Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Presentazione del “TRATTATO DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE” diretto da PASQUALE STANZIONE Padova, Cedam, 2012 Roma, 15 marzo 2013 VINCENZO CARBONE Primo Presidente emerito della Corte di Cassazione Grazie a questi due poderosi volumi, curati molto bene da Pasquale Stanzione – 2816 pagine totali, divise in 36 capitoli il primo tomo e in 30 il secondo -, possiamo fare un punto e una riflessione necessari per approfondire quest’istituto che ha delle frontiere mobili, le “mobili frontiere” della responsabilità civile, ricca di dettagli e povera di principi. La responsabilità civile è un istituto che si piega molto anche al diritto vivente. L’opera diretta da Pasquale Stanzione è veramente sistematica, fatta bene, in cui v’è una parte generale, anche di diritto comparato, il rapporto tra contratto e tort e, inoltre, si approfondiscono le tematiche della responsabilità del contratto, dei singoli contratti, anche in rapporto con l’inadempimento. Il secondo tomo è dedicato alla responsabilità aquiliana: un’attenta ed approfondita analisi che mette in luce l’evoluzione del diritto vivente rispetto alla tutela della persona. Ciò sotto il profilo sistematico, per una materia in continua evoluzione. E qui cominciano le riflessioni. Prima riflessione: perché la responsabilità civile è così complicata? Perché si muove secondo due direttive, completamente diverse e non omogenee: una, in ordine all’an debeatur, cerca sempre di incrementare le nuove fattispecie di responsabilità; quindi l’an debeatur si allarga perché ci vuole sempre o si cerca comunque un soggetto responsabile. Mentre nell’ottocento si chiudeva un occhio per i danni anonimi, per i danni incolpevoli, che erano una vasta area di danni irrisarcibili e c’era quest’idea di limitare sull’an il risarcimento; oggi questo è cessato perché vi è l’opposto incremento quantitativo e qualitativo della responsabilità civile per eliminare i danni incolpevoli e soprattutto per eliminare i danni anonimi, irrisarcibili. L’idea dell’irrisarcibilità è finita; sotto questo profilo bisogna dire che un passo avanti notevolissimo è stato fatto perché non si poteva andare avanti così. Il profilo contrastante riguarda l’espansione delle fattispecie di responsabilità, che non è incrementata invece sul quantum. Dunque un tentativo opposto: restringere il più possibile l’ammontare del risarcimento; ecco la teoria bifida, e qualche volta 1 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi anche un po’ contrastante, della responsabilità: ampliare le ipotesi, ridurre il quantum risarcibile. Allora, mentre il sistema originario (si pensi all’art. 1223 c.c.) risarciva il quantum solamente secondo il tipo di conseguenze primarie e necessarie, poi mediate e dirette, la giurisprudenza, come anche il legislatore, ha inventato una serie di codici di riduzione, in base ai danni che si verificano, ma che non sono addebitati al danneggiante. Questo perché i danni si sarebbero ugualmente prodotti, perché si sarebbero potuti evitare con l’ordinaria diligenza; dunque nel nostro codice entra in funzione il condizionale, la parola “sarebbero” che troviamo nell’art. 1221, nell’art. 1227, co. 2, ovvero nell’art. 1805, co. 2, c.c. Quindi per ridurre il quantum debeatur risarcibile usiamo un condizionale dicendo: il danno c’è, ma si sarebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. V’è stata, all’epoca, una grossa battaglia perché il codice francese, da cui copiavamo quasi tutto, non aveva una norma analoga e l’andammo a mutuare dal paragrafo 254 del BGB che invece prevedeva i danni evitabili; ma quest’idea del danno evitabile non è nuova; la troviamo, infatti, non solo nell’art. 1227, co. 2, ma anche nell’art. 1221, nell’ipotesi di mora. Ad esempio, io devo consegnare un maialino a un mio creditore, sono in mora e non glielo porto. Nel frattempo arriva la peste suina. Se anche glielo avessi portato, egli non lo avrebbe mangiato comunque: ecco, il danno si sarebbe comunque prodotto. Altro esempio bellissimo è nel Digesto: c’era un debitore romano che doveva portare il grano in Sardegna per la decima legio. Si reca a Civitavecchia ma, invece di portare il grano buono, così come pattuito, imbarca grano di pessima qualità. La nave affonda. Il debitore si reca da un avvocato romano e questi lo rassicura che non ha responsabilità perché, dato che la nave è affondata, il danno si sarebbe egualmente prodotto. Il danno, quindi, c’è, ma siccome si sarebbe egualmente prodotto indipendentemente dalla mia volontà, io non lo risarcisco Attraverso il concetto per cui il danno si sarebbe ugualmente prodotto, siamo riusciti ad applicare l’art. 1227 alla giurisprudenza amministrativa: l’Adunanza plenaria n. 3 del 2011, infatti, sancisce che al soggetto che non ha impugnato l’atto amministrativo spetta il risarcimento non per tutti i danni effettivamente realizzatisi, ma per i soli danni che si sarebbero potuti evitare se vi fosse stata tempestiva impugnazione dell’atto amministrativo. Quindi, attraverso questa sentenza, l’art. 1227, co.2,è entrato anche nella giurisprudenza amministrativa. In Germania vi fu una questione analoga: un ragazzo ruppe un vetro con un sasso. Il proprietario della vetrina inoltrò tempestiva domanda per ottenere il risarcimento del danno ma, successivamente, una scossa di terremoto distrusse tutto l’immobile. Il problema a quel punto fu di stabilire se la domanda originaria poteva o non poteva essere ancora accolta dopo il terremoto. La risposta fu che dopo il terremoto, essendo stata distrutta tutta la casa, il danno del vetro rotto non era più risarcibile, proprio perché l’evento si sarebbe comunque prodotto. 2 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Quindi si vede come questo stesso risarcimento del danno, questa stessa responsabilità civile, fra an e quantum, ha un doppio binario che alle volte comporta anche soluzioni diverse, attraverso il condizionale presente nell’art. 1227, co. 2, nell’art. 1221 “si sarebbe egualmente prodotto” e il 1805, co. 2, per quanto riguarda il comodato. Il che fa riflettere. La doppia natura della responsabilità civile, le doppie frontiere mobili della responsabilità portano ad un’altra riflessione: perché il diritto vivente è così funzionale alla responsabilità civile? Altro esempio: la famiglia. Il diritto vivente applicato alla famiglia è molto difficile. Nell’art. 2 della Costituzione c’è scritto che tutti sono uguali senza differenza di sesso, ma nell’art. 29 si ribadisce l’uguaglianza giuridica e morale nella famiglia per rafforzare il concetto. E’ impressionante che il costituente esprima una contraddizione del genere, perché non si fida del lettore ma anche di se stesso. Quindi cosa succede in materia di famiglia? Negli anni 42’ esisteva un certo modo di vedere la famiglia. Esattamente trent’anni dopo il diritto di famiglia cambia, marito e moglie hanno gli stessi diritti. Anche i figli adulterini vengono pressoché parificati ai figli legittimi, non però quelli incestuosi. Quindi non tutti i figli sono uguali. La Cassazione e la Corte costituzionale incontrano forti difficoltà ad interpretare l’art. 30, co. 3, Cost. circa la compatibilità tra i figli incestuosi e la famiglia legittima. Quindi un’altra battaglia; 37 anni dopo, un’altra legge, la 219/2012, stabilisce che tutti i figli sono uguali, senza ulteriori aggettivi. Quindi, come vedete, in materia di famiglia, noi abbiamo mutamenti generazionali: ogni generazione una nuova legge. In materia di responsabilità civile, grazie a Dio, ciò non è necessario perché la giurisprudenza riesce ad aggiustare da sola, senza bisogno che si avvicendi una legge ogni generazione. Quindi vedete