CAPITOLO PRIMO : IN RISPOSTA AD ALCUNI IMPORTANTI QUESITI 1-1: “I LIMITI TEMPORALI” La data simbolo convenzionalmente ritenuta essere il momento d’inizio del processo poi culminato nella disintegrazione della “Seconda Jugoslavia” è quella del 4/5 maggio 1980: giorno della morte del Maresciallo Tito. Non che questo episodio abbia rappresentato l’ unico frangente della storia della ex/Federazione ad essere successivamente stato letto come foriero di rilevanti conseguenze negative rispetto alla tormentata esistenza della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava. Infatti, anche se probabilmente non provvisti della medesima valenza simbolica, avvenimenti come, ad esempio, l’entrata in vigore della Costituzione del 1974, la pubblicazione del “ Memorandum” da parte dell’ Accademia Serba delle Scienze e delle Arti avvenuta nel 1986 o la scelta di tenere le prime elezioni multi/partitiche del 1990 non a livello federale ma repubblicano, sono stati fatti oggetto di approfondite analisi in numerose ricostruzioni della vicenda storica degli “Slavi Del Sud”. Il tutto, peraltro, senza dimenticare l’intenso dibattito incentrato sul tema dell’artificiosità o meno della costruzione statale jugoslava, sia del dopo Prima che del dopo Seconda Guerra Mondiale1. Ed allora, perché optare, come si è qui scelto di fare, per il giorno delle dichiarazioni unilaterali di indipendenza da parte di Slovenia e Croazia, 25 giugno 1991, come punto di partenza della crisi ? La ragione, secondo chi scrive, risiede nell’ irreversibilità delle conseguenze dell’atto. Non che precedentemente fossero mancati segnali più che preoccupanti rispetto al futuro della Jugoslavia, prima di tutto la devastante crisi economica degli anni ottanta, ma è in quel frangente che si compie un decisivo salto di qualità. Ormai governate da coalizioni politiche, come nel caso Slovenia, o partiti unici, come in quello della Croazia, capi dell’ esecutivo e presidenti decisi a troncare ogni rapporto con Belgrado, Lubiana e Zagabria, forti anche di una perlomeno…“benevola attenzione” da parte di attori importantissimi della scena internazionale, rompono ogni indugio e la 1 Per maggiori dettagli rispetto alla storia della “Prima” come della “Seconda” Jugoslavia e rispetto al dibattito relativo all’artificiosità della costruzione statale jugoslava, a prescindere dal suo “colore politico interno”, rimando alla “Bibliografia”. Essa infatti, pur lontana dalla piena completezza, ritengo includa contributi provenienti almeno dalle più consolidate “scuole di pensiero” in materia. 1 Jugoslavia, che già aveva cessato di essere socialista in seguito alla dissoluzione della Lega Dei Comunisti, ai risultati delle varie elezioni politiche repubblicane ed alle poi non completate riforme portate avanti dal governo dell’ ultimo premier federale, Ante Markovic’, cessa sostanzialmente di esistere anche come entità statale. Non si tratta, in questo caso, di un gruppo di intellettuali dissidenti facilmente isolabili e reprimibili, di uno scontro interno al partito gestibile attraverso epurazioni, espulsioni, promozioni, declassamenti e rimozioni o di rivolte etnico/localistiche ancora prive di obiettivi chiari o della coerenza e della lucidità necessarie nel perseguirli (ad esempio Kosovo 1980/81) ma di governi repubblicani le cui piattaforme politiche anti/comuniste ed anti/federali sono uscite vincitrici dallo scontro elettorale. Un particolare, questo, che non ha potuto che confermare, ed al limite rafforzare, la recentemente sopraggiunta, ma già notevolmente radicatasi, determinazione delle repubbliche jugoslave settentrionali (quelle, non va dimenticato, socio-economicamente più avanzate) a non essere ulteriormente parte della Federazione. Alla luce, poi, dei pur complessivamente limitati scontri fra Esercito Federale e Milizia Territoriale Slovena nonché (ed in questo caso in maniera ancor più evidente) della ben più intensa guerra sloveno/croata (avvenimenti, questi, in strettissimo rapporto con i fatti del 25 giugno 1991), le dichiarazioni unilaterali di indipendenza da parte di Lubiana e Zagabria costituiscono un precedente assoluto ed allo stesso tempo segnano “il punto di non ritorno”. Quindi, una volta attestato tale salto di qualità ed altresì constatata l’ entità assolutamente unica delle conseguenze dello “strappo” con Belgrado, e perciò accettato il 25-6-91 come momento iniziale della prima fase della crisi nella ex/Jugoslavia, diventa quasi “automaticamente” inevitabile riconoscerne nel 15-1-92, giorno del riconoscimento ufficiale di Slovenia e Croazia da parte della C.E./U.E. , il punto di approdo; nonostante quest’ ultimo veda Lubiana e Zagabria alle prese con problemi senza dubbio di divergente entità. Rapidamente archiviato il lieve scontro con l’ Esercito Federale ed in tal modo mantenuta la propria auto-proclamata indipendenza, la Slovenia ha risolutamente intrapreso un non brevissimo, e non ancora ultimato, cammino in direzione dell’ U.E. (e della N.A.T.O.) , intenzionata a completare definitivamente la propria “uscita” dal mondo balcanico. La Croazia, invece, anch’essa vincitrice rispetto allo scopo di secedere dalla Federazione e di ottenere, per tale atto, il riconoscimento internazionale ma sconfitta nello scontro con gli “Jugo/Serbi” dell’autunno 1991/92, dovrà rinunciare, per più di tre anni, a controllare direttamente quasi un terzo del proprio territorio. Senza contare, inoltre, le non poche perplessità suscitate in Occidente (e ciò soprattutto ai fini di una possibile candidatura a membro dell’ U.E.) dallo stile governativo decisamente autoritario del presidente Franjo Tudjman e le notevoli difficoltà economiche sviluppatesi tanto come prodotto della guerra e della mobilitazione delle risorse del paese in senso accentuatamente militare (al fine di preparare la rivincita della primavera e dell’ estate del 1995) e quanto come effetto di una riconversione all’ economia di mercato, di per sé (e ciò non solo entro i confini croati) 2 mai indolore ed inoltre indubbiamente costellata da copiose “zone d’ombra”. Situazioni economico/politiche certamente disomogenee caratterizzano, dunque, Slovenia e Croazia alla data del 15-1-1992 ma entrambe accomunate dal medesimo dato di fondo: il raggiungimento definitivo dell’ obiettivo ufficialmente perseguito sin dal 25-6-91. Per questa e per le altre ragioni precedentemente addotte, si è ritenuto lecito poter confinare la prima fase della crisi nella ex/Jugoslavia entro i sopra citati limiti temporali i quali, conseguentemente, costituiranno gli estremi del periodo in questa sede preso in esame. 1-2: “PERCHE’ PROPRIO LA GERMANIA ?” I drammatici avvenimenti che hanno segnato la storia dei territori facenti parte della defunta Jugoslavia Socialista durante gli anni novanta sono stati, ovviamente, seguiti con estrema dovizia di particolari (anche se ciò non autorizza assolutamente ad instaurare avventati parallelismi fra quantità e qualità dell’informazione disponibile)2 anche al di fuori dei confini della Repubblica Federale Tedesca. Ed allora perché “consacrare” il seguente lavoro ad una “prospettiva teutonica” ? Non è questa la sede né per esaminare le ragioni della “Finis Jugoslaviae”, né per stabilire quale, fra le molteplici cause di tale accadimento, sia stata quella “decisiva”3.E’ però fuor di dubbio che dal 3 ottobre 1990, data ufficiale della riunificazione tedesca, i rapporti di forza in Europa abbiano subito un sostanziale mutamento e che tale mutamento non sia stato certo estraneo alla ad esso solo leggermente successiva dissoluzione delle tre entità statali, almeno formalmente, federali dell’ Europa non occidentale e cioè : Jugoslavia, Unione Sovietica e Cecoslovacchia. Massima beneficiaria della conclusione della Guerra Fredda, la Germania degli anni novanta ha speditamente iniziato un processo di emancipazione dalla quasi cinquantennale condizione di minorità (“gigante economico,nano politico”, recitava la celeberrima frase di Henry Kissinger) nella quale l’assetto 2 Per una critica ad ampio raggio del “sistema dell’informazione” (almeno per quanto concerne il mondo occidentale e gli U.S.A. soprattutto), rimando a : N. Chomsky : “La fabbrica del consenso ovvero la politica dei mass media” M.Tropea Ed., Milano, 1998. Per una critica, invece, più legata all’ informazione relativa alla crisi nella ex-Jugoslavia, si vedano, ad esempio : A. Desiderio : “La guerra dei media : come contare i morti in Kosovo?” Limes,1/00 ; E. Follath : “Der etwas andere Krieg” Der Spiegel, 2/00 ; S. Halimi,D. Vidal : “Cronaca di una disinformazione” Le Monde Diplomatique, 3/00 ; E. W. Said : “Journalistische Fluegeladjutanten” Le Monde Diplomatique, 7/99. 3 Per un tentativo di analisi ad ampio raggio concernente le cause della “Finis Jugoslaviae” vedi nota 1. 3 post/bellico continentale (non a caso simboleggiato dalla divisone inter-tedesca ed ancor più evidentemente, a partire dall’ agosto del 1961, da quella inter/berlinese) l’aveva relegata. Per opposizione, a questo punto, il paragone con il Giappone è francamente inevitabile. Le similitudini, però, si fermano qui. Il grande sconfitto asiatico della Seconda Guerra Mondiale stenta, infatti, a farsi “gigante politico e militare”. Ciò accade, anche tralasciando la non facilissima congiuntura economica che Tokyo è costretta da qualche anno ad affrontare, non solo a causa delle obiettive difficoltà che scaturiscono da uno scenario geo/politico est/pacifico ad esso non certo favorevolissimo ma anche a causa della persistenza di fortissime remore interne dovute, queste ultime, al rifiuto, diffuso tanto nell’ opinione pubblica dell’ Impero quanto presso le sue classi dirigenti, di prendere atto delle enormi responsabilità giapponesi, nei confronti degli altri popoli asiatici (cinesi su tutti) , per quanto commesso durante il conflitto. A confronto con quanto compiutosi in Germania in termini di analisi del passato nazista (caratteristiche, ascesa, sviluppo, crimini, crollo) , nulla di neanche lontanamente paragonabile si è verificato a Tokyo. Questa mancanza è però decisiva. Ammettere le proprie colpe fungerebbe, infatti, da primo passo in direzione della piena riabilitazione politica del paese (su quella economica, difficoltà contingenti a parte, non c’è bisogno alcuno di dilungarsi) a sua volta primo passo verso un eventuale raggiungimento di una “maggiore età” capace di emanciparlo dalla stretta tutela politico/militare statunitense. Sempre, però, a patto che si verifichi un tanto radicale quanto attualmente improbabile mutamento dello scacchiere geo/politico dell’ Asia orientale. Pur essendo buona norma non escludere alcunché (quanti nel 1987, anno della visita ufficiale di Honecker nella R.F.T. , avrebbero scommesso sulla scomparsa della D.D.R. solo tre anni dopo ?) , torniamo al Vecchio Continente ed al “processo emancipatorio” che vede protagonista la sua prima potenza. Risulta, a tal proposito, estremamente arduo sostenere che la decisione di trasferire la capitale federale da Bonn a Berlino (dopo la “Weimarer” e la “Bonner” ci troveremmo attualmente, infatti, secondo quanto sostenuto da numerosissimi storici ed analisti politici, nell’ “Era” della “Berliner Republik”) , la costante “preoccupazione/pressione” affinché la moneta unica europea, ovvero l’Euro, sia quanto più “simile” possibile al DM, la scelta di Francoforte Sul Meno come sede della Banca Centrale Europea, la richiesta di un seggio permanente alle Nazioni Unite, il ruolo svolto