Prefazione
DIRETTORE
Piernello Cicaloni
"La Meria"
Una mattina, dopo l'uscita della "Meria" (numero zero), nella casella di posta
elettronica, ho ricevuto un messaggio che diceva:
REDAZIONE
Gionata Berretti
Corrado Barontini
Piernello Cicaloni
Gigliola Monaci
"Ho letto La Meria ed ho trovato l'idea, di una pubblicazione che parli di cucina
e tradizioni, molto interessante; mi auguro che cresca e si affermi".
Questo messaggio, inaspettato e molto gradito, mi venne inviato da Roberto
Fidanzi, persona impegnata da anni nello studio delle tradizioni e nell'organizzazione del Maggio di Braccagni. A questo messaggio ne sono seguiti altri, nei
quali i nostri primi lettori si congratulavano per l'iniziativa allegando, in qualche
caso, scritti da pubblicare. Confesso che sono rimasto sorpreso dall'interesse
dimostrato verso la ns. pubblicazione; non mi sarei mai aspettato tanto calore.
Voglio quindi ricambiare con un mio "grazie" tutti coloro che in un modo o nell'altro hanno inviato i loro attestati.
Abbiamo completato il primo numero "ufficiale" della rivista, e come si può
vedere, pur mantenendo una veste grafica semplice con un aspetto "giovanile",
è cresciuta nel numero delle pagine, e nei contenuti, grazie al contributo di
alcuni amici come: il maestro Francesco Prunai, Roberto Fidanzi, l'ex vicesindaco di Roccalbegna Andrea Zamperini, l'Associazione il Campanile di Petricci, il
sig. Mauro Scalampa di Pitigliano, il sig. Spartaco Giannetti di Roccalbegna, il
sig. Dino Ducci di Rocchette di Fazio, l'amico Luigi Rosadi di Grosseto, ringrazio l’agriturismo San Vincenzo di Sovana per la concessione della foto della
pagina centrale. Le novità comunque non finiscono qui, infatti tutti coloro che
non saranno raggiunti dalla nostra rivista, potranno leggerla sfogliando le pagine del sito: www.lameria.net che prossimamente sarà online.
Durante l'estate speriamo che molti lettori abbiamo modo di conoscere questa
rivista. Detto ciò diamo appuntamento ai nostri amici per i primi giorni di settembre, al rientro dalle ferie, con il nuovo numero de La Meria.
Il direttore Pier Nello Cicaloni
P.S: Siamo disponibili ad accogliere articoli, suggerimenti e materiali da
pubblicare sui quali la Redazione deciderà il taglio e la scelta.
SAGRE E FIERE DI LUGLIO
LUGLIO
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14
15
21
21
21
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26
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29
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ANTICHI MESTIERI
SAGRA DEL PESCE
S A G R A D E L L E PA P PA R D E L L E L E P R E
SAGRA DEL PESCE
SAGRA DELLO GNOCCO E DELLA BIRRA
S A G R A D E L L A PATATA
SAGRA DI RIBOLLA
FOLLONICA ANTIQUARIA
SAGRA DELLA LUMACA
FIERA
SAGRA DI RIBOLLA
SAGRA DELLO STROZZAPRETI
FIERA DELLE SANTE
SAGRA STROZZAPRETI
SAGRA DEL BACCALÀ
M A R I N A D I G R O S S E TO
C A PA R B I O
ARCILLE
C A PA L B I O
ROCCALBEGNA
ROCCASTRADA
RIBOLLA
FOLLONICA
C A PA L B I O
ROCCALBEGNA
RIBOLLA
C A M PA G N AT I C O
S A N TA F I O R A
MURCI
S. ANDREA
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PUBBLICITÀ
GNG GROUP SRL
Via Papa Giovanni XXIII, n° 52
Grosseto
destinazione per posta:
via Montecorno, 2 - Grosseto
[email protected]
tel 3493009721 - fax 0564455586
FOTO
andreABocchi ph3
Luigi Rosadi
Gigliola Monaci
GRAFICA E IMPAGINAZIONE
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STAMPA
Graffietti Stampati
IN COPERTINA
fotografia di
andreABocchi ph3
SEMPRONIANO
Podere Ca' di Brizio
INDICE
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Il calzolaio
Cantori della Maremma
Il pane, l’usanza di farlo in casa
Poster
Poesie e modi di dire
La casa colonica
Ricette
Angolo della posta
Gli amici di Petricci
La Meria - disegno di Simone Cicaloni
Borse e scarpe fatte a mano con pellami morbidi come la
seta. Un sogno possibile realizzato da due fratelli, Michele
e Nicola un ex geometra e un laureato in economia e
commercio.
Dal '96 hanno deciso di seguire una vecchia passione, la
lavorazione del cuoio, ed hanno così aperto il laboratorio
artigianale "Il Riccio".
Usando pellami che provengono da tutto il mondo come
l'alligatore, lo struzzo, lo squalo nonchè dalla nostra
amata toscana come la vacchetta tipica conciata al vegetale con scorze e tannini, i due artigiani-stilisti creano
manufatti unici che vanno oltre le mode ed il tempo,
oggetti che evocano l'eleganza dei viaggiatori dei primi
del '900 o il mondo del country toscano.
"Per la nostra bottega la creazione più impegnativa ma di
sicura soddisfazione è la realizzazione di una calzatura su
misura, una vera e propria "scultura" in pelle, vista la complessità delle operazioni necessarie per realizzarla"; parla
Nicola: "I materiali scelti con cura vengono sapientemente plasmati usando tecniche antiche, tradizionali ed interamente manuali".
Sono infatti necessarie più di duecento fasi di lavorazione
che si devono incastrare perfettamente come un mosaico
per dare il risultato finale di un oggetto unico, irripetibile
destinato a durare nel tempo.
Entrando nel laboratorio si può notare il vecchio tavolo da
lavoro da calzolaio, un piccolo universo a se stante, sul
quale, nonostante l'apparente disordine, ogni pezzo di
pelle, ogni filo, la cera, la tintura e ogni singolo attrezzo
hanno una funzione precisa.