che il diritto vivente non opera nello stesso modo su tutti i settori. In materia di responsabilità civile vi è uno sbalzo non indifferente. L’art. 2043 è rimasto immutato nel tempo. Ci fu una grossa battaglia su questo testo perché si voleva, in origine, punire chi aveva danneggiato; poi, in seguito, nei lavori preparatori, non si sa di preciso neanche chi l’abbia scritto, si unì la parola “ingiusto” a quella di “danno”, agli inizi dell’art. 2043 e poi, sempre perché c’era contrasto tra gli autori, mentre il titolo nono discorre di fatto illecito, negli artt. 2055, 2045 e 2046 , in quest’ultimo persino in rubrica, c’è scritto “fatto dannoso”. Ciò perché si era determinato un contrasto: non si voleva punire il danneggiante, ma risarcire il danneggiato e allora ecco la parola “ingiusto” nel 2043, il “fatto dannoso” che entra nel 2055. Quello che conta è che il fatto dannoso deve essere risarcito: non è tanto importante punire il soggetto, ciò che conta è risarcire il danneggiato. Ancora, va ricordato come fatto storico che la responsabilità aquiliana precedentemente non si applicava ai diritti reali. Poi, soprattutto perché erano intervenuti alcuni cambiamenti nell’economia (e la responsabilità è molto collegata all’economia), nel 1967 c’è l’investimento del calciatore Meroni e nel 1968 – nella nota vicenda giudiziaria - la Cassazione stabilisce che l’applicazione del 2043 non può 3 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi essere limitata ai diritti assoluti ed alle obbligazioni. Ma non è finita. Successivamente altre questioni, altre storie: stavolta si esercita anche l’influenza comunitaria, cosicché si afferma che negli appalti pubblici comunitari gli interessi legittimi vanno risarciti. Quindi, il cavallo di Troia, per la risarcibilità degli interessi legittimi, è circoscritto al diritto comunitario. L’articolo 13 della legge 142 del 1992 prevede che con gli appalti comunitari si ha la risarcibilità degli interessi legittimi. La Cassazione con due sentenze, la n. 500 e la n. 501 del 1999, afferma che anche l’interesse legittimo è un bene della vita e va risarcito. Poi la Corte costituzionale con le sentenze 204/2004 e 161/2006 crea un equilibrio tra giurisdizione amministrativa e giurisdizione civile, fino a dar luogo al nuovo processo amministrativo. Si arriva quindi a una modifica profonda del testo anche se formalmente il testo non cambia, v’è un mutamento nell’interpretazione dello stesso testo. Ecco il diritto vivente, ecco quello che in Germania è chiamato das Lebende Recht, oppure in Francia l’esprit des lois. Altro problema sul quale è possibile fornire esempi, è dato dall’art 2059 c.c. Per anni si è sostenuta la tipicità del danno non patrimoniale che poteva essere risarcito solo nei casi espressamente previsti dalla legge (18 sentenze di rigetto della Corte costituzionale). Nel 2003 la Cassazione ebbe un lampo di genio: i valori della persona devono essere costituzionalmente garantiti e con due sentenze, nn. 8826/8827, nel 2003 positivizzò questo principio. Nel 2001 è intervenuta una modifica dell’art 117 della Costituzione con la legge n. 3 che ha previsto tanto per il legislatore quanto per l’interprete che non solo nel legiferare ma anche nell’interpretare bisogna tener conto dei principi della Costituzione e dei principi del diritto comunitario. Quindi l’interpretazione non può più essere fatta alla stregua dell’art 12 delle preleggi, non c’è più solo l’analogia legis, l’analogia iuris e i principi generali. I principi generali sono anche quelli contenuti nella Costituzione e nelle leggi comunitari. Infatti, oggi, in maniera più raffinata , si scrive che bisogna operare “con l’interpretazione costituzionalmente orientata e comunitariamente orientata”; se viviamo in un sistema con più fonti, se ne dovrà necessariamente tenere conto. È proprio in base ai principi costituzionali che nel 2003, e bisogna precisare che la Corte costituzionale lo affermò subito, è maturata l’esigenza di risarcire anche il danno costituzionalmente garantito alla persona: pertanto, l’idea della tutela costituzionalmente orientata entra anche nell’interpretazione. Ma l’art.2059 ha avuto un’apertura, non solo in tema di responsabilità aquiliana, ma anche nella responsabilità contrattuale, perché le stesse sentenze sostengono che il danno alla persona e il danno patrimoniale si applicano anche in materia di responsabilità per inadempimento contrattuale. Per quanto concerne l’art. 1218, esso è una norma che all’inizio nessuno aveva considerato molto importante perché non era stata collegata con l’art 1223. L’inadempimento delle obbligazioni, per lo più contrattuali, in cui il debitore era responsabile per l’inosservanza, per l’inadempimento anche parziale ovvero per il 4 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi ritardo nell’adempimento. L’art 1218 è una norma molto forte. Non si può capirne la forza se non si tiene conto che c’è alla base una vecchia norma del codice del 1865 che prevedeva la prigione per debiti. Tale norma è stata cambiata con la legge del 1877, e tuttavia permane questa idea della quale bisogna tener conto : è significativo che il debitore dovesse comunque pagare. Ecco perché l’art.1218 è sempre stato poco considerato fino a quando poi sono cominciate a sorgere obbligazioni (attenzione, obbligatio in latino vuol dire io sono obbligato per, e qual è l’ob? È la causa che mi lega al contratto o a qualsiasi atto o fatto previsto dalla legge come fonte di obbligazione). Quindi l’idea di obbligazione comportava un problema di responsabilità per chi non avesse adempiuto. La questione nacque non solo per le ipotesi rientranti nell’art.1175 ma anche, per esempio, circa la possibile responsabilità dello Stato italiano, davanti al giudice italiano, per inadempimento a un obbligo derivante dal diritto comunitario. E allora, pensate che lo Stato italiano può essere condannato da un giudice italiano( il che 50 anni fa era impensabile), se ha violato una legge comunitaria. Ecco quindi che si prospetta l’interpretazione della legge comunitaria: non è più possibile pensare che l’art.1218 è collegato soltanto al contratto; esso è collegato a tutte le altre obbligazioni, anche quelle ex lege nonché a quelle derivanti dalle norme comunitarie, con la conseguenza che anche uno Stato è condannabile se viola e non mantiene gli obblighi previsti. Il discorso qui diventa complesso, ma significativo, perché se noi colleghiamo questa norma all’art. 1175 - che è una norma notoriamente senza sanzione - questa acquista un nuovo valore e diventa un dovere giuridico. La sanzione deriverà proprio dal collegamento con l’art.1218. Quindi l’obbligazione deriverà dalla legge e non solo dal contratto e quindi io che agisco dovrò comportarmi secondo correttezza e se non lo faccio sono inadempiente ex art.1218. Le riflessioni svolte possono condurre a ulteriori considerazioni; il contesto che cambia influenza molto la materia della responsabilità: ad esempio, si diffonde la responsabilità da contatto sociale. Certamente la giurisprudenza della Cassazione e quella del Consiglio di Stato vanno applicate anche alla responsabilità della pubblica amministrazione nelle trattative. Poi, in tema di amministratori di fatto delle società: anche qui sorge la responsabilità da contatto sociale. In altre parole, questo tipo di responsabilità si sta estendendo ma essa non può esserci se vi è già stata conoscenza tra le parti o trattativa e quindi se vi è già stato un minimo di rapporto tra le parti, che sia stato corretto ed affidabile. Quindi quando c’è un minimo di rapporto, il concetto di responsabilità da contatto sociale si allarga. Ma come si allarga il contatto sociale, si determina una modificazione