in Bosnia/Erzegovina, quello, ancor più esplicito, tenuto durante il conflitto che dal marzo al giugno del 1999 ha visto la “Terza Jugoslavia” fronteggiare la N.A.T.O. e l’ esplicito sostegno alla opposizione serba anti/Milosevic’ , principalmente nella figura del “germanofilo” (anche perché germanofono) attuale premier serbo Zoran Djindjic’ , non costituiscano, come invece appare in tutta evidenza per lo meno a chi scrive, altrettanti corposi “sintomi” di una ritrovata “normalità” tedesca i cui effetti non hanno certo risparmiato il rapporto privilegiato con la Francia, cioè il cardine di ogni progresso sulla strada della costruzione europea. Non più “avamposto monco” dell’ Occidente ma 4 colosso eco/demografico posto al centro del Continente, non più “junior partner” di una Francia che già prima del 1989 le era economicamente inferiore e sempre meno “ricattabile” strumentalizzando i fantasmi di un orribile passato, l’attuale R.F.T. mostra sempre più la tendenza a perseguire i propri interessi nazionali “supportata” dal medesimo grado di sicurezza ed auto/legittimazione del quale ogni altra potenza realmente rilevante ha sempre potuto godere, sostituendo l’ europeismo “iper/convinto” impostole dalla contrapposizione Est/Ovest, e perseguito quasi acriticamente onde fugare i mai sopiti timori relativi all’ “eterno tema” del “Sonderweg” (in realtà, specchio di una condizione poco distante da quella di “appiattimento politico” su Parigi senza, inoltre, assolutamente dimenticare la notevolissima tutela esercitata su Bonn da parte degli Stati Uniti D’ America), con un atteggiamento certamente più attivo e più attento alla disamina del rapporto costi/benefici relativo ad ogni mossa da compiere sullo scacchiere internazionale. A questo proposito, infatti, è tutt’altro che casuale che la più importante proposta volta a rilanciare l’ Europa del dopo/Maastricht e ad evitare che l’ allargamento ad Est dell’ Unione si risolva nel diluirsi di ogni istanza almeno “proto/Federale” sia provenuta proprio dalla Germania. Ci si riferisce, ovviamente, all’ idea del cosiddetto “Nucleo Duro”, o “Kern Europa”, avanzata nel settembre del 1994 dal cosiddetto “Documento Schaeuble/Lamers” ripresa, durante la primavera del 2000, dal Ministro Degli Esteri Joseph, “Joschka”, Fischer e rilanciata, in senso ancor più accentuatamente federale/federalista, sia dal Presidente Johannes Rau nel novembre del 2000 che dal cancelliere Gerhard Schroeder nel maggio del 20014. Ci troviamo, dunque, di fronte al ritorno della “Mittel Europa” ? La “Kern Europa” si prospetterebbe, perciò, come la chiave di volta di un “ennesimo”, rinnovato e costantemente paventato tentativo egemonia tedesca sul continente ? Con quale grado di intensità si è già presentata, si presenta e si presenterà, in un futuro più o meno prossimo, la “Re/Germanisierung”, “dolce” questa volta, di quella fascia d’Europa compresa fra la linea Stettino/Trieste ad Occidente e quella S. Pietroburgo/Dnestr ad Oriente? E’ ammissibile, inoltre, essere fieri di una Germania ormai “finalmente adulta” ? Sono, queste, domande tutte suscettibili di un ampio ventaglio di risposte molto spesso estremamente differenti l’ una dall’ altra a seconda non solo delle idee politiche ma anche, ed in non pochi casi anche a prescindere da queste ultime, della nazionalità e dell’ età anagrafica dell’ interlocutore al quale vengano poste. Rimandando, a tal proposito, per ulteriori dettagli al capitolo delle “Conclusioni”, si ritiene, però, comunque utile accennare anche già adesso, a titolo esemplificativo, alla rimarchevole differenza, negli accenti e 4 Sul “Documento Schaeuble/Lamers”, vedi : L. Caracciolo : “Con i francesi ma senza escludervi” Colloquio con W. Schaeuble Limes, 2/95. Sulla “Proposta Fischer”, vedi : A. Tarquini : “Berlino: Europa a due velocità” La Repubblica, 31-5-00 ; A. Tarquini : “Più poteri ai paesi forti” Intervista con J. Fischer La Repubblica, 31-5-00. Sulle relative esternazioni di J. Rau, vedi : S. Vastano : “L’Europa? Sarà una grande Svizzera” L’Espresso, 9-11-00. Sul “Rilancio Schroeder”, vedi : “Schroeder’s Europe” The Economist, 5-5-01. 5 nei contenuti, fra le valutazioni espresse dall’ attuale Cancelliere, da un lato, e dall’ attuale Presidente Federale, dall’ altro, rispetto ad un tema non certo semplice come quello relativo all’ opportunità ed alla liceità, o meno, dell’ essere “orgogliosi” di essere tedeschi. Pur accomunati dall’ appartenenza al medesimo partito socialdemocratico, Schroeder e Rau si sono attestati su posizioni piuttosto divergenti. Il più giovane Schroeder si è infatti definito “orgoglioso e patriota”, mentre il più anziano Rau si è dimostrato decisamente più cauto. E ciò, poi, senza tralasciare il serrato dibattito concernente il grado di “maturità” politico/progettuale con il quale la Germania è impegnata a fronteggiare le nuove sfide che le derivano dalla sue mutata collocazione europea ed internazionale, a sua volta scaturita dalle sue mutate condizioni geo/politiche5. Ma se, da un lato, appare indubbiamente plausibile poter prospettare una non ancora “completa comprensione” da parte della R.F.T. della propria differente posizione internazionale oppure, complici anche pesanti remore storiche, una non ancora piena coerenza nel legare l’interesse nazionale individuato ad una chiara volontà e ad “idonee” modalità di perseguirlo, resta però, d’ altro canto, inconfutabile il dato di fatto della Riunificazione, e del “passaggio alla maggiore età” ad essa intrinseco, come causa di un notevole sommovimento all’ interno dei rapporti di forza non solamente inter/europei. Il primo, cronologicamente parlando, chiarissimo segnale di tale evidentissimo mutamento, “sintomo” relativo alla penisola balcanica ma estremamente carico di implicazioni di carattere decisamente più ampio e generale, è rintracciabile nella politica svolta da Bonn/Berlino rispetto alle istanze indipendentiste manifestate da Slovenia e Croazia nel corso del 1991 e soprattutto, onde rimanere all’ interno dell’intervallo temporale precedentemente scelto, in relazione al periodo compreso fra il 25-6 del medesimo anno ed il 15-1-92. Senza l’ appoggio congiunto di marca austro/tedesca e vaticana infatti, le aspirazioni indipendentiste di Lubiana e Zagabria avrebbero incontrato difficoltà certamente maggiori rispetto a quelle, peraltro non irrilevanti (almeno nel caso della Croazia), effettivamente affrontate. Sarebbe francamente fuorviante additare il “complotto catto/austro/tedesco” come il responsabile unico del “demontage” della Jugoslavia socialista ma, d’ altro canto, per quanto “controverso” possa essere valutarne il peso, non è lecito dubitare della realtà dell’esistenza di siffatto supporto in favore delle due Repubbliche settentrionali della ex/Federazione. E l’ elemento chiave di questo sostegno è risultata essere proprio la presenza germanica. Il governo della R.F.T. , infatti, è stato il primo a riconoscere ufficialmente Slovenia e Croazia, il 23 dicembre 1991, seguito, non casualmente, da Austria, Santa Sede e, solo 5 Su “Re/Germanisierung” e “maturità geopolitica” della B.R.D. vedi, fra l’altro : A. Baring : “La Germania insicura ed il dilemma del ‘centro scomodo’” Limes, 1/96 ; O. Fahrimi : “Perché ‘Framania’ non significhi Babele” Limes, 2/95 ; L. Incisa Di Camerana : “La vittoria dell’Italia nella Terza Guerra Mondiale” Laterza, Bari/Roma, 1996 ; M. Kornimann : “Euroregioni o nuovi Laender ?” Limes, 4/93 ; D. Lawday : “The return of the Habsburgs” A survey of central Europe, The Economist, 18nov., 95 ; L. Watzal : “I veri interessi tedeschi” Limes, 3/00 ; W. Weidenfeld, J. Jenning : “New patterns of balance for Europe” International Herald Tribune, 28oct., 93. 6 “controvoglia”, dai partners europei, dagli Stati Uniti e dal resto del mondo. Ma affinché non si pensi ad un “Generalplan Ost riveduto e corretto”, è bene ricordare come il processo sfociato in quella decisione sia stato tutt’ altro che lineare. Chi scrive non dubita affatto della ben più che probabile possibilità che statisti del calibro di Helmut Kohl e Hans Dietrich Genscher abbiano elaborato e “promosso” ipotesi di “risistemazione” dello spazio centro/europeo per “l’ Era del dopo/Riunificazione” (“ri/sistemazione”, del resto, “quasi/inevitabile” vista la stazza del colosso germanico) ma è perlomeno altrettanto innegabile l’esistenza di un contrasto, in merito alla posizione da assumere rispetto alle pulsioni indipendentiste sloveno/croate, fra il Cancelliere Federale ed il Ministro Degli Esteri, sostenuti dai liberali della F.D.P. (il partito del primo) e da una non convintissima maggioranza della democristiana C.D.U. (il partito, invece, del secondo), da un lato, ed una…“tanto variegata quanto involontaria Grande Coalizione”, dall’ altro. Mentre i primi, per europeismo convinto ma anche dettato loro dalle rispettive cariche ricoperte, si attenevano infatti, almeno inizialmente, alla linea della comunità internazionale (favorevole alla “Jugoslavia unita e democratica” del Premier Federale, Ante Markovic’) , una “strana alleanza” esercitava, in nome di motivazioni a volte simili ed a volte del tutto differenti tra loro, non poche pressioni a favore del riconoscimento dell’ indipendenza di Lubiana e Zagabria. I partecipanti a quest’ inedita convergenza possono essere divisi in due settori : uno di destra ed uno di sinistra. A destra, cinque protagonisti giocarono un ruolo estremamente rilevante : l’ autorevolissimo quotidiano “F.A.Z.”, l’ altro importante quotidiano di centro/destra “Die Welt”, il settore maggiormente orientato in senso conservatore presente all’ interno della C.D.U. (capitanato da Wolfgang Schaeuble) e due Laender “di peso” come il Baden/Wuerttemberg e, soprattutto, la Baviera ; politicamente dominata, quest’ultima, da una C.S.U. (Unione specificamente bavarese alleato della invece Cristiano-Sociale, partito cattolico/conservatore interconfessionale e “pangermanica” C.D.U. e portatrice, rispetto a quest’ultima, di programmi politici certamente più di destra ) schieratissima a favore della indipendenza di Slovenia e Croazia6. A sinistra, invece, si segnalarono, per il loro appoggio a Lubiana e Zagabria, prima di tutto i Verdi/Alleanza’90 (peraltro, subito imitati dai loro omologhi austriaci) ed il quotidiano berlinese “TAZ.” seguiti, a loro volta, dai socialdemocratici 6 Non va, inoltre, assolutamente taciuto il contributo alla spinta internazionale pro/Lubiana e pro/Zagabria fornito dal ruolo svolto al riguardo da Laender austriaci come Stiria e Carinzia in particolare, dal partito popolare (democristiano) austriaco (OE.V.P.), dal partito liberale austriaco (F.P.OE.), da numerosi esponenti ecclesiastici tedeschi ed austriaci, dalla stessa Santa Sede, da una tutt’altro che trascurabile lobby pro/slovena e pro/croata presente all’interno della D.C. italiana a livello centrale/nazionale ed anche da buona parte delle classi dirigenti economico/politico/culturali delle nostre regioni del Nord/Est, operanti, queste ultime, nell’ ambito dell’iniziativa trans/frontaliera “Alpe Adria”. Sul ruolo di tali “agenti non troppo secondari” si veda, ad esempio: J. Elsasser : “Der Dritte Mann” Konkret, 9/00 ; S. Ostojc’ : “Vaticano 1991. La vera storia della lobby croata”Limes, 3/98 ; A. Varsori : “L’Italia nelle relazioni internazionali. 1943/1992” Laterza, Bari/Roma, 1998. 