La misurazione del piede è la prima e fondamentale fase;
usando il vecchio centimetro, un foglio di carta ed un matita, si traccia il contorno del piede e si appuntano le misure necessarie.
Michele afferma: "Tra i calzolai vige una regola d'oro: più
sono semplici gli strumenti di misura più i risultati delle
misurazioni saranno affidabili".
Non tutti sanno infatti che ogni piede ha la propria carta
d'identità e molte volte i clienti ignorando le reali misure
del proprio piede sono abituati ad acquistare scarpe che
in realtà non sono corrette.
Non è necessario conoscere solo la lunghezza ma anche
la calzata e la passata ed a parità di numero ad esempio
41 esistono 9 calzate differenti, perciò accontentarsi di
avere una scarpa qualunque nella bottega de "Il Ricco"
non è contemplato.
5
ILl’arteCALZOLAIO
di lavorare la pelle
Le Misure del piede del cliente vengono trasposte su
una forma di legno, sulla quale viene disegnato il
modello di scarpa scelto.
La difficoltà maggiore è trasporre le misure tridimensionali in un modello di carta bidimensionale, ma una
volta ottenuto il cartamodello si procede al taglio a
mano del tomaio.
La scelta del pellame è fondamentale per il confezionamento di un ottima tomaia che si possa montare
come un guanto sulla forma di legno.
Anche l'imbroccatura viene eseguita rigorosamente a
mano con pinze, gruppini e paste vegetali come collanti, da notare che anche il puntale e il contrafforte,
ovvero i rinforzi di punta e tallone, sono in cuoio.
Essi si montano
alla vecchia maniera bagnandoli nell'acqua, ammorbidendoli con le mani
e infine inserendoli
tra tomaio e fodera.
Tomaia, forma di
legno e tramezza
(il sottopiede di
cuoio)
vengono
tenuti insieme tramite la cosiddetta
tramezzatura ovvero una cucitura realizzata a mano con
spaghi di canapa o
lino cerati e peciati.
Qui si apre la
parentesi sul filo
usato: "Lo spago si
fa come una volta",
dice
Michele,
"usando la canapa,
perchè
assorbe
meglio la pece e
diventa quindi più impermeabile, si arrotolano fino a
12 fili insieme e si passano nel nocino di pece greca".
Solitamente Michele e Nicola preparano da soli questo grumo ottenuto scaldando la resina con la cera
d'api , la paraffina ed un goccio di olio d'oliva, versando il miscuglio disciolto nell'acqua fredda dove per
magia si impasterà con le mani senza incollarsi nè
bruciarsi.
Lo spago impeciato a questo punto verrà ulteriormente passato nella cera d'api, per agevolare o scorrimento in fase di cucitura, e ai due capi verranno montate
setole di cinghiale che avranno la funzione di veri e
propri aghi.
La tramezza, il guardolo e la tomaia vengono perforati con lesina ricurva e nel buco ottenuto si passa lo
spago annodandolo secondo un antico uso: questa
cucitura si chiama anche goodyear, la caratteristica è
quella di permettere l'impermeabilità del fondo della
scarpa essendo realizzata senza forare l'interno della
suola.
A suola montata e scarpa terminata non finisce ancora il lavoro del calzolaio.
L'ultima fase importantissima è quella della glassatura
della tomaia. Affidata alle mani del lucidatore la parte
superiore della scarpa si trasforma così in un "opera
d'arte" e il pellame assumerà la lucentezza ed i giochi
di colore tipici della lavorazione interamente manuale.
Alla domanda meglio tradizione e passato o innovazione e futuro i due fratelli rispondono:
"Al giorno d'oggi è vincente saper fondere le due cose,
con le nostre creazioni cerchiamo di richiamare la cultura maremmana di un tempo fatta di semplicità e
duro lavoro che si trasforma in sobrietà delle linee e
robustezza dei materiali nei nostri manufatti, commercializzati sfruttando tecniche moderne come ad esempio internet”.
6
Anche quest'anno a Braccagni la festa del 1° Maggio ha
avuto luogo con grande partecipazione di pubblico e di
Gruppi di Maggiaioli.
La tradizione del Maggio in Maremma è ancora molto sentita e nella notte fra il 30 Aprile e il primo Maggio molte
"squadre di maggerini" vanno a portare il loro canto augurale nei poderi della campagna. A Braccagni, così come in
diverse altre località, si realizza una rassegna dei gruppi
portatori della tradizione. L'appuntamento, seguito da una
numerosa schiera di appassionati, costituisce ormai una
delle feste più importanti della provincia grossetana.
Dall'amico Roberto Fidanzi della Sentinella del Braccagni
(che fa parte degli organizzatori della giornata del Maggio)
abbiamo ricevuto il testo del maggio scritto dal poeta
Francesco Cellini (un giovane di 14 anni) che pubblichiamo con piacere, insieme alle foto di alcuni partecipanti
quali Eugenio Bargagli (il cantastorie che proprio a
Braccagni è stato festeggiato per i suoi 90 anni), Lisetta
Luchini (la cantate folk fiorentina) e Silvana Pampanini e
Silverio Fabiani i due poeti e cantanti che vivono nella
campagna di Marsiliana (Manciano).
MAGGIO 2006
La squadra del Braccagni
Si viene a ritrovare
Perché il maggio a voi vi vuol cantare.
La rondine dal mare
Ormai è arrivata
Col volo bello riempe la giornata.
Dei fiori c'è parata
Nei rami e nelle fronde
Che il maggio porti a voi note gioconde.
Le gioie più profonde
La vita vi regali
Sia solo bene a niente mali.
Rinascono le ali
Della democrazia
E custodito in ogni cuore sia.
Il maggio porti via
Il freddo ed il maltempo
E sia messe abbondante di frumento.
Con grande sentimento
Il poeta è qui venuto
E insieme a tutti vi porge un gran saluto.
Ormai è risaputo
A Braccagni è gioia vera
L'appuntamento al Campo della Fiera.
Francesco Cellini
9
Il pane, l’usanza di farlo in casa
Fino ai primi degli anni ' 70 del secolo trascorso, a
Vallerona, paese di origine della mia famiglia, non
esisteva il fornaio e tutte le famiglie facevano
ancora il pane in casa cocendolo nel forno a legna.
