e - cosa che non aveva mai
visto prima - una derivazione telefonica in bagno.
Billie chiamò il servizio in camera e ordinò brodo di polio, uova strapazzate, panini e del latte freddo. Luke sedette
sul divano e cominciò a raccontarle un'altra storia, una storia divertente, questa volta, di un sabotaggio a una fabbrica
che produceva gavette per l'esercito tedesco. «Feci irruzione nello stabilimento e vi trovai una cinquantina di donne
enormi, muscolose, che carica vano la fornace e pestavano
sugli stampi. "Evacuate l'edificio! Lo facciamo saltare in
aria!" urlai, ma quelle mi prendevano in giro. Si rifiutavano
di andarsene e continuarono a lavorare. Non mi credevano!» Prima che potesse finire il racconto, arrivò il cibo.
Billie firmò il conto, diede la mancia al cameriere e posò
i piatti sul tavolo. Quando si voltò, Luke si era già addormentato.
Lo svegliò per accompagnarlo in camera e lo aiutò a infilarsi a letto. «Non te ne andare» mormorò lui, mezzo ad-
dormentato, e richiuse gli occhi.
Billie gli tolse le scarpe e gli allentò delicatamente la
cravatta. Dalla finestra aperta entrava una dolce brezza:
non c'era bisogno di coperte.
Sedette sul bordo del letto e rimase a osservarlo per un
po', ripensando al lungo viaggio da Cambridge a Newport,
quasi due anni prima. Gli sfiorò la guancia con la parte
esterna del mignolo, proprio come aveva fatto quella notte.
Lui non si mosse.
Billie si tolse cappello e scarpe, poi, dopo un attimo di riflessione, si levò anche giacca e gonna; quindi, in calze e
sottoveste si sdraiò sul letto, circondandogli con le braccia
le spalle ossute. Poi attirò la testa di lui sul suo seno, e lo tenne stretto. «Va tutto bene» gli disse. «Dormi fin che vuoi.
Quando ti svegli, io sarò ancora qui.»
Venne la notte. La temperatura scese. Billie chiuse la finestra e tirò su il lenzuolo. Poco dopo mezzanotte si addormentò anche lei, sempre tenendolo tra le braccia.
All'alba, dopo dodici ore di sonno, Luke si alzò di scatto per andare in bagno. Un paio di minuti dopo tornò e si
rinfilò a letto. Si era tolto il vestito e la camicia e indossava
solo gli slip. L'abbracciò e la tenne stretta. «C'è una cosa
che ho dimenticato di dirti, una cosa molto importante»
disse.
«Cosa?»
«In Francia non ho fatto altro che pensare a te. Ogni
giorno.»
«Davvero?» chiese lei con un sussurro. «Davvero?»
Ma Luke non rispose. Si era riaddormentato.
Billie rimase a letto, abbracciata a lui. In Francia aveva
rischiato la vita e pensato a lei: era così felice che si sentiva
scoppiare il cuore.
Alle otto andò nel soggiorno della suite, chiamò il Q
Building e avverti che non si sentiva bene. Era il primo
giorno di malattia in più di un anno di lavoro nell'esercito. Fece un bagno, si lavò i capelli e si rivestì. Poi ordinò
caffè e fiocchi di cereali. Il cameriere la chiamò Mrs Lucas
e Billie fu contenta che non fosse venuta una cameriera:
una donna avrebbe subito notato che lei non portava la fede al dito.
Pensava che il profumo del caffè lo avrebbe svegliato, ma
non fu così. Billie lesse il "Washington Post" da cima a fondo, pagine sportive comprese. Stava scrivendo una lettera a
sua madre a Dallas sulla carta intestata dell'albergo, quando Luke uscì barcollando dalla stanza. Era ancora in mutande, con i capelli arruffati e la barba lunga. Billie gli sorrise.
«Quanto ho dormito?» Sembrava confuso.
Lei guardò l'orologio. Era quasi mezzogiorno. «Circa
diciotto ore» rispose. Non avrebbe saputo dire cosa stesse
pensando. Era contento di trovarla lì? Imbarazzato? Forse
desiderava che se ne andasse?
«Dio!» esclamò. «Era un anno che non dormivo così
tanto.» Si stropicciò gli occhi. «Sei rimasta qui tutto il tempo? Mi sembri fresca come una rosa.»
«Ho fatto un pisolino.»
«Sei rimasta qui tutta la notte?»
«Me lo hai chiesto tu.»
Lui aggrottò la fronte. «Mi sembra di ricordare...» Scosse
la testa. «Ragazzi, ho fatto certi sogni...» Andò al telefono.
«Servizio in camera? Vorrei urLa bistecca con tre uova all'occhio di bue. E del succo d'arancia, caffè e pane tostato.»
Billie era perpiessa. Non aveva mai passato la notte con
un uomo e non sapeva cosa aspettarsi al risveglio, ma questo la deluse. Il tutto era così poco romantico che si sentì
quasi insultata. Le ricordava quando i suoi fratelli si svegliavano: anche loro si presentavano con la barba lunga, di
cattivo umore e affamati. Solitamente, però, dopo una buona colazione miglioravano.
«Un attimo» disse Luke al telefono. Guardò Billie. «Desideri qualcosa?»
~<Sì, del tè freddo.»
Luke ripeté la richiesta e riattaccò.
Si sedette sùl divano accanto a lei. «Ho parlato un sacco, ieri.»
«Gran verità.»
«Per quanto?»
«Cinque ore di fila, più o meno.»
«Scusami.»
«Non ti scusare. Fa' quello che vuoi, ma non ti scusare.»
Le salirono le lacrime agli occhi. «Non lo dimenticherò
finché vivo.»
Lui le prese le mani. «Sono così felice che ci siamo di
nuovo incontrati...»
Il cuore di Billie fece un balzo. «Anch'io.» Questo era
un po' più vicino a ciò che avrebbe desiderato.
«Vorrei baciarti, ma sono ventiquattr'ore che non mi
lavo.»
Billie provò un'emozione improvvisa dentro, come una
molla che si rompe, poi avverti una sensazione come di
bagnato. Rimase scioccata: non le era mai successo cosi,
prima di allora.
Ma si trattenne. Non aveva ancora deciso fin dove spin-
gersi. Aveva avuto tutta la notte per prendere una decisione, ma non ci aveva neppure pensato. Ora temeva che, se
lui l'avesse anche solo sfiorata, avrebbe perso il controllo.
E poi?
La guerra aveva portato un nuovo clima di libertà sessuale a Washington, ma lei non si sentiva coinvolta. Strinse le mani posate in grembo e disse: «Non ti azzardare a
baciarmi finché non ti sarai vestito».
Lui le rivolse un'occhiata scettica. «Hai paura di comprometterti?'>
Billie trasalì per il tono ironico della sua voce. «Cosa intendi dire?»
Lui si strinse nelle spalle. «In fondo abbiamo passato la
notte insieme. »
Billie si sentì offesa e indignata. «Sono rimasta perché
tu mi hai pregato di farlo!» protestò.
«D'accordo, d'accordo. Non ti arrabbiare.»
In pochi secondi il desiderio che aveva provato per lui si
era trasformato in una rabbia altrettanto dirompente. «Eri
così stanco che non riuscivi neppure a stare in piedi e io ti
ho messo a letto» continuò lei, furiosa. «Poi mi hai chiesto
di non andarmene e così sono restata.»
«Ti ringrazio.»
«E allora non mi parlare come se mi fossi comportata
da... da prostituta!»
«Non era questo che intendevo.»
«E invece sì!»
Luke fece un profondo sospiro. «Non volevo assoluta-
mente dire quello. Gesù, stai facendo una questione di stato per una semplice osservazione spontanea.»
«Troppo spontanea» ribatté lei. Il problema era che si
era effettivamente compromessa.
Bussarono alla porta.
Si guardarono. «Sarà il servizio in camera» disse Luke.
Billie non voleva farsi vedere con un uomo svestito.
«Va' in camera da letto.»
«Okay»'>
«Prima dammi il tuo anello.»
Luke abbassò lo sguardo sull'anello del college che portava al mignolo della mano sinistra. «Perché?»
«Così il cameriere penserà che siamo sposati.»
«Ma non me lo tolgo mai!»
Questo la fece infuriare ancora di più. «Sparisci!» sibilò.
Lui si ritirò nella stanza da letto. Billie andò ad aprire la
porta: una cameriera portò dentro il carrello con le ordinazioni. «Ecco qui, signorina» disse.
Billie arrossì fino alla radice dei capelli. Quel "signorina"
le suonava come un insulto. Firmò il conto ma non lasciò alcuna mancia. «Ecco fatto.» E voltò le spalle alla ragazza.
La cameriera se ne andò. Billie sentiva scrosciare l'acqua nella doccia. Era esausta. Aveva passato lunghe ore in
preda a una profonda illusione romantica e, in pochi minuti, tutto si era concluso nel peggiore dei modi. Luke, solitamente così gentile, si era trasformato in un orso. Come
potevano succedere cose simili?
Qualunque fosse la ragione, lui L'aveva fatta sentire una
sgualdrina. Di lì a poco sarebbe uscito dal bagno, pronto a
sedersi per fare colazione come se fossero una coppia sposata.Però non lo erano, e lei si sentiva sempre più a disagio.
Be', pensò, se non mi va come mai sono ancora qui?
Si mise il cappello. Era meglio andarsene con quel poco
di dignità clie ancora le restava.
Pensò di lasciargli un biglietto, ma in quel momento il
rumore dell'acqua cessò. Lui stava per arrivare, profumato di sapone, avvolto nell'accappatoio, i capelli bagnati e i
piedi scalzi, così bello da mangiarselo. No, non c'era tempo per un biglietto.
Uscì dalla suite, chiudendosi la porta alle spalle senza
far rumore.
Nelle quattro settimane seguenti si videro quasi ogni
giorno.
Luke prima passava al Q Building per i suoi quotidiani
rapporti sull'attività svolta dietro le linee nemiche, poi, all'ora di pranzo, veniva a cercarla per andare insieme alla
caffetteria, oppure prendevano dei sandwich per mangiarli nel parco. I suoi modi tornarono a essere quelli rilassati e cortesi di sempre, e lei cominciò a sentirsi di nuovo
rispettata e apprezzata. Il rancore per il suo atteggiamento
al Carlton si placò. Probabilmente, pensava Billie, neppure lui aveva mai passato la notte con un'amante e non sapeva bene in che modo comportarsi. L'aveva trattata con
spontaneità, come avrebbe potuto trattare sua sorella... e
forse sua sorella era l'unica ragazza ad averlo mai visto in
mutande.
Alla fine della prima settimana Luke le aveva chiesto
un appuntamento e il sabato sera erano andati a vedere
L'ombra del dubbio. La città era affollata di giovani diretti al
fronte o che tornavano a casa per una licenza, ragazzi per
i quali la morte violenta era un evento quotidiano. Avevano voglia di bere, ballare e fare l'amore, perché quella poteva essere l'ultima volta. I bar erano gremiti, e in città
non c'era una sola ragazza costretta a passare la serata da
sola. Gli Alleati stavano vincendo la guerra, ma l'esultanza era quotidianamente incrinata dalle notizie di vicini di
casa, patenti e compagni di università uccisi o feriti al
fronte.
Luke cominciò a mettere su peso e a dormire meglio;
sparito lo sguardo tormentato, ritrovò un poco della sua
espressione fanciullesca. Acquistò abiti della taglia giusta,
camicie con le maniche corte e pantaloni bianchi, e un completo blu scuro che indossava per uscire con lei la sera.
Parlavano sempre. Lei gli spiegava come lo studio della
psicologia umana avrebbe finito per eliminare le malattie
mentali, lui le raccontava come l'uomo avrebbero potuto
arrivare sulla luna. Ricordarono quel fatidico weekend a
Harvard che aveva cambiato le loro vite. Discutevano della guerra e di quando sarebbe finita: Billie pensava che i
tedeschi non avrebbero potuto resistere ancora per molto,
ora che l'Italia era caduta, ma Luke era convinto che ci sarebbero voluti ancora anni per scacciare i giapponesi dal
Pacifico. A volte uscivano insieme a Anthony e Bern, discutevano di politica nei bar, proprio come avevano fatto
quando erano tutti insieme all'università, in un altro mondo. Un fine settimana Luke volò a New York per andare a
trovare la sua famiglia, e Uillie sentì così tanto la sua mancanza da star male. Non si stancava mai di lui. Era impossibile annoiarsi con un ragazzo così premuroso, simpatico, intelligente.
Almeno due volte la settimana facevano grandi litigate,
e le modalità erano sempre le stesse di quella loro prima
lite nella suite del Carlton. Lui diceva qualcosa di presuntuoso o prendeva una decisione sul programma della serata senza prima consultarla, o magari dava per scontato
di saperne più di lei su un determinato argomento: radio,
automobili, tennis. Billie si ribellava subito, e Luke l'accusava di reagire in modo eccessivo. Lei allora si arrabbiava
ancora di più nel tentativo di fargli capire che il suo atteggiamento era sbagliato e lui cominciava a sentirsi come un
testimone ostile in un controinterrogatorio. Nella foga
della discussione, Billie finiva sempre per esagerare, facendogli qualche accusa irragionevole. Allora Luke si lamentava che non era sincera, che non aveva senso discutere con lei perché era pronta a dire qualsiasi cosa pur di
averla vinta, dopo di che se ne andava, persuaso di essere
nel giusto. Nel giro di pochi minuti Billie era disperata: lo
andava a cercare, lo implorava di perdonarla e di fare la
pace. Sulle prime lui restava indifferente; poi lei diceva
qualcosa che lo faceva ridere e allora si scioglieva.
In tutto quel periodo, però, Billie non andò più al suo
albergo, e quando lo baciava si trattava sempre di un bacio casto e sempre in un luogo pubblico. Anche così, comunque, ogni volta che lo toccava, lei sentiva quella sensazione liquida dentro di sé e sapeva che non avrebbe più
potuto continuare così, senza andare fino in fondo.
Il caldo settembre si trasformò in un freddo ottobre, e a
Luke venne comunicata la sua nuova destinazione.
La notizia arrivò un venerdì pomeriggio. Uscendo dal
lavoro, Billie trovò Luke che l'aspettava nell'atrio del Q
Building. Capì subito dal suo volto che era successo qualcosa di brutto~ «Cosa c'è?» gli chiese.
«Devo tornare in Francia.»
«Quando?» chiese lei, sgomenta.
«Partirò lunedì mattina da Washington. Anche Bern.»
«Ma non hai già fatto la tua parte?»
«Non ho paura del pericolo» disse lui. «È solo che non
voglio lasciarti.»
Gli occhi di Billie si riempirono di lacrime. «Due giorni...» mormorò lei, cercando di vincere il nodo che le serrava la gola.
«Devo fare i bagagli.»
«Ti do una mano.»
Andarono al suo albergo.
Come furono nella stanza lei lo afferrò per il maglione,
lo attirò a sé e sollevò il viso perché lui la baciasse. Questa
volta non ci fu nulla di casto. Billie fece correre la punta
della lingua lungo le sue labbra, e poi aprì la bocca per lasciarlo entrare.
Si tolse il soprabito. Indossava un vestito a righe verticali blu e bianche con un colletto bianco. «Toccami il seno» gli ordinò.
Lui parve sorpreso.
«Ti prego» lo implorò.
Le mani di lui si strinsero sui suoi piccoli seni e lei chiuse gli occhi abbandonandosi a quella sensazione.
Si separarono e lei lo guardò con intensità, cercando di
memorizzare il suo volto. Non avrebbe scordato mai l'azzurro dei suoi occhi, il ciuffo di capelli scuri che gli ricadeva sulla fronte, la linea della mascella, le labbra grandi e
morbide. «Voglio una tua fotografia» gli disse. «Ne hai una
da darmi?»
«Non vado in giro con le mie foto» fece lui ridendo, e
poi aggiunse con accento newyorkese: «Chi credi che sia,
Frank Sinatra?».
«Devi pur averne una.»
«Potrei avere una foto con i miei. Aspetta che guardo»
disse, e andò in camera da letto.
Lei lo segui.
La vecchia valigia di pelle marrone era posata sul cavailetto dove, immaginò Billie, era rimasta per quattro settimane. Luke prese una cornice d'argento che si apriva co~
me un libriccino. Dentro c'erano due fotografie, una per
lato. Ne estrasse una e gliela porse.
Era stata scattata tre o quattro anni prima e ritraeva un
Luke più giovane e in carne con una maglietta poìo. Con
lui c'erano un uomo e una donna, i suoi genitori presumibilmente, due gemelli sui quindici anni e una bambina,
tutti in tenuta da spiaggia.
«Non posso prendere questa, è la foto della tua famiglia» disse lei, pur desiderandola moltissimo.
«Voglio che tu la prenda. Sono io, e io faccio parte della
mia famiglia.»
Era per questo che le piaceva. «L'hai portata in Francia
con te?»
«Sì.»
Doveva essere importante, per lui, e Billie quasi non se la
sentiva di portargliela via, ma era proprio questo che gliela
rendeva ancora più preziosa. «Fammi vedere l'altra» disse.
«Cosa?»
«Ci sono due foto nella cornice.»
Seppure con una certa riluttanza, Luke l'aprì. La seconda foto era stata ritagliata dall'annuario della Radcliffe.
Era una foto di Billie.
«Hai portato anche questa in Francia?» gli chiese. Quasi
non riusciva a respirare, tanto si sentiva la gola stretta.
«Sì.»
Bl] lie non riuscì più a controllarsi e scoppiò a piangere.
Luke aveva ritagliato la foto dall'annuario e l'aveva portata con sé, insieme a quella della sua famiglia, per tutto il
tempo in cui la sua vita era stata in pericolo. Non sapeva
di essere così importante per lui.
«Perché piangi?» chiese Luke.
«Perché tu mi ami» rispose Billie.
«È vero» ammise lui. «Avevo paura di dirtelo. Ti amo
fin dal weekend di Pearì 1-larbor.»
La sua passione si trasformò in collera. «Come puoi dire una cosa simile, bastardo, se mi hai lasciata?»
«Se fossimo diventati amanti allora, Anthony non avrebbe retto al dolore.»
«Al diavolo Anthony!» Lo colpì con il pugno sul petto,
ma lui non parve neppure accorgersene. «Come hai potuto anteporre la felicità di Anthony alla mia, brutto figlio di
puttana?»
«Non sarebbe stato onesto.»
«Ma non lo capisci? Avremmo potuto avere due anni
tutti per noi!» esclamò Billie con le guance rigate di lacrime. «E ora abbiamo soltanto due giorni... due miserabili
giorni!»
«Allora smettila di piangere e baciami» disse lui.
Billie gli circondò il collo con le braccia e attirò il suo viso verso il basso. Le sue lacrime si fecero strada tra le loro
labbra. Lui cominciò a slacciarle il vestito. «Strappalo» gli
ordinò lei, impaziente. Lui tirò forte, facendo saltare i bottoni fino alla vita. Un altro strattone, e lo aprì del tutto.
Billie lo fece scivolare giù dalle spalle e rimase in mutandine e calze.
«Sei sicura di volerlo?» le chiese lui con solennità.
Per un attimo lei ebbe paura che Luke si facesse inibire
da scrupoli morali. «Devo farlo, devo! Non fermarti, te ne
prego!»
Lui la spinse dolcemente sul letto e si sdraiò su di lei,
reggendosi sui gomiti. «Non l'ho mai fatto» le confessò,
guardandola negli occhi.
«Non ti preoccupare» rispose lei. «Neanch'io.»
La prima volta finì in fretta, ma dopo un'ora lo fecero di
nuovo e durò più a lungo. Lei gli disse che voleva offrirgli
tutto, dargli ogni piacere di cui lui avesse mai fantasticato,
compiere ogni possibile atto di intimità. Fecero l'amore
18.30.
per tutto il weekend, pazzi di desiderio e di dolore, consapevoli che quella avrebbe potuto essere la loro ultima volta insieme.
Quando Luke partì, il lunedì, Billie pianse per due giorni.
Otto settimane dopo scoprì di essere incinta.
Gli scienziati possono
solo cercare di prevedere le massime va-
riazioni di temperatura
cui il satellite sarà sottoposto spostandosi dalla zona d'ombra
proiettata dalla terra al bagliore accecante del sole senza la
protezione dell'atmosfera. Nel tentativo
di mitigare gli effetti
di questa esposizione, il satellite è stato
parzialmente dipinto con
strisce bianche di ossido di alluminio
per riflettere i raggi
roventi del sole ed è stato rivestito in ternamente con uno strato
isolante di lana di vetro per tenere lontano
il gelo assoluto dello
spazio.
«Sì, siamo usciti
insieme» disse Billie mentre scendevano i~ scale.
Luke aveva la bocca
asciutta. Immaginò di tenerla per
mano, di osservare il suo
viso a lume di candela, di baciarla, di guardarla mentre
si spogliava. Provava un senso di
colpa, sapendo di avere
una moglie, ma non riusciva a ricordarla, mentre Billie
era lì, accanto a lui, con il suo profumo di fresco, che gli
parlava tutta animata e gli sorrideva.
Giunti alla porta
dell'edificio si fermarono. «Eravamo innamorati?» chiese Luke,
guardandola attentamente, studiandone l'espressione.
Fino a quel momento il viso di Biilie era stato facile da
leggere, ma ora, all'improvviso, era
come se il libro si fosse
chiuso, lasciando in vista solo una
copertina incolore.
«Oh, certo» rispose lei
e, nonostante il tono incurante,
Luke avverti una tensione nella sua voce. «Per me eri l'unico uomo sulla terra.»
Come poteva essersi lasciato sfuggire una donna come
quella? Sembrava una tragedia peggiore della perdita completa della tnemoria. «Ma poi hai cambiato idea.»
«Sono cresciuta abbastanza da capire che il principe azzurro nòn esiste; ci sono solo uomini con più o meno difetti. A volte indossanò un'armatura lucente, che però, inevi**
tabilmente, ha sempre quàlche macchia di ruggine.»
Luke avrebbe Voluto sapere tutto, ogni singolo dettaglio, ma erano troppe domande. «Così hai sposato Bern»
«Com'è?»
«In gamba. Tutti i miei uòmini devono essere molto intelligenti, altrimenti mi annoio. £ anche forti... abbastan-*
za da tenermi testa.» Gli riVolse un sorriso generoso.
«Cosa è andato stodo?» chiese Luke,
«Abbiamo aVuto un conflitto di valori. So che sembra
un astrazione, m.a Bern ha rischiato la vita per la causa
della libertà in due conflitti, la guerra civile spagnola e la
seconda guerra mondiale. l'cr ]ui la fede poLitica ~ più importante di qualsiasi altra cosa.»
C'era una domanda che Luke voleva farle più di ogni altra, però non riusciva a trovare un modo delicàto e indiretto
per poria e così chiese, a brudapelo: «Hai ~jualcuno, òra?».
«Certo, si chiama Harold BrodskV.»
Luke si sentì uno stupido. Ovvio che aveVa qi.ialcuno.
Era una splendida divorziata sui treritacìnque~ gli uomini
doveVanò fare la fila per chiederle di uscire. «~ un principe azzurro?» chiese con un sorriso mesto.
«No, ma è intelligente, ml fa ridere e mi adora.»
Luke provò ùna fitta di invidia. Fòrtunato 1-larold, pensò. «E suppongo che lui condivida i tuòi valori.»
«Sì. La cosa più importante della sua vita è il figlio, lui è
vedovo, e dopo viene il sud lavoro.»
dChe sarebbe?»
«E docente di chimica. E io ho lo stesso atteggiamento
tici confronti del mio lavoro.» Sorrise. «Sarò disincantata
per quanto riguarda gli uomini, ma sognò ancora di sciogliere i misteri della mente ùmana.»
Questo lo riportò al problema contingente. Fu come un
colpo a sorpresa, scioccante e doloroso. «Vorrei tanto che
tu riuscissi a svelare il mistero di quello che è successo alla mia memoria.»
Billie corrùgò la fronte e, nonostante la preoccupazione,
Luke non poté fare a meno di pensare quanto fosse carina
quando arricciava il ùaso.
«E strano» disse lei, «Forse hai subito un trauma cranico che non ha lasciato alcuna traccia visibile, ma se così
fosse d ovresti avere nial di testa.»
«Assolutamente no.»
«Non sei un alcolizzato né un drogatò, lò vedo dal tuo
aspetto. Se avessi subito un fòrte choc o sofferto di unò
stress prolungato pr~obabilrniente ne sarèi al corrente, o da
te o dai nostri comuni amici.»
«Cosa resta?»
Lei scosse la testa. «Di certo non sei Ùipo schizofrenico,
quindi non è possibile che tu sia statd sottoposto al trattaménto combinato con farmaci ed elettroshock che avrebbe
potuto portare... »
Si bloccò di colpo con la bocca aperta e gli occhi spàlancali, bellissima nonostante l'espressiòne sgomentà.
«Cosa c'è?»
~<Mi è appena venuto in mente Joe Bldw.»
«Chi è?»
«Ioseph Bellow. Il nome ml aveva colpito perché mi
sembrava inventato.»
«È un paziente, lo hanno ricoverato ieri sera tardi, dopo
che io ero già andata a casa. E poi è stato dimesso nel còrso della notte... una cosa daWerò strana.»
«Cosa aveva?»
«Era schizofr~nìco,» flillie si fece bianca in volto, «Oh,
merda!»
Luke cominciò a capire cosa stava pensando. «E così
questo paziente...»
«Andiamo a vedere la sua cartella» disse Billie.
Girò sui tacchi e corse su per le scale. Entrarono in una
stanza indicata come ARCHIVIO. Dentro non c'era nessuno.
Billie accese la luce.
Aprì un cassetto contrassegnato A-D, spulciò i fascicoli
e ne tirò fuori uno. «Maschio, razza bianca, trentasette anni, un metro e ottantacinque di altezza, ottantacinque chili di peso» lesse.
Le supposizioni di Luke sembravano confermate. «Pensi che questo Joseph Bellow sia io?»
Billie annuì. «Il paziente è stato sottoposto a un trattamento che causa amnesia globale.»
«Mio Dio!» Luke era sbigottito e incuriosito allo stesso
tempo. Se Billie aveva visto giusto, si era trattato di un'azione deliberata. Questo spiegava perché lo stavano seguendo... volevano assicurarsi che il trattamento avesse
funzionato. «Chi è stato a farlo?»
«Un mio collega, il dottor Leonard Ross. È uno psichiatra. E stato lui a firmare il ricovero. Vorrei sapere per quale
motivo ha autorizzato il trattamento. Di norma un paziente dovrebbe essere tenuto sotto osservazione per qualche
giorno prima di subire qualsiasi tipo di cura. E poi non riesco a immaginare nessuna spiegazione medica che giustifichi una dimissione immediata, neppure con il consenso
dei parenti. È stata una procedura molto irregolare.»
«Pare che questo Ross sia nei guai.»
Billie fece un sospiro. «Probabilmente no. Se protesto,
diranno che ce l'ho con Len perché ha avuto il posto che
volevo io, come direttore della ricerca.»
«Quando è successo?»
«Oggi.»
Luke trasalì. «Questo dottor Ross ha avuto una promozione oggi?»
«Sì, e ho il sospetto che non si tratti soltanto di una
coincidenza.»
«Certo che no! L'hanno comprato. Gli hanno promesso
la promozione in cambio di un comportamento altamente
irregolare.»
«Non posso crederci... invece sì che posso. E un debole.»
«È solo un burattino. Deve essere stato qualcuno sopra
di lui a ordinarglielo, qualcuno ben più in alto nella scala
gerarchica dell'ospedale.»
«No.» Billie scosse la testa. «È stato l'ente che finanzia il
nuovo progetto, la Sowerby Foundation. Loro hanno insistito perché il posto andasse a Ross. Me l'ha detto il mio
capo. Non riuscivo a capire perché, ma ora lo so.»
«Tutto quadra, però è comunque incredibile. Qualcuno
nella fondazione voleva che io perdessi la memoria?»
«E io credo anche di sapere chi» disse Billie. «Anthony
Carrolì. Lui è nel consiglio d'amministrazione.»
Il nome non gli era nuovo. Anthony era l'uomo della
Cia di cui gli aveva parlato Elspeth. «Ci resta comunque
da capire il perché.»
«Sì, ma ora sappiamo a chi chiedere» ribatté Billie sollex'arìdo la cornetta del telefono.
Mentre lei componeva il numero, Luke cercò di organizzare i propri pensieri. L'ultima ora gli aveva riservato
una serie di violente sorprese. Gli era stato detto che non
avrebbe mai più riacquistato la memoria. Aveva appreso
di essere stato innamorato di Billie e di averla persa, e non
riusciva a spiegarsi come aveva potuto essere così stupido. Inoltre, adesso era venuto a scoprire che la sua amnesia era stata deliberatamente provocata e che il responsa-
bile era qualcuno della Cia.
E lui non aveva la minima idea del perché.
«Voglio parlare con A.nthony Carrolì» disse Billie al telefono. «Sono la dottoressa Josephson.» lì suo tono era perentorio. «Ho capito. Allora gli dica che devo parlargli con
la massima urgenza.» Guardò l'orologio. «Mi faccia richiamare esattamente tra un'ora.» La sua espressione si
fece improvvisamente minacciosa. «Non mi prenda in giro, giovanotto. So benissimo che potete fargli arrivare un
messaggio in qualsiasi momento del giorno e della notte,
19.30
ovunque si trovi» disse, e sbatté giù la cornetta.
Incrociò lo sguardo di Luke e assunse un'espressione
imbarazzata. «Scusa, ma quel tizio mi ha detto "Vedrò cosa posso fare", come se mi stesse facendo un favore!»
Luke ricordò che Elspeth gli aveva accennato che Anthony aveva studiato a Harvard con lui e Bern. «Questo
Anthony...» disse «credevo che fosse un amico.»
«Già» fece Billie annuendo, scura in volto «anch'io lo
credevo. »
La
temperatura è l'ostacolo principale al volo umano nello spazio. Per
misurare l'efficacia del suo isolamento termico l'Explorer
possiede quattro termometri: tre nell'involucro, per la temperatura
della supe?ficie esterna, e uno dentro il compartimento
della
strumentazione per misurare quella interna. Lo scopo è
quello di
mantenere quest'ultima entro valori compresi tra i 4 e
i 21 gradi
centigradi, una temperatura soddisfacente per la sopravvivenza
dell'uomo.
Bern
viveva in Massachusetts Avenue, un quartiere di
grossi
edifici eleganti e ambasciate che dominava la pittoresca gola
di Rock Creek. Il suo appartamento era arredato
con gusto
spagnoleggiante, con elaborati mobili coloniali
in legno
scuro e pareti rigorosamente bianche che ospitavano
dipinti di paesaggi calcinati dal sole. Luke ricordò
che Bern
aveva combattuto nella guerra civile spagnola.
Era
facile immaginarlo come combattente. I capelli neri
adesso
erano piuttosto radi, e sembrava un po' sovrappeso, ma
conservava un'espressione determinata e uno
sguardo
severo. Luke si chiese se una persona così prag-
matica
avrebbe mai potuto credere alla strana storia che
lui aveva
da raccontare.
Bern gli
strinse la mano con vigore e gli offrì un caffè
molto forte
servito in una tazzina piccola. Posata sul mobile del
grammofono c'era una fotografia in una cornice d'ar-
pw.-
gento. Ritraeva un uomo di mezza età con una camicia tutta strappata che stringeva in mano un fucile. Luke la prese
per guardarla meglio. «Largo Benito» spiegò Bern. «È il più
grande uomo che abbia mai conosciuto. Ho combattuto
con lui in Spagna. Largo è il nome di battesimo di mio figlio, ma Billie lo chiama Larry.»
Probabilmente Bern considerava la guerra di Spagna
come il più bel periodo della sua vita. Con un po' di invidia, Luke si chiese quale fosse il più bel periodo della propria. «Penso di aver avuto anch'ìo dei bei ricordi» osservò, avvilito.
Bern gli lanciò un'occhiata penetrante. «Cosa diavolo ti
capita, amico mio?»
Luke si sedette e gli fece un resoconto di quello che lui e
Billie avevano scoperto all'ospedale. «Ora ti spiego ciò
che penso mi sia successo» proseguì. «Non so se ci crederai, ma io te lo racconto lo stesso, perché spero tanto che
tu possa fare un po' di luce su questo mistero»
«Farò quello che posso.»
«Sono venuto a Washington lunedì, subito prima del
lancio del missile. Dovevo incontrarmi con un generale
dell'esercito per un qualche misterioso motivo di cui non
ho parlato con nessuno. Mia moglie era preoccupata per
me e ha chiamato Anthony per chiedergli di tenermi
d'occhio. Lui mi ha dato un appuntamento per martedì a
colazione.»
«Ha un senso. Anthony è il tuo più vecchio amico. Eravate già compagni di stanza quando vi ho conosciuto io.»
«Ora viene la parte basata sUlle congetture. Ho incontrato Anthony a colazione, prima di andare al Pentagono. Mi
ha messo qualcosa nel caffè per narcotizzarmi, poi mi ha caricato sulla sua auto e mi ha portato al Georgetown Mmd
Hospital. Deve essersi sbarazzato di Billie in qualche modo, o forse ha aspettato che lei finisse il turno. In ogni caso,
ha fatto si che lei non mi vedesse e mi ha ricoverato sotto
falso nome. Poi si è messo in contatto con il dottor Len Ross,
che sapeva di poter corrompere. Sfruttando la sua posizione in seno al consiglio di amministrazione della Sowerby
FoundatiOn, lo ha convinto a sottopormi a un trattamento
che mi avrebbe distrutto la memoria.»
Luke fece una pausa, aspettando che Bern dicesse che
tutto questo era ridicolo, impossibile, frutto di un'immaginazione troppo fervida. Ma non fu così. Con sua grande
sorpresa, Bern si limitò a dire: «Ma perché?».
Luke cominciò a sentirsi meglio. Se Bern gli credeva,
avrebbe potuto aiutarlo. «Per il momento concentriamoci
sul come, piuttosto che sul perché» rispose.
«D'accordo.»
«Poi, per coprire le sue tracce, mi ha fatto dimettere dall'ospedale, mi ha vestito di stracci - presumibilmente
mentre ero ancora privo di conoscenza - e mi ha scaricato
alla Union Station, insieme a un suo tirapiedi che aveva il
compito di convincermi che quella era la mia vita, e allo
stesso tempo di tenermi d'occhio per essere sicuri che il
trattamento avesse funzionato.»
Ora Bern aveva un'espressione scettica. «Ma doveva sapere che prima o poi avresti scoperto la verità.»
«Non necessariamente, e comunque non tutta. Certo
doveva aver messo in conto che dopo qualche giorno, o
qualche settimana, sarei riuscito a capire chi ero. Ma avrà
pensato che io credessi di essermi sbronzato. La gente
perde la memoria dopo aver bevuto molto, almeno così
dicono. Anche se io avessi trovato difficile crederlo e avessi fatto qualche domanda, la pista sarebbe stata ormai
fredda. Probabilmente Billie si sarebbe dimenticata del
misterioso paziente, e in ogni caso, se se lo fosse ricordato,
Ross avrebbe avuto tti tto il tempo per distruggere la sua
cartella.»
Bern annuì pensieroso. «Un piano rischioso, ma con
buone probabilità di riuscita. Nelle operazioni clandestine, questo è il massimo in cui si possa sperare.»
«Mi sorprende che tu non sia più scettico.»
Bern si strinse nelle spalle.
«Hai un motivo per credere a questa storia?»
«Abbiamo lavorato tutti nei servizi segreti. Sono cose
che succedono.»
Luke era sicuro che Bern gli nascondesse qualcosa. «Se
sai qualcos'altro dimmelo, per l'amor del cielo. Ho bisogno d'aiuto» lo supplicò.
Bern sembrava angustiato. «C'è qualcosa... ma è segreto, e non voglio mettere nei guai nessuno.»
Il cuore di Luke ebbe un sussulto di speranza. «Dimmelo, ti prego. Sono disperato.»
Bern lo guardò intensamente. «Sì, lo immagino.» Fece
un respiro profondo. «Okay, questa è la storia. Verso la fine
della guerra, Billie e Anthony hanno lavorato a uno speciale progetto per l'Oss, il gruppo di lavoro sul siero della verità. Tu e io non ne eravamo al corrente, allora, l'ho scoperto in seguito, dopo aver sposato Billie. Erano alla ricerca di
sostanze in grado di influire sui prigionieri sotto interrogatorio. Provarono con la mescalina, i barbiturici, la scopolamina e l'hascisc. Conducevano i loro esperimenti su soldati sospetti di simpatie comuniste. Billie e Anthony girarono
le basi militari di Atlanta, Memphis e New Orleans. Conquistavano la fiducia del militare sospetto, gli davano una
sigaretta alla marijuana e stavano a vedere se questo raccontava i fatti propri.»
Luke scoppiò in una risata. «E così un sacco di marmittoni si sono fatti una fumatina gratis!»
Bern annuì. «A quel livello, la cosa aveva un che di comico. Ma, dopo la guerra, Billie tornò al college e preparo
la tesi di dottorato sugli effetti di varie droghe legali, come la nicotina, sullo stato mentale delle persone. Quando,
infine, lei divenne docente, continuò a lavorare sull'argomento, concentrandosi sugli effetti delle droghe e di altri
fattori esterni sulla memoria.»
«Ma non per la Cia.»
«Questo è ciò che credevo. Ma mi sbagliavo.»
«Oh, Cristo!»
«Nel 1950, sotto la direzione di Roscoe Hillenkoetter,
l'Agenzia diede inizio a un progetto il cui nome in codice
era Bluebird, e lo stesso Hillenkoetter autorizzò l'uso di
fondi neri per occultare ogni traccia del loro coinvolgimento. Bluebird era uno studio sul controllo della mente.
La Cia finanziò una serie di progetti di ricerca assolutamente legittimi in varie università, facendo arrivare il denaro attraverso una serie di fondazioni per nasconderne
la vera provenienza. E finanziò anche il lavoro di Billie.>~
«Cosa ne pensava lei?»
«Litigammo. Io dicevo che era sbagliato, che il vero scopo della Cia era quello di fare il lavaggio del cervello alle
persone. Lei invece sosteneva che qualunque conoscenza
scientifica può essere strumentalizzata: stava portando
avanti una ricerca preziosa e non le interessava chi pagasse il conto.»
«È per questo che avete divorziato?»
«In parte sì. Io ero l'autore di un programma radiofonico intitolato Detective Story, ma volevo entrare nel mondo
del cinema,. Nel 1952 scrissi una sceneggiatura basata su
un'agenzia segreta governativa che praticava il lavaggio
del cervello su cittadini inconsapevoli. Venne acquistata
da Jack Warner, ma io non lo dissi a Billie.>~
«Perché no?»
«Sapevo che la Cia avrebbe bloccato il film.»
«Possono fare una cosa del genere?»
«Ci puoi giurare.»
«E cosa è successo?»
«Il film uscì nel 1953. Frank Sinatra faceva la parte del
cantante di nightclub che assiste a un omicidio politico e
poi subisce un trattamento top secret in seguito al quale
perde la memoria. Joan Crawford faceva la parte della sua
manager. Fu un grosso successo. La mia carriera era pronta a decollare, fui inondato di offerte miliardarie da parte
delle case di produzione.»
«E Billie?»
«La portai alla prima.»
«Immagino che si arrabbiò.»
Bern fece un sorriso mesto. «Andò su tutte le furie. Dis-
se che avevo usato informazioni confidenziali avute da
lei. Era sicura che la Cia le avrebbe tolto i fondi e rovinato
le sue ricerche. Fu la fine del nostro matrimonio.»
«Ecco cosa intendeva quando mi ha detto che avevate
avuto un conflitto di interessi.»
«Ha ragione. Avrebbe dovuto sposare te... Non ho mai
capito perché non lo fece.»
Il cuore di Luke ebbe un sussulto. Moriva dalla voglia
di sapere perché mai Bern avesse detto così, ma rimandò a
dopo la domanda. «E comunque, tornando al 1953, immagino che la Cia non le tagliò i fondi.»
«No» rispose Bern, amareggiato «ma distrusse la mia
carriera.»
~<In che modo?»
«Venni messo sotto inchiesta. Ovviamente, essendo stato comunista fino alla fine della guerra, ero un bersaglio
facile. Finii sulla lista nera di Hollywood e non mi riuscì
più neppure di riavere il mio vecchio lavoro alla radio.»
«Qual è stato il ruolo di Anthony in tutto questo?»
«Secondo Billie fece del suo meglio per proteggermi,
ma venne sopraffatto da poteri più forti.» Bern aggrottò la
fronte. «Dopo quello che mi hai appena raccontato, mi
chiedo se questa sia la verità.»
«E tu cosa hai fatto?»
«Ho avuto un paio di anni difficili, ma poi mi venne l'ispirazione dei "Gemelli terribili".»
Luke inarcò un sopracciglio.
«E una serie di libri per bambini» spiegò Bern, indicando
la libreria, dove alcune copertine vivaci creavano un'allegra macchia di colore. «Si dà il caso che tu li conosca, li hai
letti... alla figlia di tua sorella.»
Luke si rallegrò di avere una nipote... chissà, forse più
di una. Gli piaceva l'idea di leggere a voce alta per loro.
C'erano così tante cose che doveva imparare di se stesso.
Fece un gesto a indicare l'appartamento. «I tuoi libri dexrono essere stati ~in trionfo» osservò.
Bern annuì. «Il primo l'ho scritto sotto pseudonimo, e
mi sono rivolto a un agente che simpatizzava per le vittime del maccartismo. Fu un grosso successo, e da allora ne
ho scritti due all'anno.»
Luke si alzò e prese un libro dallo scaffale. Lesse a voce
alta: «"Cos'era più appiccicoso, il miele o la cioccolata fusa? I gemelli dovevano assolutamente scoprirlo. Per questo si inventarono quell'esperimento che tanto fece arrabbiare la mamma"».
Luke sorrise. Naturale che ai bambini piacessero tanto.
Poi venne assalito da un'ondata di tristezza. «Elspeth e io
non abbiamo figli.»
«Non so come mai» disse Bern. «Tu hai sempre desiderato averne.»
«Ci abbiamo provato, ma non sono venuti» spiegò
Luke, chiudendo il libro. «Il mio è un matrimonio felice?»
Bern sospirò. «Visto che me lo chiedi, no.»
«Perché?»
«C'era qualcosa che non andava, ma tu non hai mai capito di che si trattasse. Una volta mi hai chiamato per chiedermi un consiglio, però non sono stato in grado di aiuta rti.»
«Qualche minuto fa hai detto che Billie avrebbe dovuto
sposare me.»
«Voi due eravate pazzi l'tino dell'altra.»
«E allora cosa è successo?»
«Sinceramente, non lo so. Dopo la guerra avete avuto
una grossa lite. Ma nessuno di noi ne ha mai scoperto il
motivo.»
<(Dovrò chiederlo a Billie.»
<(Suppongo di sì.»
Luke rimise il libro al suo posto sullo scaffale. «Comunque, ora capisco perché hai creduto subito alla mia storia.»
«Già» fece Bern, «Non stento a credere che Anthony abbia fatto una cosa simile.»
«Ma riesci a immaginarne il motivo?»
«Non ne ho la minima idea.»
20.00.
Variazioni di temperatura maggiori del previsto potrebbero provocare il surriscaldarsi dei transistor al germanio e il congelamento
delle batterie al mercurio. Entrambi gli inconvenienti impedirebbero al satellite di trasmettere a terra le informazioni raccolte.
Billie era seduta al tavolino della toletta intenta a rinfrescarsi il maquillage. Pensava che gli occhi fossero il suo
punto di forza e li truccava sempre con cura: eyeliner nero,
ombretto grigio, un tocco di mascara. Dalla porta aperta
della camera sentiva rumore di spari provenire dalla televisione al piano di sotto: Larry e Becky-Ma stavano guar.dando Wagon Train.
Non aveva voglia di uscire. Gli eventi della giornata
avevano suscitato in lei emozioni forti. Era arrabbiata per
non essere riuscita a ottenere il posto che tanto desiderava, sconcertata dal comportamento di Anthony, confusa e
spaventata nello scoprire che la vecchia attrazione tra lei e
Luke era potente e pericolosa come sempre. Si trovò a ripensare alle sue relazioni con Anthony, Luke, Bern e Harold, e si chiese se nella vita avesse preso le decisioni giuste. Dopo tutto quello che era accaduto, la prospettiva di
passare la serata davanti alla televisione insieme a Harold
le sembrava insulsa.
Squillò il telefono.
Si alzò di scatto e andò a rispondere dall'apparecchio
sul comodino, ma Larry aveva già preso la comunicazione dal corridoio. Sentì la voce di Anthony che diceva:
«Qui è la Cia. Washington sta per essere invasa da un
esercito di cavoli salterini».
Larry rise. «Zio Anthony, sei tu?»
«Se venite avvicinati da un cavolo, non tentate, ripeto,
non tentate di farlo ragionare.»
«Ma i cavoli non parlano!»
«L'unico modo per affrontarli è coipirli a morte con delle fette di pane.»
«Te lo stai inventando!» esclamò Larry ridendo.
~<Anthony, sono all'altro apparecchio» disse Billie.
«Va' a metterti il pigiama, Larry, d'accordo?»
«D'accordo» rispose il bambino, e riattaccò.
«Billie?» Il tono di voce era cambiato.
«Sono qui.»
«Hai lasciato detto che dovevo chiamarti urgentemente. Mi pare di capire che hai maltrattato l'agente di turno.»
«Già. Anthony, cosa diavolo stai combinando?»
«Vuoi essere più precisa?»
«Non mi prendere in giro, accidenti! L'ultima volta che
ci siamo parlati avevo capito che mi stavi mentendo, ma
ancora non conoscevo la verità. Ora invece sì. So cosa hai
fatto a Luke nel mio ospedale, la scorsa notte.»