7 della S.P.D. (o, per lo meno, da una sua netta maggioranza interna come, del resto, accaduto in Austria presso i loro omologhi austriaci della S.P.OE.) e dal “suo” quotidiano, il “Frankfurter Rundschau”. Fautore, invece, di una posizione decisamente più moderata si è rivelato l’autorevole “S.Z.”7. L’ ala destra di questa inedita “Grosse Koalition” motivò il proprio sostegno alle aspirazioni indipendentiste sloveno/croate con il perseguimento di un chiaro disegno di precipua marca geopolitica: la creazione, cioè, di una “Neo/Mittel/Europa”, fatta di intrinsecamente deboli “piccole patrie”, orbitante intorno al colosso tedesco ed in grado, allo stesso tempo, di offrire ai Laender della Germania meridionale, in generale (ridimensionati all’ interno dall’ unione con i territori dell’ ex/D.D.R. e, soprattutto, dal crescente peso della neo/capitale Berlino), ed alla Baviera, in particolare, lo spazio per una politica estera regionale e parallela a quella governativa e capace di tutelarne la radicatissima e quasi “venerata” identità politico/statuale (“FreiStaat Bayern”) nei confronti tanto di Bonn/Berlino che di Bruxelles. Il tutto, giova sottolinearlo, ottenuto superando “la metafisica della colpa”8 ed “autonomizzandosi” in politica estera per trasformare la Germania in un “normale” stato nazionale europeo, libero di perseguire i propri obiettivi sullo scacchiere internazionale in base alle proprie priorità ed esigenze, al di fuori di qualsivoglia tutela. Il “settore di sinistra” di tale precedentemente citata “Strana Alleanza” invece, pur non certo alieno dallo stesso tipo di considerazioni geopolitiche (è, infatti, poco credibile sostenere che una importante forza politica come la S.P.D. non avesse assolutamente preso atto dell’ accresciuta potenza del paese alla luce della sua nuova collocazione geo/politica e strategica), si mosse principalmente per due ordini di motivi. Il primo di essi è strutturalmente intrinseco alla dialettica fra governo ed opposizione. Il secondo è, invece, di carattere decisamente più generale. Non c’è nulla di sorprendente, infatti, se i maggiori partiti di opposizione, onde metterlo in difficoltà di fronte all’ opinione pubblica, assumono una posizione contraria e “più ferma” rispetto a quella del governo. Specialmente se ciò accade in relazione ad un tema così rilevante come la crisi nella ex/Jugoslavia. Sarebbe, però, indubbiamente riduttivo non considerare l’ importanza che principi come “l’autodeterminazione dei popoli” ed “il rispetto dei diritti umani” (principi, però, estremamente vaghi nel contenuto e, perciò, facilmente…“geo/politicamente manipolabili”) hanno avuto nel costruire il quadro rappresentativo al quale soprattutto i Verdi/Alleanza’90, per lo meno ampia parte della S.P.D. ed i quotidiani “Frankfurter Rundschau” e “TAZ.” hanno, in particolar modo, attinto allo scopo di leggere il conflitto fra Belgrado, da un lato, e Lubiana/Zagabria, dall’altro. Estremamente significative appaiono in questo caso, per la loro carica di “idealismo” e 7 Anche il quotatissimo settimanale “Die Zeit”, condiretto e coedito anche dall’ex cancelliere socialdemocratico, nonché “rivale” e successore di Willy Brandt, Helmut Schmidt, si è mostrato piuttosto prudente. 8 Confronta, a tal proposito, L. Caracciolo : “Cosa cerca la Germania in Jugoslavia” Limes, 3/94, pag.125 e seguenti. 8 per essere state pronunciate da uno degli statisti più importanti della Germania post/bellica, le dichiarazioni che l’ allora ancora vivo Willy Brandt (all’epoca presidente onorario della S.P.D.) rilasciò il 27-5-91 a Graz, capitale della Stiria (Land austriaco, come sopra precedentemente evidenziato, fortemente filo/croato e, soprattutto, filo/sloveno). L’ alto esponente socialdemocratico, infatti, giudicava l’ allora Comunità Europea come “troppo vincolata all’ idea di uno stato unitario jugoslavo” e la accusava di “sopravvalutare il principio della non/ingerenza”.9 Stretti, perciò, dalla C.S.U. e da consistente parte della C.D.U. , a destra, e da (per lo meno non trascurabile parte della) S.P.D. e Verdi/Alleanza’90, a sinistra, Kohl e Genscher, anche in seguito alla montante pressione esercitata da una opinione pubblica “mobilitata” in senso “anti/belgradese” da una poderosa offensiva mediatica che ha visto schierati sul medesimo fronte “F.A.Z.”, Die Welt, Bild Zeitung (il quotidiano, “tabloid” in questo caso, più diffuso tra il Reno e l’Oder/Neisse), “Frankfurter Rundschau”, “TAZ.”, Der Spiegel e Radio/Televisione Bavarese,10 cedono a tali sollecitazioni (non eccessivamente a malincuore, in verità…) con gli avvenimenti del 23-12-1991 che si configurano, dunque, come logica conseguenza, al limite anticipata nei tempi, del “disco verde” alle Repubbliche secessioniste già accordato il 16 del medesimo mese in sede comunitaria, a Bruxelles11, e di quanto da Genscher ancor precedentemente promesso al “Ministro Degli Esteri” sloveno, Dimitri Rupel.12 E’ quindi alla luce dei notevoli interessi geo/politici e geo/economici della Germania nella regione (a loro volta determinati e “confermati” da consolidati rapporti storici) e dell’ “Alleingang” tedesco rispetto al riconoscimento di Slovenia e Croazia come prodotto di questi ultimi, come risultato di fortissime pressioni interne ma anche come strumento di auto/legittimazione sul piano internazionale e di uscita da una quasi cinquantennale condizione di tutela, che si è deciso di “consacrare” il presente lavoro ad una “prospettiva tedesca”. “Riconoscendo, DA SOLA, Slovenia e Croazia”, ha scritto, infatti, Lucio Caracciolo ed è difficilissimo dargli torto, “la Germania riconosce sé stessa”.13 1-3: “I SETTE QUOTIDIANI” 9 A tal riguardo, confronta : “SPD : Slowenien anerkennen” Die Welt, 28-5-1991. “Quando scoppiò la guerra con i Serbi”, ha scritto Flora Lewis, “la TV Bavarese, fortemente influenzata dall’ ultra/conservatore governo locale e dalla potente e dogmatica chiesa cattolica bavarese, intimamente connessa a quella croata, fornì i servizi televisivi a tutta la Germania. Erano cronache estremamente parziali” F. Lewis : “Between Tv and the Balkan war”, New Perspectives Quarterly, n.11/1994 11 A tal proposito, confronta : L. Caracciolo : “Cosa cerca…”, op. cit., pag.145. 12 “Schaeuble fuer Anerkennung”, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 4-11-1991. 13 A tal riguardo, confronta: L. Caracciolo : “Cosa cerca…”, op.cit., pag.145. 10 9 Nello scegliere quali quotidiani prendere in esame al fine di analizzare, comparare e commentare le posizioni da essi espresse in merito alla fase iniziale della crisi jugoslava, ci si è orientati affinché questi rispondessero a ben precise caratteristiche. In un paese in cui la carta stampata ha tradizionalmente fatto propria una spiccata vocazione locale e regionale, e che conosce la differenziazione fra “tabloids” e “quality papers”, si è deciso di puntare su quotidiani “di respiro” nazionale ed al tempo stesso contraddistinti da una notevole serietà di contenuti. Ciò, comunque, senza ignorarne la effettiva diffusione e cercando di fornire un quadro quanto più pluralistico possibile partendo, a tal fine, da testate chiaramente conservatrici, “F.A.Z.” e Die Welt, passando per altre di stampo social/liberale e socialdemocratico, rispettivamente “S.Z.” e “Frankfurter Rundschau”, fino a giungere a quotidiani decisamente schierati a sinistra, anche se con modalità anche piuttosto differenti l’ uno dall’ altro (“TAZ.”, “N.D.” e “J.W.”). L’ unico settore politico in questa sede non considerato è stato quello dell’ estrema destra la quale, per quanto non priva di proprie testate quotidiane e non incapace di notevoli “exploit” elettorali, paga un pesante scotto alla propria frammentazione interna ( tre le liste presenti a livello nazionale: il Republikaner Partei (ai cui sostenitori ci si riferisce come “Reps”), la Deutsche VolksUnion o D.V.U. ed il NationalDemokratische Partei Deutschlands o N.P.D.), alla mancanza di una figura leader capace di fungere da catalizzatore di un universo politico non alieno da potenzialità non certo irrilevanti ed alla scarsa qualità e preparazione dei propri militanti. Tali mancanze (alle quali va aggiunto il generale ostracismo, per quanto non pienamente “a tenuta stagna”, che l’ “Arco Costituzionale” tedesco ha tradizionalmente praticato, e tuttora continua a praticare, nei confronti di qualunque formazione collocata alla destra della C.D.U./C.S.U.), pur in presenza di per lo meno più che discrete possibilità finanziarie,14 costituiscono un serio ostacolo che finisce per impedire la presenza, per quanto concerne quest’ala dello spettro politico, di testate quotidiane di sorta.15 Nell’ ambito dell’ “Introduzione”, però, si è anche delineata una divisione, all’ interno del gruppo dei sette quotidiani politici scelti per il presente lavoro, fra “F.A.Z.” e “S.Z.”, da un lato, ed i cosiddetti “minori”, dall’ altro. Il perchè di questa differenziazione risiede nella maggiore importanza dei due fogli “maggiori”, a sua volta determinata da un livello complessivo, in fatto di vendite, autorevolezza ed anche contenuti, chiaramente superiore. Fondato a Francoforte sul Meno nel 1949, la “F.A.Z.” costituisce, senza dubbio, il più autorevole quotidiano politico tedesco. Tradizionalista e conservatrice, esso è stato paragonato alla Porta di Brandeburgo in quanto “non bello ma solido”.16 Dotato di un numeroso contingente di corrispondenti dall’estero che gli permette di coprire le 14 In particolar modo per ciò che concerne la D.V.U. . Neanche la formazione dotata del maggior numero di militanti attivi, e cioè la N.P.D. , riesce a tagliare un simile traguardo. 16 Confronta : F. Barbieri : “Germania 4 Italia 0. Federalismo, governabilità, finanza, informazione: le soluzioni tedesche” Baldini&Castoldi, Milano, 1996, pag.147. 15 10 notizie internazionali in modo quasi indipendente dalle grandi agenzie di stampa (caratteristica, questa, che ne conferma e ne rafforza tanto l’ affidabilità quanto l’ autorevolezza), il “F.A.Z.”, con le sue circa quattrocentomila copie quotidianamente vendute17, trova nella C.D.U./C.S.U. il suo principale interlocutore politico ed ha spesso funto da importantissimo “podio” dal quale lanciare dibattiti storico/politici quasi sempre su temi di centro/destra. Il più famoso, e , probabilmente, anche il più furibondo di essi, cominciò il 6-6-1986. Si trattava del celeberrimo “HistorikerStreit” iniziato da Ernst Nolte e dalla sua tesi del “legame di causalità” fra gulag sovietici e campi di sterminio nazisti. Se al “F.A.Z.”, dunque, può essere, grosso modo, assegnato il titolo di “Corriere Della Sera tedesco”, la qualifica di “La Repubblica in versione teutonica” non può non andare al “Sueddeutsche Zeitung” . Forte di quattrocentotrentacinquemila copie giornalmente vendute18, il quotidiano fondato a Monaco di Baviera nel 1945 è il più acquistato in Germania, sempre, però, rimanendo all’interno dell’ambito dei “quality papers”. Fautore di una linea social/liberale e vicino, ma mai eccessivamente, alla S.P.D. , il “S.Z.” rappresenta “un’ eccezione laico/riformista” nella cattolicissima ed esplicitamente conservatrice Baviera ma, pur superando, anche se solo leggermente, il “rivale” francofortese quanto a vendite, è ancora ritenuto privo del medesimo “allure”.19 Fra i quotidiani in questa sede definiti “minori” è il “Die Welt” quello maggiormente venduto. Nato nel 1946 a Monaco di Baviera, ha trasferito, dal 1993, il proprio ufficio editoriale centrale a Berlino e, forte di una tiratura di circa duecentoventimila copie giornaliere20 , essa svolge la funzione di “corazzata” del Gruppo Editoriale Springer in quanto “interfaccia intellettuale” del popolarissimo “tabloid”, sia quanto a vendite che a contenuti, “Bild Zeitung”. “Famoso” per essere il primo giornale che Nikita Kruschev pare leggesse al mattino, la “Die Welt” è un quotidiano di ispirazione “conservatrice/nazionale”. Fortemente anti/comunista ed anti/socialdemocratico, anche in opposizione alla linea di “appeasement” rispetto all’esistenza della D.D.R. che la S.P.D. ha tradizionalmente perseguito trovandosi così, tanto indubbiamente quanto nettamente, spiazzata dalla repentinità degli avvenimenti del dopo 9 –11-89, essa è stata definita, durante i sedici anni che hanno visto Helmut Kohl a capo della coalizione governativa formata da C.D.U./C.S.U. e F.D.P. (1982-1998), “la Pravda di Bonn”. Collocabili sull’ opposto versante sono, invece, il “Frankfurter Rundschau” ed il “TAZ.”