del contratto. Il contratto era ipotizzato sulla base della fratellanza e dell’uguaglianza delle parti anche economica. Adesso non è più così, sono pochissimi i contratti con la garanzia da entrambe le parti. Da un lato c’è una parte più forte, vedi l’art.460 bis e il codice del consumo; dall’altro c’è il contraente debole, perché per esempio è oggetto di abuso di posizione dominante. Quindi si diffonde questo tipo di responsabilità da contatto sociale e sorge un contrasto tra 5 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi tipologia di responsabilità e tipologia delle fonti della responsabilità, e questo è un aspetto che va approfondito. La classica distinzione tra responsabilità contrattuale ed aquiliana viene oggi messa in dubbio perché stiamo ritornando a riflettere sulle fonti delle obbligazioni. V’è chi sostiene che altro sono le fonti d’obbligazioni e altro sono le fonti della responsabilità e bisogna distinguere questi due aspetti perché mentre prima la differenziazione tra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale era pacifica anche in giurisprudenza, una parte della dottrina sta iniziando oggi a sostenere che bisogna tenere conto delle obbligazioni non derivanti dal contratto ma derivanti dall’ordinamento: già l’art. 1097 del 1865 discorreva di legge. Il sistema del 1865 prevedeva cinque fonti di obbligazioni (art.1097): legge, contratti e quasi contratti, delitti e quasi delitti. Nel 1942 si decide di cambiare questo sistema di fonti optando per una tripartizione delle fonti delle obbligazioni : contratti, fatti illeciti e tutti gli altri fatti o atti previsti dall’ordinamento. Questa terza categoria è autonoma, fa parte dei fatti illeciti, o fa parte dell’inadempimento? Questo è il problema che oggi divide la dottrina. Infatti, secondo alcuni questa terza categoria, il danno da inadempimento ex lege, dà origine a delle obbligazioni non contrattuali ma comunque obbligazioni e quindi si è allargato il problema della responsabilità da inadempimento, perché la terza categoria ha lasciato le sponde dell’articolo 2043 per approdare, nell’interpretazione giurisprudenziale, a quelle dell’art.1218 in cui la posizione dei creditori è molto più agevolata rispetto al 2043. Quindi che cosa succede oggi? Possiamo rilevare che data l’importanza della correttezza e buona fede ex art.1175 è in crisi il problema della distinzione della responsabilità aquiliana e della responsabilità contrattuale. E tutte queste altre fonti legali o anomale di obbligazioni portano ad un allargamento della responsabilità da inadempimento e ad un restringimento del campo di applicabilità della responsabilità aquiliana per favorire il risarcimento del danneggiato. Da qui la responsabilità da contatto sociale, la correttezza e la buona fede e così via. Tutto ciò conduce ad una reazione da parte del legislatore, che di recente con la legge Balduzzi n. 189/2012 (cd. Balduzzi) tenta di limitare i costi a spese del danneggiato . L’art. 3 nel testo originale del decreto legge non era così perverso, ma in sede di conversione è stato introdotto un nuovo articolo 3 che è completamente diverso da quello del decreto legge. Esso recita: “L’esercente della professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e a buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve”. Ciò però è sbagliato perché se il medico ha seguito le pratiche e le linee guida non risponderà di imperizia, ma se è stato negligente dovrà rispondere di tale negligenza. Pertanto, anche la colpa lieve dovrebbe essere distinta nelle tre parti di imperizia, negligenza e imprudenza. Il legislatore asserisce poi : “in tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.”. Questa è una lex specialis, perché è il legislatore a stabilire se il medico risponde ex art. 2043 o ex art.1218 senza ricorso alle fonti. Lo scopo del 6 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi legislatore è di risparmiare con la responsabilità aquiliana rispetto alla responsabilità contrattuale. Questa nuova legge non riguarda solo gli addetti al settore, ma riguarda tutti, cittadini, ammalati, medici: non è un problemadi poco conto. Il discorso quindi è che questa legge vuole, qualificando con la lex specialis la responsabilità del medico come aquiliana, scavalcare le fonti e la normativa pregressa. Tre recenti sentenze di merito si dividono asserendo da una parte l’inesattezza di questa legge, dall’altra addirittura l’erroneità della stessa. In conclusione, perché diventa importante tutto quanto detto finora? Intanto, le sentenze son quattro, una della Corte di Cassazione e tre che sono di applicazione nel merito: Tribunale di Varese (26.11.2012), Tribunale di Arezzo (14.02.2013) e Tribunale di Torino (26.02.2013). Così, la Corte di Cassazione afferma di non essere per nulla d’accordo con la legge. Molto importanti sono le tre sentenze di merito: il tribunale di Arezzo ritiene che questa legge sia sbagliata e che si debba applicare l’art. 13. Le altre due sentenze di merito, invece, (Tribunale di Varese e Tribunale di Torino) ritengono che essa sia applicabile e, in una maniera anche pesante, la Corte di Torino afferma che “il legislatore butta alle ortiche l’utilizzazione del contatto sociale”. Quindi, rispetto a questa nuova legge, tre Corti sono contrarie, una sola favorevole. Il problema, pertanto, diventa di fonti perché identificare il soggetto responsabile è essenziale nella responsabilità aquiliana. C’è il nesso causale per identificare il soggetto responsabile, la causalità materiale. Ma questo problema di causalità non sussiste nella responsabilità da inadempimento, anche ex lege, perché sappiamo già chi è il soggetto responsabile. Pertanto il legislatore deve stare attento quando entra in un settore come quello della responsabilità civile, che si è allargata; non può intervenire così impunemente solo con la lex specialis e solo per un settore. A conclusione, dopo aver apprezzato, letto ed esaminato i volumi curati dal Prof. Stanzione sulla responsabilità, comprendo che l’insegnamento che ci arriva da esso riguarda un problema di sistematicità; occorre un respiro sistematico perché è un settore dove opera molto il diritto vivente e il diritto vivente è sistematico. In definitiva, occorre un profilo sistematico: la responsabilità civile non può continuare ad essere trattata da leggi sparse o speciali create ad hoc. *** EMANUELA NAVARRETTA Ordinario di Diritto Privato – Università degli Studi di Pisa Innanzitutto voglio ringraziare per essere stata coinvolta in questa iniziativa che mi ha consentito di analizzare in anteprima quest’opera che è veramente corposa. 