CAPITOLO PRIMO : IN RISPOSTA AD ALCUNI IMPORTANTI QUESITI
1-1: “I LIMITI TEMPORALI”
La data simbolo convenzionalmente ritenuta essere il momento d’inizio del processo poi culminato
nella disintegrazione della “Seconda Jugoslavia” è quella del 4/5 maggio 1980: giorno della morte
del Maresciallo Tito. Non che questo episodio abbia rappresentato l’ unico frangente della storia
della ex/Federazione ad essere successivamente stato letto come foriero di rilevanti conseguenze
negative rispetto alla tormentata esistenza della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava. Infatti,
anche se probabilmente non provvisti della medesima valenza simbolica, avvenimenti come, ad
esempio, l’entrata in vigore della Costituzione del 1974, la pubblicazione del “ Memorandum” da
parte dell’ Accademia Serba delle Scienze e delle Arti avvenuta nel 1986 o la scelta di tenere le
prime elezioni multi/partitiche del 1990 non a livello federale ma repubblicano, sono stati fatti
oggetto di approfondite analisi in numerose ricostruzioni della vicenda storica degli “Slavi Del
Sud”. Il tutto, peraltro, senza dimenticare l’intenso dibattito incentrato sul tema dell’artificiosità o
meno della costruzione statale jugoslava, sia del dopo Prima che del dopo Seconda Guerra
Mondiale1. Ed allora, perché optare, come si è qui scelto di fare, per il giorno delle dichiarazioni
unilaterali di indipendenza da parte di Slovenia e Croazia, 25 giugno 1991, come punto di partenza
della crisi ? La ragione, secondo chi scrive, risiede nell’ irreversibilità delle conseguenze dell’atto.
Non che precedentemente fossero mancati segnali più che preoccupanti rispetto al futuro della
Jugoslavia, prima di tutto la devastante crisi economica degli anni ottanta, ma è in quel frangente
che si compie un decisivo salto di qualità. Ormai governate da coalizioni politiche, come nel caso
Slovenia, o partiti unici, come in quello della Croazia, capi dell’ esecutivo e presidenti decisi a
troncare ogni rapporto con Belgrado, Lubiana e Zagabria, forti anche di una perlomeno…“benevola
attenzione” da parte di attori importantissimi della scena internazionale, rompono ogni indugio e la
1
Per maggiori dettagli rispetto alla storia della “Prima” come della “Seconda” Jugoslavia e rispetto
al dibattito relativo all’artificiosità della costruzione statale jugoslava, a prescindere dal suo “colore
politico interno”, rimando alla “Bibliografia”. Essa infatti, pur lontana dalla piena completezza,
ritengo includa contributi provenienti almeno dalle più consolidate “scuole di pensiero” in materia.
1
Jugoslavia, che già aveva cessato di essere socialista in seguito alla dissoluzione della Lega Dei
Comunisti, ai risultati delle varie elezioni politiche repubblicane ed alle poi non completate riforme
portate avanti dal governo dell’ ultimo premier federale, Ante Markovic’, cessa sostanzialmente di
esistere anche come entità statale. Non si tratta, in questo caso, di un gruppo di intellettuali
dissidenti facilmente isolabili e reprimibili, di uno scontro interno al partito gestibile attraverso
epurazioni, espulsioni, promozioni, declassamenti e rimozioni o di rivolte etnico/localistiche ancora
prive di obiettivi chiari o della coerenza e della lucidità necessarie nel perseguirli (ad esempio
Kosovo 1980/81) ma di governi repubblicani le cui piattaforme politiche anti/comuniste ed
anti/federali sono uscite vincitrici dallo scontro elettorale. Un particolare, questo, che non ha potuto
che confermare, ed al limite rafforzare, la recentemente sopraggiunta, ma già notevolmente
radicatasi, determinazione delle repubbliche jugoslave settentrionali (quelle, non va dimenticato,
socio-economicamente più avanzate) a non essere ulteriormente parte della Federazione. Alla luce,
poi, dei pur complessivamente limitati scontri fra Esercito Federale e Milizia Territoriale Slovena
nonché (ed in questo caso in maniera ancor più evidente) della ben più intensa guerra
sloveno/croata (avvenimenti, questi, in strettissimo rapporto con i fatti del 25 giugno 1991), le
dichiarazioni unilaterali di indipendenza da parte di Lubiana e Zagabria costituiscono un precedente
assoluto ed allo stesso tempo segnano “il punto di non ritorno”. Quindi, una volta attestato tale salto
di qualità ed altresì constatata l’ entità assolutamente unica delle conseguenze dello “strappo” con
Belgrado, e perciò accettato il 25-6-91 come momento iniziale della prima fase della crisi nella
ex/Jugoslavia, diventa quasi “automaticamente” inevitabile riconoscerne nel 15-1-92, giorno del
riconoscimento ufficiale di Slovenia e Croazia da parte della C.E./U.E. , il punto di approdo;
nonostante quest’ ultimo veda Lubiana e Zagabria alle prese con problemi senza dubbio di
divergente entità. Rapidamente archiviato il lieve scontro con l’ Esercito Federale ed in tal modo
mantenuta la propria auto-proclamata indipendenza, la Slovenia ha risolutamente intrapreso un non
brevissimo, e non ancora ultimato, cammino in direzione dell’ U.E. (e della N.A.T.O.) ,
intenzionata a completare definitivamente la propria “uscita” dal mondo balcanico. La Croazia,
invece, anch’essa vincitrice rispetto allo scopo di secedere dalla Federazione e di ottenere, per tale
atto, il riconoscimento internazionale ma sconfitta nello scontro con gli “Jugo/Serbi” dell’autunno
1991/92, dovrà rinunciare, per più di tre anni, a controllare direttamente quasi un terzo del proprio
territorio. Senza contare, inoltre, le non poche perplessità suscitate in Occidente (e ciò soprattutto ai
fini di una possibile candidatura a membro dell’ U.E.) dallo stile governativo decisamente
autoritario del presidente Franjo Tudjman e le notevoli difficoltà economiche sviluppatesi tanto
come prodotto della guerra e della mobilitazione delle risorse del paese in senso accentuatamente
militare (al fine di preparare la rivincita della primavera e dell’ estate del 1995) e quanto come
effetto di una riconversione all’ economia di mercato, di per sé (e ciò non solo entro i confini croati)
2
mai indolore ed inoltre indubbiamente costellata da copiose “zone d’ombra”. Situazioni
economico/politiche certamente disomogenee caratterizzano, dunque, Slovenia e Croazia alla data
del 15-1-1992 ma entrambe accomunate dal medesimo dato di fondo: il raggiungimento definitivo
dell’ obiettivo ufficialmente perseguito sin dal 25-6-91. Per questa e per le altre ragioni
precedentemente addotte, si è ritenuto lecito poter confinare la prima fase della crisi nella
ex/Jugoslavia entro i sopra citati limiti temporali i quali, conseguentemente, costituiranno gli
estremi del periodo in questa sede preso in esame.
1-2: “PERCHE’ PROPRIO LA GERMANIA ?”
I drammatici avvenimenti che hanno segnato la storia dei territori facenti parte della defunta
Jugoslavia Socialista durante gli anni novanta sono stati, ovviamente, seguiti con estrema dovizia di
particolari (anche se ciò non autorizza assolutamente ad instaurare avventati parallelismi fra
quantità e qualità dell’informazione disponibile)2 anche al di fuori dei confini della Repubblica
Federale Tedesca. Ed allora perché “consacrare” il seguente lavoro ad una “prospettiva teutonica” ?
Non è questa la sede né per esaminare le ragioni della “Finis Jugoslaviae”, né per stabilire quale, fra
le molteplici cause di tale accadimento, sia stata quella “decisiva”3.E’ però fuor di dubbio che dal 3
ottobre 1990, data ufficiale della riunificazione tedesca, i rapporti di forza in Europa abbiano subito
un sostanziale mutamento e che tale mutamento non sia stato certo estraneo alla ad esso solo
leggermente successiva dissoluzione delle tre entità statali, almeno formalmente, federali dell’
Europa non occidentale e cioè : Jugoslavia, Unione Sovietica e Cecoslovacchia. Massima
beneficiaria della conclusione della Guerra Fredda, la Germania degli anni novanta ha speditamente
iniziato un processo di emancipazione dalla quasi cinquantennale condizione di minorità (“gigante
economico,nano politico”, recitava la celeberrima frase di Henry Kissinger) nella quale l’assetto
2
Per una critica ad ampio raggio del “sistema dell’informazione” (almeno per quanto concerne il
mondo occidentale e gli U.S.A. soprattutto), rimando a : N. Chomsky : “La fabbrica del consenso
ovvero la politica dei mass media” M.Tropea Ed., Milano, 1998.
Per una critica, invece, più legata all’ informazione relativa alla crisi nella ex-Jugoslavia, si vedano,
ad esempio : A. Desiderio : “La guerra dei media : come contare i morti in Kosovo?” Limes,1/00 ;
E. Follath : “Der etwas andere Krieg” Der Spiegel, 2/00 ; S. Halimi,D. Vidal : “Cronaca di una
disinformazione” Le Monde Diplomatique, 3/00 ; E. W. Said : “Journalistische Fluegeladjutanten”
Le Monde Diplomatique, 7/99.
3
Per un tentativo di analisi ad ampio raggio concernente le cause della “Finis Jugoslaviae” vedi
nota 1.
3
post/bellico continentale (non a caso simboleggiato dalla divisone inter-tedesca ed ancor più
evidentemente, a partire dall’ agosto del 1961, da quella inter/berlinese) l’aveva relegata. Per
opposizione, a questo punto, il paragone con il Giappone è francamente inevitabile. Le similitudini,
però, si fermano qui. Il grande sconfitto asiatico della Seconda Guerra Mondiale stenta, infatti, a
farsi “gigante politico e militare”. Ciò accade, anche tralasciando la non facilissima congiuntura
economica che Tokyo è costretta da qualche anno ad affrontare, non solo a causa delle obiettive
difficoltà che scaturiscono da uno scenario geo/politico est/pacifico ad esso non certo
favorevolissimo ma anche a causa della persistenza di fortissime remore interne dovute, queste
ultime, al rifiuto, diffuso tanto nell’ opinione pubblica dell’ Impero quanto presso le sue classi
dirigenti, di prendere atto delle enormi responsabilità giapponesi, nei confronti degli altri popoli
asiatici (cinesi su tutti) , per quanto commesso durante il conflitto. A confronto con quanto
compiutosi in Germania in termini di analisi del passato nazista (caratteristiche, ascesa, sviluppo,
crimini, crollo) , nulla di neanche lontanamente paragonabile si è verificato a Tokyo. Questa
mancanza è però decisiva. Ammettere le proprie colpe fungerebbe, infatti, da primo passo in
direzione della piena riabilitazione politica del paese (su quella economica, difficoltà contingenti a
parte, non c’è bisogno alcuno di dilungarsi) a sua volta primo passo verso un eventuale
raggiungimento di una “maggiore età” capace di emanciparlo dalla stretta tutela politico/militare
statunitense. Sempre, però, a patto che si verifichi un tanto radicale quanto attualmente improbabile
mutamento dello scacchiere geo/politico dell’ Asia orientale. Pur essendo buona norma non
escludere alcunché (quanti nel 1987, anno della visita ufficiale di Honecker nella R.F.T. , avrebbero
scommesso sulla scomparsa della D.D.R. solo tre anni dopo ?) , torniamo al Vecchio Continente ed
al “processo emancipatorio” che vede protagonista la sua prima potenza. Risulta, a tal proposito,
estremamente arduo sostenere che la decisione di trasferire la capitale federale da Bonn a Berlino
(dopo la “Weimarer” e la “Bonner” ci troveremmo attualmente, infatti, secondo quanto sostenuto da
numerosissimi storici ed analisti politici, nell’ “Era” della “Berliner Republik”) , la costante
“preoccupazione/pressione” affinché la moneta unica europea, ovvero l’Euro, sia quanto più
“simile” possibile al DM, la scelta di Francoforte Sul Meno come sede della Banca Centrale
Europea, la richiesta di un seggio permanente alle Nazioni Unite, il ruolo svolto in
Bosnia/Erzegovina, quello, ancor più esplicito, tenuto durante il conflitto che dal marzo al giugno
del 1999 ha visto la “Terza Jugoslavia” fronteggiare la N.A.T.O. e l’ esplicito sostegno alla
opposizione serba anti/Milosevic’ , principalmente nella figura del “germanofilo” (anche perché
germanofono) attuale premier serbo Zoran Djindjic’ , non costituiscano, come invece appare in tutta
evidenza per lo meno a chi scrive, altrettanti corposi “sintomi” di una ritrovata “normalità” tedesca i
cui effetti non hanno certo risparmiato il rapporto privilegiato con la Francia, cioè il cardine di ogni
progresso sulla strada della costruzione europea. Non più “avamposto monco” dell’ Occidente ma
4
colosso eco/demografico posto al centro del Continente, non più “junior partner” di una Francia che
già prima del 1989 le era economicamente inferiore e sempre meno “ricattabile” strumentalizzando
i fantasmi di un orribile passato, l’attuale R.F.T. mostra sempre più la tendenza a perseguire i propri
interessi nazionali “supportata” dal medesimo grado di sicurezza ed auto/legittimazione del quale
ogni altra potenza realmente rilevante ha sempre potuto godere, sostituendo l’ europeismo
“iper/convinto” impostole dalla contrapposizione Est/Ovest, e perseguito quasi acriticamente onde
fugare i mai sopiti timori relativi all’ “eterno tema” del “Sonderweg” (in realtà, specchio di una
condizione poco distante da quella di “appiattimento politico” su Parigi senza, inoltre,
assolutamente dimenticare la notevolissima tutela esercitata su Bonn da parte degli Stati Uniti D’
America), con un atteggiamento certamente più attivo e più attento alla disamina del rapporto
costi/benefici relativo ad ogni mossa da compiere sullo scacchiere internazionale. A questo
proposito, infatti, è tutt’altro che casuale che la più importante proposta volta a rilanciare l’ Europa
del dopo/Maastricht e ad evitare che l’ allargamento ad Est dell’ Unione si risolva nel diluirsi di
ogni istanza almeno “proto/Federale” sia provenuta proprio dalla Germania. Ci si riferisce,
ovviamente, all’ idea del cosiddetto “Nucleo Duro”, o “Kern Europa”, avanzata nel settembre del
1994 dal cosiddetto “Documento Schaeuble/Lamers” ripresa, durante la primavera del 2000, dal
Ministro Degli Esteri Joseph, “Joschka”, Fischer e rilanciata, in senso ancor più accentuatamente
federale/federalista, sia dal Presidente Johannes Rau nel novembre del 2000 che dal cancelliere
Gerhard Schroeder nel maggio del 20014. Ci troviamo, dunque, di fronte al ritorno della “Mittel
Europa” ? La “Kern Europa” si prospetterebbe, perciò, come la chiave di volta di un “ennesimo”,
rinnovato e costantemente paventato tentativo egemonia tedesca sul continente ? Con quale grado di
intensità si è già presentata, si presenta e si presenterà, in un futuro più o meno prossimo, la
“Re/Germanisierung”, “dolce” questa volta, di quella fascia d’Europa compresa fra la linea
Stettino/Trieste ad Occidente e quella S. Pietroburgo/Dnestr ad Oriente? E’ ammissibile, inoltre,
essere fieri di una Germania ormai “finalmente adulta” ? Sono, queste, domande tutte suscettibili di
un ampio ventaglio di risposte molto spesso estremamente differenti l’ una dall’ altra a seconda non
solo delle idee politiche ma anche, ed in non pochi casi anche a prescindere da queste ultime, della
nazionalità e dell’ età anagrafica dell’ interlocutore al quale vengano poste. Rimandando, a tal
proposito, per ulteriori dettagli al capitolo delle “Conclusioni”, si ritiene, però, comunque utile
accennare anche già adesso, a titolo esemplificativo, alla rimarchevole differenza, negli accenti e
4
Sul “Documento Schaeuble/Lamers”, vedi : L. Caracciolo : “Con i francesi ma senza escludervi”
Colloquio con W. Schaeuble Limes, 2/95. Sulla “Proposta Fischer”, vedi : A. Tarquini : “Berlino:
Europa a due velocità” La Repubblica, 31-5-00 ; A. Tarquini : “Più poteri ai paesi forti” Intervista
con J. Fischer La Repubblica, 31-5-00. Sulle relative esternazioni di J. Rau, vedi : S. Vastano :
“L’Europa? Sarà una grande Svizzera” L’Espresso, 9-11-00. Sul “Rilancio Schroeder”, vedi :
“Schroeder’s Europe” The Economist, 5-5-01.
5
nei contenuti, fra le valutazioni espresse dall’ attuale Cancelliere, da un lato, e dall’ attuale
Presidente Federale, dall’ altro, rispetto ad un tema non certo semplice come quello relativo all’
opportunità ed alla liceità, o meno, dell’ essere “orgogliosi” di essere tedeschi. Pur accomunati dall’
appartenenza al medesimo partito socialdemocratico, Schroeder e Rau si sono attestati su posizioni
piuttosto divergenti. Il più giovane Schroeder si è infatti definito “orgoglioso e patriota”, mentre il
più anziano Rau si è dimostrato decisamente più cauto. E ciò, poi, senza tralasciare il serrato
dibattito concernente il grado di “maturità” politico/progettuale con il quale la Germania è
impegnata a fronteggiare le nuove sfide che le derivano dalla sue mutata collocazione europea ed
internazionale, a sua volta scaturita dalle sue mutate condizioni geo/politiche5. Ma se, da un lato,
appare indubbiamente plausibile poter prospettare una non ancora “completa comprensione” da
parte della R.F.T. della propria differente posizione internazionale oppure, complici anche pesanti
remore storiche, una non ancora piena coerenza nel legare l’interesse nazionale individuato ad una
chiara volontà e ad “idonee” modalità di perseguirlo, resta però, d’ altro canto, inconfutabile il dato
di fatto della Riunificazione, e del “passaggio alla maggiore età” ad essa intrinseco, come causa di
un notevole sommovimento all’ interno dei rapporti di forza non solamente inter/europei. Il primo,
cronologicamente parlando, chiarissimo segnale di tale evidentissimo mutamento, “sintomo”
relativo alla penisola balcanica ma estremamente carico di implicazioni di carattere decisamente
più ampio e generale, è rintracciabile nella politica svolta da Bonn/Berlino rispetto alle istanze
indipendentiste manifestate da Slovenia e Croazia nel corso del 1991 e soprattutto, onde rimanere
all’ interno dell’intervallo temporale precedentemente scelto, in relazione al periodo compreso fra il
25-6 del medesimo anno ed il 15-1-92. Senza l’ appoggio congiunto di marca austro/tedesca e
vaticana infatti, le aspirazioni indipendentiste di Lubiana e Zagabria avrebbero incontrato difficoltà
certamente maggiori rispetto a quelle, peraltro non irrilevanti (almeno nel caso della Croazia),
effettivamente
affrontate.
Sarebbe
francamente
fuorviante
additare
il
“complotto
catto/austro/tedesco” come il responsabile unico del “demontage” della Jugoslavia socialista ma, d’
altro canto, per quanto “controverso” possa essere valutarne il peso, non è lecito dubitare della
realtà dell’esistenza di siffatto supporto in favore delle due Repubbliche settentrionali della
ex/Federazione. E l’ elemento chiave di questo sostegno è risultata essere proprio la presenza
germanica. Il governo della R.F.T. , infatti, è stato il primo a riconoscere ufficialmente Slovenia e
Croazia, il 23 dicembre 1991, seguito, non casualmente, da Austria, Santa Sede e, solo
5
Su “Re/Germanisierung” e “maturità geopolitica” della B.R.D. vedi, fra l’altro : A. Baring : “La
Germania insicura ed il dilemma del ‘centro scomodo’” Limes, 1/96 ; O. Fahrimi : “Perché
‘Framania’ non significhi Babele” Limes, 2/95 ; L. Incisa Di Camerana : “La vittoria dell’Italia
nella Terza Guerra Mondiale” Laterza, Bari/Roma, 1996 ; M. Kornimann : “Euroregioni o nuovi
Laender ?” Limes, 4/93 ; D. Lawday : “The return of the Habsburgs” A survey of central Europe,
The Economist, 18nov., 95 ; L. Watzal : “I veri interessi tedeschi” Limes, 3/00 ; W. Weidenfeld, J.
Jenning : “New patterns of balance for Europe” International Herald Tribune, 28oct., 93.
6
“controvoglia”, dai partners europei, dagli Stati Uniti e dal resto del mondo. Ma affinché non si
pensi ad un “Generalplan Ost riveduto e corretto”, è bene ricordare come il processo sfociato in
quella decisione sia stato tutt’ altro che lineare. Chi scrive non dubita affatto della ben più che
probabile possibilità che statisti del calibro di Helmut Kohl e Hans Dietrich Genscher abbiano
elaborato e “promosso” ipotesi di “risistemazione” dello spazio centro/europeo per “l’ Era del
dopo/Riunificazione” (“ri/sistemazione”, del resto, “quasi/inevitabile” vista la stazza del colosso
germanico) ma è perlomeno altrettanto innegabile l’esistenza di un contrasto, in merito alla
posizione da assumere rispetto alle pulsioni indipendentiste sloveno/croate, fra il Cancelliere
Federale ed il Ministro Degli Esteri, sostenuti dai liberali della F.D.P. (il partito del primo) e da una
non convintissima maggioranza della democristiana C.D.U. (il partito, invece, del secondo), da un
lato, ed una…“tanto variegata quanto involontaria Grande Coalizione”, dall’ altro. Mentre i primi,
per europeismo convinto ma anche dettato loro dalle rispettive cariche ricoperte, si attenevano
infatti, almeno inizialmente, alla linea della comunità internazionale (favorevole alla “Jugoslavia
unita e democratica” del Premier Federale, Ante Markovic’) , una “strana alleanza” esercitava, in
nome di motivazioni a volte simili ed a volte del tutto differenti tra loro, non poche pressioni a
favore del riconoscimento dell’ indipendenza di Lubiana e Zagabria. I partecipanti a quest’ inedita
convergenza possono essere divisi in due settori : uno di destra ed uno di sinistra. A destra, cinque
protagonisti giocarono un ruolo estremamente rilevante : l’ autorevolissimo quotidiano “F.A.Z.”, l’
altro importante quotidiano di centro/destra “Die Welt”, il settore maggiormente orientato in senso
conservatore presente all’ interno della C.D.U. (capitanato da Wolfgang Schaeuble) e due Laender
“di peso” come il Baden/Wuerttemberg e, soprattutto, la Baviera ; politicamente dominata,
quest’ultima,
da
una
C.S.U.
(Unione
specificamente bavarese alleato della invece
Cristiano-Sociale,
partito
cattolico/conservatore
interconfessionale e “pangermanica” C.D.U. e
portatrice, rispetto a quest’ultima, di programmi politici certamente più di destra ) schieratissima a
favore della indipendenza di Slovenia e Croazia6. A sinistra, invece, si segnalarono, per il loro
appoggio a Lubiana e Zagabria, prima di tutto i Verdi/Alleanza’90 (peraltro, subito imitati dai loro
omologhi austriaci) ed il quotidiano berlinese “TAZ.” seguiti, a loro volta, dai socialdemocratici
6
Non va, inoltre, assolutamente taciuto il contributo alla spinta internazionale pro/Lubiana e
pro/Zagabria fornito dal ruolo svolto al riguardo da Laender austriaci come Stiria e Carinzia in
particolare, dal partito popolare (democristiano) austriaco (OE.V.P.), dal partito liberale austriaco
(F.P.OE.), da numerosi esponenti ecclesiastici tedeschi ed austriaci, dalla stessa Santa Sede, da una
tutt’altro che trascurabile lobby pro/slovena e pro/croata presente all’interno della D.C. italiana a
livello centrale/nazionale ed anche da buona parte delle classi dirigenti economico/politico/culturali
delle nostre regioni del Nord/Est, operanti, queste ultime, nell’ ambito dell’iniziativa
trans/frontaliera “Alpe Adria”. Sul ruolo di tali “agenti non troppo secondari” si veda, ad esempio:
J. Elsasser : “Der Dritte Mann” Konkret, 9/00 ; S. Ostojc’ : “Vaticano 1991. La vera storia della
lobby croata”Limes, 3/98 ; A. Varsori : “L’Italia nelle relazioni internazionali. 1943/1992” Laterza,
Bari/Roma, 1998.
7
della S.P.D. (o, per lo meno, da una sua netta maggioranza interna come, del resto, accaduto in
Austria presso i loro omologhi austriaci della S.P.OE.) e dal “suo” quotidiano, il “Frankfurter
Rundschau”. Fautore, invece, di una posizione decisamente più moderata si è rivelato l’autorevole
“S.Z.”7. L’ ala destra di questa inedita “Grosse Koalition” motivò il proprio sostegno alle
aspirazioni indipendentiste sloveno/croate con il perseguimento di un chiaro disegno di precipua
marca geopolitica: la creazione, cioè, di una “Neo/Mittel/Europa”, fatta di intrinsecamente deboli
“piccole patrie”, orbitante intorno al colosso tedesco ed in grado, allo stesso tempo, di offrire ai
Laender della Germania meridionale, in generale (ridimensionati all’ interno dall’ unione con i
territori dell’ ex/D.D.R. e, soprattutto, dal crescente peso della neo/capitale Berlino), ed alla
Baviera, in particolare, lo spazio per una politica estera regionale e parallela a quella governativa e
capace di tutelarne la radicatissima e quasi “venerata” identità politico/statuale (“FreiStaat Bayern”)
nei confronti tanto di Bonn/Berlino che di Bruxelles. Il tutto, giova sottolinearlo, ottenuto
superando “la metafisica della colpa”8 ed “autonomizzandosi” in politica estera per trasformare la
Germania in un “normale” stato nazionale europeo, libero di perseguire i propri obiettivi sullo
scacchiere internazionale in base alle proprie priorità ed esigenze, al di fuori di qualsivoglia tutela.
Il “settore di sinistra” di tale precedentemente citata “Strana Alleanza” invece, pur non certo alieno
dallo stesso tipo di considerazioni geopolitiche (è, infatti, poco credibile sostenere che una
importante forza politica come la S.P.D. non avesse assolutamente preso atto dell’ accresciuta
potenza del paese alla luce della sua nuova collocazione geo/politica e strategica), si mosse
principalmente per due ordini di motivi. Il primo di essi è strutturalmente intrinseco alla dialettica
fra governo ed opposizione. Il secondo è, invece, di carattere decisamente più generale. Non c’è
nulla di sorprendente, infatti, se i maggiori partiti di opposizione, onde metterlo in difficoltà di
fronte all’ opinione pubblica, assumono una posizione contraria e “più ferma” rispetto a quella del
governo. Specialmente se ciò accade in relazione ad un tema così rilevante come la crisi nella
ex/Jugoslavia. Sarebbe, però, indubbiamente riduttivo non considerare l’ importanza che principi
come “l’autodeterminazione dei popoli” ed “il rispetto dei diritti umani” (principi, però,
estremamente vaghi nel contenuto e, perciò, facilmente…“geo/politicamente manipolabili”) hanno
avuto nel costruire il quadro rappresentativo al quale soprattutto i Verdi/Alleanza’90, per lo meno
ampia parte della S.P.D. ed i quotidiani “Frankfurter Rundschau” e “TAZ.” hanno, in particolar
modo, attinto allo scopo di leggere il conflitto fra Belgrado, da un lato, e Lubiana/Zagabria,
dall’altro. Estremamente significative appaiono in questo caso, per la loro carica di “idealismo” e
7
Anche il quotatissimo settimanale “Die Zeit”, condiretto e coedito anche dall’ex cancelliere
socialdemocratico, nonché “rivale” e successore di Willy Brandt, Helmut Schmidt, si è mostrato
piuttosto prudente.
8
Confronta, a tal proposito, L. Caracciolo : “Cosa cerca la Germania in Jugoslavia” Limes, 3/94,
pag.125 e seguenti.