I miei nonni Amedeo e Alduina avevano costruito il
forno in un pezzetto di terra proprio davanti a casa
e molte volte veniva usato anche da altre famiglie
che ne erano sprovviste.
Il pane veniva preparato all'incirca una volta a settimana. Si "metteva il lievito" cioè si preparava a
lato della madia (Mobile tradizionale delle nostre
campagne, dove si conserva la farina, il lievito per
fare il pane. È una cassa di forma rettangolare,
chiusa in alto da un coperchio che si solleva a cerniera) una fontana con abbondante farina al cui
interno veniva inserito il "lievito madre"; il "lievito
madre" era la pasta tolta la settimana prima e conservata in mezzo alla farina nella madia.
Dopo aver sciolto il lievito con l'acqua tiepida, si
impastava questo liquido denso con la farina della
fontana; quindi l'impasto veniva messo "a riposo"
non prima di averci fatto sopra con il coltello, il
segno della croce. Queste operazioni solitamente
la nonna le faceva la sera dopo cena, dovevano
passare infatti alcune ore perché il lievito fosse
pronto. La mattina seguente si alzava molto presto
ed incominciava a lavorare l'impasto del pane,
unendo il lievito con altra farina e lavorandolo bene
con la sola forza delle braccia. A fine lavorazione,
si facevano i pani che venivano messi a lievitare
sui "capistei" o tavole del pane (i capistei erano
lunghe tavole con i bordi che solitamente servivano per dividere i fagioli, i ceci e le olive, da eventuali corpi estranei ), una accanto all'altra appoggiate su un telo, che serviva anche per separare le
singole pagnotte e per coprirle. Le operazioni venivano concluse sempre incidendo una croce su
ogni pane prima di coprirlo. A questo punto la
nonna andava al forno e dava fuoco alle fascine
preparate in precedenza da mio nonno Amedeo;
era molto brava a capire quando era il momento di
infornare il pane, cioè bisognava capire, senza termometro, la temperatura giusta per la cottura
(220° circa).
Lei diceva che si poteva vedere dal "cielo" (parte
alta del forno) che diventava bianco; quindi puliva
il forno dalle braci e dalla cenere ammucchiandole
da una parte prima con un palo, poi con le frasche
finiva di ripulire il pavimento del forno.
A questo punto il forno veniva chiuso ed aspettava
una decina di minuti in modo che "cadesse il
caldo". Le forme del pane, che avevano completato la lievitazione, venivano "infornate" ponendole
una accanto all'altra con una pala di legno, la pala
da pane appunto.
Durante la cottura il profumo si diffondeva nell'aria.
La nonna ogni tanto controllava il forno per vedere
se la cottura era uniforme o se dovevano essere
apportate correzioni, visto che non c'erano altri
sistemi di misurazione della temperatura se non
quelli dell'esperienza.
A cottura ultimata i pani venivano messi una
accanto all'altro sul "capisteo" (la tavola di legno
già usata in precedenza) e portati in casa "la facitura" era pronta (così si chiamava la produzione
del pane per la settimana). Per i ragazzi la nonna,
prima di cuocere il pane, preparava una schiaccia
salata ed una pizza.
Ricordo che in mezzo alla schiaccia prima di metterla in forno veniva fatto un taglio con il coltello e,
quando la tirava fuori bella fumante, noi, non
potendola tenere in mano, la infilzavamo con uno
stecco e la portavamo via.
Per noi era una gran festa ed il sapore di quella
schiaccia fa parte dei sapori della mia infanzia.
di Pier Nello Cicaloni
10
LA CUCINA CONTADINA È
COME RITROVÀ UNA COSA CARA
CHE DA PARECCHIO TEMPO S'È PERDUTA
COME CAMMINÀ SCALSI, SENTÌ LA TERRA GNUDA SOTTO I PIEDI,
O COME DISSETARSI A NA SORGENTE PURA
FACENDOSI LA COPPA CO' LE MANI.
MORBELLO VERGARI
Poesie e modi di dire
EMOLE PALLANTI
di Pier Nello Cicaloni
Già nello scorso numero della rivista è stata pubblicata un'ottava di Emole Pallanti. Su questo personaggio esiste un libretto a cura di C Barontini e A.
Giustarini edito nel dicembre 2002 (purtroppo già
esaurito da tempo): "Emole Pallanti - Poeta di
Vallerona". A Pallanti venne dedicata e inaugurata
da Alessandro Giustarini, il Sindaco di Roccalbegna
scomparso recentemente, una targa alla memoria
murata sulla facciata della casa del poeta. Ho avuto
la fortuna di conoscere ed apprezzare questo pro-
LE BISTECCHE E UNA PALLA DI CAVOLO
Versione ripresa dalla voce di Emole Pallanti con un
suo commento:
Vi racconterò un fatterello recente… l'altra sera
capita qui certi signori di Grosseto con un appetito,
avrebbero mangiato un vitello intero. E ordinarono
un mucchio di bistecche… e io scesi a basso a
compra' una palla di cavolo, centocinquanta lire, ma
bella, fresca… quando la videro dice: - Ehi, bistecche e poi si vòle condire questa palla di cavolo!…dice: - e tu verrai a fare merenda con noi.
Io dico: - non voglio tante bistecche a me mezza
sola mi fa…Poi quando fu il tempo che fu pronto le bistecche si
alzarono dal tavolino, andarono, ma a me non mi
dissero più niente. E io per educazione non ci
andai… dissi: - non se ne curano.
E allora un po' estroso, poetico, quando ritornarono... avevano una pancia gonfia come un pallone e
io feci un verso bernescante… e lo feci in canto:
Il poverello certo non è degno
di anda' a mangiare insieme coi signori
guarda, sembrano padron di tutto il regno
e se ti accosti ti cacciano fòri
voglion bistecche cotte con ingegno
fiaschi di vino e profumati fiori
di fa' merenda insieme fu una balla
e ci rimisi il cavolo e la palla!