Dall'altra parte ci fu silenzio.
«Esigo una spiegazione» proseguì Billie.
«Non intendo parlare di questo al telefono. Se potessimo incontrarci nei prossimi giorni...»
«Al diavolo!» Non gli avrebbe permesso di prendere
tempo. «Voglio sentire la tua versione. Adesso.»
«Sai bene che non posso...»
«So che tu puoi fare tutto ciò che vuoi, quindi non raccontarmi balle.»
«Dovresti fidarti di me» protestò Anthony. «Siamo amici da quasi vent'anni.»
«Già, e mi hai messo nei pasticci fin dal primo appuntamento.»
«Sei ancora arrabbiata per quella volta?» chiese Anthony
coh una nòta divertita nella vocè.
Billie si ammorbidì. «Certo che no. Io voglio avere fidu-
cia in te, accidentE.. sei il padrino di mio figlid!»
«Se ci vediamo domani ti spiègherò ogni cosa.»
Billie stava quasi per cedere, poi ricordò ciò che lui aveva fatto. «Non pÒtevi fidarti di me ieri notte, vero? Hai
agito alle mie spalle, nel ihiò ospedale!»
«Te l'ho già detto, possò spiegarti tutto...»
«Avresti dovuto spiegarmelo prima di ingannai-mi. Dimmi la verità oppure mi rivolgo all'Fbi. Scègli tu.»
Era pericoloso minacciare gli uomini - spesso le minacce
li rendevano ancora più ostinati -* ma Bl li ìe sapeva quanto la
Cia odiasse e temesse l'interferenza dell'Fbi, specie quando
staVa agendò ai confini della legalità, e ciòè quàsi sempre. I
federali, che difendevano gelosarnente il diritto esclusivo di
dare la caccia alle spie allintérno degli Stati Uniti, avrebbero molto apprezzato un'occasione pci- indagare su attività
illecite della Cia sul suolo ainericano, Se ciò che Anthony
stava facendo tosse stato del tutto legittimo la minaccia di
Billie sarebbè caduta nel vuoto, ma se tflvece oltrepassava i
confini della legge, questo lo avrebbe spaventato.
Anthony fece un sospiro. «E va bene. Sto chiamando da
un telefono pubblico, ed è improbabile che il tuo apparecchio sia sotto controllo...» Fece una pausa e poi proseguì:
«Potresti trovare la cosa difficile da credere»~
«T~a provaci.>~
«D'accordo. Luke è una spia.»
Per un attimo Billie titnase senZa parole, quindi disse~
«Non essere assurdo».
«È un comunista. Un agente di Mosca.»
«Ma finiscila! Se pensi davvero che io creda a... »
«Ciò che ~rèdi tu non mi interessa.» Il tono di Anthony
si fecè improVvisamente tagliente. «Sono armi che passa
ai russi informazioni segrete sui nostri rhissili. Come pensi che siano riusciti a mandare in orbita lo Sputhik mentre
il nostro satellite era ancora in lavoraziorte? Non sono più
avanti dl noi! HannO goduto dei benefici della nostra ri~
cerca, e Luke ne è il respònsabile~»
«Anthony, tu e io conosciatno Luke da vent'anhi. Non
si è mai interessato di politica!»
«Questa è la miglior copertura.»
Billie esitò. Che fosse vero? Senza dubbio una spia degna di questO nonie avrebbe finto di non interessarsi di
politica, o addirittura di essere un conservatore. «Luke
non tradirebbe mài il suo paese.»
«La getite fa anche questo. Ricordati che quando era
con l~ Resistenza francese lavorava con I comunisti. Certo, allora erano dalla nostra parte ma, a quanto pare, la cosa è andata avanti anche dopo la guerra. Personalmente
sono convinto che il motivo per cùi nOn ti ha sposata è d~e
questo avrebbe interferito con il sùo laVoro per i rossi'>
«Ma ha sposato Els~eth.»
~<Sì, ma non hahno mai avuto figlL»
Billie sì sedette sul letto, frastornata. «Puoi dimostrare
quello che dici?»
«Ho le prove; disegni top secret che lui ha consegnato a
un agente del Kgb che tenevamo sotto sorveglianza.»
Billie ei-a confusa: non sapeva a chi credere. «Ma anche sè
fosse tutto vero, perché gli hai fatto perdere la memoria?»
«Per salv~rgìi la vita.»
«Non capisco'> disse l3iilie, sempre più disonientata.
«Billie, stavarrio per ucciderlo.»
«Chi stava per ucciderlo?»
«Noi. La Cia. Lo sai che l~esercito sta per lanciare il nostro
primo satellite? Se anche questo tentativo fallisce, in un
prossimo futurO i russi ci dornineranno dallo spazio così come gli inglesi hanno dominato l'America per duecento annh Devi capire che Luke costituiva la peggior minaccia per
il potei-e e il prestigio americano dal tempi della guerra.
Quando l'hanno scoperto, la decisione di eliminarlo è stata
presa nel giro di un'ora.»
«Perché non processai-lo semplicemente come spia?»
<E far sapete al inondo intero che il nostro sistema di ~i-
curezza è così sgangherato che i russi sono riusciti a procurarsi tutti i nostri segreti per anni? Pensa che colpo sarebbe
stàto per la credibilità degli Stati Uniti, specie nei paesi satelliti di Mosca. Una possibilità che non è stata neppure
presa in considerazione»
«Allora cosa è successo ~»
«Li ho convinti a tentare un'altra strada. Nessuno ~ al
corrente della cosa, solo i massimi vertici: il direttore e il
presidente. E avrebbe funzionato, se Luke non fosse un maledetto bastardo pieno di risorse. Avrei potuto salvargli la
vita e mantenere segreta la faccenda. Se solo si fosse convin~
to cli aver perso la merrioria Per una sbronza e di essere diventato un barbone, nessuno, neppure lui, avrebbe saputo
delle informazioni segrete che aveva passato al nemico.»
Billie si lasciò andare a un pensiero egoistico. «I>erò non
hai esitato à distruggere la mia carriera.»
«Pur di salvare la vita a Luke? I~on pensavo che ci avresti fatto caso.»
«NOn es~te così maledettamente blasé, è sempre stato
il tuo peggior difetto.»
«Comunque, Luke ha fatte saltare il mio piano, grazie
al tuo aiuto. È con te, ora?»
«No.» Billie sentì i capelli rizzarsi.
«Devo assolutamente parlargli prima che si cacci in
guai ancora peggiori~ Pov'è?»
Agendo d'istinto, Billie itientì. «Non lo sO.»
«Tu non mi nasconderesti la verità, giusto?»
«Certò che lò farei, Hai appena detto che la tua organizzazione vòleva uccidere Luke. Sarebbe stupido da parte
mia confessarti dove si trova, se lo sapessi. Ma il fatto è
che nOn lo so.»
«Ascoltami, Billie, io sono la sua unica speranza. Convincilo a chiarnarmi, se vuoi salvargli la vita~»
«Ci penserò» rispose lei, ma Anthony aveva già riattaccato.
20.30.
Il compartimento che ospita gli strumenti noi~ è dotatò di alcun
tipo di portéllo. Per accedcre alle apparecchiature i tecnici di Cap~
Canaverai devono sollevare il tivesUrnento esterno. E una soluzione scornoda che però fa risparmiare peso, un fattore di importanza vitale per riuscire a vincere la forza di gravifi~.
Luke posò la cornetta del telefono con mano tremante.
«Cosa ti ha detto, accidenti? Sei bianco come un cencio
lavato!~> esclamò Bern.
~<Anthony sostiene che sono una spia soviefica» rispose
Luke.
«E?...» fece ~érn, stringetido gli occhi.
«Quando la Cia lo ha scopedo ha deciso di elixninarmi,
ma Anthony li ha convinti che sarebbe stato altrettanto efficace farmi perdere la memoria.>~
«Una storia vagamente plausibile» osservò Bern con
freddezza.
Luke era sconvolto. «Credi che possa essere vero?» chiese a Bern.
«Assolutamente no.»
«Ma non puoi esserne sicuro!»
~<Sì che posso.»
Luke non osava neppure sperare. «E. perché?»
«Perché io ero un agente sovietico.»
Lul«=e lo fissò con occhi spalancati. Quali altre sorprese
lo aspettavano? «Potremmo esserlo stati entrambi, senza
sapere l'uno dell'altro.»
Bern scosse la testa. «Tu hai messo fine alla mia carriera.»
«Cosa?!»
«Vuoi ancora un po' di caffè?»
«No grazie, mi fa girare la testa.»
«Hai un aspetto orribile. Quand'è l'ultima volta che hai
mangiato?»
«Billie mi ha dato dei biscotti. Lascia perdere il cibo e
raccontami quello che sai.»
Bern si alzò. «Ti preparo un panino, prima che tu svenga.»
Luke si rese conto di essere affamato. «Va bene.»
Si trasferirono in cucina, Bern aprì il frigorifero e tirò
fuori pane di segale, burro, carne di manzo salata e una cipolla dolce. A Luke venne l'acquolina in bocca.
«È stato durante la guerra» disse Bern, mentre imburrava quattro fette di pane. «La Resistenza francese era divisa tra gollisti e comunisti: entrambi manovravano per assicurarsi una posizione di prestigio alla conclusione del
conflitto. Roosevelt e Churchill volevano la certezza che i
comunisti non avrebbero vinto le elezioni, e così i gollisti
si beccavano tutti i rifornimenti di armi e munizioni.»
«Io come la pensavo?»
Bern mise carne e fette di cipolla sul pane e aggiunse della mostarda. «Non avevi opinioni particolari sulla politica
francese, a te bastava sconfiggere i nazisti e tornartene a casa. Ma io avevo altre priorità: volevo pareggiare i conti.»
«In che modo?»
«Informai i comunisti di un lancio di materiale che stavamo aspettando, in modo che potessero farci un'imboscata e rubarcelo» disse Bern scuotendo la testa. «Fu un
disastro. Avrebbero dovuto sorprenderci mentre tornavamo alla base, apparentemente per caso, e pretendere una
spartizione amichevole dei rifornimenti. Invece ci attaccarono al punto convenuto per il lancio, non appena il materiale toccò terra. Tu ti rendesti conto che eravamo stati traditi e i sospetti caddero ovviamente su di me.»
«Cosa feci?»
«Mi offristi un accordo. lo dovevo smettere di lavorare
per Mosca, subito, e tu non avresti mai accennato con nessuno a ciò che avevo fatto.»
«E?...»
Bern si strinse nelle spalle. ~<Entrambi abbiamo mantenuto le promesse, ma credo che tu non mi abbia mai perdonato. In ogni caso, da allora la nostra amicizia non è
stata più la stessa.»
Un gatto birmano grigio comparve dal nulla, con un
miagolio. Bern gettò una fettina di carne sul pavimento. Il
gatto la mangiò con delicatezza e poi si leccò le zampe.
«Se fossi stato comunista ti avrei coperto» osservò Luke.
«Naturale.»
Luke cominciava a credere nella propria innocenza.
«Ma potrei essere diventato comunista dopo la guerra.»
«Impossibile. O ti succede quando sei giovane o non ti
succede più.»
Aveva un senso. «Potrei averlo fatto per i soldi.»
«Non hai bisogno di soldi, i tuoi sono ricchi sfondati.»
Certo, questo glielo aveva detto anche Elspeth. «Quindi
Anthony si sbaglia.»
«Oppure mente.» Bern tagliò i sandwich a metà e li posò su due piatti scompagnati. «Qualcosa da bere?»
«Certo.»
Bern prese due bottiglie di Coca-Cola dal frigo e le aprì.
Porse a Luke un piatto e una bottiglia, prese in mano i
suoi e si avviò verso il soggiorno.
Luke aveva una fame da lupo. Trangugiò il sandwich in
quattro bocconi. Bern lo osservava con espressione divertita. «Tieni, prendi anche il mio» gli disse.
«No, grazie» rispose Luke scuotendo la testa.
«Su, avanti, mangia. Tanto io dovrei mettermi a dieta.»
Luke prese il sandwich di Bern e cominciò a divorarlo.
«Se Anthony mente» rifletté Bern a voce alta «qual è il
vero motivo per cui ha fatto in modo che tu perdessi la
memoria?»
Luke mandò giù il boccone. «Deve essere collegato con
la mia improvvisa partenza da Cape Canaverai, lunedì.»
Bern annuì. «In caso contrario sarebbe una coincidenza
troppo strana.»
«Devo aver scoperto qualcosa di importante, tanto da
correre al Pentagono per riferirla a qualcuno.»
«E perché non ne avresti parlato con i tuoi colleghi di
Cape Canaveral?» chiese Bern aggrottando la fronte.
Luke rifletté un attimo e poi disse: «Dev'essere perché
là non mi fido di nessuno».
~<Okay. E così, prima che tu andassi al Pentagono,
Anthony ti ha intercettato.»
«Esatto. Probabilmente mi sono fidato di lui e gli ho riferito quello che ero venuto a sapere.»
«E poi?»
«Avrà pensato che la cosa fosse così rilevante da farmi
perdere la memoria per essere sicuro che il segreto non
trapelasse.»
«Chissà cosa diavolo era...»
«Quando lo avrò scoperto, capirò anche cosa mi è successo.»
«Da dove intendi cominciare?»
«Immagino che il primo passo sia quello di andare in
albergo e di frugare tra le mie cose. Forse troverò qualche
indizio.»
«Se è stato Anthony a procurarti un'amnesia, deve aver
già passato in rassegna anche la tua roba.»
«Avrà distrutto le prove più evidenti, ma potrebbe essere rimasto qualcosa che non ha ritenuto importante. In
ogni caso, devo controllare.»
«E poi?»
«L'unico altro posto dove cercare è Cape Canaveral.
Tornerò là questa notte...» Guardò l'orologio: le nove passate. «O domattina.»
«Dormi qui, stanotte» disse Bern.
«Perché?»
«Non so, l'idea che tu passi la notte da solo non mi piace. Va' al Carlton, prendi la tua roba e torna qui. Domattina ti accompagnerò io all'aeroporto.»
Luke annuì. «Sei stato un vero amico» disse, imbarazzato.
«Ci conosciamo da tanto tempo» rispose Bern, stringendosi nelle spalle.
A Luke questa spiegazione non bastava. «Ma mi hai appena confidato che dopo quanto accaduto in Francia la
nostra amicizia non è stata più la stessa.»
«E vero» ammise Bern con aria sincera. «Tu hai sempre
pensato che un uomo che ti ha tradito una volta potrebbe
farlo una seconda.»
«Non posso crederci» disse Luke, serio. «Mi sbagliavo,
vero?»
«Sì, ti sbagliavi.»
21.30.
Il compartimento che ospita la strumentazione tende a surriscaldarsi prima del lancio. La soluzione a questo problema è un
tipico esempio della rozza ma efficace tecnologia che con traddistingue l'affrettato progetto Explorer. Un con tenitore di ghiaccio secco è attaccato all'esterno del missile con un'elettrocalamita. Ogni volta che la temperatura del compartimento sale, un
termostatofa partire una ventola. Subito prima del lancio, l'alimentazione della calamita viene interrotta e il sistema di raffreddamento cade al suolo.
La Cadillac Eldorado gialla di Anthony era parcheggiata in K Street tra la Fifteenth e la Sixteenth, nascosta dietro
una fila di taxi che aspettavano di essere chiamati dal portiere del Cariton Hotel. Da lì, Anthony godeva della vista
indisturbata del vialetto d'accesso e del portico ben illuminato. Pete era in albergo, nella stanza che avevano preso, in attesa di una telefonata da parte di uno degli agenti
che stavano cercando Luke per tutta la città.
Una parte di Anthony sperava che nessuno di loro chiamasse e che Luke riuscisse in qualche modo a fuggire. In
quel modo gli sarebbe stata risparmiata la decisione più
dolorosa di tutta la sua vita. L'altra parte non aspettava altro che scoprire dove si fosse cacciato e affrontarlo.
Luke era un vecchio amico, un brav'uomo, un marito
fedele e un magnifico scienziato. Ma, in fondo, non faceva
alcuna differenza. Durante la guerra era capitato a tutti di
uccidere delle brave persone solo perché si erano trovate
dalla parte sbagliata. E durante la guerra fredda Luke si
era trovato dalla parte sbagliata. Era il fatto di conoscerlo
personalmente che rendeva le cose tanto difficili.
Pete uscì di corsa dall'albergo. Anthony tirò giù il finestrino. «Ha appena chiamato Ackie» disse Pete. «Luke è a
casa di Bernard Rothsten, in Massachusetts Avenue.»
«Finalmente!» esclamò Anthony. Aveva messo degli
agenti di guardia davanti a casa di Bern e di Billie, prevedendo che Luke avrebbe chiesto aiuto ai vecchi amici. Se
non altro, c'era la misera soddisfazione di aver visto giusto.
«Quando esce, Ackie lo seguirà in moto» aggiunse Pete.
«Bene.»
«Crede che verrà qtii?»
«Potrebbe essere. Aspetterò.» Nell'atrio c'erano altri due
agenti che avrebbero avvertito Anthony se Luke fosse passato da un altro ingresso. «L'altra possibilità è l'aeroporto.»
«Là abbiamo quattro uomini.»
«Okay. Penso che abbiamo tenuto conto di tutto.»
Pete annuì. «Io torno al telefono.»
Anthony rimuginò su quanto l'aspettava. Luke sarebbe
stato confuso e titubante, guardingo ma ansioso di avere
delle risposte. Lo avrebbe portato lontano da occhi indiscreti. Una volta che si fossero ritrovati da soli, sarebbero
bastati pochi secondi per estrarre la pistola con il silenziatore dalla tasca del cappotto.
Non era nella natura di Luke accettare la sconfitta.
Avrebbe fatto un ultimo tentativo per salvarsi la vita, lottando o cercando la fuga. Ma lui sarebbe rimasto calmo,
non era la prima volta che uccideva. Avrebbe impugnato
saldamente la pistola e premuto il grilletto puntando al
petto di Luke, sparando più volte per essere sicuro di fermarlo. Luke si sarebbe accasciato a terra e lui si sarebbe
avvicinato per controllargli il battito e, se necessario, dargli il colpo di grazia. Questa era la fine che aspettava il
suo più vecchio amico.
Non prevedeva altri problemi: aveva le prove materiali
del tradimento di Luke, e i disegni portavano annotazioni
di suo pugno. Non poteva dimostrare che fossero stati presi a un agente sovietico, ma alla Cia bastava la sua parola.
Pensava di scaricare il corpo da qualche parte. Ovviamente lo avrebbero trovato e sarebbe stata aperta un'inchiesta. Prima o poi la polizia avrebbe scoperto che la Cia
aveva un interesse per la vittima e avrebbe cominciato a
fare domande, ma l'Agenzia aveva molta esperienza nell'eludere le indagini. La polizia si sarebbe sentita rispondere che i rapporti della Cia con la vittima erano una faccenda di sicurezza nazionale e quindi top secret, e che, in
ogni caso, i suoi agenti non avevano niente a che fare con
l'omicidio.
Chiunque avesse avanzato dubbi su questa spiegazione
- poliziotto, giornalista o politico che fosse - era destinato
a finire sotto inchiesta. I suoi amici, parenti e vicini di casa
sarebbero stati interrogati da agenti pronti a fare oscuri riferimenti a "simpatie comuniste". L'inchiesta non sarebbe
mai giunta ad alcuna conclusione, se non quella di distruggere comunque la reputazione del soggetto.
Un'agenzia segreta poteva fare qualunque cosa, rifletté
Anthony con cupa soddisfazione.
Un taxi andò a fermarsi davanti all'ingresso dell'albergo. Dal veicolo scese Luke. Indossava un cappotto blu
scuro e un cappello grigio. Sull'altro lato della strada,
Anthony vide arrivare Ackie Horwitz a bordo della sua
motocicletta. Anthony uscì dalla macchina e si avvicinò.
Luke sembrava esausto, ma aveva un'espressione determinata. Mentre pagava il taxi, guardò nella direzione di
Anthony senza dar segno di riconoscerlo. Disse all'autista
di tenere il resto ed entrò nella hall, seguito da Anthony.
Avevano la stessa età: trentasette anni. Si erano conosciuti a Harvard quando ne avevano diciotto, mezza vita prima.
Peccato che dovesse finire in quel modo, pensò Anthony
amaramente, un vero peccato.
Luke si era accorto che un uomo in motocicletta lo seguiva fin da quando era uscito dall'appartamento di Bern,
e ora era tesissimo, con tutti i sensi all'erta.
L'atrio del Carlton sembrava un grandioso salotto, pieno di mobili in stile francese. Davanti alle porte d'ingresso, il banco della reception e quello del concierge erano sistemati all'interno di nicchie, in modo da non rovinare la
perfetta simmetria del locale. Due donne iìnpellicciate
chiacchieravano con un gruppo di uomini in smoking vicino all'ingresso del bar. Fattorini in livrea e personale in
giacca nera svolgevano i loro compiti con silenziosa efficienza. Era un ambiente sfarzoso, pensato per calmare i
nervi tesi dei viaggiatori, ma con Luke non funziono.
Perlustrò il salone con uno sguardo e subito individuò
due uomini che avevano l'aria di essere degli agenti. Uno
era seduto su un sofà e leggeva il giornale, l'altro era in
piedi accanto all'ascensore e fumava una sigaretta. Nessuno dei due sembrava a proprio agio. Indossavano abiti da
giorno: tutto nel loro abbigliamento - impermeabili, vestiti, cravatte - era decisamente fuori luogo per una serata in
un locale di lusso.
Pensò di uscire, ma cosa ci avrebbe guadagnato? Si avvicinò alla reception, disse il proprio nome e chiese la
chiave della stanza. Fece per allontanarsi, ma un estraneo
gli rivolse la parola. «Ehi, Luke!»
Era l'uomo che lo aveva seguito dentro l'albergo. Non
sembrava un agente, ma, per qualche motivo, Luke aveva
notato il suo aspetto: era alto, più o meno quanto lui, e
avrebbe avuto un'aria distinta se non fosse stato per la
trascuratezza nel vestire. Il costoso cappotto di cammello
era vecchio e consumato, Le scarpe sembravano non essere mai state lucidate, i capelli avevano bisogno di un buon
taglio. L'uomo parlava con tono autoritario.
«Temo di non conoscerla. Sa, ho perso la memoria» disse Luke.
«Anthony Carrolì. Sono così felice di averti trovato, finalmente!» proseguì il tizio, porgendogli la mano.
Luke si irrigidì. Non sapeva ancora se Anthony fosse
un nemico o un amico. Gli strinse la mano e disse: «Ho un
sacco di domande da porti».
«E io sono pronto a rispondere.»
Luke fece una pausa e lo osservò, chiedendosi da che
parte cominciare. Anthony non sembrava il tipo di persona che tradisce un vecchio amico. Aveva un viso aperto,
intelligente, non bello ma affascinante. «Come diavolo hai
potuto farmi una cosa simile?» disse infine.
«Ho dovuto.., per il tuo bene. Ho cercato di salvarti la
vita.»
«Io non sono una spia.»
«Le cose non sono così semplici.»
Luke studiò Anthony, cercando di indovinarne i pensieri. Non riusciva a capire se gli stesse dicendo la verità.
Non c'era nulla di ambiguo nel suo sguardo, ma Luke era
sicuro che gli nascondesse qualcosa. «Nessuno crede alla
tua storia sul fatto che io lavori per Mosca.»
«Nessuno chi?»
«Nè Bern né Billie.»
«Loro non conoscono tutti i fatti.»
«Ma conoscono me.»
«Anch'io.»
«E cosa sai tu che loro non sanno?»
«Te lo spiegherò, ma non possiamo parlare qui. Quello
che ho da dirti è segreto. Perché non vieni nel mio ufficio?
È a cinque minuti di distanza.»
Luke non aveva alcuna intenzione di andare nell'ufficio
di Anthony, non prima che lui avesse risposto in maniera
soddisfacente a tutte le sue domande, ma capiva che la hall
di un albergo non era il luogo migliore per discutere di argomenti riservati. «Andiamo nella mia suite» propose. Ciò
gli avrebbe permesso di allontanarlo dagli altri agenti e di
mantenere il controllo della situazione: Anthony da solo
non sarebbe stato in grado di sopraffarlo.
Dopo un attimo di incertezza, Anthony parve prendere
una decisione. «Certo.»
Attraversarono l'atrio ed entrarono in ascensore. Luke
guardò il numero della stanza sulla chiave: 530.. «Quinto
piano» disse all'addetto. L'uomo chiuse la porta e azionò la
leva.
Durante la salita non parlarono. Luke osservò gli abiti
di Anthony: il cappotto vecchio, l'abito stazzonato, la cravatta anonima. Era sorprendente come riuscisse a indossarli con tanta disinvoltura e sicurezza.
All'improvviso Luke si accorse che il tessuto morbido
del cappotto cedeva leggermente nella parte destra, come
se nella tasca ci fosse un oggetto pesante.
Si sentì gelare il sangue. Era incorso in un terribile errore: non aveva previsto che Anthony potesse essere armato.
Cercando di mantenere un'espressione neutra, Luke si
mise a pensare febbrilmente. Anthony poteva spararglì lì,
in albergo? Se avesse aspettato finché fossero nella suite,
non l'avrebbe visto nessuno. E il rumore? Forse la pistola
era munita di silenziato re.
Appena l'ascensore si fermò al quinto piano, Anthony
si sbottonò il cappotto.
Per poterla estrarre più velocemente, pensò Luke.
Uscirono. Luke non sapeva in quale direzione andare,
ma Anthony svoltò deciso a destra. Doveva essere già stato nella stanza.
Luke sudava in abbondanza. Gli pareva che questo genere di cose gli fosse già capitato più di una volta, ma
molto tempo prima. Rirnpianse di non aver tenuto la pistola del poliziotto a cui aveva spezzato il dito. Ma allora,
alle nove di quella mattina, non aveva ancora idea del pasticcio in cui era coinvolto.., pensava semplicemente di
aver perso la memoria.
Si impose di restare calmo. Erano comunque uno contro uno. Anthony era armato, ma lui aveva intuito le sue
intenzioni. Erano quasi pari.
Mentre percorrevano il corridoio, il cuore di Luke batteva all'impazzata. Cercò qualcosa con cui colpire Anthony
- un vaso pesante, un posacenere di vetro, un quadro dalla cornice massiccia - ma non c'era nulla.
Doveva assolutamente escogitare qualcosa prima di entrare nella stanza.
Poteva tentare di sottrargli la pistola, però era rischioso.
Durante la colluttazione sarebbe potuto partire un colpo
ed era impossibile prevederne la traiettoria.
Arrivarono alla porta e Luke prese la chiave dalla tasca.
Una goccia di sudore gli scese lungo il viso. Se entrava era
un uomo morto.
Aprì la porta e la spalancò con una spinta.
«Entra» disse, facendosi da parte per lasciar passare per
primo il suo ospite.
Anthony esitò, poi varcò la soglia.
Luke gli fece lo sgambetto spingendolo contemporaneamente con entrambe le mani sulle spalle. Anthony cadde in
avanti andando a sbattere contro un tavolino in stile Reggenza e rovesciando un grosso vaso di giunco. Disperato,
tentò di aggrapparsi a una lampada a stelo in ottone con
paralume di seta rosa, ma anche questa cadde con lui.
Luke richiuse la porta e scappò lungo il corridoio. L'ascensore era ripartito. Corse Verso l'uscita di sicurezza e si
precipitò giù per le scale. Al piano di sotto andò a sbattere
contro una cameriera che portava una pila di asciugamani. «Scusi!» le urlò, mentre la ragazza si metteva a gridare
e gli asciugamani volavano dappertutto.
Pochi secondi dopo arrivò in fondo alla scala. Si ritrovò
in un corridoio stretto. Dilato, un poco più in alto, attraverso un piccolo arco vide l'atrio.
Ancor prima di muoversi, Anthony aveva capito che
era un errore entrare nella stanza, ma Luke non gli aveva
lasciato altra scelta. Per fortuna non si era fatto molto male. Dopo un attimo di stordimento, si tirò su e aprì la porta. Guardò fuori e vide Luke scappare di corsa per il corridoio. Partì all'inseguimento, ma d'un tratto Luke svoltò
dilato e scomparve, presumibilmente giù per le scale.
Anthony gli andò dietro correndo più veloce che poteva, anche se temeva di non riuscire a raggiungerlo. Luke
sembrava molto in forma. Curtis e Malone, giù nell'atrio,
avrebbero avuto il buon senso di bloccarlo?
Al piano inferiore Anthony si trovò la strada sbarrata
da una cameriera che raccoglieva asciugamani sparsi per
tutto il pavimento. Immaginò che fosse stato Luke a travolgerla. Imprecando, rallentò per girarle attorno. In quel
momento sentì arrivare l'ascensore. Il suo cuore ebbe un
balzo: forse era fortunato.
Ne uscì una coppia tutta in ghingheri, con chiari segni
di euforia dopo qualche festeggiamento. Anthony sfrecciò
loro davanti, si infilò in ascensore e ordinò: «Svelto, al pia..
no terra».
Il lift chiuse di colpo le porte e azionò la leva. Anthony
restò a fissare impotente i numeri dei piani che si accendevano in lenta successione. Come l'ascensore giunse al piano terra, lui corse fuori.
Luke sbucò nell'atrio accanto all'ascensore, e si sentì
mancare il cuore: i due agenti che aveva notato in precedenza ora erano fermi davanti all'ingresso principale,
bloccandogli l'uscita. Un attimo dopo la porta dell'ascensore si aprì lasciando uscire Anthony.
Doveva decidere in fretta: battersi o fuggire.
Non voleva affrontare tre agenti contemporaneamente:
lo avrebbero di sicuro sopraffatto, magari anche con l'aiuto della sicurezza dell'albergo. Anthony avrebbe mostrato
il tesserino della Cia e tutti gli avrebbero obbedito. E lui
sarebbe stato preso.
Girò sui tacchi e corse lungo il corridoio, inoltrandosi
nelle viscere dell'albergo, inseguito dai passi martellanti
di Anthony. Doveva esserci un'entrata posteriore, non era
possibile che le consegne venissero effettuate all'ingresso
principale.
Scostò una tenda e si ritrovò in un cortiletto in stile caffè
mediterraneo. Sulla piccola pista da ballo qualche coppia
ondeggiava lentamente al ritmo della musica. Si gettò tra i
tavoli e arrivò a una porta. Alla sua sinistra partiva uno
stretto corridoio, Lo imboccò. Doveva trovarsi sul retro dell'albergo, anche se non si vedeva alcuna uscita.
Spuntò nella stanza in cui veniva dato il tocco finale alle
vivande destinate alla sala da pranzo. Cinque o sei camerieri erano occupati a sistemare le pietanze su scaldavivande e a mettere i piatti sui vassoi. In mezzo alla stanza c'era
una scala che scendeva. Luke si fece largo tra i camerieri e
la imboccò, ignorando una voce che gli urlava: «Scusi, signore! Lei non può andare da quella parte!». Quando arrivò anche Anthony la stessa voce esclamò indignata: «E
dove siamo, alla Union Station?».
Al piano interrato c'era la cucina vera e propria, un purgatorio soffocante dove una decina di chef preparavano il
cibo per centinaia di persone: i fuochi a gas accesi al massimo, nubi di vapore, pentole e casseruole che ribollivano. I
camerieri urlavano ai cuochi, i cuochi urlavano agli aiutanti, tutti troppo occupati per prestare attenzione a Luke che
sfrecciò attraverso il locale tra frigoriferi e fornelli, sc~hivando pile di piatti e casse di verdura.
In fondo alla cucina trovò una scala. Immaginò che salisse verso l'entrata di servizio, in caso contrario era in
trappola. 1)ecise di correre il rischio e si lanciò di corsa.
Arrivato in cima, spalancò una porta a vento e uscì nell'aria fresca della notte.
Si trovava in un cortile buio. Una debole lampada sopra
la porta illuminava giganteschi contenitori per la spazzatu-ra e pile di cassette di legno per la frutta. Una cinquantina di
metri più in là, alla sua destra, c'era un'alta recinzione di rete metallica con un cancello chiuso e, oltre quella, una strada
che, a occhio e croce, doveva essere la Fifteenth.
Mentre correva verso il cancello udì la porta alle sue
spalle spalancarsi con fracasso, e immaginò che Anthony
fosse uscito in cortile. Erano soli.
Arrivò al cancello: era chiuso con un grosso lucchetto
d'acciaio. Se solo fosse passato qualcuno Anthony avrebbe avuto paura di sparare, ma non c'era in giro neppure
un'anima.
Con il cuore che batteva all'impazzata, Luke cominciò a
scalare la rete di recinzione. Arrivato in cima udì lo sparo
attutito di una pistola con il silenziatore. Il proiettile non arrivò a segno. Era un tiro difficile - un bersaglio in movimento nell'oscurità a una cinquantina di metri di distanza - ma
non impossibile. Si lasciò cadere dall'altra parte. La pistoia
tossì nuovamente. Luke toccò terra, barcollò e cadde. Ancora uno sbuffo. Si rimise in piedi e si precipitò di corsa verso
est. Ora la pistola taceva.
Arrivato all'angolo, si voltò a guardare. Di Anthony
nessuna traccia.
Ce l'aveva fatta.
Anthony si sentiva cedere le gambe. Si appoggiò con una
mano alla parete fredda. Il cortile puzzava di verdura marcia. Gli pareva di respirare l'essenza stessa della corruzione.
Era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto. In
confronto, uccidere Albin Moulier era stato uno scherzo.
Mentre puntava la pistola contro la sagoma di Luke che si
arrampicava sulla recinzione, gli era stato quasi impossibile premere il grilletto.
Era il peggiore scenario immaginabile: non solo Luke
era ancora vivo ma, dopo essersi visto sparare addosso,
era sicuramente all'erta e deciso a scoprire la verità.
La porta della cucina si aprì e comparvero Malone e Curtis. Anthony fece scivolare prudentemente la pistola nella
tasca interna del cappotto. «Presto, inseguitelo! Oltre la rete!» ordinò, ansante, sapendo che non l'avrebbero preso.
Come i due si furono allontanati, cominciò a cercare i
bossoli.
22.30.
Il prògetto del missile trae origine da quello delle V2 utilizzate
per i bombardamenti su Londra dUrante la guerra. Il motore
sembra addirittura lo stesso. Accelerometri, relè e ~i*oscopi derivano tutti da quelli delle V2. La turbopompa per l'alimentazione del combustibile è mossa dal vapÒrè generòto dalla deiomposizione di Una corrente di perossido di idrogeno al 90 per
cento che transita su un letto di catalisi a base di cadmio. Anche
questo sistema deriva dalle V2.
Harold Brod~ky aveva preparato un ottimo martini sec.co e il pasticcio di tonno di Mrs Riley era buono come promesso~ Per dessert, torta di ciliegie còn gelato. Billie si
Sentiva in colpa: Harold cercava di compiacerla in ògni
tnodo, ma lei flOfl poteva fare a meno di pensare a Luke e
Anthony, alle vicende del passàto e al recente, sconcertante intrigo~
Mentre Harold preparava il caffè, L3llhie `telefonò casa
per accertarsi che tutto fosse a posto. Poi hill propose di
trasferirsi in soggiorno a guardare la televisione. Tirò fuori una bottiglia di cognac francese e ne versò due ~Osi generose in grandi napoleoni. BilI ie si chiese se stesse cercandò di prendere coraggio o di fiaccare la sua resistenza.
Inspirò il profumo del cognac ma non ne bevve.
Anche Harold era pensieroso. Di solito era un conversatore divettente e arguto, la faceVa sempi~e ridere molto
quando erano insieme, Quella sera, però, sembrava preoccupato.
Guardarono un thriiler intitolato Run, Joe, Run!. Jan
Sterlina faceva la parte di una cameriera legata a un ex
gangster impersonato da Alex Nichol. l3iiiie non rìusdva
a provare interesse per i pericoli immaginavi rappresentati sullo schermo. La sua mente continuava a tornare al mistero intorno a ciò che Anthony aveva inflitto a Luke. Du
rante la permanenza nell'Oss tutti lon~o avevano infranto
sistematicamente ogni tipo di regola, ma Billie era sciocca~*
ta all'idea che Anthony si fosse spinto così lontano. In
tempo di pace non vigevano regole diverse?
Cosa lo aveva indotto a fare una cosa simile? Bern l'aveva chiamata per informarla della sua conversazione con
l.~uke e questo non aveva confermato ciò che le diceVa il
suo istinto, e cioè che Luke non poteva essere una spia.
Come poteva Anthony pehs~re una cosa simile? E se nOn
ne era convinto, qual era la veùa ragione del si4o comportamento?
Harold spense la televisione e sì versò dell'altro cognac.
«È un po~ di tempo che penso ai nostro futurò» disse.
Billie si sentì mancare il cuore. Stava per chiederle di spòsarlo. Se l'aVesse fatto anche solo il giorno prima lei avrebbe
accetta tò, ma ora non riuscivà neppun~e a pensarci.
Lui le prese la mano. «Io ti amo» le disse. «Andiamo d'ac-*
cordo, condividiamo gli stessi interessi e tutti e due abbiamo un figlio. Ma non é questo il motivo. Credo che ti spose~
rei anche se fossi una cameriera che mastica chewing-gum
e adora Elvis Presley.»
Billie rise.
«Io ti adoro perché sei tw So che è vero amore perché
mi è già succesSo una volta, solo una, con Lesley. `L'ho
aiìiata cOn tutto il cuore, finché l'ho avuta con nie, quindi
ora non ho dubbi: ti arno e voglio ~stare insieme a te per
sempre.>' La guardò e poi chiese: «E tu, cosa penSi?».
Lej sospirò. «Io ti voglio bene.. Mi piacerebbe venire a
letto con te, credo che sarebbe fantastico.» Liii inarcò le so-
pracciglia ma non la interruppe. «E non posso fare a meno
di pensare quanto sarebbe più facile la mia vita se avessi
qualcuno con cui condividere i problemi.»
«Fantastico.»
«Fino a ieri questo sarebbe stato più che sufficiente. Avrei
detto sì, ti amo, sposiamoci. Ma oggi ho incontrato una persona che appartiene al mio passato e mi sono ricordata cosa
significhi essere innamorati a vent'anni.» Gli rivolse uno
sguardo sincero. «E io non provo questo per te, Harold.»
Lui non si lasciò scoraggiare~. «E chi può, alla nostra età?»
«Forse hai ragione.» Desiderava tanto tornare a essere
pazza e incosciente, ma era un desiderio assurdo per una
donna divorziata con un figlio di sette anni. Per prendere
tempo si portò il bicchiere alle labbra.
Suonò il campanello.
Billie ebbe un sussulto.
«E ora chi diavolo è?» esclamò Harold irritato. «Spero
solo che non sia Sidney Bowman che vuole in prestito il
cric a quest'ora della sera.» Si alzò e andò in corridoio.
Billie sapeva chi era alla porta. Posò il cognac, che non
aveva neppure assaggiato, e si alzò.
Sentì la voce di Luke all'ingresso. «Ho bisogno di parlare con Billie.»
Lei si domandò come mai si sentisse così felice.
«Non credo che desideri essere disturbata, ora» disse
Harold.
«È importante.»
«Come ha fatto a scoprire che è qui?»
«Me l'ha detto sua madre. Mi scusi, I-Iarold, ma non ho
proprio tempo da perdere.» Billie sentì un tonfo, seguito da
un'esclamazione di protesta di Harold e immaginò che
Luke si fosse introdotto in casa con la forza. Andò alla porta
del soggiorno e guardò in corridoio. «Calma, Luke» disse.
«Questa è casa di Harold.» Luke aveva il cappotto strappato, era senza cappello e sembrava molto scosso. «Cos'è successo ancora?»
«Anthony mi ha sparato addosso.»
Billie era scioccata. «Anthony?» ripeté. «Oh, mio Dio!
Cosa gli è preso? Ti ha sparato?»
Harold era spaventato. «Cos'è questa storia?»
Luke lo ignorò. «È ora di parlare con qualcuno più in alto» disse a Billie. «Io vado al Pentagono, ma ho paura che
non mi credano. Vuoi venire con me per confermare la mia
storia?»
«Certo» rispose Billie prendendo il cappotto dall'attaccapanni nell'ingresso.
«Billie!» esclamò Harold. «Noi stavamo parlando di
una cosa importante!»
«Ho davvero bisogno dite» insisté Luke.
Billie esitò. Era dura per Harold - evidentemente aveva
pi~nificato quella serata da tempo -- ma la vita di Luke era
in pericolo. «Mi dispiace» gli disse «ma devo andare.»
Sollevò il viso perché la baciasse, ma lui si tirò indietro.
«Non fare così. Ci vediamo domani.»
«Fuori da casa mia. Tutti e due» urlò lui, furibondo.
Billie uscì, seguita da Luke, e i-Iarold sbatté la porta.
23.00.
Il programma lupiter è costato 40 milioni di dollari nel 1956 e
140 milioni nel 1957. La c4fra prevista per il 1958 supera i 300
milioni.
Anthony trovò della carta intestata del Cariton nella scrivania nella camera di Pete. Prese una busta. Tirò fuori dalla
tasca tre bossoli e tre proiettili deformati, quelli sparati contro Luke. Li chiuse nella busta, la sigillò e se la mise in tasca.
Se ne sarebbe sbarazzato alla prima occasione.
Stava cercando di limitare i danni. Aveva poco tempo,
ma doveva cancellare con cura ogni traccia dell'accaduto.
Questo lo aiutava a non pensare all'intollerabile sensazione di disgusto che provava verso di se.
Il vicedirettore dell'albergo entrò nella stanza, indignato. Era un ometto calvo e azzimato. «Si sieda, la prego, Mr
Suchard» disse Anthony e gli mostrò il distintivo.
«La Cia!» esclamò Suchard, e la sua indignazione cominciò a svanire.
Anthony prese un biglietto da visita dal portafoglio.
~<Sul biglietto c'è scritto Dipartimento dì Stato, ma se ha
bisogno di me può sempre cercarmi a questo numero.'>
Suchard prese in mano il biglietto come se dovesse scoppiargli tra le dita. «Cosa posso fare per lei, Mr Carrolì?»
Aveva un leggero accento straniero, forse svizzero, pensò
Anthony.
«Innanzitutto, desidero scusarmi con lei per il trambusto di poc'anzi.»
Suchard annuì compunto. Non avrebbe mai m.inimizzato l'accaduto. «Fortunatamente, pochi ospiti si sono accorti di qualcosa. Solo il personale di cucina e qualche cameriere l'hanno vista inseguire quel signore.»
«Sono felice di non aver creato troppo scompiglio, anche se si tratta di una questione di sicurezza nazionale.»
«Sicurezza nazionale?» ripeté Suchard marcando le sopracciglia per la sorpresa.
«Ovviamente non posso dilungarmi nei dettagli...»
«Ovviamente.»
«Ma spero di poter contare sulla sua discrezione.»
I professionisti dell'attività alberghiera andavano orgogliosi della loro riservatezza, e Suchard annuì con vigore.
«Nel modo più assoluto.»
«Forse non sarà necessario informare il direttore di
quanto è accaduto.»
«E possibile...»
Anthony tirò fuori un rotolo di banconote. ~<Il Dipartimento di Stato ha un piccolo fondo per questi casi» disse,
prendendo una banconota da venti dollari che Suchard
accettò senza battere ciglio. «E se qualcuno del personale
le sembrasse poco convinto, magari...» Anthony contò altre quattro banconote e le porse all'uomo.
Era una somma enorme per un vicedirettore. «Grazie,
signore. Sono certo che riusciremo ad accontentarla.»
«Se le facessero delle domande, sarebbe meglio rispondere che lei non ha visto nulla.»
«Certamente.» Suchard si alzò. «Se c'è altro...»
«Nel qual caso glielo farò sapere» disse Anthony, congedandolo con un cenno del capo.
Poco dopo entrò Pete. «Il capo della sicurezza di Cape
Canaveral è il colonnello BilI Hide. Alloggia allo Starlite
Motel.» Porse a Anthony un foglietto con sopra annotato
un numero di telefono e uscì di nuovo.
Anthony compose il numero di telefono e si fece passa-
re la stanza di Ride. «Parla Anthony Carroli della Cia,
Servizi tecnici» disse.
«Bene, cosa posso fare per lei,, Mr Carrolì?» rispose il
colonnello. Parlava con voce bassa e strascicata, per nulla
marziale, come se avesse bevuto un paio di drink.
«La chiamo a proposito del dottor Lucas.»
«Sì?»
Il suo tono pareva vagamente ostile e Anthony decise
di rabbonirlo. «Gradirei molto un suo consiglio, colonnello, se potesse dedicarmi qualche minuto nonostante l'ora
tarda.»
Hide si ammorbidì. «Certo, tutto quello che posso.»
Così andava meglio. «Immagino che lei sia al corrente
del recente strano comportamento del dottor Lucas, cosa
preoccupante per uno scienziato che ha accesso a informazioni molto riservate.»
«Naturalmente.»
Anthony vàleva che Ride pensasse di avere il controllo
della conversazione. «Cosa pensa del suo stato mentale?»
«L'ultima volta che l'ho visto mi è parso normale, ma
qualche ora fa gli ho parlato e mi ha detto di aver perso la
memoria.»
«C'è dell'altro. Ha rubato una macchina, si è introdotto
illegairnente in una casa, ha aggredito un poliziotto, e al-*
tre imprese del genere.»
«Mio Dio, è peggio di quanto pensassi.»
Hide se la stava bevendo, pensò Anthony con sollievo,
e rincarò la dose. «Crediamo che abbia perso la ragione,
ma lei Io conosce meglio di noi. A suo parere, cosa gli sta
succedendo?» Anthony trattenne il fiato, sperando di ricevere la risposta giusta.