. Il foglio francofortese, venduto in circa centonovantamila copie giornaliere21 , può essere definito “il quotidiano della S.P.D.”, non distanziandosi poi molto, in un 17 Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.161 ; H. Meyn : “Mass Media in the Federal Republic Of Germany”, Volker Spiess, Berlin, 1994, pag.40. 18 Confronta : www.presse-im-handel.de 19 Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.116. 20 Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.161 ; H. Meyn, op.cit., pag.41 21 Confronta : www.presse-im-handel.de ; F. Barbieri, op.cit., pag.161 ; H. Meyn, op.cit., pag.41. 11 eventuale confronto con il panorama italiano, da “L’ Unità” dell’ epoca P.D.S.22/D.S. , mentre è “Il Manifesto” il giornale italiano più facilmente accostabile al berlinese “TAZ.” . Acquistata quotidianamente da circa sessantamila lettori23, il “TAZ.” è una…“versione più verde e meno comunista” del suo “omologo” italiano. Nato nel 1979, grazie ai sussidi ed ai vantaggi fiscali concessi dall’ allora governo tedesco/occidentale a chi fosse intenzionato a fondare attività imprenditoriali nell’allora “vetrina dell’ Occidente in pieno territorio nemico”, esso si fa portavoce di una sinistra pacifista, ambientalista, terzomondista, “movimentista”, femminista e schierata in difesa di immigrati e minoranze, sia etnico/religiose che in tema di preferenze sessuali. Viste queste sue caratteristiche, è spesso in conflitto con l’attuale governo “rosso/verde”. Lo critica, perciò, da sinistra, e non senza anche rimarchevoli asprezze, dimostrandosi però, allo stesso tempo, estremamente “freddo” nei confronti del Partei Des Demokratischen Sozialismus, o P.D.S. , “partito erede” della Sozialistische EinheitsPartei Deutschlands, o S.E.D.24 , precipuamente radicato ad Est ma che comincia, lentamente, a farsi strada anche ad Ovest. Nonostante le non poche differenze che li separano, “F.A.Z.”, Die Welt, “S.Z.”, “Frankfurter Rundschau” e “TAZ.” sono testate comunque accomunate da una medesima caratteristica : la provenienza geografica. Si tratta, infatti, di quotidiani tutti identificabili come “occidentali”. Ma, a più di undici anni dal 3 ottobre 1990, vocaboli come “Est” ed “Ovest”, in Germania, continuano a rivestire un significato che va parecchio al di là di quello abitualmente attribuito a due dei quattro punti cardinali. Divisa per oltre quaranta anni nei due “stati/vetrina” dei due opposti sistemi economico/politici la cui contrapposizione globale trovava giusto nel bel mezzo dell’Europa il proprio punto di massimo attrito, ed è, probabilmente, questo il motivo dell’assenza di guerra “calda” dal territorio del nostro Continente durante tutto il corso della cosiddetta “Guerra Fredda”, la Germania del “dopo/Muro” ha dovuto affrontare un tutt’ altro che facile processo di unificazione interna, a sua volta ben altra cosa dal “semplice spostamento ad Oriente delle frontiere della vecchia R.F.T.” , i cui complessi aspetti economici, politici ed anche socio/psicologico/culturali sono stati ulteriormente aggravati da un “movimento riunificatorio fra i due stati tedeschi” che, probabilmente, ha assunto, prima di tutto in conseguenza di una ben preciso indirizzo politico esplicitamente voluto in prima persona da Helmut Kohl, un ritmo eccessivamente velocizzato. Pungolata, quindi, sia dalle rimarchevolissime difficoltà, ancora una volta di carattere economico, politico e socio/psicologico/culturale, sorte come conseguenza della riunificazione e della “riconversione” della economia dei “Nuovi Bundeslaender” in direzione del libero mercato , da un lato, ma anche dall’ attitudine, perlomeno, “sprezzantemente accondiscendente” verso essa indirizzata da amplissima parte sia della opinione 22 23 24 In questo caso, inteso, ovviamente, come Partito Democratico Della Sinistra. Confronta : F. Barbieri, op.cit., pag.161. A sua volta “partito-guida”, ma non unico, nella Repubblica Democratica Tedesca. 12 pubblica che dei ceti dirigenti, economici, politici e culturali, della vecchia Germania Ovest, dall’ altro, l’ identità tedesco/orientale, comunque consolidatasi durante gli oltre quaranta anni di esistenza di una “Germania di Pankow”, prima come “Zona D’ Occupazione Sovietica” e successivamente come vera e propria R.D.T. , si è dimostrata molto più “restia” del previsto a “cedere il passo”, in tal modo, perciò, “rifiutandosi di scomparire completamente”, all’ “invasione”, nuovamente da qualificare come economica, politica e socio/psicologico/culturale, proveniente dall’ex/stato tedesco “nemico”. A livello politico, questa “Consapevolezza Ossi” si è manifestata, prima di tutto, nei ripetuti successi elettorali che il P.D.S. ha ottenuto dal 1990 ad oggi25, ma, anche, nell’esistenza e nella diffusione di due quotidiani come il “N.D.” e lo “J.W.” : gli unici giornali, politici e non, della scomparsa D.D.R. , ma il medesimo dato di fatto vale anche per periodici e riviste, a non essere stati acquistati da enti, partiti, imprese o privati provenienti dalla vecchia Repubblica Federale. Fondato nel 1946 in quella che sarebbe successivamente diventata Berlino/Est, organo ufficiale del Comitato Centrale della S.E.D. durante l’esistenza della R.D.T. ed ora, più semplicemente, “Sozialistische Tageszeitung”, il primo, con ottantacinquemila copie giornalmente vendute26 , è il “quotidiano sovra/regionale” più letto nei territori che fino al 3 ottobre 1990 costituivano la D.D.R. e può, agevolmente, essere definito “l’organo del P.D.S.”. Il secondo, invece, anch’esso con sede in quella che, fino al 1989, era Berlino/Est, costituisce il quotidiano politico più nettamente schierato a sinistra fra i sette in questa sede presi in esame e, probabilmente, non solo. L’ex/organo della “Freie Deutsche Jugend”, l’organizzazione giovanile di massa nella Repubblica Democratica, vende sessantaquattromila copie al giorno27, è il quotidiano con i lettori mediamente più giovani28 e non manca di polemizzare da sinistra con il P.D.S. , proponendosi come “alternativa, orientale e dogmatica” al “libertario ed occidentale ‘TAZ.’ ”. Entrambi, seppur con forme e modalità non sempre coincidenti fra loro, portavoce di un “orgoglio tedesco/orientale, sub/nazionale e di sinistra”, “N.D.” e “J.W.” non costituiscono due quotidiani dotati di un “respiro” pienamente nazionale. Posto, però, che la medesima mancanza, in questo caso di segno opposto, è, per lo meno parzialmente, imputabile anche al Frankfurter Rundschau ed al “TAZ.”, va anche ribadito come, ai fini della formulazione di un quadro capace di prendere in considerazione testate, più o meno, “vicine” a tutti i partiti rappresentati in Parlamento, una esclusione da esso degli unici “Ossi/Zeitungen” avrebbe assunto il significato di una pesante omissione. Strutturato, fino alla fine 25 Il partito infatti, pur ancora marginale nei “Vecchi Bundeslaender”, contende attualmente, in quelli “Nuovi”, il posto di secondo partito più importante, a seconda dell’area specifica presa in esame, alla S.P.D. o alla C.D.U. , mentre in ambito nazionale, è in corsa, assieme ai Liberali ed ai Verdi, per la conquista di un, comunque distaccatissimo, terzo posto. 26 Confronta : H. Meyn, op. cit., pag.38 ; www.presse-im-handel.de. 27 Confronta : H. Meyn, op. cit., pag.38. 28 Confronta : www.presse-im-handel.de. 13 degli anni ’70, attorno alla presenza parlamentare di, praticamente, tre soli partiti, C.D.U./C.S.U. , F.D.P. e S.P.D. , il sistema politico tedesco ha, infatti, conosciuto, durante gli anni ’80, l’ affermazione dei Verdi e , durante la decade successiva, quella, per quanto, per ora, soltanto sovra/regionale e non ancora nazionale, del Partito Del Socialismo Democratico.29 Limitarsi, quindi, ad una prospettiva interamente tedesco/occidentale (con “F.A.Z.” e Die Welt vicini alla C.D.U./C.S.U. ed, in misura minore, ai Liberali, con “S.Z.” e Frankfurter Rundschau orientati verso i socialdemocratici e con il “TAZ.” non certo lontano dai Verdi) avrebbe significato non tener conto di un settore ragguardevole della opinione pubblica tedesco/orientale. Ciò avrebbe costituito, a sua volta, un errore non solo in termini strettamente “numerici”, vista la forza elettorale del P.D.S. e le circa centocinquantamila copie quotidiane complessivamente vendute da “N.D.” e “J.W.” , ma anche, e soprattutto, da un punto di vista interessato ad assicurare, in questa sede, il “tasso di pluralismo” più elevato possibile. Infatti, pur contraddistinti da accenti anche intensamente non convergenti l’ uno con l’ altro, i quotidiani tedesco/occidentali sono stati, comunque, tutti caratterizzati da un atteggiamento “benevolo” rispetto alle aspirazioni indipendentiste sloveno/croate. Certo, tanto per fare un esempio, lo scarto fra quanto apparso sulle colonne del “F.A.Z.” e la decisamente maggior pacatezza riscontrabile leggendo le pagine del “S.Z.” apparirà evidente anche al più distratto dei lettori. Solo “J.W.” e “N.D.” però, proprio in quanto “alfieri quotidiani” di tale summenzionata “diversità tedesco/orientale, sub/nazionale e di sinistra” , hanno manifestato un’ attitudine radicalmente differente rispetto a quella esplicitata dai quotidiani politici tedesco/occidentali, prescindendo, almeno per il momento, da qualsiasi altro tema, sia storico che incentrato sulla stretta attualità politica, ANCHE di fronte agli avvenimenti jugoslavi succedutisi sia fra il 25-6-91 ed il 15-1-92 che posteriormente a quest’ ultima data. I due giornali della ex/Berlino Est, infatti, ed il “J.W.” in maniera particolare, si sono mostrati estremamente critici sia verso il separatismo sloveno/croato, da un lato, sia verso l’ appoggio che la Germania ha ad esso assicurato, dall’altro. In essi, le due testate in questione hanno, infatti, individuato le ragioni non uniche ma, in ogni caso, trainanti della disgregazione jugoslava e delle relative guerre, e, coerentemente con tale assunto di partenza, le loro firme si sono pervicacemente scagliate contro quella “serbofobia” e quell’ “anti/jugoslavismo” che, stando a quanto apparso sulle loro colonne, sarebbero stati fatti 29 Non va, però, dimenticato che se il P.D.S. è dotato di una forza elettorale trascurabile nei “Vecchi Bundeslaender”, altrettanto, a parti invertite, è lecito sostenere per F.D.P. e Verdi. Si tratta infatti, in questo caso, di formazioni politiche pochissimo seguite nei territori un tempo facenti parte della ora defunta R.D.T. , in quanto visti come partiti “esclusivamente occidentali”, o quasi. E’ bene altresì notare, inoltre, come e quanto il P.D.S. sia rilevante all’Est. Pur attingendo, infatti, da un bacino elettorale sensibilmente più contenuto rispetto a quello “a disposizione” di F.D.P. e Verdi, sedici milioni di abitanti contro sessantaquattro, esso, all’incirca, ne eguaglia, però, la consistenza sia numerica che percentuale, a livello nazionale, grazie ad un grado di presenza, nella propria “area di appartenenza”, del quale sia i Liberali che i Verdi, non hanno mai potuto disporre. 