MODI DI DIRE
tagonista della poesia estemporanea. Un vecchio
alto, magro, con un grande cuore come la sua poesia. Quando è venuto a mancare avevo sui quattordici anni, ma lo ricordo ancora oggi, seduto su uno
scalino vicino all'appaltino (così si chiamava la
rivendita di sale e tabacchi) o davanti al Bar di
Beppe Pacchieri; lo rivedo nell'aia di mio nonno
durante la mietitura a raccontarci storielle o a
decantare qualche sua poesia. Lo ricordo in azione
a duellare di poesia con altri personaggi di
Vallerona come Aldo Rocchi o Alfredo Giustarini
(detto il Grillo) o con qualche altro poeta improvvisatore di cui non ricordo il nome. Insomma è stato
giustamente considerato e riconosciuto da tutta la
comunità di Vallerona come "il Poeta".
Dal libro suddetto ecco un testo con un suo commento.
Quando l'oste è sull'uscio, l'osteria è vuota.
Sotto il buon prezzo ci cova la frode.
Benché la volpe corra, i polli hanno l'ale.
Il gioco, il letto, la donna e il fuoco, non si contentan
mai di poco.
Il riso nasce nell'acqua e ha da morire nel vino.
Nell'uva son tre vinaccioli: uno di sanità, uno di letizia, e uno di ubriachezza.
Finché bocca prende e culo rende, si va in barba
alle medicine e a chi le vende.
Levarsi la sete con il prosciutto.
Legare il ciuco dove vuole il padrone.
15
Era questa una costruzione che sorgeva in un luogo ben
esposto e ventilato e consisteva, generalmente, in un fabbricato principale ad un solo piano rialzato, cui si accedeva per mezzo di una scalinata esterna,terminante in un
pianerottolo,talvolta coperti entrambi da una tettoia. Dal
pianerottolo , attraverso una semplice porta, si passava
nell'ambiente più ampio dell'abitazione, la cucina, dove la
famiglia viveva per più tempo: non per niente questa stanza era intesa come "casa": i nostri contadini, conviene
ricordarlo, nella loro semplicità, erano estremamente ospitali; il capoccia, se si presentava non solo un amico o un
parente, ma anche un semplice conoscente o addirittura
un forestiero, diceva subito alla massaia:
- Ovvia! Fallo passa' in casa, offregli da be' fagli mangia'
un boccone!...
In mezzo alla cucina si notava subito un tavolo di ragguardevoli dimensioni, con attorno lunghe panche e sedie
impagliate, per accogliere i numerosi commensali.
Un enorme camino, al centro di una parete, costituiva
l'unico mezzo di riscaldamento e sotto l'ampia cappa, fornelli a brace e grossi "treppiedi" di ferro erano occupati fin
dal mattino da pentole, tegami e padelle dove veniva cucinato il cibo per la prima colazione e per il pranzo. In un'angoliera trovavano posto le stoviglie, mentre in una vetrina,
ben esposti, facevano bella mostra di sé i "pezzi più boni";
completavano l'arredamento di questa stanza l'appiccarami sopra una pila che faceva da acquaio e accanto alla
quale una panca di legno accoglieva un paio di brocche di
rame e qualche secchia di lamiera ricolme d'acqua; sotto
alla stessa pila trovavano posto, generalmente, alcuni
paiòli di rame, anneriti dal fuoco del camino. Non troppo
lontano, addossato alla parete, non mancava il mobile
forse più prezioso ed importante, la "maghia" (Madia),
nella quale la massaia impastava, preparava per la cottura e poi conservava il pane e teneva, in un apposito scomparto, la farina necessaria per diversi impasti. Quando tutti
i commensali erano seduti a tavola, la cucina non era particolarmente rumorosa; risuonava invece di allegre risate,
di motti e di battute piuttosto salaci durante i pranzi della
"segatura" (mietitura) e della trebbiatura, ma, soprattutto,
in quelli di nozze. Un'ampia finestra a vetri dava aria e
luce sufficienti a tutta la stanza , mentre la sera l'illuminazione era assicurata da una lampada a petrolio o ad olio
pendente dal soffitto sulla parte centrale del tavolo; per far
luce nelle altre stanze o nelle stalle erano usate sia le candele che i lumini a olio, le lucerne a vetri e anche lampade ad acetilene.
Uno dei problemi più gravi che un gran numero di contadini doveva affrontare quasi quotidianamente era quello
dell'acqua sia per gli usi di cucina che per la pulizia personale e il bucato.
Solo pochi fortunati avevano a portata di mano ruscelli e
17
LA CASA
COLONICA
ricordi di un passato recente
acqua di sorgente; molti, di fronte o di fianco alla casa
colonica, avevano a disposizione una cisterna che
raccoglieva l'acqua piovana grondante dal tetto; ma,
per quelli che non disponevano neppure di un pozzo,
era un vero calvario: almeno due volte alla settimana
i buoi erano aggiogati al carro carico di damigiane e di
barlette per il rifornimento del
prezioso liquido alla sorgente o
al paese più vicino.
Né si potevano definire strade
quei tracciati accidentati, tutti
buche, solchi e radici emergenti,
venuti fuori dal passare continuo
dei carri e degli animali, che la
pioggia trasforma in fossi fangosi: il carro vi procedeva con mille
scossoni, inclinandosi paurosamente mettendo in pericolo il
mezzo, il conducente, le bestie
al traino e, naturalmente, il prezioso carico. E non c'erano né le
possibilità né il tempo per aggiustarli e renderli più praticabili; né
si parlava di ponti sui torrentacci
che, in piena, erano particolarmente impetuosi e violenti per la
pendenza del terreno: nel bisogno, bisognava guadarli a dorso
della somara o a piedi, saltando
da un masso all'altro come
caprioli.
Quando giungeva il momento di fare la "bucata" (il
bucato), fortunate quelle massaie che avevano a
disposizione l'acqua necessaria! Le innumerevoli
altre,insieme alle figlie o alla serva, dovevano affrontare una fatica veramente massacrante: queste povere donne, in ginocchio su un improvvisato cuscino
d'erba, risciacquavano la biancheria, già purgata con
la cenere nella conca, bagnandola in una pozza del
torrente più vicino e torcendola a più riprese, insaponando e drusciando su una pietra levigata i vari indumenti della numerosa famiglia. Quando, dopo ore di
duro lavoro, avevano finito, rimaneva loro appena la
forza di trascinarsi fino a casa dietro la somara carica
di quella soma gocciolante.