«Be', direi che potrebbe trattarsi di un esaurimento nervoso.» Era proprio ciò che Anthony voleva fargli credere,
ma ora Hide era convinto di esserci arrivato da solo e di
essere lui a cercare di persuadere Anthony. «Senta, Mr
Carrolì, l'esercito non assegnerebbe mai un pazzo a un
progetto top secret. Di norma, Luke è sano di mente quanto lei e me. Evidentemente è accaduto qualcosa che gli ha
fatto perdere il controllo.»
«Sembra sicuro di essere vittima di una qualche macchinaziofle... ma lei mi sta dicendo che forse non è il caso
di dargli credito.»
«Assolutamente no.»
«Allora dovremmo agire con prudenza. Voglio dire, è il
caso di allertare il Pentagono?»
«Buon Dio, certo che no» rispose Hide, preoccupato.
«Anzi, sarà meglio che li chiami per avvertirli che Luke si
comporta in maniera bizzarra.»
«Come vuole.»
Pete entrò nella stanza e Anthony con un dito gli fece segno di aspettare. «A proposito» proseguì, ammorbidendo il
tono di voce «io sono un vecchio amico dei Lucas. Cercherò
di convincere Luke a parlare con uno psichiatra.»
«Mi sembra un'ottima idea.»
«La ringrazio molto, colonnello, lei mi ha tranquillizzato. Procederemo sulla linea da lei suggerita.»
«Si figuri. Se c'è altro che desidera chiedermi o di cui
vuole discutere con me, mi chiami pure in qualsiasi momento.»
«Lo farò» rispose Anthony, e riattaccò.
«Uno psichiatra?» chiese Pete.
«Era solo per dire.» Anthony esaminò la situazione. Lì
in albergo non c'era alcuna traccia dell'accaduto. Era riuscito a influenzare il Pentagono contro qualsiasi denuncia
Luke potesse fare. Restava solo l'ospedale.
Si alzò. «Sarò di ritorno tra un'ora» disse a Pete. «Voglio
che tu resti qui, ma non nell'atrio. Prendi Malone e Curtis
e paga una cameriera perché ti lasci entrare nella suite di
Luke. Ho il presentimento che tornerà.»
«E se torna?»
«Non lasciatevelo scappare. A nessun costo.»
24.00.
Il missile lupiter C utilizza Hydyne, un combustibile segreto
che è del 12 per cento più potente del normale propellente a base
di alcol usato per i missili Redstone. Si tratta di una sostanza
tossica e corrosiva, una miscela di UDMH - dimetilidrazina
asim metrica - e di dietilene triamminico.
Billie entrò con la Thunderbird rossa nel parcheggio del
Georgetown Mmd Hospital e spense i] motore. Il colonnello Lopez del Pentagono andò a fermarsi nello spazio
accanto a bordo di una Ford Fairlane color verde oliva.
«Non crede a una sola parola del mio racconto» osservò
Luke irritato.
«E come si può dargli torto?» rifletté Billie. «Il vicedirettore del Carlton afferma che non c'è stato alcun inseguimento nelle cucine, e davanti all'entrata di servizio non è
stato ritrovato alcun bossolo.»
«Anthony ha cancellato ogni prova.»
«Certo, ma il colonnello Lopez non può saperlo.»
«Grazie al cielo ci sei tu a confermare quello che dico.»
Scesero dall'auto ed entrarono nell'ospedale insieme al
colonnello, un uomo di origine ispanica dal temperamento flemmatico e l'espressione intelligente. Billie salutò con
un lieve cenno del capo l'addetto all'accettazione e fece
strada su per le scale e lungo il corridoio che portava all'archivio.
«Ora le mostrerò la cartella clinica di un uomo che si
chiama Joseph Bellow e le cui caratteristiche fisiche corrispondono in tutto e per tutto a quelle di Luke» spiegò.
Il colonnello annuì.
«Vedrà che è stato ricoverato martedì, ha subito un trattamento particolare ed è stato dimesso alle quattro del mat-
tino di mercoledì» proseguì Billie. «Deve sapere che è una
cosa molto insolita che un paziente schizofrenico venga
sottoposto a un qualsiasi trattamento senza prima rimanere in osservazione per un certo periodo. E non è necessario
le dica che non si è mai visto dimettere un paziente da un
ospedale psichiatrico alle quattro del mattino.»
«Capisco» disse Lopez senza prendere posizione.
Billie aprì il cassetto, tirò fuori il fascicolo di Bellow, lo
posò sulla scrivania e lo aprì.
Era vuoto.
«Oh, mio Dio!» esclamò.
Luke fissava la cartellina, attonito. «Ho visto io stesso
quei documenti meno di sei ore fa!»
Lopez si alzò in piedi con aria infastidita. «Be', immagino sia tutto.»
Luke aveva l'orribile sensazione di vivere in un mondo
surreale in cui la gente poteva fargli tutto ciò che voleva,
sparargli, fargli perdere la memoria, senza che lui potesse
dimostrarlo. «Forse sono davvero schizofrenico» rifletté
cupo.
«Be', io non lo sono» ribatté Billie. «E ho visto quel fascicolo con i miei occhi.»
«Ma ora non c'è» osservò Lopez.
«Aspettate» disse Billie. «Il ricovero dovrebbe essere
stato segnato sul registro. Lo tengono giù al banco dell'accettazione.» Così dicendo chiuse con forza il cassetto dello
schedario.
Scesero nell'atrio. Billie andò dall'addetto all'accettazione: ~<Charlie, fammi vedere il registro, per favore».
«Subito, dottoressa.» Il giovane di colore lo cercò dappertutto senza trovano. «Accidenti, dove diavolo è finito?»
«Oh, Cristo» mormorò Luke.
Il giovane non nascondeva il proprio imbarazzo. «Era
qui un paio d'ore fa.»
Billie era furente. «Dimmi una cosa, Charlie. Stasera il
dottor Ross è passato di qui?»
«Sissignora. Se n'è andato pochi minuti fa.»
Billie annuì. «La prossima volta che lo vedi, chiedigli
dov'è finito il registro. Lui lo sa.»
«Certo.»
Billie voltò le spalle al bancone.
«Lasci che le chieda una cosa, colonnello.» Luke era furibondo. «Prima che venissimo da lei, questa sera, qualcuno le aveva già parlato di me?»
«Sì» ammise Lopez dopo una leggera esitazione.
«Chi?»
L'uomo esitò di nuovo, ma poi si arrese. «Suppongo che
lei abbia il diritto di saperlo. Abbiamo ricevuto una telefonata da un certo colonnello Hide da Cape Canaveral. Ci
ha detto che la Cia la teneva sotto controllo e che lo avevano avvertito che lei si stava comportando in modo un po'
strano».
«Ancora Anthony» osservò Luke, annuendo con aria
truce.
«Be', a me non viene in mente altro per convincerla»
disse Billie rivolta a Lopez. «Non la biasimo se lei non ci
crede, visto che non abbiamo prove.»
«Io non ho detto che non vi credo» ribatté Lopez.
Luke guardò il colonnello, sorpreso e animato da nuova
speranza.
«Potevo pensare che lei si fosse immaginato di essere
stato inseguito da un uomo della Cia per il Carlton Hotel
e che quest'uomo le avesse sparato addosso in un vicolo.
Potevo anche accettare l'idea che lei e la dottoressa aveste
mentito dicendo che c'era un fascicolo che poi è scomparso. Ma non posso credere che anche il personale dell'accettazione sia coinvolto. Deve esserci un registro, e questo
registro è sparito. Non credo che lo abbiate preso voi, perché avreste dovuto farlo? E allora chi è stato? Qualcuno
sta mescolando le carte.»
«Allora ci crede?» chiese Luke.
«Cosa c'è da credere? Lei non sa cosa ci sia sotto a tutto
questo. Io neppure. Ma di certo qualcosa c'è, e sono convinto che abbia un aggancio con quel razzo che sta per essere lanciato.»
«Cosa intende fare?»
«Darò l'ordine di massima allerta a Cape Canaveral. Ci
sono stato, laggiù, e so che i servizi di sicurezza sono molto approssimativi.»
«E Anthony?»
«Ho un amico alla Cia. Gli riferirò la sua storia, dicendo
che non so se sia vera o meno, ma che sono preoccupato.»
«Questo non ci aiuterà!» protestò Luke. «Noi dobbiamo
scoprire cosa sta succedendo, perché mi ha fatto perdere
la memoria!»
«Sono d'accordo» convenne Lopez però io non posso fare altro. Il resto tocca a lei.»
«Oh, Cristo!» esclamò Luke. «Allora sono solo.»
«No» disse Billie «non sei solo.»
PARTE QUARTA
1.00.
Il nuovo combustibile deriva da un gas nervino ed è molto pericoloso. È stato trasportato a Cape Canaverai su uno speciale
con voglio ferroviario dotato di un sistema di sicurezza che utilizza azoto per inertizzare ogni eventuale perdita. Una sola goccia di combustibile sulla pelle verrebbe assorbita all'istante dal
sangue con esiti fatali.
Billie guidava veloce, maneggiando con sicurezza il
cambio manuale a tre marce. Luke la osservava ammirato.
Sfrecciarono per le strade silenziose di Georgetown, andando verso il centro della città. Attraversarono il Rock
Creek e si diressero al Carlton.
Luke si sentiva pieno di energia. Conosceva finalmente
il nemico, aveva un'alleata al suo fianco e sapeva cosa doveva fare. Seppure disorientato dalla sua disavventura,
era determinato a sciogliere il mistero e impaziente di
mettere fine a quella vicenda.
Billie parcheggiò dietro l'angolo rispetto all'ingresso principale. «Vado prima io. Se c'è qualcuno dall'aria sospetta
nell'atrio, esco subito. Se vedi che mi tolgo il cappotto vuol
dire che la via è libera.»
Luke non era convinto di questo piano. «E se ci fosse
Anthony?»
«A me non sparerà» disse Billie scendendo dall'auto.
Luke fece per contraddirla, ma poi si trattenne. Proba-
bilmente aveva ragione. Anthony di sicuro aveva perquisito da cima a fondo la sua camera e distrutto tutto quanto
potesse costituire una traccia per arrivare a quel segreto
che cercava di difendere con ogni forza. Doveva però conservare alla situazione una parvenza di normalità, per dare credito alla montatura secondo la quale lui aveva perso
la memoria in seguito a una colossale sbornia. Luke si
aspettava di ritrovare la maggior parte delle sue cose.
Questo lo avrebbe aiutato a orientarsi e, forse, avrebbe potuto imbattersi in qualche indizio sfuggito a Anthony.
Si avvicinarono all'albergo separatamente. Luke si tenne sul lato opposto della strada. Osservò Billie entrare,
ammirandone la camminata disinvolta che faceva ondeggiare il cappotto. Riusciva a vedere l'interno dell'atrio, oltre le vetrate. Un portiere si era subito avvicinato a Billie,
msospettito nel vedere una donna affascinante arrivare in
albergo tutta sola a notte fonda. La vide parlare e immaginò che stesse dicendo: "Sono Mrs Lucas, mio marito arriverà tra un minuto". Poi si tolse il cappotto.
Luke attraversò la strada ed entrò.
«Tesoro, prima di salire in camera vorrei fare una telefonata» la informò, a beneficio del portiere. Sul bancone
della reception c'era un telefono interno, ma Luke non voleva che il portiere ascoltasse la conversazione. Accanto
c'era una piccola nicchia con un telefono pubblico sistemato in una cabina chiusa. Luke entrò. Billie lo seguì e
chiuse la porta. Erano a stretto contatto. Luke infilò una
moneta nella fessura e chiamò l'albergo. Teneva il ricevitore staccato dall'orecchio in modo che anche Billie potesse sentire. Nonostante la tensione, trovava deliziosamente
eccitante la vicinanza di lei.
«Carlton, buongiorno.»
Luke si rese conto di colpo che era martedì mattina. Era
in piedi da quasi venti ore, ma non aveva sonno: era troppo teso. «Stanza cinquecentotrenta, per favore'>
L'operatore esitò. «Signore, è l'una del mattino passata... Si tratta di un'emergenza?»
«Il dottor Lucas mi ha chiesto di chiamarlo, a qualsiasi
ora.»
«Molto bene.»
Ci fu una pausa, poi si udì lo squillo del telefono . Luke
era fortemente consapevole del corpo caldo di Billie fasciato dall'abito di seta rossa. Dovette lottare con il desiderio
di circondare quelle spalle armoniose e stringerla a sé.
Dopo quattro squilli stava per riattaccare, convinto che
la stanza fosse vuota, quando qualcuno rispose. Dunque
Anthony, o uno dei suoi uomini, lo stava aspettando. Era
una seccatura, eppure Luke si sentiva più tranquillo, ora
che sapeva dove si era appostato il nemico.
«Pronto?» disse una voce dal tono incerto. Non era
Anthony, ma avrebbe potuto essere Pete.
Luke fece una voce da ubriaco. «Eh, Ronnie, sono Tim.
Ti stiamo aspettando!»
L'uomo ebbe un'esclamazione irritata. «Un ubriacone»
disse, come se stesse parlando con qualcun altro. «Hai
sbagliato camera, amico.»
«Oh, mi scusi tanto! Spero di non aver svegliato...»
Luke si interruppe quando all'altro capo riattaccarono.
«C'è qualcuno» osservò Billie.
«Più di uno, probabilmente.»
«Io so come farli uscire» lo informò lei con un ghigno.
«L'ho già fatto a Lisbona, durante la guerra. Su, vieni.»
Uscirono dalla cabina telefonica. Luke vide Billie rubacchiare una cartina di fiammiferi da un posacenere accanto
all'ascensore. Il portiere li portò al quinto piano.
Trovarono la stanza 530 e passarono oltre senza far rumore. Billie aprì una porta non contrassegnata da numero che
nascondeva un ripostiglio per la biancheria. «Perfetto» disse a voce bassa. «C'è un allarme antincendio, qui vicino?»
Luke si guardò attorno e vide un allarme del tipo che si
attivava rompendo un pannello di vetro con un martelletto. «Là» indicò.
«Bene.» Nel ripostiglio c'erano lenzuola e coperte ordinate su ripiani di legno. Billie spiegò una coperta e la la-
sciò cadere a terra. La prima coperta fu seguita da molte
altre, fino a formare una pila sul pavimento. Luke capì cosa aveva intenzione di fare; i suoi sospetti vennero confermati quando lei prese un cartoncino per ordinare la colazione appeso alla maniglia di una porta e gli diede fuoco
con un fiammifero. Mentre questo si incendiava, avvicinò
la fiamma alla pila di coperte. «Ecco il motivo per cui non
si dovrebbe mai fumare a letto» disse.
Quando le fiamme cominciarono a prendere, Billie aggiunse alcune lenzuola. Aveva il viso arrossato per l'eccitazione e il calore, e sembrava più attraente che mai. In un attimo si sviluppò un bel falò. Il fumo cominciò a uscire dal
ripostiglio e a invadere il corridoio.
«È ora di far suonare l'allarme» suggerì. «Non vogliamo che si faccia male qualcuno.»
«Hai ragione» rispose Luke e gli tornò di nuovo in
mente quella frase: non sono collaborazionisti. Adesso,
però, ne capiva il significato. Nella Resistenza, quando faceva saltare in aria fabbriche e depositi, doveva aver sempre avuto la preoccupazione di evitare danni a persone mnocenti.
Afferrò il martelletto attaccato con una catenella vicino
all'allarme. Con un colpo ruppe il vetro e premette il grosso pulsante rosso all'interno. L'attimo successivo un forte
scampanellio infranse il silenzio della notte.
Luke e Billie arretrarono lungo il corridoio, allontanandosi dall'ascensore di quel tanto che permetteva loro di
tenere d'occhio la porta della camera di Luke.
La porta vicino a loro si aprì e uscì una donna in camicia da notte. Vedendo il fumo, lanciò un urlo e si precipitò
verso le scale. Da un'altra porta emerse un uomo in maniche di camicia con una matita in mano: evidentemente
stava lavorando nonostante l'ora tarda; poi fu la volta di
una giovane coppia, entrambi avvolti in lenzuola. Sembrava proprio che fossero stati interrotti mentre facevano
l'amore. Quindi arrivò un uomo con un pigiama rosa tutto stazzonato e gli occhi annebbiati dal sonno. Pochi secondi dopo, il corridoio era pieno di gente che tossiva e
brancolava nel fumo in direzione delle scale.
La porta della stanza 530 si aprì lentamente.
Luke vide un uomo alto uscire in corridoio. Nonostante
il fumo gli parve di scorgere una grossa chiazza rossa sulla guancia: era Pete. Si ritrasse per evitare di essere riconosciuto. Pete esitò, poi parve decidersi e si unì al fiume
di persone che andava verso le scale. Altri due uomini
uscirono dalla stanza e lo seguirono.
«Via libera» disse Luke.
Luke e Billie entrarono nella suite e Luke chiuse la por-
ta per non far entrare il fumo. Poi si tolse il cappotto.
«Oh, mio Dio!» esclamò Billie. «E la stessa stanza.»
Billie si guardò attorno con gli occhi spalancati. «Non
posso crederci» continuò, con voce così bassa che Luke fece fatica a sentirla. «E la stessa suite.»
Lui la osservava immobile. Sembrava in preda a una forte emozione. ~<Cos'è successo, qui?» le chiese infine, impa~
ziente.
Lei scosse la testa. «È difficile immaginare che tu non lo
ricordi.» Fece nn giro per la stanza. «C'era un pianoforte a
coda, in quell'angolo. Pensa, un pianoforte in una camera
d'albergo!» Guardò in bagno. «E qui c'era un telefono. Non
avevo mai visto un telefono nel bagno.»
Luke attese. lì volto di Billie esprimeva tristezza e una
qualche altra emozione che lui non riusciva a decifrare.
«Tu stavi qui durante la guerra.» E poi aggiunse, d'un fiato: «Abbiamo fatto l'amore, in questa suite».
Lui guardò nella stanza. «Su quel letto, suppongo.»
«Non solo sul letto» disse lei ridendo, poi ridiventò seria. «Com'eravamo giovani!»
Il pensiero di fare l'amore con quella donna incantevole
era così eccitante da risultare quasi intollerabile. «Oh, Dio,
come vorrei poter ricordare» sospirò lui, con voce carica
di desiderio.
Con sua sorpresa, lei arrossì.
Luke si voltò, sollevò il ricevitore e compose il numero
del centralino. Voleva accertarsi che l'incendio non avesse
modo di propagarsi. Dopo una lunga attesa qualcuno risposè. «Sono Mr Davies. Ho fatto scattare io l>allarme» disse Luke in fretta. «t'incendio è nel ripostiglio della biancheria vicino alla stanza 540» Riattaccò senza aspettare la
risposta.
Bii [le si guardava attorno; apparentemente aveva superato l'emozione. «Qui ci sono i ti.ìoi vestiti.»
Luke andò in camera. Posati sui letto c'erano una giacca
sportiva di tweed grigio chiaro e un paio di calzoni di flanella grigio scuro. Sembrava fosserò appena tornati dàlla
lavanderia. Luke immaginò di averli indossati per il viaggio in aereo e di averli triaridati a stirai~e, Per terra c'era un
paio di scarpe marrone scuro~ Dentro a una scarpa era infilata una cintura dì coccodrillo ordinatamente arrotolata.
Aprì il cassetto del comodino e trovò un portafoglio, un
libretto degli assegni e una penna stilografica. Ancora più
interessante fu la scoperta di un'agendina per gli appuntamenti con in fondo una piccola rubrica telefonica. La sfogliò velocemente e trovò la pagina della settimana in corso.
DOMENICA 26
Compleanno Emily
LUNEDì 27
Comprare costume da bagno
8.30 Riunione Apice, Vanguard Motei
MARTEDì 28
8.00 Colazione con A.C., caffett~ria Hay Adams
Billie gli era accanto per vedere ciò che stava leggendo.
Gli posò una mano sulla spalla. Era un gesto castiàle, ma
il suo tocco gli procurò un brivido di piacere. «Hai qualche idea di chi possa essere questa Emily?» le chiese.
«Tua sorella.»
«Quanti anni ha?'>
«Dieci meno dite, cioè ventisette»
~<L~u.nque è nata nel `31. Le avrò telefonato per farle gli
auguri. Potrei richiamarla ora e chiederle se ho detto qualcosa di insolito.»
«Ottima idea.»
Luke era soddisfatto. Stava ricostruendo la propria vita.
«Devo essere andato in Plorida senza il costume da bagno.»
«E chi pensa ai costumi da bagno a gennaio?»
«Così ho preso not~ di comperarne uno lunedì, Quella
mattina sono andato al Vanguard Motei alle otto e mezzo.»
«Cos'è una riunione Apice?»
«Credo abbia a che fare con lo studiò della traiettoria
seguitai dal missile in volo. Non ricordo di aVervi lavora~
to, naturalmente, ma so che sono necessari calcoli molto
complessi. Perché il secondo stadio possa mettere il satellite in uri'òrbita permanente deve essere acceso proprio
all'apice della traiettoria.»
«Potresti scoprire chi altri era presente alla riunione e
parlare con loro.»
«Certo. »
«Poi, martedì, hai fatto colaziòne con Anthony alla caffetteria deìi'Hay Adams Hotel.»
«Dopo di che non ci sono altri appuntamenti»
Aprì l'agend~na alle pagine finali: c'erano i numeri di te~
lefono di Anthony. Billie e Bern, di sua madre, Alice e venti o
trenta altre persone i cui nomi non gli dicevano nulla. «C~è
qualcosa che ti colpisce?» chiese a Billie. Lei scosse la testa.
C'erano alcune piste che valeva la pena di segtiiré, mà
nessun indizio evidente. Era quello che si aspettàva, ciononostante si sentì un pò' deluso. Si mise in tasca l'agendma e si guardò attorno.
Una Valigia di pelle nera dall'aria vissuta erà posata
aperta su un trespolo. Luke vi frùgò dentro, trovò delle
camicie e della biancheria ptilita, un bloc~notes pieno per
metà di calcoli, l'edizione ~conoinica di Il veùchio e il mare
con l'angolo della pagina 143 piegato.
Billie guardò in bagno. «L'occorrente per farsi la barba,
una piccola borsà per gli articoli da toletta, uno ~pazzolino... fine della storia.»
Luke aprì tutti gli armadi e i cassetti della camera da
letto, mentre Billie faceva lo stesso in soggiorno. In un armadio Luke trovò un cappotto di lana e un cappello neri,
ma niente di più. «Zero assoluto» annunciò. «E tu?»
«Sulla scrivania ci sono dei messaggi telefonici: da parte di Bern, del colonnello Hide e di una certa Marigold.»
Luke pensò che Anthony doveva averli visti e giudicati
innocui, decidendo quindi di non farli sparire per non suscitare sospetti.
«Sai chi sia questa Marigold?»
Luke rifletté. A un certo punto della giornata aveva sentito quel nome... Poi, all'improvviso, gli venne in mente.
«E la mia segretaria a Huntsville. Hide mi ha detto che è
stata lei a farmi le prenotazioni per l'aereo.»
«Chissà se le hai parlato dello scopo del viaggio?»
«Ne dubito. ACape Canaveral non l'ho detto a nessuno.»
«Lei non è a Cape Canaveral, ed è possibile che tu abbia
più fiducia nella tua segretaria che in chiunque altro.»
Luke annuì. «Tutto è possibile. Controlliamo, finora sembra la pista più promettente.» Tirò fuori l'agendina e ripassò i numeri di telefono nelle ultime pagine. «Tombola!»
esclamò. «Marigold - casa.» Sedette alla scrivania e compo-
se il numero. Si chiese quanto tempo avrebbero avuto a disposizione prima che Pete e gli altri agenti tornassero.
Sembrava che Billie gli avesse letto nella mente, perché
cominciò a mettere la sua roba nella valigia.
Rispose una voce femminile assonnata con l'accento
strascicato dell'Alabama. Luke immaginò che fosse una
donna di colore. «Scusi se disturbo a quest'ora. Parlo con
Marigold?»
«Dottor Lucas! Grazie al cielo ha chiamato! Come sta?»
«Direi bene, grazie.»
«Cosa diavolo le è accaduto? Ness uno sapeva cosa stesse facendo... e ora vengo a sapere che ha perso la memoria. È vero?»
«Sì.»
«Oh, Dio! E come è successo?»
«Non lo so. Speravo che lei fosse in grado di aiutarmi a
capirlo.»
«Se posso...»
«Vorrei sapere come mai, all'improvviso, ho deciso di
andare a Washington lunedì. Ne ho parlato con lei?»
«Assolutamente no. E io ero molto curiosa.»
Era la risposta che Luke si aspettava, ma ci rimase male
lo stesso. <`Ho detto qualcosa che potesse lasciar intuire il
motivo del mio viaggio?»
«No,»
«Cosa ho detto?»
«Che doveva andare a Washington, ma passando per
Huntsville, e mi ha chiesto di farle le prenotazioni sui voli
della Mats.»
La Mats era la compagnia aerea militare, e Luke immaginò di avere la possibilità di utilizzarla per lavoro. Ma
c'era una cosa che non riusciva a capire. «Sono passato da
Huntsville?» Nessun altro aveva fatto menzione di questo
particolare.
«I-la detto che doveva fermarsi qui un paio d'ore.»
«Chissà perché...»
«Poi ha aggiunto una cosa un po' strana. Mi ha chiesto
di non dire a nessuno che stava venendo a Huntsville.»
«Ah.» A Luke parve un elemento importante. «Dunque,
era una visita segreta?»
<`Sì. E io l'ho mantenuta tale. Sono stata interrogata dal
servizio di sicurezza dell'esercito e dall'Fbi, ma non l'ho
rivelato a nessuno perché lei mi aveva detto di non farlo.
Quando mi hanno spiegato che era scomparso, mi è venuto il dubbio di aver sbagliato, ma poi ho deciso che era
meglio rispettare i suoi ordini. Ho agito bene?»
«Vorrei tanto saperlo anch'io, Marigold. Ma apprezzo
la sua lealtà.» L'allarme antincendio smise di suonare.
Luke si rese conto di non avere più tempo. «Ora devo andare. Grazie per l'aiuto.»
«Si figuri. Ah... stia attento!» si raccomandò la donna, e
riattaccò,
«Ho messo insieme la tua roba» disse Billie.
«Grazie.» Luke prese cappotto e cappello dall'armadio e
li indossò. «E ora andiamocene prima che tornino i cattivi.»
Si fermarono in una tavola calda aperta tutta la notte vicino alla sede dell'Fbi, all'angolo con Chinatown, e ordinarono un caffè. «Chissà a che ora parte il primo volo del
mattino per Huntsville?» si chiese Luke.
«Ci serve un orario delle linee aeree.»
Luke si guardò attorno. Vide un paio di poliziotti che
mangiavano ciambelle, quattro studenti ubriachi che ordinavano hamburger e due donne poco vestite che avevano
tutta l'aria di essere prostitute. «Non credo proprio che
qui ce l'abbiano.»
«Scommetto che Bern ne ha uno. È il genere di cose che
interessa agli scrittori: sono sempre lì a controllare questo
e quello.»
«Ma adesso starà dormendo.»
«E noi lo svegliamo» disse Billie alzandosi. «Hai dieci
centesimi?»
«Certo.» Luke aveva ancora in tasca gli spiccioli rubati
il giorno prima.
Billie andò al telefono pubblico accanto alla toilette.
Luke continuò a sorseggiare il caffè, osservandola. Mentre
parlava al telefono sorrideva e piegava la testa dilato, cercando di essere carina con quel poverino che aveva appena svegliato. Era assolutamente adorabile. Luke si sentiva
ardere di desiderio per lei.
Billie tornò al tavolo. «Verrà lui a portarcelo.»
Luke guardò l'orologio: le due del mattino. «Probabilmente andrò diretto all'aeroporto. Spero che ci sia un volo
sul presto.»
Billie aggrottò la fronte. «C'è un limite di tempo?»
«Potrebbe. Continuo a chiedermi cosa mi ha spinto a
mollare tutto e correre a Washington. Deve trattarsi per forza di qualcosa che ha a che fare con il razzo, qualcosa che
costituisce una minaccia per il lancio.»
«Un sabotaggio?»
«Penso di sì. E se ho ragione devo trovare le prove prima delle dieci e mezzo di questa sera.»
«Vuoi che venga a Huntsville con te?»
«Devi occuparti di Larry.»
«Posso lasciarlo con Bern.»
Luke scosse la testa. «No, è meglio di no... grazie.»
«Sei sempre stato un tipo indipendente, tu.»
«Non è per questo» ribatté lui. Voleva che lei capisse.
«Mi farebbe piacere che tu venissi con me. E che mi piacerebbe troppo.»
«Non c'è problema» disse lei, prendendogli la mano.
«Sai, è sconcertante essere sposato con una persona e
non sapere cosa si prova per lei. Che tipo è?»
Billie scosse la testa. «Non posso parlarti di Elspeth. Devi riscoprirla da solo.»
«Immagino di si.»
Billie si avvicinò la mano di lui alle labbra e la baciò con
delicatezza.
«Ho sempre provato questa attrazione per te o è un fatto nuovo?» chiese lui, deglutendo a fatica.
«Non è un fatto nuovo.»
«Sembra che andiamo d'accordo.»
«No, litighiamo come cane e gatto, ma ci adoriamo.»
«Hai detto che una volta abbiamo fatto l'amore... in
quella suite dell'albergo.»
«Smettila.»
«E stato bello?»
Lei lo guardò con le lacrime agli occhi. «Bellissimo.»
«Allora come mai non siamo sposati?»
Lei cominciò a piangere, con piccoli, violenti singhiozzi
che scuotevano la sua figura esile. «Perché...» Billie si
asciugò il volto, fece un respiro profondo, ma poi riprese a
piangere, Infine disse, tutto d'un fiato: «Tu ti sei così arrabbiato con me che non mi hai più parlato per anni».
1945.
I genitori di Anthony avevano un allevamento di cavalli
vicino a Charlottesville, in Virginia, a un paio d'ore di
macchina da Washington. Era una grande casa bianca in
legno con ali aggiunte alla struttura principale senza uno
schema preciso. C'erano stalle e campi da tennis, un laghetto, un ruscello, recinti e boschi tutto intorno. La madre di Anthony l'aveva ereditata da suo padre, insieme a
cinque milioni di dollari.
Luke arrivò il venerdì seguente la resa del Giappone.
Mrs Carrolì venne ad accoglierlo alla porta. Era una donna
bionda e nervosa che, ai suoi tempi, doveva essere stata
molto bella. Lo accompagnò in una stanza piccola ma immacolata, con l'assito di legno e un letto vecchio e alto.
Luke si tolse l'uniforme - ora aveva il grado di maggiore - e indossò una giacca sportiva di cashmere nero con
calzoni di flanella grigia. Mentre si annodava la cravatta,
Anthony fece capolino. «Quando sei pronto ti aspettiamo
in salotto per l'aperitivo» disse.
«Arrivo subito» rispose Luke. «In che stanza è Billie?»
Sul volto di Anthony passò un'espressione preoccupata. «Purtroppo le ragazze sono nell'altra ala. L'ammiraglio
è un po' all'antica in queste cose.» Il padre di Anthony era
stato tutta la vita nella marina.
«Non c'è problema» disse Luke, stringendosi nelle spalle. Negli ultimi tre anni non aveva fatto altro che spostarsi
di notte per l'Europa occupata: trovare la stanza della sua
ragazza, anche al buio, sarebbe stato uno scherzo.
Quando scese trovò i suoi vecchi amici che lo aspettavano. Oltre a Anthony e Billie c'erano Elspeth, Bern e Peg, la
sua ragazza. Luke aveva passato gran parte della guerra
con Bern e Anthony, e ogni licenza con Billie, ma non vedeva Elspeth e Peg dal 1941.
L'ammiraglio gli porse un martini e lui ne bevve subito
un bel sorso. Non c'era mai stato momento migliore per
festeggiare. La conversazione era animata e allegra. La
madre di Anthony li osservava con espressione vagamente divertita e suo padre mandava giù aperitivi più velocemente di chiunque altro.
Durante la cena Luke osservò i compagni, confrontandoli con i giovani di buona famiglia che solo quattro anni
prima erano stati così preoccupati di essere espulsi da
Harvard. Elspeth era magrissima dopo i tre anni a razioni
d'emergenza trascorsi a Londra: persino i suoi magnifici
occhi sembravano più piccoli. Peg, che era stata una ragazza sciatta e con un cuore d'oro, ora vestiva con eleganza, ma il trucco sapiente le conferiva un'espressione dura
e cinica. Bern, a ventisette anni, ne dimostrava dieci di
più. Quella era la sua seconda guerra. Era stato ferito tre
volte e aveva il viso scavato di chi ha conosciuto troppe
sofferenze, proprie e altrui.
Anthony se l'era cavata meglio di tutti. Pur avendo partecipato a numerose azioni, aveva passato la maggior parte
della guerra a Washington. La sua sicurezza, l'ottimismo e
il senso dell'humour erano rimasti intatti.
Anche Billie sembrava poco cambiata. Aveva avuto
un'infanzia difficile e travagliata e forse per questo non
era rimasta troppo provata dalla guerra. Aveva trascorso
due anni a Lisbona sotto copertura, e Luke era l'unico a
sapere che là aveva ucciso un uomo tagliandogli la gola
con silenziosa efficienza nel cortile dietro un caffè, dove
stava per vendere segreti al nemico. Ma era ancora un
concentrato di radiosa energia, un attimo scherzosa, l'atti-
mo seguente fiera, e Luke non si stancava mai di osservare il suo volto in costante mutamento.
Era un miracolo che fossero ancora tutti vivi. Molti
gruppi di amici non avevano goduto di altrettanta fortuna. «Dovremmo fare un brindisi'> disse, alzando il bicchiere di vino. «A coloro che sono sopravvissuti e a quelli che
non ci sono più.»
Dopo che ebbero bevuto, Bern annunciò: «Ne ho uno
anch'io. Agli uomini che hanno distrutto la macchina da
guerra nazista... all'Armata rossa».
La fede comunista di Bern era ancora forte, ma Luke
era certo che non lavorasse più per Mosca. Avevano fatto
un patto e lui era convinto che Bern l'avesse rispettato.
Ciononostante, il loro rapporto non era mai più tornato
quello di prima. Fidarsi di qualcuno era un po' come tenere dell'acqua tra le mani chiuse a coppa: era facile perderla irrimediabilmente. Ogni volta che ricordava il cameratismo che li aveva uniti, Luke provava un grande
dispiacere, ma si sentiva comunque incapace di recuperare quel sentimento.
Il caffè venne servito in salotio. Luke distribuì le tazze.
Mentre offriva zucchero e latte a Billie, lei gli disse a voce
bassa: «Ala est, secondo piano, ultima porta sulla sinistra».
Alle dieci e mezzo l'ammiraglio insistette perché gli uomini si spostassero nella sala del biliardo. Su una credenza erano disposti liquori e sigari cubani per gli ospiti.
Luke declinò l'offerta di altro alcol: non vedeva l'ora di infilarsi sotto le lenzuola accanto al corpo caldo e accogliente di Billie, e l'ultima cosa che voleva era addormentarsi.
L'ammiraglio si versò una dose generosa di bourbon e
porto Luke in fondo alla sala per mostrargli i suoi fucili da
caccia esposti in una rastrelliera chiusa a chiave. Luke non
veniva da una famiglia di cacciatori, inoltre per lui i fucili
servivano a uccidere le persone, quindi non provava attrazione per essi. Era anche convinto che armi e liquori
fossero una pessima combinazione. Ma finse comunque
un minimo di interesse per educazione.
«Conosco e rispetto la tua famiglia, Luke» disse l'ammiraglio mentre esaminavano un fucile Enfield. «Tuo padre è una gran persona.»
«Grazie» rispose Luke. Sembrava il preambolo a un discorso preparato. Durante la guerra suo padre aveva collaborato alla gestione dell'ufficio per il controllo dei prezzi, ma probabilmente l'ammiraglio lo considerava ancora
un banchiere.
«Dovrai pensare alla tua famiglia quando ti sceglierai
una moglie, ragazzo mio» proseguì l'ammiraglio.
«Sì, signore, lo farò.» Luke si chiese cosa avesse in mente il vecchio.
«La donna che diventerà Mrs Lucas avrà un posto assicurato nelle alte sfere della società americana. Devi scegliere una ragazza che sia all'altezza del compito.»
Luke cominciò a capire dove voleva andare a parare.
Seccato, ripose il fucile nella rastrelliera. «Lo terrò presente, ammiraglio» disse, e fece per voitarsi.
L'ammiraglio gli posò una mano sul braccio: «Qualunque cosa tu faccia, non ti buttare via».
Luke lo fulminò con lo sguardo. Era deciso a non chiedergli cosa intendesse. Credeva di conoscere già la risposta e sarebbe stato meglio se non fosse stata pronunciata.
L'ammiraglio, però, non aveva intenzione di cedere.
«Non lasciarti incastrare da quella piccola ebrea... non ti
merita.»
Luke strinse i denti. «Se mi permette, è una cosa della
quale preferirei discutere con mio padre.»
«Ma tuo padre non sa di lei, giusto?»
Luke arrossì. L'ammiraglio aveva colpito nel segno.
Luke e Billie non avevano ancora incontrato i rispettivi
genitori.
Non ce n'era stato il tempo. Avevano costruito la loro
relazione nei momenti rubati, durante la guerra.Quello,
però, non era l'unico motivo. In fondo al cuore una vocina
vigliacca gli diceva che, per i suoi genitori, una ragazza
proveniente da una povera famiglia ebrea non poteva cor-
rispondere all'ideale di moglie. L'avrebbero accettata - di
questo era certo - anzi, sarebbero arrivati a volerle bene,
per gli stessi motivi per cui le voleva bene lui, ma all'inizio sarebbero rimasti delusi. Di conseguenza desiderava
che si incontrassero al momento giusto, in una circostanza
rilassata, quando ci fossc stato il tempo per conoscersi a
fondo.
Il fatto che nelle parole dell'ammiraglio ci fosse un briciolo di verità lo fece arrabbiare ancora dì più. Controllando appena l'aggressività, ribatté a voce alta: «Mi perdoni,
ma l'avverto che considero queste osservazioni un'offesa
personale».
Sulla sala scese il silenzio, anche se la velata minaccia di
Luke non sfiorò neppure il vecchio un po' brillo. «Ti capisco, figliolo, però ho più esperienza dite e so di cosa parlo.»
«Mi scusi, lei non conosce la persona in questione.»
«Oh, io credo di saperne molto più di te su questa persona.»
Qualcosa nella voce dell'ammiraglio avrebbe dovuto
metterlo in guardia, ma Luke era troppo arrabbiato per
fermarsi. «Al diavolo» disse, con tono deliberatamente offensivo.
Bern cercò di intervenire. «Ehi, ragazzi, calma. Perché
non facciamo qualche tiro a biliardo?»
Ma niente poteva più fermare l'ammiraglio. Mise un
braccio intorno alle spalle di Luke. «Ascolta, figliolo, sono
un uomo e certe cose le so» proseguì, con una confidenza
che infastidì Luke. «Purché tu non faccia sul serio, non c'è
alcun male nel divertirsi con una puttanella, lo abbiamo
fatto...»
Non riuscì a finire la frase, Luke si voltò verso di lui, gli
posò entrambe le mani sul petto e gli diede uno spintone.
L'ammiraglio barcollò all'indietro, annaspando con le
braccia e facendo volare per aria il bicchiere di bourbon.
Cercò di recuperare l'equilibrio, non ci riuscì e cadde seduto sul tappeto. «E ora la smetta, prima che le chiuda
quella sporca boccaccia con un pugno!» gli urlò Luke.
Anthony, pallido in volto, afferrò l'amico per il braccio.
«Luke, per l'amor del cielo, cosa credi di fare?»
Bern si mise tra loro e l'ammiraglio. «Calmatevi. Tutti e
due» ordinò.
«Al diavolo la calma» ribatté Luke. «Prima mi invita a
casa sua e poi insulta la mia ragazza! È ora che qualcuno
dia una lezione a questo vecchio stupido!»
«È una puttana!» gridò l'ammiraglio, sempre seduto
sui tappeto, e la sua voce divenne un ruggito. «Se non lo
so io che ho pagato per l'aborto!»
Luke era allibito. «Aborto?»
«Certo!» L'ammiraglio si rialzò. «Anthony l'ha messa
incinta e io ho pagato mille dollari perché si sbarazzasse
del piccolo bastardo.» La sua bocca si contorse in un ghigno di trionfo. «E ora non venire a dirmi che non so di cosa sto parlando.»
«Lei mente.»
«Chiedilo a Anthony.»
Luke guardò Anthony.
Anthony scosse la testa. «Non era figlio mio. Ho detto a
mio padre che lo era perché mi desse i mille dollari. Ma il
bambino era tuo, Luke.»
Luke avvampò fino alla radice dei capelli. Quel vecchio
ubriacone dell'ammiraglio gli aveva fatto fare la figura
del perfetto imbecille. Era lui che non sapeva cosa stava
dicendo. Credeva di conoscere Billie, e invece lei gli aveva
tenuto nascosto un segreto come quello. Avevano concepito un figlio e lei aveva abortito. Lo sapevano tutti tranne
lui. Si sentì umiliato a morte.
lJscì dalla stanza come una furia. Attraversò l'ingresso
ed entrò nel salotto. C'era solo la madre di Anthony: le ragazze dovevano essere andate già a letto. Mrs Carrolì vide
la sua espressione e chiese: «Luke, caro, c'è qualcosa che
non va?». Lui la ignorò e uscì sbattendo la porta.
Corse su per le scale e percorse tutta l'ala est. Trovò la
camera di Billie ed entrò senza bussare.
Era sdraiata nuda sul letto e stava leggendo, la testa ap-
poggiata sulla mano, i riccioli neri che ricadevano in
avanti come un'onda che si frange. Per un attimo la vista
di lei gli tolse il respiro. La lampada sul comodino gettava
una luce dorata sul contorno del suo corpo, dalla spalla
piccola e perfetta, giù lungo il fianco, e ancora lungo la
gamba snella fino all'unghia dell'alluce laccata di rosso.
La sua bellezza lo fece infuriare ancora di più.
Lei alzò lo sguardo con un sorriso felice, ma quando vide la sua espressione il sorriso svanì.
«Mi hai mai ingam~ato?» urlò lui.
«No... mai» rispose lei, mettendosi a sedere.
«Quel fottuto ammiraglio sostiene di averti pagato un
aborto.»
«Oh, no!» esclamò lei, impallidendo.
«È vero?» gridò ancora Luke. «Rispondimi!»
Lei annuì e cominciò a piangere con il viso nascosto tra
le mani.
«Allora, mi hai ingannato o no?»
«Mi dispiace» disse lei tra i singhiozzi. «Avrei voluto il
tuo bambino, l'avrei voluto con tutto il cuore, ma non potevo avvertirti. Tu eri in Francia e io non sapevo se saresti
mai tornato, Dovevo decidere da sola.» Billie alzò la voce.
«È stato il periodo peggiore della mia vita!»
Luke era stordito. «Un figlio mio...» sussurro.
L'umore di lei cambiò in un attimo. «Non metterti a fare
il sentimentale» lo interruppe con disprezzo. «Non lo eri
quando mi scopavi, perciò non cominciare a farlo adesso... e un po' tardi.»
Quelle parole lo ferirono. «Avresti dovuto dirmelo. Anche se non eri riuscita a rintracciarmi allora, avresti dovuto dirmelo alla prima occasione, appena tornato a casa in
licenza.»
Lei sospirò. «Sì, hai ragione. Ma Anthony era convinto
che non dovessi dirlo a nessuno e non è difficile persuadere una ragazza a mantenere un segreto del genere. Nessuno sarebbe venuto a saperlo, se non fosse stato per quel
maledetto dell'ammiraglio Carroll.»
Luke era furibondo per la calma con cui lei parlava del
suo tradimento, come se la sua vera colpa fosse stata di venire scoperta. «Non posso vivere con questo peso.»
«Cosa intendi dire?» chiese lei a voce bassa.
«Come potrò ancora fidarmi dite, dopo che mi hai ingannato su una cosa così importante?»
Billie era angosciata. «Mi stai dicendo che è finita?» Lui
non rispose. «Lo capisco da sola, ti conosco troppo bene»
proseguì lei. «È così, non è vero?»
«Sì.»
Billie ricominciò a piangere. «Idiota!» singhiozzò. «A
parte la guerra, tu non capisci niente!»
«La guerra mi ha insegnato che niente è importante
quanto la lealtà.»
«Stronzate. Tu non hai ancora imparato che sotto pressione tutti sono portati a mentire.»
«Anche alle persone che amano?»
«Soprattutto, perché sono quelle che contano di più.
Perché credi che raccontiamo la verità ai preti, agli strizzacervelli e agli estranei che incontriamo in treno? È perché non li amiamo, e non ci interessa il loro giudizio.»
Era assolutamente plausibile, ma Luke disprezzava le
facili scuse. «Questa non è la mia filosofia di vita.»
«Tu sei fortunato» disse lei amara. «Vieni da una famiglia felice, non hai mai conosciuto le privazioni o il rifiuto,
hai legioni di amici. Hai combattuto in una guerra dura,
ma non sei stato né ferito né torturato, e non hai abbastanza immaginazione per aver paura. Non ti è mai capitato
niente di brutto. Certo, tu non racconti bugie... per lo
stesso motivo per cui Mrs Carrolì non ruba latIne di minestra al supermercato.»
Era incredibile, si era convinta che fosse lui a essere nel
torto! Era impossibile ragionare con qualcuno che riusciva
a ingannare se stesso con tanta facilità. Disgustato, si
voltò per andarsene. «Se è questo che pensi di me, devi
essere felice che la nostra storia sia finita.»
«No, non sono affatto felice» reagì lei, con le lacrime che
le rigavano le guance. «Io ti amo, non ho mai amato nessun altro. Mi dispiace averti ingannato, ma non ho intenzione di implorare il tuo perdono solo perché ho commesso un errore in un momento di difficoltà.»
Luke non voleva che Billie implorasse il suo perdono.