14 propri dalla netta maggioranza tanto della classe dirigente politico/economico/culturale tedesca quanto della gran parte dell’ universo dei media teutonici visti, questi ultimi, come i “principali istigatori” di una “dilagante isteria anti/belgradese” dimostratasi, successivamente, “foriera di nefaste conseguenze”. Non considerare e non esaminare anche tali posizioni, fortemente critiche nei confronti della politica balcanica perseguita dalla R.F.T. durante l’ultimo decennio del ventesimo secolo 30 , avrebbe, perciò, gravemente nuociuto alla completezza, in ogni caso mai assoluta, del presente lavoro. CAPITOLO SECONDO : L’INIZIO DELLLA LETTURA FORNITANE DALLE ‘GUERRA DEI DIECI ANNI’ E LA DIFFERENTI TESTATE QUOTIDIANE POLITICHE TEDESCHE 2-1: “GLI AVVENIMENTI INTER/JUGOSLAVI… Collocazione politica ma anche “provenienza geografica” hanno, dunque, determinato l’ ampiezza del ventaglio delle posizioni espresse dai principali quotidiani politici tedeschi in merito alla fase iniziale della crisi nella ex/Jugoslavia ed in merito alla politica che la R.F.T. ha svolto rispetto ad 30 La contrarietà e le critiche in questione sono rivolte sia alla politica tedesca degli anni ‘90 nei Balcani in quanto tale, sia a questa come ambito specifico di una condotta generale di politica estera che “Neues Deutschland” e “Junge Welt” hanno reputato, ed ancora reputano, quasi interamente non condivisibile. Il tutto, è bene tenerlo presente, nell’ambito di un giudizio sulla Riunificazione e sulla “Berliner Republik” che, adottando termini rimarchevolmente eufemistici, è possibile qualificare come “alquanto eterodosso”, tanto per ciò che concerne la prima testata quanto, ed in questo caso in maggior misura, per quel che attiene alla seconda. 15 essa. Ma quali sono stati gli avvenimenti salienti succedutisi fra il 25-6-91 ed il 15-1-92 ? “L’ incendio jugoslavo” cominciò a svilupparsi due giorni dopo le dichiarazioni unilaterali di indipendenza effettuate da Lubiana e Zagabria. Il 27-6-91, infatti, la J.N.A. (Esercito Popolare Jugoslavo) fu inviata a riprendere possesso delle postazioni di frontiera con Italia, Austria ed Ungheria nel frattempo occupate dalla milizia territoriale slovena. Questa cosiddetta “guerra delle dogane” si caratterizzò per la sua modesta entità, settanta morti circa, e si concluse già l’ otto luglio successivo in seguito agli Accordi di Brioni, promossi dalla “torjka” dei Ministri Degli Esteri della C.E. , allora composta dal nederlandese Hans Van Der Broeck, dal lussemburghese Jacques Poos e dall’ italiano Gianni De Michelis. Secondo tali accordi, in cambio della fine delle ostilità, gli sloveno/croati si impegnavano a congelare per tre mesi gli effetti delle dichiarazioni unilaterali di indipendenza, la Slovenia conservava il controllo delle frontiere ed il rappresentante croato alla Presidenza Collegiale Jugoslava, Stipe Mesic’ , la cui elezione era stata precedentemente bloccata da Serbia, Montenegro, Kosovo e Vojvodina, veniva eletto Presidente. Lo storico Josip Krulic’ ha definito questa “mini/guerra” come “l’ ultimo tentativo ‘jugoslavista’ ”31, frustrato, però, in ogni sua ambizione dall’ improvvisa decisione presa dalla Presidenza Collegiale, con i voti favorevoli di Lubiana e di Belgrado ma contro il parere dell’ ormai esautorato Ante Markovic’, di ritirare completamente la J.N.A. dalla Slovenia la quale, in tal modo, solo formalmente dovrà attendere l’ otto ottobre successivo (scadenza della moratoria concordata a Brioni) per essere “de facto”, anche se non ancora “de jure”, indipendente. La sua compattezza etnica, l’ assenza dal suo territorio di minoranze serbe in qualche modo rilevanti, la non/presenza di importanti comunità slovene al di fuori dei confini repubblicani e la scelta effettuata, secondo lo studioso Alessandro Peric’ 32 , dal Ministro Federale Della Difesa, generale Veliko Kadijevic’ , “jugoslavista” E comunista33, di boicottare la “Jugoslavia unita e democratica” di Markovic’ e di schierarsi con la “(Grande) Serbia social/nazionalista” di Slobodan Milosevic’ 34 , le permisero, infatti, di secedere pagando un prezzo relativamente modesto. La fine della guerra “jugo/serbo-slovena”, però, significò, inevitabilmente, l’ apertura di quella “jugo/serbo-croata”, la quale, in quanto ad intensità e durata, si rivelò nettamente differente dalla prima. Le premesse per un sanguinoso conflitto c’erano, del resto, tutte. La numerosa minoranza serba infatti, ammontante , all’ incirca, all’ undici per cento della popolazione totale della Repubblica, sull’ onda dei ricordi dei massacri perpetrati dagli “ustascia” 31 Confronta : J. Krulic’ : “Storia della Jugoslavia dal 1945 ai giorni nostri” Bompiani, Milano, 1997, pag.167. 32 Confronta : A. Peric’ : “Origine e fine della Jugoslavia nel contesto della politica internazionale” Lupetti, Milano, 1998, pag.111. 33 E, perciò, con egli, dai militari in generale, pilastro fondante e fondamentale, questi ultimi della creazione statale titina. 34 Ovviamente, solo “parziale” rispetto ad una Jugoslavia “unita ed occidentalizzata” ma, ad ogni modo, ad essa preferibile in quanto “ideologicamente fedele ai dettami del passato”? 16 durante la Seconda Guerra Mondiale e fortemente preoccupata da un clima politico nettamente nazionalista, difficilmente avrebbe passivamente assistito alla rottura di ogni legame con Belgrado, e gli scontri fra irregolari serbi e “polizia/esercito croato”, già cominciati nel corso dell’ estate del 1990, divennero sistematici a partire dal mese di luglio del 1991. La guerra “jugo/serbo-croata” durò fino al “cessate il fuoco” dell’ 1-1-1992 seguito, tre giorni dopo dal relativo armistizio che permise il dispiegamento, con funzione di interposizione, di quattordicimila soldati delle Nazioni Unite nell’ ambito della missione U.N.PRO.FOR. (United Nations Protection Force), secondo il cosiddetto “Piano Vance”35. Le ostilità, caratterizzate da un notevole grado di intensità anche in seguito alla scelta dell’ Esercito Federale di schierarsi a fianco degli irregolari serbi (28-7-1991), si svilupparono lungo tre fronti principali : la capitale Zagabria (bombardata dall’ aviazione “jugo/serba” durante l’ottobre del 1991), la Dalmazia (con Dubrovnik/Ragusa e Zadar/Zara come epicentri particolarmente “caldi”) e la Pianura Pannonica (in direzione dell’Ungheria). Per quanto concerne quest’ ultimo scenario, combattimenti particolarmente accaniti ebbero luogo per il possesso delle città di Osijek e, soprattutto, Vukovar, quest’ ultima assediata dagli “Jugo/Serbi” dal 19-8-1991 e costretta a capitolare il 27-11 successivo. La guerra “jugo/serbo-croata” può essere letta secondo una duplice chiave interpretativa36. Nessun dubbio è lecito rispetto all’ individuazione del vincitore militare. Proclamata nel corso del dicembre del 1991, la R.S.K. (Repubblica Serba di Krajina), comprendente la Krajina di Knin (capitale della stessa R.S.K.), parte della Slavonia occidentale e parte della Slavonia orientale, costrinse Zagabria, con la sua stessa esistenza37, a non controllare oltre un quarto del proprio territorio ma non riuscì ad impedire, ed è questa la seconda possibilità di effettuare la lettura di cui sopra, la ratifica della nascita della Croazia come stato indipendente38. 2-2: “…ED IL LORO RAPPORTO CON IL PIU’ AMPIO SCENARIO EUROPEO ED INTERNAZIONALE” 35 Nell’ottobre del 1991, l’allora Segretario Generale dell’ O.N.U. , Javier Perez De Cuellar, nominò Cyrus Vance, ex/Segretario Di Stato statunitense, inviato speciale per la risoluzione del conflitto in Croazia. Il piano a tal fine elaborato prevedeva l’autogoverno dei territori serbi di Croazia, “sotto la protezione e la sorveglianza” delle Nazioni Unite. 36 Confronta : J. Krulic’, op.cit., pag.168. 37 Esistenza terminata in seguito alle offensive militari croate della primavera/estate del 1995, denominate “Lampo” e “Tempesta” , ed in seguito all’ accordo fra Franjo Tudjman e Mate Granic’ (Ministro Degli Esteri croato), da un lato, e Slobodan Milosevic’ e Milan Milutinovic’ (Ministro Degli Esteri yugoslavo), dall’altro, relativo alla restituzione a Zagabria della Slavonia orientale, ad esclusione della provincia della Posavina. 38 Sempre posto, però, che impedire tale nascita rientrasse nei piani degli “jugo/serbi”. Il che pare, invece, per lo meno in parte, tutt’altro che pienamente verosimile. 17 Fin qui, i risvolti “inter/jugoslavi” degli avvenimenti succedutisi durante la seconda metà del 1991. Tali risvolti sono, però, di per sé non scindibili dai riflessi prodotti dalla loro interazione con il più ampio scenario internazionale, in generale, ed europeo, in particolare. Le operazioni militari cominciate il 27-6 il Slovenia, infatti, per la prima volta a quarantasei anni dalla conclusione del Secondo Conflitto Mondiale, riportavano la guerra sul nostro Continente. La risposta europea alla crisi jugoslava, però, fu tutt’ altro che unitaria. Differenti interessi nazionali di natura geo/politico/economica, infatti, produssero, nei differenti partners continentali, comportamenti divergenti se non, addirittura, contrastanti. Manifestatasi all’ interno di quell’ “ondata” di “tedio verso la Jugoslavia” dovuta, a sua volta, ad un contesto internazionale in rapidissima e consistentissima evoluzione i cui mutamenti fecero interamente perdere alla R.S.F.J. quel “capitale geo/politico strategico” della cui preziosissima rendita essa aveva pienamente goduto nei confronti di entrambi i blocchi nel corso dell’ intero svolgersi della “Guerra Fredda” ( nel giro di due anni, infatti, si verificarono avvenimenti come il crollo del Muro di Berlino e la realizzazione dell’ Unità dei due stati tedeschi, la crisi e la Guerra del Golfo, la sconfitta del contraddittorio progetto riformatore di Michail Sergeevic’ Gorbaciov sfociata nella dissoluzione della Unione Sovietica e la nascita della U.E. sancita dalla firma del Trattato di Maastricht), la crisi jugoslava costituì la prima grande sfida del dopo/Guerra Fredda che l’ Europa si trovò ad affrontare da sola, avendo gli U.S.A. inizialmente optato per una posizione piuttosto defilata anche se, almeno in linea di principio, favorevole alla “Jugoslavia unita e democratica” di Ante Markovic’ e contraria alle secessioni di qualsivoglia repubblica (visita del Segretario Di Stato statunitense, James Baker, a Belgrado del 206-1991). In completa assenza di una politica estera comune, emersero, con lampante evidenza, sia l’ insufficienza delle “Iniziative Specifiche” nate fra la seconda metà degli anni ottanta ed i primissimi anni novanta (Quadrangolare, Pentagonale, Iniziativa Centro/Europea, Iniziativa Adriatica), sia il ruolo, non certo orientato alla stabilizzazione dell’ area, della cooperazione regionale trans/frontaliera ruotante attorno all’ “Iniziativa Alpe Adria” , le cui componenti italiane ed austriache incoraggiarono soprattutto la Slovenia a secedere dalla Jugoslavia. Dopo la duplice dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte di Lubiana e Zagabria, 25-6-1991, fu la “Trojka Europea” ad ottenere l’ accordo per rimandarne gli effetti ai primi dell’ ottobre successivo (8-71991), ma già