Fatte le debite eccezioni, quasi non esistevano i servizi igienici:certi bisogni naturali venivano soddisfatti
all'aperto (quando era possibile) o nei vasi da notte, il
cui contenuto andava a finire nella concimaia.
Attigua alla cucina,una stanza più piccola , ma ben
esposta, era adibita a granaio e a dispensa: oltre al
grano, infatti, essa conteneva lo ziro dell'olio, i prosciutti, il lardo, la salsiccia, le caraffe di cibo sott'olio, i
vasi di salsa e di marmellata, le reste di cipolle e
d'aglio, le patate, i fichi secchi, l'uva passita, naturalmente solo la massaia vi accedeva e ne teneva le
chiavi. Come ben si capisce , questa era la stanza più
a rischio, sempre insidiata da insetti e soprattutto da
torme fameliche di topi che due o più gatti faticavano
a tenere lontano. Dalla cucina si
passava direttamente in una o
più camere da letto,tutte quante
arredate in modo semplicissimo:
ciascuna conteneva più di un
letto per accogliere tutti i membri
della numerosa famiglia; ogni
letto aveva, molto alto da terra,
un piano di assicelle su cui poggiavano un paio di sacconi ripieni di vegetale, costituito il più
delle volte dalle larghe squame
(brattee) della pannocchia di
granturco: la lana era merce
preziosa da vendere ai "tracculoni" o da cedere al padrone per
sanare debiti e pendenze che
non avevano mai fine.
A capo di ogni letto non mancava mai un'immagine sacra;
spesso ce n'erano diverse. Solo
la camera del capoccia e della
massaia si presentava un po'
più arredata: in un angolo trovava posto il lavamano in ferro verniciato, con la "brocchetta" e la "baccinella" di smalto, spesso colorato o
dipinto a fiori; poco discosto, ad altezza di viso, stava
appeso al muro uno specchio di media grandezza che
consentiva, al mattino, di pettinarsi e di radersi; alle
pareti erano addossati rispettivamente un piccolo cassettone e un armadio per la biancheria e per gli indumenti "boni"; nella parete a lato del letto o in quella di
fronte, non mancava quasi mai, appeso in alto,un quadro con il ritratto ingrandito degli avi.
Le altre camere avevano, come arredamento, una
cassapanca e un "baulle" (baule), un paio di attaccapanni alle pareti e uno dietro alla porta. Sotto ogni letto
trovava posto il "prete", un attrezzo di legno molto
semplice, costituito da quattro piccole assi di un'ottantina di cm., con la cima molto smussata e liscia, unite
tra loro da otto pioli a formare una sorta di incastellatura parallelepipeda; un nono piolo, nella parte mediana superiore, portava, al centro, un gancio per appendervi la "pretina" una specie di secchiello di coccio o
di lamiera che serviva a contenere la brace: sì, perché
quest'attrezzo, il prete appunto, veniva sistemato tra
le due lenzuola e le coperte del letto, con la pretina
18
LA CASA COLONICA
ricordi di un passato recente
una specie di secchiello di coccio o di lamiera che serviva a contenere la brace: sì, perché quest'attrezzo, il
prete appunto, veniva sistemato tra le due lenzuola e le
coperte del letto, con la pretina piena di brace, per riscaldarle un po' nelle fredde serate invernali prima di entrarci dentro. Il prete poteva essere anche di forma ovale: in
questo caso l'intelaiatura era formata da quattro fasce di legno piuttosto sottili, unite due a
due alle estremità con un'assicella trasversale, mentre nella parte centrale, sia superiormente che inferiormente, si trovavano due
tavolette fissate alle fasce nello stesso verso.
In esse, nella parte terminale, erano infissi
due pioli per parte che "inarcavano" la struttura, dandole appunto la forma caratteristica
dell'ovale. Al centro della tavoletta superiore
era sistemato il gancio per la pretina. Fino ad
una certa età, per i bambini c'era la culla di
legno o di vimini, ben imbottita di lana, che
trovava posto accanto o in fondo al letto dei
genitori. Ogni camera infine era dotata di
almeno un paio di vasi da notte, e di un piccolo specchio per i bisogni del caso. Nel piano
terra dell'edificio, esposta a tramontana, si
trovava una piccola cantina che conteneva la
botte, il tino, diverse damigiane, alcune paia
di bigonci (bigonce) e qualche barletta; di
rado c'era il "birrocchio" (torchio) e, in questo
caso, bisognava torchiare l'uva o al torchio
del padrone o da un contadino vicino che ne
era provvisto. In una parte della cantina trovava posto anche la caciaia, insidiatissima in
ogni stagione da topi famelici.Il resto del
piano terra, destinato a stalle, accoglieva gli
animali che aiutavano il contadino nel suo
duro lavoro: si trattava generalmente di due o
più paia di buoi e di una somara, animale più
da frutto che da soma. Non di rado, in altra
parte dello stesso piano si trovava l'ovile, a cui
si accedeva da un piccolo chiostro. La presenza di tutti questi animali sotto le stanze del
primo piano costituiva una discreta fonte di
calore e tutto l'ambiente ne traeva beneficio
contro i rigori del freddo. A una certa distanza dall'edificio principale si trovava il porcile,formato da diversi
"castruzzi" nei quali alloggiavano, separatamente, la
scrofa, alcuni magroni e cinque o sei maialetti più piccoli: insieme alle pecore rappresentavano la ricchezza preminente nell'economia del podere. Ben si comprende
quindi la disperazione di quel contadino, quando moriva
la scrofa, dando sfogo alla sua vena poetica:
Chella puttana de la troièta
ha figliato lì, 'nde la guerceta,
e n'ha fatti di numaro sei
e doppo morti loro, è morta gliei!