8
per essere state pronunciate da uno degli statisti più importanti della Germania post/bellica, le
dichiarazioni che l’ allora ancora vivo Willy Brandt (all’epoca presidente onorario della S.P.D.)
rilasciò il 27-5-91 a Graz, capitale della Stiria (Land austriaco, come sopra precedentemente
evidenziato, fortemente filo/croato e, soprattutto, filo/sloveno). L’ alto esponente socialdemocratico,
infatti, giudicava l’ allora Comunità Europea come “troppo vincolata all’ idea di uno stato unitario
jugoslavo” e la accusava di “sopravvalutare il principio della non/ingerenza”.9 Stretti, perciò, dalla
C.S.U. e da consistente parte della C.D.U. , a destra, e da (per lo meno non trascurabile parte della)
S.P.D. e Verdi/Alleanza’90, a sinistra, Kohl e Genscher, anche in seguito alla montante pressione
esercitata da una opinione pubblica “mobilitata” in senso “anti/belgradese” da una poderosa
offensiva mediatica che ha visto schierati sul medesimo fronte “F.A.Z.”, Die Welt, Bild Zeitung (il
quotidiano, “tabloid” in questo caso, più diffuso tra il Reno e l’Oder/Neisse), “Frankfurter
Rundschau”, “TAZ.”, Der Spiegel e Radio/Televisione Bavarese,10 cedono a tali sollecitazioni (non
eccessivamente a malincuore, in verità…) con gli avvenimenti del 23-12-1991 che si configurano,
dunque, come logica conseguenza, al limite anticipata nei tempi, del “disco verde” alle Repubbliche
secessioniste già accordato il 16 del medesimo mese in sede comunitaria, a Bruxelles11, e di quanto
da Genscher ancor precedentemente promesso al “Ministro Degli Esteri” sloveno, Dimitri Rupel.12
E’ quindi alla luce dei notevoli interessi geo/politici e geo/economici della Germania nella regione
(a loro volta determinati e “confermati” da consolidati rapporti storici) e dell’ “Alleingang” tedesco
rispetto al riconoscimento di Slovenia e Croazia come prodotto di questi ultimi, come risultato di
fortissime pressioni interne ma anche come strumento di auto/legittimazione sul piano
internazionale e di uscita da una quasi cinquantennale condizione di tutela, che si è deciso di
“consacrare” il presente lavoro ad una “prospettiva tedesca”. “Riconoscendo, DA SOLA, Slovenia
e Croazia”, ha scritto, infatti, Lucio Caracciolo ed è difficilissimo dargli torto, “la Germania
riconosce sé stessa”.13
1-3: “I SETTE QUOTIDIANI”
9
A tal riguardo, confronta : “SPD : Slowenien anerkennen” Die Welt, 28-5-1991.
“Quando scoppiò la guerra con i Serbi”, ha scritto Flora Lewis, “la TV Bavarese, fortemente
influenzata dall’ ultra/conservatore governo locale e dalla potente e dogmatica chiesa cattolica
bavarese, intimamente connessa a quella croata, fornì i servizi televisivi a tutta la Germania. Erano
cronache estremamente parziali” F. Lewis : “Between Tv and the Balkan war”, New Perspectives
Quarterly, n.11/1994
11
A tal proposito, confronta : L. Caracciolo : “Cosa cerca…”, op. cit., pag.145.
12
“Schaeuble fuer Anerkennung”, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 4-11-1991.
13
A tal riguardo, confronta: L. Caracciolo : “Cosa cerca…”, op.cit., pag.145.
10
9
Nello scegliere quali quotidiani prendere in esame al fine di analizzare, comparare e commentare le
posizioni da essi espresse in merito alla fase iniziale della crisi jugoslava, ci si è orientati affinché
questi rispondessero a ben precise caratteristiche. In un paese in cui la carta stampata ha
tradizionalmente fatto propria una spiccata vocazione locale e regionale, e che conosce la
differenziazione fra “tabloids” e “quality papers”, si è deciso di puntare su quotidiani “di respiro”
nazionale ed al tempo stesso contraddistinti da una notevole serietà di contenuti. Ciò, comunque,
senza ignorarne la effettiva diffusione e cercando di fornire un quadro quanto più pluralistico
possibile partendo, a tal fine, da testate chiaramente conservatrici, “F.A.Z.” e Die Welt, passando
per altre di stampo social/liberale e socialdemocratico, rispettivamente “S.Z.” e “Frankfurter
Rundschau”, fino a giungere a quotidiani decisamente schierati a sinistra, anche se con modalità
anche piuttosto differenti l’ uno dall’ altro (“TAZ.”, “N.D.” e “J.W.”). L’ unico settore politico in
questa sede non considerato è stato quello dell’ estrema destra la quale, per quanto non priva di
proprie testate quotidiane e non incapace di notevoli “exploit” elettorali, paga un pesante scotto alla
propria frammentazione interna ( tre le liste presenti a livello nazionale: il Republikaner Partei (ai
cui sostenitori ci si riferisce come “Reps”), la Deutsche VolksUnion o D.V.U. ed il
NationalDemokratische Partei Deutschlands o N.P.D.), alla mancanza di una figura leader capace di
fungere da catalizzatore di un universo politico non alieno da potenzialità non certo irrilevanti ed
alla scarsa qualità e preparazione dei propri militanti. Tali mancanze (alle quali va aggiunto il
generale ostracismo, per quanto non pienamente “a tenuta stagna”, che l’ “Arco Costituzionale”
tedesco ha tradizionalmente praticato, e tuttora continua a praticare, nei confronti di qualunque
formazione collocata alla destra della C.D.U./C.S.U.), pur in presenza di per lo meno più che
discrete possibilità finanziarie,14 costituiscono un serio ostacolo che finisce per impedire la
presenza, per quanto concerne quest’ala dello spettro politico, di testate quotidiane di sorta.15 Nell’
ambito dell’ “Introduzione”, però, si è anche delineata una divisione, all’ interno del gruppo dei
sette quotidiani politici scelti per il presente lavoro, fra “F.A.Z.” e “S.Z.”, da un lato, ed i cosiddetti
“minori”, dall’ altro. Il perchè di questa differenziazione risiede nella maggiore importanza dei due
fogli “maggiori”, a sua volta determinata da un livello complessivo, in fatto di vendite,
autorevolezza ed anche contenuti, chiaramente superiore. Fondato a Francoforte sul Meno nel 1949,
la “F.A.Z.” costituisce, senza dubbio, il più autorevole quotidiano politico tedesco. Tradizionalista e
conservatrice, esso è stato paragonato alla Porta di Brandeburgo in quanto “non bello ma solido”.16
Dotato di un numeroso contingente di corrispondenti dall’estero che gli permette di coprire le
14
In particolar modo per ciò che concerne la D.V.U. .
Neanche la formazione dotata del maggior numero di militanti attivi, e cioè la N.P.D. , riesce a
tagliare un simile traguardo.
16
Confronta : F. Barbieri : “Germania 4 Italia 0. Federalismo, governabilità, finanza, informazione:
le soluzioni tedesche” Baldini&Castoldi, Milano, 1996, pag.147.
15
10
notizie internazionali in modo quasi indipendente dalle grandi agenzie di stampa (caratteristica,
questa, che ne conferma e ne rafforza tanto l’ affidabilità quanto l’ autorevolezza), il “F.A.Z.”, con
le sue circa quattrocentomila copie quotidianamente vendute17, trova nella C.D.U./C.S.U. il suo
principale interlocutore politico ed ha spesso funto da importantissimo “podio” dal quale lanciare
dibattiti storico/politici quasi sempre su temi di centro/destra. Il più famoso, e , probabilmente,
anche il più furibondo di essi, cominciò il 6-6-1986. Si trattava del celeberrimo “HistorikerStreit”
iniziato da Ernst Nolte e dalla sua tesi del “legame di causalità” fra gulag sovietici e campi di
sterminio nazisti. Se al “F.A.Z.”, dunque, può essere, grosso modo, assegnato il titolo di “Corriere
Della Sera tedesco”, la qualifica di “La Repubblica in versione teutonica” non può non andare al
“Sueddeutsche Zeitung” . Forte di quattrocentotrentacinquemila copie giornalmente vendute18, il
quotidiano fondato a Monaco di Baviera nel 1945 è il più acquistato in Germania, sempre, però,
rimanendo all’interno dell’ambito dei “quality papers”. Fautore di una linea social/liberale e vicino,
ma mai eccessivamente, alla S.P.D. , il “S.Z.” rappresenta “un’ eccezione laico/riformista” nella
cattolicissima ed esplicitamente conservatrice Baviera ma, pur superando, anche se solo
leggermente, il “rivale” francofortese quanto a vendite, è ancora ritenuto privo del medesimo
“allure”.19 Fra i quotidiani in questa sede definiti “minori” è il “Die Welt” quello maggiormente
venduto. Nato nel 1946 a Monaco di Baviera, ha trasferito, dal 1993, il proprio ufficio editoriale
centrale a Berlino e, forte di una tiratura di circa duecentoventimila copie giornaliere20 , essa svolge
la funzione di “corazzata” del Gruppo Editoriale Springer in quanto “interfaccia intellettuale” del
popolarissimo “tabloid”, sia quanto a vendite che a contenuti, “Bild Zeitung”. “Famoso” per essere
il primo giornale che Nikita Kruschev pare leggesse al mattino, la “Die Welt” è un quotidiano di
ispirazione “conservatrice/nazionale”. Fortemente anti/comunista ed anti/socialdemocratico, anche
in opposizione alla linea di “appeasement” rispetto all’esistenza della D.D.R. che la S.P.D. ha
tradizionalmente perseguito trovandosi così, tanto indubbiamente quanto nettamente, spiazzata
dalla repentinità degli avvenimenti del dopo 9 –11-89, essa è stata definita, durante i sedici anni che
hanno visto Helmut Kohl a capo della coalizione governativa formata da C.D.U./C.S.U. e F.D.P.
(1982-1998), “la Pravda di Bonn”. Collocabili sull’ opposto versante sono, invece, il “Frankfurter
Rundschau” ed il “TAZ.”. Il foglio francofortese, venduto in circa centonovantamila copie
giornaliere21 , può essere definito “il quotidiano della S.P.D.”, non distanziandosi poi molto, in un
17
Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.161 ; H. Meyn : “Mass Media in the Federal Republic Of
Germany”, Volker Spiess, Berlin, 1994, pag.40.
18
Confronta : www.presse-im-handel.de
19
Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.116.
20
Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.161 ; H. Meyn, op.cit., pag.41
21
Confronta : www.presse-im-handel.de ; F. Barbieri, op.cit., pag.161 ; H. Meyn, op.cit., pag.41.
11
eventuale confronto con il panorama italiano, da “L’ Unità” dell’ epoca P.D.S.22/D.S. , mentre è “Il
Manifesto” il giornale italiano più facilmente accostabile al berlinese “TAZ.” . Acquistata
quotidianamente da circa sessantamila lettori23, il “TAZ.” è una…“versione più verde e meno
comunista” del suo “omologo” italiano. Nato nel 1979, grazie ai sussidi ed ai vantaggi fiscali
concessi dall’ allora governo tedesco/occidentale a chi fosse intenzionato a fondare attività
imprenditoriali nell’allora “vetrina dell’ Occidente in pieno territorio nemico”, esso si fa portavoce
di una sinistra pacifista, ambientalista, terzomondista, “movimentista”, femminista e schierata in
difesa di immigrati e minoranze, sia etnico/religiose che in tema di preferenze sessuali. Viste queste
sue caratteristiche, è spesso in conflitto con l’attuale governo “rosso/verde”. Lo critica, perciò, da
sinistra, e non senza anche rimarchevoli asprezze, dimostrandosi però, allo stesso tempo,
estremamente “freddo” nei confronti del Partei Des Demokratischen Sozialismus, o P.D.S. , “partito
erede” della Sozialistische EinheitsPartei Deutschlands, o S.E.D.24 , precipuamente radicato ad Est
ma che comincia, lentamente, a farsi strada anche ad Ovest. Nonostante le non poche differenze che
li separano, “F.A.Z.”, Die Welt, “S.Z.”, “Frankfurter Rundschau” e “TAZ.” sono testate comunque
accomunate da una medesima caratteristica : la provenienza geografica. Si tratta, infatti, di
quotidiani tutti identificabili come “occidentali”. Ma, a più di undici anni dal 3 ottobre 1990,
vocaboli come “Est” ed “Ovest”, in Germania, continuano a rivestire un significato che va
parecchio al di là di quello abitualmente attribuito a due dei quattro punti cardinali. Divisa per oltre
quaranta anni nei due “stati/vetrina” dei due opposti sistemi economico/politici la cui
contrapposizione globale trovava giusto nel bel mezzo dell’Europa il proprio punto di massimo
attrito, ed è, probabilmente, questo il motivo dell’assenza di guerra “calda” dal territorio del nostro
Continente durante tutto il corso della cosiddetta “Guerra Fredda”, la Germania del “dopo/Muro” ha
dovuto affrontare un tutt’ altro che facile processo di unificazione interna, a sua volta ben altra cosa
dal “semplice spostamento ad Oriente delle frontiere della vecchia R.F.T.” , i cui complessi aspetti
economici, politici ed anche socio/psicologico/culturali sono stati ulteriormente aggravati da un
“movimento riunificatorio fra i due stati tedeschi” che, probabilmente, ha assunto, prima di tutto in
conseguenza di una ben preciso indirizzo politico esplicitamente voluto in prima persona da Helmut
Kohl,
un ritmo eccessivamente velocizzato. Pungolata, quindi, sia dalle rimarchevolissime
difficoltà, ancora una volta di carattere economico, politico e socio/psicologico/culturale, sorte
come conseguenza della riunificazione e della “riconversione” della economia dei “Nuovi
Bundeslaender” in direzione del libero mercato , da un lato, ma anche dall’ attitudine, perlomeno,
“sprezzantemente accondiscendente” verso essa indirizzata da amplissima parte sia della opinione
22
23
24
In questo caso, inteso, ovviamente, come Partito Democratico Della Sinistra.
Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.161.
A sua volta “partito-guida”, ma non unico, nella Repubblica Democratica Tedesca.
12
pubblica che dei ceti dirigenti, economici, politici e culturali, della vecchia Germania Ovest, dall’
altro, l’ identità tedesco/orientale, comunque consolidatasi durante gli oltre quaranta anni di
esistenza di una “Germania di Pankow”, prima come “Zona D’ Occupazione Sovietica” e
successivamente come vera e propria R.D.T. , si è dimostrata molto più “restia” del previsto a
“cedere il passo”, in tal modo, perciò, “rifiutandosi di scomparire completamente”, all’ “invasione”,
nuovamente da qualificare come economica, politica e socio/psicologico/culturale, proveniente
dall’ex/stato tedesco “nemico”. A livello politico, questa “Consapevolezza Ossi” si è manifestata,
prima di tutto, nei ripetuti successi elettorali che il P.D.S. ha ottenuto dal 1990 ad oggi25, ma, anche,
nell’esistenza e nella diffusione di due quotidiani come il “N.D.” e lo “J.W.” : gli unici giornali,
politici e non, della scomparsa D.D.R. , ma il medesimo dato di fatto vale anche per periodici e
riviste, a non essere stati acquistati da enti, partiti, imprese o privati provenienti dalla vecchia
Repubblica Federale. Fondato nel 1946 in quella che sarebbe successivamente diventata
Berlino/Est, organo ufficiale del Comitato Centrale della S.E.D. durante l’esistenza della R.D.T. ed
ora, più semplicemente, “Sozialistische Tageszeitung”, il primo, con ottantacinquemila copie
giornalmente vendute26 , è il “quotidiano sovra/regionale” più letto nei territori che fino al 3 ottobre
1990 costituivano la D.D.R. e può, agevolmente, essere definito “l’organo del P.D.S.”. Il secondo,
invece, anch’esso con sede in quella che, fino al 1989, era Berlino/Est, costituisce il quotidiano
politico più nettamente schierato a sinistra fra i sette in questa sede presi in esame e, probabilmente,
non solo. L’ex/organo della “Freie Deutsche Jugend”, l’organizzazione giovanile di massa nella
Repubblica Democratica, vende sessantaquattromila copie al giorno27, è il quotidiano con i lettori
mediamente più giovani28 e non manca di polemizzare da sinistra con il P.D.S. , proponendosi come
“alternativa, orientale e dogmatica” al “libertario ed occidentale ‘TAZ.’ ”. Entrambi, seppur con
forme e modalità non sempre coincidenti fra loro, portavoce di un “orgoglio tedesco/orientale,
sub/nazionale e di sinistra”, “N.D.” e “J.W.” non costituiscono due quotidiani dotati di un “respiro”
pienamente nazionale. Posto, però, che la medesima mancanza, in questo caso di segno opposto, è,
per lo meno parzialmente, imputabile anche al Frankfurter Rundschau ed al “TAZ.”, va anche
ribadito come, ai fini della formulazione di un quadro capace di prendere in considerazione testate,
più o meno, “vicine” a tutti i partiti rappresentati in Parlamento, una esclusione da esso degli unici
“Ossi/Zeitungen” avrebbe assunto il significato di una pesante omissione. Strutturato, fino alla fine
25
Il partito infatti, pur ancora marginale nei “Vecchi Bundeslaender”, contende attualmente, in
quelli “Nuovi”, il posto di secondo partito più importante, a seconda dell’area specifica presa in
esame, alla S.P.D. o alla C.D.U. , mentre in ambito nazionale, è in corsa, assieme ai Liberali ed ai
Verdi, per la conquista di un, comunque distaccatissimo, terzo posto.
26
Confronta : H. Meyn, op. cit., pag.38 ; www.presse-im-handel.de.
27
Confronta : H. Meyn, op. cit., pag.38.
28
Confronta : www.presse-im-handel.de.
13
degli anni ’70, attorno alla presenza parlamentare di, praticamente, tre soli partiti, C.D.U./C.S.U. ,
F.D.P. e S.P.D. , il sistema politico tedesco ha, infatti, conosciuto, durante gli anni ’80, l’
affermazione dei Verdi e , durante la decade successiva, quella, per quanto, per ora, soltanto
sovra/regionale e non ancora nazionale, del Partito Del Socialismo Democratico.29 Limitarsi,
quindi, ad una prospettiva interamente tedesco/occidentale (con “F.A.Z.” e Die Welt vicini alla
C.D.U./C.S.U. ed, in misura minore, ai Liberali, con “S.Z.” e Frankfurter Rundschau orientati verso
i socialdemocratici e con il “TAZ.” non certo lontano dai Verdi) avrebbe significato non tener conto
di un settore ragguardevole della opinione pubblica tedesco/orientale. Ciò avrebbe costituito, a sua
volta, un errore non solo in termini strettamente “numerici”, vista la forza elettorale del P.D.S. e le
circa centocinquantamila copie quotidiane complessivamente vendute da “N.D.” e “J.W.” , ma
anche, e soprattutto, da un punto di vista interessato ad assicurare, in questa sede, il “tasso di
pluralismo” più elevato possibile. Infatti, pur contraddistinti da accenti anche intensamente non
convergenti l’ uno con l’ altro, i quotidiani tedesco/occidentali sono stati, comunque, tutti
caratterizzati da un atteggiamento “benevolo” rispetto alle aspirazioni indipendentiste
sloveno/croate. Certo, tanto per fare un esempio, lo scarto fra quanto apparso sulle colonne del
“F.A.Z.” e la decisamente maggior pacatezza riscontrabile leggendo le pagine del “S.Z.” apparirà
evidente anche al più distratto dei lettori. Solo “J.W.” e “N.D.” però, proprio in quanto “alfieri
quotidiani” di tale summenzionata “diversità tedesco/orientale, sub/nazionale e di sinistra” , hanno
manifestato un’ attitudine radicalmente differente rispetto a quella esplicitata dai quotidiani politici
tedesco/occidentali, prescindendo, almeno per il momento, da qualsiasi altro tema, sia storico che
incentrato sulla stretta attualità politica, ANCHE di fronte agli avvenimenti jugoslavi succedutisi sia
fra il 25-6-91 ed il 15-1-92 che posteriormente a quest’ ultima data. I due giornali della ex/Berlino
Est, infatti, ed il “J.W.” in maniera particolare, si sono mostrati estremamente critici sia verso il
separatismo sloveno/croato, da un lato, sia verso l’ appoggio che la Germania ha ad esso assicurato,
dall’altro. In essi, le due testate in questione hanno, infatti, individuato le ragioni non uniche ma, in
ogni caso, trainanti della disgregazione jugoslava e delle relative guerre, e, coerentemente con tale
assunto di partenza, le loro firme si sono pervicacemente scagliate contro quella “serbofobia” e
quell’ “anti/jugoslavismo” che, stando a quanto apparso sulle loro colonne, sarebbero stati fatti
29
Non va, però, dimenticato che se il P.D.S. è dotato di una forza elettorale trascurabile nei “Vecchi
Bundeslaender”, altrettanto, a parti invertite, è lecito sostenere per F.D.P. e Verdi. Si tratta infatti, in
questo caso, di formazioni politiche pochissimo seguite nei territori un tempo facenti parte della ora
defunta R.D.T. , in quanto visti come partiti “esclusivamente occidentali”, o quasi. E’ bene altresì
notare, inoltre, come e quanto il P.D.S. sia rilevante all’Est. Pur attingendo, infatti, da un bacino
elettorale sensibilmente più contenuto rispetto a quello “a disposizione” di F.D.P. e Verdi, sedici
milioni di abitanti contro sessantaquattro, esso, all’incirca, ne eguaglia, però, la consistenza sia
numerica che percentuale, a livello nazionale, grazie ad un grado di presenza, nella propria “area di
appartenenza”, del quale sia i Liberali che i Verdi, non hanno mai potuto disporre.
14
propri dalla netta maggioranza tanto della classe dirigente politico/economico/culturale tedesca
quanto della gran parte dell’ universo dei media teutonici visti, questi ultimi, come i “principali
istigatori” di una “dilagante isteria anti/belgradese” dimostratasi, successivamente, “foriera di
nefaste conseguenze”. Non considerare e non esaminare anche tali posizioni, fortemente critiche nei
confronti della politica balcanica perseguita dalla R.F.T. durante l’ultimo decennio del ventesimo
secolo
30
, avrebbe, perciò, gravemente nuociuto alla completezza, in ogni caso mai assoluta, del
presente lavoro.
CAPITOLO SECONDO : L’INIZIO DELLLA
LETTURA
FORNITANE
DALLE
‘GUERRA DEI DIECI ANNI’ E LA
DIFFERENTI
TESTATE
QUOTIDIANE
POLITICHE TEDESCHE
2-1: “GLI AVVENIMENTI INTER/JUGOSLAVI…
Collocazione politica ma anche “provenienza geografica” hanno, dunque, determinato l’ ampiezza
del ventaglio delle posizioni espresse dai principali quotidiani politici tedeschi in merito alla fase
iniziale della crisi nella ex/Jugoslavia ed in merito alla politica che la R.F.T. ha svolto rispetto ad
30
La contrarietà e le critiche in questione sono rivolte sia alla politica tedesca degli anni ‘90 nei
Balcani in quanto tale, sia a questa come ambito specifico di una condotta generale di politica estera
che “Neues Deutschland” e “Junge Welt” hanno reputato, ed ancora reputano, quasi interamente
non condivisibile. Il tutto, è bene tenerlo presente, nell’ambito di un giudizio sulla Riunificazione e
sulla “Berliner Republik” che, adottando termini rimarchevolmente eufemistici, è possibile
qualificare come “alquanto eterodosso”, tanto per ciò che concerne la prima testata quanto, ed in
questo caso in maggior misura, per quel che attiene alla seconda.
15
essa. Ma quali sono stati gli avvenimenti salienti succedutisi fra il 25-6-91 ed il 15-1-92 ? “L’
incendio jugoslavo” cominciò a svilupparsi due giorni dopo le dichiarazioni unilaterali di
indipendenza effettuate da Lubiana e Zagabria. Il 27-6-91, infatti, la J.N.A. (Esercito Popolare
Jugoslavo) fu inviata a riprendere possesso delle postazioni di frontiera con Italia, Austria ed
Ungheria nel frattempo occupate dalla milizia territoriale slovena. Questa cosiddetta “guerra delle
dogane” si caratterizzò per la sua modesta entità, settanta morti circa, e si concluse già l’ otto luglio
successivo in seguito agli Accordi di Brioni, promossi dalla “torjka” dei Ministri Degli Esteri della
C.E. , allora composta dal nederlandese Hans Van Der Broeck, dal lussemburghese Jacques Poos e
dall’ italiano Gianni De Michelis. Secondo tali accordi, in cambio della fine delle ostilità, gli
sloveno/croati si impegnavano a congelare per tre mesi gli effetti delle dichiarazioni unilaterali di
indipendenza, la Slovenia conservava il controllo delle frontiere ed il rappresentante croato alla
Presidenza Collegiale Jugoslava, Stipe Mesic’ , la cui elezione era stata precedentemente bloccata
da Serbia, Montenegro, Kosovo e Vojvodina, veniva eletto Presidente. Lo storico Josip Krulic’ ha
definito questa “mini/guerra” come “l’ ultimo tentativo ‘jugoslavista’ ”31, frustrato, però, in ogni sua
ambizione dall’ improvvisa decisione presa dalla Presidenza Collegiale, con i voti favorevoli di
Lubiana e di Belgrado ma contro il parere dell’ ormai esautorato Ante Markovic’, di ritirare
completamente la J.N.A. dalla Slovenia la quale, in tal modo, solo formalmente dovrà attendere l’
otto ottobre successivo (scadenza della moratoria concordata a Brioni) per essere “de facto”, anche
se non ancora “de jure”, indipendente. La sua compattezza etnica, l’ assenza dal suo territorio di
minoranze serbe in qualche modo rilevanti, la non/presenza di importanti comunità slovene al di
fuori dei confini repubblicani e la scelta effettuata, secondo lo studioso Alessandro Peric’
32
, dal
Ministro Federale Della Difesa, generale Veliko Kadijevic’ , “jugoslavista” E comunista33, di
boicottare la “Jugoslavia unita e democratica” di Markovic’ e di schierarsi con la “(Grande) Serbia
social/nazionalista” di Slobodan Milosevic’
34
, le permisero, infatti, di secedere pagando un prezzo
relativamente modesto. La fine della guerra “jugo/serbo-slovena”, però, significò, inevitabilmente,
l’ apertura di quella “jugo/serbo-croata”, la quale, in quanto ad intensità e durata, si rivelò
nettamente differente dalla prima. Le premesse per un sanguinoso conflitto c’erano, del resto, tutte.
La numerosa minoranza serba infatti, ammontante , all’ incirca, all’ undici per cento della
popolazione totale della Repubblica, sull’ onda dei ricordi dei massacri perpetrati dagli “ustascia”
31
Confronta : J. Krulic’ : “Storia della Jugoslavia dal 1945 ai giorni nostri” Bompiani, Milano,
1997, pag.167.
32
Confronta : A. Peric’ : “Origine e fine della Jugoslavia nel contesto della politica internazionale”
Lupetti, Milano, 1998, pag.111.
33
E, perciò, con egli, dai militari in generale, pilastro fondante e fondamentale, questi ultimi della
creazione statale titina.
34
Ovviamente, solo “parziale” rispetto ad una Jugoslavia “unita ed occidentalizzata” ma, ad ogni
modo, ad essa preferibile in quanto “ideologicamente fedele ai dettami del passato”?