Non voleva che facesse assolutamente nulla. Voleva solo
allontanarsi da lei, dai loro amici, dall'ammiraglio Carrolì
e da quell'orribile casa.
Nel fondo della mente una voce gli diceva che stava
gettando via la cosa più preziosa della sua vita e che si sarebbe pentito amaramente ditale decisione. Ma lui era
troppo arrabbiato, troppo umiliato e ferito per ascoltarla.
Andò alla porta.
«Non te ne andare» lo supplicò lei.
«Va' al diavolo» disse lui, e uscì.
2.30.
Il nuovo combustibile e i serbatoi di dimensioni maggiori hanno
migliorato le prestazioni del Jupiter: la spinta raggiunge ora i
38.000 kgf e il periodo difunzionamento è passato da 121 a 155
secondi.
«Ahthony si comportò da vero amico» proseguì Billie.
«Ero disperata. Mille dollari! Non avrei potuto trovarli in
alcun modo. Lui se lì fece dare da suo padre, ~iddossandosi la colpa di tutto. È stato ammirevole. Ed è per questo
che ora mi è così difficile capire il suo comportamento.»
«Non riesco a credere di aver rinunciato a te» disse Luke.
«Come ho fatto a non capire il dramma che avevi vissuto?»
«Non fu tutta colpa tua» rispose Billie, stancamente.
«Allora pensavo che lo fosse, ma ora capisco che anch'io
ho avuto la mia parte.» Sembrava che ricordare quella vicenda l'avesse svuotata di ogni energia.
Rimasero in silenzio per un po', oppressi dai rimpianti.
Luke si chiese quanto ci avrebbe impiegato Bern ad arrivare da Georgetown, poi la sua mente tornò a ciò che Billie gli
aveva raccontato. «Non mi piace molto quello che sto scoprendo di me stesso» disse dopo un po'. «Ma davvero ho
perso i miei due migliori amici, tu e Bern, a causa della mia
intransigenza?»
Dopo un attimo di esitazione, Billie scoppiò a ridere.
«Se devo proprio essere sincera: sì, è esattamente così.»
«E allora tu hai sposato Bern.»
Lei rise di nuovo. «Sei incredibile! Riesci a essere talmente egocentrico...» osservò con tono affabile. «Non ho
sposato Bern perché tu mi hai lasciato. L'ho sposato perché è uno degli uomini migliori che esistano sulla faccia
della terra, intelligente, gentile, ed è bravo a letto. Mi ci
sono voluti anni per dimenticarti, e quando ci sono riuscita mi sono innamorata di Bern.»
«E siamo tornati a essere amici?»
«Con il tempo. Ti abbiamo sempre voluto bene, tutti, anche se a volte riuscivi a essere presuntuoso in modo insopportabile. Quando è nato Larry ti ho scritto e tu sei venuto
a trovarmi. Poi, l'anno seguente, Anthony ha dato una
grande festa per il suo trentesimo compleanno e sei venuto
anche tu. Eri tornato a Harvard per il dottorato, mentre noi
eravamo a Washington: Anthony, Elspeth e Peg lavoravano per la Cia, io ero ricercatrice alla George Washington
University e Bern scriveva testi per la National Public Radio. Un paio dì volte all'anno tu venivi in città e ci ritrovavamo tutti insieme.»
«Quando ho sposato Elspeth?»
«Nel 1954, l'anno in cui io ho divorziato da Bern.»
«Sai perché l'ho sposata?»
Billie esitò. La risposta era ovvia, pensò Luke. "Perché
l'amavi" avrebbe dovuto dire lei, ma non fu così. «Non
sono la persona giusta per rispondere a questa domanda»
gli disse infine.
«Allora lo chiederò a Elspeth.»
«Vorrei tanto che lo facessi.»
Luke la guardò. C'era una punta di irritazione in quest'ultima osservazione e Luke stava cercando di coglierne
il vero significato quando una Lincoln Continental bianca
venne a fermarsi davanti alla tavola calda. Bern saltò giù
ed entrò. «Mi dispiace averti fatto alzare» si scusò Luke.
«Non pensarlo neanche» rispose Bern. «Billie non è una
di quelle persone che reputano di dover lasciare in pace chi
dorme: se lei è sveglia, dovrebbero esserlo anche gli altri. Se
non avessi perso la memoria lo sapresti anche tu. Ecco, tieni» disse, gettando un libriccino spesso sul tavolo: Officiai
Airline Guide - Edizione mensile, diceva la copertina. Luke
lo prese.
«Cerca le Capital Airlines» suggerì Billie. «Hanno dei
voli per Il Sud.»
Luke trovò le pagine corrispondenti. «C'è un aereo che
parte alle sei e cinquantacinque: tra quattro ore.» Guardò
meglio. «Merda... ferma praticamente in ogni città e arriva
a Huntsville alle due e ventitré del pomeriggio, ora locale.»
Bern inforcò un paio di occhiali e si mise a guardare da
sopra la spalla di Luke. «L'aereo seguente parte alle nove,
ma fa meno scali ed è un Viscount, quindi arriva a Huntsville prima dell'altro, intorno a mezzogiorno.»
«Prenderei questo, ma non mi piace l'idea di starmene
in giro per Washington più del necessario» osservò Luke.
«Ci sono altri due problemi» disse Bern. «Primo: penso
che Anthony avrà messo degli uomini all'aeroporto.»
Luke aggrottò la fronte. «Potrei lasciare Washington in
auto e prendere l'aereo più a sud.» Guardò l'orario. «Il
primo scalo è in un posto che si chiama Newport News.
Dove diavolo si trova?»
«Vicino a Norfolk, in Virginia» rispose Billie.
«Atterra alle otto e due minuti. Posso farcela?»
«Sono circa trecento chilometri» osservò Billie. «Diciamo
quattro ore... Potresti arrivare con un'ora d'anticipo.»
«Di più, se prendi la mia macchina» fece notare Bern.
«Fa i centottanta.»
«Mi presteresti la tua macchina?»
Bern sorrise. «Ci siamo salvati la vita a vicenda tante di
quelle volte, cosa vuoi che sia una macchina?»
Luke annuì. «Ti ringrazio.»
«Ma c'è un secondo problema» disse Bern.
«Quale?»
«Mi hanno seguito.»
3.00.
I serbatoi del combustibile sono dotati di diaframmi per evitare lo
sciabordio. Senza questi diafram mi, i movimenti del liquido sono
così violenti da aver causato la distruzione in volo di un missile di
prova, il lupiter i B, dopo appena novanta tré secondi dal lancio.
Anthony sedeva al volante della sua auto parcheggiata
a un isolato di distanza dalla tavola calda. Si era ben accostato contro la coda di un camion in modo che l'inconfondibile Cadillac gialla restasse nascosta, pur consentendogli di tenere d'occhio il locale e il tratto di marciapiede
illuminato dalle vetrate. Sembrava il classico locale frequentato da poliziotti: c'erano due autopattuglie parcheggiate fuori, oltre alla Thunderbird rossa di Billie e alla
Continental bianca di Bern.
Ackie Horwitz era stato spedito davanti all'appartamento di Bern Rothsten con l'ordine di restare là a meno
che non fosse arrivato Luke. Ma quando Bern era uscito
nel cuore della notte, Ackie aveva avuto il buon senso di
contravvenire agli ordini e di seguirlo a bordo della sua
motocicletta. Non appena Bern era arrivato al ristorante,
Ackie aveva chiamato il Q Building e avvertito Anthony.
In quel momento Ackie uscì dal locale con la sua giacca
di pelle da motociclista, un bicchiere di caffè in una mano
e una barretta di cioccolata nell'altra. Si avvicinò al finestrino dell'auto di Anthony. «Lucas è là dentro.»
«Lo sapevo» disse Anthony con maligna soddisfazione.
«Si è cambiato. Adesso porta un cappotto e un cappello
neri.»
«L'altro cappello l'ha perso al Carlton.»
«Rothsten è con lui, e anche la donna.»
«Chi altri c'è là dentro, adesso?»
«Quattro poliziotti che si raccontano barzellette sporche, un tizio che soffre di insonnia e che si sta leggendo
l'edizione mattutina del "Washington Post" e il cuocQ.»
Anthony annuì. Non poteva fare nulla a Luke con quei
poliziotti tra i piedi. «Aspettiamo qui finché Luke non
esce, poi lo seguiamo tutti e due. Questa volta non lo perderemo.»
«Ricevuto.» Ackie andò alla moto, ferma dietro la macchina di Anthony, e salì in sella a bersi il caffè.
Anthony rifletté sul da farsi. Avrebbero avvicinato Luke
in una strada isolata, lo avrebbero immobilizzato e portato
in un appartamento sicuro della Cia a Chinatown. A quel
punto si sarebbe sbarazzato di Ackie. E poi avrebbe ucciso
Luke.
Era risoluto. Prima, al Carlton, aveva sofferto di un momento di debolezza, ma poi si era imposto di non pensare
più all'amicizia e al tradimento finché tutto non fosse stato risolto. Sapeva di fare la cosa giusta. Avrebbe affrontato
i rimorsi una volta assolto il proprio dovere.
La porta del ristorante si aprì.
Billie usci per prima. La luce violenta del locale la illuminava da dietro, quindi Anthony non riusciva a vederla
in volto, ma riconobbe la figura minuta e la caratteristica
camminata ancheggiante. Poi veniva un uomo in cappello
e cappotto neri: Luke. Si diressero verso la Thunderbird
rossa. Chiudeva la fila una terza persona, un uomo in impermeabile, che salì sulla Lincoln bianca.
Anthony avviò il motore.
La Thunderbird partì, tallonata dalla Lincoln. Anthony
attese qualche secondo e poi si mosse, seguito da Ackie
sulla moto.
Billie si diresse a ovest, con alle spalle la piccola carovana. Anthony si teneva a parecchia distanza, ma le strade
erano deserte e di certo si sarebbero accorti di essere seguiti. Anthony era fatalista: non aveva più scopo nascondersi, ormai erano alla resa dei conti.
All'incrocio con la Fourteenth Street si arrestarono al semaforo rosso. Anthony andò a piazzarsi dietro la Lincoln di
Bern. Quando si accese il verde, la Thunderbird schizzò via
all'improvviso, mentre la Lincoln restò immobile.
Con un'imprecazione Anthony arretrò di qualche metro, poi rimise in drive e, pestando sull'acceleratore, con la
grossa auto girò attorno alla Lincoln ferma e partì all'inseguimento.
Billie zigzagò per il quartiere che si estendeva alle spalle
della Casa Bianca; bruciando i semafori rossi, ignorando i
cartelli di divieto di svolta, imboccando contrornano strade a senso unico. Anthony fece lo stesso, nel disperato tentativo di starle dietro, ma la Cadillac non poteva competere
con l'agilità della Thunderbird e lei riuscì a sfuggirgli.
Ackie sorpassò Anthony e si lanciò all'inseguimento. A
mano a mano che cresceva il loro vantaggio sulla Cadillac,
però, Ackie intui che il piano della donna era quello di seininarla zigzagando per il centro per poi imboccare un'autostrada, dove la moto non avrebbe potuto mantenere la
velocità della Thunderbird.
Poi, d'un tratto, la fortuna girò. Dopo aver svoltato un
angolo, l'auto incontrò un tratto di strada allagato. Un fiotto d'acqua usciva da un tubo all'altezza del marciapiede e
tutta la carreggiata era sommersa per almeno dieci centimetri. Billie perse il controllo. La coda della Thunderbird
descrisse un ampio arco mentre la vettura faceva mezzo giro su se stessa. Ackie sterzò per evitarla, ma la moto slittò e
lui cadde, rotolando nell'acqua. Si rialzò immediatamente.
Anthony schiacciò il freno inchiodando la Cadillac all'incrocio con una sbandata. La Thunderbird, invece, andò a
fermarsi di traverso in mezzo alla strada con il cofano a pochi centimetri da un'auto parcheggiata. Anthony andò a
mettersi davanti al muso, bloccandola. Billie non poteva
più fuggire.
Un attimo dopo, Ackie era già davanti alla portiera del
guidatore della Thunderbird. Anthony corse al lato opposto. «Scendete dalla macchina!» urlò, estraendo la pistola.
La portiera si aprì e l'uomo con il cappotto nero scese
dall'auto.
Anthony vide immediatamente che non si trattava di
Luke, ma di Bern.
Si voltò a guardare verso la direzione dalla quale erano
venuti. Della Lincoln bianca nessuna traccia.
Senti la rabbia montargli dentro. Si erano scambiati i
cappotti e Luke era scappato con l'altra auto. «Maledetto
idiota!» urlò a Bern. Avrebbe avuto voglia di sparargli lì,
su due piedi. «Tu non sai cosa hai fatto!»
~<Dimmelo tu, Anthony. Cosa ho fatto?» chiese Bern,
con una calma che Io fece infuriare ancora di più.
Anthony si voltò e infilò la pistola in tasca.
«Un momento» insisté Bern. «Io esigo delle spiegazioni.
Quello che hai fatto a Luke è illegale.»
«Io non ti devo spiegare un accidente!» ribatté Anthony,
secco.
«Luke non è una spia.»
«E tu come fai a saperlo?»
«Lo so.»
«Non ti credo.»
Bern gli rivolse un'occhiata feroce. «E invece sì. Sai benissimo che Luke non è un agente sovietico. Perché fingi
che lo sia?»
«Va' al diavolo» disse Anthony e si allontanò.
Billie viveva ad Arlington, in Virginia, una zona ricca di
verde sull'altro lato del Potomac. Passando davanti alla
casa con l'auto, Anthony vide una Chevroiet berlina scura
della Cia ferma sul lato opposto della strada. Girò l'angolo e parcheggiò.
Billie sarebbe tornata a casa entro un paio d'ore. Lei sa-
peva dov'era andato Luke, ma non gliel'avrebbe detto
perché aveva perso ogni fiducia in lui. Sarebbe rimasta fedele a Luke, ora, a meno che lui non avesse trovato il modo di convincerla a collaborare.
Cosa che avrebbe fatto.
Era forse diventato pazzo? Una voce nella sua testa continuava a chiedere se il gioco valesse la candela. Esisteva
una giustificazione a ciò che stava per fare? Accantonò ogni
dubbio: aveva scelto il proprio destino tanto tempo prima e
non si sarebbe lasciato fuorviare, neppure da Luke.
Aprì il cofano dell'auto e tirò fuori un astuccio di pelle
nera, grande quanto un grosso libro, e una torcia tascabile.
Poi si avvicinò alla Chevrolet. Scivolò sul sedile del passeggero accanto a Pete e rimase lì a fissare le finestre buie della
casetta di Billie. "Questa è la cosa peggiore che abbia mai
fatto" pensava.
Guardò verso Pete. «Ti fidi di me?» gli chiese.
Il volto di Pete si contorse in un sorriso imbarazzato.
«Che genere di domanda... sì, certo che mi fido.»
La maggioranza degli agenti più giovani adorava Anthony, ma Pete aveva un motivo in più per essergli fedele.
Anthony l'aveva già coperto una volta; ora, per rammentarglielo, Anthony chiese: «Se mi comportassi in un modo
che ti sembra sbagliato, tu mi appoggeresti comunque?».
Pete ebbe un'esitazione. Quando parlò, aveva la voce
rotta per l'elTiozione. «Lasci che le dica una cosa.» Guardò
avanti, oltre il parabrezza, lo sguardo fisso sulla strada illuminata dai lampioni. «Lei per me è come un padre.»
«Sto per fare una cosa che non ti piacerà. Devi essere
convinto che sia la cosa giusta.»
«Glielo ripeto: può contare su di me.»
«Ora io vado dentro» disse Anthony. «Se arriva qualcuno, suona il clacson.»
Si avviò senza far rumore su per il vialetto, girò attorno
al garage e andò alla porta sul retro. Puntò la torcia contro
la finestra della cucina. Il tavolo e le sedie che ben conosceva erano avvolti dall'oscurità.
La sua vita era stata tutta un susseguirsi di inganni e tradimenti, ma non era mai caduto così in basso come adesso,
pensò1 assalito da un'ondata di disgusto.
Conosceva bene la casa. Guardò prima in soggiorno, poi
nella camera da letto di Billie, quindi in quella di Becky-Ma.
La vecchia dormiva profondamente, e l'apparecchio acustico era posato sul comodino. Da ultimo, andò nella camera di Larry.
Puntò la torcia sul bimbo che dormiva. Il senso di colpa
era quasi insopportabile. Sedette sul bordo del letto e accese la luce. «Ehi, Larry, svegliati» disse. ~<Su, Larry.»
Il ragazzo aprì gli occhi e, dopo un attimo di disorientamento, gli fece un gran sorriso. «Zio Anthony!» esclamò.
«E ora di alzarsi» disse Anthony.
«Che ore sono?»
«E presto.»
«Cosa facciamo?»
«E una sorpresa.»
4.30.
Il combustibile viene convogliato dentro la camera di combustione del motore a razzo con una velocità di circa 30 metri al
secondo. La reazione inizia nel momento in cui combustibile e
comburente si incontrano. Il calore della fiamma fa velocemente
evaporare i due fluidi. La pressione sale a parecchie decine di atmosfere e la temperatura scliizza a quasi 3000 gradi centigradi.
«Sei innamorata di Luke, vero?» chiese Bern a Billie.
Erano seduti in macchina davanti a casa di lui. Billie
non voleva salire: era impaziente di tornare da Larry e
Becky-Ma.
«Innamorata?» ripeté lei, evasiva. «Dici?» Non sapeva
quanto volesse confidarsi con il suo ex marito. Erano amici, ma non così intimi.
«Non importa» disse lui. «Ho capito tanto tempo fa che
avresti dovuto sposare lui e non me. Non credo che tu abbia mai smesso di amarlo. Amavi anche me, ma in modo
diverso.»
Era vero. L'amore che aveva nutrito per Bern era un sentimento pacato, gentile. Con lui non aveva mai provato l'uragano di passione che la travolgeva quando era con Luke.
E quando si chiedeva cosa sentisse per Harold - l'affetto
sereno o il turbine di eccitazione - la risposta era ovvia e
sconsolante. Aveva poca esperienza in fatto di uomini - gli
unici due con cui era andata a letto erano Luke e Bern - ma
l'istinto le diceva che con Harold non avrebbe mai provato
quella passione che ogni volta la lasciava stremata.
«Luke è sposato» disse lei. «E con una bellissima donna.» Rifletté sulle proprie parole e poi aggiunse: «Secondo
te, Elspeth è sexy?».
Bern aggrottò la fronte. «Risposta difficile. Potrebbe esserlo, con l'uomo giusto. A me è sempre sembrata un po'
freddina, ma lei non ha mai avuto occhi per nessun altro a
parte Luke.»
«Non che questo abbia importanza. Luke è un tipo fedele. Resterebbe con lei anche se fosse un iceberg, solo per
il suo senso del dovere.» Fece una pausa. «C'è una cosa
che voglio dirti.»
«Coraggio.»
«Grazie. Grazie per aver evitato il solito "Io te l'avevo
detto". Lo apprezzo molto.»
Bern rise. «Ti riferisci alla nostra ultima lite.»
Lei annuì. «Dicevi che le nue ricerche sarebbero servite
per fare il lavaggio del cervello alla gente. E ora la tua pre.visione si è avverata.»
«In ogni caso, mi sbagliavo. Il tuo lavoro andava portato
avanti. Abbiamo bisogno di capire come funziona il cervello umano. Anche se alcune scoperte possono essere usate
per scopi scellerati, non si può fermare il progresso scientifico. Hai un'idea di cosa stia macchinando Anthony?»
«L'ipotesi più sensata che mi è venuta in mente è questa: che Luke abbia scoperto una spia giù a Cape Canaveral e sia venuto a Washington per avvisare il Pentagono.
Ma la spia è in realtà un agente che fa il doppio gioco e lavora anche per noi, e così Anthony sta facendo di tutto
per proteggerla.»
Bern scosse la testa. «Non è sufficiente. Anthony avrebbe potuto cavarsela dicendo a Luke che quel tizio faceva il
doppio gioco. Non era necessario causargli un'amnesia
permanente.»
«Sì, forse hai ragione. E poi Anthony ha addirittura
sparato a Luke, qualche ora fa. So che l'attività di agente
segreto tende a prenderti la mano, ma non riesco a credere che la Cia avrebbe ucciso un cittadino americano per
proteggere una spia che fa il doppio gioco.»
«Oh, fosse solo per questo non ho dubbi che l'avrebbero fatto» osservò Bern. «Ma non era necessario. Anthony
poteva fidarsi di Luke.»
«Hai una teoria migliore?»
Billie si strinse nelle spalle. «Non sono sicura che abbia
più importanza. Anthony ha ingannato e tradito i suoi
amici, il perché non conta. Qualunque sia il motivo che
l'ha spinto a farlo, noi lo abbiamo perso. Ed era un buon
amico.»
«È la vita» osservò Bern. Le diede un bacio sulla guancia e scese dall'auto. «Se hai notizie di Luke, domani, chiamami.»
«D'accordo.»
Bern entrò nell'edificio e Billie partì.
Attraversò il Memorial Bridge, costeggiò il Nationai Cemetery e zigzagò per le strade della periferia che portavano
verso casa sua. Entrò nel vialetto a marcia indietro, un'abitudine che aveva acquisito perché usciva quasi sempre di
fretta. Entrò, appese il cappotto all'attaccaparmi in corridoio e andò subito di sopra sbottonandosi il vestito e sfilandoselo dalla testa lungo la strada. Lo gettò su una sedia, si
tolse le scarpe scalciandole via e andò in camera di Larry.
Quando vide il letto vuoto si lasciò sfuggire un urlo.
Guardò in bagno, poi in camera di Becky-Ma. «Larry!»
gridò con quanta voce aveva in corpo. «Dove sei?» Corse
di sotto e andò in ogni stanza. Uscì di casa e guardò in garage e in giardino. Poi rientrò e cercò ancora dappertutto,
aprendo gli armadi, controllando sotto i letti e in ogni spazio abbastanza grande da contenere un bambino di sette
anni.
Era sparito.
Becky-Ma uscì dalla sua camera con la paura dipinta
sul volto. «Cosa succede?»
«Dov'è Larry?» gridò Billie.
«Nel suo letto, credo» rispose, con la voce che diventava un gemito disperato, a mano a mano che si rendeva
conto dell'accaduto.
Billie rimase immobile per un momento, ansante, cercando di vincere il panico. Quindi tornò in camera di
Larry e cominciò a esaminarla con attenzione.
La stanza sembrava in ordine: non c'era alcun segno di
lotta. Guardando nell'armadio, vide su uno scaffale il pigiamino azzurro con gli orsetti che il bimbo aveva indossato la sera prima. Gli abiti che aveva preparato per la
scuola erano spariti. Qualunque cosa fosse successa, si era
vestito prima di i,iscire. Tutto faceva pensare che si fosse
allontanato con una persona di fiducia.
Anthony.
All'inizio provò sollievo. Lui non avrebbe mai fatto del
male a Larry. Ma poi ci rifletté meglio. Era davvero così?
Sarebbe stata pronta a giurare che Anthony non avrebbe
mai fatto del male a Luke, eppure gli aveva sparato. Non
c'era modo di prevedere cos'altro avrebbe potuto fare.
Nella migliore delle ipotesi, Larry doveva essersi spaventato a venir svegliato nel cuore della notte, costretto a ve-
stirsi e a uscire senza vedere sua madre.
Doveva riportarlo a casa al più presto.
Corse al piano di sotto per telefonare a Anthony. Prima
di arrivare all'apparecchio, questo si mise a squillare. Biilie afferrò il ricevitore. «Sì?»
«Sono Anthony.»
«Comd hai potuto farlo?» urlò lei. «Come hai potuto essere così crudele?»
«Devo sapere dove si trova Luke» rispose lui con freddezza. «È estremamente importante.»
«È andato...» Billie si interruppe. Se gli avesse dato quell'informazione, non avrebbe avuto più niente in mano.
«Andato dove?»
Billie fece un respiro profondo. «Dov'è Larry?»
«È con me, Sta bene, non ti preoccupare.»
Questo la fece infuriare. «Come faccio a non preoccuparmi, maledetto stronzo?»
«Tu dimmi quello che voglio sapere e tutto andrà liscio.»
Avrebbe voluto credergli, dargli le risposte che desiderava e aspettare che riportasse Larry a casa, ma resistette
con tutte le forze alla tentazione di cedere. «Ascoltami bene: quando vedrò mio figlio, ti dirò dove si trova Luke.»
«Non ti fidi di me?»
«E una battuta?»
Lui sospirò. «Okay. Ci vediamo al Jefferson Memoriai.»
Billie provò una sensazione di trionfo. «Quando?»
«Alle sette.»
Billie guardò l'orologio. Erano le sei passate. «Ci sarò.»
«Cosa?»
«Vieni sola.»
~<Sì>~ disse lei, e riattaccò.
Becky-Ma era in piedi lì accanto. Sembrava vecchia e
fragile. «Cosa c'è?» chiese. «Cosa sta succedendo?»
Billie cercò di mostrarsi calma. «Larry è con Anthony.
Deve essere venuto mentre dormivi. Lo vado a riprendere. Non c'è niente di cui preoccuparsi.»
Salì in camera da letto. Prese lo sgabello della toletta e
lo mise davanti all'armadio. Poi vi salì sopra e afferrò una
piccola valigia posata in cima al mobile. La mise sul letto e
l'aprì.
Dentro, avvolta in un panno, c'era una Colt .45.
Era l'arma che tutti avevano ricevuto in dotazione durante la guerra. Lei l'aveva tenuta come ricordo, e una
qualche forma di premonizione l'aveva spinta a pulirla e
oliarla regolarmente. Billie era convinta che, una volta che
ti hanno sparato addosso, non ti senti più a tuo agio a meno di non avere un'arma nascosta da qualche parte.
Premette il pulsante di sgancio sul lato sinistro del calcio, ed estrasse il caricatore. Nella valigetta c'era una scatola di cartucce. Ne infilò sette, a una a una, vincendo la resistenza della molla, quindi spinse nuovamente il caricatore
nell'impugnatura finché non senti uno scatto. Tirò indietro
il carrello per mettere il colpo in canna.
Si voltò e vide Becky-Ma ferma sulla soglia, che fissava
l'arma.
La guardò per un attimo, in silenzio.
Dopo essersi buttata qualcosa addosso, uscì di casa correndo e saltò in macchina.
6.30.
Il primo stadio contiene approssimativamente 25 tonnellate di
combustibile, che verranno consumate in 2 minuti e 35 secondi.
La Lincoln Continentai di Bern era u~a meraviglia. Elegante e veloce, teneva i centosessanta senza sforzo e volava liscia come l'olio sulle strade deserte della Virginia.
Uscendo da Washington, Luke avCvà la sensazione di la~
sciarsi alle spalle un incubò: quel viaggio nel cuore della
notte aveva il sàpore eccitante di una fuga.
Era ancòrà buio quando arrivò a Newport News e si infilò nel piccolo parcheggio adiacente all'edificio aeroportuale àricora &i.uso. L'unica hice veniva dalla debole lampadina di uùa cabina telefonica vicino all'entrata. Spehse
i] motore e rimase àd ascoltare il silenzio. La notte era serena e le stelle illuminavano la pista. Visti così a terra, immobili, gli aerei avevano un che di bizzarro, come tanti cavalli che dormivano in piedi.
Era sveglio da ~iù di ventiquatfr'oie e provava ullà stanchezza mortale, ma la sua mente continuava a cotrere~ Era
irmamorato di Billie. Ora che trecento chilometri lò separavano da lei, poteva ammetterlo. Ma cosa significava? L'aveva sempre amata oppuùe era l'ìnfatùazione di un giorno,
la ripetizione della cotta che avevà preso per lei nel 1941?
Ed Elspeth? Perché l'aveva sposata? Lò aveva chiesto a BiL
lie, ma lei si era rifiutata di rispondere. "Allòra lo chiederò
a Els~eth" aveva concluso lui.
Guardò l'orologio. Mancava più dì un'ora al decolio~
Aveva un sacco di tempo a disposizione. Scese dall'auto
ed entrò nella cabinà telefonica.
Lei rispose subito, come se fosse stata già sveglia. Il
centràlinista del rnotel là inforinò che la chiamata era a carico del destinatario e lei l'accettò subito. «Certo, me io
passi pure.»
Di colpo, Luke si sentì imbarazzato. ~<Ehm, buongiorno,
Elspeth »
«Come sono contenta che tu abbia chiamato!'> disse lei.
«Ero così preoccupata. Cosa sta succedei~do?»
~Non so da dove corninciare,>~
<(Stai bene?»
«Sì, sto bene. Per fartela breve, Anthony ui,ì ha fatto perdere la memoria sottdporiendortii a un trattamento combinato dl elettroshock e farmacL»
«Buon Dio, perché mai avrebbe fatto una cosa del genere?>~
«Sostiene che ~ono una spia russa.»
«Ma è assurdo!»
«Lo ha detto a Billie.»
.<Hai visto Billie?»
l~iike cotse una nota di ostilità nella voce di lei. «E stata
molto gentile con me» ribatté, sulla difensiva. Quando
aveva chiesto a Elspeth di raggi ungerlò a Washington per
aiutarlo, si era rifiutata.
Lei canibiò argomento. «Da dove chiami?»
Luke esitò. I suoi nemici potevano aver messo sotto controllo il telefono di Elspeth. «È meglio che non te lo dica, caso mai qualcunò ci stesse ascoltaùdo»
«Certo, capisco. Cosa intendi fare?»
«Devo scoprite cos'è che Anthonv voleva farmi dirnen-
ticare.»
«E come farai?'>
«Preferisco non dirtelo al telefono.»
«A quanto pare non puoi dirmi nulla.» La voce di lei
tradì impazienza.
«Veramente, ti ho chiamata per chiederti alcune cose.»
«Okay, spara.»
«Perché non possiamo avere bambini?»
«Non lo sappiamo. L'anno scorso sei stato da uno specialista in problemi della fertilità, ma non ha trovato niente
di anormale. Alcune settimane fa io sono stata da una dottoressa ad Atlanta che mi ha sottoposto ad alcuni test. Stiamo aspettando i risultati.»
«Potresti dirmi come mai ci siamo sposati?»
«Ti ho sedotto.»
~<In che modo?»
«Ho finto di avere del sapone negli occhi perché tu mi
baciassi. È il trucco più vecchio del mondo, ma tu ci sei
cascato.»
Non avrebbe saputo dire se stava cercando di essere divertente, cinica, o entrambe le cose. «Raccontami di quando ti ho chiestò di sposarmi.»
«Be', è stato quando ci siamo ritrovati a Washington, nel
1954. Non ci vedevamo da alcuni anni. Io lavoravo ancora
per la Cia, tu al Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, ma
eri venuto a Washington per il matrimonio di Peg. Al ricevimento stavamo seduti l'uno accanto all'altra.'> Elspeth fece
una pausa, ripensando ai particolari, e Luke attese pazientemente. Quando lei riprese a raccontare, la sua voce si era
fatta più morbida. «Abbiamo parlato e parlato... era come
se tutti quegli anni non fossero passati e noi fossimo stati
ancora al college con tutta la vita davanti. Io dovevo andare
via prima, dirigevo la Sixteenth Street Youth Orchestra, e
avevamo una prova. Tu decidesti di accompagnarmi...»
1954.
I bambini che suonavano nell'orchestra venivano tutti da
famiglie povere ed erano per la maggior parte di colore.
Le prove si tenevano in una chiesa dei quartieri popolari.
Gli strumenti erano frutto di donazioni e prestiti, oppure
acquistati al monte dei pegni. Stavano provando l'ouverture di un'opera di Mozart, Le nozze di Figaro, e contrariamente a ogni previsione se la cavarono bene.
Il merito andava a Elspeth. Era un'insegnante esigente
cui non sfuggiva né una stecca né un errore di battuta, ma
correggeva gli alunni con infinita pazienza. Alta e slanciata
nel suo abito giallo, diresse con grande energia, i capelli che
svolazzavano, le mani lunghe ed eleganti che parevano
trarre la musica dagli strumenti con gesti appassionati.
Le prove durarono due ore e Luke non se ne perse un
solo momento: era come incantato. Capì che tutti i maschi
erano innamorati di lei, mentre per le bambine rappresentava un modello da imitare.
«Questi ragazzi hanno le medesime capacità di qualsiasi bambino ricco con uno Steinway in salotto» gli disse
più tardi Elspeth in macchina «ma io incontro enormi difficoltà.»
«Perché?»
«Dicono che stravedo per i neri. E questo ha pratica-
mente stroncato la mia carriera alla Cia.»
«Non capisco.»
«Chiunque tratti i neri come essere umani è sospettato
di essere comunista. Quindi non sarò mai niente di più di
una segretaria. Non che sia questa gran perdita, Le donne
non arrivano mai oltre il grado di coordinatore di progetto, comunque.»
Andarono a casa di Elspeth, un appartamento piccolo e
ordinato, arredato con pochi mobili moderni ed essenziali.
Mentre lei cuoceva gli spaghetti nella minuscola cucina,
Luke preparò i martini e le raccontò del suo lavoro.
«Sono davvero felice per te» osservò lei con sincero entusiasmo. «Hai sempre desiderato esplorare lo spazio. Me
ne parlavi già quando uscivamo insieme, a Harvard.»
Lui sorrise. A quei tempi la gran parte delle persone era
convinta che fossero
, vaneggiamenti da
scrittori di fantascienza.»
«Ma non possiamo essere certi che accadrà.»
«Sì che possiamo» ribatté lui, serio. «I problemi maggiori sono stati tutti risolti dagli scienziati tedeschi durante la guerra. Loro hanno costruito razzi che potevano essere lanciati dall'Olanda e cadere su Londra.»
«Io c'ero. Ricordo che le chiamavamo "bombe volanti"»
disse lei con un brivido. «Una per poco non mi ha ucciso.
Durante un raid aereo stavo andando a piedi in ufficio
perché dovevo istruire un agente che sarebbe stato paracadutato sul Belgio di lì a poche ore. Ho sentito una bomba esplodere dietro di me. Fa un rumore orribile, uno
scoppio fortissimo, subito seguito dal rovescio di vetri in
frantumi e di muri che crollano. Subito dopo arriva una
specie di vento pieno di polvere e di detriti. Sapevo che se
mi fossi voltata indietro a guardare sarei stata presa dal
panico e mi sarei rannicchiata a terra con gli occhi chiusi.
Così ho continuato a camminare guardando fisso davanti
a me.»
Luke si sentì profondamente commosso dall'immagine
della giovane Elspeth che avanzava per le strade buie tra
le bombe che cadevano tutto attorno. «Che donna coraggiosa» mormoro.
Lei si strinse nelle spalle. «in quel momento non mi
sentivo affatto coraggiosa, ero solo spaventata.»
«A cosa pensavi?»
«Indovina.»
Luke ricordò che ogni qualvolta lei aveva un momento
libero si concentrava sempre su problemi matematici. «Ai
numeri primi?» azzardò.
Elspeth scoppiò a ridere. «Ai numeri di Fibonacci.»
Luke annuì. Il matematico Fibonacci aveva immaginato
una coppia di conigli che dava alla luce due discendenti
ogni mese. I nuovi nati cominciavano a riprodursi con lo
stesso ritmo dei genitori a un mese dalla nascita. Fibonacci si era chiesto quante coppie di conigli ci sarebbero state
dopo un anno. La risposta era 144, ma l'andamento della
crescita mensile delle coppie di conigli era la sequenza di
numeri più famosa della matematica: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21,
34, 55, 89, 144... Si poteva sempre calcolare il numero seguente facendo la somma dei due precedenti.
«Quando raggiunsi il mio ufficio, ero arrivata a calcolare il quarantesimo numero di Fibonacci.»
«Ricordi qual era?»
«Certo. 102.334.105. Allora i nostri missili derivano dalle bombe naziste?»
«Sì. Dai razzi V2, per essere esatti.» Luke non avrebbe dovuto parlare del suo lavoro, ma si trattava di Elspeth che,
probabilmente, aveva accesso a un livello di informazioni
più alto del suo. «Stiamo lavorando a un missile in grado di
essere lanciato dall'Arizona ed esplodere a Mosca. E se possiamo fare questo, possiamo anche andare sulla luna.»
«Quindi, praticamente è la stessa cosa ma in scala maggiore?»
Elspeth dimostrava più interesse verso i razzi di qualsiasi altra ragazza che avesse mai conosciuto. «Sì, occorrono motori più grandi, carburante più potente e un sistema
di guida migliore, ma nessuno di questi è un problema insormontabile. E gli scienziati tedeschi, adesso, lavorano
per noi.»
«Mi pare di averlo sentito dire» osservò Elspeth, poi
cambiò argomento. «E cosa mi racconti dite? Esci con
qualcuna?»
«Al momento no.» Aveva avuto parecchie ragazze dopo la rottura con Billie, nove anni prima, e con alcune c'era anche andato a letto, ma la verità - che non aveva mtenzione di rivelare a Elspeth - era che nessuna aveva
significato molto per lui.
Di una avrebbe anche potuto innamorarsi, una ragazza
alta dagli occhi castani e la capigliatura selvaggia. Possedeva la stessa energia e joie de vivre che aveva amato in
Billie. L'aveva conosciuta a Harvard, mentre preparava il
suo dottorato. Una sera tardi, mentre passeggiavano attraverso il campus, lei gli aveva preso le mani e aveva detto: «Sono sposata». Poi lo aveva baciato e si era allontanata. Quella era stata la volta in cui era giunto più vicino a
innamorarsi.
«E tu?» chiese a Elspeth. «Peg è sposata, Billie sta già
divorziando... Guarda che devi metterti in pari.»
«Oh, sai come siamo fatte noi "ragazze del governo".»
Era un cliché coniato dai giornali. Le giovani donne che
lavoravano a Washington per il governo erano così numerose che il rapporto con gli scapoli era di cinque a uno. Di
conseguenza, l'opinione comune le voleva sessualmente
frustrate e alla ricerca disperata di qualcuno con cui uscire. Luke non credeva che per Elspeth fosse così, ma se lei
preferiva eludere la domanda ne aveva tutti i diritti.
Gli chiese di dare un'occhiata ai fornelli mentre lei andava a darsi una rinfrescata. C'era una grossa pentola d'acqua
con gli spaghetti e una più piccola di salsa di pomodoro che
sobbolliva. Luke si tolse giacca e cravatta, poi mescolò la
salsa con un cucchiaio di legno. Il martini lo aveva rilassato,
il cibo mandava un buon profumo, era in compagnia di una
donna che gli piaceva. Si sentì felice.
Udì Elspeth che lo chiamava con un insolito tono indifeso. «Luke, puoi venire qui?»
Luke spense i fornelli ed entrò in bagno. Il vestito era
appeso dietro la porta: Elspeth indossava un reggiseno
senza spalline color pesca con una sottoveste a vita coordinata, calze e scarpe. Benché fosse più vestita che su una
spiaggia, Luke la trovò incredibilmente sexy. Si teneva
una mano sul viso. «Mi è andato del sapone in un occhio,
accidenti. Potresti provare a togliermelo?»
Luke fece scorrere dell'acqua fredda nel lavandino. «Pie-
gati in avanti e avvicina il viso» le suggerì, posandole la mano sinistra tra le scapole per guidarla. La pelle candida della schiena era calda al tatto. Luke raccolse dell'acqua con la
mano destra chiusa a coppa e gliel'avvicinò all'occhio.
«Così va meglio» disse lei.
Continuò a sciacquarle l'occhio finché il bruciore non si
fu calmato. Quindi l'aiutò a rialzarsi e le tamponò il viso
con un asciugamano pulito. «È un po' irritato, ma penso
che sia a posto.»
«Devo essere orrenda.»
«No» disse lui, guardandola intensamente. Aveva un
occhio tutto rosso e i capelli bagnati, ma era bella come il
primo giorno in cui l'aveva vista, più di dieci anni fa. «Sei
meravigliosa.»
Benché Luke avesse finito di asciugarla, Elspeth continuava a tenere il viso rivolto verso l'alto, le labbra schiuse in un sorriso. Baciarla fu la cosa più naturale del mondo. Lei ricambiò, dapprima esitante poi con passione,
mettendogli le mani dietro la nuca e attirando a sé il volto
di lui.
Il suo seno premeva contrò il torace di Luke - una situazione molto sexy - ma il ferretto del reggiseno era così rigido che gli grattava la pelle attraverso la stoffa sottile della
camicia. Dopo un attimo Luke si ritrasse. «Cosa c'è?» chiese Elspeth.
Lui sfiorò appena il reggiseno e disse con un sorriso:
«Fa male».
«Poverino!» ribatté lei con aria di finto compatimento.
N4ise le mani dietro la schiena e, con movimento veloce,
si slacciò l'indumento, che cadde a terra.
Anni addietro gli era capitato di toccarle il seno, qualche volta, ma non l'aveva mai visto. Era bianco e rotondo,
i capezzoli pallidi eretti per l'eccitazione. Lei gli mise le
braccia attorno al collo e premette il corpo contro il suo. I
suoi seni erano morbidi e caldi. «Ecco» disse «è così che
dovrebbe essere.»
Dopo qualche attimo lui la prese in braccio e la portò sul
letto, in camera. Lei si liberò delle scarpe scalciandole via.
Luke sfiorò l'elastico della sottoveste e chiese: «Posso?».
~<Oh, Luke, come sei educato!» rispose lei ridendo.
Lui sorrise. Forse poteva sembrare una cosa sciocca, ma
era fatto così. Elspeth sollevò il bacino e Luke tirò giù la
sottoveste. Le mutandine erano coordinate con il resto
della biancheria.
«Non me lo chiedere» Io incoraggiò lei. «Toglile e basta.»
Fecero l'amore lentamente e con intensità. Elspeth continuava ad attirare la testa di lui verso la sua e a baciarlo mentre si muoveva dentro di lei. «Ho desiderato questo momento per tànto tempo» gli sussurrò, e poi urlò di piacere,
più volte, prima di reclinare il capo all'indietro, esausta.
Presto cadde in un sonno profondo, ma Luke restò sveglio, a riflettere.
Aveva sempre desiderato una famiglia: per lui la felicità
era una casa grande e rumorosa piena di bambini, cani e
amici. E invece eccolo lì, ancora scapolo a trentatré anni, e
il tempo volava. Certo, si disse, dalla fine della guerra la
sua carriera aveva avuto la precedenza su tutto. Era tornato all'università per recuperare gli anni persi. Ma non
era questa la vera ragione per cui non si era ancora sposato. La verità era che solo due donne avevano conquistato
il suo cuore: Billie ed Elspeth. Billie lo aveva ingannato,
ma Elspeth era lì, accanto a lui. Ne osservò il corpo voluttuoso illuminato dalla luce morbida dei lampioni di Dupont Circle. Cosa c'era di meglio che passare ogni notte
così, con una ragazza intelligente, coraggiosa, che ci sapeva fare con i bambini e - come se non bastasse - incredibilmente bella?
All'alba si alzò per preparare il caffè. Quando lo portò
in camera su un vassoio trovò Elspeth seduta sul letto, assonnata. Deliziosa. Cli rivolse un sorriso felice.
«Devo chiederti una cosa» disse lui, sedendosi sul bordo del letto e prendendole la mano. «Vuoi sposarmi?»
Il sorriso di Elspeth svanì, sostituito da un'espressione
preoccupata. «Oh, mio Dio» fece lei. «Posso pensarci?»
7.00.
Quando i gas di combustione passano attraverso l'ugello di scarico del razzo è come se si versasse una tazza di caffe bollente
giù per la gola di un pupazzo di neve.
Anthony arrivò al Jefferson Mernoriai con Larry seduto
sul sedile anteriore tra lui e Pete. Era ancora buio, e la zona era deserta. Fece inversione di marcia e parcheggiò
l'auto in modo che i fari illuminassero qualunque macchina fosse venuta verso di loro.
Il monumento era formato da un doppio cerchio di colonne sormontato da un tetto a cupola. Il tutto si ergeva su
un'alta piattaforma cui si accedeva da una scalinata sulla
parte opposta. «La statua è alta sei metri e pesa più di
quattro tonnellate» spiegò a Larry. «E fatta di bronzo.»
«Dov'è?»
«Da qui non si vede, ma è all'interno di quelle colonne.»
«Avremmo dovuto venirci dì giorno» piagnucolò Larry.
Non era la prima volta che Anthony portava fuori Larry.
Erano andati alla Casa Bianca, allo zoo e allo Smithsonian.
Di solito mangiavano hot dog per pranzo, gelato nei pomeriggio e, prima di riportarlo a casa, Anthony gli comperava
un giocattolo. Si divertivano sempre, insieme. Anthony era
affezionato al suo figlioccio, ma stavolta Larry aveva capito
che c'era qualcosa di strano. Era buio, lui voleva la mamma
e, probabilmente, avvertiva la tensione a bordo dell'auto.
Anthony aprì la portiera. «Stai bravo un secondo, Larry,
mentre io dico una cosa a Pet:e.» I due scesero. Il loro alito
formava nuvolette bianche nell'aria fredda del mattino.
«Io aspetto qui» disse Anthony. «Tu porta il bambino a
dare un'occhiata al monumento. Tieniti su questo lato in
modo che lei possa vederlo, quando arriva.»
«Va bene.» Il tono di Pete era brusco e freddo.
«Non sopporto l'idea di doverlo fare» aggiunse Anthony, ma in verità non gliene importava più nulla. Larry
era triste e Billie spaventata a morte, ma gli sarebbe passata, a tutti e due. No, i sentimentalismi non lo avrebbero
fermato. «Non faremo alcun male né al bambino né alla
madre» disse, nel tentativo di rassicurare Pete. «Ma lei ci
dirà dov'è andato Luke.»
«E noi le restituiamo il bambino.»
«No.»
«No?» La voce di Pete tradiva lo sgomento. «Perché no?»
«In caso avessimo bisogno di altre informazioni.»