7 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Devo dire che appena mi sono arrivati i due volumi ho pensato : un altro trattato sulla responsabilità civile!. Non ce ne sono pochi: ultimamente si assiste ad un fiorire di trattati. E questo mi ha fatto pensare innanzitutto che questo è un segno che il tema della responsabilità civile è veramente il centro dell’interesse non solo degli studiosi, ma soprattutto del diritto che vive, cioè della dimensione pratica: perché il trattato ha come destinatario non solo lo studioso, ma soprattutto colui che il diritto applica. E poi mi sono chiesta : voglio vedere qual è il volto che caratterizza questo trattato, perché è bene che ce ne siano tanti, che questa materia si presta a tanti interventi, ma ognuno deve avere un suo volto che lo caratterizza. E ho provato ad identificare questo volto in tre aspetti, in tre scelte che sono state fatte prima di tutto dal curatore, direttore dell’opera, il collega Stanzione e, immagino, anche collegialmente con gli autori. In primo luogo, una scelta che è già riflessa nell’articolazione dell’opera in due volumi: una scelta che è felice e quasi necessaria ormai, quella di trattare insieme responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale, racchiuse dentro il contenitore della responsabilità civile che, dunque, non è più usata nell’accezione restrittiva di illecito aquiliano, ma in una accezione più ampia: e già questa è una scelta. Questa scelta, oltre che felice, è quasi obbligata perché oggi la responsabilità civile, nella sua dimensione ampia, vive una stagione di mobilità interna. Per tanti anni la responsabilità civile è stata l’istituto che guadagnava le frontiere, che doveva eliminare barriere formali, per ampliare gli spazi della risarcibilità. Oggi le barriere sono state abbattute, sostanzialmente, tutte; certo la responsabilità civile ancora si espande con l’affermarsi di nuovi interessi, ma le grosse barriere sono state eliminate. Eppure la responsabilità civile va avanti, non solo con l’affermazione di nuovi interessi, ma anche erodendo le immunità. Non ci sono più le immunità, sono cadute tutte, forse l’unica che è rimasta in piedi è solo quella del legislatore per l’illecito endostatuale, per violazione della Costituzione. È caduta l’immunità della Pubblica Amministrazione, dei poteri dello Stato rispetto all’Unione europea, ma anche per la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo risponde lo Stato. Quindi sono cadute le immunità dei pubblici poteri, le immunità nell’ambito del rapporti familiari (non c’è più l’immunità nell’illecito familiare).Questo vuol dire che sempre più si risponde perché si sono violati doveri nell’ambito dell’esercizio delle funzioni; e qui viene in gioco il discorso dei doveri. Esso determina l’effetto di una mobilità interna, qualunque sia l’esito cui arriviamo, di una fluttuazione continua di figure, dall’aquiliano al contrattuale. Questo significa che chi studia oggi la responsabilità civile può solo avere una visone di insieme. Non si può studiare guardando solo ad uno di questi due comparti perché solo la visione di insieme consente di dominare le zone grigie. 8 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Le zone grigie sono quelle che ci fanno riflettere intanto sul senso della distinzione, ma forse ci portano a ripensare anche il senso delle regole di ciascun comparto. Esse determinano mutamenti nelle regole di ciascun comparto perché è la presenza degli obblighi di protezione nella responsabilità contrattuale che ha portato, per esempio, il danno non patrimoniale anche dentro la responsabilità contrattuale. Come si sono posti gli autori del trattato rispetto a questa visione di insieme? Credo che abbiano tenuto una posizione molto equilibrata, perché da un lato hanno rispettato la logica del trattato, hanno dato conto dell’infinità di teorie che ci sono, ma al tempo stesso hanno effettuato delle scelte, e non potevano non farle, perché è una materia che impone di fare delle scelte. E mi pare che molte di queste scelte siano condivisibili. Innanzitutto hanno ben presente, proprio guardando le zone grigie, che c’è stato un ridimensionamento della contrapposizione. Ma non cedono al canto delle sirene dicendo allora è un tutt’uno, un genus che assorbe la species. Pasquale Stanzione dice: “nonostante le forze a volte unificatrici, a volte disgregatrici, l’istituto non può prescindere dai suoi due nuclei teorici pregnanti, paralleli e contrapposti”. E la stessa posizione è accolta da Bruno Meoli, che si è occupato proprio di questa zona grigia. Quindi c’è una scelta, così come c’è una scelta anche nella collocazione topografica dei capitoli. Sappiamo che la responsabilità civile dello Stato è stata collocata da una sentenza della Corte di Cassazione nell’illecito contrattuale, ma loro la collocano nell’aquiliano: fanno una scelta motivata, anche in senso critico rispetto alla Cassazione, e gli viene in favore anche la legge di stabilità. Lo stesso per la responsabilità della Pubblica Amministrazione: ci sono orientamenti nel senso della responsabilità contrattuale, ma la collocano nella aquiliana e questo capitolo di Chiara Orrei si chiude con un passaggio che mi ha interessato, poiché ha riportato la nostra attenzione su un problema veramente importante: con questo gioco della condivisione delle giurisdizioni, che compartiscono le stesse materie, davanti alla giurisprudenza amministrativa sono arrivati anche i diritti della persona. E giustamente si mette l’accento su come questo sia rischioso; non perché ci siano delle precomprensioni verso il giudice amministrativo, ma perché il processo amministrativo non si presta a dare piena e congrua tutela ai diritti fondamentali. L’osservazione mi consente si dare uno sguardo anche all’altro grande binomio che domina la materia della responsabilità civile: danni patrimoniali – danni non patrimoniali. E qui la scelta di trattare tutti e due i temi fa sì che troviamo un intervento sul danno non patrimoniale nel primo volume (dello stesso Pasquale Stanzione), ma anche nel secondo volume e un saggio di Livia Saporito dedicato al danno non patrimoniale. E si interrogano giustamente sul senso di questa dicotomia: è un danno ingiusto anche quello dell’art. 2059? E questo è un altro interrogativo cardine. 9 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Certo sull’art. 2059 si è proiettata la caratteristica dell’art. 2 della Costituzione: non è né una clausola aperta né una clausola chiusa, possiamo parlare di atipicità qualificata e quindi circoscritta. Però il messaggio era chiaro: vogliamo privilegiare la persona. E dare una tutela prioritaria alla persona e il volto dell’art. 2059 dà una risposta solidaristico - satisfattiva, non propriamente compensativa; è tutt’al più un deterrente rispetto a questa grave offesa. La seconda scelta che caratterizza il trattato è quella di dare un respiro europeo, aperto alla comparazione, in tema di responsabilità civile. Certo, rispetto al contratto che ormai ha subito veramente dei cambiamenti radicali per effetto del diritto europeo, la responsabilità civile ne risente di meno; però c’è la responsabilità civile dello Stato, del produttore, quindi già il diritto attuale ha avuto cambiamenti forti; e poi, appunto, la responsabilità rispetto alla Corte di Strasburgo. Ma questo non significa che la responsabilità civile non debba essere in prospettiva europea. È dunque apprezzabile che il lavoro sia aperto, da capitoli di respiro comparatistico, non monodirezionale; non si guarda solo alla Germania, come a volte si fa in materia di comparazione di illecito aquiliano, ma si guarda alla Germania, agli altri paesi di civil law, al common law e anche alla visione futura. Ultima scelta: la scelta della struttura che vuole rispecchiare la dialettica della complessità, cioè il rapporto fra parte generale e parte speciale. Il lavoro, in quanto trattato, si occupa del tema generale e poi va nelle articolazioni; ed è interessante, per esempio, il volume della responsabilità contrattuale che analizza i singoli contratti, ma solo sotto il profilo della responsabilità. Lo stesso accade sul versante della responsabilità aquiliana: si analizzano le responsabilità speciali, prendendo il modello codicistico, ma si fa anche qualcosa in più: si vanno a vedere i singoli interessi lesi; quindi la clausola è atipica, ma la tipologia di interesse leso ha un volto diverso di volta in volta. Una piccola annotazione: non ho trovato un capitolo sul possesso, anche se non è taciuto il problema. Lo stesso capitolo introduttivo se ne occupa. E sempre da un punto di vista di questa dialettica particolare- generale, l’altra cosa che ho notato è l’uso, tantissime volte, della parola principio, soprattutto nel capitolo introduttivo (principio del neminem laedere, correttezza, solidarietà).Anche questa è una scelta: la scelta che troviamo anche nel dibattito europeo su principi che non sono sempre dello stesso tipo. Vi sono principi assiologici, principi ordinativi, alcuni sono clausole generali, ma va bene parlare di principi in generale perché è chiara la loro funzione: il principio coglie l’essenziale, quello che consente di dominare il complesso e di dialogare con l’ordinamento diverso. E in questo ho visto anche una modernità, una dimensione più europea, da un punto di vista metodologico. Chiudo citando una frase di Falzea: “per definizione il sistema non è un unità monolitica: apparizioni, articolazioni, sezioni. Il giurista è aiutato dalle partizioni sistematiche tradizionali trasmesse dalla cultura giuridica, nonché dalle ulteriori partizioni sistematiche che egli stesso, come teorico della propria scelta, è in grado di introdurre“. 