16
durante la Seconda Guerra Mondiale e fortemente preoccupata da un clima politico nettamente
nazionalista, difficilmente avrebbe passivamente assistito alla rottura di ogni legame con Belgrado,
e gli scontri fra irregolari serbi e “polizia/esercito croato”, già cominciati nel corso dell’ estate del
1990, divennero sistematici a partire dal mese di luglio del 1991. La guerra “jugo/serbo-croata”
durò fino al “cessate il fuoco” dell’ 1-1-1992 seguito, tre giorni dopo dal relativo armistizio che
permise il dispiegamento, con funzione di interposizione, di quattordicimila soldati delle Nazioni
Unite nell’ ambito della missione U.N.PRO.FOR. (United Nations Protection Force), secondo il
cosiddetto “Piano Vance”35. Le ostilità, caratterizzate da un notevole grado di intensità anche in
seguito alla scelta dell’ Esercito Federale di schierarsi a fianco degli irregolari serbi (28-7-1991), si
svilupparono lungo tre fronti principali : la capitale Zagabria (bombardata dall’ aviazione
“jugo/serba” durante l’ottobre del 1991), la Dalmazia (con Dubrovnik/Ragusa e Zadar/Zara come
epicentri particolarmente “caldi”) e la Pianura Pannonica (in direzione dell’Ungheria). Per quanto
concerne quest’ ultimo scenario, combattimenti particolarmente accaniti ebbero luogo per il
possesso delle città di Osijek e, soprattutto, Vukovar, quest’ ultima assediata dagli “Jugo/Serbi” dal
19-8-1991 e costretta a capitolare il 27-11 successivo. La guerra “jugo/serbo-croata” può essere
letta secondo una duplice chiave interpretativa36. Nessun dubbio è lecito rispetto all’ individuazione
del vincitore militare. Proclamata nel corso del dicembre del 1991, la R.S.K. (Repubblica Serba di
Krajina), comprendente la Krajina di Knin (capitale della stessa R.S.K.), parte della Slavonia
occidentale e parte della Slavonia orientale, costrinse Zagabria, con la sua stessa esistenza37, a non
controllare oltre un quarto del proprio territorio ma non riuscì ad impedire, ed è questa la seconda
possibilità di effettuare la lettura di cui sopra, la ratifica della nascita della Croazia come stato
indipendente38.
2-2: “…ED IL LORO RAPPORTO CON IL PIU’ AMPIO SCENARIO EUROPEO ED
INTERNAZIONALE”
35
Nell’ottobre del 1991, l’allora Segretario Generale dell’ O.N.U. , Javier Perez De Cuellar, nominò
Cyrus Vance, ex/Segretario Di Stato statunitense, inviato speciale per la risoluzione del conflitto in
Croazia. Il piano a tal fine elaborato prevedeva l’autogoverno dei territori serbi di Croazia, “sotto la
protezione e la sorveglianza” delle Nazioni Unite.
36
Confronta : J. Krulic’, op.cit., pag.168.
37
Esistenza terminata in seguito alle offensive militari croate della primavera/estate del 1995,
denominate “Lampo” e “Tempesta” , ed in seguito all’ accordo fra Franjo Tudjman e Mate Granic’
(Ministro Degli Esteri croato), da un lato, e Slobodan Milosevic’ e Milan Milutinovic’ (Ministro
Degli Esteri yugoslavo), dall’altro, relativo alla restituzione a Zagabria della Slavonia orientale, ad
esclusione della provincia della Posavina.
38
Sempre posto, però, che impedire tale nascita rientrasse nei piani degli “jugo/serbi”. Il che pare,
invece, per lo meno in parte, tutt’altro che pienamente verosimile.
17
Fin qui, i risvolti “inter/jugoslavi” degli avvenimenti succedutisi durante la seconda metà del 1991.
Tali risvolti sono, però, di per sé non scindibili dai riflessi prodotti dalla loro interazione con il più
ampio scenario internazionale, in generale, ed europeo, in particolare. Le operazioni militari
cominciate il 27-6 il Slovenia, infatti, per la prima volta a quarantasei anni dalla conclusione del
Secondo Conflitto Mondiale, riportavano la guerra sul nostro Continente. La risposta europea alla
crisi jugoslava, però, fu tutt’ altro che unitaria. Differenti interessi nazionali di natura
geo/politico/economica, infatti, produssero, nei differenti partners continentali, comportamenti
divergenti se non, addirittura, contrastanti. Manifestatasi all’ interno di quell’ “ondata” di “tedio
verso la Jugoslavia” dovuta, a sua volta, ad un contesto internazionale in rapidissima e
consistentissima evoluzione i cui mutamenti fecero interamente perdere alla R.S.F.J. quel “capitale
geo/politico strategico” della cui preziosissima rendita essa aveva pienamente goduto nei confronti
di entrambi i blocchi nel corso dell’ intero svolgersi della “Guerra Fredda” ( nel giro di due anni,
infatti, si verificarono avvenimenti come il crollo del Muro di Berlino e la realizzazione dell’ Unità
dei due stati tedeschi, la crisi e la Guerra del Golfo, la sconfitta del contraddittorio progetto
riformatore di Michail Sergeevic’ Gorbaciov sfociata nella dissoluzione della Unione Sovietica e la
nascita della U.E. sancita dalla firma del Trattato di Maastricht), la crisi jugoslava costituì la prima
grande sfida del dopo/Guerra Fredda che l’ Europa si trovò ad affrontare da sola, avendo gli U.S.A.
inizialmente optato per una posizione piuttosto defilata anche se, almeno in linea di principio,
favorevole alla “Jugoslavia unita e democratica” di Ante Markovic’ e contraria alle secessioni di
qualsivoglia repubblica (visita del Segretario Di Stato statunitense, James Baker, a Belgrado del 206-1991). In completa assenza di una politica estera comune, emersero, con lampante evidenza, sia l’
insufficienza delle “Iniziative Specifiche” nate fra la seconda metà degli anni ottanta ed i primissimi
anni novanta (Quadrangolare, Pentagonale, Iniziativa Centro/Europea, Iniziativa Adriatica), sia il
ruolo, non certo orientato alla stabilizzazione dell’ area, della cooperazione regionale
trans/frontaliera ruotante attorno all’
“Iniziativa Alpe Adria” , le cui componenti italiane ed
austriache incoraggiarono soprattutto la Slovenia a secedere dalla Jugoslavia. Dopo la duplice
dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte di Lubiana e Zagabria, 25-6-1991, fu la “Trojka
Europea” ad ottenere l’ accordo per rimandarne gli effetti ai primi dell’ ottobre successivo (8-71991), ma già durante il mese di luglio, a dimostrazione dell’ esistenza di divergenze già notevoli
fra la Germania ed i restanti partners europei, veniva bloccata la proposta della presidenza
nederlandese volta a modificare, con accordi bilaterali, i confini interni fra le varie Repubbliche nel
caso di dissoluzione della Federazione. Sempre nel corso dell’ estate del 1991, la Comunità Europea
convocò una Conferenza Internazionale di Pace, presieduta da Lord Peter Carrington ed inaugurata
a L’Aja il 7-9 successivo. Il piano dell’ ex/Ministro Degli Esteri britannico prevedeva la
18
trasformazione della Jugoslavia in una Confederazione di stati sovrani ed indipendenti, ma “legati”
da un’ unione doganale e da una “speciale collaborazione” in tema di politica estera e di difesa.
Veniva, inoltre, escluso sia qualunque cambiamento dei confini repubblicani, in assenza di un
relativo accordo generale, sia qualsivoglia riconoscimento di nuovi stati, se non in presenza di un
assetto ritenuto soddisfacente da tutte la parti coinvolte. Iniziata, dunque, all’ insegna di forti dosi di
ciò che, a posteriori, si sarebbe rivelato come nient’ altro che “wishful thinking”, la Conferenza
dovette presto fare i conti con lo stallo causato dalla contemporanea presenza di laceranti
contrapposizioni inter/europee ed inter/jugoslave. Le prime si svilupparono attorno al sempre più
chiaro contrasto fra le “simpatie” filo/slovene e filo/croate espresse dalla Germania ed i timori
manifestati in proposito dai restanti partners europei, guidati da Francia e Regno Unito39. Le
seconde, invece, esplosero dallo scontro di tre differenti e divergenti tipi di esigenze. Alle richieste
serbo/montenegrine di una Federazione dotata di un governo centrale in ogni caso situato a
Belgrado, si contrapponeva, infatti, “l’ intransigenza secessionista” di Lubiana e Zagabria, mentre
una posizione mediana, ma priva di reali margini di manovra, fu assunta da Macedonia e
Bosnia/Erzegovina che, non certo favorevoli ad una revisione degli equilibri interni alla
Federazione “in senso filo/serbo”, temevano, però, sull’ onda dell’ “esempio sloveno/croato”, lo
scatenarsi di sanguinosi conflitti interno/interetnici i cui effetti sarebbero stati terribilmente
amplificati dalla particolare complessità delle rispettive composizioni etniche. In contemporanea
con la convocazione, prima, e l’inizio, poi, della Conferenza de L’Aja, fu istituita, sempre da parte
della Comunità Europea, una Commissione d’Arbitrato, con a capo il presidente della Corte
Costituzionale francese, Robert Badinter, avente come scopo precipuo quello di risolvere il
fondamentale problema della tutela delle comunità etniche minoritarie nelle singole repubbliche
anche, e probabilmente soprattutto, alla luce del pericolosissimo declassamento, da “popolo
costitutivo” a “semplice” minoranza nazionale, subito dalla componente etnica serba sia in Croazia
che in Bosnia/Erzegovina40 . Altrettanto nodale rispetto al problema delle minoranze, ed anzi ad
39
Timori causati tanto dalla paura per l’eventuale intensificarsi, sull’onda di quelli aventi come
protagonisti Lubiana e Zagabria, dei propri separatismi interni, quanto da un “tradizionale
filo/serbismo” e da un “tradizionale filo/jugoslavismo” storicamente concepiti in funzione
anti/tedesca.
40
Uno dei nodi principali delle guerre jugoslave, secondo Giulio Marcon, è l’esistenza di una
“questione serba” che trova origine nel ruolo predominante (sia geopolitico che militare) che tale
etnia ha storicamente avuto e, tuttora ha, all’interno dello spazio ex/jugoslavo. Oltre a ciò, è da
rilevare come, tra tutti i popoli una volta inclusi all’interno dei confini della ormai defunta
Federazione, il popolo serbo sia quello più diffuso in tutto il territorio della Repubblica Socialista
Federativa Jugoslava : 31% in Bosnia/Erzegovina, 11% in Croazia, 2% in Macedonia, 13% in
Kosovo, 3% in Montenegro, 50% in Vojvodina. Senza contare, poi, come metà, almeno, della
popolazione montenegrina , pur considerandosi tale, senta una fortissima affinità,
storico/etnico/politico/culturale con i serbi. A tal proposito, si veda : G. Marcon : “Dopo il Kosovo.
La guerra nei Balcani e la costruzione della pace” Asterios Ed., Trieste, 2000, pag.82/83. Secondo
19
esso indubbiamente legata, era, poi, la questione della sovranità. Secondo i Serbo/Montenegrini,
essa risiedeva nei “popoli costitutivi” che, a loro volta, formavano le repubbliche e quindi, in caso
di scioglimento del “patto federale”, ci si sarebbe dovuti avvalere del censimento come strumento di
una “giusta” riscrittura delle frontiere. Per Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Macedonia,
invece, erano le singole repubbliche ad essere sovrane all’ interno dei propri allora attuali confini
essendo questi ultimi, oltretutto, stando a quest’ ultima impostazione, impossibili da modificare,
vista la dislocazione etnica a “macchia di leopardo” che caratterizzava per lo meno la maggior parte
degli Slavi del Sud. Va, comunque, sottolineato come un fervore indipendentista meno intenso,
accompagnato da maggiori garanzie per le rispettive minoranze etniche serbe, avrebbe permesso a
Lubiana, ma soprattutto, a Zagabria, prima, ed a Sarajevo, poi, di controbattere più efficacemente
alle richieste centraliste di Belgrado, posto che evitare qualsivoglia contrapposizione fosse stata un’
esigenza realmente prioritaria. E’ difficile stabilire se uno scenario meno teso, per quanto non
idilliaco, avrebbe realmente contribuito ad evitare lo scoppio di conflitti per l’ attribuzione delle cui
responsabilità principali chi scrive è fermamente convinto che si debba rifuggire da ogni
spiegazione monocausale/monotematica. Inoltre, non si nega nemmeno l’ esistenza di una certa
dose di centralismo serbo/belgradese. E’, però, piuttosto singolare come la “sacralità delle frontiere,
pena il caos etnico” sia stata chiamata in causa solo per le repubbliche secessioniste e non per la
R.S.F.J. tutta. Come assicurare, tanto per fare un esempio, la sopravvivenza della “mini/Jugoslavia
bosniaco/erzegovese” al di fuori del contesto della “grande Jugoslavia” ? Come non mettere in
conto la reazione della minoranza etnica serba di fronte al distacco croato da Belgrado quando,
senza richiamare in causa, per l’ ennesima volta, i sanguinosissimi accadimenti del periodo
1941/1945, già nel 1971, dovette intervenire,
personalmente, lo stesso Tito per calmare gli
allarmati animi dei Serbi di Croazia, e non solo, di fronte alla “Dichiarazione Sulla Lingua”
41
ed
alle attività di organizzazioni di spiccato carattere nazionalista come l’ Unione degli Studenti, la
casa editrice “Hrvatska Matica” (Madre Croazia) ed il “Maspok” (Masovni Nacionalni Pokret,
Movimento Nazionale di Massa) ?42 Andrebbe
poi, per lo meno parzialmente, smentita la
“sensibilità umanitaria, evoluta, occidentale” mostrata da Sloveni e Croazia nei confronto di
la rivista “Herodote”, inoltre, una delle cause delle crisi jugoslave risiederebbe nell’atteggiamento
occidentale nei confronti della sopraccitata “questione serba”. Secondo l’autorevole testata francese
infatti, essa sarebbe stata criminalizzata oppure ignorata, ma mai realmente affrontata. A tal
proposito, confronta : AAVV : “La question serbe”, Herodote, 4/1992.
41
Manifesto sottoscritto da 130 intellettuali croati, fra i quali lo scrittore Miroslav Krleza, che
chiedeva che la lingua croata fosse considerata separata da quella serba e, come tale, insegnata nelle
scuole della Croazia.
42
Venne, addirittura, proclamato lo sciopero generale, in Croazia, in sostegno di richieste
estremamente avanzate ed audaci come : l’istituzione di una Banca Nazionale Croata, l’accesso di
Zagabria ai crediti della Banca Mondiale e, infine, l’ammissione della Croazia a membro dell’
Organizzazione delle Nazioni Unite.
20
Kosovo e Vojvodina. La condotta, non certo irreprensibile, messa in atto dalla dirigenza belgradese
contro Pristina e Novi Sad, durante il biennio 1988/1989, diede adito a dure condanne da parte di
Lubiana e Zagabria e, secondo molti, le avrebbe definitivamente spronate sulla via della secessione
“per non fare la stessa fine”. Peccato, però, che la ratifica della revoca dei notevoli “margini di
manovra” politici, economici, amministrativi e culturali dei quali disponevano le due
regioni/province autonome, inserite all’ interno del corpo repubblicano della Serbia, sia stata
approvata dalla Presidenza Federale la quale, come dovrebbe essere noto ai più, deliberava…all’
unanimità. A spezzare ogni tipo di stallo comunque, fosse esso legato a controversie inter/europee o
a dispute inter/jugoslave, ci pensò la Germania che, come già precedentemente ricordato, in sede
comunitaria, il 16-12-1991 a Bruxelles, ruppe la regola dell’ unanimità in politica estera ed
annunciò la concreta possibilità di un “Alleingang” rispetto al riconoscimento internazionale di
Slovenia e Croazia. Timorosi di un eventuale profilarsi di un “neo/Sonderweg” e desiderosi, perciò,
di inserire il colosso tedesco entro la di lì a poco ratificanda cornice del Trattato di Maastricht, la
cui genesi si preferì non mettere a rischio ostacolando le “esigenze balcaniche” della nazione più
importante, i partners comunitari diedero il via alle procedure per il riconoscimento delle
repubbliche, ormai, ex/jugoslave. Quelle ad esso interessate avrebbero dovuto far prevenire la
propria candidatura alla Commissione Badinter entro il 23-12-91 ed in ottemperanza a quattro
criteri fondamentali : l’ inviolabilità dei confini, il rispetto dei diritti umani, della Carta O.N.U. e
dell’ Atto Di Helsinki. Il 15-1-92 avrebbe avuto luogo il riconoscimento, da parte della, ormai nata,
U.E. , dei candidati ritenuti idonei. Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Macedonia presentarono
la documentazione richiesta e, l’ 11-1-92, la Commissione Badinter rese noto il proprio verdetto. In
ossequio al principio “uti possidetis, iuris qui”, essa stabilì che in Jugoslavia era iniziato un
processo di disfacimento della Federazione, e non di secessione, e che, di conseguenza, i confini
interni erano da considerarsi come trasformati in confini internazionali ; una decisione, questa,
certamente ricca di implicazioni. Il solo fatto che la Commissione Badinter avesse inserito l’
inviolabilità dei confini, “ex/interni” ed ora internazionali, fra i criteri da rispettare per ottenere il
riconoscimento internazionale, indusse, infatti, Helmut Kohl, al congresso della C.D.U. svoltosi a
Dresda il 17 e 18 dicembre del 1991, a parlare di “trionfo della politica estera tedesca”. Ma al fine
di cogliere, ancor più compiutamente, l’ ampiezza delle conseguenze di questa scelta è utile
ricordare quanto sostenuto dal già co/presidente43 dello “Steering Committee” dell’ “International
Committee on the former Yugoslavia” , David Owen. Secondo l’ alto funzionario britannico, “la
trasformazione dei confini interni in confini internazionali, con la conseguente negazione per molti
serbi della speranza di far parte di una Jugoslavia costruita intorno a Belgrado, costituì un disastro
43
Prima con l’ex/Segretario di Stato U.S.A. , Cyrus Vance, e, successivamente, con l’alto
diplomatico norvegese Thorvaldt Stoltenberg.
21
diplomatico” 44. Quanto all’ idoneità delle singole candidature, la Commissione Badinter accordò il
proprio “nulla osta” a Slovenia e Macedonia, stabilì l’ esigenza di indire un referendum interno per
la Bosnia/Erzegovina e bocciò la Croazia, ritenendo insufficiente il grado di tutela da essa previsto
per le minoranze etnico/linguistiche presenti sul suo territorio. In risposta a tale “no”, il presidente
Tudjman convocò rapidamente il parlamento e, “obtorto collo”, ottenne da esso la approvazione di
una legislazione in materia configuratesi quest’ ultima, però, come semplice scappatoia alla luce del
rifiuto prolungato, da parte del Consiglio d’ Europa, di accettare la Croazia fra i propri membri
proprio a causa delle sistematiche e ripetute violazioni dei diritti umani, fra i quali, appunto, anche
quelli delle minoranze etniche e linguistiche. Il 15-1-1992 fu, dunque, il giorno del riconoscimento
internazionale di Slovenia e Macedonia ? Solo in parte. Gli avvenimenti, infatti, subirono una
notevole, anche se non del tutto inaspettata, accelerazione. Senza neanche aspettare le conclusioni
della Commissione Badinter ed ignorando anche le fortissime perplessità in materia espresse dal
Segretario Generale delle Nazioni Unite, Javier Perez De Cuellar, la Germania, come già
precedentemente evidenziato, riconobbe Lubiana e Zagabria già prima del Natale del 1991 in ciò
seguita, agli inizi del gennaio successivo, da Austria e Santa Sede. Alla data stabilita il mese
precedente a Bruxelles, quindi, i partners europei poterono, soltanto, prendere atto del fatto
compiuto. Ad ulteriore riprova, inoltre, del sostanziale avallo che l’ Europa, durante la seconda
metà del 1991, accordò sempre più chiaramente, dietro crescente pressione tedesca, alle aspirazioni
indipendentiste sloveno/croate, va ricordata la politica di sanzioni economiche che la Comunità
Europea/Unione Europea attuò contro Serbia e Montenegro ma che, inevitabilmente, finì per
ripercuotersi anche contro il tentativo “jugoslavista e democratico” di Ante Markovic’ . Il
combinato disposto della sospensione del secondo e del terzo Protocollo Finanziario, della
sospensione dell’ Accordo di Cooperazione e Commercio e della cancellazione della Jugoslavia
dalla lista dei beneficiari inseriti nell’ ambito del Sistema delle Preferenze Generalizzate, infatti,
non sarà certo estraneo rispetto alla scelta di rassegnare le proprie dimissioni maturata da questi il
22-11-91 45. Infine, non deve per nulla sorprendere che alle tre richieste che la Serbia/Montenegro,
considerandosi, essa, ancora parte della Jugoslavia, le aveva inviato il 20-11-91, richieste
concernenti il riconoscimento della sopravvivenza della Federazione anche in presenza della
secessione di alcune repubbliche, la non/accettazione delle frontiere amministrative interne
jugoslave come frontiere internazionali ed il riconoscimento del diritto all’ autodeterminazione per
le comunità etniche presenti all’ interno delle singole ripartizioni repubblicane, la Commissione
44
45
Confronta : AAVV : “Come può l’Europa prevenire i conflitti?” PMI, nov. 1997, pag. 33.
Confronta : G. Marcon, op. cit., pag. 110.
22
Badinter abbia risposto negativamente. “L’ opera preparatoria”, nell’ attuazione della quale si era,
fra gli altri, distinto il “battistrada austriaco”46, giungeva, ora,
a compimento con la piena entrata in scena del “colosso germanico”.
2-3: “LE MOTIVAZIONI TEDESCHE”
Ribadire nuovamente l’ importanza del contributo tedesco alla causa indipendentista sloveno/croata
non significa, però, enuclearne, a fondo e compiutamente, le motivazioni47 . Anche scartando
preliminarmente giustificazioni indiscutibilmente risibili, come quella della “difesa del pluralismo
contro il partito unico”, “dello stato di diritto contro la repressione militare” e “del mercato contro l’
economia di piano”, non è, in ogni caso, lecito omettere di ricordare come, comunque, numerose
siano state le spiegazioni al riguardo addotte. “Impegno affinché terminasse lo spargimento di
sangue”, “tutela dei diritti, umani e ‘storici’, delle popolazioni jugoslave non/serbe” e “rispetto del
loro diritto alla auto/determinazione”, da un lato ; “attacco dell’ Occidente cattolico/protestante
contro la religione ortodossa”, “non/rispetto dei diritti, umani, ‘storici’ ed alla auto/determinazione,
dei Serbi”, “desiderio di ‘colpire Belgrado per avvertire Mosca’ ” e “risentimento anti/serbo ed
anti/comunista portato alle estreme conseguenze per una ‘non/rottura con il passato’ ” 48, dall’ altro
; pur costituendo argomenti certamente provvisti di fondamento, risultano però, se visti come cause
uniche delle posizioni esplicitamente filo/slovene e filo/croate fatte proprie da Bonn/Berlino, per lo
meno parzialmente viziati da un non indifferente pregiudizio di sapore, rispettivamente, anti/serbo
ed anti/occidentale. Al fine, invece, di formulare un’ analisi più equilibrata e maggiormente
completa, è preferibile, secondo chi scrive, ricorrere, prima di tutto ma non esclusivamente, ad
interpretazioni di stampo più “geo/politico/strategiche” che strettamente “ideologiche”. Se, da un
lato, l’ Europa centro/orientale e l’ Europa sud/orientale hanno, infatti, storicamente rappresentato il
luogo di elezione del dispiegamento dell’ influenza economica, militare e culturale proveniente dal
mondo germanico, dall’ altro va, però, ribadito come tale espansione, contraddistinta tanto da fasi
pacifiche quanto da poderose ondate seguite, però, sempre da altrettanto poderosi riflussi, abbia
dovuto affrontare non pochi ostacoli, il principale dei quali, limitando lo sguardo alla penisola
balcanica, è stato posto, con tenace continuità, proprio da Belgrado. Non che alcuna costruzione
statale avente come capitale la “Città Bianca” sia mai stata, di per sé, talmente solida da essere in
46
Confronta : J. Elsasser : “Der dritte Mann” Konkret, sept. 2000.
Per le quali si rimanda, anche, al capitolo primo, secondo paragrafo, del presente lavoro.
48
Il P.S.S., Partito Socialista Serbo, rimasto al potere fino alle elezioni politiche della fine del 2000,
consta, infatti, della parte maggioritaria del vecchio Partito Comunista Serbo “rivista” in chiave più
accentuatamente nazionalista.
47
23
grado di poter opporre reale resistenza ai poderosi urti provenienti da nord/ovest. E’ , infatti, grazie
agli indispensabili apporto e supporto forniti dagli stati tradizionalmente schierati in posizione più
esplicitamente anti/tedesca, Francia, Russia, Regno Unito, che sulle rive del Danubio si è
costantemente riproposta la esistenza del maggior avversario dell’ allargamento del “Deutschtum”
in direzione di Sud/Est. Stabilire se la nascita della Serbia monarchica, prima, e, soprattutto, della
Jugoslavia, poi, sia da attribuirsi alla volontà esclusiva delle grandi potenze o se costituisca, almeno
parzialmente, la realizzazione concreta di fondate aspirazioni economico/politico/culturali non è
compito del presente testo49, resta, però, inconfutabile il dato della scottantissima contrapposizione
geo/politico/strategica fra Berlino/Bonn/Berlino, da un lato, e Belgrado, dall’ altro ;
contrapposizione testimoniata da tre guerre in meno di novanta anni (1914, 1941 e 1999) e dal ruolo
di avanguardia svolto dalla Germania a proposito del riconoscimento internazionale di Slovenia e
Croazia, le cui indipendenze hanno segnato la definitiva ed irreversibile fine della “Seconda
Jugoslavia”, ma anche in relazione a quello ottenuto dalla Bosnia/Erzegovina50. Tuttociò, giova
ricordarlo, a prescindere dai rispettivi assetti politico/istituzionali interni e, quindi, a discapito di
interpretazioni di stampo eccessivamente politico/ideologico. Durante la Grande Guerra fu, infatti,
il Secondo Reich, alleato con l’ Impero Austro/Ungarico, a battersi contro la Serbia monarchica,
mentre, nel corso del Secondo Conflitto Mondiale, fu, “in primis”, la Germania hitleriana ad
invadere ed a smembrare la Jugoslavia monarchica, ed a combattere il movimento partigiano
comunista capeggiato da Tito. Nel 1999, infine, la democrazia tedesca post/bellica e “riunificata”
ha, senza esitazioni, preso parte alla guerra che ha contrapposto la N.A.T.O. alla “Terza
Jugoslavia”51. Escludendo, ovviamente, impossibili equiparazioni tanto fra Secondo Reich,
Germania nazista, “vecchia” Germania Ovest ed attuale R.F.T. , quanto fra Serbia monarchica,
Jugoslavia monarchica, Jugoslavia socialista ed attuale Federazione fra Serbia e Montenegro,
emerge perciò, ancor più evidentemente, la permanenza di tale contrasto ; permanenza
plasticamente esemplificata da tre “dichiarazioni programmatiche” formulate, la prima, all’ inizio e,
49
Chi scrive, in ogni caso, non dimentica il primo ma, allo stesso tempo, non può assolutamente
ignorare le seconde.
50 Riconoscimento avvenuto il 6-4-1992, giorno del cinquantaduesimo anniversario del tremendo
bombardamento nazista su Belgrado, in seguito ad un referendum indipendentista dalla validità
controversa in quanto pesantemente segnato dalla non/partecipazione ad esso da parte della
comunità etnica serba. L’ingresso della Bosnia/Erzegovina indipendente nel consesso della
“comunità internazionale” rappresentò “l’ultima mossa” del Ministro Degli Esteri tedesco, HansDietrich Genscher, improvvisamente dimessosi alla fine del medesimo mese in tutt’altro che
casuale concomitanza con il degenerare della guerra civile all’interno del territorio che, da parte dei
più, si desiderava e si sperava, in maniera, secondo chi scrive, abbondantemente illusoria, sarebbe
stato controllato dal neonato governo centrale di Sarajevo.
51
Quest’ultima è stata proclamata, dalle sole Serbia e Montenegro, il 28-4-1992.