Attiguo al porcile c'era spesso il pollaio dove, insieme
alle numerose galline, starnazzavano branchi di "loci"
('grossi paperi) e "billi" (tacchini) loquaci, preziosa riserva di carne per i pranzi di nozze e per quelli della mietitura e della trebbiatura; non di rado accanto al pollaio
erano sistemate le gabbie della conigliera, i cui inquilini
ricevevano particolari attenzioni, essendo una carne
alternativa a quella di maiale nei pranzi domenicali.
articolo di Francesco Prunai
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Ricette
Quanti ricordano il profumo che veniva dalla cucina della
nonna verso mezzogiorno e vorrebbero provare a cucinare
un piatto che credevano di aver dimenticato in fondo al
cuore? Stuzzichini di ogni tipo, primi piatti, secondi, contorni e dolci: i collegamenti qui sotto vi mandano alle schede
delle pietanze tipiche maremmane... Se hai inventato un
piatto che vuoi far conoscere oppure vuoi condividere i gusti
antichi con gli altri utenti inviaci le tue ricette.
ANTIPASTI
ANTIPASTO FREDDO DI CINGHIALE
ricevuta da Iacopo Vannucchi
Ingredienti: filetto di cinghiale (affettato), olio extra vergine
d'oliva, rucola, pomodorini, sale e pepe.
Preparazione: tagliare il cinghiale in fettine sottilissime ed
adagiarle sopra un vassoio, ricoprire il tutto con la ruchetta
e i pomodorini tagliati e poi condire con olio extra vergine
d'oliva, sale e pepe. Nell'insieme è un antipasto freddo
molto sfizioso e semplicissimo da preparare.
CROSTINI DI CAVOLO
ricevuta da Daniela Cetola
Ingredienti: cavolfiore, pane casareccio toscano (preferibilmente raffermo), aglio, olio extravergine d'oliva, sale, pepe.
Preparazione: lavare, tagliare e lessare il cavolfiore in
acqua salata. Arrostire le fette di pane e strofinarle con
l'aglio. Disporle sul vassoio e bagnarle con l'acqua di cottura del cavolo. Sminuzzare il cavolo stesso su ogni fetta.
Condire con olio, sale e pepe.
PRIMI
MINESTRA DI CECI
ricevuta da Daniela Cetola
Ingredienti: 300g di ceci secchi, 100g di pomodoro passato,
tagliolini all'uovo, vino bianco, rosmarino, acciuga, aglio, olio.
Preparazione: tenere a bagno i ceci per una nottata (possibilmente insieme al baccalà) e lessarli in acqua non salata.
In una pentola scaldare l'olio, l'aglio (in spicchi interi), l'acciuga dissalata e spruzzare di vino bianco. Unire il pomodoro passato, il rosmarino ed acqua. Raggiunta l'ebollizione,
aggiungere i ceci e lasciar insaporire. Cuocere insieme i
tagliolini all'uovo e servire ben caldo.
PAPPARDELLE ALLA LEPRE
ricevuta da Rita Zappi
Ingredienti: pappardelle fresche 500g., lepre 500g., aglio,
cipolla, prezzemolo, sedano, carota, alloro, polpa di pomodoro, vino rosso, sale, olio, peperoncino.
Preparazione: spezzettare la lepre e lasciarla in infusione
con tutti gli odori per una nottata, quindi scaldarla in una
padella per farle perdere la sua acqua. Scolarla e tritarne
più della metà, lasciando il resto in pezzi non troppo grandi.
In un tegame con l'olio, far soffriggere tutti gli odori tritati
finemente ai quali si aggiunge la carne, sia quella macinata
che quella spezzettata. Quando il tutto sarà rosolato, unirvi
un bicchiere di vino rosso e la polpa di pomodoro. Far bollire a fuoco lento per circa due ore ed unire il sugo ristretto
alle pappardelle cotte in abbondante acqua
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salata. Servire preferibilmente senza formaggio per esaltare il gusto della lepre.
SECONDI
ANGUILLA SFUMATA
ricevuta da Rita Zappi
Ingredienti: anguille fresche, aceto, peperoni rossi, sale,
peperoncino.
Preparazione: aprire le anguille e mondarle accuratamente.
Tenerle a bagno nell'aceto per circa tre ore, quindi, infilate
in uno spiedo, lasciarle asciugare al sole. Preparare una
salsina con i peperoni rossi dolci, l'aceto, il sale ed il peperoncino tritati finemente e cospargerci le anguille asciugate
al sole. Affumicare le anguille su un fuoco di paglia o di pezzetti di legno.
BUGLIONE D'AGNELLO
ricevuta da Daniela Cetola
Ingredienti: 1Kg di agnello, 800g di pomodori pelati, vino
bianco, aglio, salvia, rosmarino, peperoncino, olio, sale.
Preparazione: spezzettare l'agnello e rosolarlo nell'olio con
l'aglio, la salvia, il rosmarino ed il sale. Spruzzare con il vino
bianco ed unire il peperoncino. Una volta che si è assorbito
il vino, unire i pomodori passati. Verificare la sapidità e
lasciar cuocere per circa un'ora, fin quando il pomodoro non
ha raggiunto la giusta consistenza.
CONTORNI
FAGIOLI ALL'UCCELLETTO
ricevuta da Daniela Cetola
Ingredienti: 600g di fagioli toscanelli freschi, 300g di pomodori pelati passati, olio extravergine d'oliva, aglio, salvia,
sale, pepe.
Preparazione: sgranare i fagioli, lavarli e cuocerli in acqua
e scolarli. In un tegame di coccio scaldare l'olio, l'aglio e le
foglioline di salvia. Unire i fagioli ancora caldi e lasciar soffriggere pochi minuti. Versare i pomodori passati, il sale ed
il pepe. Quando il tutto si sarà incorporato servire il piatto
ben caldo.
DOLCI
SCHIACCIA DI PASQUA
ricevuta da Rita Zappi
Ingredienti: 6 uova, 500g. di zucchero, 1 kg. di farina,
mezzo bicchiere di olio d'oliva, 50g. di burro, una bustina di
lievito Bertolini, un bicchiere di latte, 50g. di semi di anice,
175g. di lievito di birra, 100g. di rosolio di mandorle o 100 g.
di cognac, la scorza di un limone grattugiata, la scorza di
mezza arancia grattugiata, il succo di mezza arancia, un
pizzico di sale.