Pete non era convinto ma avrebbe obbedito agli ordini,
almeno per ora, rifletté Anthony. Aprì la portiera. «Su,
Larry, scendi. Lo zio Pete ti porta a vedere la statua.»
Larry scese. «Dopo che l'abbiamo vista, però, vorrei
tornare a casa» disse, con studiata gentilezza.
Anthony si sentì mancare il fiato. Il coraggio di Larry
era quasi insopportabile. «Vedremo cosa dice la mamma»
rispose dopo un attimo, con voce calma. «Ora va'.»
Il bambino diede la mano a Pete e insieme girarono intorno al monumento diretti verso la gradinata. Un attimo
dopo riapparvero davanti alle colonne, illuminati dai fari
dell'auto.
Anthony guardò l'orologio. Da lì a sedici ore il razzo sarebbe stato lanciato e tutto sarebbe finito, in un modo o nell'altro. Sedici ore erano molte, più che sufficienti perché
Luke causasse danni irreparabili. Doveva prenderlo, e in
fretta.
Billie avrebbe già dovuto essere lì. Fu assalito dal dubbio. No, sarebbe venuta di sicuro. Era troppo spaventata
per chiamare la polizia o tentare qualche colpo di mano,
ne era certo.
E aveva ragione. Dopo pochi attimi arrivò una macchina. Anthony non riusciva a distinguerne il colore, ma era
una Ford Thunderbird. L'auto si fermò con il motore acceso a una ventina di metri dalla Cadillac e ne scese una figura piccola e minuta.
~<Ciao, Billie» disse Anthony.
Billie guardò prima lui, poi diresse lo sguardo verso il
monumento e vide Pete e Larry sulla piattaforma.. Rimase
a fissarli, immobile.
Anthony andò verso di lei. «Non tentare alcun gesto
drammatico, servirebbe solo a turbare Larry.»
«Non parlarmi di turbare il bambino, brutto figlio di
puttana.» La voce di Billie era strozzata per la tensione.
Stava per piangere.
«Ho dovuto farlo.»
«Nessuno deve fare una cosa dei genere.»
La sua ostilità era prevedibile, ma nonostante tutto la
nota di disprezzo che colse nella sua voce lo ferì. «Conosci
le parole di Thomas Jefferson che sono scritte lì dentro con
lettere alte mezzo metro?» chiese lui. «"Ho giurato davanti all'altare di Dio eterna ostilità a ogni forma di tirannia
sulla mente dell'uomo." È quello che sto facendo io.»
«Le tue motivazioni non mi interessano. Non riesco più
a vedere gli ideali che potevi avere un tempo: niente di
buono può sopravvivere a un tradimento simile.»
Discutere con lei era tempo sprecato. «Dov'è Luke?»
chiese Anthony, di punto in bianco.
Ci fu una lunga pausa, ma infine lei si decise. «Ha preso
un aereo per Huntsville.»
Anthony fece un sospiro soddisfatto. Aveva saputo
quello che gli interessava. Ma la risposta lo aveva sorpreso. «Perche Huntsville?»
«È li che l'esercito progetta i missili.»
«Questo lo so. Ma perché andare lì proprio oggi? Il lancio è in Florida.»
«Non ne ho idea» rispose Billie.
Anthony cercò di decifrare la sua espressione, ma era
troppo buio. «Io credo che tu mi nasconda qualcosa4»
«Non mi interessa quello che credi o non credi. Io ora
prendo mio figlio e me ne vado.»
«E invece no» disse Anthony. «Lo teniamo noi ancora
per un po'.»
La voce di Billie fu un urlo angosciato. «Perché? Io ti ho
rivelato dov'è diretto Luke!»
«Potresti esserci utile in altri modi.»
«Non è giusto!»
«Sopravviverai» disse Anthony, e si voltò per andarsene.
Fu un errore.
Billie se l'aspettava.
Mentre lui andava verso l'auto, lei lo spinse violentemente, colpendolo in mezzo alle scapole con la spalla destra. Pesava solo sessanta chili, cinquanta meno di lui, ma
aveva dalla sua la rabbia e la sorpresa. Anthony incespicò
e cadde in avanti, atterrando a quattro zampe con un'esclamazione di dolore e di sorpresa.
Billie estrasse la Colt .45 dalla tasca del cappotto.
Anthony cercò di rimettersi in piedi ma lei lo caricò
un'altra volta, di lato, facendolo rotolare di nuovo a terra.
Si fermò a faccia in su. Allora Billie si inginocchiò vicino
alla sua testa e gli infilò la canna della pistola in bocca.
Sentì il rumore di un dente che si rompeva.
Anthony si immobilizzò.
Con deliberata lentezza, la donna tolse la sicura e lo
guardò negli occhi. Vi lesse la paura. Anthony non si aspettava che lei avesse una pistola. Un rivolo di sangue gli
scendeva giù per il mento.
Billie alzò lo sguardo. Larry e l'uomo che lo accompagnava stavano ancora guardando il monumento e non si
erano accorti della colluttazione. Tornò a rivolgere la sua
attenzione verso Anthony. «Ora ti tolgo la pistola dalla
bocca» gli disse, ansimando. «Se ti muovi, ti uccido. Se
vuoi restare vivo, chiami il tuo collega e gli dici quello che
ti ordino.» Billie estrasse la pistola dalla bocca di Anthony
e gliela puntò all'occhio sinistro. «Ora chiamalo.»
Anthony parve esitare.
Billie gli sfiorò la palpebra con la bocca della canna.
«Pete!»
Pete si voltò e dopo un attimo chiese, con tono perplesso: «Dove si trova?». Anthony e Billie si trovavano fuori
dal fascio di luce dei fari.
«Digli di restare dov'è» intimò Billie.
Anthony non aprì bocca. Billie premette la pistola contro l'occhio. «Resta dove sei!»
Pete si portò una mano sopra gli occhi, scrutando l'oscurità, cercando il punto da cui proveniva la voce. «Cosa
sta succedendo?» domandò. «Non riesco a vederla.»
«Larry, sono la mamma» gridò Billie. «Sali sulla nostra
macchina!»
Pete afferrò il bambino per il braccio.
«Non mi vuole mollare!» urlò Larry.
«Stai calmo» gridò Billie di rimando. «Lo zio Anthony
gli dirà di lasciarti andare.» Spinse ancora di più la canna
della pistola contro l'occhio di Anthony.
«Va bene!» gridò questi. Billie allentò la pressione. «Lascia andare il bambino!»
«Ne è sicuro?» disse Pete.
«Fa' come ti dico, perdio... mi sta puntando contro una
pistola!»
«Okay!» Pete lasciò il braccio di Larry.
Larry si precipitò verso il retro del monumento e riapparve qualche secondo dopo a livello della strada, correndo verso Billie. «Non da questa parte» urlò lei, cercando
di mantenere un tono di voce calmo. «Sali in macchina,
svelto!»
Larry andò alla Thunderbird e saltò su, chiudendo la
portiera.
Con un movimento ampio e veloce, Billie colpì Anthony
sul viso con tutta la sua forza. Lui urlò per il dolore ma, prima che potesse muoversi, lei gli infilò di nuovo la pistola in
bocca. Anthony rimase immobile, gemendo. «Ricordatelo,
se ti tornasse in mente di rapire un bambino» disse lei.
Poi si alzò in piedi, estraendogli la pistola dalla bocca.
«Resta fermo» gli ordinò. Sempre tenendo Anthony sotto
tiro, retrocesse verso l'auto. Alzò lo sguardo verso il monumento. Pete non si era mosso.
Sali in auto.
«Hai una pistola, mamma?» chiese Larry.
Billie infilò la Colt nella tasca del cappotto. «Stai bene?»
gli chiese.
Lui si mise a piangere.
Billie innestò la prima e partì a razzo.
8.00.
i rtizzi più pidcoli che spingono il secondo, il terzo e l'ultimo
stadio sono alimentati con un combustibile solido noto come
T17-E2, un pòlisolfuro che utilizzq il perclorato di ammohio come agente òssidan te. Nello spazio, ogni razzo svilupperà una
spinta di circa 800 kgf.
Berh versò del latte caldo sui fiocchi di cerdali rnentrC
Billie sbatteva un uovo per i french toast, Stavat~o dando al
loro bambino conforto sotto foxkma di cibo, ma Billi~ pensava che anche gli adulti ne avessero bisogno. Larry mangiava di gusto e a~c61tàvà la ràdio.
«Io l'ammazzo, quel figlio di puttana» borbottò Bern,
parlaùdo a voce bassa in modo che Larry non sei~tisse.
«Giu~ò ~u Dio chd l'ammazzo.»
Là rabbia di. Billie era svanità, cancellatà dai colpi che
aveva assestato a Anthony con là pistola. Ora provaVa solamente preoccupazione e paura, m parte per Larty - che
si era preso un brutto spavento --, in parte per Luke. «Temo che Anthony possa cercare di uccidere Luke» disse.
«Qualche ora fa non lo credevo possibile, ma ora ho camnbiato idea~»
Bern lasciò cadere una noce dì burro in una padella caidà, intinse una fetta di pane bianco nell'uovo che Billie
aVeva sbattuto insieme a un po' ffi latté. «Luke non si lascera uccidere tanto facilmente» Osservò.
«Ma lui è convinto dì essere riuscito a fùggire, noti sa
che io ho detto a Anthony dove sta andando.» Mentre
Bern friggeva il pane, Billie continuava a camminare su e
giù per la cucina, morsicandosi il labbro. «Probabilmente
Anthony è già partito per Huntsvilie. L'aereo di Luke è
lento, mentre Anthony potrebbe prendere un volo della
Mats d arrivare a destinazione prima di lui. flevo trovare
il modo di avvisare Luke.»
«Potresti lasciargli un messaggio all'acropotto.»
«Non mi fido. E meglio che vada là di persona. Se non
sbaglio c'è un Viscotiht che parte alle nove. Dov'è l'orario
degli aerei?»
«Sul tavolo.»
Billie Io prese. Il volo 271 partiva da Washington esattamente alle nove. A differenza del volo di Luke, questo taceva solo due soste prima di atterrare a Huntsville alle dodici
meno quattro minuti, Il volo di Luke ari-ivava alle due e ventitré. PoteVa aspettarlo ail'aeropodci. «Posso farcela» disse.
«E allora corri.»
l3illie esitò. Guardò Làrry, lacerata da desideri contrastanti.
Bern le lesse nel pensiero. «Se la caverà.»
«Lo sO, ma non voglio lasciarlo proprio adesso.»
«Mi prenderò cura io di lui.»
«Lo terresti a casa da scuola?»
«Sì, petiso che sarebbe una buona idea, almeno per oggh»
«Ho finito i cereali» disse Larry.
«E allora sei pronto per i french toast» disse Bern, servendogliene una fetta. «Vuoi un po' di sciroppo d'acero?»
«Sì!»
«Sì, e poi?»
«Sì, grazie.»
Bern v~sò lo sciroppo sulla fetta di pane fritto,
Billid sedeUe di fronte al bambino e gli disse: «Voglio
che oggi tu resti a casa».
«Ma c'è lezione di nuoto!» protestò h.ii.
<`POtresti andàre a nuotare con papà.»
«Ma non sono malato!»
«Lo ~o, tesoro, ma hai avuto una mattinata un po' stancante e hai bisogno di riposare.» Le proteste di Larry la
rassicurarono: sembrava si stesse riprendendo in fretta. In
ogni caso, non si sentiva tranquilla a farlo andare a scuola,
almeno finché non si fosse conclusa quella faccenda.
Ma poteva lasciarlo con suo padre: in fondo Bern era un
ex agente dell `Oss e sarebbe stato in grado di ~iroteggerlo
da qualsiasi pericolo. Alla fine prese una decisione: sarebbe
andata a HuntsVille. «Passa una bella giotnata con papà, e
Ù~agari domani potrai andare a scuola, d `accordo?»
«D'accordo.»
«Ora la mamma deve andare.» Non voleva che i saluti
diventassero un dramma dell'addiò; sarebbero serviti solo a spaventare Iì bambino. «Ci vediamo più tardi» disse
con nàturalezza,
UsceÌ~do, sei~tì Bèrn che diceva: «Scornmetto che mangeresti un'altta fetta difrench toqst».
«Sui!!»
Billie chiuse la porta.
PARTE QUINTA
14.45.
Il missile decollerà verticalmente, poi piegherà lungo una traiettoria inclinata di 40 gradi sull'orizzonte. Durante il periodo di
spinta, il primo stadio sarà guidato dagli impennaggi di coda e
da alette mobili negli ugelli di scarico.
Appena allacciata la cintura di sicurezza, Luke cadde in
un sormo profondo e non si accorse neppure del decollo da
Newport News. Dormi durante tutto il volo, salvo svegliarsi ogni volta che l'aereo toccava terra per l'ennesimo
scalo lungo la sua rotta verso ovest, attraverso la Virginia e
la Carolina del Nord. Quando apriva gli occhi veniva assalito dall'ansia e subito guardava l'orologio per vedere
quanto mancava al lancio, agitandosi sul sedile mentre il
piccolo apparecchio rullava sulla pista. Qualche passeggero scendeva, qualche altro saliva, poi ripartivano. Era come
essere su un autobus.
L'aereo fece rifornimento a Winston-Salem e i viaggiatori vennero fatti scendere per qualche minuto. Da un telefono del terminal Luke chiamò il Redstone Arsenal e si
fece passare la sua segretaria, Marigold Clark.
«Dottor Lucas! Tutto bene?»
«Sì, sì, sto bene, ma ho pochissimi minuti. Il lancio è in
programma per stasera?»
«Sì, alle dieci e mezzo.»
«Sto arrivando a Huntsville, l'aereo dovrebbe atterrare
alle due e ventitré, Voglio capire perché sono venuto lì
lunedì.»
«Non ha ancora recuperato la memoria?»
«No. Marigold, lei non sa il motivo di quel viaggio?»
«No, non me l'ha detto.»
«Cosa ho fatto esattamente?»
«Dunque, vediamo. Sono venuta a prenderla all'aeroporto con un'auto dell'esercito e l'ho accompagnata qui
alla base. Lei è andato subito al centro di calcolo, poi ha
preso la macchina e si è diretto verso sud.»
«Cosa c'è nella zona sud?»
«Le piattaforme per i test statici. Suppongo sia andato
al reparto progettazione - a volte lavora là - ma non lo so
di sicuro perché non ero con lei.»
«E poi?»
«Mi ha chiesto di accompagnarla a casa.» Luke avverti
una nota piccata nella voce della donna. «L'ho aspettata in
macchina mentre lei è entrato, per un minuto o due. Poi
l'ho riportata all'aeroporto.»
«Nient'altro?»
«Che io sappia, no.»
Luke si lasciò sfuggire un'esclamazione di disappunto.
Era certo che Marigold potesse dargli delle indicazioni utili.
Disperato, provò con un altro filone di domande. «Che
aspetto avevo?»
«Normale, ma la sua mente era da qualche altra parte.
Sembrava.., preoccupato. Ecco, è la parola giusta. Ho capito che era preoccupato per qualcosa. Succede spesso a
voi scienziati e così non ci ho fatto molto caso.»
«Ero vestito come mio solito?»
«Sì, con una di quelle belle giacche di tweed.»
«Avevo qualcosa con me?»
«Solo la valigetta. Ah, e anche una cartellina.»
Luke si sentì mancare il fiato. «Una cartellina?» chiese,
deglutendo a fatica.
Gli si avvicinò una hostess. «Mi scusi, signore, ma l'avverto che è ora di imbarcarsi.»
Lui copri il ricevitore con la mano e le disse: «Un minuto solo». Quindi tornò a Marigold. «Questa cartellina, aveva qualcosa di speciale?»
«No, era una normale cartellina dell'esercito, di colore
beige, abbastanza grande da contenere un piccolo fascicolo.»
«Ha idea di cosa ci fosse dentro?»
«Dei fogli, direi.»
Luke si sforzò di respirare in maniera normale. «Quanti
fogli? Uno, dieci, cento?»
«Una ventina, piùo meno.»
«Per caso ha visto cosa c'era su quei fogli?»
«No, lei non li ha tirati fuori.»
«E avevo ancora quella cartellina quando mi ha accompagnato all'aeroporto?»
Dall'altra parte ci fu un attimo di silenzio.
La hostess riapparve. «Signore, se non sale a bordo saremo costretti a partire senza di lei.»
«Arrivo, arrivo.» Fece per ripetere la domanda a Marigold. «Avevo ancora quella cartellina,..»
«Ho sentito» lo interruppe lei. «Sto cercando di ricordare.»
«Pensi con calma» disse lui, mordendosi il labbro per
l'impazienza.
«Non saprei dire se l'ha portata in casa o meno.»
«E all'aeroporto?»
«Mah, credo di no. Sto cercando di ricordarla mentre va
verso l'aereo e mi pare avesse la valigetta in una mano,
ma nell'altra.., no, niente.»
«Ne è sicura?»
«Sì, ora sì. Deve averla lasciata da qualche parte, o alla
base o a casa.»
La mente di Luke correva all'impazzata. La cartellina
era il motivo per cui era andato a Huntsville, ne era certo.
Conteneva il segreto che lui aveva scoperto, quello che
Anthony voleva a tutti i costi fargli dimenticare. Forse
erano copie di documenti che lui aveva nascosto da qual-
che parte per sicurezza. Ecco perché aveva chiesto a Marigold di non parlare con nessuno della sua visita.
Se avesse trovato quelle carte, avrebbe sciolto il mistero.
La hostess se n'era andata. La vide correre sulla pista.
Le eliche dell'aereo st~vaÌio già girando,
«Credo che quella cartellitia sia la chiave di tutto» disse
a Marigold. «Potrebbe dare un'occhiata in giro e vedere se
riesce a trovarla?»
«Mio Dio, dòttor Lucàs, siamo nell'esercito! Qui ci saranno almeno un milione di cartelline beige cOnte quella!
Come faccio a sapere qual era quella che aveva con sé?»
«Dia un'occhiata in giro e guardi se ne trova qualcuna
fuori posto. Appena atterro a Huntsvìlle vado à casa e la
cerco là. Se non la trovo, verrò alla base.» Luke riattaccò
senza salutare e corse verso l'aereo.
11,00.
L.41 rotta è stata programmata in anticipo. Durante il volo, segnali trasmessi al computer di bordo attivano il sistema di guida e m~ntengoi~iò il mis~ile sulla giUsta traiettoria.
Il volo Mats per Huntsville era pieno di generali. Al ked-~
stone Arsenal non si limitavano a progettare veicoli spàziali, la base era anche sede del comando missilisticò dell'é~sercito~ Anthony, che si teneva sempre ben iflformato su
queste cose, sapeva che là si studiava e collaudava un'intera gamma di armi missilistiche, dal piccolo Redeye> un terra-aria grande quanto una mazza da basebalì, destinato alle truppe di terra per la difesa antiaerea, fino al ben più
grande missile tei rà-terra I-Ionest John. La base era dunque
molto frequehtata da pezzi grossi dell'èsercito~
Anthòny indossava un paio di occhiali da sole per nascondere i due occhi neri risultato della colluttazione cort
Billie. Il labbro non sanguinava più e il 0et~te rotto era visibile solo quando parlava. Ma, nonostante le ferite, si sentiva pieno di energia: stava per mettete le mani su Luke.
Doveva ucciderlo alla prima occasione buona? La ten~
tazione era forte, ma lo preoccupava il fatto di non sapere
bene cosa lui avesse in ménte. Ùoveva assolutamente
prendere tina decisione. Ma era sveglio da quaràntott'ore
e, come si inibarcò sull'aereo, si addotrnentò. Sognò di
avere di nuovo vent'annì. Gli alti alberi di Hatvard erano
coperti di foglie nuove e una vita piena di splendide opportunità si apriva davanti a lui come una grande strada
sgornbra. Si risvegliò bruscamente per gli scossoni di Pete, mentre un caporale apriva il portellone e il caldo fiato
dell'Alabama invadeva l'aereo.
Huntsviile aveva un aeroporto civile, ma i voli Mats atterravano su un'altra pista, adiacente al Redstone Arsenal. Una piccola costruzione di legno fungeva da terminal
mentre la torre di controllo era costituita da una semplice
struttura in ferro con in cima un unico locale per i controlbn di volo.
Camminando sull'erba strinata dai sole, Anthony scosse la testa come per schiarirsi le idee. Aveva con sé la valigetta con dentro la pistola, un passaporto falso e cinquemila dollari in contanti, il kit d'emergenza senza il quale
non si imbarcava mai su un aereo.
L'adrenalina lo rimise in moto. Nelle prossime ore avrebbe ucciso un uomo, il primo dopo la guerra. Si sentì stringe-.
re lo stomaco all'idea. Dove poteva agire? Una possibilità
era quella di aspettare Luke all'aeroporto di Huntsville, seguirlo e sparargli da qualche parte lungo la strada. Ma era
molto rischioso: Luke avrebbe potuto accorgersi di essere
seguito e tentare di scappare. Non era un bersaglio facile,
purtroppo. Se lui non fosse stato molto attento avrebbe potuto sfuggirgli un'altra volta.
Forse la cosa migliore era cercare di capire le sue intenzioni, anticiparlo e tendergli un'imboscata. «Io farò qualche indagine alla base» disse a Pete. «Voglio che tu vada
al terminal dell'aeroporto e lo tenga sotto controllo. Se arriva Luke, o se succede qualcosa, avvertimi qui.»
Ai bordi della pista, un giovane in uniforme con i gradi di
tenente aspettava esibendo un cartello con su scritto: "Mr
Carrolì, Dipartimento di Stato". Anthony si presentò e gli
strinse la mano. «Le porgo i saluti del colonnello I-Iickam,
signore» disse il giovane, in modo molto formale. «Come
richiesto dal Dipartimento di Stato, le abbiamo messo a disposizione un'auto.» indicò una Ford verde oliva.
«Andrà benissimo.» Anthony aveva chiamato la base
prima di imbarcarsi, fingendo spudoratamente di agire su
diretta autorizzazione del direttore della Cia, Allen Dulles,
e aveva chiesto la collaborazione dell'esercito per una missione top secret di vitale importanza per la sicurezza nazionale. Aveva funzionato: il tenente sembrava pronto a farsi
in quattro per lui.
«lì colonnello Hickam le sarebbe grato se volesse passare al quartier generale, quando è in comodo.» Il tenente
gli porse una mappa della base. Anthony si rese conto che
era enorme: si estendeva per parecchi chilometri in direzione sud, fino al Tennessee River. «Il quartier generale è
segnato qui sulla cartina, signore» proseguì. «Inoltre, c'è
un messaggio per lei. Dice di chiamare Mr Carì I-Iobart a
Washington.»
«Grazie, tenente. Dove si trova l'ufficio del dottor Claude Lucas?»
«Al centro di calcolo.» Il giovane estrasse una penna e
fece un segno sulla mappa. «Ma questa settimana sono
tutti giù a Cape Canaveral.»
«Il dottor Lucas ha una segretaria?»
«Sì, Mrs Marigoid Clark.»
La donna poteva essere a conoscenza dei movimenti di
Luke. «Bene. Tenente, questo è il mio collega, Pete Maxell.
Deve recarsi all'aeroporto civile.»
«Sarò lieto di accompagnarlo io stesso.»
«La ringrazio molto. Se avesse bisogno di rintracciarmi
alla base, qual è il modo migliore?»
Il tenente si rivolse Pete. «Potrebbe lasciare un messaggio all'ufficio del colonnello Hickam, e io cercherò di farlo
avere a Mr Carrolì.»
«Perfetto» disse Anthony, con decisione. «Andiamo.»
Salì sulla Ford, controllò il tragitto sulla cartina e parti.
Era una tipica base dell'esercito, con strade dritte che tagliavano i boschi interrotti solo da precisi rettangoli di
prato con l'erba rasata come i capelli di una recluta. Gli
edifici erano tutti strutture di mattoni rossi con il tetto
piatto. Le strade erano ben segnalate e trovò senza difficoltà il centro di calco] o, una costruzione a due piani a forma di `r. Anthony si chiese perché mai avessero bisogno di
tanto spazio solo per fare dùe conti, ma pòi capì che lì
dentro doVeva esserci un potente cervello elettronico.
Parcheggiò fuori e rimase a riflettere per qualche attin-io. Gli serviva solo la risposta a irna semplice domanda:
cosa ci faceva Luke, li a Huntsville? Probabilmente Marigold io sapeva, ma sarebbe stata diffidente di fronte a un
estraneo, tanto più un estraneo con due occhi lividi. D'altro canto, era rimasta lì da sola mentre tutti i suoi colleghi
erario andati a Cape Cariaveral per il grande evento, e forse si sentiva aiinoiata.
Anthony entrò nell'edificio. Nell'ufficio antistante c'erano tre piccole scriv~nìe, ognuna con sopra una macchina per scrivere. Due erano vuote, la terza era occupata da
una donna di colore sulla cinquantina che indossaVa un
abito di cotone a fiori e lenti con la montatura coperta di
brillantini. «Buongiorno» disse Anthony, togliendosi gli
occhiali da sole.
La donna alzò lo sguardo e fece un'espressione sorpres~, «Salve! in cosa posso esserle utile?»
«Sono alla ricerca di una moglie che non me le suoni»
rispose con scherzosa solennità.
Marigold scoppiò in una risata.
Anthony avvicinò una sedia e si accoiliodò accanto àlìa
scrivania. «Lavoro per l'ufficio del colonnello Hickam.
Cerco Marigold Clark. DoVe posso trovarla?»
«Sòno io.»
«Oh, no, La M-s Clark che cerco io è una persona matu.ra, lei è un~ ragazzina.»
«La smetta di scherzare» disse lei, ma sorrideva.
«Il dottor Lucas sta venendo qua, immagino che lei ne
sia al corrente.»
«Mi ha chiamata questa mattina.»
«Per che ora dovrebbe arrivare?»
~<Il suo aereo atterra alle due e ventitré.»
Informazione utile. «Dunque sarà qui verso le tre.»
« Non necessariamente.»
Ah. «Perché?»
La donna gli disse quello che voleVa sapere. ~<Il dottor
Lucas mi ha informata che prima avrebbe fatto un salto a
casa e poi sarebbe passato di qui.»
Perfetto. Anthony nòn riusciva a credere alla sua buona
stella. Luke si sarebbe recato direttamente dall'aeroporto
a casa sua. Lui poteva andare là ad aspettarlo e sparàrgli
non appena fosse enttato. Niente testimoni. Se avesse usato il silenziatore, flessuno avrebbe udito io sparo. Poi se ne
sarebbe andato, abbandonando il corpo nel punto esattO
in cui fosse caduto: con Llspeth in Florida, non io avr~b~
berò scoperto per giorni.
Alzandosi, ringraziò Marigold. «È stato un vero piacere
conoscerla.» Uscì dall'ufficiò prima che la donna avessé il
tempo di chiedergli il suo nome,
Tornò all'auto ~ andò al quartier generale1 un lungo momiolito di tre pi~i che ricordava una prigione. Trovò l'ufficio d~l colonnello Hickani. il colonnello non c'era, ma un
sergente gli indicò una stanza vuota con un telefono.
Chiamò il Q Building, ma non chiese del suo capo, Càrl
Hobart. Si fece passare, invece, il superiore di Carì, GeOrge Cooperman. «Cosa c>è, George?» chiese,
«Hai sparato a qualcuno, la nOtte scorsa?» disse Cooperman, e b sua voce da fumatore sùonò ancora più roca
del solito.
Con uno sforzo, Anthony assunse l'atteggiamento da
spaccone che tanto piaceva al suo amico. «Ah, bene, chi te
l'ha detto?»
«Un colonnello del Pentagono ha chiamato Toni Ealy
dell'ufficio del direttore, e Ealy l>ha riferito a Carì Hobart
che ha avuto un orgasnio»
«Non ci sono prove, ho raccolto bossoli e proiettili.»
~<Qu&sto colonnello ha trovato im buco di circa nové
millimetri nel muro e ha indovinato cosa poteva averlo
causato. Hai colpitò qualcuno?»
«Sfortunatamente, no.»
«Ora sei a Huntsville, giusto?»
«Sì.»
«Dovresti tornare qui subito.»
«Allora è un bene che non ti abbia parlato.»
«Senti, Anthony, io ti ho sempre lasciato fare perché ottieni dei risultati. Ma questa volta non posso coprirti. Da
adesso in poi sei solo, amico.»
«E così che mi piace.»
«Buona fortuna.»
Anthony riattaccò e rimase a fissare il telefono. Non
aveva più molto tempo. Questa azione da cavaliere solita-
rio cominciava a logorarlo. Non poteva disobbedire agli
ordini troppo a lungo. Doveva chiudere la faccenda al più
presto.
Chiamò Cape Canaverai e si fece passare Elspeth. «Hai
parlato con Luke?» le chiese.
«Mi ha chiamata questa mattina alle sei e mezzo» rispose lei. Sembrava turbata.
«Da dove?»
«Non mi ha voluto rivelare né dove si trovava né cosa
aveva intenzione di fare perché temeva che il mio telefono
fosse sotto controllo. Ma mi ha detto che sei tu il responsabile della sua amnesia.»
«Sta venendo a Huntsville. Io ora mi trovo al Redstone
Arsenai. Andrò ad aspettarlo a casa vostra. C'è un modo
per entrare?»
Lei gli rispose con un'altra domanda. «Stai sempre cercando di proteggerlo?»
«Certo.»
«Andrà tutto bene?»
«Posso solo assicurarti che farò del mio meglio.»
Dopo un attimo di pausa, lei disse: «C'è una chiave sotto il vaso di buganvillea nel giardino sul retro».
«Grazie.»
«Abbi cura di Luke, mi raccomando.»
«Ti ho detto che farò del mio meglio!»
«Non mi trattare in questo modo» ribatté lei ritrovando
la sua solita verve.
«Mi prenderò cura di lui» la rassicurò Anthony, e riattaccò.
Mentre si alzava, il telefono prese a squillare.
Si chiese se fosse il caso di rispondere. Poteva essere
Hobart. Ma Hobart non sapeva che lui era nell'ufficio del
colonnello Hickam. Solo Pete ne era a conoscenza...
Sollevò il ricevitore.
Era Pete. «La dottoressa Josephson è qui!»
«Oh, nierda!» Anthony era convito di essersela tolta dai
piedi. «E arrivata in aereo?»
«Sì. I)oveva essere su un volo più veloce di quello su
cui viaggia Lucas. È seduta nel terminai, come fosse in attesa di qualcuno.»
«Lo sta aspettando» disse Anthony, deciso. «Accidenti! È
venuta ad avvertirlo che siamo qui. Devi farla allontanare.»
«E come?»
«Non mi interessa. Fa' come vuoi, ma liberati di leL»
12.00.
L'orbita dell'Explorer sarà inclinata di 34 gradi sull'Equatore.
Ris petto alla superficie terrestre, il satellite si dirigerà a sudest
attraverso l'oceano Atlantico fino all'estremità meridionale dell'Africa, poi risalirà in direzione nordest sorvolando l'oceano
Indiano e l'indonesia verso il Pacifico.
L'aeroporto di Huntsville era piccolo ma molto trafficato. Nell'unico terminai c'erano un bancone della Hertz, alcuni distributori automatici e una fila di cabine telefoniche. Appena arrivata, Billie chiese informazioni sul volo
di Luke e scoprì che aveva quasi un'ora di ritardo e sarebbe quindi atterrato a Huntsville verso le tre e un quarto.
Doveva aspettare tre ore.
Prese uno snack e una bibita dal distributore automatico. Posò la valigetta che conteneva la Colt .45 e si appoggiò a una parete, riflettendo sul da farsi. Avrebbe subito
avvertito Luke della presenza di Anthony. A quel punto,
lui avrebbe preso le sue precauzioni. Ma non era possibile
nascondersi: doveva scoprire il motivo del suo viaggio di
lunedì, e per farlo doveva spostarsi, correre dei rischi. Cosa poteva fare lei per proteggerlo?
Mentre si lambiccava il cervello, le si avvicinò una ragazza con l'uniforme della Capitai Airlines. «Lei è la dottoressa Josephson?»
«Sì.»
«C'è un messaggio telefonico per lei» disse, e le porse
una busta.
Billie restò perpiessa. Chi mai poteva sapere che si trovava lì? «Grazie» mormorò, aprendo la busta.
«Si figuri. Ci faccia sapere se possiamo esserle d'aiuto.»
Billie alzò lo sguardo e sorrise. Aveva dimenticato quanto fosse cortese la gente nel Sud. «Certo» rispose. «Grazie.»
La ragazza si allontanò e Billie lesse il messaggio: "Per favore chiamare il dottor Lucas al lE 6-4231 di Huntsville".
Era sconcertata. Come faceva Luke a essere già arrivato? E come faceva a sapere che lei si trovava lì?
C'era un solo modo per scoprirlo. Gettò la bibita in un
portarifiuti e andò a un telefono pubblico.
Il numero rispose immediatamente e una voce d'uomo
disse: «Laboratorio collaudi».
Sembrava proprio che Luke fosse già arrivato al Redstone Arsenal. Come aveva fatto? ~<Il dottor Claude Lucas,
per favore.»
«Un momento.» Dopo un attimo l'uomo tornò in linea.
«Il dottor Lucas è uscito un attimo. Chi parla?»
«Sono la dottoressa Bilha Josephson. Ho ricevuto un
messaggio di chiamarlo a questo numero.»
Il tono dell'uomo cambiò all'istante. «Ah, dottoressa Josephson. sono felice di averla trovata! Il dottor Lucas era
molto preoccupato di rintracciarla.»
«Cosa ci fa qui? Credevo fosse ancora in volo.»
~<Il servizio sicurezza dell'esercito lo ha fatto scendere
dall'aereo a Norfolk, in Virginia, e lo ha messo su un volo
speciale. È arrivato da più di un'ora.»
Era un sollievo sapere che Luke era al sicuro, ma Billie
continuava a essere perpiessa. «CQsa sta facendo lì?»
«Credevo che lei fosse informata.»
«Sì, credo di saperlo. Come sta andando?»
«Bene, ma non posso darle alcun particolare, specialmente per telefono. Ce la fa a venire qui?»
«Dove siete?»
«Il laboratorio è a circa un'ora di macchina dalla città,
sulla strada per Chattanooga. Potrei mandare un'auto a
13.00
prenderla, ma sarebbe più veloce se lei prendesse un taxi
da lì, o affittasse una macchina.»
Billie prese un taccuino dalla borsa. «Okay, mi spieghi
come arrivarci.» Poi, ricordandosi delle buone maniere
del Sud, aggiunse: «Per favore».
Il motore del
primo stadio deve essere spento di colpo e separatc>
immediatamente, perché una perditt~ di potenza graduale potrebbefar sì che
il primo stadio raggiunga e urti il secondo mandandolo fuori
rotta. Non appena la pressione nei condotti del combustibile
diniinuisce, le valvole di alimentazione si chiudono e, cinque
secondi dopo,
il primo stadio si separa per la detonazione dei buiIoni
esplosivi che liberano le molle di sgancio. Queste ultime aumentano la
velocità iniziale del secondo stadio di quasi un metro
al secondo,
garantendo una separazione netta dei due stadi.
Anthony
sapeva come arrivare a casa di Luke. Vi aveva
passato un
weekend, un paio d'anni prima, subito dopo
che Luke ed
Elspeth si erano trasferiti da Pasadena. La
raggiunse in
quindici minuti. Era su Echols Hill, una strada
fiancheggiata da costruzioni vecchie e grandi, a un
paio di
isolati dal centro. Anthony parcheggiò dietro un
angolo, in
modo che Luke non si accorgesse di avere visite, e si
diresse a piedi verso la casa.
Avrebbe
dovuto sentirsi sicuro - aveva in mano tutte le
carte
vincenti: fattore sorpresa, tempo, una pistola - e invece era così
nervoso da provare quasi un senso di nausea. Già due
volte gli era parso di tenere Luke in pugno, e
per due volte
gli era sfuggito.
Ancora non
sapeva perché mai Luke avesse scelto di venire a I-luntsville anziché volare a Cape Canaveral. Questa
decisione faceva temere qualcosa di imprevedibile, una
sorpresa sgradevole con la quale avrebbe potuto dover fare i conti da un momento all'altro.
La casa era un edificio coloniale bianco di fine Ottocento con un portico a colonne: una dimora troppo ambiziosa
per uno scienziato dell'esercito, ma Luke non aveva mai
fatto finta di vivere con il solo stipendio di matematico.
Anthony aprì un cancelletto nel muro basso ed entrò in
cortile. Sarebbe stato facile violare quella casa, ma non ce
n'era bisogno. Andò sul retro: accanto alla porta della cucina c'era una fioriera di terracotta con una buganvillea e,
sotto il vaso, una grossa chiave di ferro.
Anthony la prese ed entrò.
L'esterno aveva un gradevole aspetto rétro; l'interno,
invece, era modernissimo. In cucina, Elspeth si era concessa ogni genere di diavolerie. C'era un ampio ingresso
decorato a colori pastello, un soggiorno con un mobile per
la Iv e un giradischi, una sala da pranzo con seggiole e
credenze di stile moderno. Anthony preferiva un arredamento più tradizionale, ma dovette ammettere che l'insieme era molto elegante.
In soggiorno, guardando il divano ad angolo tappezzato
di finta pelle rosa, ripensò al weekend che aveva passato in
quella casa. Gli era bastata un'ora per capire che il loro matrimonio era in crisi. Elspeth aveva un fare civettuolo, che
in lei era sempre sintomo di tensione, mentre Luke ostentava un'atteggiamento forzatamente amichevole e ospitale,
cosa del tutto inusuale per lui.
Il sabato sera avevano organizzato un cocktail party al
quale erano stati invitati i colleghi più giovani del Redstone Arsenal. Il soggiorno era pieno di scienziati vestiti in
maniera trasandata che disquisivano di razzi accanto a ufficiali che discutevano sulle speranze di promozione e
belle donne che spettegolavano sugli intrighi amorosi alla
base militare. Il grammofono era stato caricato con una pila di dischi di jazz, ma quella sera la musica gli era parsa
più malinconica che gioiosa. Luke ed Elspeth si erano
ubriacati - fatto insolito per entrambi - e mentre lei si era
fatta ancor più civettuola, lui era diventato sempre più taciturno. Per Anthony era stato un grande dolore vedere
una tale infelicità in due persone che ammirava così tanto,
e quel weekend aveva finito per deprimerlo.
Ora quel lungo dramma costituito dall'intreccio delle
loro vite stava per giungere all'inevitabile conclusione.
Anthony decise di perquisire la casa. Non sapeva cosa
cercare, ma avrebbe potuto imbattersi in qualcosa in grado di fargli capire il perché della presenza di Luke a
Huntsville, e metterlo in guardia da pericoli imprevisti.
Indossò un paio di guanti di gomma trovati in cucina. Prima o poi ci sarebbe stata un'indagine per omicidio e non
voleva lasciare in giro le sue impronte.
Cominciò dallo studio, un ambiente piccolo pieno ditesti scientifici. Sedette alla scrivania, che guardava verso il
giardino, e aprì i cassetti.
Nelle due ore seguenti perlustrò la casa da cima a fondo senza trovare nulla.
Frugò in ogni tasca di ogni indumento del fornitissimo
guardaroba di Luke. Sfogliò uno per uno tutti i libri dello
studio alla ricerca di qualche documento nascosto tra le
pagine. Guardò sotto il coperchio di ciascun contenitore
dell'enorme frigorifero a due ante. Andò in garage e passò al setaccio la magnifica Chrysler 300C nera - la berlina
più veloce del mondo, a sentire i giornali -, a partire dai
fari dalla forma aerodinamica fino alle pinne da nave spaziale dei parafanghi posteriori.
Nel corso della perquisizione apprese anche qualche segreto personale. Elspeth si tingeva i capelli, prendeva pillole per dormire e soffriva di stitichezza. Luke, da parte
sua, usava uno shampoo antiforfora ed era abbonato a
"Playboy".
Sul tavolo nell'ingresso c'era una piccola pila di posta,
presumibilmente messa lì dalla cameriera. Anthony la
scorse senza trovarvi nulla di interessante: la pubblicità di
un supermercato, una copia di uNewsweek~~, una cartoli-
na di Ron e Monica dalle Hawaii, parecchia corrispondenza commerciale.
La ricerca era stata infruttuosa. Ancora non sapeva cosa
avesse in mente Luke.
Andò in soggiorno. Scelse una posizione dalla quale poteva tenere d'occhio sia il giardino sul davanti della casa
sia l'ingresso. Si accomodò sul divano di finta pelle rosa.
Estrasse la pistola, controllò che il caricatore fosse pieno
e inserì il silenziatore.
Nel tentativo di tranquillizzarsi, si immaginò la scena.
Arriva Luke, a bordo di un taxi, attraversa il giardino, tira
fuori la chiave e apre la porta.. Entra nell'ingresso e si dirige verso la cucina. Passando davanti al soggiorno lancia
un'occhiata attraverso la porta aperta e lo vede lì, seduto
sul divano. Si ferma, sorpreso, e fa per dire qualcosa. Nella sua mente prende forma una frase del tipo: "Anthony?
Cosa diavolo?...", ma le sue labbra non hanno il tempo di
pronunciarla. Gli cade lo sguardo sulla pistola puntata
contro di lui e capisce immediatamente che è la fine.
Allora Anthony gli spara, uccidendolo.
15.00.
Nello spazio, l'inclinazione dell'ultimo stadio sarà controllata
da un sistema di ugelli ad aria compressa montato nella coda del
compartimento che alloggia la strumentazione.
Billie era sicura di essersi persa.
Lo aveva capito ormai da mezz'ora. Uscita dall'aeroporto a bordo della Ford presa a noleggio pochi minuti prima
dell'una, si era diretta verso il centro di I-Iuntsville e da lì
aveva preso la Highway ~ in direzione di Chattanooga.
Subito si era chiesta come mai il laboratorio collaudi si trovasse a un'ora di macchina dalla base e aveva immaginato
che doveva essere per motivi di sicurezza: forse c'era il pericolo che i componenti esplodessero durante i test.
L'uomo al telefono le aveva detto di prendere una stradina sulla destra a cinquanta chilometri esatti da Huntsville.
Billie aveva azzerato il contachilometri in Main Street, ma
quando l'indicatore era arrivato a cinquanta, non aveva visto né la stradina né altre indicazioni. Perplessa, era andata
avanti e aveva imboccato la prima intersezione, tre chilometri più avanti.
Le spiegazioni, che le erano parse così puntuali mentre
prendeva nota, in realtà non corrispondevano per nulla
alla realtà, e così, nonostante la crescente preoccupazione,
aveva proseguito, interpretandole meglio che poteva. Di
sicuro l'uomo con cui aveva parlato non era attendibile
come le era parso. Avrebbe voluto poter parlare direttamente con Luke.
La vegetazione diventava a mano a mano più selvaggia, le fattorie erano baracche di lamiera e le strade piene
di buche. La disparità tra le indicazioni e ciò che vedeva
attorno a se si fece sempre più marcata finché, a un certo
punto, si arrese e dovette ammettere di essersi persa~ Era
furiosa con se stessa e con quello stupido al telefono.
Fece inversione di marcia decisa a tornare indietro per
la stessa strada, ma presto si trovò a transitare in posti dei
tutto nuovi. Che stesse girando in tondo? Rallentò davanti a un campo dove un nero in salopette e cappello di pa-
glia stava lavorando la terra con un aràtro tirato da un
ronzmo. Si fermò e si rivolse all'uomo. «Sto cercando il laboìatorio còllaudi del Redstone Arsenal» disse.
L'uomo parve soÙpreso~ «La base dei militari? È dall'altra parte di Huntsvdle!»
«Sì, ma hanno qi~iaIche laboratorio anche qui intorno.»
«Mai visti.»
L'unica soluzione era chiamare il laboratòriò e chiedere
indicazioni più precise. «Potrei usare il suo telefono?»
«Qui tion ce ne sono.»
Stava per chiedergli dove si trovasse il telefonò pubblico
più vicino, quando si accorse che l'uomo aveva un'espressione spaventata. Capì di averlo messo jn una situazione
che lo rendeva nervoso: solo in un campo con una donna
bianca che diceva cose senza senso. Lo ringraziò in fretta e
ripartì.
Dopo qualche chilometro si imbatté in un fatiscente negozio dì generi alimentàri con tini telefono pubblico àccanto all'ingresso. Si fermò. Aveva ancora il foglio con il numero di Luke. Infilò dieci centesimi nella fessura e lo
compose.
Risposero subito, «Pronto?» disse una giovane voce maschile.
«Posso parlare con il dottor Claude Lucas?»
«Ha sbagliato numero, dolcezza.»
Riuscirò a fame una giusta? si chiese Billie, disperata.
«Non è il JE 64231 di Huntsville?»
Dall'altra parte ci fu una pausa~ «Sì,.. sull'apparecchio
c'è scritto proprio così.»
Billie controllò di nuovo il messaggio. Non aveva sbagliato numero. «lo sto cercando di mettermi in contatto
con il laboratorio collaudi.»
«Be', lei ha chiamato un telefono pubblico dell'aeropor~
to di HuntsVille»
«Un telefono pùbblico?»
«Sissignora.»
Billie cominciò a rendersi conto di essere stata giocata.
«Stavo per chiamare mia madre e dirle di venirmi a
prendere» proseguì la voce all'altro capo «e quandò tiro
su il ricevitore sento lei che cerca questo Claude.»
«Oh, merd a!» esclamò Billie, e sbatté giù il telefono, furibonda con se stessa per essere stata così credulona.
Luke non era stato prelevato dal suo aereo a Norfolk e
caricato su un volo dell'esercito. E noti era al laboratorio
collaudi, ovunqùe ~i trovasse. Tutta la storia era una menzogna bella ~ buona inventata per sbarazzarsi di lei. E
aveva funzionato. Guardò l'orologio. A quell'orà Luke
doveva essere già atterrato. Anthony lo aspettavà... e lei
avrebbe anche potuto restare à Washington, per qùello
che era servita la sua presenza.