24
le altre due, alla fine dell’ appena terminato secolo. Se, infatti, “Serbien muss sterbien”52 fu la
“parola d’ ordine” al suono della quale si compì l’ attacco che Vienna e Berlino sferrarono contro la
piccola monarchia balcanica, risale, invece, al 1992 il “Wir muessen Serbien in die Knie zwingen”53
dell’ allora Ministro Degli Esteri, e successore di Genscher, Klaus Kinkel (anch’ egli appartenente
alla F.D.P.), mentre, in coincidenza con l’ inizio delle operazioni militari del 1999, l’ allora ed
attuale Ministro Della Difesa, Rudolf Scharping (S.P.D.), dichiarava : “Jetzt oder nie, mit den
Serben muss es aufgeraeumt werden, und zwar bald”54. Concentrare la propria attenzione sulla
contrapposizione di lungo periodo fra Belgrado e Berlino/Bonn/Berlino non deve, però, far
dimenticare un’ altra costante di ancor maggiore rilievo della quale i tormentati rapporti fra
Germania e Serbia/Jugoslavia costituiscono soltanto il risvolto balcanico. Storia, stazza economica,
politica, demografica ma anche militare, pienamente riacquistate a partite dal 3-10-1990, e
posizione geografica, infatti, quasi “impongono” alla Germania di ricostruirsi la propria
“tradizionale”, e storicamente consolidata, sfera di influenza nell’ Europa centrale, orientale e
balcanica ed il riconoscimento di Slovenia e Croazia, sull’ onda della “riscoperta”, non priva di
strumentalizzazioni , della “matrice asburgico/mitteleuropea” delle due repubbliche jugoslave
settentrionali, “huntingtonianamente” intese come “ultima marca di frontiera”, in direzione di
Sud/Est, fra “Mondo Occidente” e “Mondo Orientale”, è stato il primo passo di tale percorso, allo
stesso tempo nuovo ed antico. Ad esso hanno fatto seguito, tra l’ altro : la fine della Cecoslovacchia,
l’ ingresso dell’ Austria nell’ U.E. , il mai nascosto interesse ad un allargamento di quest’ ultima
verso la metà orientale del Continente che includesse prima di tutto, cosa che, peraltro, si
verificherà puntualmente, Polonia, Repubblica Ceca ed Ungheria, stati, in ogni senso “vicinissimi”
alla Germania, ed una imponente penetrazione economico/finanziaria e culturale che la ha resa il
primo interlocutore, di sicuro tutt’ altro che esclusivamente commerciale, di tutta quella fascia d’
Europa compresa fra l’ Estonia, a Nord, e la Bulgaria, a Sud. Riconquistata, dunque, la propria
posizione “naturale” di prima potenza europea, appare perfettamente plausibile che la
Bundesrepublik aspiri ad un ruolo “adeguato” anche al di fuori del Vecchio Continente. Già a suo
tempo Henry Kissinger affermò che il “numero telefonico dell’ Europa” era quello del Cancelliere
Tedesco e, nel 1991, fu Gorge Bush ad offrire a Bonn/Berlino la “Partnership in Leadership” ; senza
dimenticare, poi, la richiesta germanica, avanzata assieme al Giappone, di un seggio permanente
all’ interno del Consiglio Di Sicurezza delle Nazioni Unite. Anche in questo caso, nulla a che
52
“Serbien muss sterben” significa , in tedesco, “La Serbia deve morire”. Venne aggiunta la “i” al
verbo “sterben” per ottenere la rima.
53
“Wir muessen Serbien in die Knie zwingen” significa, in tedesco, “Dobbiamo costringere la
Serbia ad inginocchiarsi”.
54
“Jetzt, mit den Serben muss es aufgeraeumt werden, und zwar bald” significa, in tedesco, “Ora o
mai più, con i Serbi bisogna farla finita e bisogna farlo quanto prima”.
25
vedere né con il periodo nazista né con il “Auf deutsche Wesen, soll die Welt genesen”55 di
guglielmina memoria. L’ attuale Repubblica Federale eredita, infatti, i frutti della collocazione
internazionale che la ha contrassegnata dal 1945 in poi, a loro volta notevolmente potenziati nei loro
effetti dalle conseguenze della vittoria che l’ Occidente ha definitivamente riportato al momento
della dissoluzione della Unione Sovietica. Tale condizione costituisce un inedito per quanto
concerne la storia tedesca, e per nulla proponibile appare, a tal proposito, il paragone con il periodo
bismarckiano. L’ altra fase dei rapporti inter/europei che vide protagonista una Germania “forte ma
pacifica”
(come solo potenzialmente “forte” e come “colma di rancore” per le draconiane
condizioni di pace dettatele a Versailles va, invece, definita la tormentata “Weimarer Republik”) si
fondava, infatti, sull’ altissima statura di un Otto Von Bismarck abilissimo nel dividere, facendo uso
della “politica dell’ onesto sensale”, un numeroso contingente di stati, però, in ogni caso nemici e
prontissimi, tra l’ altro, a divenirlo nel modo più aperto possibile, come sarebbe di lì a poco
accaduto, non appena un mutato stato delle relazioni internazionali avesse richiesto un simile
atteggiamento. Oggi, invece, Berlino non ha più nemici. Certo, non che a Parigi, Mosca e Londra
non siano mancate, né manchino, non trascurabili apprensioni per il ritorno della “Potenza del
centro” e non che non ci siano mai stati, né siano definitivamente da escludersi, disaccordi anche
con Washington. A scopo esemplificatorio, proprio la contrarietà statunitense all’ “Alleingang”
tedesco in favore di Lubiana e Zagabria risulta, a tal riguardo, illuminante. Il dato di fondo dell’
assenza di “nemici della Germania” , però, resta tanto non confutabile quanto paradigmaticamente
esplicatesi, tra l’ altro, nell’ accordo sulla definitiva accettazione delle reciproche frontiere stipulato,
il 14-11-91, fra Bonn/Berlino e Varsavia. Un accordo, quello appena menzionato, profondamente
intriso di pregnantissime valenze politiche ed anche, dato, questo, non meno rilevante, di
intensissimi contenuti simbolici. E’, quindi, l’ interesse nazionale, inteso in senso “strutturale”,
“intrinseco” ed “apolitico”, a fungere da primo motore della azione politica svolta dalla Repubblica
Federale durante gli anni novanta nei Balcani ; un’ azione i cui risultati si configurano come
spendibili ad un triplice livello. Il primo, strettamente balcanico, pertiene l’ estensione della sfera di
influenza tedesca verso Sud/Est. Il secondo, di “respiro” non più esclusivamente “peninsulare” ma,
invece, di taglio “pienamente continentale”, concerne il riconoscimento anticipato di Slovenia e
Croazia come primo tassello della (ri/)costruzione dell’ “Europa germanica”. Il terzo, infine, in una
prospettiva globale, punta a dare alla R.F.T. , una volta ristabilito il proprio primato in Europa,
questa volta, però, in maniera “dolce” e con il ruolo di “primus inter pares”, un “giusto ruolo
sovra/continentale”. A giudizio di chi scrive, quanto appena sostenuto non implica in alcun modo l’
implausibilità di altre interpretazioni, anche di segno più esplicitamente politico/ideologico, anche,
55
“Auf deutsche Wesen, soll die Welt genesen” significa, in tedesco, “Il mondo deve guarire
secondo il modo tedesco”.
26
e forse, soprattutto alla luce del differente grado di attrattività che il richiamo dell’ interesse
nazionale esercita su C.S.U./C.D.U. , F.D.P. , netta maggioranza sia della S.P.D. che dei Verdi, da
un lato, e su P.D.S. , “dissidenti rosso/verdi” e “movimentisti vari” , dall’ altro. Ma è, anche, a
causa della chiarissima differenza di grandezza che caratterizza questi due schieramenti, (perlomeno
parzialmente) trasversali ed opposti allo stesso tempo, che la validità degli approcci di cui appena
sopra va subordinata ad una condizione : quella, cioè, della constatazione della centralità di quella
basata sull’ interesse nazionale (e, perciò, catalogabile come di stampo geo/politico, economico e
strategico) all’ interno del possibile ventaglio di opzioni alle quali attingere per interpretare il
comportamento tenuto dalla B.R.D. nei Balcani nel corso dell’ ultimo decennio del ‘900 e
soprattutto, per circoscrivere la propria attenzione al periodo preso in questa sede in esame, durante
la prima fase della disgregazione della “Seconda Jugoslavia”. Certo, si potrà obiettare che la
consistenza “numerica” del supporto nei confronti di una determinata scelta politica non ne
garantisce automaticamente una superiore validità rispetto ad un’ altra meno forte dal punto di vista
dei consensi, specialmente se il supporto in questione viene alla prima garantito, in maniera anche
piuttosto considerevole, dalla “degenerazione politico/ideologica” di grande parte di una sinistra “in
crisi di identità” ed “appiattita sul fronte conservatore”. D’ altro canto però, per quanto “altra” la
sinistra “non moderata” possa pensarsi e percepirsi, e per quanto in modo, conseguentemente,
“altro” possa essa elaborare i propri programmi politici ed adoperarsi per metterli in pratica, la
non/percezione da parte di quest’ ultima, o anche, ed in tal caso si tratterebbe, probabilmente, di una
mancanza ancor più grave, il rifiuto, sempre da parte di essa, dell’ accettazione, dello
straordinariamente mutato peso internazionale della Germania costituisce, almeno a giudizio di chi
scrive, una zavorra politico/cultural/ideologica indubbiamente pesante. E ciò, sia per quanto
concerne le modalità tramite le quali suddetta “sinistra altra” può, di conseguenza, essere percepita
dall’ opinione pubblica nazionale, con evidenti ripercussioni sul suo consenso elettorale, sia, in
primo luogo, per ciò che concerne la solidità delle sue argomentazioni poltico/ideologiche56 . E’
56
A tal proposito, si consideri come, nel quadro di una “democratizzazione” e di un “rafforzamento
dell’ O.N.U.” ed accanto ad un anche maggiore “rafforzamento” della C.S.C.E. , percepita, quest’
ultima, come “alternativa civile alla N.A.T.O.”, il P.D.S. si batta, in prospettiva, per lo
“scioglimento dell’ Alleanza Atlantica”. Ciò però, si badi bene, non in nome di un rilancio e,
soprattutto, almeno secondo chi scrive, di urgentemente necessarie modifiche ed estensioni del
ruolo e delle competenze delle strutture continentali di difesa nel quadro di un’ Europa anche all’
interno del cui settore militare la B.R.D. occupi la posizione che, quasi “intrinsecamente”, le
“spetta”. Il Partito Del Socialismo Democratico, infatti, propugna, sempre in prospettiva, lo
scioglimento sia della U.E.O. che, ma, in questo caso, ancor a più lungo termine, della stessa
Bundeswehr. Come sia, però, possibile, per qualunque stato, ed a maggior ragione per una
“neo/ritornata” potenza anche più che continentale come la Germania (terza economia mondiale
dopo U.S.A. e Giappone, primo esportatore al mondo nonostante il costo del lavoro più alto del
pianeta ma anche polo di considerevole attrazione linguistica e culturale in primo luogo per la metà
centro/orientale/balcanica dell’ Europa ma non solo), coltivare e supportare, costantemente e
27
anche per tale ragione, dunque, che si considera , come già precedentemente ribadito, quella
“strutturale/geopolitica” come la spinta principale fra quelle che hanno motivato l’ azione politica,
diplomatica e militare che la B.R.D. ha svolto nei confronti dei Balcani dal 1991 in poi, in generale,
ed in rapporto alle aspirazioni indipendentiste di Slovenia e Croazia, in particolare.
2-4: “DAL ‘FRANKFURTER ALLGEMEINE ZEITUNG’ ALLO ‘JUNGE WELT’ ”
2-4-1: “I due quotidiani politici ‘maggiori’ ” : il “Frankfurter Allgemeine Zeitung” ed il
“Sueddeutsche Zeitung”.
I due maggiori quotidiani politici della B.R.D. , il “F.A.Z.” ed il “S.Z.” , si sono contraddistinti, l’
uno, per una spiccatissima propensione filo/slovena e filo/croata, l’ altro, invece, per una condotta
decisamente meno “coinvolta”. Ciò, per quanto concerne il secondo, non solo in rapporto al rivale
francofortese ma anche all’ intero arco dei “Wessi/Zeitungen”.
Primo alfiere dell’ interpretazione “geo/politico/huntingtoniana” degli inizi, e non solo, della crisi
jugoslava, il “Corriere della Sera tedesco”, infatti, trattò in termini entusiastici la visita in Germania
del presidente dell’ allora, ancora per poco, Repubblica Jugoslava di Slovenia, Milan Kucan, giunto,
a metà marzo del 1991, nella B.R.D. per chiedere, ed ottenere, sostegno diplomatico, politico e
finanziario57, definì la Jugoslavia unita “una finzione”, e lo fece, con tempismo indubbiamente tutt’
altro che casuale,
un mese prima delle due secessioni unilaterali
58
, commentò più che
positivamente ogni dichiarazione partitica e governativa in favore di Lubiana e Zagabria59 e
coerentemente, la propria presenza e le proprie attività sullo scenario internazionale in assenza di
adeguate capacità militari, resta, almeno secondo chi scrive, un mistero. Lo scopo di quanto appena
sostenuto non è fare uso, per l’ ennesima volta, dell’ abusatissimo “assioma clausewitziano” della
“guerra come proseguimento della politica con altri mezzi”, bensì di apprezzare la coerenza di una
valutazione, tutto sommato, eminentemente empirica, concernente l’ importanza della disponibilità
di adeguate potenzialità militari come UNO degli strumenti della azione di politica estera di un stato
come la “Berliner Republik” che, lo si voglia o meno, è “obbligato” ad un ruolo internazionale di
alto profilo. Apprezzare la coerenza della valutazione di cui sopra risulta, però, impossibile in
presenza della non/percezione, o peggio, del rifiuto della presa d’ atto, del ritrovato “status” di
grande potenza oggi intrinseco alla attuale e riunificata Repubblica Federale Tedesca.
57
A tal riguardo, confronta : “Kucan Kommt in die Bundesrepublik” Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 19-3-91.
58
A tal proposito, confronta : “Geeintes Jugoslawien, eine Fiktion” Frankfurter Allgemeine Zeitung,
25-5-91.
59
A titolo puramente esemplificativo, si confronti : “Bonn dringt auf Sanktionen gegen Serbien”
Frankfurter Allgemeine Zeitung, 6-8-91 , “Bonn stellt sich auf eine rasche Anerkennung
Sloweniens und Kroatiens ein„ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 5-9-91, “Deutschland will
Slowenien und Kroatien anerkennen„ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 6-12-91.
28
sostenne esplicitamente l’ allora Ministro Degli Esteri, Genscher, impegnato in un duro scontro
“politico/epistolare” con l’ allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Perez De Cuellar, il
quale, “profeticamente” ma inutilmente, cercò di mettere in guardia Bonn/Berlino da
“riconoscimenti selettivi, anticipati e non concordati che rischiano di estendere il conflitto anche a
Bosnia/Erzegovina e Macedonia”60. Quanto appena riportato potrebbe indubbiamente bastare per
chiarire “da che parte stesse” il “F.A.Z.”, ma è solo, perlomeno, con altri cinque articoli/interviste di
chiaro taglio “geo/politico/huntingtoniano”, con, almeno, altri due di commento alla fine dell’
“Era/Tudjman” in Croazia e con, almeno, uno scritto in occasione del decimo anniversario del
25/26-6-91 che emerge pienamente, inconfutabilmente e, si spera abbastanza, dettagliatamente la
posizione del quotidiano francofortese. In un doppio colloquio con i vescovi cattolici Kamphaus e
Stimpfle, infatti, il prestigioso foglio tedesco dà voce alle richieste di due esponenti di primo piano
di una rilevantissima istituzione, il primo era, all’ epoca, vescovo di Stoccarda, concernenti non
soltanto uno “scontato Alleingang” politico/diplomatico ma anche una iniziativa unilaterale di
sostegno “anche militare” in favore di Lubiana e Zagabria e diretta, perciò, contro “i
nazional/comunisti serbi, bizantini ed ortodossi”61. Per parte sua poi, una prestigiosa firma come
Johann Georg Reissmueller non ha certo lesinato in fatto di uso di espressioni come
“Serbo/Kommunismus” o “Panzer/Kommunismus” ; non sottraendosi nemmeno alla tentazione,
invero “irresistibile” anche per i media italiani anche durante il conflitto del 1999, di paragonare
Slobodan Milosevic’ ad Adolf Hitler 62. Dalla descrizione della popolazione slovena che egli stesso
fa, inoltre, risulta in maniera inequivocabilmente evidente “l’ obbligo” non solo per il quotidiano
per il quale scrive ma anche per la B.R.D. tutta di schierarsi a difesa delle repubbliche secessioniste.
Come, infatti, non parteggiare per i “Tedeschi della Jugoslavia : diligenti, parsimoniosi, ordinati,
affidabili e, in più, esemplarmente cattolici ?”63 L’ apice dell’ interpretazione “conservatrice” e
“geo/politico/huntingtoniana” che il “F.A.Z.” ha fatto propria rispetto all’ inizio, e non solo, della
crisi nella ex/Jugoslavia viene, però, raggiunto, per lo meno secondo chi scrive, dall’ intervista che
sempre lo stesso Reissmueller realizzò con Otto d’ Asburgo il 23-3-91. Secondo l’ ex/principe
ereditario d’ Austria ed all’ epoca, di certo non casualmente, deputato europeo della C.S.U. , infatti,
“i ‘piccoli popoli’ d’Europa sono assolutamente in grado di sopravvivere, una volta raggiunta l’
60
A tal riguardo, confronta : “Genscher widerspricht Perez De Cuellar” Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 16-12-91.
61
A tal proposito, confronta : “Anerkennung waere der erste Schritt” Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 5-11-91 , “Bischof fordert militaerische Hilfe fuer Kroatien„ Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 12-12-91.
62
A tal riguardo, si veda : J.G. Reissmueller : “Herrenvolk/Verblendung” Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 26-2-94.
63
A tal proposito, confronta : J.G. Reissmueller : “Manchmal werden sie die Deutschen
Jugoslawiens genannt” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 16-4-94.
29
indipendenza, a patto, però, che vengano integrati in essa”64. Il disegno di una “Ost/Mittel/Europa”
delle “piccole patrie” , ma anche delle “patrie”, “piccole e grandi”, “diminuite” dalle avversità
economiche, sociali e politiche della transizione al capitalismo ed alla democrazia
occidentale/borghese, ruotanti attorno al “colosso tedesco” riunificato non avrebbe potuto essere
stato esternato in maniera tanto “soft” quanto diretta ed esplicita. Chi scrive è, senz’ ombra di
dubbio, alieno da qualsivoglia forma di “germanofobia”65. Ma anche l’ osservatore più libero da
pregiudizi e preconcetti non può confondere un chiaro progetto geo/politico, economico e culturale,
condivisibile o meno ma certamente presente, con una serie di coincidenze. L’ Europa con la quale
si intende far integrare la metà orientale del Continente è un’ Europa che, a partire dal 3-10-1990, si
configura come a guida tedesca ed è, ovviamente, più semplice e decisamente più consigliabile, per
Bonn/Berlino, dirigere l’ ingresso in essa della sola Repubblica Ceca e non di tutta le
ex/Cecoslovacchia, di Slovenia e Croazia e non di tutta la ex/Jugoslavia, di Estonia, Lettonia e
Lituania e non di tutta l’ area ex/sovietica66 oppure instaurare un proficuo ma soprattutto, e molto
più prosaicamente, conveniente rapporto di collaborazione con una Mosca tornata alle frontiere
precedenti l’ avvento di Pietro Il Grande che con un’ U.R.S.S. magari “globalmente sconfitta”, e
pure priva del cosiddetto “Impero Esterno”, ma ancora unita ed eventualmente governata da una
“versione locale” di Deng-Xiao-Ping67 anch’ essa fautrice di un programma modernizzante,
nazionalista ed accentratore. Non deve perciò stupire, è bene ricordarlo nuovamente, la “benevola
attenzione”, tanto per esprimersi eufemisticamente, con la quale la R.F.T. ha guardato, e tuttora
guarda, a quanto è accaduto oltre la ex/“cortina di ferro” dal 1989 in avanti. Chiarissime, del resto,
non mancheranno di apparirne le molteplici ed in questa sede già enucleate motivazioni, nonostante
che, al fine di portare a termine una simile operazione, si sia fatto uso di un ovvio occhio di
riguardo nei confronti della penisola balcanica. Di esse le summenzionate dichiarazioni dell’ erede
di casa Asburgo costituiscono una ulteriore, “raffinata” ed autorevole controprova. Per quanto
concerne la fine dell’ “Era/Tudjman” poi, il “F.A.Z.”, rispetto, appunto, ai mutamenti intervenuti a
Zagabria in seguito alla morte del “Presidente dell’ Indipendenza” ed alla sconfitta elettorale del suo
partito H.D.Z. (Comunità Democratica Croata) alle elezioni politiche e presidenziali dell’ inverno
64
A tal riguardo si confronti : J.G. Reissmueller : “ Die kleinen Voelker Europas sind lebensfaehig
wie eh und je” Intervista a O. Von Habsburg Frankfurter Allgemeine Zeitung, 23-3-91.
65
Si spera che il lettore lo abbia, ormai, già capito ma, in caso contrario, non mancano, all’interno
del presente testo, altre occasioni per giungere alla conclusione di cui sopra.
66
In tal caso, si potrebbe addirittura parlare di una “Casa Comune Europea” di “gorbacioviana”
memoria ma rivista in chiave teutonica. Uno scenario invero, almeno allo stato attuale delle cose,
estremamente improbabile.
67
Forse Jurij Andropov, se non fosse prematuramente scomparso?.
30
1999/2000, ha parlato di un “mutamento epocale”68 e non ha nemmeno nascosto come la piega
autoritaria assunta dallo stile governativo del “Padre Della Patria Croata” abbia costituito “un
importante impedimento sulla strada dell’ Europa”69 . Allo stesso tempo però, sempre da parte del
“Corriere Della Sera tedesco”, è stato anche abbondantemente sottolineato come il “il più grande
merito di Tudjman”, e cioè l’ indipendenza del suo paese, non possa essere in alcun modo
sminuito70. Passando, infine, alla valutazione del decennale delle dichiarazioni unilaterali di
indipendenza di Lubiana e Zagabria71, il prestigioso foglio francofortese ammette l’ esistenza di
“luci ed ombre”, relative anche ai rispettivi percorsi storici, politici, economici e socio/culturali che
Slovenia e Croazia hanno intrapreso nel corso degli ultimi dieci anni, ma senza mai dimenticare che
l’ “aggressore”, e quindi il responsabile di tutte le tragedie della ex/Jugoslavia, è sempre stato il
governo di Belgrado72 .
Posizioni indubbiamente meno nette sono state, invece, scelte dall’ “eterno rivale” del “F.A.Z.”,
ovvero il “S.Z.” . Configuratosi come il “meno anti/serbo” fra i “Wessi/Zeitungen”, avessero questi
ultimi interpretato la deflagrazione balcanica in senso sia “conservatore, geo/politico ed
huntingtoniano” che in chiave “umanitaria/progressista/universalistica”, il quotidiano bavarese ha
sempre fatto propria una linea sicuramente definibile come “moderata” sostenendo, fin dall’ inizio
della “Guerra dei Dieci Anni”, accanto a quella delle “responsabilità serbo/federali”, l’ esistenza
anche di “falsi miti” e di “bugie” relative alla percezione che in Germania, tanto le elites
politico/economico/culturali quanto la gran parte dell’ opinione pubblica, hanno tradizionalmente
avuto, e tuttora conservano, dei serbi come loro acerrimi nemici73 .
Si può dunque parlare,
ammesso che esserlo costituisca necessariamente una virtù, di un “S.Z.” “neutrale ed equidistante ?”
68
A tal proposito, confronta : M. Rueb : “Epochenwechsel in Kroatien” Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 5-1-00.
69
A tal riguardo, confronta : M. Rueb : “Tudjmans groestes Verdienst ist die Unabhaengigkeit
Kroatiens” , Frankfurter Allgemeine Zeitung, 12-12-1999.
70
In proposito, confronta : M. Rueb : “Tudjmans groestes…” op. cit. .
71
Ricorrenza, quest’ultima, che ha visto i cinque quotidiani politici in questa sede considerati
“minori” ribadire le proprie posizioni. Il “D.W.” ha, quindi, espresso un giudizio esplicitamente
positivo, approvando “geo/politicamente e huntingtonianamente” quanto allora avvenuto, in ciò
confermato dalla simile valutazione, discendente, però quest’ultima, da una interpretazione
“universalistico/progressista/umanitaria”, fatta propria tanto dal Frankfurter Rundschau quanto dal
TagesZeitung . “N.D.” e “J.W.” , invece, anch’ essi coerentemente in linea con le rispettive opinioni
editoriali, hanno confermato, il secondo in maniera particolarmente accentuata, la propria condanna
delle dichiarazioni unilaterali di indipendenza effettuate da Lubiana e Zagabria alla fine di giugno
del 1991.
72
A tal proposito, confronta : R. Olt : “Eine helle und eine dunkle Seite” Frankfurter Allgemeine
Zeitung, 25-6-2001.
73
A tal riguardo, confronta : M. Beham : “Mythen und Luegen. Zum historischen
‘Serbien/Feindbild’ ” Sueddeutsche Zeitung, 2-3-94.
31
Chi scrive ritiene di no. Infatti, il rifiuto da esso operato nei confronti dell’ evidentissimo
“filo/secessionismo sloveno/croato”, pienamente sostenuto, invece, tanto in senso “huntingtoniano”
dai quotidiani politici conservatori quanto in chiave “progressista/umanitaria” da quelli della
sinistra occidentale74 , non implica affatto, da parte del foglio di Monaco di Baviera, né alcuna
“concessione” di sorta rivolta verso Belgrado, né qualsivoglia esitazione riguardo la “designazione”
del “principale colpevole”. L’ analisi ed il giudizio complessivo formulati a proposito dell’
“Era/Tudjman” in Croazia sono rispettivamente la più dettagliata ed il più pesantemente negativo
all’ interno di quanto apparso sulle pagine della stampa quotidiana politica tedesco/occidentale e
giungono ad ulteriore conferma della posizione “anormale” occupata dal “S.Z.” , almeno in ambito
“Wessi”. Jens Reuter, in un lungo articolo, tratteggia, infatti, gli anni novanta a Zagabria a tinte
quanto mai fosche75 . Secondo l’ autore, Franjo Tudjman sviluppò uno stile di governo autoritario,
non tollerò opposizione alcuna (“Io decido tutto da solo”, pare fosse il suo motto), non mostrò
qualsivoglia
rispetto
per
la
Costituzione
e
ridusse
il
Parlamento
a
puro
organo
“ratificatorio/acclamatorio”. Almeno fino al 1995, i partiti di opposizione, fra i quali, come più
importanti, si segnalano quello liberale e quello social/democratico, furono privati di qualunque
margine di manovra poiché ogni eventuale rilievo che divergesse dalla linea ufficiale era equiparato
al “tradimento della Patria”. Nei rapporti con l’ estero, poi, egli propugnò un concetto della
sovranità nazionale che l’ autore definisce “completamente anacronistico” ponendo, infatti, ostacoli
alla collaborazione delle autorità del proprio paese con il Consiglio d’ Europa, con la O.S.C.E. ed il
Tribunale Internazionale de L’ Aja, “fomentando contrasti” con i vicini sloveni, ungheresi ed
italiani,
“immischiandosi
continuamente”
nelle
vicende
interne
della
Repubblica
di
Bosnia/Erzegovina usando a tal scopo, come “testa di ponte”, la componente etnicamente croata
della Federazione Croato/Musulmana. Lasciò, inoltre, cadere nel vuoto l’ applicazione del
“Programma Di Rientro” , preparato nel giugno del 1998 per i cittadini appartenenti alla minoranza
serba cacciati dalla Croazia nel 1995, e guidò una trasformazione “parziale e criminale” degli assetti
economici del proprio paese, esplicatasi in un altissimo e dilagante tasso di corruzione, causando
così, fra l’ altro, una non indifferente fuga di cervelli, invece quanto mai desiderabili. Il confronto
con la Slovenia è, sempre secondo Reuter, sconsolante. Certo, Lubiana ha avuto la indubbia fortuna
di dover combattere tutt’ al più una “guerricciola”, e non un vero e proprio conflitto aperto avente
come posta le zone etnicamente serbe del proprio territorio come quello, invece, sostenuto da
Zagabria contro l’ esercito “serbo/federale”, ma è altrettanto indiscutibile come, a differenza di una
Slovenia ormai pronta per l’ ingresso in Europa almeno a partire dal 2005, la Croazia, invece, sia
74
Dalla cui “forma mentis” politica e dal cui “modus operandi” editoriale non è, però, lecito
espellere tutt’ altro che assenti considerazioni di stampo geo/politico.