10 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Ecco, quest’opera dà questa idea della generalità, dell’essenzialità, ma anche della particolarità dell’articolazione e per questo vorrei dire: è un viatico, è un aiuto ed è quello di cui noi giuristi abbiamo bisogno. Dunque per questo si deve ringraziare per lo sforzo, per l’impegno che hanno profuso il curatore e tutti gli autori del nuovo trattato della responsabilità civile. *** GIULIO PONZANELLI Ordinario di Diritto Privato – Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano Qualche giorno fa ho subito risposto con entusiasmo alla possibilità di dire qualcosa su questo nuovo trattato. Volevo fare solo una piccola premessa e quattro piccole annotazioni sul lavoro diretto dall’amico e collega Pasquale Stanzione. Primo: complimenti perché è un libro di scuola: dà l’idea di un libro che è costruito con l’apporto di tutti, o della gran parte, degli allievi della scuola salernitana. E’ bello vedere un gruppo di persone, di scolari che, guidati da Pasquale Stanzione, si cimenta e costruisce. È un opera che a Salerno sanno fare molto bene. Vedo questo libro in una sostanziale continuità con altre iniziative scientifiche della scuola salernitana. Ricordo, per esempio, un bellissimo trattato sulle professioni intellettuali in un momento di snodo importante della giurisprudenza della Corte di Cassazione, in cui si affacciavano nuove professioni intellettuali e la disciplina per regolare queste professioni intellettuali era sempre quella del codice civile. Ricordiamo che la giurisprudenza alla fine si è sbarazzata della dicotomia obbligazioni di mezzoobbligazioni di risultato. Quel libro è stato utilissimo. Grazie a Pasquale, grazie alla scuola salernitana per questo sforzo collettivo e per questo apporto. Vengo a fare quattro piccole annotazioni. Emanuela Navarretta ha detto che il trattato diretto da Pasquale Stanzione si aggiunge a tanti trattati in materia di responsabilità civile, ma io non ne ricordo tanti di trattati dedicati espressamente alla responsabilità civile. La responsabilità civile è una materia che piace tantissimo, oggi celebriamo il trionfo della responsabilità civile che è la materia in sede di Consiglio nazionale forense più trattata nei tre giorni di studio, che ha più contributi, segno di un grandissimo successo. Però c’è una letteratura alla quale accosterei il trattato diretto da Stanzione: il trattato della responsabilità civile di Massimo Franzoni, organizzato e articolato in tre volumi: le regole di responsabilità, l’illecito e un capitolo, curato da un'altra collega, sui profili di responsabilità civile e assicurazione. Ci sono state tantissime monografie in materia di responsabilità civile che hanno trattato temi che sono ripresi anche nel trattato, per esempio il danno non 11 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi patrimoniale da contratto: sono uscite ben tre monografie dalla svolta delle Sezioni Unite dell’11.11.2008; tantissime monografie sono uscite sulla grande novità dell’art. 140 bis, l’azione di classe, in cui ci sono momenti di tutela riparatoria, ma l’azione di classe vuole raggiungere anche ragioni di deterrenza e incidere sulla condotta del danneggiante. Poi c’è il problema di tutte quelle clausole penali contrattuali ed extracontrattuali in cui gli studiosi giovani trovano una insufficienza del modello riparatorio e propongono una lettura estesa, una tutela che sia non solo riparatoria, ma che sia anche deterrente. Dunque c’è spazio per un trattato: le riviste che si occupano di responsabilità civile non sono più tante; fino a qualche anno fa erano quattro; ora, per ragioni editoriali, siamo arrivati a due riviste giuridiche: “danno da responsabilità” curata da me, Carbone e da altri amici, e “responsabilità civile”, fondata dall’avvocato Guido Gentile. Quindi secondo me c’è spazio per un trattato perché ci sono tante produzioni minori, ma non un opera che si segnali soprattutto per un contributo importante. Seconda annotazione: qual è il contributo importante che io vedo nell’opera? Il trattato si segnala per tante ragioni: io, che sono un tort man più che un contract man, evidentemente ho guardato al secondo volume più che al primo; ma nel primo volume ci sono le prime 150 pagine molto belle perché si parte dai principi generali dell’illecito civile, si pongono le premesse per accostare le due leggi: la legge contrattuale e la legge extracontrattuale, vedendole in uno sguardo comparativo. Qual è l’auspicio di tutti? Che, pur nelle differenze strutturali che hanno i due tipi di illeciti, si vada sempre di più verso una lex generalis, verso una disciplina che unifichi le differenze. E poi, da comparatista come sono, c’è un bellissimo spazio di diritto comparato e di diritto europeo sui principali aspetti. Questo è molto apprezzabile perché permette a colui che utilizza il trattato di avere una visione di insieme; magari non vi serviranno quei riferimenti per la causa, per l’atto difensivo che dovrete comporre, però forse, parlando con un avvocato francese, o con un avvocato inglese di una causa che ci può essere qui o ci può essere lì, quegli elementi della struttura francese, o di common law vi saranno utili a livello di cultura generale, ma anche di cultura specialistica. Il grande pregio dell’opera è una più che buona qualità dei contributi. Quando si parte a costruire due volumi che superano le migliaia di pagine, e che dipendono dalla iniziativa di tanti autori (34), significa accettare un rischio, una sfida molto importante. Quando le opere c.d. collettanee vengono immesse sul mercato e l’avvocato le sfoglia si chiede: ma saranno scritte tutte bene? Rispetteranno una certa struttura omogenea? Devo dire che c’è molta omogeneità e molta buona qualità e di questo devo dare atto al curatore, colui il quale, con la penna rossa, avrà riletto attentamente tutti i singoli contenuti. C’è una visione di insieme, si dà atto delle novità; naturalmente è un’ opera che vuole raggiungere un livello di informazione, di approfondimento 12 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi generale (qualche volta in qualche settore questo approfondimento generale lo dà, ma non specifico in determinati settori). Ora faccio, nel terzo e quarto punto, degli appunti nell’ottica di un opera che secondo me dovrà essere aggiornata: queste opere devono essere aggiornate. Questa è la grande sfida dell’editoria. Settore contrattuale: ci sono forse un paio di situazioni contrattuali sulle quali il volume di Pasquale Stanzione avrebbe potuto concentrarsi, offrendo un servizio, in modo particolare, a quelle categorie di avvocati che si occupano a Milano e a Roma di queste problematiche; faccio riferimento soprattutto al contratto di leasing: tutte le problematiche che nascono dal contratto di leasing; un