Disperata, si chiese se Ltnke fosse ancora vivO.
Forse faceva ancora in tempo ad avvertirlo. Era troppo
tardi per lasciargli un messaggio all'aeroporto, ma doveva pur esserci qualcuno con cui parlare... Si sforzò di concentrarsi. Si ricordò che Luke aveva una segretaria alla base, e il suo nòme era quello di un fiore...
Marigold, tagete.
Chiamò il kedstone Arsenal e chiese di parlare con la
segretaria del dottor Lucas.
Rispose una dohna con la parlata lenta dell'Alabama.
«Centro dl calcolo, desidera?»
«I>arlo con Marigold?>~
«Sì.»
«Sono la dottoressa Josephson, un'amica del dottor
Lucas.»
«Sì?...» La donna sembrava sospettosa.
Billie, invece, voleva che si fidasse di lei. «Ci siamo già
parlate, credo. Mi chiamo Billie.»
«Oh, certo, ora ricordo. Come sta?»
«Bene, ma sono molto preoccupata. Devo far avere un
messaggio urgente a Luke. È lì con lei?»
«No, dottoressa. E andato a casa sua.»
«A fare cosa?»
«A cercare una cartellina.»
«Una cartellina?» Billie intui subito il significato della cosa. «Una cartellina che ha lasciato lì lunedì, per caso?»
«Questo non glielo so dire» rispose Marigold.
Di certo Luke doveva essersi raccomandato con la segretaria di non fare cenno alla sua visita di lunedì. Ma ora
non aveva alcuna importanza. «Se vede Luke, o lo sente,
vorrebbe comunicargli un messaggio da parte mia?»
«Certo.»
«Gli dica che Anthony è in città~>
«Tutto qui?»
«Lui capirà. Ah, Marigold... ho qualche esitazione a
parlargliene, non vorrei passare per pazza, ma penso sia
meglio che lei lo sappia: credo che Luke sia in pericolo.»
«Per via di questo Anthony?»
«Esatto. Allora mi crede?»
«Stanno succedendo delle cose così strane... Ha a che
fare con la perdita della memoria?»
«Si, e se riesce a fargli avere questo messaggio potrebbe
salvargli la vita. Non sto scherzando.»
«Farò quello posso, dottoressa.>~
«Grazie» disse Billie e riattaccò.
C'era qualcun altro con cui Luke poteva cercare di mettersi in contatto? Elspeth, forse.
Chiamò l'operatore e si fece passare Cape Canaveral.
15.45.
Dopo essersi liberato del primo stadio, il miss ile seguirà una
traiettoria controllata dagli strumenti che lo porterà perfettamente orizzontale rispetto alla superficie terrestre.
A Cape Canaveral regnava un pessimo umore. Il Pentagono aveva decretato lo stato di massima allerta. Arrivando alla base, quella mattina, impazienti di mettersi al lavoro per gli ultimi controlli prima del lancio, avevano
dovuto aspettare tutti in fila ai cancelli. Alcuni erano stati
costretti a restare per tre ore sotto il sole della Florida. Risultato: auto rimaste a secco, radiatori in ebollizione, motori in panne che si rifiutavano di ripartire. Ogni veicolo
era stato esaminato da cima a fondo: bagagliai passati al
setaccio, sacche da golf perquisite, ruote di scorta sollevate dagli alloggiamenti, tutte le valigette aperte, i sacchetti
del pranzo controllati uno per uno, le borse delle signore
svuotate su un tavolo, cosicché gli uomini del colonnello
Hide si ritrovarono a frugare tra rossetti, lettere d'amore,
deodoranti e assorbenti. Gli animi erano surriscaldati.
Ma non era finita lì: quando finalmente fu possibile rag-
giungere i laboratori, gli uffici e le officine, squadre di uomini addetti alla sicurezza interna interruppero il lavoro
per ispezionare cassetti e schedari, guardare anche dentro
gli strumenti più sofisticati, arrivando persino a rimuovere gli sportellini di controllo dai macchinari. «Qui si sta
cercando di lanciare un missile» protestavano tutti, ma le
perquisizioni continuavano. Nonostante le interruzioni,
però, il lancio restava programmato per le dieci e trenta di
quella sera.
Elspeth era contenta di tutto questo scompiglio: significava che nessuno si sarebbe accorto che era sconvolta al
punto da non riuscire più a svolgere bene il proprio lavoro. Aveva fatto degli errori e consegnato gli aggiornamenti in ritardo, ma Willy Fredrickson era troppo distratto per
rimproverarglielo.
Non sapeva dove si trovasse Luke e non era più sicura
di potersi fidare di Anthony.
Quando il telefono sulla sua scrivania si mise a squillare, poco prima delle quattro, le sembrò che il cuore si
fermasse.
Afferrò il ricevitore. «Sì?»
«Sono Billie.»
«Billie?» fece Elspeth sorpresa. «Dove sei?»
«A Huntsville. Sto cercando di mettermi in contatto con
Luke.»
«Cosa ci fa lì?»
«E venuto a cercare una cartellina che ha lasciato qui
lunedì.»
Elspeth rimase a bocca aperta. «Non sapevo che lunedì
fosse stato a Huntsville.»
«Non lo sapeva nessuno, a parte Marigold. Elspeth, hai
idea di cosa stia succedendo?»
«Credevo di saperlo» rispose lei con una risata amara,
«ma ora non ne sono più tanto sicura.»
«Sono convinta che la vita di Luke sia in pericolo.»
«Cosa te lo fa pensare?»
«Ieri sera, a Washington, Anthony gli ha sparato.»
Elspeth si sentì gelare. «Oh, mio Dio!»
«Ora è troppo complicato da spiegare. Se Luke ti chiama, puoi dirgli che Anthony è a Huntsville?»
Elspeth stava ancora cercando di riprendersi dallo choc.
«Certo... certo, glielo dirò.»
«Potresti salvargli la vita.»
«Capisco. Ah, Billie... ancora una cosa.»
«Sì?»
«Abbi cura di Luke, ti prego.»
Dall'altra parte ci fu una pausa. «Cosa intendi dire?»
chiese Billie. «Non sei mica in punto di morte.»
Elspeth non rispose. Dopo qualche secondo, interruppe
la comunicazione.
Le sfuggì un singhiozzo, ma cercò con tutte le sue forze
di controllarsi. Piangere non sarebbe servito a nulla, pensò. Si costrinse a calmarsi.
Quindi compose il numero di casa a Huntsville.
16.00.
L'orbita ellittica dell'Explorer lo porterà a una distanza massima dalla terra di oltre 3000 chilometri e a una minima di circa
350. La velocità orbitale del satellite sarà di oltre 33.000 chilometri all'ora.
Anthony udì il motore di un'auto. Guardò dalla finestra e vide un taxi fermarsi davanti al marciapiede. Tolse
la sicura alla pistola. Aveva la gola secca.
Squillò il telefono.
L'apparecchio si trovava su uno dei tavolini da caffè
triangolari posti all'estremità del divano. Anthony lo fissò
inorridito. Il telefono fece un altro squillo. Paralizzato per
l'indecisione, guardò di nuovo fuori dalla finestra e vide
Luke scendere dal taxi. La telefonata poteva essere una
cosa da nulla, una sciocchezza, una chiamata per sbaglio.
Oppure poteva essere una comunicazione di vitale importanza.
Il terrore montò dentro di lui. Non poteva rispondere e
sparare allo stesso tempo.
Il telefono squillò una terza volta. In preda al panico,
Anthony afferrò il ricevitore. «Sì?»
«Sono Elspeth.»
«Cosa c'è?»
La voce di lei era bassa e tesa. «Sta cercando una cartellina che ha nascosto a Huntsville lunedì.»
Anthony capì in un lampo. Luke aveva fatto delle copie
dei documenti che aveva portato a Washington e si era fermato a Huntsville per nasconderle. «Chi altri sa di questo?»
«Marigold, la sua segretaria. E Billie Josephson... è stata lei a dirmelo. Ma potrebbero esserci altri.»
Luke stava pagando il tassista. Anthony non aveva più
tempo. «Devo mettere le mani su quella carteilma.»
«E quello che pensavo anch'io.»
«Qui non c'è, ho appena finito di perquisire la casa da
cima a fondo.»
«Allora dev'essere alla base.»
Luke si stava avvicinando alla porta d'ingresso.
«Non ho più tempo» disse Anthony e sbatté giù il ricevitore.
Mentre attraversava l'ingresso di corsa e si infilava in
cucina, sentì la chiave girare nella serratura. Uscì dalla
porta sul retro e la richiuse senza far rumore. La chiave
era ancora infilata nella toppa, all'esterno. La girò piano,
si chinò, e la fece scivolare sotto il vaso di fiori.
Si gettò a terra e strisciò lungo il portico, rasentando la
casa sotto il livello delle finestre. Sempre in quella posizione girò l'angolo e si trovò sul davanti. Da lì alla strada non
c'era alcun riparo. Doveva rischiare.
La cosa migliore era fare una corsa mentre Luke posava
la valigia e appendeva il cappotto. In quel momento era
meno probabile che guardasse fuori dalla finestra.
Anthony strinse i denti e fece un passo in avanti.
Andò velocemente al cancello, resistendo alla tentazione
di voltarsi indietro, aspettandosi da un momento all'altro
di udire la voce di Luke: "Ehi! Fermo! Fermati o sparo!".
Non accadde nulla.
Raggiunse la strada e si allontanò indisturbato.
16.30.
Il satellite contiene due minuscoli trasmettitori radio alimentati
da batterie al mercurio non più grandi di quelle di una torcia
elettrica. Ciascuno trasmette simultaneamente su otto canali di
telemetria.
In soggiorno, sopra il mobile per la televisione, accanto a
una lampada di vimini, c'era una cornice, anch'essa in vimini, con dentro una foto a colori. Ritraeva una splendida
donna dai capelli ramati in abito da sposa color avorio. Accanto a lei, in giacca a coda di rondine grigia e gilet giallo,
c'era Luke.
Osservò l'immagine di Elspeth. Avrebbe potuto essere
una stella del cinema. Era alta, elegante, con un fisico voluttuoso. Che uomo fortunato a essere sposato con lei,
penso.
La casa, però, non gli piaceva. Quando l'aveva vista
dall'esterno, con il glicine che saliva lungo le colonne del
portico, gli si era rallegrato il cuore. L'interno, invece, era
tutto spigoli, superfici lucide e colori violenti. E così in ordine... Di colpo capì che a lui sarebbe piaciuto vivere in
una casa in cui i libri straripavano dagli scaffali, il cane
dormiva su] tappeto in mezzo all'ingresso e dove non si
poteva entrare in garage con l'auto perché il vialetto d'accesso era bloccato da un triciclo abbandonato con le ruote
all'insù.
Ma lì non c'erano bambini, né animali domestici. Era
tutto perfettamente in ordine. Pareva una di quelle case
che si vedono sulle riviste femminili, o il set di una commedia televisiva. Luke aveva la sensazione che le persone
che abitavano quelle stanze fossero in realtà degli attori.
Cominciò a cercare. Una cartellina beige avrebbe dovuto essere facile da trovare, a meno che lui non l'avesse
buttata via dopo aver tolto il contenuto. Sedette alla scrivania dello studio - il suo studio - e guardò nei cassetti.
Non trovò nulla di significativo.
Salì al piano superiore.
Rimase qualche secondo a osservare il grande letto matrimoniale con il copriletto giallo e blu. Era difficile pensare che ogni sera lui lo divideva con la splendida creatura
ritratta nella foto.
Aprì l'armadio e, con enorme piacere, vide appesi degli
abiti blu scuro e grigio, giacche sportive di tweed, camicie
a righe e a quadretti, maglioni riposti in pile ordinate,
scarpe lucide posate in ordine perfetto sui loro ripiani.
Erano più di ventiquattr'ore che aveva indosso quell'abito rubato e fu tentato di concedersi cinque minuti per fare
una doccia e cambiarsi, ma si trattenne: non c'era tempo
da perdere.
Perquisì la casa da cima a fondo, compreso il garage.
Ovunque guardasse, scopriva qualcosa di sé e di sua nioglie. Amavano ascoltare Glen Miller e Frank Sinatra, leggevano Hemingway e Scott Fitzgerald, bevevano whisky
scozzese Dewar, mangiavano cereali Alì-Bran e si lavavano i denti con il Colgate. Guardando nell'armadio, scoprì
che Elspeth aveva un debole per la biancheria costosa.
Lui, invece, doveva essere un amante del gelato, perché il
freezer ne era pieno ed Elspeth era così snella che non
sembrava possibile fosse lei a mangiarlo.
Alla fine si arrese.
un cassetto della cucina trovò le chiavi della Chrysler
parcheggiata in garage. Sarebbe andato alla base e avreb-
be continuato a cercare là.
Prima di uscire prese la corrispondenza posata nell'ingresso e la scorse. Sembravano tutte comunicazioni commerciali, fatture da pagare e cose simili. Alla ricerca disperata di un qualsiasi indizio, aprì le buste ed esaminò ogni
lettera.
Una era di un medico di Atianta.
Cominciava così:
Gentile Mrs Lucas,
in riferimento al suo check-up annuale, la informo che abbiamo ricevuto dal laboratorio i risultati dei suoi esami. Tutti i valori sono nella norma. Ma...
Luke si interruppe. Qualcosa gli diceva che non era sua
abitudine leggere la corrispondenza di altri. D'altro canto,
in questo caso si trattava di sua moglie e quel "ma" era inquietante. Forse aveva qualche problema di salute di cui
avrebbe dovuto essere informato.
Continuò la lettura.
lei risulta sotto peso, soffre di insonnia e quando l'ho visitata era chiaro che aveva appena pianto, nonostante lei insistesse nel dire che andava tutto bene. Questi sono tutti sintomi di
uno stato depressivo.
Luke aggrottò la fronte. La cosa era preoccupante. Perché si sentiva depressa? Che genere di marito era, lui?
La depressione può essere causata da mutamenti nella chimica del corpo, da problemi mentali irrisolti tipo le difficoltà coniugali, o da traumi subiti in età giovanile, quali la perdita di un
genitore. La cura può basarsi su farmaci antidepressivi, accompagnati o meno da una terapia psichiatrica.
Di male in peggio. Elspeth aveva problemi psicologici?
Nel suo caso, sono certo che il problema sia strettamente correlato alla legatura delle tube cui si è sottoposta nel 1954.
Cos'era una legatura delle tube? Luke andò nello studio,
accese la lampada da tavolo, prese dallo scaffale l'Enciclopedia medica per la famiglia e si mise a cercare. Quello che lesse lo lasciò di sasso: era il metodo più comune di sterilizzazione per le donne che non desideravano avere figli.
Si lasciò cadere sulla poltroncina e posò l'enciclopedia
sulla scrivania.
Rammentò la conversazione avuta con Elspeth quella
mattina. Le aveva chiesto perché non potevano avere figli
e lei aveva risposto: "Non lo sappiamo. L'anno scorso sei
stato da uno specialista in problemi della fertilità, ma non
ha trovato niente di anormale. Alcune settimane fa ho visto una dottoressa ad Atlanta che mi ha sottoposta ad alcuni test. Stiamo aspettando i risultati".
Tutte bugie. Lei sapeva perfettamente perché non potevano avere figli: si era fatta sterilizzare.
Era effettivamente andata da un medico ad Atlanta, ma
non per sottoporsi a un test della fertilità: era solo per un
controllo di routine.
Luke si sentiva distrutto. Era un tradimento insopportabile. Perché gli aveva mentito? Lesse il paragrafo seguente.
Questa procedura può essere causa di depressione a qualsiasi età ma, nel suo caso, essendosi sottoposta all'operazione sei
settimane prima del matrimonio...
Luke era allibito. Allora il problema era davvero grosso.
Elspeth aveva cominciato a mentirgli fin da prima di sposarlo.
Come aveva fatto? Di certo non poteva ricordarlo, ma
non aveva difficoltà a immaginarselo. Probabilmente gli
aveva detto che si doveva sottoporre a una piccola operazione, forse aveva addirittura alluso al fatto che si trattava
di "una questione da donne".
Riprese a leggere.
una reazione del genere era quasi inevitabile, e lei avrebbe
dovuto rivolgersi al suo medico con regolarità.
La rabbia di Luke svanì quando si rese conto di quanto
avesse sofferto Elspeth. Rilesse la parte che diceva "lei risulta sotto peso, soffre di insonnia e quando l'ho visitata
era chiaro che aveva appena pianto, nonostante lei msistesse nel dire che andava tutto bene". Si era condannata a
una specie di inferno personale.
Nonostante provasse pietà per lei, restava il fatto che il
loro matrimonio era stato tutto una menzogna. Ripensando alla casa che aveva appena passato al setaccio, si rese
conto che non la sentiva per niente sua. Stava bene lì nello
studio, e aveva provato una sensazione familiare nell'aprire l'armadio, ma tutto il resto presentava un'immagine
di vita matrimoniale che gli era del tutto estranea. Non gli
interessavano gli elettrodomestici per la cucina, né l'elegante arredo moderno. Avrebbe preferito vecchi tappeti e
mobili di famiglia. Ma, più di ogni altra cosa, desiderava
dei bambini.., bambini che lei gli aveva deliberatamente
negato. E gli aveva mentito su questo per quattro anni.
Lo choc lo paralizzò. Rimase seduto alla scrivania a guardare fuori dalla finestra, mentre la sera calava sugli alberi
del giardino. Come aveva potuto permettere che la propria
vita prendesse una piega così disastrosa? Pensò a quanto
aveva appreso su se stesso nelle ultime trentasei ore, da Elspeth, Billie, Anthony e Bern. Era successo un poco alla volta, come un bambino che si allontana sempre più e smarrisce la via di casa? Oppure c'era stata una svolta repentina,
un momento preciso in cui aveva imboccato la strada sbagliata? Era un debole, andato alla deriva per la mancanza di
un ideale, o era tutta colpa del suo carattere?
Di sicuro doveva essere una frana nel giudicare le persone. Era rimasto vicino a Anthony, che aveva cercato di
ucciderlo, ma aveva rotto con Bern che invece si era dimostrato un amico fidato e leale. Aveva litigato con Billie e
sposato Elspeth, ma mentre Billie si era fatta in quattro
per aiutarlo, Elspeth lo aveva ingannato.
Una grossa falena andò a sbattere contro il vetro della
finestra e il rumore distolse Luke dalle sue riflessioni.
Guardò l'orologio e vide con sorpresa che erano le sette
passate.
Se sperava di sciogliere l'enigma della propria vita, doveva cominciare da quella misteriosa cartellina. Lì non
c'era, dunque doveva per forza trovarsi al Redstone Arsenal. Era ora di spegnere le luci, chiudere la casa, tirare
fuori l'auto nera dal garage e andare alla base.
lì tempo stringeva. Il lancio del satellite era previsto per
le dieci e mezzo. Aveva poco più di tre ore per scoprire se
esisteva un piano di sabotaggio. Ma continuava a restare
seduto lì dietro la scrivania, a guardare il giardino avvolto
dall'oscurità, senza vedere nulla.
19.30.
Il primo radiotrasmettitore è potente ma ha una vita breve: cesserà di funzionare dopo due settimane. il segnale più debole generato dal secondo durerà invece due mesi.
Quando Billie passò in auto davanti alla casa di Luke
vide che non c'erano luci accese. Cosa significava? Esistevano tre possibilità. Primo: la casa era vuota. Secondo:
Anthony era lì dentro, al buio, che aspettava Luke per
sparargli. Terzo: Luke giaceva cadavere in una pozza di
sangue. Il non sapere la terrorizzava.
Aveva fallito, forse con esiti drammatici. Qualche ora
prima aveva avuto buone probabilità di avvisare Luke e
salvargli la vita, ma si era fatta fregare da un banali ssimo
stratagemma. Aveva impiegato ore per tornare a Huntsville e trovare la casa di Luke, e ignorava se lui avesse ricevuto i suoi messaggi. Era furiosa con se stessa per la
propria dabbenaggine e terrorizzata al pensiero che potesse essere morto per colpa sua.
Svoltò al primo incrocio dopo la casa e si fermò. Respirò a fondo e si impose di riflettere con calma. Doveva
scoprire cosa c'era lì dentro. E se ci fosse stato Anthony?
Pensò di introdursi nell'abitazione di soppiatto nella speranza di prenderlo alla sprovvista, ma era troppo pericoloso. Non era mai una buona idea sorprendere un uomo
armato. Poteva presentarsi alla porta d'ingresso e suonare
il campanello. Anthony avrebbe avuto il coraggio di sparane a sangue freddo? Era possibile, e lei non aveva il diritto di rischiare la propria vita avventatamente... suo figlio aveva bisogno di lei.
La valigetta che aveva portato con sé era posata sul sedile del passeggero. L'aprì ed estrasse la Colt .45. Non le
piaceva il contatto del metallo freddo contro il palmo della mano. Gli uomini con cui aveva lavorato durante la
guerra amavano maneggiare le armi, traevano un piacere
quasi sessuale nell'impugnare una pistola, far girare il
tamburo di un revolver, poggiare il calcio di un fucile nell'incavo della spalla. Lei no. Per lei le armi erano brutali,
crudeli, fatte per dilaniare la carne e le ossa delle persone.
Le facevano accapponare la pelle.
Si posò l'automatica in grembo, fece inversione di marcia e tornò davanti alla casa di Luke.
Si fermò con uno stridio di freni, spalancò la portiera
con la pistola in pugno e salto giù. Prima che chiunque all'interno della casa potesse avere il tempo di reagire, aveva già scavalcato con un balzo il muretto basso e attraversato il prato di corsa, portandosi sul lato della casa.
Dall'interno non proveniva alcun rumore.
Andò verso il retro, chinandosi per passare davanti alla
porta e arrivò a una finestra. Guardò dentro. La debole luce
di un lampione lontano le permise di vedere che si trattava
di una semplice finestra a battenti con un solo chiavistello.
La stanza pareva vuota. Ruppe il vetro con il calcio della
pistola, aspettandosi da un momento all'altro lo sparo che
avrebbe messo fine alla sua vita. Ma non accadde nulla. Infilò la mano nel buco, liberò il chiavistello e aprì la finestra.
La scavalcò, tenendo la pistola con la destra, e si appiattì
contro la parete. Riusciva a distinguere le sagome vaghe
dei mobili, una scrivania e degli scaffali. Si trovava in un
piccolo studio. L'istinto le diceva che era sola, ma la terrorizzava l'idea di inciampare nel cadavere di Luke.
Lentamente attraversò il locale e localizzò la porta. Una
volta abituatasi all'oscurità vide un ingresso, deserto. Uscì
con cautela dalla stanza, pronta a sparare. Fece il giro di
tutta la casa, nel buio più completo. Tutte le stanze erano
vuote.
Alla fine delle ricerche si fermò nella camera dove campeggiava il grande letto matrimoniale in cui Luke dormiva
con Elspeth. Pensò al da farsi. Si sarebbe messa a piangere
dalla gioia per non aver trovato Luke morto. Ma dov'era?
Aveva cambiato idea, decidendo di non passare da casa?
~pure il suo corpo era stato fatto sparire? Forse .Anthony
non era riuscito a ucciderlo, o magari Luke aveva ricevuto
uno dei suoi messaggi.
Marigold era la sola persona che poteva darle qualche
risposta.
Billie tornò nello studio e accese la luce. Sulla scrivania
c'era un dizionario medico, aperto alla pagina che parlava
di sterilizzazione femminile. Trovò strana la cosa, ma non
vi diede troppo peso. Chiamò il servizio informazioni e
chiese il numero di Marigold Clark. Temeva che la donna
non avesse il telefono, ma dopo qualche secondo l'operatore le diede un numero di Huntsville.
Rispose un uomo. «E andata alle prove del coro» le disse.
Billie pensò che si trattasse del marito. «Mrs Lucas è giù in
Florida e Marigold dirige lei il coro finché non torna.»
Billie si ricordò che Elspeth aveva diretto l'orchestra
della Radcliffe Choral Society e, in seguito, un gruppo formato da bambini di colore a Washington. Sembrava che
continuasse quell'attività anche lì a Huntsville, e Marigold era il suo vice. «Ho bisogno di parlare urgentemente
con Marigold» disse Billie. «Pensa che sia un problema se
interrompo le prove per un minuto?»
«Credo proprio di no. Sono alla Calvary Gospel Church
in Milì Street.»
«Grazie, è stato davvero gentile.»
Billie andò alla macchina. Trovò Milì Street sulla cartina
fornitale dalla Hertz e partì. La chiesa era un bell'edificio
di mattoni, ma si trovava in un quartiere degradato. Appena aperta la portiera dell'auto li sentì e, quando entrò,
la musica la sommerse come un'onda di marea. I coristi
stavano in piedi sul lato opposto della chiesa. Erano solo
una trentina, tra uomini e donne, ma sembrava fossero
cento. «Everybody's gonna have a wonderful time up there...
Oli! Glvry, hallelujah!» diceva l'inno. Mentre cantavano,
battevano le mani e ondeggiavano. Un pianista li accompagnava al ritmo di una musica da bar di infimo ordine,
mentre una donna corpulenta dirigeva con energia, dando la schiena all'ingresso.
I posti a sedere erano costituiti da file ordinate di sedie
pieghevoli di legno. Billie sedette verso il fondo, un po'
imbarazzata per il fatto di essere l'unica bianca. Nonostante la tensione, la musica le toccò il cuore. Era nata in
Texas, e quegli accordi ritmati e vivaci rappresentavano
l'anima del Sud.
Era impaziente di parlare con Marigold, ma era sicura
che la donna sarebbe stata più disponibile se lei avesse
avuto la delicatezza di attendere la fine del pezzo.
Terminarono su una nota alta, e immediatamente la
donna si voltò a guardare dietro di sé. «Mi stavo chiedendo cosa fosse successo per farvi perdere la concentrazione» disse, rivolta ai coristi. «Facciamo una pausa.»
Billie si avvicinò lungo la navata. «Mi dispiace interromperla» esordì. «Lei è Marigold Clark?»
«Sì» rispose la donna, guardinga. Era sulla cinquantina
e portava occhiali vistosi. «Ci conosciamo?»
«Ci siamo parlate al telefono qualche ora fa. Sono Billie
Josephson.»
«Oh, salve, dottoressa Josephson.»
Si allontanarono di qualche passo dagli altri.
«Sa qualcosa di Luke?» chiese Billie.
«Non l'ho più sentito da questa mattina. Mi aspettavo
che venisse alla base questo pomeriggio, ma non l'ho visto.
Pensa che sia tutto a posto?»
«Non lo so. Sono andata a casa sua, ma non c'era nessuno. Temo che possa essere stato ucciso.»
Marigold scosse la testa, sconcertata. «Sono vent'anni
che lavoro nell'esercito, ma non ho mai sentito niente di
simile.»
21.30
«Comunque, se è ancora vivo sta correndo un grave pericolo» proseguì J3illie. «Mi crede?»
Marigold esitò a lungo prima di rispòndere. ~<Sì, signora, le credo» dìs~e infine.
«Allora deve aiutarmi.»
Il segnale rad/o
emesso dal trasmettitore più potente può essere
ricevuto da
radioamatori di tutto il mondo, il più debole, invece;.
soltanto da stazioni
dotate di una particolare strumentazione.
Anthony si trovavà
al Redstòiìe Arsenal. Era appostato
al buio, a bòrdo
della Fox~d dell'esercitò parcheggiata daVaùti al quartie~
generale, e scrutava ansioso la pòrta del
cent~d di calcolo a
un centinaio di metri di distanza.
Luke era là dentro
e stava cercando quella maledetta cartellina. Anthot~y
era certo che non l'avrebbe trovata, cosi
come sapeva che non
l'avrebbe trovata a casa, perché l'aveva già cercata lui,
inutilmente. Ora però non era più in gràdo di prevedere i
suoi movimenti: poteva solo aspettare
che decidesse di
andare da qualche ~aÙte e segùirio.
Il fattore tempo
eiia dalla sua, Al passare di ogni mirinto, Luke diventava
sempre meno pericoloso. il lancio era
previsto da lì a
un'ora. Luke sarebbe stato in grado di rovinare tutto nei
giro di un'ora? Anthony sapeva solò che
negli ultimi due
giorni il suo vecchio amico aveva dimostrato di esseré un
avversario dà non sottovalutare.
Mentre meditava su
questo fatto, la torta del laboratorio si aprì
inondando di luce gialla il buio della notte. Ne
emerse una figura
che si diresse verso la Chrysler nera
parcheggia ta accan
tò al marciapiede Come prevedeva,
Luke er~ a mani
vuote. Salì in auto e parti.
Il cuore di Anthony si mise a battere più veloce. Avviò il
motore, accese i fari e gli andò dietro.
La strada puntava dritta verso sud. Dopo circa un chilometro e mezzo, Luke rallentò davanti a un lungo edificio basso e si infilò in un parcheggio. Anthony proseguì,
accelerando nella notte. Circa mezzo chilometro più avanti fece inversione di marcia e tornò indietro. Quando arrivò, la macchina di Luke era ancora lì, ma lui era sparito.
Anthony si infilò nel parcheggio e spense il motore.
Luke era praticamente certo di trovare la cartellina nel
suo ufficio al centro di calcolo. Per questo aveva passato
così tanto tempo là dentro. Aveva controllato ogni fascicolo nel suo ufficio personale e poi in quello delle segretarie,
ma senza trovare nulla.
Restava un'ultima possibilità. Marigold gli aveva detto
che lunedì era andato anche al reparto progettazione. Doveva esserci un motivo. E, comunque, era la sua ultima speranza. Se la cartellina non si trovava là, non sapeva proprio
dove altro cercare. In ogni caso, a quel punto non avrebbe
avuto più tempo: tra poco il satellite sarebbe stato lancia.0.., oppure avrebbe subito un sabotaggio.
Nel reparto progettazione regnava un'atmosfera molto
diversa da quella del centro di calcolo. Là l'ambiente era
asettico per garantire il buon funzionamento dei grandi
calcolatori che elaboravano i dati di spinta, velocità e
traiettoria. Il reparto progettazione al confronto era sporco come un'officina meccanica.
Si avviò a passo svelto per il corridoio. Le pareti erano
dipinte di verde scuro fino all'altezza della cintura e di
verde chiaro al di sopra. La maggior parte delle targhette
sulle porte avevano la dicitura uDr~1, quindi quelli dovevano essere gli uffici degli scienziati. Purtroppo nessuna
diceva "Dr Claude Lucas". Era probabile che lì non avesse
un secondo ufficio, ma forse una scrivania si.
Alla fine del corridoio si apriva un ampio locale con alcuni tavoli di metallo. In fondo, una porta aperta dava su
un laboratorio attrezzato con banconi dal piano in granito
e cassettiere di metallo dipinto di verde. Oltre i banconi
c'era una grossa porta a due battenti che sembrava portare a una piattaforma di carico esterna.
La parete alla sua sinistra era occupata da una fila di armadietti, ognuno contrassegnato da una targhetta con il
nome. Uno era suo. Forse la cartellina era lì.
Tirò fuori il mazzo di chiavi e ne trovò una che poteva essere quella giusta. Lo sportello si aprì. Luke guardò dentro:
c'era un elmetto da cantiere, una tuta da lavoro blu e, posati sul ripiano più basso, un paio di stivali di gomma nera
che sembravano della sua misura. Da sotto gli stivali spuntava una cartellina beige. Doveva essere proprio quella che
stava cercando.
La cartellina conteneva una grossa busta gialla lacerata
su un lato. Dentro c'erano dei documenti. Quando li tirò
fuori dalla busta capì subito che si trattava di disegni riguardanti i componenti di un razzo.
Con il cuore che gli batteva all'impazzata, si avvicinò a
uno dei tavoli di metallo e spiegò i fogli sotto una lampada. Li studiò rapidamente e capi, senza il minimo dubbio,
che i disegni illustravano il sistema di autodistruzione del
razzo lupiter C.
Rimase sconvolto.
Ogni razzo era dotato di un sistema di autodistruzione
così che, nel caso fosse finito fuori rotta e avesse costituito
una minaccia per la popolazione, poteva essere fatto esplodere in aria. Per tutta la lunghezza del primo stadio correva
una treccia di Primacord che, all'estremità superiore, era
collegata a un detonatore da cui fuoriuscivano due terminali elettrici. Dai disegni Luke si rese conto che se a questi terminali fosse stata applicata una differenza di potenziale il
detonatore avrebbe innescato il Primacord, la cui esplosione avrebbe sventrato i serbatoi facendo fuoriuscire il combustibile, che si sarebbe incendiato distruggendo il satellite.
L'esplosione era comandata da un segnale radio codificato. Sui disegni erano indicati due scrambier, uno per il
trasmettitore al suolo, l'altro per il ricevitore sul missile.
Il
primo trasformava il messaggio radio in un segnale codificato, il secondo analizzava il segnale e, se questo era corretto, dava il via libera per l'alimentazione ai due terminali del detonatore. Un altro foglio, non un disegno tecnico
ma uno schizzo fatto a mano, riproduceva nel dettaglio il
circuito elettronico degli scrambier, cosicché chiunque fosse in possesso del disegno era in grado di riprodurre il codice di trasmissione.
Era geniale. I sabotatori non avevano bisogno di esplosivi né di dispositivi a orologeria: potevano utilizzare il
sistema di cui il razzo era già dotato. Non dovevano neppure avvicinarsi al missile, né introdursi a Cape Canaverai.
Una volta in possesso del codice, il segnale radio poteva
essere inviato da qualsiasi trasmittente a chilometri e chilometri di distanza.
Osservò la busta. Era indirizzata a Theo Packman, presso il Vanguard Motel. Probabilmente, in quello stesso momento, Packman se ne stava in qualche punto di Cocoa
Beach con un trasmettitore radio, pronto a far saltare in
aria il razzo qualche secondo dopo il lancio.
Lui, però, poteva impedirlo. Lanciò un'occhiata all'orologio elettrico appeso alla parete. Erano le dieci e un quarto. Faceva ancora in tempo a chiamare Cape Canaveral e
far rimandare il lancio. Afferrò il telefono sul bancone.
«Mettilo giù, Luke» disse una voce.
Luke si voltò lentamente, con il ricevitore in mano. Fermo sulla soglia c'era Anthony, con il suo cappotto di cammello, gli occhi pesti, il labbro gonfio e una pistola con il
silenziatore stretta nella mano e puntata verso di lui.
Seppure con riluttanza, Luke posò il ricevitore. «Mi hai
seguito.»
«Pensavo che avresti avuto troppa fretta per accorgertene.»
Luke osservò l'uomo che aveva così clamorosamente sbagliato nel giudicare. C'era in lui qualche segno distintivo
che
avrebbe dovuto notare? Un particolare tratto del viso che
poteva fargli capire che era un traditore? Anthony aveva un
viso non bello, ma che faceva pensare a una considerevole
forza di carattere, non alla capacità di tradire. «Da quanto lavori per Mosca?» gli chiese. «Dai tempi della guerra?»
«Prima. Da quando eravamo a Harvard.»
«Perché?»
Le labbra di Anthony si contorsero in uno strano sorriso. «Per un mondo migliore.»
Luke sapeva che negli anni addietro molti avevano creduto nel sistema sovietico, ma poi la loro fede si era incrinata di fronte alla realtà del regime di Stalin. «E ci credi
ancora?» disse, incredulo.
«In un certo senso sì. Resta ancora la prospettiva preferibile, nonostante tutto quello che è accaduto.»
Poteva anche essere così -. Luke non aveva modo di
giudicare -` ma non era quello il punto. Ciò che gli risultava così difficile da comprendere era il tradimento personale di Anthony. «Siamo amici da vent'anni» osservò «e
nonostante questo ieri sera mi hai sparato.»
«Già.»
«Tu uccideresti il tuo più vecchio amico in nome di una
causa in cui credi "in un certo senso"?»
ma lo faresti anche tu. Durante la guerra abbiamo
entrambi rischiato la nostra vita e quella di altri perché ci
sembrava giusto.»
«Ma non ci siamo mai ingannati, credo, e tanto meno
sparati a vicenda.»
«Lo avremmo fatto, se fosse stato necessario.»
«No... non credo.»
«Ascolta: se non ti uccido, adesso, tu tenteresti di impedirmi di fuggire. Giusto?»
Luke era spaventato, ma rispose con rabbiosa sincerità.
«Certo.»
«Anche se sai benissimo che, se venissi catturato, finirei
sulla sedia elettrica.»
«Credo di sì...
«Quindi anche tu sei disposto a uccidere un amico.»
-i
Luke fu colto alla sprovvista. Poteva essere considerato
alla stregua di Anthony? «Ti consegnerei alla giustizia.
Non è omicidio.»
«Ma io morirei comunque.»
Luke annuì lentamente. «Suppongo di sì.»
Anthony sollevò la pistola con mano ferma, puntandogliela al cuore.
Luke si gettò a terra dietro il tavolo d'acciaio.
La pistola fece uno sbuffo. Il proiettile colpì il ripiano
con un rumore metallico. Erano mobili scadenti, la lamie-
ra era sottile ma fu sufficiente a far deviare la traiettoria.
Luke rotolò sotto il tavolo. Immaginò che Anthony stesse cercando di prendere la mira per sparargli un'altra volta. Si sollevò in modo da trovarsi con la schiena incastrata
sotto il ripiano del tavolo, lo afferrò per due gambe e si
alzò in piedi, tirandolo su. Traballando sotto il peso, Luke
si lanciò alla cieca nella speranza di andare a sbattere contro Anthony.
Il tavolo rovinò a terra, ma senza travolgere nessuno.
Luke inciampò crollando sopra il tavolo rovesciato. Cadde a quattro zampe e picchiò la testa contro una gamba di
metallo. Rotolò dilato e si ritrovò seduto, stordito e dolorante. Alzò lo sguardo, aspettandosi di vedere Anthony
nella luce della porta del laboratorio, gambe divaricate e pistola stretta con entrambe le mani, pronto a far fuoco. Ma
Anthony aveva schivato il suo assalto maldestro e si era
portato a tiro. Ora Luke era davvero un bersaglio facile: un
attimo e sarebbe finita.
«Anthony! Fermo!» gridò una voce.
Era la voce di Billie.
Anthony rimase immobile, senza abbassare l'arma. Luke
si voltò lentamente a guardare dietro di sé. Billie era in piedi accanto alla porta: il suo maglione rosso formava una
chiazza vivace contro la parete verde. Stringeva in mano
una grossa automatica e la puntava contro Anthony. Alle
sue spalle c'era una donna di colore sulla cinquantina, dall'aria confusa e spaventata.
«Getta la pistola!» urlò Billie.
Luke si aspettava che Anthony gli sparasse comunque.
Se davvero era un comunista convinto, avrebbe potuto
decidere di sacrificarsi. Ma non avrebbe risolto nulla, perché i disegni avrebbero svelato l'intera faccenda.
Con gesto lento, Anthony abbassò le braccia, senza però
lasciar cadere l'arma.
«Gettala o sparo!»
Anthony le rivolse il suo sorriso beffardo. «No, non lo
farai. Non a sangue freddo.» Sempre con la pistola in mano, cominciò ad arretrare verso la porta aperta che conduceva nel laboratorio. Luke si ricordò di aver visto una porta che sembrava dare sull'esterno.
«Fermo!» ripeté Billie.
«Per te un razzo non vale più di una vita umana, anche
se si tratta della vita di un traditore» ribatté Anthony, continuando a camminare all'indietro. Ormai si trovava a soli
due passi dalla porta.
«Non mettermi alla prova!» esclamò lei.
Luke la fissava, chiedendosi se avrebbe sparato o meno.
Anthorìy si voltò e si lanciò oltre la porta.
Billie non sparò.
Nel laboratorio, Anthony scavalcò un bancone con un
balzo e, dopo aver spalancato con una spallata la grossa
porta a due battenti, scomparve nella notte.
Alzandosi in piedi, Luke vide Billie che stava correndo
verso di lui con le braccia aperte. Guardò l'orologio: erano
le dieci e ventinove. Gli restava solo un minuto per avvertire Cape Canaveral.
Voltò le spalle a Billie e sollevò il ricevitore.
22.29.
La strumentazione scientifica a bordo del satellite è stata
progettata per sopportare un `accelerazione al lancio superiore di
cento
volte a quella di gravità.
«Sono Luke, passami il responsabile del lancio» disse,
quando qualcuno rispose dalla casamatta.
«In questo momento sta...»
«Lo so cosa sta facendo! Passamelo subito!»
Ci fu una pausa. Luke sentiva in sottofondo il conto alla
rovescia. «Venti, diciannove, diciotto...»
«Sono Willy, cosa diavolo c'è?» protestò un'altra voce,
tesa e impaziente.
«Qualcuno è in possesso del codice di autodistruzione.»
«Oh, merda! Chi?»
«Sono quasi certo che si tratti di una spia. Vogliono far
saltare in aria il razzo. Devi fermare il lancio.»
«Undici, dieci...» continuava la voce in sottofondo.
«Come fai a saperlo?» chiese Willy.
«Ho trovato uno schema del circuito degli scrambler in
una busta indirizzata a un certo Theo Packman.»
«Questa non è una prova. Non posso cancellare il lancio
senza un motivo valido.»
Preso da un'improvvisa rassegnazione, Luke si lasciò
sfuggire un sospiro. «Senti, io non so cosa fare. Ti ho detto
quello che so. La decisione spetta a te.»
L
«Cinque, quattro...»
«Maledizione!» imprecò Willy, poi, alzando la voce, ordinò: «Ferma tutto!».
Luke si lasciò cadere su una sedia. Ce l'aveva fatta.
Guardò i volti ansiosi di Billie e Marigold. «Hanno fermato il lancio» annuncio.
Billie sollevò il bordo del maglione e si infilò la pistola
nella cintura dei pantaloni elasticizzati.
«Be', questa, poi!» esclamò Marigoid, a corto di parole.
Dall'altro capo del telefono si udì un brusio concitato.
Poi, un'altra persona ancora venne al telefono. «Luke? Sono il colonnello Hide. Cosa diavolo sta succedendo?»
«Ho scoperto il motivo del mio viaggio a Washington
lunedì. Conosce un certo Theo Packman?»
«Sì, credo sia un giornalista freelance che si occupa di
missili. Scrive per un paio di giornali europei.»
«Ho trovato una busta indirizzata a lui contenente i disegni del sistema di autodistruzione dell'Explorer, compreso
uno schizzo del circuito elettronico degli scrambler.»
«Oh, Cristo! Chiunque ne sia in possesso potrebbe far
saltare in aria il razzo!»
«È per questo che ho convinto Willy a fermare il lancio.»
«Grazie al cielo.»
«Senta, dovete trovare subito questo Packman. La busta portava l'indirizzo del Vanguard Motel. Forse è ancora là.»
«Ricevuto.»
<Packman agisce in combutta con Anthony Carrolì, un
uomo della Cia che fa il doppio gioco. È lui che mi ha intercettato a Washington prima che potessi avvertire il
Pentagono.»
«Un traditore all'interno della Cia?» Hide sembrava incredulo.
«Ne sono sicuro.»
«Li chiamerò per avvertirli.»
«Bene.» Luke riattaccò. Ormai aveva fatto tutto ciò che
era in suo potere.
«E ora?» chiese Billie.
«Andrò a Cape Canaverai. Il lancio verrà programmato
per domani alla stessa ora. Vorrei essere presente.»
«Anch'io.»
Luke sorrise. «Te lo sei meritato, hai salvato il missile.»
Si alzò in piedi e l'abbracciò.
«La tua vita, stupido. Chi se ne frega del missile, io ti ho
salvato la vita» disse Billie, e lo baciò.
Marigold diede un colpetto di tosse. «Avete perso l'ultimo aereo che parte da Huntsville» annunciò con tono
pratico.
Luke e Billie si staccarono, riluttanti.
«Il prossimo è un volo Mats che parte dalla base alle
cinque e mezzo del mattino» proseguì Marigold. «Oppure
ci sarebbe un treno della Southern Railway System. Fa
Cincinnati-Jacksonville e ferma a Chattanooga intorno
all'una. Con la sua bella auto potrebbe arrivarci in un paio
d'ore.»
«L'idea del treno non mi dispiace» osservò Billie.
Luke annuì. «Va bene.» Guardò il tavolo rovesciato.
«Qualcuno dovrà spiegare alla sicurezza la provenienza
di quella scalfittura di proiettile.»
«Ci penserò io domattina» disse Marigold. «Non vorrà
restare qui solo per rispondere a qualche domanda.»
Uscirono. Le loro macchine erano nel parcheggio, quella di Anthony era sparita.
Billie abbracciò Marigold. «Grazie» le disse. «È stata
meravigliosa»
Imbarazzata, Marigold tornò alle questioni pratiche.
«Vuole che riporti io l'auto alla Hertz?»
«Oh, grazie.»
«Su, ora andate e lasciate fare a me.»
Billie e Luke salirono sulla Chrysler e partirono. Lungo
la strada, lei disse: «C'è una questione di cui non abbiamo
parlato».
«Lo so» ribatté Luke. «Chi ha inviato quei disegni a
Theo Packman?»
«Deve trattarsi di qualcuno che lavora a Cape Canaveral, qualcuno all'interno del programma spaziale.»
«Esattamente.»
«Hai idea di chi possa essere?»
«Sì» rispose Luke, a disagio.
«Perché non ne hai parlato con Hide?»
«Perché non ho prove, e tanto meno un movente che
giustifichi i miei sospetti. È solo un'intuizione, ma non ho
dubbi.»
«Di chi si tratta?»
«Credo sia stata Elspeth» rispose Luke, affranto.
23.00.
Utilizzando le proprietà di isteresi dei materiali che lo coni pon-
gonò, il codficatore del sistema di telemetria determina la serie
dei parametri da trasmettere.
Elspeth non riusciva a crederci. Una manciata di secondi prima dell'accensione il lancio era stato rinviato. Era
stata vicinissima al successo. Stava per afferrano.., e le
era sfuggito dalle dita.