75
A tal riguardo, confronta : J. Reuter : “Auf der Suche nach der verlorenen Zeit” Sueddeutsche
Zeitung, 17-10-2000.
32
ora costretta ad una “lunga e forsennata rincorsa”, tesa al recupero del “tempo sprecato” durante il
decennio “tudjmaniano”. Una rincorsa che, però, cominciata tra il dicembre del 1999 ed gli inizi
del 2000 con le vittorie elettorali delle opposizioni, non terminerà, sempre stando a quanto
sostenuto da Reuter, prima di dieci o dodici anni. Proseguendo la lettura del presente lavoro, non si
potrà non notare una impressionante quanto sorprendente somiglianza fra i toni “anti/tudjmaniani”
del “S.Z.” e quelli, del medesimo taglio, esternati dallo “J.W.” . Si tratta però, si badi bene, soltanto
di un casuale quanto fugace momento di incontro. Infatti, la contrarietà del quotidiano bavarese
rispetto all’ operato del defunto ex/presidente croato, a differenza delle opinioni espresse in merito
dall’ ex/foglio della F.D.J. della D.D.R. , non riguarda “il cosa” ma “il come”. Il confronto dal quale
Zagabria esce perdente non è, secondo lo “S.Z.”, quello con la Jugoslavia del periodo titino e
post/titino ma quello con la Lubiana indipendentista, prima, ed indipendente, poi, il cui “grande
merito” è quello di “aver fatto ciò che andava fatto nel modo in cui c’ era bisogno che fosse fatto” a
differenza, invece, di una Croazia “troppo restia” ad un cambiamento, però, strettamente necessario
onde rendersi idonei a “salire sull’ unico, ed ultimo, treno possibile” : quello, cioè, diretto verso
Bruxelles. Una valutazione bilanciata dei pregi e dei difetti del “socialismo titino”, come anche dei
“pro” e dei “contro” della sopravvivenza della Jugoslavia, sia come “progetto ideale” che come
struttura statale/istituzionale, con quest’ ultima caratterizzata da un assetto federale o condeferale,
più o meno “eterodossamente” socialista o capitalistico/borghese, non trova spazio, in ambito
tedesco/occidentale, neanche presso l’ unico quotidiano capace di tenere una linea certamente
differente da quella portata, invece, avanti dai suoi “omologhi geografico/politici”, a prescindere
dalla “parzialmente falsa” dicotomia fra accenti “huntingtoniani” ed “umanitario/universalistici”.
Franjo Tudjman rappresentava, dunque, agli occhi del “S.Z.” un leader politico talmente
impresentabile da dover venire necessariamente sussunto all’ interno della medesima categoria
“autocratico/dittatoriale” alla quale non può non appartenere anche colui che, in ogni caso, rimane il
“cattivo par excellence” e cioè Slobodan Milosevic’ ? Indubbiamente, la risposta a tale quesito è e
può essere, secondo Peter Muench, soltanto positiva76 . E’ però Peter Sartorius, al di là anche della
ulteriore occasione per una ennesima comparazione negativa fra i due uomini politici offerta dalla
obiettiva connivenza fra il defunto ex/capo dello stato croato e l’ attualmente sotto processo a L’
Aja ex/presidente serbo, prima, e federale, poi, concernente una spartizione anti/musulmana della
Bosnia/Erzegovina, a fare il punto, a dieci anni dal suo inizio, sull’ origine della ancora non
conclusasi crisi ex/jugoslava. E tale “tirare le somme” è tutt’ altro che favorevole a Belgrado77 . Ciò
che dell’ articolo in questione, in particolare, ma anche della più complessiva posizione del “S.Z.”,
76
A tal riguardo, confronta : P. Muench : “Das Balkan/Trauma” Sueddeutsche Zeitung, 23-6-2001.
A tal proposito, confronta : P. Sartorius : “Plan A, Plan B und das Verhaengnis” Sueddeutsche
Zeitung, 25-6-2001.
77
33
in generale, ha maggiormente colpito l’ attenzione di chi scrive è la scarsa rilevanza assegnata da
parte del quotidiano bavarese, in relazione alla dissoluzione della Jugoslavia post/Tito, sia all’
azione degli “agenti esterni”, in generale78 , che a quella esercitata dalla Germania, in particolare.
Posto, infatti, che anche nell’ analizzare le linee di condotta osservate dagli altri sei quotidiani in
questa sede prescelti chi scrive non ha precipuamente concentrato la propria attenzione su come
questi abbiano valutato il ruolo dei primi, risulta, però, comunque sorprendente il “silenzio” del
“S.Z.” relativo a quello assunto da Bonn/Berlino durante tale delicatissimo frangente della politica
internazionale. Il 25-6-1991 segna, infatti, il definitivo inizio della definitiva fine della Jugoslavia
post/Tito. Una fine, però, sembra di capire, da ascriversi, secondo il foglio bavarese, a cause del
tutto interne. Circa settantacinque anni prima, infatti, le potenze vincitrici della Prima Guerra
Mondiale, “con lo scopo di dare finalmente pace ai Balcani” , avrebbero creato un’ artificiale
Jugoslavia della cui stabilità interna i “privilegiati” Serbi, nei quali chiunque conosca, anche
sommariamente, le vicende storico/politiche dei Balcani non può non riconoscere i principali
“perturbatori” degli interessi tedeschi in quella zona d’ Europa per lo meno a partire dall’ ultimo
quarto del diciannovesimo secolo in poi, avrebbero fatto da garanti e che, dopo la morte di Tito,
unica vera ragione, secondo Sartorius, della esistenza di tale stato, avrebbero cercato in tutti i modi
di conservare unita, pena la perdita della propria “tradizionale posizione di primato” rispetto agli
altri popoli inclusi con loro nei medesimi confini divenuti, nel frattempo, questi ultimi, federali. Al
fine di evitare un evento così grandemente esiziale per il proprio potere, la dirigenza serba, secondo
l’ autore, avrebbe perciò elaborato un “Piano A” ed un “Piano B”, con il secondo da applicarsi in
caso di fallimento del primo. Quest’ ultimo, il “Piano A” per l’ appunto, avrebbe dovuto assumere i
connotati di un rapido ed efficace “putsch” contro i vertici politici sloveni; da mettere in pratica
come immediata risposta del centro alle dichiarazioni unilaterali di indipendenza effettuate da parte
delle più settentrionali capitali della ormai definitivamente morente Federazione. Sarebbe stato
applicato, invece, il “Piano B” in quanto quello “A”, sempre secondo Sartorius, sarebbe stato
frustrato nei suoi risultati dalla inaspettatamente determinata resistenza offerta dalla Milizia
Territoriale di Lubiana. Posta l’ esistenza, in casa serbo/federale, anche di obiettivi
“geograficamente diversi” rispetto alla “riconquista” della Slovenia, è del tutto da escludersi l’
esistenza di una componente di “ingenuità” , per quanto eventualmente minoritaria, relativa ad una
riluttanza dell’ Armata Popolare Jugoslava a scagliarsi contro un “popolo fratello” ? E tale “ingenua
78
“Attrazione magnetica” esercitata dal contemporaneo salto di qualità che l’ integrazione europea
occidentale allora compiva, dalla mobilitazione pro/jugoslava solo verbale da parte di Londra e
Parigi mentre gli attori politico/istituzionali italiani si mostravano divisi al loro interno, dall’
atteggiamento “attendista e defilato” degli U.S.A. , dal ruolo delle principali istituzioni
economico/finanziarie mondiali, dalla crisi e dalla fine non solo del cosiddetto “blocco socialista”
ma anche della stessa Unione Sovietica.
34
riluttanza” non avrebbe, perciò, aiutato la Slovenia a secedere in un’ atmosfera di anche notevole
incredulità visto che non pochi cittadini jugoslavi, nonostante la situazione drammatica che il loro
paese stava attraversando sia dal punto di vista politico che socio/economico, erano ben poco
propensi a credere alla fine, e soprattutto ad una TALE fine, della federazione creata da Tito ? Al di
là di quesiti che, spero, al lettore appariranno per lo meno sensati, l’ applicato “Piano B” è stato
caratterizzato da un respiro più profondo rispetto a quello solo militare del fallito “Piano A”. Il
“Piano B”, infatti, avrebbe mirato, secondo Sartorius, alla trasposizione pratica dell’ idea della
“Grande Serbia” la quale, raggiungendo con i propri confini tutte le terre abitate da Serbi, dentro e
fuori la madrepatria, avrebbe funto da “adeguato sostituto” in caso di impossibilità, da parte delle
autorità centrali, ad assicurare la ulteriore sopravvivenza della Jugoslavia. Stando a quanto scritto
da Sartorius, è con la messa in pratica di tale “Piano B” che Belgrado “getta la maschera” e,
“alleata” con un’ Armata Popolare non più Jugoslava ma Serbo/Montenegrina, e quindi sempre più
schierata al fianco delle milizie irregolari “serbo/locali”, mostra il proprio “vero volto” : quello,
ancora una volta, dell’ “aggressore”. Soffermarsi sull’ articolo appena preso in esame, in
particolare, e sulla linea del “S.Z.”, in generale, ha spinto chi scrive a porsi non poche domande. E’
plausibile prospettare l’ esistenza della Jugoslavia come fatto puramente artificiale senza, per di più,
nemmeno distinguere fra Jugoslavia monarchica e socialista ? E perché non citare, fra le ragioni
della nascita dell’ “artificiale Regno S.H.S.”/“Prima Jugoslavia”, anche un chiaro movente di
“contenimento anti/germanico” ? Per non dover trovarsi, successivamente, costretti ad ammettere
che le deflagrazioni balcaniche degli anni novanta del ventesimo secolo costituiscono anche, un
dato di fatto, quest’ ultimo, difficilmente contestabile, una “vittoria tedesca”? E come mai la
“Serbia privilegiata”, prima dell’ ascesa di Slobodan Milosevic’ , ha espresso un solo dirigente della
Lega Dei Comunisti realmente importante a livello federale, e cioè Alexander Rankovic’79 , a meno
di non voler considerare anche la, tutto sommato, breve e, contemporaneamente, “problematica”
parabola del comunque montenegrino Milovan Djilas ? E riguardo all’ “eterno tema” di una
burocrazia e di un Esercito Federale “dominati da Serbia e Montenegro” : è proprio da escludersi la
presenza, in quei settori della società jugoslava, di corposi contingenti di cittadini appartenenti
anche ad altre etnie, specie in ambito repubblicano non serbo ? E, provocatoriamente, chi avrebbe il
coraggio di sostenere che l’ Italia del Centro/Nord è “occupata” , termine quest’ ultimo, invece,
quanto mai abusato, presso i circoli ed i movimenti politici nazionalisti anti/serbi ed all’ interno di
ricostruzioni storico/giornalistiche di taglio filo/sloveno e filo/croato, in rapporto a quanto accadeva
79
Fino al 1966, questi fu il capo della polizia segreta. Venne, in quell’ anno, deposto proprio da
Tito quando si scoprì che, in ossequio alla sua visione accentuatamente “belgradocentrica” degli
equilibri federali, i suoi agenti erano giunti a spiare, addirittura, lo stesso Maresciallo in quanto non
“sufficientemente centralista”. Eliminato dalla vita politica, senza però subire alcun processo,
Rankovic’ morì nel 1983 ed i suoi funerali vennero celebrai in chiave serbo/nazionalista.
35
sull’ altra sponda dell’ Adriatico, da “un’ orda di militari e burocrati meridionali” solo perché in
quegli ambiti occupazionali è da riscontrarsi una forte componente di cittadini originari del Sud del
nostro paese ? Non è tuttociò, invece, sia in Italia che nella ex/Federazione titina e “post/titina”, un
prodotto di differenze economico/sociali interregionali le quali fanno sì che chi proviene da aree
meno sviluppate scelga con più facilità la varie forme dell’ impiego statale ? Se al
CROATO/SLOVENO Tito ( il “vice” del Maresciallo, Edvard Kardelj, era, “addirittura”,
“completamente” sloveno) , è bene non dimenticarne le origini etniche, si fosse dovuto, inoltre,
ascrivere la ragione prima, e quasi esclusiva, dell’ esistenza di questa Jugoslavia “socialista e
serbocentrica” , perché fu proprio l’ Accademia SERBA delle Scienze e delle Arti, nel 1986, a
criticarne, tanto esplicitamente, l’ eredità politica, economica, sociale e culturale accusandolo : di
aver favorito una politica economica e degli investimenti eccessivamente rivolta verso le esigenze
della Slovenia e della Croazia, di aver trasformato la Serbia, con la Costituzione del 1974, nell’
unica componente repubblicana “dotata” al suo interno di due regioni fortemente autonome e
caratterizzate dalla presenza rilevante, e particolarmente forte nel Kosovo/Metohija, di un elemento
etnicamente allogeno e, sempre nel contesto di una costruzione federale iper/multietinca e, quindi,
“ontologicamente” costretta a confrontarsi con complicatissimi problemi di questo tipo80 , di aver
permesso, avendo egli contribuito, in prima persona e da una posizione di assoluto vertice, a
tracciare i confini inter/jugoslavi, che la Serbia fosse l’ unica componente repubblicana a vedere
tanti cittadini jugoslavi “etnicamente suoi” vivere al di fuori dei suoi confini ? E ciò anche senza
considerare, peraltro, il riconoscimento dell’ autocefalia della chiesa ortodossa macedone.
Provvedimento preso durante gli anni sessanta, tale decisione politica costituì un importante tassello
volto a rafforzare il vigore di una identità nazionale sicuramente storicamente ed ancora attualmente
fragile ma che proprio Josip Broz volle, scontentando non pochi in Serbia, separata da quella
belgradese. Il “S.Z.” non è, ovviamente, il solo quotidiano, fra i sette in questa sede prescelti, ad
essersi reso fautore di una linea non certo esente da anche non pochi rilievi, non difficilmente
effettuabili da parte di un almeno non sprovveduto osservatore degli avvenimenti jugoslavi e
“post/jugoslavi”. E’, però, la “indeterminatezza” che ne contraddistingue l’ analisi effettuata in
relazione anche e , ed in questa sede, visto lo scopo del presente lavoro, soprattutto alla fase iniziale
della “Guerra dei Dieci Anni” ad aver spinto, per lo meno chi scrive, a porre ed a porsi tali, ed altri,
quesiti in misura maggiormente pronunciata. Il “filo/secessionismo sloveno/croato” ed il
conseguente giudizio favorevole ad una Germania “interventista” espressi, geo/politicamente, da
“F.A.Z.” e da “D.W.” e , “umanitariamente”, da Frankfurter Rundschau e “TAZ.”, da un lato, come
anche l’ “anti/secessionismo croato/sloveno” e la contrarietà radicale al ruolo da Bonn/Berlino
svolto prima di tutto, ma non soltanto, durante l’ autunno/inverno 1991/1992, fatti invece propri da
80
In aggiunta, tuttociò, ai “normali travagli” che costellano l’ esistenza di ogni compagine statale.
36
“N.D.” e “J.W.” , dall’ altro, presentano, infatti, tutti i crismi di conclusioni tratte dall’ utilizzo di
chiarissimi schemi interpretativi. Schemi interpretativi, poi, tutt’ altro che esenti da vizi sia formali
che sostanziali ; a loro volta, questi ultimi, per quanto concerne la stampa tedesco/occidentale,
grosso modo riconducibili, secondo chi scrive, a quelli già evidenziati a proposito della “S.Z.”, ma
con l’ aggiunta di una tutt’ altro che trascurabile “aggravante” , in rapporto al quanto mai
desiderabile fine di poter disporre di una informazione la più “pacata” ed “imparziale” possibile, a
sua
volta
dovuta
ad
un
pronunciato
“spirito
da
crociata”,
sia
“geo/politica”
che
“umanitario/progressista”, mentre, per quel che riguarda quella tedesco/orientale, indubitabilmente
rintracciabili, prima di tutto, in un evidente tono da “contro/crociata”. Quale giudizio, nell’ ambito
di un panorama così “deciso”, è , invece, possibile formulare a proposito dell’ orientamento del
“S.Z.” ? La moderazione equivale, di per sé, ad una non/scelta ? Tutt’ altro che necessariamente, è
ovvio. D’ altro canto però, in presenza di una linea “autonoma e differente” soltanto abbozzata, essa
può effettivamente apparire come tale. La “diversità”, per lo meno “tedesco/occidentale”, ad esso
derivata dall’ aver adottato una collocazione scevra da qualsivoglia “crociata”, sia “geo/politica”
che “umanitaria”, risulta, infatti, non pienamente completa. E ciò non perché ad una relativa
“moderazione” filo/slovena e filo/croata abbiano fatto, e facciano, seguito “compensatorie” dosi di
“estremismo” su altri importantissimi aspetti della delicatissima questione balcanica81 ma perché a
siffatta “moderazione” si è affiancata, e si affianca, come già precedentemente posto in evidenza,
una evidente sordina posta su una più ampia analisi delle cause della fine della Jugoslavia, in
generale, e sul ruolo svolto, principalmente nel corso del periodo compreso tra la fine del 1991 e l’
inizio del 1992, dalla B.R.D. , in particolare. Il tutto sembra, perciò, sfociare in una interpretazione
della deflagrazione balcanica che, oltre che come non completa, si configura anche come
“quasi/fatalista”. La Jugoslavia, infatti, stando anche a quanto in precedenza fatto notare, avrebbe
cessato la propria esistenza in quanto “inevitabilmente destinatavi” dalla sua stessa “essenza
artificiale”. Posta l’ evidente insufficienza di una simile chiave di lettura, emerge, quasi
imperiosamente, verrebbe da scrivere, la mancanza di un’ approfondita valutazione a proposito dell’
invece inconfutabilmente esistente ed indubbiamente notevole ruolo tedesco. Un simile giudizio,
invece, viene ritenuto, da parte di chi scrive, di importanza praticamente imprescindibile. Esso,
infatti, non solo avrebbe non poco contribuito a delineare tempi e modi della fine della Jugoslavia
come visti da un “S.Z.” maggiormente “analitico” ma, in primo luogo, avrebbe reso obiettivamente
più semplice lumeggiare in modo maggiormente circostanziato, la posizione del foglio bavarese nei
confronti, per lo meno, della proiezione internazionale della “Berliner Republik”; questa “nuova e
81
Sobodan Milosevic’ , infatti, tanto per limitarsi ad un solo esempio, non è certo, secondo il foglio
bavarese, maggiormente esecrando di quanto non lo sia secondo gli altri quotidiani, per lo meno
quelli tedesco/occidentali, in questa sede fatti oggetto di specifica analisi.
37
libera B.R.D.” ormai “inevitabilmente” e definitivamente assestatasi su posizioni di preminenza nei
Balcani, in tutta la metà orientale del nostro Continente, nell’ ambito della U.E. ed anche oltre i
confini di quest’ ultima. La Germania, rispetto al terribile decennio balcanico appena trascorso, in
generale, e rispetto al distacco di Lubiana e Zagabria da Belgrado, in particolare, si è mossa “bene”
o “male” ? La Germania indubitabilmente e prepotentemente tornata “potenza” sulla scena
internazionale è un “bene” o un “male” ? Non impressioni la apparentemente sconcertante
semplicità con la quale sono stati formulati i quesiti di cui sopra. Porre, infatti, la sordina su di essi,
adottando una linea “fatalistico/riduttiva” come quella testè delineata, significa, a parere per lo
meno di chi scrive, collocarsi, come minimo, a ridosso di una “non/posizione”, di una “scelta di
non/scelta” in parte, è possibile, ispirata al “S.Z.” anche dal suo caratterizzarsi come “isola
laico/riformista” all’ interno di un “oceano bavarese” estremamente cattolico ed esplicitamente
conservatore tutto o quasi proteso, a parole e nei fatti, sempre per restare nell’ ambito dell’
intervallo temporale prescelto per il presente lavoro, a favore dell’ incontestabilmente interessato
avverarsi delle aspirazioni indipendentiste slovene e croate.
2-4-2: “I cinque quotidiani politici ‘minori’ ” : il “Die Welt”, il “Frankfurter Rundschau”, il
“Tageszeitung”, il “Neues Deutschland” e lo “Junge Welt”
Tra i quotidiani in questa sede definiti “minori”, quello che, più risolutamente si è schierato a favore
dell’ indipendenza di Slovenia e Croazia è il “Die Welt”.
Per il foglio “neo/berlinese”, non ci sono dubbi : è Slobodan Milosevic’ colui il quale
“effettivamente” lancia, il 27-6-1991, l’ attacco alla Slovenia, e non, come invece realmente
accaduto, il premier Ante Markovic’. Lo scopo dell’ offensiva è preservare, a qualunque costo, l’
esistenza della Jugoslavia in quanto strumento primario, secondo Herbert Kremp, di attuazione e
consolidamento del dominio serbo sugli altri popoli della regione82. D’ altronde, sarebbe stato
impossibile che l’ aggressività “gran/serba” non fosse sfociata nell’ uso della forza militare.
Secondo Carl G. Stroehm, infatti, le tesi del politologo statunitense Samuel P. Huntington sul
“Clash Of Civilizations” come chiave interpretativa dei conflitti post/”Guerra Fredda” sarebbe, in
tutta l’Europa centro/orientale, pienamente confermata e, per suffragare un simile dato di fatto,
basterebbe solo confrontare le transizioni relativamente tranquille dei paesi ex/socialisti di matrice
82
A tal proposito, confronta : H. Kremp : “Balkan : die Wiege des Krieges” Die Welt, 6-4-1999.
38
cattolico/protestante, e quindi occidentale (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria83), con quelle, ben
più travagliate, parziali ed “autoritarie”, in corso in quelli di matrice ortodossa (Bulgaria e Romania
su tutte), e quindi orientale. Che, poi, tale contrasto emerga con massima intensità nella
ex/Jugoslavia giungerebbe come ulteriore attestato di validità di quanto appena sostenuto. L’ unica
peculiarità degli avvenimenti dell’ ex/Federazione titina, infatti, consisterebbe nella virulenza e non
nella sostanza dello scontro ; virulenza moltiplicata, nei suoi perniciosi effetti, dal passaggio della
linea di frontiera e di frattura fra orienta ed occidente proprio all’ interno dello sventurato paese84.
Se, dunque, si tratterebbe dell’ attacco contro “due piccoli paesi occidentali” portato dal “mondo
bizantino e nazional/comunista”, risulterebbe tutt’ altro che sorprendente che una Germania ormai
pienamente ed irreversibilmente occidentale abbia garantito e continui a garantire loro il proprio
sostegno ; anche a costo di ignorare le critiche provenienti da partners ed alleati, europei e non85. Da
ciò discende conseguentemente, secondo il “Die Welt”, anche l’ assoluta esigenza, per la B.R.D. , di
“non fossilizzarsi su non necessari richiami al rispetto dei diritti umani che non fanno altro che
ostacolare e disturbare la politica tedesca”, nei Balcani in generale e, specialmente, “in Croazia”86, e
che rischiano di impedire un pieno apprezzamento, da parte della stessa R.F.T. , dell’ importanza
geo/politico/economica della propria presenza nella regione. Stando ad Hannes Burger, infatti, è
soprattutto la Slovenia indipendente a rappresentare “la porta della Baviera verso il Sud/Est
europeo”87. Certo, non che il decennio presidenziale di Franjo Tudjman sia stato esente da ombre ;
resterebbe, però, in ogni caso inattaccabile l’ importanza del suo ruolo storico : quello, cioè, di aver
dato alla Croazia l’ indipendenza e la libertà88. E’ , dunque, più che positiva la valutazione che il
“D.W.” fa della politica filo/Lubiana e filo/Zagabria perseguita dal governo Kohl/Genscher,
almeno, fin dagli inizi del 1991. Una politica talmente “appropriata”, secondo il quotidiano
“neo/berlinese”, che non solo è stata proseguita dal governo Kohl/Kinkel e dalla coalizione
“rosso/verde” di Schroeder e Fischer, ma che ha anche goduto di un evidente suggello
internazionale con la guerra del 1999 fra “Terza Jugoslavia” ed Alleanza Atlantica. Le bombe sulla
Federazione fra Serbia e Montenegro, infatti, non solo costituirebbero una “tardiva ammenda” per
83
Chi scrive, però, non può far a meno di notare come, ogni qual volta vengano magnificati con
tanti elogi i mutamenti intervenuti a Varsavia, Praga e Budapest, raramente venga citato il ben
diverso stato delle cose vigente a Bratislava. Paese dotato di salde ed indiscutibili radici cattoliche,
la Slovacchia, tormentata da notevoli instabilità sia economiche che politiche, rappresenta,
evidentemente, una non indifferente “stecca” all’ interno del coro delle “rosee transizioni” in atto
attorno ad essa.
84
A tal riguardo, confronta : C. G. Stroehm : “Kampf der Balkan-Kulturen” Die Welt, 27-1-97.
85
A tal proposito, confronta : T. L. Friedman : “Bonn soll Frieden schaffen” Die Welt, 19-10-95.
86
A tal proposito, confronta : C. G. Stroehm : “Wende in Paris” Die Welt, 29-9-95.
87
A tal riguardo, confronta : H. Burger : “Aussenpolitik der besonderen Art” Die Welt , 3-1-96.
88
A tal proposito, confronta : D. Melcic’ : “Franjo Tudjman : der Praesident, der Kroatien schuf ”
Die Welt, 15-11-99 e B. Kalnoky : “ Der Mann, der Kroatien schuf „ Die Welt, 13-12-99.
39
sloveni, croati e bosniaci non/serbi, “aggrediti” a partire dal biennio 1991/1992, ma fungerebbero,
anche, da sonora e definitiva smentita della linea politica a lungo seguita nei Balcani dagli U.S.A.
(dalla Francia e dal Regno Unito) ma, da sempre, non condivisa dalla Germania. Per Washington in
particolar modo, Serbia e Croazia hanno rappresentato, durante un non brevissimo lasso di tempo,
interlocutori egualmente poco graditi ed anzi, nel corso dei negoziati poi sfociati nella Pace di
Dayton/Parigi come durante la fase ad essa anche non immediatamente successiva, era,
“addirittura”, emerso Slobodan Milosevic’ come il leader più ragionevole e maggiormente
affidabile dell’ intera area. Il capovolgimento che l’ approccio statunitense ai Balcani ha subito tra
la fine del 1998 e l’ inizio del 1999, e che ha poi visto gli U.S.A. capeggiare la coalizione
anti/Belgrado pochi mesi dopo, è stato commentato con piena soddisfazione dal “D.W.” in quanto
conferma “finalmente giunta” della fondatezza dell’ atteggiamento anti/serbo della diplomazia
tedesca ; una scelta, questa, che il quotidiano “neo/berlinese” si fregia di aver costantemente e
convintamene sostenuto89.