altro contratto che spesso è fonte di contenzioso è il contratto di cessione di partecipazione sociale, in cui si materializza il famoso diritto alieno. In questi contratti, lunghi, articolati, voluminosi, con indice di decine di pagine su tutto ciò che viene reso oggetto di disciplina, nascono contenziosi importanti. Il professionista intellettuale, leggi avvocato, forse avrebbe bisogno di una guida che spesso non si trova; ci sono dei volumi, in una rivista Giuffrè che si occupa di diritto del commercio internazionale, ma manca forse un qualcosa sul purchase agreement. Vengo al secondo volume, quello che ho letto di più, con maggiore coinvolgimento, e maggiore passione: ci si trova tutto in maniera molto ordinata; è uno strumento indispensabile perché così come per chi fa responsabilità civile, sia esso passivo sia esso attivo, ha bisogno di avere nella sua biblioteca il libro di Emanuela Navarretta “La liquidazione del danno non patrimoniale: principi, regole e tabelle”, così questo volume è indispensabile su tutti gli illeciti che sono stati riconosciuti da una giurisprudenza che ha superato tante barriere. Le frontiere della responsabilità civile: un tema caro al mio maestro Francesco Busnelli, il quale, in un articolo del 1975, parlava di nuove frontiere in materia di responsabilità civile, identificandole in un nuovo ruolo della colpa, cioè vedendo come la colpa non fosse uno strumento così polveroso da relegare nella dispensa del diritto, ma avesse tanti contenuti. Le nuove frontiere della responsabilità civile sono state poi riprese dalla straordinaria persona che era Franco Galgano, che parlava di “mobili frontiere del danno” in un articolo sul danno impresa, per poi finire al mio decano (C. Castronovo) che le definiva le nobili frontiere del danno. Queste frontiere che sono state progressivamente erose, sempre di più, ma che vanno preservate; e nel libro, nell’analisi dei singoli illeciti, c’è proprio questa forte tensione a non eliminare le frontiere. La giurisprudenza vorrebbe assicurare un risarcimento in aree sempre più nuove, abbattendo le frontiere: però le frontiere vanno mantenute perché se si abbattono le frontiere non c’è più responsabilità civile, e ci si basa su un sistema che anche a Guido Calabresi non piacerebbe, un sistema che va bene solo in determinati settori. Le frontiere vanno mantenute, per esempio, per il danno non patrimoniale da 13 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi contratto, le pagine dedicate del libro sono molto belle, ma si avverte la necessità di rispettare determinati paletti. Siamo sicuri che sia un ottimo rimedio riparatorio e deterrente assicurare il risarcimento del danno non patrimoniale in ogni ipotesi di inadempimento contrattuale? Io ho molti dubbi. Vengo, infine, alle parti che secondo me potrebbero essere approfondite: per esempio il nesso di causalità che è l’argomento più difficile. Giacomo Travaglino ha scritto un libricino “i nessi di causa”: ancora una volta siamo sulla pluralità: il diritto che si frantuma sempre più e che va alla ricerca di una pluralità di statuti. Il passaggio dalla causalità adeguata al “più probabile che non” perché tenerlo solo nella responsabilità medica? Una volta che incontra il consenso, il “più probabile che non” dovrebbe essere esteso a tutte le aree di illecito aquiliano. Nel capitolo sulla causalità, forse, si poteva fare qualcosa di più. Un altro tema bellissimo è la prescrizione: noi veniamo dal principio, che abbiamo studiato sui banchi del diritto privato, che “la prescrizione è norma di diritto pubblico”, ma il dies a quo quando lo facciamo decorrere? La vocazione assolutamente imperativa delle norme della prescrizione sembrerebbe contraddetta perché la giurisprudenza porta la prescrizione in modo incredibilmente allargata, è un elastico nelle mani dei giudici; ed è un problema grossissimo; certezza del diritto e necessità di assicurare un risarcimento. Poi c’è il problema della quantificazione. È un tema che in un trattato si avverte come centrale, come ineliminabile: il problema del quantum che è veramente l’elemento importante, non più argomento secondario, ma elemento nel quale concretizzare le funzione dell’illecito civile che sono ben descritte nel primo volume. Grazie per avermi invitato, grazie per la lettura, complimenti per quest’opera che ben occupa quel posto che la scuola di Salerno ha nell’ambito del diritto civile e del diritto comparato. *** MARIA ROSARIA MARELLA Ordinario di Diritto Privato – Università degli Studi di Perugia Fa sempre molto piacere avere di fronte un opera come questa, perché veramente è il prodotto di uno sforzo collettivo, lo sforzo di una Scuola come quella di Salerno che occupa un posto di rilievo nell’accademia italiana, sia civilistica che comparatistica. La conoscenza è sempre un prodotto collettivo, si può tranquillamente definire “bene comune”. Ma in questo caso c’è proprio uno sforzo nel generare questo lavoro collettivo e quindi è veramente, già solo per questo, un’opera meritoria. Del resto nella Scuola di Salerno non è il primo caso; ricordo i bei volumi del Trattato sul diritto di famiglia di Gabriella Autorino che furono presentati pochi anni fa in Cassazione. 14 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Ora vorrei soffermarmi sulla spazio dedicato, in questo volume, al danno contrattuale. Sulla questione della quantificazione c’è una crescente attenzione da parte della dottrina, ma va detto che ciò è recente. Io ricordo, a metà degli anni ‘80, rispetto al danno da risoluzione non si trovava una parola sulla questione del danno contrattuale, tantomeno sulla sua quantificazione; non c’era un’analisi dedicata a questo tema perché in effetti era relegato a dei commenti molto scarni sugli artt. 1223 e ss.; e nella trattatistica, a maggior ragione, quest’argomento era assolutamente ignorato. E la cosa è piuttosto curiosa, perché la responsabilità contrattuale, e quindi il risarcimento del danno contrattuale, è la garanzia per la sopravvivenza di un’economia di mercato, come giustamente aveva messo in evidenza Mario Barcellona in un vecchio libretto del 1980, che infatti fu abbastanza ignorato, rimase molto marginale, mentre, invece, aveva avuto il merito di mettere l’accento sull’importanza del tema, sulla necessità di approfondirlo. In questo anche la giurisprudenza è stata poco analitica, soprattutto in virtù della stessa struttura del giudizio di Cassazione, poiché la questione della quantificazione del danno, essendo una valutazione di fatto, per molto tempo non è emersa neanche in giurisprudenza. E invece proprio l’interesse che emerge bene nel trattato a cura di Pasquale Stanzione sta in un’attenzione che in qualche modo è parallela fra la declamazione del principio della riparazione integrale del danno e dall’altro l’applicazione di criteri puntuali che sono quelli previsti dal codice (certezza, prevedibilità del danno, del dovere di mitigare il danno), che invece tendono piuttosto a ridurre l’entità del danno risarcibile. In realtà, il risarcimento del danno contrattuale, al di la della declamazione del suo intento alla riparazione integrale del danno, tende piuttosto a ripartire le perdite tra danneggiante e danneggiato. Questa è la sua funzione perché la peculiarità sta nel fatto che il contratto è un programma di ripartizione del rischio e dunque è evidente che questo ricada anche sul momento del risarcimento del danno. Devo dire che la dottrina in questo ha svolto in Italia un ruolo importante, soprattutto grazie alla comparazione giuridica perché in common law, in particolare nel diritto statunitense, per contro, un analisi della composizione del danno contrattuale è invece molto sviluppata, quindi troviamo di risulta anche nella nostra letteratura. Pertanto rinveniamo in questo trattato un’analisi accurata delle differenze che possono esserci quando il risarcimento del danno contrattuale mira a tutelare l’aspettativa frustrata, cosa che è diversa rispetto al caso in cui la sua finalità sia quella invece di tutelare l’affidamento. Per non parlare dei casi in cui il risarcimento surroga le azioni restitutorie. In realtà, andando a vedere nella casistica giurisprudenziale italiana emergono questi casi, sebbene in un modo non così evidente, probabilmente anche per una mancanza di categorie, di chiavi di lettura che la dottrina ha anch’essa tardato a fornire. 