Preparazione: in una grossa terrina, sbattere le uova ed unirvi lo zucchero, la farina, il lievito Bertolini, l'olio, il liquore, il
burro liquefatto, il lievito di birra sciolto nel latte tiepido, il limone, l'arancia, i semi di anice ed un pizzico di sale.
Amalgamare il tutto e versare il composto in tre stampi a
bordo alto, precedentemente imburrati ed infarinati. Lasciare
lievitare per circa tre ore e mezza il composto negli stampi
coperti con un panno, nel forno spento, preriscaldato a 160°.
Angolo della posta
ROCCHETTE DI FAZIO (Antico Borgo Medioevale)
SPARTACO GIANNETTI DI ROCCALBEGNA SCRIVE:
Ci è pervenuta da Dino Ducci una poesia sul suo paese natio:
Rocchette di Fazio che pubblichiamo volentieri.
Ero molto piccolo, davanti a casa mia a Roccalbegna viveva una
famiglia numerosa e molto povera come ce ne erano tante. Una mattina vedemmo fumare il camino di quella casa e la mamma mi disse:
vai a farti dare un pochino di carbone acceso per accendere i fornelli. La donna stava facendo la polenta e le domandai: dove sono i
vostri ragazzi? Sono a letto rispose, ma ora si alzano quando sentono il tonfo della polenta sul piatto….sti' birbaccioni!. Le domandai
ancora cosa gli avesse preparato per companatico. Lei mi guardò e
mi disse: una fetta di polenta sopra all'altra.
Scesero giù da letto e vennero in cucina senza neanche lavarsi, e
mangiarono polenta per colazione.
Io curioso domandai ancora: visto che vanno in campagna ad aiutare
il babbo, cosa gli date per pranzo? E lei: fino a stasera niente, se
hanno fame mangeranno i tarli delle siepi (more) e a cena troveranno patate lesse e castagne lesse.
"Così sono cresciuti e invecchiati sani e robusti"
(sono morti tutti di vecchiaia).
Accompagnano i sui versi alcune note su questo splendido paese
della Maremma:
"Amo e contemplo il suo panorama meraviglioso, la piccola valle
adiacente che quasi la circonda, nella quale scorre, tortuoso, il fiume
Albegna. Proiettando lo sguardo, da Sud verso Nord, da un lato, a
destra, si osserva un'alta rupe di roccia compatta, quasi a strapiombo, sulla cui sommità sono presenti i ruderi di un vecchio castello
Aldobrandesco, ed a fianco di questo, le case raccolte del piccolo
Borgo. Dal lato opposto si scorge una costa rocciosa, che si estende
a forma di sperone, lungo la sponda del fiume, tutta ricoperta di un
verde oscuro, dovuto alla crescita spontanea e rigogliosa di alberi di
leccio e di alloro. Sulla stessa parete, in alto, è presente una corona
frastagliata di creste sporgenti, di roccia calcarea, di color grigio, a
forma di guglie, di varie dimensioni, create e modellate dalla natura,
quasi a voler rendere unico l'insieme di quel panorama stupendo.
Tutto questo, immerso in una natura incontaminata. La sua quiete ed
il suo silenzio vengono interrotti soltanto, in primavera-estate, dal garrire delle rondini in volo, dal cinguettio degli uccelli e dal canto soave
dell'usignolo, oppure, durante la stagione piovosa, dal rumore cupo e
fragoroso dello scorrere impetuoso delle acque del fiume in piena.
Non ho mai cessato di vivere col pensiero e con la mente, l'aspetto
incantato di questo paese, quasi in miniatura: le piccole vie, la piccola piazza, la chiesetta del luogo, anch'essa piccola e semplice, ma
ugualmente idonea a soddisfare i regolari riti religiosi, di fede e di preghiera."
Segue la "poesia" datata 8/1/2001 che pubblichiamo:
Accanto ai resti d'un vecchio "Castello",
su una rupe in un piccolo spazio,
sorge un "Borgo", un vero gioiello,
il cui nome è "Rocchette di Fazio".
Quel panorama fantastico e bello
di ammirarlo non ti trovi mai sazio.
Natura e verde le fan da cornice;
oasi di pace davvero felice.
Trattandosi di un testo in ottava rima ci preme ricordare che proprio a
Rocchette di Fazio è vissuto il poeta estemporaneo Tribuno Tonini
(scomparso nel 1988) del quale esiste una pubblicazione: "Porgete
orecchio egregi miei ascoltanti" (ed Arci, Grosseto 1991) dove
sono pubblicati diversi testi di questo poeta, alcuni improvvisati
secondo l'usanza dei poeti a braccio; ecco una sua poesia dedicata
proprio a Rocchette:
Vieni a Rocchette a l'ora del tramonto
quando che sono le giornate chiare
vedi una scena che non ha confronto
del sol che si riflette in mezzo al mare.
Sarebbe degno di un lungo racconto
per poter tal bellezza dichiarare
quivi un castello con la sua roccaccia
dove su il mar Tirreno ci si affaccia.
Commento del Direttore
Siccome si parla della polenta (detta "La pulenda") ho pensato di
aggiungere un commento ed una storia. Sulle tavole dell'epoca a cui
si riferisce Giannetti la "Pulenda" la faceva da padrona. Piatto poco
costoso, riempiva facilmente gli stomaci di uomini e ragazzi.
Solitamente quando cotta, il paiolo veniva rovesciato sulla spianatoia
e poi tagliata a fette con un filo da sarta.
La storiella che segue parla di un bambino che vivendo in una famiglia molto povera, tutti i giorni mangiava "pulenda" e i compagni di
scuola lo prendevano in giro chiamandolo "Pulendone".
Lui naturalmente se ne lagnava con la mamma, la quale per consolarlo gli rispondeva dicendo: - Ma loro non ci sono mica quando
mangi. Quindi gli puoi dire di aver mangiato "La pastasciutta".
Ed ecco come andò. Il bimbo rinfrancato la mattina dopo incontra gli
amici che come al solito gli domandarono cosa avesse mangiato.
Lui con fare sicuro rispose: - La pastasciutta!