durante il mese di luglio, a dimostrazione dell’ esistenza di divergenze già notevoli fra la Germania ed i restanti partners europei, veniva bloccata la proposta della presidenza nederlandese volta a modificare, con accordi bilaterali, i confini interni fra le varie Repubbliche nel caso di dissoluzione della Federazione. Sempre nel corso dell’ estate del 1991, la Comunità Europea convocò una Conferenza Internazionale di Pace, presieduta da Lord Peter Carrington ed inaugurata a L’Aja il 7-9 successivo. Il piano dell’ ex/Ministro Degli Esteri britannico prevedeva la 18 trasformazione della Jugoslavia in una Confederazione di stati sovrani ed indipendenti, ma “legati” da un’ unione doganale e da una “speciale collaborazione” in tema di politica estera e di difesa. Veniva, inoltre, escluso sia qualunque cambiamento dei confini repubblicani, in assenza di un relativo accordo generale, sia qualsivoglia riconoscimento di nuovi stati, se non in presenza di un assetto ritenuto soddisfacente da tutte la parti coinvolte. Iniziata, dunque, all’ insegna di forti dosi di ciò che, a posteriori, si sarebbe rivelato come nient’ altro che “wishful thinking”, la Conferenza dovette presto fare i conti con lo stallo causato dalla contemporanea presenza di laceranti contrapposizioni inter/europee ed inter/jugoslave. Le prime si svilupparono attorno al sempre più chiaro contrasto fra le “simpatie” filo/slovene e filo/croate espresse dalla Germania ed i timori manifestati in proposito dai restanti partners europei, guidati da Francia e Regno Unito39. Le seconde, invece, esplosero dallo scontro di tre differenti e divergenti tipi di esigenze. Alle richieste serbo/montenegrine di una Federazione dotata di un governo centrale in ogni caso situato a Belgrado, si contrapponeva, infatti, “l’ intransigenza secessionista” di Lubiana e Zagabria, mentre una posizione mediana, ma priva di reali margini di manovra, fu assunta da Macedonia e Bosnia/Erzegovina che, non certo favorevoli ad una revisione degli equilibri interni alla Federazione “in senso filo/serbo”, temevano, però, sull’ onda dell’ “esempio sloveno/croato”, lo scatenarsi di sanguinosi conflitti interno/interetnici i cui effetti sarebbero stati terribilmente amplificati dalla particolare complessità delle rispettive composizioni etniche. In contemporanea con la convocazione, prima, e l’inizio, poi, della Conferenza de L’Aja, fu istituita, sempre da parte della Comunità Europea, una Commissione d’Arbitrato, con a capo il presidente della Corte Costituzionale francese, Robert Badinter, avente come scopo precipuo quello di risolvere il fondamentale problema della tutela delle comunità etniche minoritarie nelle singole repubbliche anche, e probabilmente soprattutto, alla luce del pericolosissimo declassamento, da “popolo costitutivo” a “semplice” minoranza nazionale, subito dalla componente etnica serba sia in Croazia che in Bosnia/Erzegovina40 . Altrettanto nodale rispetto al problema delle minoranze, ed anzi ad 39 Timori causati tanto dalla paura per l’eventuale intensificarsi, sull’onda di quelli aventi come protagonisti Lubiana e Zagabria, dei propri separatismi interni, quanto da un “tradizionale filo/serbismo” e da un “tradizionale filo/jugoslavismo” storicamente concepiti in funzione anti/tedesca. 40 Uno dei nodi principali delle guerre jugoslave, secondo Giulio Marcon, è l’esistenza di una “questione serba” che trova origine nel ruolo predominante (sia geopolitico che militare) che tale etnia ha storicamente avuto e, tuttora ha, all’interno dello spazio ex/jugoslavo. Oltre a ciò, è da rilevare come, tra tutti i popoli una volta inclusi all’interno dei confini della ormai defunta Federazione, il popolo serbo sia quello più diffuso in tutto il territorio della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava : 31% in Bosnia/Erzegovina, 11% in Croazia, 2% in Macedonia, 13% in Kosovo, 3% in Montenegro, 50% in Vojvodina. Senza contare, poi, come metà, almeno, della popolazione montenegrina , pur considerandosi tale, senta una fortissima affinità, storico/etnico/politico/culturale con i serbi. A tal proposito, si veda : G. Marcon : “Dopo il Kosovo. La guerra nei Balcani e la costruzione della pace” Asterios Ed., Trieste, 2000, pag.82/83. Secondo 19 esso indubbiamente legata, era, poi, la questione della sovranità. Secondo i Serbo/Montenegrini, essa risiedeva nei “popoli costitutivi” che, a loro volta, formavano le repubbliche e quindi, in caso di scioglimento del “patto federale”, ci si sarebbe dovuti avvalere del censimento come strumento di una “giusta” riscrittura delle frontiere. Per Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Macedonia, invece, erano le singole repubbliche ad essere sovrane all’ interno dei propri allora attuali confini essendo questi ultimi, oltretutto, stando a quest’ ultima impostazione, impossibili da modificare, vista la dislocazione etnica a “macchia di leopardo” che caratterizzava per lo meno la maggior parte degli Slavi del Sud. Va, comunque, sottolineato come un fervore indipendentista meno intenso, accompagnato da maggiori garanzie per le rispettive minoranze etniche serbe, avrebbe permesso a Lubiana, ma soprattutto, a Zagabria, prima, ed a Sarajevo, poi, di controbattere più efficacemente alle richieste centraliste di Belgrado, posto che evitare qualsivoglia contrapposizione fosse stata un’ esigenza realmente prioritaria. E’ difficile stabilire se uno scenario meno teso, per quanto non idilliaco, avrebbe realmente contribuito ad evitare lo scoppio di conflitti per l’ attribuzione delle cui responsabilità principali chi scrive è fermamente convinto che si debba rifuggire da ogni spiegazione monocausale/monotematica. Inoltre, non si nega nemmeno l’ esistenza di una certa dose di centralismo serbo/belgradese. E’, però, piuttosto singolare come la “sacralità delle frontiere, pena il caos etnico” sia stata chiamata in causa solo per le repubbliche secessioniste e non per la R.S.F.J. tutta. Come assicurare, tanto per fare un esempio, la sopravvivenza della “mini/Jugoslavia bosniaco/erzegovese” al di fuori del contesto della “grande Jugoslavia” ? Come non mettere in conto la reazione della minoranza etnica serba di fronte al distacco croato da Belgrado quando, senza richiamare in causa, per l’ ennesima volta, i sanguinosissimi accadimenti del periodo 1941/1945, già nel 1971, dovette intervenire, personalmente, lo stesso Tito per calmare gli allarmati animi dei Serbi di Croazia, e non solo, di fronte alla “Dichiarazione Sulla Lingua” 41 ed alle attività di organizzazioni di spiccato carattere nazionalista come l’ Unione degli Studenti, la casa editrice “Hrvatska Matica” (Madre Croazia) ed il “Maspok” (Masovni Nacionalni Pokret, Movimento Nazionale di Massa) ?42 Andrebbe poi, per lo meno parzialmente, smentita la “sensibilità umanitaria, evoluta, occidentale” mostrata da Sloveni e Croazia nei confronto di la rivista “Herodote”, inoltre, una delle cause delle crisi jugoslave risiederebbe nell’atteggiamento occidentale nei confronti della sopraccitata “questione serba”. Secondo l’autorevole testata francese infatti, essa sarebbe stata criminalizzata oppure ignorata, ma mai realmente affrontata. A tal proposito, confronta : AAVV : “La question serbe”, Herodote, 4/1992. 41 Manifesto sottoscritto da 130 intellettuali croati, fra i quali lo scrittore Miroslav Krleza, che chiedeva che la lingua croata fosse considerata separata da quella serba e, come tale, insegnata nelle scuole della Croazia. 42 Venne, addirittura, proclamato lo sciopero generale, in Croazia, in sostegno di richieste estremamente avanzate ed audaci come : l’istituzione di una Banca Nazionale Croata, l’accesso di Zagabria ai crediti della Banca Mondiale e, infine, l’ammissione della Croazia a membro dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite. 20 Kosovo e Vojvodina. La condotta, non certo irreprensibile, messa in atto dalla dirigenza belgradese contro Pristina e Novi Sad, durante il biennio 1988/1989, diede adito a dure condanne da parte di Lubiana e Zagabria e, secondo molti, le avrebbe definitivamente spronate sulla via della secessione “per non fare la stessa fine”. Peccato, però, che la ratifica della revoca dei notevoli “margini di manovra” politici, economici, amministrativi e culturali dei quali disponevano le due regioni/province autonome, inserite all’ interno del corpo repubblicano della Serbia, sia stata approvata dalla Presidenza Federale la quale, come dovrebbe essere noto ai più, deliberava…all’ unanimità. A spezzare ogni tipo di stallo comunque, fosse esso legato a controversie inter/europee o a dispute inter/jugoslave, ci pensò la Germania che, come già precedentemente ricordato, in sede comunitaria, il 16-12-1991 a Bruxelles, ruppe la regola dell’ unanimità in politica estera ed annunciò la concreta possibilità di un “Alleingang” rispetto al riconoscimento internazionale di Slovenia e Croazia. Timorosi di un eventuale profilarsi di un “neo/Sonderweg” e desiderosi, perciò, di inserire il colosso tedesco entro la di lì a poco ratificanda cornice del Trattato di Maastricht, la cui genesi si preferì non mettere a rischio ostacolando le “esigenze balcaniche” della nazione più importante, i partners comunitari diedero il via alle procedure per il riconoscimento delle repubbliche, ormai, ex/jugoslave. Quelle ad esso interessate avrebbero dovuto far prevenire la propria candidatura alla Commissione Badinter entro il 23-12-91 ed in ottemperanza a quattro criteri fondamentali : l’ inviolabilità dei confini, il rispetto dei diritti umani, della Carta O.N.U. e dell’ Atto Di Helsinki. Il 15-1-92 avrebbe avuto luogo il riconoscimento, da parte della, ormai nata, U.E. , dei candidati ritenuti idonei. Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Macedonia presentarono la documentazione richiesta e, l’ 11-1-92, la Commissione Badinter rese noto il proprio verdetto. In ossequio al principio “uti possidetis, iuris qui”, essa stabilì che in Jugoslavia era iniziato un processo di disfacimento della Federazione, e non di secessione, e che, di conseguenza, i confini interni erano da considerarsi come trasformati in confini internazionali ; una decisione, questa, certamente ricca di implicazioni. Il solo fatto che la Commissione Badinter avesse inserito l’ inviolabilità dei confini, “ex/interni” ed ora internazionali, fra i criteri da rispettare per ottenere il riconoscimento internazionale, indusse, infatti, Helmut Kohl, al congresso della C.D.U. svoltosi a Dresda il 17 e 18 dicembre del 1991, a parlare di “trionfo della politica estera tedesca”. Ma al fine di cogliere, ancor più compiutamente, l’ ampiezza delle conseguenze di questa scelta è utile ricordare quanto sostenuto dal già co/presidente43 dello “Steering Committee” dell’ “International Committee on the former Yugoslavia” , David Owen. Secondo l’ alto funzionario britannico, “la trasformazione dei confini interni in confini internazionali, con la conseguente negazione per molti serbi della speranza di far parte di una Jugoslavia costruita intorno a Belgrado, costituì un disastro 43 Prima con l’ex/Segretario di Stato U.S.A. , Cyrus Vance, e, successivamente, con l’alto diplomatico norvegese Thorvaldt Stoltenberg. 