15 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi In tale ipotesi, evidentemente, è la giurisprudenza che ha aiutato la dottrina a scuotersi da alcuni luoghi comuni, da alcune convinzioni su cui era arroccata, secondo le quali appunto il danno non patrimoniale non potesse darsi in sede di inadempimento contrattuale. E, rispetto a questo, la giurisprudenza ha fatto da stimolo relativamente ad una necessità di tassonomia all’interno del discorso del danno non patrimoniale, dell’inadempimento che andrebbe considerata, perché sotto questa etichetta ricadono casi che hanno genesi e razionalità diverse. Infatti, una cosa è la lesione di un interesse tipico della vacanza rovinata, una cosa è il danno che deriva dalla lesione di un obbligo di protezione. Ricadono sotto la stessa etichetta, ma hanno genesi e razionalità diverse e incidono su interessi di natura e di rilevanza diversa. Rispetto a questo, e nel volume traspare bene, c’è un rilievo, anche se veloce, però critico, molto chiaro: la sentenza delle Sezioni Unite del 2008 ha interrotto un dialogo con la dottrina. Perché laddove la dottrina si è fatta carico di analizzare e di ricostruire il danno non patrimoniale da inadempimento nelle sue peculiarità, nella sua razionalità contrattualistica, questo tentativo unificante delle Sezioni Unite, che hanno sostanzialmente racchiuso anche il danno non patrimoniale da inadempimento all’interno della logica dell’art. 2059, interrompe un dialogo che strumenti come il trattato diretto da Pasquale Stanzione sono in grado di riavviare proprio attraverso gli strumenti di analisi che forniscono. Quindi non dobbiamo che ringraziare per quest’opera la Scuola di Salerno. *** PASQUALE STANZIONE Ordinario di Diritto Privato – Università degli Studi di Salerno Due parole soltanto, doverose, ma fatte volentieri, con animo grato. Sono io, idealmente insieme a tutti gli autori del trattato, ad esprimere gratitudine a voi tutti, perché avete fatto di questo avvenimento non un evento banale, di mero festeggiamento; voi avete approfondito i temi; ulteriore accortezza è dovuta alla generosità di Guido Alpa, poiché insieme abbiamo scelto gli studiosi da coinvolgere, autorevoli conoscitori della materia, di cui tanto avete detto e scritto. Quindi è stata una scelta voluta, oculata. Io ho il compito almeno di richiamare i numerosi autori di cui abbiamo parlato precedentemente: Autorino, Sica, Zambrano, Sciancalepore, Bruno Troisi, D’Antonio, Musio, Pignataro, Naddeo, Saporito, Meoli, Riccio, Parisi, Brutti, Salito, Claudia Troisi, Barela, Apicella, Noviello, Di Landro, Dalia, Serra, Ivana Musio, Brutti, Lanzara, Vigliar, Pacileo, Orrei, Angrisani, Siano, Mignacca, Giannone Codiglione, Cascella. Anche a loro va il mio ringraziamento per, come gli amici hanno riconosciuto, la difficoltà di dare, nei limiti del possibile, una certa omogeneità all’intera opera. 16 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi In effetti, la responsabilità civile, nelle sue declinazioni contrattuale ed aquiliana, rappresenta da sempre una sfida per il giurista, dove è esercizio difficile e, per molti aspetti, sterile la ricerca di una distinzione tra teoria e prassi, tra narrazione dottrinale e giurisprudenziale, tra speculazione scientifica ed applicazione del dato positivo. Ciò perché essa è dimensione “magmatica” dell’ordinamento, spesso il primo fronte tramite cui le istanze del sociale assurgono a discorso giuridico, la cui evoluzione è perenne e quotidiana, realizzata ora nel dialogo tra formanti interni al medesimo ordinamento, ora tra formanti appartenenti a realtà giuridiche differenti. D’altronde, il terreno d’elezione dell’istituto – o degli “istituti” – è quello in cui principalmente si misura, nella prospettiva della ricomposizione degli interessi privati, la capacità di un ordinamento di offrire reale tutela nei rapporti tra individui: il risarcimento del danno. Nel soffermarsi sulla dimensione dell’illecito aquiliano, l’interprete che osservi, allora, l’istituto nella prospettiva del diritto interno e di quello comparato si troverà dinanzi ad una realtà giuridica da anni attraversata da forti e profonde tensioni, che ne rendono mutevoli ed incerti struttura e funzioni. L’emersione, nei diversi ordinamenti della Western Legal Tradition, di numerose fattispecie di responsabilità speciali rappresenta probabilmente l’immagine più nitida di tale processo di apparente disgregazione di un istituto chiamato più di altri a confrontarsi, soprattutto dagli anni ’60 e ’70 in poi, con una evoluzione sociale ed economica prima difficilmente immaginabile. Ebbene, proprio tale evoluzione, dovuta soprattutto (ma non soltanto) alla maggiore complessità dei processi industriali, ha posto all’attenzione del giurista una serie di problemi difficilmente risolvibili secondo i canoni tradizionali della responsabilità civile, mettendo a dura prova, in particolare, il principio di diretta e necessaria corrispondenza tra responsabilità e colpa, originariamente mutuato nell’esperienza giuridica occidentale attraverso gli insegnamenti del scientia iuris dei secoli XVIII e XIX. Ecco che, allora, il formante giurisprudenziale e quello dottrinale, sostenuti per contrappasso da un legislatore da sempre restio ad intervenire in maniera profonda su istituti cardinali dell’ordinamento, hanno contribuito progressivamente a mutare il profilo della moderna Lex Aquilia. La metodica opera di trasformazione della responsabilità civile è testimoniata più che da altri angoli di visuale, soprattutto dall’osservazione, anche fugace, degli indirizzi interpretativi che ormai animano la materia. Numerosi indirizzi accomunati da un unico comune denominatore, da una ratio unificante: l’attenzione, alle volte ridondante, per le ragioni della parte lesa. Tale attenzione ha fatto segnare, di recente, anche una nuova chiave di lettura dell’art. 2043 c.c., spostando l’angolo visuale sulla problematica della capacità deterrente della norma e, più in generale, sulla capacità di essa di porsi quale strumento di incentivo/disincentivo di determinati comportamenti. 