Pur non avendo adottato uno schema interpretativo così esplicitamente schierato come quello fatto
proprio dal “D.W.”, né il “Frankfurter Rundschau” né il “TAZ.” possono, però, essere classificati
come quotidiani filo/serbi. Tutt’ altro. Il foglio francofortese, all’ interno di un approfondito
“speciale” dal titolo “Machtwechsel in Serbien”, “Cambio di Potere i Serbia”, e precipuamente
dedicato agli avvenimenti lì succedutisi durante il lasso di tempo intercorso fra le elezioni
presidenziali del tardo settembre del 2000 e quelle parlamentari del successivo 23-12, non si è
sottratto, in concomitanza con la “fine dell’ ‘Era Milosevic’ ” , dal rileggerne retrospettivamente la
fasi salienti e l’ esito del confronto fra il suo “regime” e quello, non certo inattaccabile, del
“nazionalista Tudjman” non lascia adito a dubbio alcuno nel suo essere completamente sfavorevole
all’ ex/“uomo forte di Belgrado”90. Responsabile di averlo sistematicamente rapinato91, l’ elite
politica capeggiata dallo statista serbo/montenegrino ha talmente danneggiato il proprio paese da
averlo trasformato, dopo tredici anni di governo, in un “deserto morale e materiale”92. Non che il
“colpevole” appoggio di buona parte della popolazione serba prima di tutto al Partito Socialista
Serbo93 ed i tutt’ altro che disinteressati comportamenti di alcuni paesi occidentali, soprattutto
89
A tal riguardo, confronta : C. G. Stroehm : “Spaete Genuugtuung fuer die Kroaten” Die Welt, 35-99.
90
A tal proposito, confronta : G. Poerzgen : “Die Kronleuchter sind gewienert” Frankfurter
Rundschau, 24-11-00.
91
A tal riguardo, confronta : “Jugoslawien” Frankfurter Rundschau, 7-10-00.
92
A tal proposito, confronta : R. Paasch : “Nach der Wende in Belgrad” Frankfurter Rundschau,
28-12-00.
93
A tal riguardo, confronta : S. Israel : “Europa muss helfen” Frankfurter Rundschau, 7-11-00.
40
Francia e Germania94, non abbiano giocato un rilevante ruolo nello scatenarsi e nel decennale
decorso della crisi balcanica. Ciò però, sempre stando a quanto sostenuto dal foglio francofortese,
non può far dimenticare come l’ “imputato” primo e principale dello scoppio di quattro atroci
guerre (Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Kosovo), dell’ attuazione di mostruose pulizie
etniche e del ritorno di nefaste ideologie “nazional/mitologiche” sia stato e rimanga il “regime” di
Belgrado95.
Fautore di una linea non distantissima da quella portata avanti dal “Frankfurter Rundschau”, anche
il “TAZ.” ha avuto ed ha poche perplessità rispetto all’ attribuzione delle maggiori responsabilità
relative alle tormentatissime vicende ex/jugoslave degli anni novanta del secolo scorso. Il ritratto di
Franjo Tudjman che Erich Rathfelder traccia sulle colonne del foglio berlinese non è certo dei più
lusinghieri. Il defunto ex/presidente croato, infatti, sarebbe stato poco meno che un omologo del suo
“rivale di Belgrado”, scelto, dai circoli croati più fervidamente nazionalisti presenti in Germania,
Argentina, Canada, Stati Uniti ed Erzegovina Occidentale, ma anche in patria, come “uomo giusto”,
sia per secedere dalla Jugoslavia, sia per spartirsi la Bosnia/Erzegovina assieme alla Serbia96.
Durante il suo doppio mandato presidenziale inoltre, la Croazia avrebbe “perso molti anni sulla
strada della piena trasformazione in un paese compiutamente democratico”97. Ma per quanto ricco
di aspetti criticabili possa essere stato il periodo “tudjmaniano” a Zagabria, anche secondo il
“TAZ.” i principali responsabili di dieci anni di tragedie balcaniche vanno cercati a Belgrado.
“Normalizzate” Serbia, Kosovo, Vojvodina e Montenegro durante il triennio 1987/1989 e vinte le
elezioni politiche repubblicane del 1990 sulla base di un programma “ultra/nazionalista”, è, infatti,
la classe politica al potere nella “Città Bianca” ad aver causato, con il proprio sciovinismo
aggressivo, la reazione armata di Slovenia e Croazia e ad aver trasformato “legittimi movimenti
favorevoli all’ auto/determinazione nazionale in eserciti pronti a difendere le rispettive
neo/conquistate indipendenze, anche ricorrendo alla guerra patriottica”98. Il “TAZ.”, d’ altro canto,
non sottovaluta affatto il ragguardevole influsso della politica estera tedesca relativo alla decisione
della comunità internazionale di riconoscere l’ indipendenza di Lubiana e Zagabria, prima, e di
Sarajevo, poi (accettandone la trasformazione dei confini da amministrativi in internazionali)99, né
94
A tal proposito : M. Winter : “Bewaehrungsprobe auf dem Balkan” Frankfurter Rundschau, 2811-00.
95
A tal riguardo, confronta : M. Winter, op. cit. , 28-11-00.
96
A tal proposito, confronta : E. Rathfelder : “Kroatien trauert um seinem Vater” Tageszeitung, 1312-99 e E. Rathfelder : “Der Kreis schliesst sich„ Tageszeitung, 7-10-00.
97
A tal riguardo, confronta : E. Rathfelder : “Kroatien hat viele Jahre verloren” Intervista a S.
Mesic’ Tageszeitung, 27-01-00.
98
A tal proposito, confronta : E. Rathfelder, op. cit. , 7-10-00.
99
A tal riguardo, confronta : P. M. La Gorce : “Die N.A.T.O. und ihre Suedosterweiterung” Le
Monde Diplomatique, 3/00. In un’ ulteriore similitudine con “Il Manifesto”, il quotidiano berlinese
41
sottostima in alcun modo le conseguenze, quantomeno controverse, di una simile presa di posizione.
Ma, proprio come le non poche perplessità sorte a proposito della Croazia indipendentista, prima,
ed indipendente, poi, nemmeno gli effetti, per lo meno contraddittori, causati dallo scontro dei
contrapposti interessi diplomatici delle grandi potenze possono in alcun modo sminuire le
responsabilità di Slobodan Milosevic’ e la condanna che Milos Vasic’ esprime nei confronti del suo
operato è totale. Lo statista serbo/montenegrino, infatti, non solo avrebbe scatenato, in prima
persona, le guerre in Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Kosovo ma, avendo preferito, come
via d’ uscita dal “socialismo auto/gestito”, il nazionalismo para/fascista alla social/democrazia, si
sarebbe anche macchiato di un crimine, probabilmente, ancor più grave : aver anteposto, per la
prima volta dal 1945, il principio etnico a quello di cittadinanza100.
Lontanissime, invece, sia dall’ “anti/serbismo huntingtoniano e geo/politico” di “F.A.Z.” e “D.W.”
che da quello “universalistico/umanitario/progressista” di “Frankfurter Rundschau” e “TAZ.”101, le
posizioni del “Neues Deutschland” , ed ancor più evidentemente dello “Junge Welt” , hanno avuto
ben poco a che spartire anche con la “incompleta cautela” del “Sueddeutsche Zeitung”.
Dalle colonne dell’ ex/organo del Comitato Centrale della Sozialistische Einheitspartei
Deutschlands , Frank Wehner condanna l’ ipocrisia di “alcuni politici che oggi non dormono dalla
compassione” per il Kosovo ma che sin dal momento iniziale della disgregazione della Federazione
creata da Tito si sarebbero dimostrati talmente “spietati” da esternare la propria soddisfazione per la
caduta dell’ “ultimo bastione bolscevico” avendo ottenuto, con la frantumazione della Jugoslavia, l’
assetto balcanico ideale al perseguimento dei propri interessi. Definendo il 25-6-91 “un giorno nero
per la Jugoslavia, per i Balcani e per l’ Europa tutta”, l’ autore punta il dito contro le “colpe
insanguinate” dell’ occidente, in generale, e della B.R.D. , in particolare, e li accusa, avendo
riconosciuto quelle repubbliche che “in modo anarchico si erano separate dalla Federazione” , di
“aver innescato la crisi e di essere stati, fin dall’ inizio, tutt’ altro che neutrali”. Slobodan
Milosevic’ , sempre secondo Wehner, sarebbe un cinico “aparatschik” che avrebbe puntato sul
nazionalismo per uscire dalla grave crisi, economica ideologica e politica, che ha attanagliato la
Jugoslavia durante tutto il decennio ottanta del secolo scorso, ma non può però, per questo,
diventare la “Inkarnation des Boeses” (l’ “Incarnazione del Male”). La teoria stando alla quale i
Serbi sarebbero dei “demoni nazionalisti” ed i non/Serbi dei valorosi “combattenti per la libertà” è,
esce, una volta al mese, allegando l’ edizione tedesca della prestigiosa versione “internazionalmente
mensile” di quello che, probabilmente, è il più prestigioso quotidiano francese.
100
A tal proposito, confronta : M. Vasic’ : “Das System Milosevic’ ” Tageszeitung, 10-6-00.
101
Anche nonostante il fatto che questi ultimi due quotidiani abbiano delineato, l’ uno, quello
francofortese, “in condominio” con la Francia, l’ altro, quello berlinese, a prescindere da
qualsivoglia “apparentamento” o paragone, l’ esiestenza di un ruolo tedesco “non positivo”, per lo
meno durante la “prima fase” dello smembramento jugoslavo.
42
infatti, “primitiva” perché, volutamente, dimentica la “Demokratiefeindlichkeit” (“avversione alla
democrazia”) di Franjo Tudjman, l’ espulsione di 400.000 cittadini croati di etnia serba dal loro
paese, tra il maggio e l’ agosto del 1995, ed il “tutti contro tutti bosniaco” generato da un
“referendum illegale”. L’ autore, ovviamente, è inoltre ben lungi dal non menzionare il Kosovo :
non certo casualmente “ignorato” in nome degli accordi di Dayton/Parigi ma, quattro anni dopo,
scusa ideale per “distruggere l’ unico paese europeo, oltre alla Federazione Russa, non ancora
piegato completamente ai voleri dei paesi occidentali e dell’ Alleanza Atlantica”102. Altrettanto duro
è Gerd Prokot, il quale sottolinea come la caduta del Muro sarebbe coincisa con la ripresa della
“tradizionale poltica ‘gran/tedesca’ nei Balcani”. Le due Germanie pre/1990, infatti, avrebbero
avuto un differente ma convergente interesse a che la Jugoslavia restasse unita. Bonn, in quanto
capitale inserita all’ interno del sistema occidentale di alleanze, avrebbe considerato la diversità del
socialismo jugoslavo utile in chiave di contenimento dell’ azione del Patto di Varsavia, mentre per
Pankow, non poco diffidente delle “sperimentazioni” e dell’ autonomia di Tito ma anche capitale
inserita all’ interno del sistema di alleanze facente capo a Mosca, la R.S.F.J. restava, pur sempre, un
paese socialista. In barba ad ogni sorta di “cautela politica” però, il primo governo tedesco
post/1990, quello Kohl/Genscher, nel tardo autunno 1991, “quando il futuro della Federazione non
era ancora stato definitivamente deciso”, avrebbe costretto irresponsabilmente i partners europei ad
accettare il riconoscimento di Slovenia e Croazia ; irritando, in tal modo, Washington ed ignorando
la successivamente realizzatasi profezia del presidente della Conferenza de L’Aja, Lord Peter
Carrington, secondo il quale l’ appoggio a Lubiana e Zagabria avrebbe costituito “la miccia capace
di incendiare la Bosnia/Erzegovina”. Attaccando la continuità che l’ attuale coalizione
“rosso/verde” avrebbe mantenuto rispetto all’ approccio verso i Balcani dell’ ultra/decennale
“periodo/Kohl” (1982/1998), Prokot si scaglia contro l’ ipocrisia di “slogans umanitari” come
“diritto all’ auto/determinazione dei popoli”, “impedire la pulizia etnica” o “abbasso Milosevic’ ”,
dietro ai quali si nasconderebbero, invece, “risentimenti storici” , “incompatibilità ideologiche” ,
“atavici desideri di vendetta” e “calcoli politici a lunga scadenza”103. La più grande delle
mistificazioni interverrebbe però, sempre stando a Prokot, con la strumentalizzazione del “presunto
mito della ‘Grande Serbia’ ” : una strumentalizzazione utile, se non altro, a giustificare un decennio
di convinto “anti/serbismo” e di convinto “anti/jugoslavismo”. La pubblicazione, durante il mese di
settembre del 1986, del “Memorandum dell’ Accademia Serba delle Scienze e delle Arti”, il
discorso che Slobodan Milosevic’ tenne, il 28-6-1989, al Campo dei Merli in Kosovo, in occasione
102
A tal riguardo, confronta : F. Wehner : “Dreifache Chronik eines angekuendigsten Todes” Neues
Deutschland, 12-4-99. Lascia, però, abbastanza interdetto chi scrive il fatto che l’ autore, fra i paesi
cosiddetti “resistenti” , non abbia citato anche la Bielorussia.
103
A tal proposito, confronta : G. Prokot : “Wenn Machtrausch die Wahrnehmung truebt” Neues
Detuschland, 12-4-99.
43
del 600° anniversario della battaglia che vide la coalizione dei principi bosniaco/erzegovesi,
macedoni e serbi, capeggiata dal serbo Lazar, uscire sconfitta dallo scontro con l’ esercito turco (da
quel momento sarebbero cominciati circa 500 anni di dominazione ottomana sulla regione) e quello
che l’ allora presidente serbo pronunciò a Belgrado di fronte al Parlamento della propria repubblica,
il 30-5-1991, verrebbero frequentemente letti, secondo l’ autore, come tre momenti/chiave per
individuare i fondamenti ideologici sui quali, di lì a poco, si sarebbe innestata l’ azione militare
jugo/serba volta a realizzare gli obiettivi ultra/nazionalisti ad essa sottesi. Farsi fautori di una simile
presa di posizione equivale però, secondo Prokot, ad un atto di palese faziosità. Perché, si chiede l’
autore, citare sempre il “Memorandum” serbo e dimenticare altrettanto costantemente i “Contributi
per un Programma Nazionale Sloveno” del 1987 e l’ opera del futuro presidente croato Franjo
Tudjma, intitolata “Deriva dalla Verità Storica” e datata 1989 ? Perché, poi, non ricordare come la
decisione, “certamente deprecabile”, presa dalla dirigenza serba di annullare la forte autonomia che
la Costituzione del 1974 aveva concesso a Vojvodina e Kosovo, mai avrebbe potuto entrare in
vigore se non avesse ricevuto l’ avallo della Presidenza Collegiale Jugoslava, organismo, quest’
ultimo, all’ interno del quale erano presenti i rappresentanti di TUTTE le repubbliche e, quindi,
anche , di Slovenia e Croazia ? E se è, infine, vero, che il 30-5-1991 Slobodan Milosevic’ rivendicò
il “diritto dei Serbi a vivere in un solo stato” perché omettere di segnalare come il presidente serbo
avesse poi aggiunto, sempre nell’ ambito della medesima frase del medesimo discorso, che tale
stato era, a suo parere, la Jugoslavia, “un paese da condividere con chi lo vuole” ?104
Ma se incontestabilmente indiscutibile appare il contrasto tra le posizioni riscontrabili leggendo i
“Wessi/Zeitungen” e quelle appena emerse tracciando un’ analisi della linea seguita dal “N.D.” ,
ancor più marcata, oltre a quella non certo enorme ma comunque presente nei confronti di quest’
ultimo, emerge la contrapposizione fra quanto sostenuto dai primi, “S.Z.” incluso, e l’ impostazione
fatta propria, invece, dallo “Junge Welt”. L’ ex/quotidiano della F.D.J. , infatti, non sembra avere
dubbi : la responsabilità principale della fine della Jugoslavia e delle guerre da quell’ evento
originatesi (Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina, Kosovo) è del governo della B.R.D. la cui
politica durante il decennio novanta del ‘900, a prescindere dal “colore politico” della coalizione al
potere a Bonn/Berlino, sarebbe consistita in un costante attacco alla Jugoslavia, prima, ed alla
Serbia, poi. Quali gli scopi di quest’ offensiva diplomatico/militare ? In una prima fase, la
creazione, sotto il segno del Deutsche Mark, del “lato balcanico” della nuova “Ost/Mittel/Europa”
ad egemonia tedesca (riconoscimenti di Slovenia, Croazia e Bosnia/Erzegovina), a sua volta punto
di partenza dell’ “Europa Germanica”. Successivamente, l’ annichilimento della Serbia mirato ad
104
A tal riguardo, confronta : G. Prokot : “Niemand darf euch schlagen, niemand !”
Deutschland, 15-4-99.
Neues
44
ottenere il controllo dell’ area danubiana, porta strategica di accesso, quest’ ultima, allo scacchiere
geo/politico all’ insegna del cui controllo si è aperto, ed è altamente probabile che si svolga, l’
appena iniziato XXI° secolo : l’ area trans/caucasico/caspica. Ricchissima di petrolio e gas naturale,
ma anche “ideale” per “l’ accerchiamento” della Federazione Russa e per “avvertire” la Cina, l’
attuale Asia centrale ex/sovietica avrebbe, storicamente, sempre goduto di notevoli attenzioni da
parte dei circoli governativi tedeschi : dal cancelliere Bethmann/Hollweg (“Il Reich ha l’ obbligo
morale di favorire la liberazione delle nazionalità non/russe dal giogo dei moscoviti”), passando per
Adolf Hitler (“battuto a Stalingrado”), fino alla “Berliner Republik” dei governi Kohl e Schroeder.
E’ in questa chiave, dunque, che, secondo Till Meyer, andrebbero letti sia l’ adesione tedesca al
progetto di esercito europeo, sia il sostegno della Germania all’ allargamento progressivo della U.E.
(Turchia non esclusa) : la possibilità di dominare il “Centro del Mondo” , infatti, sarebbe talmente
allettante da spingere l’ Europa a guida “rosso/giallo/nera” a contrastare perfino i progetti formulati,
rispetto ad esso, dagli Stati Uniti d’ America105. Il primo tassello di una siffatta ed appena delineata
strategia si sarebbe esplicato, secondo Hannes Hoffbauer, nell’ uso prima da parte tedesca, in
particolare, e poi da parte occidentale, in generale, del criterio dei “due pesi, due misure” nei
confronti dei vari etno/nazionalismi affermatisi prepotentemente in Jugoslavia tra la fine degli anni
ottanta ed i primi anni novanta. L’ appoggio offerto alle istanze indipendentiste di Slovenia e
Croazia, “sull’ onda dell’ unità nazionale ottenuta attraverso l’ ANNESSIONE106 dei cinque
Laender orientali” ed usando il diritto all’ auto/determinazione dei popoli come “grimaldello
ideologico” per disintegrare la Federazione, mostrerebbe l’ ingiustificata distinzione, messa in atto
da parte di un amplissimo spettro politico estendentesi dalla C.S.U./C.D.U. ai Verdi, fra
nazionalismo “cattivo” , da un lato (Serbia, Serbo/Croazia e Serbo/Bosnia) e nazionalismo “buono”,
dall’ altro (Slovenia, Croazia, Bosnia musulmana, Erzegovina croata e Kosovo albanese)107. A tal
proposito infatti, in maniera incontestabilmente illuminante, emergerebbe tra l’ altro, sostiene
Winfried Wolf, l’ assoluta pretestuosità del “presunto” massacro di 45 civili albanesi a Racak108 ,
105
A tal proposito, confronta : T. Meyer : “Geostrategisches Weltzentrum” Junge Welt, 21-12-99.
Si ritiene utile porre fortemente l’ accento sulla parola “annessione”. Un tale vocabolo, usato per
descrivere la “Wende” (“Svolta”), e cioè il ritorno all’ unità dello stato tedesco, è, infatti, peculiarità
unica dello “Junge Welt”.
107
A tal riguardo, confronta : H. Hoffbauer : “Guter und Schlechter Nationalismus” Junge Welt, 14-99.
108
Il dato di fatto dell’ appartenenza etnica albanese dei cadaveri rinvenuti è fuori discussione. Ciò
che però, da parte della cosiddetta “comunità internazionale” (ovvero Stati Uniti ed alleati, anche se
non senza qualche non trascurabile distinguo), ha fatto considerare questo tragico avvenimento
come la classica “goccia che fa traboccare il vaso” va ravvisato nello status civile delle vittime
come evinto dagli osservatori O.S.C.E. diretti dall’ ex/capo della C.I.A. , William Walker. Il
risultato della “missione Walker” , però, è ben lungi dall’ essere stato confermato da una equipe
medica finlandese , “in loco” successivamente inviata , la quale si è dichiarata costretta, in
106
45
episodio, questo, impossibile da non leggersi come non in funzione dello scatenamento della guerra
del 1999, rispetto, invece, all’ assoluta indolenza seguita all’ eliminazione di circa 180 cittadini
croati di etnia serba, questi sì tutti certamente civili, a Gospic’ , Croazia, nel 1991109. Oltre che
inammissibile quindi, fa notare ancora Hannes Hoffabuer in un ulteriore momento critico nei
confronti in primo luogo della politica del governo Kohl/Genscher, la scelta di avallare l’
indipendenza di alcune componenti della Federazione, invece di impedire la guerra sul territorio di
questa (così recitava, però, una delle motivazioni portanti grazie alle quali tale provvedimento era
stato, sin da subito, prima invocato e successivamente giustificato), ne avrebbe, addirittura,
aumentato l’ intensità110. Un’ opinione quest’ ultima, a parere di un Thomas Klein piuttosto
polemico, condivisa del resto, ancora nel 1995, dall’ allora capogruppo verde al Bundestag, Joseph
“Joschka” Fischer111. Nel corso di una lunga ed indubbiamente favorevole intervista poi, caso non
certo comune all’ interno del panorama dell’ informazione, politica e non, “cartacea” e non, tedesca
e non, l’ attuale ex/presidente della “Terza Jugoslavia”, Slobodan Milosevic’ , ha l’ opportunità sia
di ribadire le proprie critiche alla politica tedesco/europea dei riconoscimenti sia, tornando su uno
dei temi più cari al recente nazionalismo serbo, e cioè quello della “Serbia come vittima dell’ ultimo
genocidio del XX° secolo”, di confutare l’ accusa, a lui continuamente rivolta, di essere stato il vero
“deus ex machina” della deflagrazione balcanica. Dichiarandosi non “gran/ serbo” ma
“gran/jugoslavo”, Milosevic’ afferma, infatti, di aver voluto “tutti i cittadini jugoslavi di etnia serba
in un solo stato”112 proprio in nome della stabilità interna della Federazione113. Più che benevolo
con Milosevic’, lo “Junge Welt” è , invece, durissimo nei confronti di Franjo Tudjman, definito da
Hans Werner un “nazionalista autocrate” durante gli anni potere del quale la Croazia sarebbe stata
ridotta in “condizioni desolate” ed invece del tanto agognato aggancio all’ area “mittel/europea” ed
alla “comunità trans/atlantica” avrebbe sperimentato soltanto disoccupazione, povertà, corruzione
ed arricchimento di pochi privilegiati. Ripercorrendone la biografia “umana” e politica, l’ autore si
sofferma diffusamente sulla “degenerazione ideologica” del futuro presidente sottolineandone, con
dovizia di particolari, la trasformazione da commissario politico del movimento partigiano titino a
storico ultra/nazionalista convinto che la Jugoslavia in quanto tale costituisse la forma più compiuta
di oppressione nei confronti del popolo croato il cui stato “ustascia”, edificato grazie all’
mancanza di prove certe, chiare e definitive, a sospendere ogni giudizio. A tal proposito, confronta,
fra l’ altro : T. Boari : “Racak, bugie di guerra” Il Manifesto, 6-2-01.
109
A tal riguardo, confronta : W. Wolf : “Kinkels ehemaliger Mann”, Junge Welt, 4-12-00.
110
A tal proposito, confronta : H. Hoffbauer, op. cit. , 1-4-99.
111
A tal riguardo, confronta : T. Klein : “Gedanken zum Krieg auf dem Balkan” Junge Welt, 2012-97.
112
Secondo non pochi osservatori, l’ inizio della fine della R.S.F.J. sarebbe cominciata proprio con
l’ enunciazione di tale “imperativo” politico.
113
A tal proposito, confronta : “Gespraech mit Slobodan Milosevic’ ” Junge Welt, 5/6/7/8-1-99.
46
indispensabile apporto fornito da Germania nazista ed Italia fascista fra il 1941 ed il 1945, ne
avrebbe, invece, rappresentato l’ espressione probabilmente più compiuta della “secolare lotta” per
l’ indipendenza nazionale. Werner mette in chiara evidenza la, a suo modo di vedere,
“obiettivamente inconfutabile” continuità fra nazi/fascismo e nazionalismo croato ; ricordando una
certamente poco felice affermazione di Tudjman, relativa alla sua soddisfazione per essere sposato
con una donna di origini né ebree né serbe, menzionandone il libro intitolato “Deriva dalla Verità
Storica”, teso a ridurre drasticamente la portata dell’ Olocausto ed il numero delle vittime del
tristemente famoso campo di concentramento di Jasenovac114, e riportando una dichiarazione,
risalente al 1993, rilasciata da Dinko Sakic’115, secondo il quale “Tudjman è oggi il politico che più
coerentemente persegue i fini dello N.D.H. (Stato Indipendente Croato/Ustascia)”. Il tutto poi, fa
notare l’ autore sempre in tema di realizzazione pratica degli obiettivi maggiormente deteriori dello
sciovinismo “gran/croato”, anche alla luce dell’ espulsione di 400.000 cittadini croati di etnia serba
dalla Croazia nel 1995 ; un crimine per il quale è “stupefacente” che non sia mai stato emesso, da
parte del Tribunale Internazionale de L’Aja, alcun mandato di cattura nei confronti dell’ oggi
defunto statista116. Durissimo con Tudjman, il foglio berlinese si mostra estremamente sprezzante
anche nei confronti dell’ attuale presidente croato Stipe Mesic’ : ultimo presidente della R.S.F.J. ,
ex/alleato politico del suo predecessore a Zagabria, Tudjman per l’ appunto117, ma, soprattutto,
“misirizzi di Fischer”118 nonché, secondo Winfired Wolf , figura appartenente a quella fazione dei
servizi segreti croati la quale, dopo la federalizzazione dell’ U.D.B.A.119 , realizzata nel 1966 in
seguito allo scoppio dello “scandalo Rankovic’ ”, almeno dalla fine degli anni ’70, sotto la guida di
Ivan Krajacic’, prima, e di Josip Manolic’ , poi, avrebbe lavorato di comune accordo con il
B.N.D./Bundes Nachrichten Dienst120 per lo smantellamento della Jugoslavia socialista e per la
nascita di una Croazia indipendente legata a doppio filo, assieme alla Slovenia, all’ Austria e,
soprattutto, alla Germania121. Sempre stando allo “J.W.”, ci sarebbe, infine, ben poco da stupirsi nel
114
Principale campo di concentramento istituito dallo Stato Indipendente Croato/Ustascia all’
interno del quale trovarono atroce morte quasi un milione di prigionieri in primo luogo anti/fascisti
ed anti/nazisti di qualunque etnia, zingari, ebrei e serbi.
115
Condannato a venti anni di carcere in quanto ultimo comandante del sopra citato famigerato
campo.
116
A tal riguardo, confronta : H. Werner : “Verheerendes Vermaechtnis” Junge Welt, 13-12-99.
117
Da quest’ ultimo, successivamente, allontanatosi con lo scoppio della guerra in
Bosnia/Erzegovina.
118
A tal proposito, confronta : R. Goebel : “Fischers Stehaufmaennchen in Zagreb” Junge Welt,
19-2-00.
119
I servizi segreti della Jugoslavia socialista.
120
I servizi segreti dell’ allora Repubblica Federale Tedesca, durante quel periodo capeggiati dal
successore di Genscher al Ministero degli Esteri, Klaus Kinkel. Il nome degli attuali servizi segreti,
quelli cioè della “Berliner Republik”, è rimasto invariato.
121
A tal riguardo, confronta : W. Wolf : “Kinkel, der B.N.D. und Manolic’ ” Junge Welt, 4-12-00.