21 diplomatico” 44. Quanto all’ idoneità delle singole candidature, la Commissione Badinter accordò il proprio “nulla osta” a Slovenia e Macedonia, stabilì l’ esigenza di indire un referendum interno per la Bosnia/Erzegovina e bocciò la Croazia, ritenendo insufficiente il grado di tutela da essa previsto per le minoranze etnico/linguistiche presenti sul suo territorio. In risposta a tale “no”, il presidente Tudjman convocò rapidamente il parlamento e, “obtorto collo”, ottenne da esso la approvazione di una legislazione in materia configuratesi quest’ ultima, però, come semplice scappatoia alla luce del rifiuto prolungato, da parte del Consiglio d’ Europa, di accettare la Croazia fra i propri membri proprio a causa delle sistematiche e ripetute violazioni dei diritti umani, fra i quali, appunto, anche quelli delle minoranze etniche e linguistiche. Il 15-1-1992 fu, dunque, il giorno del riconoscimento internazionale di Slovenia e Macedonia ? Solo in parte. Gli avvenimenti, infatti, subirono una notevole, anche se non del tutto inaspettata, accelerazione. Senza neanche aspettare le conclusioni della Commissione Badinter ed ignorando anche le fortissime perplessità in materia espresse dal Segretario Generale delle Nazioni Unite, Javier Perez De Cuellar, la Germania, come già precedentemente evidenziato, riconobbe Lubiana e Zagabria già prima del Natale del 1991 in ciò seguita, agli inizi del gennaio successivo, da Austria e Santa Sede. Alla data stabilita il mese precedente a Bruxelles, quindi, i partners europei poterono, soltanto, prendere atto del fatto compiuto. Ad ulteriore riprova, inoltre, del sostanziale avallo che l’ Europa, durante la seconda metà del 1991, accordò sempre più chiaramente, dietro crescente pressione tedesca, alle aspirazioni indipendentiste sloveno/croate, va ricordata la politica di sanzioni economiche che la Comunità Europea/Unione Europea attuò contro Serbia e Montenegro ma che, inevitabilmente, finì per ripercuotersi anche contro il tentativo “jugoslavista e democratico” di Ante Markovic’ . Il combinato disposto della sospensione del secondo e del terzo Protocollo Finanziario, della sospensione dell’ Accordo di Cooperazione e Commercio e della cancellazione della Jugoslavia dalla lista dei beneficiari inseriti nell’ ambito del Sistema delle Preferenze Generalizzate, infatti, non sarà certo estraneo rispetto alla scelta di rassegnare le proprie dimissioni maturata da questi il 22-11-91 45. Infine, non deve per nulla sorprendere che alle tre richieste che la Serbia/Montenegro, considerandosi, essa, ancora parte della Jugoslavia, le aveva inviato il 20-11-91, richieste concernenti il riconoscimento della sopravvivenza della Federazione anche in presenza della secessione di alcune repubbliche, la non/accettazione delle frontiere amministrative interne jugoslave come frontiere internazionali ed il riconoscimento del diritto all’ autodeterminazione per le comunità etniche presenti all’ interno delle singole ripartizioni repubblicane, la Commissione 44 45 Confronta : AAVV : “Come può l’Europa prevenire i conflitti?” PMI, nov. 1997, pag. 33. Confronta : G. Marcon, op. cit., pag. 110. 22 Badinter abbia risposto negativamente. “L’ opera preparatoria”, nell’ attuazione della quale si era, fra gli altri, distinto il “battistrada austriaco”46, giungeva, ora, a compimento con la piena entrata in scena del “colosso germanico”. 2-3: “LE MOTIVAZIONI TEDESCHE” Ribadire nuovamente l’ importanza del contributo tedesco alla causa indipendentista sloveno/croata non significa, però, enuclearne, a fondo e compiutamente, le motivazioni47 . Anche scartando preliminarmente giustificazioni indiscutibilmente risibili, come quella della “difesa del pluralismo contro il partito unico”, “dello stato di diritto contro la repressione militare” e “del mercato contro l’ economia di piano”, non è, in ogni caso, lecito omettere di ricordare come, comunque, numerose siano state le spiegazioni al riguardo addotte. “Impegno affinché terminasse lo spargimento di sangue”, “tutela dei diritti, umani e ‘storici’, delle popolazioni jugoslave non/serbe” e “rispetto del loro diritto alla auto/determinazione”, da un lato ; “attacco dell’ Occidente cattolico/protestante contro la religione ortodossa”, “non/rispetto dei diritti, umani, ‘storici’ ed alla auto/determinazione, dei Serbi”, “desiderio di ‘colpire Belgrado per avvertire Mosca’ ” e “risentimento anti/serbo ed anti/comunista portato alle estreme conseguenze per una ‘non/rottura con il passato’ ” 48, dall’ altro ; pur costituendo argomenti certamente provvisti di fondamento, risultano però, se visti come cause uniche delle posizioni esplicitamente filo/slovene e filo/croate fatte proprie da Bonn/Berlino, per lo meno parzialmente viziati da un non indifferente pregiudizio di sapore, rispettivamente, anti/serbo ed anti/occidentale. Al fine, invece, di formulare un’ analisi più equilibrata e maggiormente completa, è preferibile, secondo chi scrive, ricorrere, prima di tutto ma non esclusivamente, ad interpretazioni di stampo più “geo/politico/strategiche” che strettamente “ideologiche”. Se, da un lato, l’ Europa centro/orientale e l’ Europa sud/orientale hanno, infatti, storicamente rappresentato il luogo di elezione del dispiegamento dell’ influenza economica, militare e culturale proveniente dal mondo germanico, dall’ altro va, però, ribadito come tale espansione, contraddistinta tanto da fasi pacifiche quanto da poderose ondate seguite, però, sempre da altrettanto poderosi riflussi, abbia dovuto affrontare non pochi ostacoli, il principale dei quali, limitando lo sguardo alla penisola balcanica, è stato posto, con tenace continuità, proprio da Belgrado. Non che alcuna costruzione statale avente come capitale la “Città Bianca” sia mai stata, di per sé, talmente solida da essere in 46 Confronta : J. Elsasser : “Der dritte Mann” Konkret, sept. 2000. Per le quali si rimanda, anche, al capitolo primo, secondo paragrafo, del presente lavoro. 48 Il P.S.S., Partito Socialista Serbo, rimasto al potere fino alle elezioni politiche della fine del 2000, consta, infatti, della parte maggioritaria del vecchio Partito Comunista Serbo “rivista” in chiave più accentuatamente nazionalista. 47 23 grado di poter opporre reale resistenza ai poderosi urti provenienti da nord/ovest. E’ , infatti, grazie agli indispensabili apporto e supporto forniti dagli stati tradizionalmente schierati in posizione più esplicitamente anti/tedesca, Francia, Russia, Regno Unito, che sulle rive del Danubio si è costantemente riproposta la esistenza del maggior avversario dell’ allargamento del “Deutschtum” in direzione di Sud/Est. Stabilire se la nascita della Serbia monarchica, prima, e, soprattutto, della Jugoslavia, poi, sia da attribuirsi alla volontà esclusiva delle grandi potenze o se costituisca, almeno parzialmente, la realizzazione concreta di fondate aspirazioni economico/politico/culturali non è compito del presente testo49, resta, però, inconfutabile il dato della scottantissima contrapposizione geo/politico/strategica fra Berlino/Bonn/Berlino, da un lato, e Belgrado, dall’ altro ; contrapposizione testimoniata da tre guerre in meno di novanta anni (1914, 1941 e 1999) e dal ruolo di avanguardia svolto dalla Germania a proposito del riconoscimento internazionale di Slovenia e Croazia, le cui indipendenze hanno segnato la definitiva ed irreversibile fine della “Seconda Jugoslavia”, ma anche in relazione a quello ottenuto dalla Bosnia/Erzegovina50. Tuttociò, giova ricordarlo, a prescindere dai rispettivi assetti politico/istituzionali interni e, quindi, a discapito di interpretazioni di stampo eccessivamente politico/ideologico. Durante la Grande Guerra fu, infatti, il Secondo Reich, alleato con l’ Impero Austro/Ungarico, a battersi contro la Serbia monarchica, mentre, nel corso del Secondo Conflitto Mondiale, fu, “in primis”, la Germania hitleriana ad invadere ed a smembrare la Jugoslavia monarchica, ed a combattere il movimento partigiano comunista capeggiato da Tito. Nel 1999, infine, la democrazia tedesca post/bellica e “riunificata” ha, senza esitazioni, preso parte alla guerra che ha contrapposto la N.A.T.O. alla “Terza Jugoslavia”51. Escludendo, ovviamente, impossibili equiparazioni tanto fra Secondo Reich, Germania nazista, “vecchia” Germania Ovest ed attuale R.F.T. , quanto fra Serbia monarchica, Jugoslavia monarchica, Jugoslavia socialista ed attuale Federazione fra Serbia e Montenegro, emerge perciò, ancor più evidentemente, la permanenza di tale contrasto ; permanenza plasticamente esemplificata da tre “dichiarazioni programmatiche” formulate, la prima, all’ inizio e, 49 Chi scrive, in ogni caso, non dimentica il primo ma, allo stesso tempo, non può assolutamente ignorare le seconde. 50 Riconoscimento avvenuto il 6-4-1992, giorno del cinquantaduesimo anniversario del tremendo bombardamento nazista su Belgrado, in seguito ad un referendum indipendentista dalla validità controversa in quanto pesantemente segnato dalla non/partecipazione ad esso da parte della comunità etnica serba. L’ingresso della Bosnia/Erzegovina indipendente nel consesso della “comunità internazionale” rappresentò “l’ultima mossa” del Ministro Degli Esteri tedesco, HansDietrich Genscher, improvvisamente dimessosi alla fine del medesimo mese in tutt’altro che casuale concomitanza con il degenerare della guerra civile all’interno del territorio che, da parte dei più, si desiderava e si sperava, in maniera, secondo chi scrive, abbondantemente illusoria, sarebbe stato controllato dal neonato governo centrale di Sarajevo. 51 Quest’ultima è stata proclamata, dalle sole Serbia e Montenegro, il 28-4-1992. 24 le altre due, alla fine dell’ appena terminato secolo. Se, infatti, “Serbien muss sterbien”52 fu la “parola d’ ordine” al suono della quale si compì l’ attacco che Vienna e Berlino sferrarono contro la piccola monarchia balcanica, risale, invece, al 1992 il “Wir muessen Serbien in die Knie zwingen”53 dell’ allora Ministro Degli Esteri, e successore di Genscher, Klaus Kinkel (anch’ egli appartenente alla F.D.P.), mentre, in coincidenza con l’ inizio delle operazioni militari del 1999, l’ allora ed attuale Ministro Della Difesa, Rudolf Scharping (S.P.D.), dichiarava : “Jetzt oder nie, mit den Serben muss es aufgeraeumt werden, und zwar bald”54. Concentrare la propria attenzione sulla contrapposizione di lungo periodo fra Belgrado e Berlino/Bonn/Berlino non deve, però, far dimenticare un’ altra costante di ancor maggiore rilievo della quale i tormentati rapporti fra Germania e Serbia/Jugoslavia costituiscono soltanto il risvolto balcanico. Storia, stazza economica, politica, demografica ma anche militare, pienamente riacquistate a partite dal 3-10-1990, e posizione geografica, infatti, quasi “impongono” alla Germania di ricostruirsi la propria “tradizionale”, e storicamente consolidata, sfera di influenza nell’ Europa centrale, orientale e balcanica ed il riconoscimento di Slovenia e Croazia, sull’ onda della “riscoperta”, non priva di strumentalizzazioni , della “matrice asburgico/mitteleuropea” delle due repubbliche jugoslave settentrionali, “huntingtonianamente” intese come “ultima marca di frontiera”, in direzione di Sud/Est, fra “Mondo Occidente” e “Mondo Orientale”, è stato il primo passo di tale percorso, allo stesso tempo nuovo ed antico. Ad esso hanno fatto seguito, tra l’ altro : la fine della Cecoslovacchia, l’ ingresso dell’ Austria nell’ U.E. , il mai nascosto interesse ad un allargamento di quest’ ultima verso la metà orientale del Continente che includesse prima di tutto, cosa che, peraltro, si verificherà puntualmente, Polonia, Repubblica Ceca ed Ungheria, stati, in ogni senso “vicinissimi” alla Germania, ed una imponente penetrazione economico/finanziaria e culturale che la ha resa il primo interlocutore, di sicuro tutt’ altro che esclusivamente commerciale, di tutta quella fascia d’ Europa compresa fra l’ Estonia, a Nord, e la Bulgaria, a Sud. Riconquistata, dunque, la propria posizione “naturale” di prima potenza europea, appare perfettamente plausibile che la Bundesrepublik aspiri ad un ruolo “adeguato” anche al di fuori del Vecchio Continente. Già a suo tempo Henry Kissinger affermò che il “numero telefonico dell’ Europa” era quello del Cancelliere Tedesco e, nel 1991, fu Gorge Bush ad offrire a Bonn/Berlino la “Partnership in Leadership” ; senza dimenticare, poi, la richiesta germanica, avanzata assieme al Giappone, di un seggio permanente all’ interno del Consiglio Di Sicurezza delle Nazioni Unite. Anche in questo caso, nulla a che 52 “Serbien muss sterben” significa , in tedesco, “La Serbia deve morire”. Venne aggiunta la “i” al verbo “sterben” per ottenere la rima. 53 “Wir muessen Serbien in die Knie zwingen” significa, in tedesco, “Dobbiamo costringere la Serbia ad inginocchiarsi”. 