Ed i compagni: - Quanti piatti?
Il bimbo sicuro di sé: - Sette fette!.
Questa storiella mi è stata raccontata dalla famiglia Corridori di Cupi,
ma è diffusa in tante altre parti della Maremma.
Un po' di benessere si è cominciato a vedere nel secondo dopoguerra, ma nel mondo di prima non si buttava niente e anche sulle briciole del pane si doveva stare attenti a non farle cadere.
A proposito di briciole, mi ricordo di quando ero piccolino e andavo a
casa dei nonni a Vallerona; mangiando il pane le briciole si spargevano sulla tovaglia, che poi regolarmente io buttavo in terra. La nonna
allora mi sgridava dicendomi che il pane era benedetto e che non si
doveva buttare perché quando fossi morto Gesù mi avrebbe mandato a raccattarle con un paniere sfondato e col pollice acceso.
(Pier Nello Cicaloni)
LA FILASTROCCA DI "ZUCCA PELATA"
Ninne nanne, filastrocche, saltarelli, conte, giochi infantili, venivano
tramandati sin dalla prima infanzia. Questo compito veniva assolto di
solito dalle figure femminili della famiglia contadina (nonna, madre o
qualche altra donna della casa). Forse per questo, essendo il primo
approccio dei bambini con i ritmi tradizionali e con le melodie più semplici, sono stati conservati per più tempo nella memoria e tramandati
anche fuori del contesto nel quale venivano usati. (C.B.)
Zucca pelata - magna la crapa - beve 'l vino - spazza 'l camino.
Zucca pelata con cento capelli - tutta la notte ti cantano i grilli e ti fanno una bella sonata - Zucca pelata, zucca pelata.
SCRIVI A:
GNG GROUP SRL
destinazione per posta:
via Montecorno, 2 - Grosseto
[email protected]
tel 3493009721 - fax 0564455586
(anche su questo testo esistono varianti, ma tutte sono riconducibili
allo stesso modulo musicale)
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Associazione il Campanile
L' Associazione "Il Campanile" di Petricci ci ha fatto pervenire due ricette tipiche delle loro tradizioni culinarie: "Il
Crostino" e "La pappa col cucco".
Vogliamo sottolineare la funzione positiva, per un piccolo
paese, di mantenere e tramandare le proprie usanze. Una
Associazione come "Il Campanile" ci sembra che assolva
egregiamente a questo compito mettendo insieme la storia di
una comunità con le tradizioni popolari, le abitudini culinarie
con il carattere dei propri abitanti, i giochi di una volta con la
storia di oggi.
Procedimento:
In un tegame mettere a bollire una quantità d'acqua bastante per ammollare il pane assieme ad un pizzico di sale ed un
filo d'olio; quando muove il bollore aggiungere il pane tagliato a dadini; lasciar cuocere per cinque minuti.
A parte preparare un soffritto con i funghi tagliati a dadini olio
e aglio, quando comincerà a fuoriuscire l'acqua di vegetazione trasferire tutto nel tegame della pappa, mescolare e
lasciar cuocere a fuoco lento finché non raggiunge la consistenza della polenta, poi servire spolverato di pecorino
grattugiato.
Ecco i loro programmi:
"Attraverso l'organizzazione di vari eventi durante l'anno
l'Associazione si impegna ad attirare in questo luogo tutti
coloro che sono alla ricerca dei sapori, dei colori e della gioia
semplice di una buona compagnia.
ALLA FINE DI APRILE si è realizzata la rievocazione storica dell'antico gioco della ruzzola. Durante questa competizione tutti i partecipanti seguono i concorrenti lungo il percorso
(rigorosamente su strade bianche) fino all'ora di pranzo. Poi
il momento conviviale nel quale i partecipanti (giocatori e
non) si fermano per gustare un ottimo pranzo all'aperto,
prima di avviarsi sulla strada del ritorno. Al rientro si deciderà (seguendo le regole del gioco) quale borgata del paese si
aggiudicherà il trofeo della ruzzola.
IN AGOSTO per un'intera settimana (dal 10 al 16) ci saranno intrattenimenti popolari: concerti, mostre, giochi… e
soprattutto sarà attivo il ristorante dove si potranno gustare le
specialità della rassegna gastronomica "Piatti poveri per ricchi sapori", mentre il giorno di Ferragosto si terrà la terza edizione di Mercatiae, mostra mercato di artigianato e prodotti
locali.
A NOVEMBRE infine il paese apre le porte all'autunno e ai
suoi frutti: per due giorni gli abitanti del paese apriranno le
loro dispense agli ospiti, deliziandoli con olio, castagne, buon
vino e buona compagnia"
LE RICETTE:
CROSTINO
Ingredienti:
4 fette di pane tagliate spesse
1 spicchio d'aglio
3 patate
200 g fagiolini - olio, sale
Procedimento:
In una pentola con abbondante acqua salata far bollire le
patate e i fagiolini insieme, quando le verdure sono quasi
cotte far abbrustolire il pane e strofinarlo con l'aglio.
Quando le verdure saranno pronte adagiare le fette di pane
in un vassoio profondo e rovesciarci sopra le patate e i fagiolini con l'acqua di cottura. Lasciare che il pane si impregni
d'acqua per un paio di minuti, poi con una schiumarola trasferite tutto in uno scolapasta; quando l'acqua in eccesso sarà
scolata con la schiumarola trasferire nuovamente il crostino
in un vassoio avendo cura di condire i vari strati con sale e
olio.
nel prossimo numero inseriremo altre parti del materiale inviatoci dai
nostri amici dell’associazione culturale Il Campanile, che per esigenze editoriali non sono state inserite. E per chi fosse interessato a
saperne di più di seguito riportiamo i loro recapiti.
(n.d.r.)
Sede Associazione "Il Campanile" Petricci
Via Roma 15 - 58050 Petricci (GR) - Italia
Fax (+39) 0564 984096 - [email protected]
[email protected]
PAPPA COL CUCCO
Ingredienti:
un pezzo di pane raffermo
2 o 3 cucchi (Amanita Cesarea o Ovulo buono)
1 spicchio d'aglio
Sale, olio, formaggio grattugiato
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