Non si trovava nella casamatta - lì l'accesso era riservato solo al personale che ricopriva posizioni chiave - ma
sul tetto a terrazza dell'edificio che ospitava l'amministrazione, insieme a una piccola folla di impiegati e segretarie
che osservavano con i binocoli la rampa di lancio illuminata dai riflettori. La notte della Florida era tiepida e umida per l'aria di mare. I loro timori erano cresciuti a mano a
mano che i minuti passavano e il razzo restava a terra;
un'esclamazione dispiaciuta si levò dai presenti quando
videro i tecnici in tuta uscire dai bunker e iniziare le complesse procedure di disattivazione di tutti i sistemi di lancio. La conferma definitiva arrivò quando la torre di servizio venne lentamente avvicinata al missile bianco per
nichiuderlo nel suo abbraccio d'acciaio.
Elspeth era terribilmente frustrata. Cosa non aveva funzionato?
Si allontanò senza dire una parola e tornò a passo deciso verso l'hangar R. Quando arrivò nel suo ufficio, sentì
squillare il telefono e si affrettò a rispondere. ~<Sì?»
«Cosa sta succedendo?» Era la voce di Anthony.
«Hanno fermato il lancio. Non so il motivo, e tu?»
«Luke ha trovato i documenti e deve averli avvisati.»
«Non sei riuscito a fermarlo?»
«Lo avevo letteralmente nel mirino, ma poi è entrata
Billie... armata.»
All'idea di Anthony che puntava una pistola contro
Luke, Elspeth provò una fitta alla bocca dello stomaco. Il
fatto poi che fosse stata Billie a intervenire rendeva le cose
ancora peggiori. «Luke sta bene?»
«Sì, e io pure. Su quei documenti c'è il nome di Theo,
ricordi?»
«Accidenti!»
«Staranno già andando ad arrestarlo. Devi trovarlo prima di loro.»
«Fammi pensare. È sulla spiaggia. Potrei essere là in
una decina di minuti. Conosco la sua macchina, è una
Hudson Hornet.»
«E allora vai, corri!»
«Vado subito.» Elspeth buttò giù il ricevitore e si precipitò fuori.
Attraversò di corsa il parcheggio e saltò in macchina. La
sua Corvette bianca era decappottabile, ma tenne il tettuccio alzato e i finestrini sigillati per via delle zanzare che infestavano la zona. In un attimo arrivò ai cancelli, dove la fecero uscire senza problemi: la vigilanza era molto stretta in
entrata, ma non altrettanto in uscita. Si diresse verso sud.
Non c'era un percorso particolare per arrivare alla
spiaggia, ma una serie di sentieri che partivano dalla strada principale e si inoltravano serpeggiando tra le dune di
sabbia fino al mare. Pensò dì imboccare il primo e da lì
continuare verso sud parallela alla riva: in quel modo
l'auto di Theo non poteva sfuggirle. Lungo il tragitto,
guardava attentamente i cespugli folti che fiancheggiavano la carreggiata per individuare l'accesso. Nonostante la
fretta era costretta ad andare piano, per timore di perdere
la deviazione. A un certo punto vide un'auto emergere
sulla strada principale, subito seguita da un'altra, e un'altra ancora.
Elspeth mise la freccia e rallentò. Un fiume ininterrotto
di veicoli stava lasciando la spiaggia. Gli spettatori avevano capito che il lancio era stato annullato - senza dubbio
avevano visto anche loro la torre di servizio tornare in posizione - e se ne stavano tornando a casa.
Aspettò a lungo per poter svoltare a sinistra: il sentiero
era troppo stretto per permettere il passaggio di due macchine affiancate. Dietro di lei un automobilista impaziente
cominciò a suonare il clacson. Elspeth capì che non sarebbe riuscita ad accedere alla spiaggia in quel punto. Esasperata, tolse la freccia e ripartì di scatto.
Presto arrivò a un altro incrocio, ma la situazione era
identica: anche qui una fila ininterrotta di auto usciva da
una stradina troppo stretta. Elspeth imprecò a voce alta.
Sudava copiosamente nonostante l'aria condizionata.
Non c'era modo dì arrivare alla spiaggia: doveva pensare
a un'altra soluzione. Forse poteva aspettare sulla strada
principale nella speranza di individuare l'auto di Theo.
No, troppo rischioso. Cosa avrebbe fatto Theo dopo essersi allontanato dalla spiaggia? La cosa migliore era andare
al suo motel e aspettarlo là.
Elspeth proseguì velocemente nella notte. Si chiese se il
colonnello Hide e i suoi uomini fossero già arrivati al Vanguard Motel. Forse avevano prima avvertito la polizia, o
l'Ebi. Per arrestare Theo serviva un mandato, ma di solito le
forze dell'ordine sapevano come aggirare questi inconvenienti. In ogni caso, avrebbero dovuto organizzarsi. Se
avesse fatto in fretta, forse poteva ancora batterli sul tempo.
Il Vanguard si trovava sulla strada principale, tra un distributore e un negozio di articoli per la pesca. Aveva un
grande parcheggio sul davanti. Non c'era traccia né di polizia nè di uomini dell'esercito: era arrivata in tempo. Ma
non c'era neppure la macchina di Theo. Parcheggiò vicino
all'ufficio del motel, da dove poteva vedere ogni veicolo
che entrava e usciva, e spense il motore.
Non dovette attendere a lungo. La Hudson I-Iomet gialla
e marrone arrivò un paio di minuti più tardi. Theo si infilò
in uno spazio in fondo al parcheggio, vicino alla strada, e
scese. Era un uomo dalla corporatura esile, quasi calvo; indossava calzoni di tela e una camicia sportiva.
Elspeth scese dalla Corvette.
Stava per chiamarlo, ma in quel momento arrivarono
due autopattuglie della polizia.
Elspeth si immobilizzò.
Erano dello sceriffo della Cocoa County. Arrivarono a
tutta velocità, senza lampeggianti né sirena, seguite da altre due auto civetta. Si fermarono di traverso davanti all'accesso del parcheggio, bloccando ogni possibilità di uscita.
Theo non li vide subito, e fece per attraversare lo spiazzo, in direzione di Elspeth e dell'ufficio del motel.
Lei intui subito cosa fare, ma aveva bisogno di mantenere i nervi saldi. "Sta' calma" si raccomandò. Fece un bel
respiro profondo e si avviò.
Mentre si avvicinava, lui la riconobbe e disse a voce alta: «Cosa diavolo è successo? Hanno annullato il lancio?».
«Dammi le chiavi della macchina» sussurrò Elspeth,
tendendo la mano.
«Perché?»
«Guarda dietro dite.»
Lui si voltò e vide la polizia. «Oh, cazzo! Cosa vogliono?»
«Vogliono te. Resta calmo e dammi le chiavi.»
Lui obbedì e gliele lasciò cadere nei palmo della mano.
«Continua a camminare» gli ordinò lei. «Il bagagliaio
della mia macchina è aperto. Infilati dentro.»
«Nel bagagliaio?»
«Sì!» Elspeth proseguì.
Riconobbe il colonnello Hide e un altro militare di stanza a Cape Canaveral. Con loro c'erano quattro agenti della polizia locale e due giovani alti e ben vestiti, probabilmente agenti delI'Fbi. Nessuno di loro guardava verso di
lei: erano tutti raccolti intorno a Hide. Da lontano, Elspeth
lo sentì dire: «Due uomini controllino tutte le targhe delle
auto parcheggiate qua fuori, gli altri dentro con me».
Arrivò alla macchina di Theo e aprì il baule. Dentro c'era la valigia di pelle che conteneva il radiotrasmettitore:
era potente e, purtroppo, anche pesante. Non era certa di
riuscire a trasportarlo. Lo trascinò verso l'apertura del bagagliaio e lo tirò oltre il bordo, facendolo cadere a terra
con un tonfo. Poi richiuse in fretta.
Si guardò attorno. 1-lide stava ancora impartendo ordini
ai suoi uomini. All'altra estremità del parcheggio, vide il cofano della Corvette chiudersi lentamente, quasi di volontà
propria. Theo era dentro. Metà del problema era risolto.
Strinse i denti, afferrò la maniglia della valigia e la sollevò. Pareva di piombo. Percorse qualche metro, reggendo più a lungo possibile. Quando non sentì più le dita per
lo sforzo, posò la valigia e la sollevò con l'altra mano. Riuscì a compiere un'altra decina di metri ma poi, stremata,
fu costretta a posarla nuovamente.
Alle sue spalle, il colonnello Hide e i suoi uomini stavano
andando verso l'ufficio del motel. Elspeth pregò che Hide
non guardasse verso di lei, anche se l'oscurità rendeva meno probabile che la riconoscesse. Se lui le avesse chiesto
spiegazioni della sua presenza lì, avrebbe potuto inventarsi
una qualsiasi scusa, ma se le ordinava di aprire la valigia?
Cambiò un'altra volta mano e afferrò la valigia con la destra. Questa volta non riuscì neppure a sollevarla. Si rassegnò a trascinarla sul cemento del parcheggio, sperando che
il rumore non attirasse l'attenzione dei poliziotti.
Finalmente, arrivò alla macchina. Mentre apriva il cofano, uno degli agenti in uniforme le si avvicinò con un sorriso cordiale. «Posso aiutarla, signora?» le chiese con fare
cortese.
La faccia di Theo la fissava da dentro il bagagliaio, atterrita.
«Grazie, ce la faccio» disse, a denti stretti. Sollevò la valigia con entrambe le mani e la fece scivolare all'interno.
Si sentì un debole gemito di dolore quando un angolo
colpì in pieno Theo. Con movimento veloce, Elspeth chiuse il cofano e vi si appoggiò. Le pareva che le braccia stessero per staccarsi da un momento all'altro.
Guardò il poliziotto. Che si fosse accorto di Theo? L'uomo le rivolse un sorriso perplesso. «"Non preparare mai
una valigia che non riesci a portare da sola" si raccomandava sempre mio padre» disse Elspeth.
«Lei è una ragazza forte» osservò il poliziotto con tono
vagamente deluso.
«Grazie comunque.»
Gli altri uomini le sfilarono davanti, diretti verso l'ufficio del motel. Elspeth fece attenzione a non incrociare lo
sguardo di Hide. «Se ne va?» chiese il poliziotto.
«Già.»
«Tutta sola?»
«Proprio cosi.»
L'uomo si chinò all'altezza del finestrino e guardò dentro, sui sedili posteriori e anteriori, poi si tirò su. «Guidi
con prudenza» disse e si allontanò.
Elspeth salì e avviò il motore.
Due poliziotti in uniforme erano rimasti nel parcheggio
per controllare tutte le targhe. Elspeth si fermò accanto a
uno di loro. «Mi lasciate uscire oppure devo restare qui
tutta la notte?» chiese, ostentando un sorriso cordiale.
L'agente controllò il suo numero di targa. «È sola?»
«Sì.»
L'uomo guardò verso il sedile posteriore. Elspeth trattenne il respiro. «Okay» disse infine il poliziotto «può andare.» Poi salì su una delle auto dello sceriffo e la spostò
per lasciarla passare.
Elspeth si infilò nel varco, si immise sulla strada principale e schiacciò l'acceleratore.
D~ colpo si sentì come svuotata. Le tremavano le braccia
e fu costretta a rallentare. «Buon Dio!» esclamò sotto voce.
«C'è mancato poco.»
L
24.00.
Quattro antenne che spuntano dalla superficie del satellite trasmettono segnali radio alle stazioni d'ascolto di tutto il mondo.
L'Explorer trasmette su una frequenza di 108 MHz.
Anthony doveva assolutamente lasciare l'Alabama.
Ora l'azione era in Florida. L'esito di vent'anni di lavoro
sarebbe stato deciso a Cape Canaveral e lui doveva andare laggiù.
L'aeroporto di Huntsville era ancora aperto, la pista illummata dai riflettori. Questo significava che c'era almeno
ancora un volo in. partenza quella sera. Parcheggiò l'auto
dell'esercito davanti al terminal, dietro a una limousine e un
paio di taxi. Il posto sembrava deserto. Non si preoccupò di
chiudere a chiave la portiera e corse dentro.
L'aeroporto era tranquillo ma non deserto. C'era una ragazza, seduta dietro il bancone di una compagnia, intenta a
leggere un libro, e due donne di colore in grembiule che pulivano il pavimento. C'erano anche tre uomini in attesa, uno in
uniforme da autista, gli altri con indosso gli abiti stazzonati e
i berretti tipici dei tassisti. Seduto su una panca, c'era Pete.
Anthony doveva sbarazzarsi di lui, per il suo bene. Allo
scontro con Luke al Redstone Arsenal avevano assistito
anche Billie e Marigold: presto una delle due avrebbe denunciato l'accaduto. L'esercito si sarebbe rivolto alla Cia,
per protestare. George Cooperman l'aveva già avvertito
che non sarebbe stato in grado di coprirlo. Non poteva
più fingere di portare avanti una missione legittimata dai
vertici della Cia. Il piano era fallito ed era meglio che Pete
tornasse a casa, prima di trovarsi nei pasticci.
Anthony pensava che fosse annoiato, dopo dodici ore
di attesa all'aeroporto. Invece, quando Pete lo vide, saltò
in piedi, teso ed eccitato. «Finalmente!» esclamò.
«Che volo c'è in partenza da qui, stanotte?» gli chiese
Anthony a bruciapelo.
«Nessuno. C'è ancora un volo in arrivo, da Washington,
ma prima delle sette di domattina non parte niente.»
«Accidenti! Io devo andare in Florida.»
«C'è un volo Mats che parte alle cinque e mezzo dal
Redstone e atterra alla base aerea di Patrick, vicino a Cape
Canaverai.»
«Meglio che niente.»
Pete assunse un'espressione imbarazzata. «Lei non può
andare in Florida» disse, quasi sforzandosi di pronunciare
le parole.
Ecco il motivo della sua tensione. «Perché?» chiese
Anthony gelido.
«Ho parlato con Washington, con Carì Hobart in persona. Dobbiamo rientrare "senza discussioni". Testuali
parole.»
Anthony venne assalito da una rabbia improvvisa, ma
finse di essere semplicemente seccato. «Che stronzi!» esclamò. «Come possono pretendere di dirigere un'operazione
dal quartier generale?»
Pete non ci cascò. «Mr Hobart ha detto che dobbiamo
accettare il fatto che non esiste più alcuna operazione.
D'ora in avanti se ne occuperà l'esercito.»
«Non possiamo permetterlo. Sono degli incompetenti.»
«Lo so, ma non credo che abbiamo altra scelta, signore.»
Anthony si sforzò di mantenere la calma. Prima opoi doveva succedere. Alla Cia non sapevano ancora che lui faceva il doppio gioco, ma avevano capito che era una mela
marcia e volevano toglierlo di mezzo senza troppo rumore.
Nel corso degli anni Anthony aveva coltivato con sapienza la lealtà dei suoi uomini e aveva ancora dei crediti da riscuotere. «Senfi cosa faremo» disse a Pete. «Torni a Washington e riferisci che mi sono rifiutato di obbedire agli ordini. Tu
ne sei fuori, la responsabilità ora è mia.» Fece per voltargli le
spalle, come dando per scontato l'assenso di Pete.
«D'accordo» gli rispose lui. «Immaginavo che avrebbe
detto così. E non possono aspettarsi che io la sequestri.»
«Esatto.» Anthony non lasciò trasparire il proprio sollievo per l'acquiescenza di Pete.
«C'è un'altra cosa, però» aggiunse Pete,
Anthony si voltò mostrando la propria irritazione. «Che
c'è, ancora?»
Pete arrossì e la macchia sul volto si fece rosso porpora.
«Mi hanno detto di toglierle la pistola.»
Anthony cominciò a temere che uscire da quella situazione non sarebbe stato poi così facile. Non aveva alcuna
intenzione di separarsi dalla sua arma. Si costrinse a sorridere. «E tu digli che mi sono rifiutato».
«Mi dispiace, signore, non sa quanto. Ma Mr Hobart è
stato molto preciso. Se lei non me la consegna, dovrò cinamare la polizia.»
In quel momento Anthony capì che avrebbe dovuto
ucciderlo.
Per un attimo si sentì sopraffatto dall'amarezza pensan-
do a quali tradimenti era stato costretto. Non sembrava
possibile che quella fosse la logica conclusione dell'impegno assunto vent'anni prima di dedicare la propria vita a
una nobile causa. Ma poi una calma mortale discese su di
lui. La guerra gli aveva insegnato a compiere scelte dolorose. Questa era una guerra diversa, ma gli imperativi erano
gli stessi: una volta che c'eri dentro dovevi vincere, a qualunque costo. «In questo caso, suppongo sia finita» concluse, con un sospiro sincero. «La trovo una decisione stupida,
ma penso di aver fatto tutto il possibile.»
Pete non tentò neppure di nascondere il proprio sollievo.
«Grazie. Sono felice che lei la stia prendendo bene.»
«Non ti preoccupare. Non ce l'ho con te. So che obbedisci a un ordine diretto di Hobart.»
il volto di Pete assunse un'espressione determinata.
«Allora, vuole consegnarmi la pistola, adesso?»
«Certo.» Anthony la teneva in tasca, ma disse: ~<É fuori,
nel bagagliaio». Voleva che Pete andasse con lui alla macchina, ma finse il contrario. «Tu resta qui, io vado a prenderla.»
Come previsto, Pete ebbe paura che lui cercasse di fuggire. «Verrò con lei» si affrettò a dire.
Anthony finse un attimo di esitazione e poi cedette.
«Come vuoi.» Uscì, seguito da Pete. La macchina era parcheggiata accanto al marciapiede, a una trentina di metri
dall'ingresso del terminal. Non c'era in giro nessuno.
Anthony premette un pulsante e il cofano si spalancò.
«Ecco fatto.»
Pete si chinò per guardare dentro.
Anthony estrasse da sotto la giacca la pistola con il silenziatore inserito. Per un istante ebbe la folle tentazione
di mettersela in bocca, premere il grilletto e porre fine a
quell'incubo.
L'attimo di esitazione si rivelò un errore fatale.
«Qui non c'è niente» disse Pete, voltandosi.
Reagì in fretta. Prima che Anthony riuscisse a puntargli
contro la pistola, resa poco maneggevole dal silenziatore,
Pete scartò dilato e fece partire un pugno colpendolo con
forza alla tempia. Anthony barcollò. Pete gli assestò un altro pugno, questa volta alla mascella, e lui cadde all'indietro. Ma, toccando terra, sollevò la pistola. Pete capì cosa stava per accadere. Il suo volto si contorse in una maschera di
paura e alzò le mani, come a proteggersi dai colpi. Anthony
premette il grilletto tre volte in rapida successione.
Tutti e tre i proiettili colpirono Pete al petto. Il sangue
Zampillò copioso dai fori nell'abito grigio e lui cadde con
un tonfo.
Arithony si rimise in piedi e infilò la pistola in tasca. Si
guardò attorno. Nessuno si stava avvicinando all'aeroporto,
nessuno era uscito dal terminal. Si chinò sui corpo di Pete.
Pete lo guardò. Non era ancora morto.
Lottando contro la nausea, Anthony issò da terra il corpo
sanguinante e io gettò nel bagagilaio. Poi estrasse ancora la
pistola. Pete giaceva nel bagagliaio, raggomitolato per il
dolore, e lo guardava con occhi terrorizzati. Le ferite al petto non erano sempre mortali: se fosse stato soccorso subito
e portato in ospedale, sarebbe anche potuto sopravvivere.
Anthony gli puntò la pistola alla testa. Pete cercò di parlare,
ma dalla sua bocca uscì un fiotto di sangue. Anthony premette il gru letto.
Il corpo di Pete si afflosciò senza vita.
Anthony chiuse il bagagliaio con un colpo secco e vi si
appoggiò stremato. Per la seconda volta quel giorno era
stato colpito con violenza e gli girava la testa; ma ancora
peggiore del danno fisico era la consapevolezza di ciò che
aveva fatto.
«Si sente bene, amico?» disse una voce.
Anthony si tirò su, infilando la pistola nella giacca, e si
voltò. Un taxi si era fermato alle sue spalle e l'autista si
stava avvicinando, preoccupato. Era un uomo di colore
con i capelli grigi.
Cosa aveva visto? Anthony non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di uccidere anche lui.
«Doveva essere ben pesante quello che stava caricando
nel portabagagli» osservò il tassista.
«Un tappeto» rispose Anthony, senza fiato.
L'uomo lo guardò con l'aperta curiosità tipica dei provinciali. «Qualcuno le ha fatto un occhio nero? O due?»
«Ho avuto un piccolo incidente.»
«Venga dentro a prendere una tazza di caffè, o qualcos'altro.»
«No, grazie. Sto bene.»
«Come preferisce.» Il tassista si incamminò verso il terminal.
Anthony salì in auto e si allontanò.
1.30.
Il primo compito dei radiotrasmettitori è quello di emettere segnali che permettano alle stazioni di ascolto di seguire la traiettoria del satellite e di verficare che sia in orbita.
Il treno uscì lentamente da Chattanooga. Nell'angusta
cabina letto Luke si tolse la giacca e l'appese, poi si appollaiò sul bordo della cuccetta inferiore e si slacciò le scarpe.
Billie era seduta a gambe incrociate e lo osservava. Le luci
della città tremolarono per poi sparire a mano a mano che
la locomotiva acquistava velocità, diretta a Jacksonville,
in Florida, nella tiepida notte del Sud.
Luke si allentò la cravatta. «Se questo vuoi essere uno
striptease, non è molto sexy» osservò Billie.
Lui fece un sorriso mesto. Non sapeva come comportarsi. Erano stati costretti a condividere la cabina letto perché era l'unica disponibile. Desiderava tanto prendere Biilie tra le braccia. Tutto ciò che aveva appreso su di sé e
sulla propria vita gli diceva che lei era la donna con cui
avrebbe dovuto vivere. Eppure esitava.
«Cosa stai pensando?» chiese Billie.
«Che stiamo correndo troppo.»
«Diciassette anni non sono sufficienti?»
«Per me sono solo un paio di giorni.., non ricordo altro.»
«A me sembra un'eternità.»
«Sono ancora sposato con Elspeth.>~
Billie annuì con aria solenne. «E lei ti mente da anni.»
«Per questo dovrei gettarmi a pesce nel tuo letto?»
Lei assunse un'espressione offesa. «Dovresti fare quello
che senti.»
Luke cercò di spiegarsi. «Non mi piace questa sensazione di dover cercare delle giustificazioni.» Poi, visto che lei
non diceva nulla, aggiunse: «Tu non sei d'accordo, vero?».
«Certo che no» rispose lei con fervore. «Io voglio fare
l'amore con te, stasera. Ricordo com'è stato, e voglio farlo
di nuovo, ora.» Lanciò un'occhiata fuori dal finestrino
mentre il treno attraversava a tutta velocità una piccola
cittadina: dieci secondi di luci saettanti come comete e poi
di nuovo l'oscurità. «Ma ti conosco» proseguì. «Tu non
hai mai agito d'istinto, neppure quando eravamo giovani.
Hai bisogno di riflettere e convincerti che stai facendo la
cosa giusta.»
«E una cosa così negativa?»
Lei sorrise. «No. Sono contenta che tu sia così. Ti rende
totalmente affidabile. Se fossi diverso, forse non avrei...»
Billie lasciò la frase in sospeso.
«Non avresti.., cosa?»
Lei lo guardò negli occhi. «Non ti avrei amato così tanto, per tutto questo tempo.» Era imbarazzata e cercò di
nasconderlo dicendo qualcosa di impertinente. «E comunque hai bisogno di una doccia.»
Era assolutamente vero. Indossava gli stessi abiti da
trentasei ore, da quando li aveva rubati. «Ogni volta che
ho pensato di cambiarmi, c'era qualcosa di più urgente da
fare» disse lui. «Ho dei vestiti puliti nella valigia.»
«Non importa. Perché non sali sulla cuccetta superiore
e mi lasci un po' di posto per togliermi le scarpe?»
Luke si arrampicò su per la scaletta e si sdraiò. Si mise
su un fianco, un gomito sul cuscino, la testa appoggiata
sulla mano. «Perdere la memoria è come ricominciare una
vita nuova» disse. «È come rinascere. Ogni decisione che
hai preso può essere rimessa in discussione.»
Billie scalciò via le scarpe e si alzò. «A me non piacerebbe
per niente.» Con un movimento veloce si tolse i pantaloni e
rimase in mutandine e maglione. Cogliendo lo sguardo di
lui, sorrise e disse: «Non c'è problema, puoi guardare». Mise le mani dietro la schiena, sollevò il maglione e slacciò il
reggiseno. Tolse il braccio sinistro dalla manica, con la destra tirò giù la spallina del reggiseno, rinfilò il braccio nella
manica e con gesto da prestigiatore estrasse il reggiseno
dalla manica destra.
«Brava!» esclamò lui.
Lei lo guardò con aria pensierosa. «Allora, cosa facciamo? Dormiamo?»
«Immagino di sì,»
«Okay.» Salì in piedi sul bordo della cuccetta inferiore e
gli offrì il viso per il bacio della buonanotte. Lui si sporse
in avanti e le sfiorò le labbra. Billie chiuse gli occhi. Luke
sentì la punta della lingua di lei posarsi leggera sulle sue
labbra, e un attimo dopo il suo volto era scomparso.
Luke rimase lì, sdraiato sulla schiena, a pensare a lei,
pochi centimetri più sotto, con le sue belle gambe nude, i
seni tondi sotto il morbido maglione d'angora. Qualche
secondo dopo si era già addormentato.
Fece un sogno terribilmente erotico. Era Bottom in Sogno di una notte di mezza estate, aveva le orecchie d'asino, e
le fate di Titania, ragazze nude con gambe snelle e seni
tondi, gli coprivano di baci la faccia pelosa. Titania, la regina delle fate, gli stava sbottonando i pantaloni, mentre
le ruote del treno battevano il loro ritmo incessante...
Si svegliò lentamente, riluttante a lasciare quel mondo di
fiaba e tornare a un mondo di missili e treni. Aveva la camicia aperta e i pantaloni sbottonati. Billie era sdraiata accanto
a lui e lo stava baciando. «Sei sveglio?» gli mormorò all'orecchio, un orecchio normale, non d'asino. E poi aggiunse,
ridacchiando: «E un peccato farlo con uno che dorme».
Lui la toccò, facendo correre la mano lungo il suo fianco. Indossava ancora il maglione, ma le mutandine erano
sparite. «Sono sveglio» disse, con voce roca di desiderio.
Billie si sollevò, puntellandosi su mani e ginocchia in
modo da trovarsi sopra di lui, nello spazio angusto tra la
cuccetta e il soffitto. Guardandolo negli occhi, abbassò il
suo corpo su quello di lui. Luke scivolò dentro di lei con
un sospiro di intenso piacere. Il treno dondolava da una
parte all'altra, mentre le ruote ritmavano un sottofondo
erotico.
Luke infilò una mano sotto il maglione per toccarle il
seno. La pelle di lei era morbida e calda. «Gli sei mancato» gli sussurrò lei all'orecchio.
A Luke pareva di stare ancora sognando, mentre il treno
ondeggiava, Billie gli baciava il viso e l'America correva
fuori dal finestrino chilometro dopo chilometro. Le circoridò la schiena con le braccia e la tenne stretta, per convincersi che era fatta di carne e ossa e non del sottile filo di
cui sono intessuti i sogni. Proprio mentre pensava che
avrebbe desiderato continuare così per sempre, il suo corpo prese il sopravvento e lui la strinse forte a sé, mentre
una marea di piacere lo travolgeva.
Non appena finì, lei gli disse: «Resta fermo. Tienimi stretta». Luke non si mosse. Lei gli affondò il viso nel collo, suo
alito era bollente contro la pelle. Mentre lui giaceva immobile, ancora dentro di lei, Billie parve contrarsi per uno spasmo interno, più volte, finché emise un sospiro profondo e
tutto il suo corpo si rilassò.
Rimasero così, immobili, ancora per qualche minuto,
ma Luke non aveva sonno. Evidentemente neppure Billie,
perché disse: «Ho un'idea. Laviamoci».
«Be', io di sicuro ne ho bisogno» ammise Luke ridendo.
Billie rotolò dilato e scese dalla cuccetta. Lui la seguì.
Nell'angolo dello scompartirnento c'era un lavandino con
sopra un armadietto. Billie trovò all'interno un piccolo asciugamano e una saponetta. Riempì il lavandino di acqua
calda. «Prima io lavo te, poi tu lavi me» propose. Inzuppò la
salvietta e, dopo averla insaponata, cominciò.
Era terribilmente intimo e sexy. Luke chiuse gli occhi.
Lei gli frizionò il ventre, e poi si inginocchiò per strofinargli le gambe. «Ti sei dimenticata un pezzo» disse lui.
«Non ti preoccupare. Mi lascio la parte migliore per
ultima..»
Quando ebbe finito, lui fece lo stesso con lei, e la cosa risultò ancora più eccitante. Poi si sdraiarono di nuovo,
questa volta sulla cuccetta inferiore.
«Allora» disse Billie «te lo ricordi il sesso orale?»
«No» rispose lui «ma credo di sapere come si fa.»
8.30.
Per rendere possibile un accurato rilevamento della posizione
del satellite, il Jet Propulsion Laboratory ha messo a punto una
nuova tecnica di ricezione chiamata Microlock. Le stazioni di
ascolto dotate di questa tecnologia utilizzano un sistema di rilevamento con PLL in grado di agganciare un segnale della potenza di appena un millesimo di watt addirittura da una distanza
di 36.000 chilometri.
Anthony volò in Florida a bordo di un piccolo aereo che
sobbalzava a ogni colpo di vento sulla rotta tra l'Alabama
e la Georgia. Era in compagnia di un generale e due colonnelli che gli avrebbero sicuramente sparato a vista se
avessero mai immaginato lo scopo del suo viaggio.
Atterrò alla base aerea di Patrick, qualche chilometro a
sud di Cape Canaveral. Il terminal era costituito da alcuni
piccoli locali ricavati sul retro di un hangar. Nella sua immaginazione vide un distaccamento di agenti dell'Fbi,
con i loro vestiti eleganti e le scarpe tirate a lucido, venuti
per arrestarlo, ma ad aspettarlo c'era solo Elspeth.
Appariva stremata. Per la prima volta Anthony notò su
di lei i segni della mezza età ormai prossima. La pelle candida del suo viso mostrava qualche accenno di rughe e il
portamento aveva assunto una postura leggermente curva. Elspeth lo accompagnò fuori alla Corvette bianca parcheggiata sotto il sole caldo.
«Come sta Theo?» chiese Anthony, non appena furono
in macchina.
«Un po' scosso, ma sta bene.»
«La polizia di qui ha una sua descrizione?»
«Sì, l'ha diramata il colonnello Hide.»
«Dov'è nascosto?»
«Nella mia stanza al motel. Resterà lì finché non fa
buio.» Elspeth uscì dalla base, imboccò l'arteria principale
e si diresse verso nord. «E tu? La Cia passerà la tua descrizione alla polizia?»
«Non penso.»
«Allora puoi muoverti abbastanza liberamente. È un
bene, perché dovrai comperare una macchina.»
«La Cia preferisce lavare i panni sporchi in casa. Al momento sono convinti che io sia sfuggito al controllo e la loro
unica preoccupazione è quella di togliermi dalla circolazione prima che li metta in imbarazzo. Quando cominceranno a dar retta a Luke, allora capiranno di aver avuto al
loro interno un agente che per anni ha fatto il doppio gioco,
ma è possibile che questo li spinga ancora di più a tenere la
cosa segreta. Non posso dirlo con sicurezza, ma credo che
non ci saranno inchieste pubbliche.»
«E su di me non c'è neppure l'ombra di un sospetto,
quindi siamo ancora tutti e tre in gioco. Il che ci dà buone
probabilità di riuscita.»
«Luke non sospetta dite?»
«Non ne ha motivo.»
«Dov'è, ora?»
«Da quanto mi ha detto Marigold è su un treno e sta venendo qui.» E poi aggiunse, con una nota di amarezza:
«Con Billie».
«A che ora arriverà?»
«Non ne sono sicura. Il suo treno ferma a Jacksonville;
da lì dovrà prenderne un altro più lento che scende lungo
la costa. Immagino che arriverà nel pomeriggio.»
Viaggiarono in silenzio per un po'. Anthony cercò di
calmarsi. Da lì a ventiquattr'ore sarebbe stato tutto finito.
Avrebbero compiuto un'impresa epica in nome della causa a cui avevano dedicato la propria vita, e per questo sarebbero passati alla storia; oppure avrebbero fallito, e la
corsa allo spazio sarebbe stata di nuovo una gara a due.
Elspeth gli lanciò un'occhiata. «Cosa farai dopo questa
notte?»
«Lascerò il paese.» Diede un colpetto alla valigetta che
teneva posata in grembo. «Ho tutto quello che mi serve:
passaporti, contanti, qualcosa per travestirmi.»
«E poi?»
«Mosca.» Ci aveva pensato per l'intera durata del volo.
«La sezione Washington al Kgb, suppongo.» Anthony era
un maggiore del Kgb. Elspeth era diventata un agente sovietico prima di lui - anzi, era stata proprio lei a reclutarlo, ai tempi di Harvard - e aveva i gradi di colonnello.
«Mi assegneranno una carica di consigliere ad alto livello» proseguì. «In fondo, io conosco la Cia meglio di chiunque altro nel blocco sovietico.»
«Come sarà la tua vita in Russia?»
«Nel paradiso dei lavoratori, vuoi dire?» Le rivolse un
sorriso amaro. «Hai letto Orwell: alcuni animali sono più
uguali degli altri. Suppongo che molto dipenda da quanto
accadrà stasera. Se ci riusciamo, saremo degli eroi. In caso
contrario...»
«Non sei preoccupato?»
«Certo che lo sono. All'inizio sarò del tutto solo, senza
amici, senza famiglia. E poi io non parlo russo. Chissà,
forse mi sposerò e metterò al mondo una nidiata di piccoli compagni.» Le sue risposte dissacranti nascondevano
un'angoscia profonda. «Tanto tempo fa ho deciso di sacrificare la mia vita per qualcosa di più importante.»
«Anch'io ho preso quella decisione, ma sarei spaventata all'idea di trasferirmi a Mosca.»
«A te non succederà.»
«No. Vogliono che resti qui, a ogni costo.»
Evidentemente aveva parlato con il suo contatto, chiunque fosse. Anthony non era sorpreso dalla decisione di la-
sciare Elspeth sul posto. Negli ultimi quattro anni gli
scienziati russi erano stati informati su ogni particolare
del programma spaziale americano. Visionavano i rapporto, i risultati dei test, ogni singolo disegno emesso dalla Army Ballistic Missile Agency, tutto grazie a Elspeth.
Era come avere una squadra di scienziati americani che
lavorava per il loro programma. Se l'Unione Sovietica
aveva battuto gli Stati Uniti nella corsa allo spazio, lo doveva a Elspeth. Quasi sicuramente era lei la spia più importante della guerra fredda.
Anthony sapeva che questo risultato era stato ottenuto a
costo di enormi sofferenze personali. Elspeth aveva sposato Luke per poter avere accesso al programma spaziale, ma
il suo amore per lui era sincero. Tradirlo le aveva spezzato
il cuore. Il suo trionfo era la vittoria sovietica nella corsa allo spazio, trionfo che sarebbe stato decretato quella sera e
che avrebbe dato un senso ai tanti sacrifici affrontati.
Le vittorie di Anthony erano seconde solo a quelle di
Elspeth. Come agente sovietico si era introdotto ai massimi livelli della Cia. Il tunnel che aveva fatto costruire a
Berlino, e che aveva permesso l'intercettazione delle comunicazioni sovietiche, era stato in realtà un'opera di disinformazione. Il Kgb lo aveva utilizzato per fuorviare la
Cia e spingerla a sprecare milioni di dollari per sorvegliare uomini che non erano spie, a penetrare organizzazioni
che non erano filocomuniste, a screditare uomini politici
del Terzo mondo che, in realtà, stavano dalla parte degli
americani. Se mai si fosse sentito solo nel suo appartamento di Mosca, si sarebbe consolato al pensiero dei suoi
successi.
Tra le palme lungo la strada davanti a sé vide la replica
di un razzo spaziale sopra un'insegna che diceva STARLITh
MOTEL. Elspeth rallentò per infilarsi nel parcheggio. L'ufficio si trovava in una costruzione bassa con elementi spigolosi che le conferivano un aspetto avveniristico. Posteggiò
il più lontano possibile dalla strada. Le stanze si trovavano
in un edificio a due piani che si sviluppava attorno a una
grande piscina dove alcuni ospiti mattinieri stavano già facendo il bagno. Oltre la piscina si vedeva la spiaggia.
Nonostante le rassicurazioni fornite a Elspeth, Anthony
voleva farsi vedere dal minor numero possibile di persone; si calò il cappello sugli occhi e attraversò il parcheggio
a passo svelto diretto verso la stanza al primo piano.
Il motel sfruttava al massimo il tema spaziale. Le lampade erano a forma di razzo e alle pareti erano appese immagini stilizzate di pianeti. Theo era in piedi davanti alla
finestra e guardava l'oceano. Elspeth fece le presentazioni
e ordinò caffè e ciambelle al servizio in camera. «Come è
riuscito Luke a scoprirmi?» chiese Theo a Anthony. «Te
l'ha spiegato?»
Anthony annuì. «Stava usando la macchina per fare le
copie nell'hangar R. Lì accanto c'è un registro di controllo
sul quale bisogna annotare la data, l'ora e il numero di copie che si fanno. Poi bisogna firmare. Luke si accorse che
erano state fatte dodici copie firmate con la sigla "WvB",
che sta per Wernher von Braun.»
«Ho sempre usato il nome di von Braun perché nessuno avrebbe mai osato chiedere spiegazioni al capo sulle
copie che faceva» spiegò Elspeth.
«Ma Luke sapeva una cosa che Elspeth e tutti gli altri
ignoravano» proseguì Anthony. «Sapeva che quel giorno
von Braun era a Washington. L'istinto lo ha messo in guardia. È andato all'ufficio posta e ha trovato le copie in una
busta indirizzata a te. Ma non aveva idea di chi fosse stato
a mandare il plico. Così ha deciso di non fidarsi di nessuno
e di andare subito a Washington. Per fortuna Elspeth mi ha
avvertito e io sono riuscito a intercettarlo prima che potesse parlarne con qualcuno.»
«Però ora siamo di nuovo al punto in cui eravamo lunedì» osservò Elspeth. «Luke è tornato a scoprire quello
che gli avevamo fatto dimenticare.»
«Secondo te, cosa farà adesso l'esercito?» chiese Anthony
a Elspeth.
«Potrebbero lanciare il razzo dopo aver disattivato il
meccanismo di autodistruzione. Ma se si dovesse venire a
sapere, scoppierebbe uno scandalo tale da offuscare il loro
trionfo. La mia ipotesi è che cambieranno il codice in modo che sia necessario un segnale differente per attivare l'esplosione.»
«E come possono farlo?»
«Questo non lo so.»
Si sentì bussare. Anthony si irrigidì, ma Elspeth lo tranquillizzò: «È il caffè che ho ordinato». Theo si nascose in
bagno. Anthony voltò le spalle alla porta. Per sembrare più
naturale, aprì l'armadio e finse di guardare gli abiti all'interno. C'era appeso un abito di Luke grigio chiaro a spina
di pesce e una fila di camicie azzurre. Elspeth non fece entrare il cameriere e lo tenne sulla soglia della camera: firmò
il conto, gli diede la mancia e portò dentro il vassoio lei
stessa, richiudendo subito la porta.
Theo uscì dal bagno e Anthony tornò a sedersi.
«Cosa facciamo?» si interrogò Anthony. «Se cambiano il
codice non possiamo più far esplodere il razzo.»
Elspeth posò il vassoio. «Dovrò scoprire qual è il loro
piano e trovare una soluzione.» Afferrò la borsa e si gettò la
giacca sulle spalle. «Tu compera un'auto. Appena fa buio
vai alla spiaggia e parcheggia più vicino che puoi alla recinzione di Cape Canaveral. Ti troverò. Ora goditi il caffè.»
Detto questo, uscì.
«Bisogna darle atto che ha i nervi saldi» osservò Theo,
dopo un attimo.
«Guai se non li avesse» ribatté Anthony.
16.00.
Una serie di stazioni di ascolto si estende da nord a sud, approssimativamente sul meridiano a 65 gradi longitudine ovest. La
rete di stazioni capterà i segnali emessi dal satellite a ogni suo
passaggio.
Il conto alla rovescia era arrivato a X meno 390 minuti.
Fino a quel momento procedeva regolarmente, ma Eispeth sapeva che le cose potevano cambiare. Se si fosse
verificato un imprevisto, il conto alla rovescia si sarebbe
fermato. Una volta risolto il problema sarebbe ripreso da
dove si era interrotto, anche se, in realtà, era passato del
tempo. A mano a mano che si avvicinava il momento dell'accensione, il divario tra tempo reale e durata del conto
alla rovescia poteva finire per essere rilevante.
Quel giorno il conto era iniziato mezz'ora prima di mezzogiorno, all'ora X meno 660 minuti. Elspeth aveva continuato a girare per la base, aggiornando il programma, attenta a ogni mutamento nelle procedure. Ancora non era
riuscita a raccogliere alcun indizio su come gli scienziati
pensavano di salvaguardarsi da un possibile sabotaggio, e
stava cominciando a essere disperata.
Ormai tutti sapevano che Theo Packman era una spia.
L'impiegato del Vanguard Motel aveva raccontato a tutti
che gli uomini del colonnello Hide erano piombati lì insieme a quattro poliziotti e due agenti dell'Fbi, chiedendo
il numero di camera di Theo. La comunità scientifica non
ci aveva messo molto a collegare la notizia con l'annullamento all'ultimo minuto del lancio. Nessuno, all'interno
del perimetro di Cape Canaveral, credeva alla spiegazione ufficiale fornita, e cioè che il bollettino meteorologico
aveva previsto un peggioramento del jetstream. La mattina seguente non si parlava che del sabotaggio. Ma pareva che nessuno sapesse cosa si stava facendo per risolvere
il problema; o, quantomeno, se qualcuno lo sapeva, non
diceva nulla. Mentre il mezzogiorno scivolava nel pomeriggio, la tensione di Elspeth aumentava. Fino ad allora
non aveva osato fare domande dirette per paura di destare sospetti, ma presto avrebbe dovuto abbandonare ogni
cautela. Se non avesse scoperto subito quali contromisure
erano state adottate, sarebbe stato troppo tardi per agire.
Luke non si era ancora fatto vivo. Desiderava tanto vederlo e, al tempo stesso, temeva quel momento. Sentiva la
sua mancanza di notte, quando non era accanto a lei. Ma,
quando erano insieme, pensava costantemente a ciò che
stava facendo per distruggere il suo sogno. Era consapevole che il suo inganno aveva avvelenato il loro matrimonio,
ciononostante desiderava vedere il suo volto, sentire la sua
voce seria e cortese, sfiorare la sua mano, farlo sorridere.
Nella casamatta gli scienziati stavano facendo una pausa. Mangiavano qualche sandwich e bevevano caffè al loro posto davanti ai pannelli. Di solito quando una bella
donna entrava nella sala non mancavano le battute, ma
quel giorno regnava un'atmosfera tesa. Aspettavano che
qualcosa andasse storto, una spia luminosa che indicasse
il sovraccarico di un circuito, la rottura di un componente,
il malfunzionamento di un sistema. Non appena si verificava un intoppo, le cose cambiavano: l'ambiente si animava via via che tutti si immergevano nel problema, ricercandone l'origine e valutando l'intervento risolutivo. Era
quel genere di persone che si diverte a riparare le cose.
Elspeth sedette accanto a Will Fredrickson, il suo capo,
che stava mangiando un sandwich al formaggio con le
cuffie abbassate intorno al collo. «Lo sa che tutti parlano
di un tentativo di sabotaggio del razzo, vero?» gettò lì Eispeth~ casualmente.
Willy aveva un'aria preoccupata e lei lo interpretò come
il segno che lui fosse esattamente al corrente di tutto. Prima che potesse risponderle, però, un tecnico in fondo alla
stanza lo chiamò, indicando le cuffie.
Willy posò il sandwich, mise le cuffie e disse: «Qui Fredrickson». Rimase in ascolto per un minuto. «Okay» proseguì. «Al più presto.» Quindi alzò lo sguardo e ordinò:
«Fermate il conto alla rovescia».
Elspeth si irrigidì. Era questo l'indizio che stava aspettando? Sollevò matita e taccuino, pronta a prendere nota.
Willy si tolse le cuffie. «Ci sarà un ritardo di dieci minuti» annunciò. Il suo tono tradiva solo l'irritazione dovuta
a un normale intoppo. Diede un altro morso al sandwich.
«Devo indicare il motivo?» chiese Elspeth, nella speranza di ottenere informazioni.
«Dobbiamo sostituire un condensatore che scarica.»
Era possibile, rifletté Elspeth. I condensatori erano di
vitale importanza per il sistema di rilevamento e il fatto
che scaricasse - piccole scariche elettriche casuali - poteva
essere un segno che il dispositivo stava per cedere. Ma
non era convinta. Decise di controllare, se ne avesse avuto
la possibilità.
Prese un appunto, si alzò e uscì salutando con un allegro
cenno della mano. Fuori dalla casamatta le ombre del pomeriggio si stavano allungando. La fusoliera bianca dell'Explorer I era puntata come una freccia segnaletica verso il
cielo. Elspeth se lo immaginò mentre decollava, staccandoSi con penosa lentezza dalla rampa di lancio, con la sua coda di fiamme che si allontanava nella notte. Poi vide un
lampo più abbagliante del sole mentre il razzo esplodeva,
Scagliando tutto attorno frammenti di metallo simili a
schegge di vetro, una rossa palla di fuoco che squarciava il
cielo nero con un ruggito potente come l'urlo di trionfo dei
Poveri e dei diseredati di tutta la terra.