47
retrodatare in maniera così temporalmente pronunciata gli sforzi tedeschi volti a disarticolare la
Jugoslavia. Già nel 1982, infatti, l’ allora presidente federale Richard Von Weizsaecher si disse
“favorevole” all’ indipendenza croata122 e
quattro anni prima, nel 1978, il governo
tedesco/occidentale addirittura rinunciò alla consegna di quattro membri della R.A.F./Rote Armee
Fraktion catturati in Jugoslavia non appena le autorità di Belgrado domandarono, in cambio, l’
estradizione di otto terroristi nazionalisti croati individuati all’ interno del territorio della
Repubblica Federale Tedesca. Uno stato, quest’ ultima, definito perciò, da Till Meyer, “potenza
protettrice” del terrorismo croato anti/jugoslavo123.
CAPITOLO TERZO : CONCLUSIONI
Tema già di per sé innegabilmente interessante, l’ analisi del comportamento politico/diplomatico
della R.F.T. rispetto alla crisi jugoslava come descritto e commentato dai principali quotidiani
politici tedeschi, lo diventa, secondo chi scrive, ancor di più se la lettura di tali “esperienze
balcaniche”, con il periodo 1991/1992 al centro dell’ attenzione, viene relazionato al mutato profilo
internazionale della “Nuova B.R.D.” ed al mai terminato dibattito, inter/tedesco ma anche
internazionale (dibattito, per certi versi, ulteriormente intensificatosi dopo il “raggiungimento della
maggiore età”), sulla natura della Germania Imperiale, di Weimar, nazista e post/1945 fino alla
“Wende” e, soprattutto, sulla natura della attuale “Berliner Republik”.
3-1 : “LA ‘BERLINER REPUBLIK’ VISTA DALL’ INTERNO : UNO SGUARDO D’
INSIEME”
Ridurre i Balcani ad un “semplice pretesto” per concentrarsi esclusivamente sulla R.F.T.
rientrerebbe all’ interno di uno schema interpretativo eccessivamente riduttivo : come sminuire,
infatti, in maniera “scientificamente” accettabile, pur propendendo per una “soluzione
122
123
A tal proposito, confronta : W. Wolf , op. cit. , 4-12-00.
A tal riguardo, confronta : T. Meyer : “Schutzmacht B.R.D.” Junge Welt, 23-11-98.
48
germanocentrica”, l’ importanza del ruolo tedesco in rapporto a vicende, però, intrinsecamente
rilevantissime come quelle ex/jugoslave dello scorso decennio ? E’ , dunque, in base a riflessioni di
questo tipo che chi scrive ha optato per la prospettiva analitica di cui appena sopra ; ed è sempre per
tale motivo che si spera che l’ adozione di siffatto criterio sia emersa durante l’ intero arco del
presente lavoro. Non si sottolineerà mai a sufficienza, infatti, l’ importanza della data del 3 ottobre
1990 all’ interno della recentissima storia della nazione tedesca in quanto la prima segna per la
seconda, simbolicamente e non solo, l’ inizio di una “Nuova Era”. I riflessi internazionali, balcanici
e non, di tale “spartiacque territoriale” ritengo e spero siano stati già adeguatamente trattati in
precedenza, mentre è su quelli interni, dai primi non certo svincolati ed anzi con essi in rapporto
dialettico se non, addirittura, di causa/effetto, che , pur non costituendo essi il tema centrale del
lavoro in questione, preme ora soffermarsi, anche in aderenza a quanto precedentemente sostenuto.
La “Berliner Republik”, infatti, non è descrivibile come pura e semplice estensione della vecchia
R.F.T. a 5 nuovi Laender perché se è vero, da un lato, che la D.D.R. non esiste più, è altrettanto
incontestabile, dall’ altro, che il suo “innesto” all’ interno del precedente corpo tedesco/occidentale
abbia notevolmente alterato le caratteristiche di quest’ ultimo, mettendone il consolidato e
pienamente euro/occidentale “asse renano/bavarese” in concorrenza con il nuovo “magnete”
berlinese situato al centro del “Vecchio Continente”. “Sozialmarktwirtschaft” (Economia Sociale di
Mercato) , “Kanzlerdemokratie” (Democrazia del Cancelliere) e “Bipolaresmerhparteiensystem„
(Sistema Pluripartitico Bipolare) , caratteristiche tipiche della vecchia R.F.T. , oltre a dover
confrontarsi con le sfide di una società post/industriale sempre più complessa come quella tedesca
(cosiddetta globalizzazione prima di tutto, ma non solo), devono reggere anche il non certo
indifferente urto di ciò che Wolf Lepenies ha chiamato “l’ evento inaudito”124. Disoccupazione
diffusa, crescente de/legittimazione, per lo meno, di buona parte del sistema politico125, a sua volta
manifestatesi in rilevanti tassi di astensionismo elettorale, affermazione di partiti “eterodossi”
rispetto alla storica “triade” C.S.U./C.D.U. , F.D.P. , S.P.D. , i Verdi durante gli anni ottanta ed il
P.D.S. durante gli anni novanta, e ri/emersione di una, tutt’ altro che trascurabile, di una mai
scomparsa estrema destra, testimoniano , almeno, di alcune delle conseguenze di questo doppio
sforzo. Si potrà obiettare che la attuali difficoltà della politica a tenere il passo dei mutamenti
economico/tecnologici, sociali e culturali non costituisce certo una peculiarità tedesca. Ma è
realmente “normale” un paese alle prese con il “Mauer im Kopf” (“Muro nella testa”), con il tema
ancora caldo della “Innere Einheit”126 (unità interna ma anche intesa come interiore) e , per di più,
124
A tal riguardo, confronta : W. Lepenies . “Conseguenza di un evento inaudito. I tedeschi dopo l’
unificazione” Il Mulino, Bologna, 1993.
125
Il caso “Kohl/Spendenaffaere” è stato, al tal proposito, estremamente esemplare.
126
Una lettura paradossale ed estremamente “grand/guignolesca” delle avversità incontrate dalla
società tedesca nel superare (un superamento esplicatosi in un sostanziale ma incompleto ed
49
aggravato da una doppia esigenza di esigenza di “Vergangenheitsbewaeltigung” (“fare i conti con il
proprio passato”) ? L’ 8/9 maggio 1945 costituisce una sconfitta nazionale o l’ inizio di una
rinascita democratica che, secondo i più, sarebbe culminata nel 3 ottobre 1990 ? La D.D.R. è
lecitamente classificabile come una pura e semplice “parentesi negativa” da liquidare al più presto ?
Basta il risarcimento per chiudere il caso degli “Zwangsarbeitern”127? E che dire della polemica
incentratesi sul rapporto fra semplici cittadini tedeschi e nazionalsocialismo : i primi erano
“volenterosi carnefici” o soltanto “uomini comuni”128? Quanti altri Priebke, Haas, Engel ed Emden,
tanto per citare i nomi di alcuni fra i criminali nazisti maggiormente noti all’ opinione pubblica
italiana, ma anche quanti altri Barbie, Malloth, Saevecke, Schubert, Seifert e Viel, piccolo
contingente, questo, rappresentante solo una minuta frazione dei criminali nazisti attivi nel resto d’
Europa, trascorrono e/o hanno trascorso una tranquilla vecchiaia da pensionati ? Ed è ancora utile e
sensato processarli129? Domande come quelle appena poste e l’ intensità del celeberrimo
“Historikerstreit” esemplificano, in maniera quasi ottimale, l’ ampiezza delle ferite ancora aperte.
Senza effettuare ingiustificabili equiparazioni revisionistiche fra Germania nazista e D.D.R. va, poi,
ricordato come anche la valutazione della eredità storica, politica, economica, sociale e culturale
dello stato tedesco/orientale130 ricorra costantemente all’ interno del dibattito inter/tedesco ed anche
internazionale. D’ altro canto, però, la più che sostanziale tenuta del quadro democratico, culminata
nell’ assolutamente tranquillo “Generationswechsel” (“cambio generazionale”) tenutosi in
incompletabile annullamento della D.D.R. nella R.F.T.) le non poche differenze politiche,
economiche, sociali, culturali ed anche, in parte, linguistiche (visto, ad esempio, il maggior uso del
genitivo presso la popolazione dei territori orientali) fra “Ossis” e “Wessis” è stata offerta dal
mediometraggio demenziale “Das Deutsche Kattensaegen Massaker”. Ispirato alla celeberrima serie
di films “horror/splatter” statunitensi “Non aprite quella porta/The Texas Chainsaw Massacre”, il
mediometraggio in questione, diretto da Christopher Schliengensief, vede come protagonista una
tranquilla e benestante famiglia tedesco/occidentale la quale, dopo la caduta del Muro, si reca “dall’
altra parte” per “fare salsiccie” di quanti più cittadini tedesco/orientali possibile. A tal proposito,
confronta : F. Giovannini : “Cyberpunk e Splatterpunk. Guida a due culture di fine millennio”
Datanewes, Roma, 2001, pag. 53.
127
A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “Risarciti gli schiavi di Hitler” La Repubblica, 18-7-00;
A. Tarquini : “Risarciti gli schiavi di Hitler” La Repubblica, 24-5-01 ; C. Zamborano : “Schiavi di
Hitler, la Germania vota il risarcimento” L’Unità , 31-5-01.
128
A tal riguardo, confronta : C. Browning : “Uomini comuni. Polizia tedesca e ‘soluzione finale’ in
Polonia” Einaudi, Torino, 1995 ; D.J. Goldhagen : “I volenterosi carnefici di Hitler. I tedeschi
comuni e l’ Olocausto” Mondatori, Milano, 1998.
129
A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “Processare i nazisti ? Non serve più” Intervista a S.
Wiesenthal Il Venerdì de La Repubblica, 27-4-01.
130
Vengono citati, su questo tema, il “Literaturstreit” del dopo/1990, l’ istituzione della
“Commissione Eppelmann”, i “casi” Heym, Maron, Stolpe e Wolf ed i processi Honecker, Mielke,
Kessler, Modrow, Kernz, Schabowski e Wolf. Su tuttociò è bene confrontare, prima di tutto : C.S.
Meier : “Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania Est” Il Mulino, Bologna, 1997.
50
occasione delle elezioni politiche del 27 settembre 1998131, l’ irreversibilità del processo
unificatorio ancora in corso ed la giustificata soddisfazione per l’ evidente primato continentale,
proprio mentre si riduce sempre più la percentuale dei tedeschi “anagraficamente coinvolti” con il
periodo di Hitler, hanno spinto il filosofo Hans/Magnus Enszenberger a superare il
“Verfassungspatriotismus” (“Patriottismo della Costituzione”) di Juergen Habermas132 per
formulare la liceità di un “Patriotismus tout court”, seppur “Sotf”133. “Si può”, dunque, essere
orgogliosi di essere tedeschi ? Sì, anche se, almeno attualmente come nel breve/medio periodo, non
più che moderatamente. Certo, il passo compiuto, dalla totale rimozione dell’ “Era Adenauer”,
attraverso i primi convinti ma anche controversi tentativi di ristabilire il senso tedesco della patria
durante quella di Kohl134, fino alle recenti ed esplicite dichiarazioni dell’ attuale “Bundeskanzler”
131
La vittoria elettorale della coalizione “rosso/verde” ha portato al potere la prima generazione di
politici tedeschi privi, a cominciare da ovvi motivi anagrafici, di qualunque contatto con il periodo
nazista. Si tratta poi, per di più, di un gruppo dirigente che, dopo aver pienamente ed attivamente
attraversato il 1968, si mostra ora con un volto estremamente pragmatico, rassicurante e
“governativo”. Esemplificano al meglio tale trasformazione : il cancelliere social/democratico G.
Schroeder, il suo collega di partito, e titolare dell’ “Innenministeruim” (Ministero Degli Interni) , O.
Schilly ed il leader verde, nonché titolare dell’ “Auswaertiges Amt” (Ministero Degli Esteri), J.
Fischer. I primi due, da sempre schierati a sinistra, difesero durante gli anni settanta, in qualità di
avvocati, non pochi membri, simpatizzanti e fiancheggiatori della R.A.F. (il secondo, inoltre,
partecipò in prima persona alla lotta ambientalista/pacifista svoltasi durante gli anni ottanta contro il
dispiegamento sul territorio della R.F.T. dei missili nucleari statunitensi “Pershing” e “Cruise”) ,
mentre il terzo, fortemente e lungamente attivo all’ interno del movimento extra/parlamentare di
sinistra, sempre a partire dal 1968, nonché figura di primo piano dell’ ambientalismo e del
pacifismo più politicamente intransigenti (durante gli anni ottanta alla testa di un allora decisamente
più agguerrito partito verde), è stato uno dei più convinti sostenitori delle operazioni militari dirette
contro la Federazione Jugoslava nel corso della primavera/prima estate del 1999. Su questi temi,
confronta : P. Ortoleva : “I movimenti del ’68 in Europa ed in America” Ed. Riuniti, Roma, 1998 ;
T. Garton/Ash : “Germania, Fischer, il terrorismo : le guerre di un passato che torna” La
Repubblica, 6-2-01 ; A. Tarquini : “La lunga metamorfosi di Fischer, l’ estremista convertito al
potere” La Repubblica, 11-1-01 ; B. Valli : “Germania, i meriti dei figli del ‘68” La Repubblica,
25-1-01 ; S. Viola : “Gli anni caldi del giovane Fischer” La Repubblica, 30-1-01.
132
A tal proposito, confronta : G. E. Rusconi (a cura di) : “Germania : un passato che non passa. I
crimini nazisti e l’ identità tedesca” Einaudi, Torino, 1987.
133
A tal riguardo, confronta : R. Beste, T. Hildebrandt, J. Leinemann, C. Mestmacher, G.
Rosenkranz : “Absurdes Getoese” Der Spiegel, 13/01 ; L.V. Ferraris : “Il mio patriottismo„
Intervista a H. Kohl Limes, 3/94 ; R. Mohr : “Die neuen ‘Fast/Patrioten’ ” Der Spiegel, 37/00 ; A.
Tarquini : “Enszenberger, ‘patriottco soft’ ” La Repubblica, 12-9-00 ; A. Tarquini : “ ‘Essere
tedesco non è una colpa. Ritroviamo l’ orgoglio nazionale’ ” Intervista a E. Nolte La Repubblica,
22-3-01.
134
Il 5-5-85, l’allora presidente statunitense Ronald Reagan, accompagnatovi proprio dallo statista
cristiano/democratico, si recò in visita, a ridosso del 40° anniversario della fine della Seconda
Guerra Mondiale sul teatro europeo, al cimitero militare di Bitburg ospitante, anche, le tombe di 50
Waffen/S.S. ; numerose manifestazioni di protesta, negli U.S.A. come nelle R.F.T. ,
acompagnarono l’ avvenimento. E’ poi utile ricordare come il contestato tentativo “Nolte/iano” di
ridimensionare la specificità storica del nazionalsocialismo sia stato tutt’ altro che scevro da intenti
51
(Cancelliere Federale) Schroeder135 è notevole ; ed anche la rinascita architettonica della capitale
Berlino136, come pure la riscoperta del passato prussiano137 (già effettuata, tra l’ altro, spingendosi
addirittura fino a Lutero e Thomas Muentzer e per motivi non poi diversissimi da quelli attuali, ai
tempi della D.D.R. di Honecker138), testimoniano di tale cambiamento. Proiettati, però , sullo
sfondo dell’ unicità del recente passato tedesco, il ri/emergere ed il consolidarsi di una estrema
destra xenofoba, ultra/nazionalista ed a volte apertamente nazista, non possono lasciare indifferenti.
Manifestazione tedesca, peraltro complessivamente contenuta dal punto di vista elettorale (le
percentuali di voto ottenute da Le Pen in Francia, prima, e successivamente da Haider in Austria
sono, infatti, sconosciute ai loro, più o meno, omologhi tedeschi), di un fenomeno pan/europeo, il
“ritorno delle teste rasate” ha stupito i più per la violenza con la quale si è esplicitato. Gli
avvenimenti di Dessau, Eberswalde, Frankfurt am Main, Hoyeswerda, Moelln, Quedlinburg,
Recklinghausen, Rostock, Solingen e Wismar mostrano soltanto la “punta” di un “iceberg” a sua
volta costituito dagli oltre 12.000 reati di stampo razziale ed anti/semita compiuti durante questi
primi undici anni di Germania ri/unificata, dagli oltre 60.000 militanti che l’ estrema destra può
vantare ; militanti a loro volta capaci, specialmente nei territori orientali, di dare vita perfino alle
cosiddette “zone nazionali liberate” : quartieri, ed a volte intere piccole città, tassativamente vietati
a chiunque non abbia un aspetto “veramente tedesco”. “Reps”, D.V.U. e N.P.D. traggono, infatti, la
loro linfa vitale, e ripropongono inquietanti sogni di un passato “ariano”, proprio cavalcando le
paure legate, prima di tutto, all’ arrivo di nuova immigrazione ed alle difficoltà nell’ integrazione di
una popolazione straniera che, in termini sia assoluti che relativo/percentuali, fra “Auslaender”
(stranieri), “Asylanten” (rifugiati) ed “Aussiedler” (cittadini est/europei di discendenza tedesca), è
fra le numerose d’ Europa. Ma nonostante la loro incidenza elettorale rimanga limitata139 e gli sforzi
del cosiddetto “Runder Tisch”140 (“Tavola Rotonda”) si siano, finora, dimostrati vani, è stato da più
volti al rafforzamento dell’ identità collettiva tedesca. Su questi temi, confronta : G. Caldiron : “La
destra plurale. Dalla preferenza nazionale alla tolleranza zero” Il Manifestolibri, Roma , 2001.
135
Di taglio decisamente più prudente sono state, invece, le relative affermazioni del
“Bundespraesident” (Presidente Federale) Johannes Rau ; anch’ egli social/democratico ma
anagraficamente più anziano di Schroeder. A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “ ‘Sono un
patriota tedesco’. Polemica su Schroeder” La Repubblica, 21-3-01 ; J. Leinemann, M. Doerry : “Ich
liebe Menschen” Intervista a J. Rau, Der Spiegel , 13/01.
136
A tal riguardo, confronta : R. Salvadori : “Berlino 2001” Storia e Dossier, febbraio 2001.
137
A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “Berlino scopre l’ orgoglio di Prussia” La Repubblica,
8-1-01.
138
A tal proposito, confronta : G. Mc Lachlan : “Germany : The Rough Guide” Rough Guides
Ltd., London, 1999.
139
Ciò, però, non esclude assolutamente la possibilità di clamorosi “exploit” come il 13%
conquistato dalla D.V.U. alle elezioni amministrative del Land orientale del Sachsen/Anhalt
tenutesi nel corso della primavera del 1998.
140
Il “Runder Tisch”, istituito nel 1994, dovrebbe servire da strumento di coordinamento dei partiti
di estrema destra avente lo scopo di riunire, in una sola formazione politica, la forza elettorale dei
52
parti fatto notare come i loro toni, anche più che “haideriani” siano, ormai, divenuti parte integrante
del linguaggio del “mainstream” politico/istituzionale tedesco141. Ecco dunque, al fine di fornire
qualche esempio al riguardo, il “Bundestagsfraktionschef” (Capogruppo al Bundestag) della
C.S.U./C.D.U. , Friedrich Merz, chiedere di accogliere solo i “gli stranieri utili”142, il premier
bavarese, e possibile candidato alla Cancelleria per la C.S.U/C.D.U. alle prossime elezioni politiche
dell’ autunno del 2002, Edmund Stoiber, opporsi tenacemente alla “Doppel/Pass Gesetz”143 (Legge
sulla Doppia Cittadinanza), in nome di un modello sociale liberista/conservatore fondato su
“Laptops und Lederhosen”144 (“Laptops e Pantaloni di Cuoio”) , l’ esponente cristiano/democratico
Roland Koch vincere le lezioni regionali in Assia, al termine di una campagna elettorle dominata
dal tema dell’ “Einwanderung” (immigrazione) , non rifiutando l’ appoggio dei “Reps”, Juergen
Ruettgers, candidato democristiano, sconfitto, alla carica di premier del Land più popoloso, il Nord
Rhein/Westfalen, scagliarsi ferocemente contro i “green/ card Plaene” (“Programmi di Carta
Verde”) del governo Schroeder145, in segno di assoluta contrarietà rispetto alla possibilità che circa
30.000 esperti di computer provenienti dal sub/continente indiano godano di facilitazioni rispetto
all’ espletamento delle pratiche burocratiche propedeutiche ad loro immigrazione legale e stanziale
in Germania, il giudice amburghese Ronald Schill ottenere, alla testa del suo Partei der
Rechtsstaatlicher Offensive (Partito dell’Offensiva dello Stato di Diritto), un sorprendente 20%
circa alle elezioni per il rinnovo del senato della città anseatica, svoltesi alla fine di settembre del
2001, sulla scorta di un programma anti/immigrazione146 tutt’ altro che malvisto per lo meno dalla
C.S.U. ed, infine, la C.D.U. candidare a sindaco, in occasioni delle elezioni berlinesi dell’ autunno
del 2001, un Frank Steffel balzato agli “onori” della cronaca anche per sue alcune non certo felici
esternazioni nei confronti di immigrati e portatori di handicap. Sempre da parte conservatrice,
inoltre, è stato lanciato un serrato dibattito sulla necessità assoluta che in Germania prevalga una
“Reps” nei Laender meridionali, e quella di cui la D.V.U. dispone al nord ed all’est, con la
penetrazione presso i più giovani, ad oriente ma non solo, che la N.P.D. ha realizzato attraverso “l’
esempio patriottico” dei vari gruppi di skinheads e boneheads, attraverso il cosiddetto “nazi/rock”
ed attraverso la frange più violente del tifo da stadio.
141
A tal riguardo, confronta : G. Caldiron, op. cit. ; G. M. Del Re : “Ombre haideriane sulla
Germania” Limes, 3/00.
142
A tal proposito, confronta : G. M. Del Re, op. cit. .
143
Anche per questo motivo, piuttosto “diluita” da parte dell’ attuale maggioranza “rosso/verde”.
144
A tal riguardo, confronta : G. Caldiron , op. cit. ; G. M. Del Re, op. cit. . Va, inoltre, sottolineato
come lo stesso Stoiber sia stato il più convinto fautore tedesco dell’ alleanza di governo austriaca
fra l’ OE.V.P. dell’ attuale cancelliere Wolfgang Schuessel ed il F.P.OE. di Joerg Haider.
145
Coniando lo slogan : “Kinder statt Inder”, cioè “I bambini invece che gli Indiani”. A tal
proposito, confronta : G. M. Del Re, op. cit. .
146
Un programma basato su slogan come “Legge ed Ordine” e “Nessuna Pietà” ; quest’ ultimo
mutuato direttamente da Joerg Haider. E’ interessante notare come, in tedesco, “Partei der
Rechtsstaatlicher Offensive” possa significare sia quanto sopra ricordato quanto “Partito dell’
Offensiva dello Stato di Destra”. Una semplice coincidenza ?
53
“Leit/Kultur” (“Cultura/Guida”) di matrice “storico/tradizional/nazionale”147 e scroscianti sono
piovuti gli applausi in seguito alla paradossale conclusione del “caso Mehmet” (E’ questo il nome
fittizio di un micro/criminale minorenne nato in Baviera da genitori turchi, mai stato in Turchia,
incapace di esprimersi in turco ma “trasferito/deportato” in Anatolia a seguito dell’ ennesimo
arresto)148. A testimonianza, però, della ragguardevole estensione delle sopracitate “ombre
haideriane”149, non va dimenticato come esse abbiano raggiunto anche l’ opposto versante politico.
L’ attuale “Innenminister” (Ministro Degli Interni), Otto Schilly, l’ ex/ “Bundeskanzler”
(Cancelliere Federale) Helmut Schmidt ed i vertici sindacali si sono , infatti, congiuntamente
espressi contro l’ idea che la B.R.D. divenga “ein Einwanderungsland” (“una terra di
immigrazione”)150 e, fra le ragioni che spingono il governo tedesco, nella persona del commissario
europeo all’ allargamento, il social/democratico G. Verheugen, a guardare anche con qualche
timore all’ ingresso nell’ U.E. di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia e Slovenia, prima
“pattuglia” di un contingente ben nutrito, c’ è la forte, e non certo infondata, preoccupazione
rispetto al “dumping sociale” del quale i lavoratori provenienti da quei paesi sarebbero portatori,
una volta ottenuta la libertà di circolazione all’ interno del territorio dell’ Unione. Il deciso
decremento del tasso di “political correctness” che il dibattito politico tedesco tende sempre più a
mostrare può essere causa di inquietudine, visto il recente passato della Germania e la sua attuale
notevolissima rilevanza politica, economica e geo/strategica. Chi scrive, però, ritiene tale fenomeno
non privo di implicazioni positive, in quanto ennesimo segnale della progressiva riconquista della
tanto agognata “normalità”. Infatti, per quanto delicati possano essere i temi del neo/nazismo, dell’
immigrazione, dell’ identità nazionale e della cittadinanza, si ritiene un confronto su di essi che si
delinei come aperto, duro e diretto nettamente preferibile a poco convinte, forzate, “ipocrite” e,
sotto certi aspetti, pericolose ed irresponsabili minimizzazioni e sottovalutazioni effettuate, magari,
in nome di un improbabile “quieto vivere”. Altrettanto ineludibile poi, è l’ esigenza che anche a
Berlino si osservi un giorno di festa nazionale pienamente accettato e condiviso in quanto momento
imprescindibile del processo di riaffermazione di una “sana” identità nazionale tedesca dopo i
dodici di nazismo ed i quarantacinque di divisione interna. La domanda sorge, dunque, spontanea:
qual’ è il corrispettivo germanico del 14/7 francese, del 4/7 statunitense, del genetliaco della regina
147
A tal proposito, confronta, fra l’altro : A. Tarquini : “C.D.U. , la svolta a destra” La Repubblica,
3-11-2000 ; A. Tarquini : “Imparate ad essere tedeschi” La Repubblica, 4-11-2000 ; A. Tarquini :
“Schroeder contro C.D.U. e nazisti” La Repubblica, 6-11-2000 ; S. Fischer, T. Hildebrandt, J.
Hogrefe, H. Knaup , J. Leinemann , P. Larsch , Ue. Schaefer, B. Schmid, G. Spoerl : “Die Grosse
Konfusion„ Der Spiegel, 9/00.
148
A tal riguardo, confronta : G. M. Del Re, op. cit. .
149
A tal proposito, confronta : G. M. Del Re, op. cit. .
150
A tal riguardo, confronta : G. M. Del Re, op. cit. .
54
britannica (16/6), dell’ 1/10 cinese, dell’ 8-9/5 sovietico/russo ed anche del 2/6 italiano151 ? Scartato
il “poco coinvolgente” 13/5, giorno, nel 1949, della promulgazione della comunque non priva di
“velleità pan/tedesche” “Grundgesetz” (“Legge Fondamentale”, questo il nome della Costituzione)
tedesco/occidentale, e troppo problematico, per fondarvici un ancora solo discreto orgoglio di
patria, l’ 8-9/5, anniversario della capitolazione tedesca nel 1945, la R.F.T. pre/1990 celebrava il
proprio “compleanno” il 17/6 in ricordo della rivolta anti/governativa sviluppatasi nel 1953 a
Berlino/Est ed in altre città della Repubblica Democratica Tedesca. Venuta meno la D.D.R. durante
il biennio 89/90, e reputato insufficiente il 18/3, giorno delle prime elezioni a liste plurime della
storia della Germania Democratica, è ora quella del 3/10, giorno ufficiale della ritrovata Unità, la
data della festa nazionale. Notevole, però, è stata anche l’ eco in risposta all’ idea di J. Fischer di
scegliere per tale scopo il 9/11152. Probabilmente meno legato all’ unità di quanto non sia il 3/11, il
9/11 ha però il pregio, secondo il leader verde, di “raccogliere in sé” tutto un secolo (e che secolo !)
di storia ; tedesca, certamente, ma anche ricchissima di ripercussioni e “collegamenti”
internazionali. L’ adozione, come giorno di festa nazionale, della data che ha visto la nascita della
Repubblica di Weimar nel 1918, nel 1923 il tentato putsch di Monaco, nel 1938 la “Notte dei
Cristalli” , nel 1967 i pesanti scontri, sviluppatisi in occasione della visita dello Scià di Persia, fra
studenti e polizia a Berlino/Ovest , che causarono la morte del giovane Benno Ohnesorge e che
funsero da “atto fondativo” per tutto il “sessantotto” e “post/sessantotto” tedesco, e nel 1989 la
caduta del Muro, segnerebbe simbolicamente, sempre stando a quanto sostenuto da Fischer, l’
avvento della “nuova tranquillità” per una Germania ormai “pienamente adulta” che, senza
dimenticarlo, ha ormai “metabolizzato” il passato, anche quello più oscuro153. Appare, perciò, del
151
Nel nostro paese, si è ultimamente assistito anche ad un esplicito “revival” del 4/11 ; anniversario
della vittoria nella Prima Guerra Mondiale e giornata delle Forze Armate.