17 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi L’art. 2043 c.c., dunque, è divenuto strumento di “filtro” dei comportamenti dei soggetti, indirizzando questi ultimi verso quelli socialmente desiderabili e, dunque, incentivati tramite la “sanzione” del risarcimento. D’altronde, è innegabile come la norma giuridica e la stessa sanzione, in genere, contengano, o dovrebbero contenere, in re ipsa questa predisposizione di disincentivo, di capacità di deterrence, costituita dalla minaccia di conseguenze negative - che possono incidere sul patrimonio, ma anche sulla persona - in caso di violazione del precetto. In un organismo complesso e flessibile come quello della responsabilità civile, abituato a profondi mutamenti di prospettiva nel tempo, tuttavia, il paradigma degli incentivi/disincentivi non è immutabile e segue anch’esso una sua parabola o addirittura più parabole. Le due funzioni incentivanti per eccellenza della responsabilità civile, sanzionatoria e preventiva, attraversano, da tempo, una profonda crisi. In tale prospettiva, la minaccia dell’obbligazione risarcitoria dovrebbe indurre l’autore di condotte potenzialmente dannose ad astenervisi oppure a realizzare le massime misure di sicurezza atte ad evitare incidenti, internalizzandone, in questo modo, i costi. In realtà, l’impossibilità di controllare capillarmente le fonti dei rischi e la difficoltà di accollare esattamente il prezzo per le conseguenze dannose agli effettivi responsabili finisce per agevolare la diffusione di comportamenti dannosi, segnando un’insufficienza della finalità preventiva. La frontiera si è indirizzata, quindi, sulla funzione riparatoria: estendere il più possibile, eventualmente chiamando in causa anche lo strumento assicurativo, il diritto per tutte le vittime ad essere risarcite di ogni pregiudizio. Ciò avviene con un’ampia considerazione di tipologie di danno prima non considerate rilevanti, coinvolgenti i molteplici valori della persona, inclusi danni non strettamente fisici, insuscettibili di una valutazione economicistica legata alla capacità di produrre reddito (danni psichici, morali, esistenziali etc.). Tale innovazione, resa possibile non solo grazie alla giurisprudenza ma anche per le profonde e molteplici riflessioni dottrinali sul punto e, da ultimo, debitrice del processo di armonizzazione europeo, che vi ha impresso una spinta del tutto particolare, implica l’ingresso nel territorio della responsabilità civile di funzioni inedite. Alcune riflessioni sulle questioni prospettate dagli illustri relatori: nuove mobili, nobili frontiere abbattute, superate perché sono cadute anche le immunità di cui si parlava. Nell’ambito di questa tematica si adoperano espressioni, categorie, dobbiamo ad Emanuele Navarretta l’utilizzazione del contatto sociale della categoria liquida, che si espande in tutti quanti i vuoti creati nell’ambito dei rapporti che si instaurano a riguardo. 18 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi Giulio Ponzanelli diceva “pluralità di modelli, di statuti risarcitori”, insomma la materia della responsabilità civile continua a costituire quella che possiamo chiamare una sfida per il giurista, quindi una commistione tra narrazione dottrinale e giurisprudenziale, come ha ben dichiarato il Presidente Carbone; dunque tra speculazione scientifica e applicazione del dato positivo, senza peraltro raggiungere però l’inanità delle formule magiche che tanto tempo fa ci richiamavano a riguardo. Io, nel ringraziare per tutte le parole generose, con il riconoscimento delle critiche che volentieri accettiamo e cercheremo di riparare se ci sarà altra possibilità di edizione, volevo sottolineare che ho avuto un particolare piacere per l’affinità elettiva che c’è con la scuola pisana di Busnelli, anche nelle tematiche: persone, famiglia, responsabilità; chi può dimenticare i contributi di Francesco Busnelli a riguardo. Una impostazione dello studio della responsabilità civile che, dal punto di vista metodologico, è intimamente legato ai diritti della persona, ai principi primi dell’ordinamento. Il vasto concetto di responsabilità civile, sottoposto negli anni a un continuo processo di indagine, correzione, novazione, revisione (a volte in chiave “unificatrice”, in altre “disgregatrice”), non può prescindere dall’esistenza dei suoi due nuclei teorici pregnanti, paralleli e contrapposti: la responsabilità c.d. contrattuale, ordinata primariamente dall’art.1218 c.c. e riguardante, in generale, l’inadempimento di un’obbligazione preesistente (detta per tale motivo “responsabilità debitoria”) e la responsabilità c.d. extracontrattuale o aquiliana, fondata sul concetto di fatto illecito e regolata dagli artt.2043-2059 c.c. Il lungo e mai sopito dibattito avente per oggetto le origini, la natura, le differenze, le somiglianze, le intrinseche peculiarità delle due principali forme di responsabilità del nostro ordinamento civile ha dato e tuttora dà vita ad un fenomeno di continua mobilità della linea di demarcazione tra i rispettivi ambiti applicativi: i due volumi del trattato rappresentano testimonianza di siffatto dibattito. Oggi è stato evocato varie volte il nome di Mengoni, il discorso è proprio questo: lo studio del problema, casisticamente affrontato e, tuttavia, senza dimenticare l’applicazione del sistema, dell’inquadramento che non deve assolutamente sfuggire. Se, in minima parte, quest’ opera ha contribuito ad inquadrarsi in queste prospettive, in queste coordinate, forse abbiamo realizzato un’opera non inutile. L’istituto della responsabilità civile costituisce spazio giuridico da sempre attraversato da forti e profonde tensioni, che ne rendono mutevoli ed incerti struttura e funzioni. Eppure, le spinte e le tensioni che costituiscono il tratto caratterizzante dell’istituto nel suo complesso rappresentano ben poca cosa se confrontate con quelle che, al suo interno, travagliano lo spaccato particolare della sistematica del danno (patrimoniale e non patrimoniale). Tanto si legge nelle pagine del trattato: è facile osservare come, a fronte della costante affermazione della risarcibilità delle perdite patrimoniali, quelle non patrimoniali (etichettabili vuoi come biologiche vuoi come sofferenze morali vuoi 19 www.comparazionedirittocivile.it Consiglio Nazionale Forense VIII Congresso Giuridico – Forense Roma, 14–16 marzo 2013 Interventi come patemi esistenziali) hanno dovuto scontare la profonda ostilità delle corti e dottrina e tutt’oggi faticano a trovare una esatta e certa sistematizzazione. D’altronde, l’idea di questo trattato nasce proprio dagli assunti, qui sinteticamente descritti, dalla costante attenzione al rapporto strettissimo che qui vivono dottrina e giurisprudenza, sicché l’opera aspira a porsi, al contempo, quale idoneo riferimento per lo studioso, nonché come utile strumento per l’operatore concreto. Eppure, il rischio che corre ogni lavoro collettaneo, soprattutto allorché allo stesso abbiano contribuito numerosi autori, è quello della disomogeneità, della forza disgregante delle differenti vedute che pure possono imporsi rispetto alle singole problematiche che la responsabilità civile pone. Questi volumi, tuttavia, sono il frutto del lavoro, lungo e meditato, di una scuola: tutti gli autori, infatti, pur con le proprie individuali inclinazioni, con il proprio stile, con diversi gradi di maturazione, sono accomunati da un “comune sentire” il diritto, il suo rapporto con la società, con le fonti, con il sistema. Ecco perché il, pur necessario, compito di coordinamento si è svolto non attraverso sporadici incontri, ma nel contatto e nel confronto costanti, quasi giornaliero, di studiosi che condividono, da tempo e con costanza, le modalità di avvicinamento ai propri interessi scientifici e l’esercizio rigoroso di un metodo di ricerca. Le immancabili diversità di vedute, allora, pur così facili in un settore siffatto dell’ordinamento, si sono, naturalmente e progressivamente, smussate, sino a scomparire quasi del tutto nell’impianto finale dell’opera. I due volumi sono testimonianza immediata di tale comunanza intellettuale ed espressione – mi piace constatarlo – dell’idea che dell’opera stessa aveva chi scrive: un’idea che, nel tempo, si è certamente evoluta nel confronto con gli altri autori, senza tuttavia allontanarsi mai dall’originaria impostazione. Infine, un auspicio: ogni opera è perfettibile - è scontato - ; ma confido che questa, in particolare, possa arricchirsi nel tempo ed evolversi insieme con quell’affascinante dimensione dell’ordinamento che è il “regno” della responsabilità civile. E ancora una volta un cordiale ringraziamento a tutti voi. Grazie. 20 www.comparazionedirittocivile.it