Si avviò a passo svelto attraverso il prato, diretta alla
spianata di cemento della piattaforma di lancio, girò attorno alla torre di servizio ed entrò nella cabina di lamiera
sul retro che ospitava uffici e attrezzature. Il responsabile
della torre di servizio, Harry Lane, stava parlando al telefono e prendeva appunti con una grossa matita. «Dieci
minuti di ritardo?» chiese Elspeth quando lui riattaccò.
«Potrebbero essere anche di più» rispose l'uomo senza
degnarla di uno sguardo, ma questo non significava nulla. Lui era sempre scortese: non gli piaceva vedere donne
vicino alla rampa di lancio.
«Il motivo?» insisté lei, prendendo nota sul taccuino.
«Sostituzione di un componente difettoso.»
«Ti spiacerebbe dirmi quale componente?»
«Sì.»
Era esasperante. Non riusciva a capire se lo stesse facendo per motivi di sicurezza o per semplice misoginia. Si
voltò per uscire ma, proprio in quel momento, entrò un
tecnico con una tuta sporca di grasso. «Qui c'è quello vecchio, Harry» annuncio.
Nella mano tutta sporca teneva uno scatolotto.
Elspeth sapeva esattamente cos'era: lo scrambier per il
sistema di autodistruzione.
Uscì in fretta prima che Harry potesse vedere l'espressione di trionfo sul suo viso. Con il cuore che batteva forte
per l'eccitazione, corse alla jeep.
Sedette al volante e cercò velocemente di fare il punto.
Stavano sostituendo lo scrambier per prevenire il sabotaggio. Quello nuovo avrebbe avuto un circuito elettronico
diverso, così da poter ricevere un altro codice, mentre uno
sera mbler corrispondente sarebbe stato collegato al trasmettitore per generare il segnale richiesto. Probabilmente
i componenti di ricambio erano stati spediti per via aerea
da Huntsville quella stessa mattina.
Era un'ipotesi attendibile, pensò con soddisfazione. Finalmente sapeva cosa stava facendo l'esercito. Ma come
poteva superarli in astuzia?
Gli sera mbler venivano sempre prodotti a gruppi di
quattro~ di cui un paio tenuti di riserva in caso di malfunzionamento. Era appunto la coppia di riserva quella che
lei aveva esaminato, la domenica precedente, quando
aveva fatto il disegno dello schema perché Theo potesse
riprodurre il codice del segnale di autodistruzione. Ora,
rifletté preoccupata, doveva ricominciare da capo: trovare
la coppia di riserva, smontare lo scrambier destinato al trasmettitore e copiare lo schema del circuito.
Mise in moto la jeep e tornò in fretta agli hangar ma, invece di entrare nell'hangar R, dove si trovava il suo ufficio, andò al D e si diresse nella sala telemetria. Era lì che la
volta precedente aveva trovato la coppia di riserva.
Hank Mueller era appoggiato a un bancone con altri
due scienziati, intenti a controllare un congegno elettrico.
Quando la vide si illuminò in viso e le disse: «Ottomila».
I suoi colleghi mugugnarono esasperati, allontanandosi.
Elspeth si sforzò di nascondere l'impazienza. Avrebbe
dovuto stare al gioco dei numeri prima di ottenere qualcosa. «E il cubo di venti» rispose.
«Non basta.»
Lei ci pensò un attimo. «Okay. È la somma di quattro
cubi consecutivi: 113 + 12~ + 14~ 8000.»
«Molto bene.» Le consegnò la monetina e aspettò la sua
domanda.
Elspeth si concentrò alla ricerca di un numero. «Il cubo
di 16.830».
Lui aggrottò la fronte assumendo un'espressione offesa. «Non ce la faccio a calcolano! Mi ci vuole un cervello
elettronico!» esclamò, indignato.
«Non lo sai? È la somma di tutti i cubi consecutivi da
1134 a 2133.»
«Non lo sapevo!»
«Quando ero al liceo, il numero civico di casa dei miei
era 16.830, ecco perché lo so.»
«È la prima volta che non mi restituisci la monetina» dichiarò Hank con aria così afflitta da risultare comica.
Elspeth non poteva perquisire il laboratorio: doveva
chiedere a lui. Per fortuna gli altri uomini erano troppo
lontani per poter sentire. «Hai la coppia di riserva dei
nuovi scrainbler arrivati da Huntsville?»
«No» rispose Hank, con espressione ancor più abbattuta. «Dicono che qui la sicurezza non è sufficiente. Li hanno chiusi in una cassaforte.»
Elspeth era contenta che non le avesse chiesto perché
voleva saperlo. «Quale?»
«Non me l'hanno detto.»
«Non ha importanza.» Finse di prendere appunti sul
suo taccuino e uscì.
Corse all'hangar R, impacciata dai tacchi alti nella sabbia. Aveva ritrovato un po' di ottimismo, ma c'era ancora
molto da fare. Si accorse che stava già calando la sera.
Che lei sapesse, c'era una sola cassaforte, quella nell'ufficio del colonnello Hide.
Sedette alla scrivania e infilò una busta nella macchina
per scrivere: "Dr W. Fredrickson - Personale". Poi piegò
due fogli di carta a metà, li infilò nella busta e la chiuse.
Andò all'ufficio di Hide, bussò, ed entrò. Hide era solo.
Stava fumando la pipa, seduto alla scrivania. Alzò lo sguardo e le sorrise. Come la stragrande maggioranza degli uomini, solitamente era contento di vedere una bella ragazza.
«Elspeth» disse, con il suo accento strascicato «cosa posso
fare per lei?»
«Potrebbe tenere questa nella sua cassaforte per Willy?»
Gli porse la busta.
«Certo. Che cos'è?»
«Non me l'ha detto.»
«Naturale.» Ruotò con la sedia e aprì un mobiletto dietro
di lui. Guardando oltre le sue spalle, Elspeth vide uno
sportello di acciaio con un disco combinatore. Si avvicinò.
Il disco era graduato da O a 99, ma solo i multipli di dieci
erano contrassegnati da una cifra, i numeri intermedi erano indicati solo da tacche. Sbirciò i movimenti del disco.
Aveva la vista buona, ma era difficile vedere esattamente
dove Hide lo fermava. Si allungò in avanti, sporgendosi
sopra la scrivania per andare ancora più vicino. Il primo
numero era facile: 10. Poi lui compose un numero subito
sotto il 30: il 29 o il 28. Infine spostò il disco tra il 10 e il 15.
La combinazione doveva essere del tipo 10-29-13. Poteva
essere la sua data di nascita, il 28 o il 29 di ottobre del 1911,
1912, 19130 1914. Vale a dire un totale di otto possibilità. Se
fosse riuscita a entrare lì dentro da sola, avrebbe potuto
tentarle tutte nel giro di pochi minuti.
Hide aprì lo sportello. Dentro c'erano i due scrambier.
«Evviva!» mormorò Elspeth.
«Come?» fece Hide.
«Niente.»
Hide borbottò qualcosa, gettò la busta nella cassaforte,
chiuse lo sportello e fece ruotare il disco.
Elspeth era già sulla soglia. «Grazie, colonnello.»
«Si figuri.»
Ora doveva solo attendere che lui lasciasse l'ufficio.
Dalla sua scrivania non poteva vedere la porta. Però la
stanza si trovava in fondo al corridoio e quindi doveva
passarle davanti per uscire. Elspeth lasciò la porta spalancata.
Squillò il telefono. Era Anthony. «Tra pochi minuti noi
andiamo» le annunciò. «Hai quello che ci serve?»
«Non ancora, ma l'avrò presto.» Avrebbe voluto sentirsi
davvero sicura come sembrava. «Che macchina hai comperato?»
«Una Mercury Monterey verde chiaro del `54, il modello vecchio stile, non quello con le pinne.»
«La conosco. Come sta Theo?»
«Vuole sapere cosa deve fare dopo stanotte.»
«Pensavo tornasse in Europa e continuasse a lavorare
per "Le Monde".»
«Ha paura che possano rintracciarlo fin là.»
«È possibile. In questo caso, forse, sarebbe meglio che
venisse con te.»
«Non vuole.»
«Promettigli qualunque cosa» tagliò corto lei con impazienza «purché stasera sia pronto.»
«Okay.»
Il colonnello Hide passò davanti alla porta aperta dell'ufficio. «Ora devo andare» disse Elspeth, e riattaccò.
Uscì. Il colonnello non si era allontanato: era fermo sulla
soglia dell'ufficio accanto e stava parlando con le dattilografe. Da lì si vedeva la porta della sua stanza: Elspeth non
poteva entrare. Rimase nei paraggi per un minuto, sperando che lui si muovesse. Quando lo fece, però, fu per tornare
nel suo ufficio.
Vi rimase per altre due ore.
Elspeth credeva di impazzire. Aveva la combinazione,
le bastava solo entrare lì dentro e aprire la cassaforte. Ma
Hide non se ne andava. Mandò la segretaria a prendergli
del caffè dal camioncino delle bibite che chiamavano
"Scarafaggio Ambulante". Non andò neppure in bagno.
Cominciò a fantasticare sui possibili modi per toglierlo di
mezzo. Nell'Oss le avevano insegnato a strangolare una
persona con una calza di nylon, ma non si era mai trovata
costretta a farlo. E, comunque, Hide era un pezzo d'uomo:
sopraffarlo non sarebbe stato facile.
Elspeth rimase in ufficio, dimenticando l'aggiornamento del programma. Willy Fredrickson sarebbe andato su
tutte le furie, ma che importanza aveva, ormai?
Guardava l'orologio in continuazione. Finalmente, alle
otto e venticinque, Hide ripassò in corridoio. Elspeth
schizzò in piedi, andò alla porta e lo vide scendere le scale. Mancavano un paio d'ore al lancio: era probabile che
fosse diretto alla casamatta.
Vide un uomo venire verso di lei lungo il corridoio. «Elspeth?» chiese con una voce incerta che lei riconobbe subito. Ebbe l'impressione che il suo cuore si fermasse. Lo
guardò negli occhi.
Era Luke.
20.30.
Le informazioni raccolte dagli strumenti di registrazione del satellite vengono radiotrasmesse attraverso segnali in banda audio. I vari strumenti utilizzano frequenze diverse, il che consente di separare automaticamente i toni alla ricezione.
Luke temeva questo momento.
Aveva lasciato Billie allo Starlite. Presa una stanza, si sarebbe rinfrescata e poi avrebbe raggiunto la base in taxi, in
tempo per assistere al lancio. Luke era andato direttamente alla casamatta, dove aveva appreso che l'accensione dei
motori era in programma per le 22.45. Willy Fredrickson
gli aveva illustrato le precauzioni che erano state adottate
per prevenire il sabotaggio del razzo, ma Luke non si sentiva del tutto tranquillo. Avrebbe preferito che Theo Packman fosse stato arrestato e avere un'idea dei movimenti di
Anthony. In ogni caso, né l'uno né l'altro potevano fare
nulla con il codice di trasmissione sbagliato. Willy gli aveva anche detto che i nuovi scrambler di riserva erano chiusi
in cassaforte.
Si sarebbe sentito un po' meglio dopo aver visto Elspeth.
Non aveva parlato con nessuno dei suoi sospetti, in parte
perché non sopportava l'idea di accusarla, in parte perché
non aveva prove. Ma quando le avesse chiesto la verità,
guardandola negli occhi, avrebbe saputo.
Salì le scale dell'hangar R con il cuore pesante. Doveva
scoprire perché lei lo aveva ingannato e confessarle di
averla a sua volta tradita. Non avrebbe potuto dire cosa
fosse peggio.
Arrivato in cima alle scale, incrociò un uomo in uniforme da colonnello che lo salutò senza fermarsi. «Ehi, Luke,
ho piacere che sia tornato. Ci vediamo alla casamatta.»
Poi vide una donna alta con i capelli rossicci uscire da un
ufficio lungo il corridoio. Sembrava nervosa. Il suo corpo
snello pareva vibrare per una tensione interna mentre,
ferma sulla soglia, guardava in direzione del colonnello
che si allontanava giù per le scale. Era ancora più bella
che nella foto del matrimonio. Il volto pallido aveva una
lieve luminescenza, come la superficie di un lago alle prime luci dell'alba. Luke avverti una scossa, un misto di eccitazione e tenerezza.
La chiamò, e lei si accorse della sua presenza. «Luke!»
esclamò, andandogli incontro. Il sorriso con cui l'accolse
era sincero, ma Luke lesse la paura nei suoi occhi. Gli
gettò le braccia al collo e lo baciò. Luke si disse che questo
non avrebbe dovuto sorprenderlo: era sua moglie, e non
lo vedeva da giorni. Un abbraccio era la cosa più naturale
del mondo. Lei non aveva idea dei suoi sospetti e si comportava come si comporta normalmente una moglie.
Luke si sciolse dall'abbraccio. Elspeth lo guardò, perplessa, cercando di decifrare la sua espressione. «Cosa c'è?»
gli chiese. Poi lo annusò, e una rabbia improvvisa le colorò
il volto. «Brutto figlio di puttana! Tu puzzi di sesso!» Lo allontanò da sé con una spinta. «Ti sei scopato Billie Joseph.son, maledetto bastardo!» Un tecnico che stava transitando
in corridoio alle sue parole trasalì visibilmente, ma lei non
se ne curò. «Tela sei scopata in treno.»
Luke non sapeva come reagire. Il tradimento di Elspeth
era molto più grave del suo, ma nonostante tutto lui si
vergognava di ciò che aveva fatto. Qualsiasi cosa avesse
detto sarebbe suonata come una scusa, e lui odiava le scuse, perché scadevano nel patetico. Così, tacque.
L'umore di Elspeth mutò di nuovo, in modo repentino.
«Non ho tempo per queste cose» dichiarò. Continuava a
guardare su e giù per il corridoio, impaziente e distratta.
Luke si insospettì. «Cos'hai da fare che sia più importante di parlare con me?»
<dl mio lavoro!»
«Non ti preoccupare di quello.»
«Cosa diavolo stai dicendo? Io devo andare. Parleremo
più tardi.»
«Credo proprio di no» ribatté lui con fermezza.
Di fronte al suo tono deciso, Elspeth reagì. «Cosa vuoi
dire?»
«Quando sono passato da casa ho trovato una lettera
indirizzata a te e l'ho aperta.» La tirò fuori dalla tasca della giacca e gliela porse. «E di un medico di Atlanta»~>
Elspeth impallidì. Estrasse il foglio dalla busta e cominciò a leggere. «Oh, mio Dio!»
«Ti sei fatta sterilizzare sei settimane prima del matrimonio.» Luke non riusciva ancora a crederci.
«Io non volevo» rispose lei con le lacrime agli occhi.
«Sono stata costretta a farlo.»
Luke si ricordò delle parole del medico sullo stato di salute di Elspeth - insonnia, perdita di peso, pianto improvviso, depressione - e provò un improvviso moto di compassione. «Mi dispiace che tu abbia sofferto» le sussurrò.
«Adesso non fare il carino con me, non lo sopporto.»
«Andiamo in quell'ufficio» disse lui. La prese per un
braccio e la condusse nella stanza, poi chiuse la porta. Automaticamente lei si diresse alla scrivania e si sedette, frugando nella borsa in cerca del fazzoletto. Luke prese una poìtroncina e l'avvicinò in modo da sedersi accanto a lei.
Elspeth si soffiò il naso. «All'ultimo momento avevo
quasi deciso di non farmi operare. E stata una prova terribile.»
Lui la guardava, cercando di restare freddo e distaccato. «Immagino che ti avranno obbligato» osservò, poi fece
una pausa. Gli occhi di Elspeth si spalancarono. «Il Kgb»
proseguì Luke. «Ti hanno ordinato di sposarmi in modo
da poter raccogliere tutte le informazioni sul programma
spaziale, e ti hanno costretta alla sterilizzazione per non
avere figli che avrebbero potuto mettere in pericolo la tua
lealtà.» Negli occhi di lei lesse una pena infinita e capì di
aver ragione. «Non mentire, perché tanto non ti credo» si
affrettò ad aggiungere.
«Va bene.»
Aveva ammesso. Luke si appoggiò allo schienale della
poltroncina. Si sentiva senza fiato e dolorante, come se
fosse caduto da un albero.
«Continuavo a cambiare idea» disse lei, piangendo. «La
mattina ero decisa a farlo. Poi, a mezzogiorno, ti chiamavo al telefono, tu mi dicevi qualcosa a proposito della casa, che so... che ti sarebbe piaciuto un giardino grande in
cui i bambini potessero correre, e io decidevo di ribellar-
mi. La sera, a letto, pensavo che avevano un assoluto bisogno delle informazioni che avrei potuto ottenere sposandoti, e mi convincevo ancora una volta a ubbidire.»
«Non potevi fare entrambe le cose?»
Lei scosse la testa. «Già così mi era quasi impossibile
spiarti e amarti allo stesso tempo. Se avessimo avuto dei
bambini non avrei mai potuto continuare.»
«Cosa ti ha fatto decidere, alla fine?»
Elspeth tirò su con il naso e si asciugò il viso. «Non ci
crederai mai. E stato il Guatemala.» Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro. «Quei poveracci chiedevano
solo delle scuole per i loro figli, un sindacato che proteggesse i loro diritti e la possibilità di guadagnarsi da vivere. Ma questo avrebbe fatto salire di qualche centesimo il
prezzo delle banane, e la United Fruit non lo voleva. E allora cosa abbiamo fatto noi americani? Abbiamo rovesciato il loro governo per mettere al suo posto un burattino fascista. Allora lavoravo per la Cia, quindi sapevo come
stavano le cose in realtà. Ero furibonda all'idea che quegli
uomini avidi di Washington potessero fottere un paese intero e farla franca per poi mentire al proposito, costringendo la stampa a raccontare al popolo americano che si
era trattato di una rivolta dei gruppi anticomunisti locali.
Tu dirai che è un motivo strano per cui accalorarsi, ma
non hai idea di quanto questa storia mi fece arrabbiare.
«Tanto da farti mutilare?»
«E tradirti, fino a rovinare il mio matrimonio.» Elspeth
sollevò il capo. Ora sul suo viso c'era un'espressione d'orgoglio. «Che speranza c'è per il mondo se dei poveri contadini non riescono a sollevarsi dalla miseria senza che lo
stivale dello Zio Sam li schiacci? L'unico rimpianto che ho
è di averti negato dei figli. È stata una malvagità. Per il resto, sono orgogliosa di quello che ho fatto.»
Luke annuì. «Credo di capire.»
«È già qualcosa» osservò lei con un sospiro. «Che intendi fare? Chiamare l'Fbi?»
«Dovrei?»
«Se lo fai finirò sulla sedia elettrica, come i Rosenberg.»
Luke trasalì, come se lo avessero pugnalato. «Cristo!»
«Un'alternativa c'è.»
«Quale?»
«Lasciarmi andare. Salirò sul primo aereo. Andrò a Parigi, Francoforte, Madrid.., qualsiasi posto purché in Europa. Da lì prenderò un volo per Mosca.»
«E questo che vuoi? Finire i tuoi giorni là?»
«Sì» rispose lei con un sorriso ironico. «Sono colonnello,
sai. Negli Stati Uniti non lo sarei mai diventata.»
«Devi andartene ora. Immediatamente.»
«Va bene.»
«Ti accompagnerò al cancello e tu mi consegnerai il tuo
lasciapassare in modo da non poter più rientrare.»
«D'accordo.»
Luke la guardò, cercando di imprimersi negli occhi il volto di lei. «Immagino sia venuto il momento di dirci addio.»
«Posso andare un momento in bagno, prima?» chiese
Elspeth prendendo la borsa.
«Certo.»
21.30.
Scopo principale del satellite è quello di misurare i raggi cosmici
per mezzo di un esperimento ideato dal dottor James Van Allen
della Iou'a State University. Tra tutti gli strumenti di bordo, il
più importante è un contatore Geiger.
Elspeth uscì dall'ufficio, girò a sinistra, oltrepassò la toilette delle signore ed entrò nella stanza del colonnello Hide.
Era deserta.
Chiuse a chiave la porta e vi si appoggiò, tremante.
Aveva gli occhi pieni di lacrime e le girava la testa. Il successo era lì, a portata di mano, ma aveva appena messo la
parola fine al matrimonio con l'uomo migliore che avesse
conosciuto, e si era impegnata a lasciare il paese in cui era
nata per vivere il resto dei suoi giorni in una terra che non
aveva mai visto.
Strinse gli occhi e si sforzò di respirare lentamente e a
fondo: uno, espira; due, espira; tre, espira. Un attimo dopo si sentiva già meglio.
Andò al mobiletto dietro la scrivania, lo aprì e si inginocchiò davanti alla cassaforte. Le tremavano le mani. Per
qualche motivo le tornò in mente un proverbio latino imparato a scuola: Festina lente, affrettati con calma.
Ripeté i gesti che aveva visto compiere a Hide. Prima
ruotò quattro volte il disco in senso antiorario, fermandosi sul 10, poi lo girò tre volte nella direzione opposta, fermandosi sul 29. Quindi gli fece compiere altri due giri in
senso antiorario, fermandosi sul 14. Provò a girare la maniglia. La cassaforte non si aprì.
Udì un calpestio all'esterno e una voce di donna. I rumori
provenienti dal corridoio parevano stranamente forti, come
in un incubo. Poi i passi e la voce si allontanarono.
Sapeva per certo che il primo numero era 10. Il secondo
poteva essere 29 o 28. Questa volta provò 28 e 14.
Niente.
Era solo la seconda possibilità su otto. Aveva le mani
umide di sudore e se le asciugò sulla gonna. Tentò con 10,
29, 13 e successivamente con 10, 28, 13.
Aveva esaurito quasi metà delle combinazioni.
Senti una sirena in lontananza: due urli brevi e uno lungo, ripetuti per tre volte. Significava che tutto il personale
doveva evacuare la zona della rampa. Mancava un'ora al
lancio. Senza volere, si voltò a guardare la porta, poi tornò
a concentrarsi sul disco.
Neppure la combinazione 10, 29, 12 funzionò.
Ma 10, 28, 12 si.
Esultante, ruotò la maniglia e aprì il pesante sportello.
I due scrambler erano ancora là dentro. Elspeth si concesse un sorriso di trionfo.
Non c'era tempo per smontarli e copiare il circuito. Doveva prenderli e portarli alla spiaggia. Theo avrebbe riprodotto il circuito oppure usato direttamente lo scrambler
sul suo trasmettitore.
Le venne un dubbio improvviso. Era possibile che qualcuno si accorgesse della loro sparizione nell'ora che mancava all'accensione dei motori? Il colonnello era andato
alla casamatta e, probabilmente, non sarebbe tornato prima del lancio. Era un rischio che doveva correre.
Si sentirono dei passi fuori dall'ufficio e qualcuno tentò
di aprire la porta.
Elspeth smise di respirare.
«Ehi, Bilì, sei lì dentro?» chiese una voce maschile. Sembrava Harry Lane. Cosa diavolo voleva? Elspeth rimase
r
immobile, senza far rumore. «Di solito Bili non tiene chiuso a chiave, no?» disse Harry.
«Non lo so» rispose un'altra voce. «Credo che il capo
della sicurezza possa farlo, se lo ritiene opportuno.»
Elspeth sentì i passi che si allontanavano e la voce di
Harry che diceva: «Sicurezza un corno! Non vuole che gli
rubino lo scotch!».
Prese gli scrambier dalla cassaforte e se li infilò in
borsa,
quindi chiuse lo sportello della cassaforte e il mobiletto.
Poi andò alla porta, girò la chiave e aprì.
Harry Lane era li, fermo in corridoio.
«Oh!» esclamò Elspeth, sorpresa.
«Cosa ci facevi, là dentro?» chiese lui, con aria d'accusa.
«Niente» rispose lei, intimidita, accingendosi ad allontanarsi.
Harry l'afferrò per un braccio. «Se è così, perché hai
chiuso a chiave la porta?» La strinse fino a farle male.
Questo la mandò su tutte le furie. Mise da parte ogni
precauzione. «Mollami subito il braccio, stupido, o ti cavo
gli occhi!»
Lui lasciò la presa e indietreggiò, intimorito, ma insistette: «Voglio sapere cosa facevi là dentro».
Elspeth ebbe un'ispirazione. «Dovevo aggiustarmi il
reggicalze e il bagno delle signore era occupato, così ho
usato l'ufficio di Bili, visto che lui era via. Sono certa che
non gli dispiacerà.»
«Oh» fece Harry con espressione sorpresa «credo dino.»
«So che dobbiamo stare attenti alla sicurezza» aggiunse
Elspeth con un tono più morbido «ma non c'era bisogno
di farmi un livido sul braccio.»
scusami.»
Elspeth si allontanò, trattenendo il fiato.
Tornò nell'ufficio dove Luke la stava aspettando: non si
era mosso. Aveva un'espressione cupa. «Sono pronta» annunciò.
Lui si alzò. «Uscita dalla base vai dritta al motel» le
ordinò.
I suoi modi erano bruschi e pratici, ma lei capì che stava
cercando di soffocare l'emozione. «Si» rispose lei, semplicemente.
«Domattina andrai a Miami e da li prenderai un aereo
per l'Europa.»
«D'accordo.»
Luke annuì, soddisfatto. Scesero le scale insieme e uscirono nella notte calda. Lui l'accompagnò alla macchina.
Mentre Elspeth apriva La portiera, le disse: «Dammi il tuo
lasciapassare».
Lei aprì la borsa e fu colta da un momento di panico: gli
scrambier erano lì, in bella vista, sopra un astuccio portatrucco di seta gialla. Luke, fortunatamente per lei, non li vide. Stava guardando altrove, troppo riservato per curiosare nella borsetta di una signora. Tirò fuori il lasciapassare
che le dava accesso a Cape Canaverai, glielo porse e richiuse la borsa.
Lui se lo mise in tasca. «Ti seguirò fino ai cancelli con la
jeep».
Elspeth capì che quello era l'addio. Incapace di parlare,
sali in auto e chiuse la portiera, ricacciando indietro le
lacrime.
Partì. I fari della jeep di Luke si accesero e la seguirono.
Passando davanti alla rampa di lancio, vide l'incastellatura di servizio che arretrava sulle rotaie, lasciando libero il grande razzo bianco sotto la luce dei riflettori. Aveva un che di precario, come se la spintarella distratta di un
passante avesse potuto farlo cadere. Guardò l'orologio.
Erano le nove e cinquantanove. Mancavano quarantasei
minuti al lancio.
Usci dalla base senza fermarsi. I fari della jeep si fecero
sempre più piccoli nello specchietto retrovisore fino a
scomparire completamente quando lei svoltò a una curva.
«Addio, amore mio» disse a voce alta, e subito cominciò a
piangere.
Questa volta non riuscì a trattenersi. Procedendo lungo
la strada costiera pianse senza ritegno, con le lacrime che
r
le colavano lungo le guance, il petto scosso da singhiozzi.
I fari delle altre auto le venivano incontro come comete
annebbiate. Per poco non oltrepassò la deviazione che
portava alla spiaggia. Quando la vide, inchiodò. L'auto fece un testacoda andando a finire nella corsia opposta davanti a un taxi. L'autista frenò bruscamente, pestando sul
clacson e sterzando, e per poco non andò a sbattere contro
la coda della Corvette, che proseguì sobbalzando sulla superficie sabbiosa e irregolare del sentiero e rallentò fino a
fermarsi. Elspeth sentiva il cuore batterie all'impazzata:
per poco non aveva rovinato tutto.
Si asciugò il viso con la manica e ripartì, più lentamente, diretta verso la spiaggia.
Dopo che Elspeth si fu allontanata, Luke rimase ai cancelli a bordo della jeep, in attesa di Billie. Si sentiva
stordito, senza fiato. Elspeth aveva ammesso ogni cosa. Nelle
ultime ventiquattr `ore era giunto alla conclusione che lei
lavorasse per i russi, ma averne la conferma era stato comunque uno choc. Le spie esistevano, questo lo sapevano
tutti. Ethel e Julius Rosenberg erano stati condannati alla
sedia elettrica per spionaggio; ma leggere di queste cose
sui giornali era un conto, ben altro conto l'essere stato
sposato per quattro anni con una spia. Non riusciva a
crederci.
Billie arrivò con un taxi alle dieci e un quarto. Luke firmò
per il suo ingresso il registro del controllo di sicurezza, poi
risalirono a bordo della jeep e partirono alla volta della casamatta. «Elspeth se n'è andata» disse Luke.
«Credo d'averla incrociata» rispose Billie. «Ha una Corvette bianca?»
«Sì. Era lei.»
«Per poco il mio taxi non l'ha investita. Ci ha tagliato la
strada ed è venuta a fermarsi proprio davanti a noi, così
ho visto la sua faccia alla luce dei fari. L'abbiamo mancata
per un pelo.»
Luke era perpiesso. «Come mai vi ha tagliato la strada?»
«Per imboccare un sentiero laterale.»
«Mi ha detto che sarebbe andata dritta allo Starlite.»
Billie scosse la testa. «No, stava dirigendosi verso la
spiaggia.»
«Alla spiaggia?»
«Sì, ha preso una di quelle stradine sterrate tra le dune.»
«Oh, merda!» esclamò Luke, facendo subito inversione
di marcia.
Elspeth avanzava piano lungo la spiaggia, osservando i
gruppi di persone venuti ad assistere al lancio. Se erano
donne o bambini, passava oltre velocemente.Molti capannelli erano composti di soli uomini, patiti dei missili, armati di binocoli e macchine fotografiche, che fumavano e bevevano caffè o birra raccolti intorno alle loro auto. Elspeth
scrutava con attenzione alla ricerca della Mercury Monterey. Anthony le aveva detto che era verde, ma non c'era abbastanza luce per distinguere bene i colori.
Cominciò dall'estremità della spiaggia più affollata,
quella vicina alla base, ma di Anthony e Theo nessuna
traccia. Pensò che avessero scelto un punto più isolato. Temendo di perderli, proseguì verso sud.
Finalmente notò un uomo alto con un paio di bretelle
appoggiato a un'auto chiara che osservava con il binocolo
il cielo sopra Cape Canaverai. Fermò la macchina e saltò
giù. «Anthony!»
L'uomo abbassò il binocolo ed Elspeth vide che non si
trattava di lui. «Mi scusi» disse, e ripartì.
Guardò l'orologio. Le dieci e mezzo. Mancava pochissimo al lancio. Aveva gli scrambier, tutto era pronto... doveva solo trovare due uomini su una spiaggia.
I veicoli parcheggiati si fecero sempre più radi. Elspeth
aumentò l'andatura. Si avvicinò a una macchina: poteva
essere quella giusta, ma era vuota. Accelerò, quando fu
raggiunta da un colpo di clacson.
Guardò nello specchietto retrovisore. Un uomo era sceso
dall'auto e stava agitando le braccia: Anthony. «Grazie al
È
r
cielo!» esclamò lei a voce alta. Ingranò la retromarcia e lo
22.48
raggiunse «Ho gli scrambier di riserva» disse, saltando giù
dall'auto.
Theo scese anche lui dalla macchina e aprì il bagagliaio.
«Dammeli! Svelta!»
Il conto alla rovescia è arrivato allo zero.
Nella casamatta il responsabile del lancio dice: «Accensione!». Un addetto tira a sé un anello di metallo e lo ruota. È il gesto che accende il motore del missile.
Le prevalvole si aprono e il combustibile inizia a defluire. La
valvola di sfogo dell'ossigeno liquido si chiude e l'alone difumo
bianco attorno al missile improvvisamente scompare.
Il responsabile del lancio dice: «Serbatoi combustibile in pressione».
Negli undici secondi che seguono non accade nulla.
La jeep procedeva lungo la spiaggia a velocità folle, schivando gruppetti di spettatori. Luke fissava lo sguardo sulle macchine, ignorando le urla di protesta quando qualcuno veniva inondato dalla sabbia sollevata dai pneumatici.
«Vedi una Corvette bianca?» gridò, per farsi udire da Billie
al di sopra del ruggito del vento.
Lei scosse la testa. «Dovrebbe essere facile da individuare!»
«Già. E allora dove sono?»
Gli ultimi condotti di collegamento vengono sganciati. Un secondo più tardi il combustibile si innesca e il motore del primo stadio prende vita con un rombo. Un `enorme lingua difuoco arancione erutta dalla base del missile mentre la spinta del motore cresce.
r
«Sbrigati, Theo, per l'amor del cielo!» gridò Anthony.
«Sta' zitto» gli ordinò Elspeth.
Erano chini sul bagagliaio aperto della Mercury guardando Theo che armeggiava con il trasmettitore radio. Stava collegando i fili ai terminali di uno degli scrambier che
Elspeth gli aveva consegnato.
Si udì un rombo, come un tuono lontano, e tutti alzarono lo sguardo.
Con esasperante lentezza, l'Explorer I si solleva dalla rampa
di lancio.
Nella casamatta qualcuno grida: «Vai, baby!».
Billie notò una Corvette bianca parcheggiata vicino a
una berlina più scura. «Eccola!» gridò.
«Li vedo» urlò Luke di rimando.
Tre persone erano raggruppate intorno al bagagliaio
aperto della berlina. Billie riconobbe Elspeth e Anthony,
l'altro uomo doveva essere Theo Packman. Ma non stavano guardando dentro. Avevano la testa voltata e guardavano oltre le dune di sabbia, verso Cape Canaveral.
Billie afferrò la situazione al volo: il trasmettitore era
nel bagagliaio e loro lo stavano tarando perché fosse in
grado di inviare il segnale di autodistruzione. Ma perché
guardavano in alto? Si voltò verso Cape Canaveral e non
vide nulla. Udì, però, un rombo profondo e minaccioso,
come il rumore di un altof orno.
Il razzo stava decollando.
«Non abbiamo più tempo!» urlò.
«Tieniti stretta!»
Billie si aggrappò al parabrezza mentre Luke faceva
compiere alla jeep un'ampia curva.
Il missile acquista velocità di colpo. Un attimo prima
sembrava
esitare sopra la rampa di lancio, un attimo dopo parte come un
proiettile sparato nel cielo della notte, spinto da una coda
difuoco.
Al di sopra del rombo del razzo, Elspeth udì un altro rumore, il ruggito di un motore imballato. Subito dopo furono investiti dal fascio di luce dei fari. Elspeth vide una jeep
lanciata contro di loro a tutta velocità. Capì che li avrebbe
travolti. «Presto!» gridò.
Theo collegò l'ultimo filo.
Il trasmettitore era dotato di due interruttori, uno contrassegnato con "armamento" e l'altro con "distruzione".
La jeep puntava dritta contro di loro.
Theo fece scattare il primo interruttore.
Sulla spiaggia un migliaio di volti si piegano all'indietro, seguendo il missile che si solleva dritto e perfettamente in linea.
Scoppia un enorme applauso.
Luke puntò contro il bagagliaio della Mercury.
Effettuando la curva, la jeep aveva perso velocità, ma
stava comunque procedendo a quasi quaranta chilometri
orari. Billie saltò giù, toccò terra correndo, cadde e rotolò.
All'ultimo momento, Elspeth si gettò dilato. Poi si udì
un cozzo assordante e uno scroscio di vetri infranti.
La coda della Mercury si accartocciò, l'auto fece un balzo
in avanti e il bagagliaio si chiuse con un tonfo. Luke pensava
che Theo o Arithony fosse rimasto schiacciato tra le due vetture, ma non poteva esserne certo. Venne scagliato in avanti
con violenza andando a sbattere con il torace sulla parte inferiore del volante. Sentì il dolore lancinante delle costole
rotte. Un attimo dopo batté la fronte contro la sommità del
volante e un rivolo caldo di sangue gli colò lungo il viso.
Si tirò su a fatica e guardò Billie. Pareva essersela cavata
meglio di lui. Era seduta a terra e si massaggiava le braccia, ma non sembrava sanguinasse.
Poi guardò oltre il muso della jeep. Theo giaceva supino,
immobile, braccia e gambe divaricate. Anthony, invece, era
piegato a quattro zampe, ma non pareva ferito. Elspeth, illesa, si stava rimettendo in piedi; la vide correre verso la
Mercury e tentare di riaprire il bagagliaio.
r
Luke saltò giù dalla jeep e si lanciò verso di lei. Mentre
il cofano si sollevava, la spinse dilato, facendola cadere
sulla sabbia.
«Fermo!» urlò una voce.
Luke si voltò. Anthony era in piedi vicino a Billie e le teneva una pistola puntata alla nuca.
Luke guardò in alto. La rossa coda di fuoco dell'Explorer
era un'abbagliante cometa contro il cielo nero della notte.
Finché si vedeva a occhio nudo, era ancora possibile distruggere il missile. I motori del primo stadio si sarebbero
spenti a una quota di circa centodieci chilometri. Quindi, il
Tupiter C sarebbe scomparso - i ridotti getti di scarico del
secondo stadio non erano abbastanza luminosi da risultare
visibili da terra - e questo sarebbe stato il segnale che il sistema di autodistruzione era diventato inutile. Il primo stadio, quello che conteneva il sistema, si sarebbe separato per
poi cadere nell'oceano Atlantico. A quel punto, la sua esplosione non avrebbe più potuto danneggiare gli altri stadi.
Il distacco sarebbe avvenuto esattamente due minuti e
venticinque secondi dopo l'accensione. Luke calcolò che
dovevano essere trascorsi più o meno due minuti: restavano circa venticinque secondi.
Più che sufficienti per far scattare un interruttore.
Elspeth si rimise in piedi.
Luke guardò Billie. Stava con un ginocchio posato a terra, come un velocista sui blocchi di partenza, immobile, il
silenziatore della pistola che premeva contro i riccioli neri. La mano di Anthony era fermissima.
Luke si chiese se era pronto a sacrificare la vita di Billie
per il missile.
La risposta era no.
Cosa sarebbe successo se non avesse obbedito? Anthony
avrebbe sparato a Billie? Era possibile.
Elspeth si chinò nuovamente sopra il bagagliaio.
In quel momento Billie si mosse.
Spostò la testa dilato e si gettò all'indietro, fece leva con
le spalle contro le gambe di Anthony e lo trascinò a terra.
*1
Luke si tuffò verso Elspeth e la spinse lontano dalla
macchina.
Mentre Anthony e Billie cadevano aggrovigliati, si sentì
lo sparo attutito della pistola.
Luke osservò la scena atterrito. Anthony aveva fatto
fuoco. E Billie? Era rotolata via, apparentemente illesa.
Tirò un sospiro di sollievo, ma poi Anthony sollevò l'arma
puntandola contro di lui.
Luke vide la morte in faccia, e una strana calma si impossessò di lui. Aveva fatto tutto il possibile.
Anthony sembrò esitare, poi tossì e dalla bocca gli uscì
un fiotto di sangue. Luke capì che si era colpito durante la
caduta. La pistola gli sfuggì di mano e lui crollò sulla sabbia, gli occhi che fissavano il cielo senza più vedere.
Elspeth schizzò in piedi e si chinò sul trasmettitore per
la terza volta.
Luke guardò in alto. La coda di fuoco del missile era ormai come il chiarore di una lucciola persa nello spazio.
Mentre la osservava, scomparve di colpo.
Elspeth fece scattare l'interruttore e alzò lo sguardo, ma
era troppo tardi. Esaurito il suo compito, il primo stadio si
era separato. Probabilmente la treccia di Primacord era
esplosa, ma non c'era più combustibile da incendiare e,
comunque, il resto del missile era ormai lontano.
Luke si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Era finita.
Aveva salvato il satellite.
Billie posò una mano sul petto di Anthony, poi controllò
il poìso. «Niente da fare. E morto.»
Quindi, Luke e Billie si voltarono entrambi verso Elspeth. «Mi hai mentito di nuovo» le disse Luke.
Elspeth lo fissava con una luce folle negli occhi. «Noi
eravamo nel giusto!» urlò. «Eravamo nel giusto!»
Alle sue spalle, gruppetti di turisti stavano cominciando a raccogliere le loro cose. Nessuno si era trovato abba-
stanza vicino per accorgersi del dramma: tutti gli occhi
erano rivolti verso il cielo.
Elspeth guardò Luke e Billie come se volesse aggiunge-
r
re dell'altro, ma, dopo qualche secondo, si precipitò verso
EPILOGO
la macchina e avviò il motore.
Invece di dirigersi alla strada, però, puntò dritta sull'oceano. Luke e Billie videro inorriditi la sua auto infilarsi
nella risacca.
Poi la Corvette si arrestò, con le onde che lambivano i
paraurti. Elspeth scese, si tuffò e si allontanò a nuoto verso il mare aperto, illuminata dai fari dell'auto.
Luke fece per lanciarsi, ma Billie lo trattenne per un
braccio.
«Si ucciderà!» gridò lui, angosciato.
«Non puoi più raggiungerla, ora. Moriresti anche tu!»
Luke voleva andare. Quando però Elspeth uscì dal cono di luce dei fari, capì che non sarebbe mai riuscito a trovarla nell'oscurità. Chinò la testa, sconfitto.
Billie lo abbracciò. Dopo un attimo di esitazione, lui ricambiò l'abbraccio.
Di colpo la fatica degli ultimi tre giorni gli crollò addosso come un macigno. Barcollò, rischiando di cadere, ma
Billie lo sorresse.
Poi si sentì meglio e, in piedi sulla spiaggia, abbracciati,
alzarono lo sguardo verso l'alto.
Il cielo era pieno di stelle.
1968.
Il contatore Geiger dell'Explorer I registrò radiazioni cosmiche
mille volte superiori al previsto. Queste informazioni permisero
agli scienziati di tracciare una mappa delle diverse intensità di
radiazione attorno alla terra chiamate "fasce di Van Allen ", dal
nome dello scienziato della Iowa State University che aveva
ideato l'esperimento.
Lo studio sulle micrometeoriti stabilì che ogni anno precipitano sulla terra quasi duemila tonnellate di pulviscolo cosmico.
Si scoprì che la forma della terra era l'un per cento circa più
piatta di quanto si fosse pensato fino a quel momento.
Ma, cosa più importante di tutte per i pionieri dello spazio, i
dati raccolti dall'Explorer dimostrarono che era possibile controllare la temperatura all'interno di un missile in modo da per-
mettere la sopravvivenza dell'uomo nello spazio.
Luke faceva parte del gruppo di scienziati della Nasa
che mandò l'Apollo 11 sulla luna.
Viveva a Houston, in una vecchia casa grande e comoda,
insieme a Billie, ora a capo del dipartimento di psicologia
cognitiva a Baylor. Avevano tre figli: Catherine, Louis e lane. Anche Larry viveva con loro, ma in quel periodo era andato a far visita a suo padre, Bern.
La sera di quel 20 luglio Luke non era in servizio, e qualche minuto prima delle nove, ora locale, stava guardando
la televisione con la sua famiglia, come del resto metà della
r
popolazione del pianeta. Era seduto sul grande divano con
al suo fianco Billie e in grembo la figlia più piccola, lane.
Louis e Catherine erano sul tappeto insieme alloro cane,
un labrador color cioccolato di nome Sidney.
Quando Neil Armstrong posò il piede sulla superficie
lunare, una lacrima scese lungo la guancia di Luke.
Billie gli prese la mano e gliela strinse.
Catherine, che aveva nove anni e assomigliava tutta alla
madre, lo guardò con occhi solenni. «Mamma, perché papà
piange?» chiese con un sussurro.
«È una storia lunga, tesoro» rispose Billie. «Un giorno
te la raccontero.»
L'Explorer I avrebbe dovuto rimanere nello spazio
tre anni. In realtà, restò in orbita per dodici. Il
rientrò definitivamente in atmosfera sopra l'oceano
cino all'isola di Pasqua, disintegrandosi alle 5.47
dopo aver orbitato 58.376 volte.
Vt
RINGRAZIAMENTI
Sono molte le persone che mi hanno generosamente aiutato a raccogliere le informazioni necessarie all'ambientazione di questa
vicenda. Sono arrivato a loro attraverso Dan Starer, del Research
for Writers di New York City, che ha collaborato a ogni mio libro
sm da L'uomo di Pietroburgo, nel lontano 1981. Uno speciale ringraziamento va alle seguenti persone:
- a Cambridge, Massachusetts: Ruth Helman, Isabelle Yardley,
Fran Mesher, Peg Dyer, Sharon Holt e gli studenti della Pforzheimer House, e Kay Stratton;
- all'hotel St Regis, ex Carlton, di Washington, DC: Louis
Alexander del servizio portineria, il fattorino Jose Muzo, il direttore Peter Walterspiel e la sua assistente Pat Gibson;
per due o
31 marzo 1970
Pacifico, videl mattino
- alla Georgetown University: l'archivista Jon Reynolds,
Edward J. Finn, docente di fisica in pensione, e Val Klump,
membro dell'Astronomy Club;
- in Florida: Henry Magilì, Ray Clark, Henry Paul e Ike Rigelì,
che hanno tutti collaborato ai primi programmi spaziali americani; e Henri Landwirth, ex direttore dello Starlite Motei;
- a Huntsville, Alabama: Tom Carney, Cathey Carney e
Jackie Cray, della rivista "Old Huntsville"; Roger Schwerman
del Redstone Arsenal; Michael Baker, storiografo dell'US Army
Aviation & Missile Command; David Alberg, curatore dell'US
Space & Rocket Center; il dottor Ernst Stuhlinger.
Molti dei miei familiari hanno letto le bozze di questo libro,
aiutandomi con consigli e critiche, compresi mia moglie Barbara, le mie figliastre Jann e Kim Turner, e mio cugino John Evans.
Sono molto grato agli editor Phyllis Grann, Neil Nyren e Suzanne Baboneau; agli agenti Amy Berkower, Simon Lipskar e, soprattutto, ad Al Zuckerman.
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Ken Follett. CODICE A ZERO. Traduzione di Annamaria Raffo