152
A tal proposito, confronta : S. Anst, J. Hogrefe, J. Leinemann : “9 November als Feiertag”
Intervista a J. Fischer Der Spiegel, 34/00.
153
A tal riguardo, confronta : S. Anst, J. Hogrefe, J. Leinemann, op. cit. ; P. Steinbach : “Der 9
November in der deutschen Geschichte des 20. Jahrhunderts und in der Erinnerung„ Aus Politik
und Zeitgeschichte Beilage zur Wochenzeitung “Das Parlament„ , 22-10-99. Non troppo dissimile
è, al tal riguardo, la situazione del Giappone, “combattuto” fra due date : l’ 11/2 ed il 3/5. La prima
corrisponde al “Kankoku Kinen No Hi” (“Giorno della Fondazione”), festività deputata a celebrare
l’ ascesa al trono del primo Dio/Imperatore nel 660 a.C. , mentre la seconda , “Kenpou Kinenbi”
(“Giorno della Costituzione”) ricorda l’ entrata in vigore della costituzione post/bellica, nel 1947. Il
contrasto fra la festività antica, pienamente autoctono/nazionale e quindi, vista la tradizionale
immagine e coscienza di popolo “divino” che i nipponici hanno di sé, non priva di rimandi
sciovinistico/aggressivi, e quella recente e legata tanto alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale
quanto alla nascita del Giappone democratico, ma anche posto “sotto tutela” da parte del vincitore
statunitense, è evidente. Chi scrive ritiene utile, inoltre, far notare come il “Bunkendu” (3/11),
ricorrenza originariamente legata al compleanno dell’ Imperatore Meiji ( e cioè dell’ Imperatore
promotore di quel processo di “occidentalizzazione esteriore” e modernizzazione che, dal 1868, rese
il Giappone una grande potenza al pari di europei, russo/sovietici e nord/americani), sia stata
trasformata, a partire dal 1946, nel “Giorno della Cultura” e come, comunque, persista l’ usanza di
55
tutto logico e naturale che una B.R.D. riunificata e sempre più “pacificata”, sia internamente che nei
suoi rapporti con gli altri stati, vicini e non154, sottoponga a revisione155 il ruolo, finora di basissimo
profilo, delle proprie Forze Armate156. Queste ultime, durante la scorsa decade, sono state investite
da un doppio processo riformatore. Dal punto di vista organizzativo/strutturale, si è assistito ad una
diminuzione degli effettivi totali, contemporanea ad una loro crescente professionalizzazione, in
previsione della loro trasformazione da effettivi di un esercito di massa, votato alla pura e semplice
difesa del territorio nazionale, a truppe di un esercito di professionisti pronto per interventi di
“polizia internazionale” in scenari, principalmente, “fuori area”. Dal punto di vista
legale/costituzionale poi, graduale ma costante è stato il mutamento del clima politico generale che
ha visto la netta maggioranza di S.P.D. e Verdi spostarsi sulle posizioni “interventiste” da lungo
tempo sposate da C.S.U./C.D.U. e F.D.P. e che ha, così, contribuito, in maniera decisiva, al
superamento dell’ interpretazione restrittiva degli articoli 87, comma 2, e 24, comma 2, della Legge
Fondamentale la quale ha limitato fortemente la proiezione “internazionale”, in generale, e “fuori
area”, in particolare, delle Forza Armate di Bonn/Berlino. Questa vera e propria “rivoluzione
copernicana”, che postula la parità di rango fra la Germania e le potenze che la sconfissero quasi 60
anni fa e che, perciò, segna definitivamente la fine del secondo dopo/guerra, è stata avallata e
perfezionata dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe la quale, il 12-7-94, ha sancito la
costituzionalità della partecipazione tedesca ad operazioni militari fuori dall’ “Area N.A.T.O.” .
Alla luce di quanto appena sostenuto perciò, risulta facile comprendere l’ uso progressivamente più
attivo che la Germania ha fatto del proprio strumento militare durante gli anni novanta : prima
timidamente (Cambogia, invio di alcuni jets presso la base N.A.T.O. turca di Incirlik nel corso della
“Guerra del Golfo”, Somalia), poi sempre più convintamene. “Torna Sigfrido” quindi, ha scritto G.
Dottori157, ma, stavolta, come “peace/keeper”. Nel corso del 1995, il “battesimo del fuoco”. Prima,
la partecipazione della “Luftwaffe” (Aeronautica Militare) ai raids della N.A.T.O. contro i
serbo/bosniaci, e successivamente, il contributo, attraverso il dispiegamento sul territorio di un
contingente “rosso/giallo/nero”, all’ applicazione degli accordi di Dayton/Parigi : sia assicurando le
retrovie dell’ I.FOR. (Interposition Force) in Croazia che schierandosi in prima linea all’ interno del
festeggiare il compleanno dell’ Imperatore correntemente regnante (per quanto questi abbia perso,
sempre a partire dalla metà degli anni quaranta, ogni prerogativa divina). Il genetliaco dell’ attuale
regnante Akiito/Heisei cade il 23/12.
154
Il 21/9/99 Ehud Barak, allora premier israeliano, è stato il primo leader straniero ad incontrare il
capo del governo tedesco nella sua nuova sede berlinese, una scelta, quella di tale primo ospite,
ovviamente tutt’ altro che casuale.
155
Anche e soprattutto sulla scorta di mutamenti epocali dello scenario internazionale come la fine
del “socialismo reale” in Europa, il crollo del Muro seguito dalla rapida scomparsa della D.D.R. , la
fine dell’ U.R.S.S. ed il vertice N.A.T.O. di Roma della fine del 1991.
156
A tal riguardo, confronta : G. Dottori : “Il ritorno di Sigfrido” Limes, 3/00.
157
A tal riguardo, confronta : G. Dottori, op. cit. .
56
territorio designato come settore francese della S.FOR. (Stabilization Force)
158
. Quattro anni più
tardi poi, durante lo svolgimento dell’ azione militare portata avanti dall’ Alleanza Atlantica contro
la Federazione Jugoslava, Berlino inviava quattro Tornado Recce e dieci Tornado ECU per la
ricognizione e per la soppressione delle difese anti/aeree avversarie ; sforzo, questo, affiancato dal
dispiegamento
in territorio macedone, fin dalle prime fasi della crisi kosovara, dell’ unico
contingente alleato dotato di mezzi pesanti. Con l’ occupazione del Kosovo, il contingente tedesco
toccò gli 8.000 effettivi, scesi successivamente a 5/6.000, ed il generale Klaus Reinhardt, fra l’ 810-99 ed il 10-4-00, assolse al compito di comandare tutti i contingenti K.FOR (Kosovo Force),
cioè 40.000 uomini complessivamente, fra cui italiani, francesi, britannici e statunitensi.
Considerando che neanche 10 anni fa in Somalia, per spostare una colonna di blindati in una zona a
rischio, i tedeschi pretesero una scorta italiana, non può non risaltare, con tutta evidenza, l’ abisso
che separa quella timidissima Bundeswehr (Esercito Federale) dall’ attivismo dell’ attuale
“Interventionsarmee” (“Esercito di Intervento”)159 ; specchio ed allo stesso tempo prodotto di una
Germania “grande potenza” ideatrice, particolare da non dimenticare assolutamente, del “Patto di
Stabilità per i Balcani” presieduto, non certo casualmente,
proprio da un tedesco : il
social/democratico Bodo Hombach. Certo, non poca impressione, sempre ai fini delle “ritrovate
moralità e liceità” della “spendibilità internazionale” della Bundeswehr, hanno destato, presso l’
opinione pubblica non solo tedesca, tre episodi particolarmente rivelatori delle presenza della
estrema destra anche fra i ranghi dell’ esercito come l’ invito a partecipare ad una propria
manifestazione rivolto dall’ Accademia Militare al discusso Mafred Roeder nel gennaio del 1995160,
come la pubblicazione, sul numero 2/3 1996 della rivista del “Verteidigungsministerium”
(Ministero Della Difesa) , denominata “Truppenpraxis”, di un articolo del tenente/colonnello
Reinhard Herden contenente alquanto strampalate tesi neo/imperialiste161, e come, infine, i fatti di
Hammelburg dell’ aprile del 1996162. L’ affidabilità democratica delle Forze Armate
158
Operazioni, queste di cui sopra, approvate dal Bundestag, a larghissima maggioranza, il 6-12-
95.
159
Tra l’altro, presente anche nell’ ambito della missione O.N.U. a Timor/Est, sempre nel corso del
1999.
160
E’ questi, infatti, un fervente promotore di iniziative tese alla “Re/Germanisierung” dei perduti
“Ost/Gebiete” (“i Territori dell’ Est” e cioè : Sudeti, Slesia, Pomerania Orientale, Baltico) nonché
imputato per reati di terrorismo. A tal proposito, confronta : G. Dottori, op. cit. .
161
Secondo quest’ ultimo, infatti, l’ occidente deve usare il proprio potenziale militare nei confronti
dei paesi del Sud del mondo per ottenerne le materie prime ed aprirne i mercati. La Germania, in
questo processo, deve assumere, sempre stando ad Herden, un ruolo cardine. A tal riguardo,
confronta : G. Dottori, op. cit. .
162
La località in questione è il luogo di addestramento militare nel quale sette aspiranti
“peace/keepers”, pronti a partire per la Bosnia/Erzegovina, hanno auto/celebrato una loro
esercitazione riprendendosi, con l’ ausilio di una telecamera portatile, nel corso di simulate
57
rosso/giallo/nere rimane, però, difficilmente attaccabile nonostante tali incresciosi accadimenti e
malgrado la “problematicità oggettiva” relativa alla data del 20/7, anniversario del fallito attentato
alla
vita
di
Adolf
Hitler
messo
in
atto,
nel
1944,
da
un
gruppo
di
militari
“dissidenti/prussiano/anti/nazisti” capeggiati dal tenente colonnello Klaus Philip Schenk, conte Von
Stauffenberg, come cardine fondante della “nuova Bundeswehr”163. Nessuno, dunque, avanza
riserve di sorta rispetto alla sempre più accentuata assunzione di responsabilità internazionali,
militari e non, da parte della B.R.D. , la quale, ormai non più sorprendentemente, partecipa al corpo
di spedizione N.A.T.O. in Macedonia (operazione “Essential Harvest”) e contribuisce alla difesa
dello spazio aereo statunitense nel corso della “crisi afgana” della seconda parte del 2001 (alla
“seconda fase” della quale è altamente probabile che prenda parte attiva con l’ impiego di uomini e
mezzi) ? Innanzi tutto, va notato che almeno parte di chi si oppone al “neo/attivismo teutonico” lo
fa in quanto esso si caratterizza come “targato N.A.T.O.”, mentre il grado di accettazione dello
stesso sarebbe maggiore, probabilmente, se l’ egida disponibile fosse quella dell’ O.N.U.164. Per
quanto concerne la carta stampata poi, il lettore, sempre, prima di tutto, in tema di Balcani e sempre
limitando il campo d’ osservazione alla stampa quotidiana politica,
dovrebbe aver ormai
familiarizzato con le riserve e le critiche al riguardo espresse dal “N.D.” e, in particolar modo, dallo
“J.W.”, come pure con la maggior cautela, rispetto alla “furia” degli altri “Wessi/Zeitungen”, del
“S.Z.” (ed anche dell’ autorevole settimanale “Die Zeit”). Volgendo lo sguardo, invece, in direzione
di un ambito più strettamente partitico, risulterebbe notevolmente difficile non notare come,
marginale la destra estrema e consolidato “cavallo di battaglia” dei partiti di centro e centro/destra,
F.D.P. e C.S.U./C.D.U. , la “Germania attiva” sia ormai largamente accettata anche dalla S.P.D.165 e
fucilazioni dimostrative di civili inermi e nel corso di fittizi stupri etnici “condendo” il tutto con
canti nazisti. A tal proposito, confronta : G. Dottori, op. cit. .
163
Gettano ombre non inconsistenti sulla effettiva “spendibilità democratica” dei fatti del 20/7/44
tanto “l’ intempestività” ad essi intrinseca (in quel momento l’ esito della guerra, per la Germania
nazista, appare già piuttosto compromesso), quanto “l’ ambiguità programmatica” dell’ “entourage”
militare “prussiano/anti/nazista” ; teso, quest’ ultimo, a cercare una “pace onorevole” con le potenze
occidentali ma determinato a proseguire nella “crociata anti/russa ed anti/bolscevica”.
164
Appare, però, altrettanto vero come, con un’ O.N.U. disarmata, una Russia “diminuita”, un’ U.E.
, militarmente e politicamente, ancora piuttosto fragile ed una Repubblica Popolare Cinese a tutto
interessata tranne che ad una guerra, “fredda” o “calda” che sia, contro Washington, l’ Alleanza
Atlantica, anche per precisa scelta degli U.S.A. (tra gli altri motivi, sicuramente poco o nulla
propensi a vedere i propri margini di manovra sullo scacchiere internazionale restringersi a causa di
eventuali “imboscate” all’ interno del Consiglio di Sicurezza) , resti l’ unico “braccio armato”
disponibile ed in condizioni di assolvere un determinato tipo di non semplici compiti.
165
All’ interno di essa è scettica solo l’ ala sinistra, raccolta intorno al “Frankfurter Kreis” (“Circolo
di Francoforte”) ed “orfana” dell’ ex/presidente, nonché ex/ministro delle Finanze, nonché
“figlioccio politico” di Willy Brandt, Oskar Lafontaine dimessosi, quest’ ultimo, ad aprile del 1999,
da ogni incarico governativo e partitico in polemica contro la partecipazione tedesca alla guerra
contro la Federazione Jugoslava ed in polemica contro la politica economico/sociale del cancelliere
Schroeder. Sul versante opposto degli schieramenti interni al partito, si colloca il “Seenheimer
58
dall’ ala “realista/governativa/maggioritaria” dei Verdi166. L’ unica eccezione di rilevanza nazionale
è costituita, quindi, dal solo P.D.S. ; partito prevalentemente orientale, presieduto dall’ ultimo
premier comunista della D.D.R. , nonché attualmente eletto al Parlamento Europeo, Hans Modrow
ed, innegabilmente “erede” della S.E.D. , esso, pur senza difficoltà alcuna collocabile alla sinistra
della S.P.D. , non è, però, definibile come una formazione politica “tout court”
marxista/comunista167 visto che è solo la sua ala sinistra interna, orbitante attorno al “Forum
Marxista” ed alla “Piattaforma Comunista”, a definirsi tale. Anzi, è proprio alla sua capacità di
essere contemporaneamente “tradizionale” (marce commemorative per Karl Liebcknecht e Rosa
Luxemburg, valorizzazione degli aspetti positivi della D.D.R. come eguaglianza, sicurezza sociale,
occupazione, istruzione) ed “innovatore” (esplicitamente schierato a favore di maggiori diritti per
immigrati ed omosessuali, dotato anche di una visibile connotazione ecologista, vicino ai
“movimenti”, femminista ed attualmente diretto dal “duumvirato rosa” Petra Pau e Gabriele
Zimmer) che ne ha allargato il bacino elettorale a livelli ragguardevoli ; nei territori della defunta
R.D.T. , prima di tutto, ma, pur se in misura decisamente inferiore, anche in quelli della vecchia
Repubblica Federale. Tutto sommato “discreti” infatti, vista la ancora non trascurabile ostilità che lo
circonda168, appaiono i risultati ottenuti dal partito in Bassa Sassonia, Nord/Reno Westfalia, in
coalizione con il D.K.P. ,
e ad
Amburgo, apparentato con la lista civica verde di sinistra
“Regenbogen Partei”. In lotta, con F.D.P. e Verdi, per il terzo posto nazionale, distaccatissimo,
però, rispetto alle percentuali di S.P.D. e C.S.U./C.D.U. , ma, in ogni caso, stabilmente attestatosi al
disopra della “fatidica” soglia del 5%, indispensabile, in Germania, al fine di ottenere
rappresentanza parlamentare, il P.D.S. gode di ottima salute nei cosiddetti “Nuovi Bundeslaender” :
governa organicamente con la S.P.D. il Mecklemburg/Vorpommern, “tollera” un governo di
minoranza targato S.P.D. in Sassonia/Anhalt, fa parte della coalizione che ha sconfitto una
tradizionalmente fortissima C.D.U. nella corsa per la poltrona di sindaco di Dresda169, è pronto, in
Kreis” (“Circolo di Seenheim”) che ha tradizionalmente trovato il proprio “nume tutelare” in
Helmut Schmidt : una contrapposizione, questa, quasi ovvia visto il radicatissimo contrasto, politico
e personal/caratteriale, fra i due importanti statisti social/democratici.
166
Capeggiata da Joseph “Joschka” Fischer e dalla segretaria nazionale del partito, Renate Kunast.
167
In tal senso, invece, è possibile operare rispetto al piccolo D.K.P./Deutsche Kommunistische
Partei : continuatore, rinato nel 1968, del K.P.D./Kommunistische Partei Deutschlands occidentale,
messo, quest’ ultimo, fuori legge nel 1953 , e “controverso” alleato occidentale del P.D.S.
soprattutto, finora, in occasione delle elezioni comunali e regionali del Land Nord/Rhein Westfalen
svoltesi nel corso dell’ autunno del 1999.
168
In quanto considerato ancora legato alla “dittatura comunista orientale”.
169
Una “super/Ampel Koalition” che include anche : liste civiche, F.D.P., S.P.D. e Verdi. “Ampel
Koalition” significa “Coalizione Semaforo” visto che i liberali, in Germania, sono i “gialli”, i
verdi…rimangono “verdi” ed i social/democratici sono i “rossi”. I democristiani, invece, sono “i
neri”, mentre ai sostenitori dell’estrema destra ci si riferisce come ai “marroni”. Considerati
59
coalizione con la S.P.D. , a governare anche la Turingia170 e ha ottenuto un rimarchevolissimo
successo alle elezioni comunali anticipate di Berlino171 tenutesi, il 21 ottobre 2001, in seguito alla
crisi della “Grosse Koalition” S.P.D./C.D.U. dovuta all’ emergere di una serie di scandali finanziari
probabilmente esiziali per la futura carriera politica di Eberhard Diepgen, ex/sindaco della città
sulla Sprea, e Klaus Landowsky, uomo di punta della C.D.U. berlinese e “figura di contatto” con il
mondo imprenditoriale/finanziario/bancario locale. Rispetto all’ ottobre del 1999, data delle
precedenti consultazioni, il P.D.S. : ha incrementato i propri consensi del 4,9%, è emerso come il
primo partito fra i giovani al primo voto (33%), ha ricevuto il voto di quasi un est/berlinese su due
(47,8% , 8,3% in più rispetto a due anni prima), ha raggiunto un rispettabilissimo 6,9 a
Berlino/Ovest (2,7% in più rispetto a due anni prima), ha quasi eguagliato, con il 22,6% a livello
cittadino, una C.D.U. in caduta libera (23,7% , il 17, 1% in meno rispetto a due anni prima) e non è
poi distantissimo da una S.P.D. in indubitabile ripresa (primo partito in città con il 29,7%, 7,3% in
più rispetto a due anni prima)172. Chi scrive ritiene piuttosto improbabile che il suo
“Spitzenkandidat” (“Candidato di punta”), Gregor Gysi, divenga sindaco, ma, anche in caso il
sindaco/premier incaricato, il social/democratico ed apertamente omosessuale Klaus Wowereit,
scelga la strada di una “Ampel Koalition” fra social/democratici, verdi e liberali173, invece che
quella di un “Rot/Rot-Rosa/Gruen” fra S.P.D. , P.D.S. e “Gruenen” o di un “Rot/Rot-Rosa
organico” che includa soltanto S.P.D. e P.D.S. , resta assolutamente non scalfibile l’ importanza,
tanto numerica quanto politica, dell’ ennesimo successo elettorale dei “Sozialisten” ; anche in
rapporto alla confermata marginalità, politica per quanto non criminale, dell’ estrema destra. Si
profila, dunque, il P.D.S. come forza di primissimo piano anche se il suo fortissimo radicamento
geografico orientale, oltre a costituirne il primo sostegno, ne rappresenta anche il principale limite.
La cosiddetta “eredità” della D.D.R. è, infatti, presso l’ opinione pubblica della vecchia Repubblica
Federale, ancora vista con estremo sospetto soprattutto nei suoi momenti ritenuti, da quest’ ultima,
come i più traumatici : l’ unificazione di S.P.D. e K.P.D. la quale, nei territori della S.B.Z. , diede
vita alla S.E.D. (1946), la repressione sanguinosa della insurrezione del 17/6/53 a Berlino/Est ed in
altre città della D.D.R. , la costruzione del Muro (12 e 13/8 1961). Contrarissimo alla guerra del
1999, contrario anche alla partecipazione tedesca ad “Essential Harvest” (nome dell’ operazione
N.A.T.O. avviatasi nel corso dell’ autunno del 2001 e volta al dispiegamento di un “contingente di
“politicamente i più rossi”, i sostenitori del P.D.S. , “cromaticamente parlando”, vengono, però,
definiti “rosa”.
170
La Sassonia invece, a parte Dresda, rimane una solida roccaforte democristiana mentre è una
“Grosse Koalition”, fra C.D.U. e S.P.D. , a governare nel Brandeburgo.
171
La capitale della B.R.D. è, infatti, anche un Land a sé stante.
172
A tal riguardo, confronta : S. Wiehler : “Wandertag der Waehler” Tagesspiegel, 22-10-01 ; H.
Wild : “Fast jeder zweite Ost/Berliner waehlte die P.D.S.„ Tagesspiegel, 22-10-01.
173
Resa possibile dalla tenuta dei Verdi e dall’ ottimo risultato della F.D.P. .
60
pacificazione” in Macedonia) e decisamente critico del ruolo politico, diplomatico, economico e
militare svolto da Bonn/Berlino, perlomeno a partire dal 1991 in poi, nei confronti della crisi
ex/jugoslava, il P.D.S. è caratterizzato da un atteggiamento “anti/interventista” talmente importante
da far sì che al congresso di Muenster (aprile 2000) due rilevantissimi esponenti interni del calibro
di Gregor Gysi e Lothar Bisky siano stati sconfitti dall’ opposizione alla loro proposta la quale, pur
mantenendo l’ ostilità del partito nei confronti delle “proiezioni fuori area” effettuate dalla
N.A.T.O. , nel contesto, fra l’ altro, di una posizione complessivamente molto poco benevola
rispetta all’ Alleanza Atlantica, sanciva, però, l’ ammissibilità del sostegno dei “Sozialisten” alle
missioni di “peace/keeping” sponsorizzate dalle Nazioni Unite. Accanto all’ aver espresso una
“solidarietà critica” agli U.S.A. dopo gli attacchi terroristici da essi subiti a New York e
Washington l’ 11-9-01, il recente congresso del P.D.S. (Dresda, ottobre 2001), pur all’ interno della
contrapposizione fra la maggioritaria e maggiormente “innovativa” Mozione 1174 e la sensibilmente
più “conservatrice” Mozione 2175, ha , infine, manifestato, accanto alla condanna del terrorismo, la
propria contrarietà all’ operazione militare alleata denominata “Enduring Freedom”176 auspicando,
invece, un maggior coinvolgimento delle Nazioni Unite. L’ “anti/interventismo” dei “Sozialisten”
ne è uscito, dunque, per lo meno sostanzialmente confermato.
3-2: “CHIOSA FINALE”
Né il P.D.S. , né i “Fundis Gruenen”177, né i social/democratici “scettico/dissidenti” e né,
tantomeno, associazioni sparse e movimenti vari possono, però, impedire lo svolgersi di un corso
già segnato anche perché, oltre alla ridotta forza elettorale, e non soltanto, del fronte del
“non/intervento” rispetto a quella dello schieramento ad esso, invece, favorevole, l’ “attivismo
nord/atlantico” della Bundeswehr è figlio della riforma della stessa, a sua volta possibile vista la
174
A sostegno della quale hanno apposto la propria firma : Dieter Klein, Andrè Brie, Michael Brie,
Gabriele Zimmer, Petra Pau, Lothar Bisky, Gregor Gysi, Dietmar Bartsch, Peter Porsch, Angela
Marquardt.
175
In favore della quale hanno, invece, espresso il proprio sostegno : Winfired Wolf, Sara
Wagenknecht, Klaus Kloepcke, Ellen Brombacher, Eric Hahn, Uwe/Jens Hauer, Klaus Paetzold.
176
Operazione messa in atto dal presidente statunitense George W. Bush, in collaborazione “in
primis” con il Regno Unito, contro l’ organizzazione terroristica “Al Quaeda”
(“L’Organizzazione”), facente capo al miliardario saudita Osama Bin Laden, e contro il governo dei
“Talebani” (“Studenti del Corano”) in Afghanistan ma, probabilmente, passibile di allargamento ad
un’ ampia gamma di ulteriori obiettivi.
177
Verdi “fondamentalisti”, ambientalisti/pacifisti radicali istituzionalmente rappresentati dall’
attuale ministro dell’ Ambiente, Juergen Trittin.
61
riconquistata sovranità diplomatica178 sancita, quest’ ultima, anche da dieci anni di “coinvolgimento
germanico” nei Balcani il cui primo, cronologicamente parlando, e, probabilmente, più importante
stadio si è esplicato nella prova di forza sostenuta da Kohl e Genscher in favore di Slovenia e
Croazia. Le analisi che di essa hanno fornito i sette quotidiani “prescelti” riflettono e,
simultaneamente, contribuiscono ad influenzare le opinioni di una popolazione e di un ceto
dirigente, politico, economico e culturale, in chiara maggioranza favorevoli, prima, all’
indipendenza di Lubiana e Zagabria, poi, alla politica tedesca nei Balcani così come si è manifestata
nel corso dello scorso decennio ed infine, ma stavolta dalla “parte giusta”, al “ritorno della ‘Potenza
del Centro’ ”. Crescenti responsabilità, quindi, alla luce di una sempre più definitiva “normalità”.
Altro che “Scheckbuchdiplomatie” (“Diplomazia del libretto degli assegni”)! Stabilire, infine, se e
quanto tale “normalità” sia stata, a partire dal 1990, venga, attualmente, e/o sarà, in futuro,
adoperata nel modo “giusto”, un concetto, quest’ ultimo, talmente astratto da risultare
contraddistinto da contorni estremamente poco definiti, non costituisce tema del presente lavoro.
Onde, però, evitare di incappare nel madornale errore di una eccessiva ed immotivata
“germanofobia”, passando dalla “non/sottovalutazione” della forza tedesca ad una sua “mostruosa
sopravvalutazione”, non bisogna, una volta posto un siffatto quesito alla B.R.D. , dimenticare di
porlo, per lo meno, anche a buona parte dei partners internazionali di questa, europei e non.
178
Conseguenza della ritrovata unità, a sua volta prodotta dagli enormi sconvolgimenti del biennio
1989/1991.
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tra berlino ed i balcani