54 “Jetzt, mit den Serben muss es aufgeraeumt werden, und zwar bald” significa, in tedesco, “Ora o mai più, con i Serbi bisogna farla finita e bisogna farlo quanto prima”. 25 vedere né con il periodo nazista né con il “Auf deutsche Wesen, soll die Welt genesen”55 di guglielmina memoria. L’ attuale Repubblica Federale eredita, infatti, i frutti della collocazione internazionale che la ha contrassegnata dal 1945 in poi, a loro volta notevolmente potenziati nei loro effetti dalle conseguenze della vittoria che l’ Occidente ha definitivamente riportato al momento della dissoluzione della Unione Sovietica. Tale condizione costituisce un inedito per quanto concerne la storia tedesca, e per nulla proponibile appare, a tal proposito, il paragone con il periodo bismarckiano. L’ altra fase dei rapporti inter/europei che vide protagonista una Germania “forte ma pacifica” (come solo potenzialmente “forte” e come “colma di rancore” per le draconiane condizioni di pace dettatele a Versailles va, invece, definita la tormentata “Weimarer Republik”) si fondava, infatti, sull’ altissima statura di un Otto Von Bismarck abilissimo nel dividere, facendo uso della “politica dell’ onesto sensale”, un numeroso contingente di stati, però, in ogni caso nemici e prontissimi, tra l’ altro, a divenirlo nel modo più aperto possibile, come sarebbe di lì a poco accaduto, non appena un mutato stato delle relazioni internazionali avesse richiesto un simile atteggiamento. Oggi, invece, Berlino non ha più nemici. Certo, non che a Parigi, Mosca e Londra non siano mancate, né manchino, non trascurabili apprensioni per il ritorno della “Potenza del centro” e non che non ci siano mai stati, né siano definitivamente da escludersi, disaccordi anche con Washington. A scopo esemplificatorio, proprio la contrarietà statunitense all’ “Alleingang” tedesco in favore di Lubiana e Zagabria risulta, a tal riguardo, illuminante. Il dato di fondo dell’ assenza di “nemici della Germania” , però, resta tanto non confutabile quanto paradigmaticamente esplicatesi, tra l’ altro, nell’ accordo sulla definitiva accettazione delle reciproche frontiere stipulato, il 14-11-91, fra Bonn/Berlino e Varsavia. Un accordo, quello appena menzionato, profondamente intriso di pregnantissime valenze politiche ed anche, dato, questo, non meno rilevante, di intensissimi contenuti simbolici. E’, quindi, l’ interesse nazionale, inteso in senso “strutturale”, “intrinseco” ed “apolitico”, a fungere da primo motore della azione politica svolta dalla Repubblica Federale durante gli anni novanta nei Balcani ; un’ azione i cui risultati si configurano come spendibili ad un triplice livello. Il primo, strettamente balcanico, pertiene l’ estensione della sfera di influenza tedesca verso Sud/Est. Il secondo, di “respiro” non più esclusivamente “peninsulare” ma, invece, di taglio “pienamente continentale”, concerne il riconoscimento anticipato di Slovenia e Croazia come primo tassello della (ri/)costruzione dell’ “Europa germanica”. Il terzo, infine, in una prospettiva globale, punta a dare alla R.F.T. , una volta ristabilito il proprio primato in Europa, questa volta, però, in maniera “dolce” e con il ruolo di “primus inter pares”, un “giusto ruolo sovra/continentale”. A giudizio di chi scrive, quanto appena sostenuto non implica in alcun modo l’ implausibilità di altre interpretazioni, anche di segno più esplicitamente politico/ideologico, anche, 55 “Auf deutsche Wesen, soll die Welt genesen” significa, in tedesco, “Il mondo deve guarire secondo il modo tedesco”. 26 e forse, soprattutto alla luce del differente grado di attrattività che il richiamo dell’ interesse nazionale esercita su C.S.U./C.D.U. , F.D.P. , netta maggioranza sia della S.P.D. che dei Verdi, da un lato, e su P.D.S. , “dissidenti rosso/verdi” e “movimentisti vari” , dall’ altro. Ma è, anche, a causa della chiarissima differenza di grandezza che caratterizza questi due schieramenti, (perlomeno parzialmente) trasversali ed opposti allo stesso tempo, che la validità degli approcci di cui appena sopra va subordinata ad una condizione : quella, cioè, della constatazione della centralità di quella basata sull’ interesse nazionale (e, perciò, catalogabile come di stampo geo/politico, economico e strategico) all’ interno del possibile ventaglio di opzioni alle quali attingere per interpretare il comportamento tenuto dalla B.R.D. nei Balcani nel corso dell’ ultimo decennio del ‘900 e soprattutto, per circoscrivere la propria attenzione al periodo preso in questa sede in esame, durante la prima fase della disgregazione della “Seconda Jugoslavia”. Certo, si potrà obiettare che la consistenza “numerica” del supporto nei confronti di una determinata scelta politica non ne garantisce automaticamente una superiore validità rispetto ad un’ altra meno forte dal punto di vista dei consensi, specialmente se il supporto in questione viene alla prima garantito, in maniera anche piuttosto considerevole, dalla “degenerazione politico/ideologica” di grande parte di una sinistra “in crisi di identità” ed “appiattita sul fronte conservatore”. D’ altro canto però, per quanto “altra” la sinistra “non moderata” possa pensarsi e percepirsi, e per quanto in modo, conseguentemente, “altro” possa essa elaborare i propri programmi politici ed adoperarsi per metterli in pratica, la non/percezione da parte di quest’ ultima, o anche, ed in tal caso si tratterebbe, probabilmente, di una mancanza ancor più grave, il rifiuto, sempre da parte di essa, dell’ accettazione, dello straordinariamente mutato peso internazionale della Germania costituisce, almeno a giudizio di chi scrive, una zavorra politico/cultural/ideologica indubbiamente pesante. E ciò, sia per quanto concerne le modalità tramite le quali suddetta “sinistra altra” può, di conseguenza, essere percepita dall’ opinione pubblica nazionale, con evidenti ripercussioni sul suo consenso elettorale, sia, in primo luogo, per ciò che concerne la solidità delle sue argomentazioni poltico/ideologiche56 . E’ 56 A tal proposito, si consideri come, nel quadro di una “democratizzazione” e di un “rafforzamento dell’ O.N.U.” ed accanto ad un anche maggiore “rafforzamento” della C.S.C.E. , percepita, quest’ ultima, come “alternativa civile alla N.A.T.O.”, il P.D.S. si batta, in prospettiva, per lo “scioglimento dell’ Alleanza Atlantica”. Ciò però, si badi bene, non in nome di un rilancio e, soprattutto, almeno secondo chi scrive, di urgentemente necessarie modifiche ed estensioni del ruolo e delle competenze delle strutture continentali di difesa nel quadro di un’ Europa anche all’ interno del cui settore militare la B.R.D. occupi la posizione che, quasi “intrinsecamente”, le “spetta”. Il Partito Del Socialismo Democratico, infatti, propugna, sempre in prospettiva, lo scioglimento sia della U.E.O. che, ma, in questo caso, ancor a più lungo termine, della stessa Bundeswehr. Come sia, però, possibile, per qualunque stato, ed a maggior ragione per una “neo/ritornata” potenza anche più che continentale come la Germania (terza economia mondiale dopo U.S.A. e Giappone, primo esportatore al mondo nonostante il costo del lavoro più alto del pianeta ma anche polo di considerevole attrazione linguistica e culturale in primo luogo per la metà centro/orientale/balcanica dell’ Europa ma non solo), coltivare e supportare, costantemente e 27 anche per tale ragione, dunque, che si considera , come già precedentemente ribadito, quella “strutturale/geopolitica” come la spinta principale fra quelle che hanno motivato l’ azione politica, diplomatica e militare che la B.R.D. ha svolto nei confronti dei Balcani dal 1991 in poi, in generale, ed in rapporto alle aspirazioni indipendentiste di Slovenia e Croazia, in particolare. 2-4: “DAL ‘FRANKFURTER ALLGEMEINE ZEITUNG’ ALLO ‘JUNGE WELT’ ” 2-4-1: “I due quotidiani politici ‘maggiori’ ” : il “Frankfurter Allgemeine Zeitung” ed il “Sueddeutsche Zeitung”. I due maggiori quotidiani politici della B.R.D. , il “F.A.Z.” ed il “S.Z.” , si sono contraddistinti, l’ uno, per una spiccatissima propensione filo/slovena e filo/croata, l’ altro, invece, per una condotta decisamente meno “coinvolta”. Ciò, per quanto concerne il secondo, non solo in rapporto al rivale francofortese ma anche all’ intero arco dei “Wessi/Zeitungen”. Primo alfiere dell’ interpretazione “geo/politico/huntingtoniana” degli inizi, e non solo, della crisi jugoslava, il “Corriere della Sera tedesco”, infatti, trattò in termini entusiastici la visita in Germania del presidente dell’ allora, ancora per poco, Repubblica Jugoslava di Slovenia, Milan Kucan, giunto, a metà marzo del 1991, nella B.R.D. per chiedere, ed ottenere, sostegno diplomatico, politico e finanziario57, definì la Jugoslavia unita “una finzione”, e lo fece, con tempismo indubbiamente tutt’ altro che casuale, un mese prima delle due secessioni unilaterali 58 , commentò più che positivamente ogni dichiarazione partitica e governativa in favore di Lubiana e Zagabria59 e coerentemente, la propria presenza e le proprie attività sullo scenario internazionale in assenza di adeguate capacità militari, resta, almeno secondo chi scrive, un mistero. Lo scopo di quanto appena sostenuto non è fare uso, per l’ ennesima volta, dell’ abusatissimo “assioma clausewitziano” della “guerra come proseguimento della politica con altri mezzi”, bensì di apprezzare la coerenza di una valutazione, tutto sommato, eminentemente empirica, concernente l’ importanza della disponibilità di adeguate potenzialità militari come UNO degli strumenti della azione di politica estera di un stato come la “Berliner Republik” che, lo si voglia o meno, è “obbligato” ad un ruolo internazionale di alto profilo. Apprezzare la coerenza della valutazione di cui sopra risulta, però, impossibile in presenza della non/percezione, o peggio, del rifiuto della presa d’ atto, del ritrovato “status” di grande potenza oggi intrinseco alla attuale e riunificata Repubblica Federale Tedesca. 57 A tal riguardo, confronta : “Kucan Kommt in die Bundesrepublik” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 19-3-91. 58 A tal proposito, confronta : “Geeintes Jugoslawien, eine Fiktion” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 25-5-91. 59 A titolo puramente esemplificativo, si confronti : “Bonn dringt auf Sanktionen gegen Serbien” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 6-8-91 , “Bonn stellt sich auf eine rasche Anerkennung Sloweniens und Kroatiens ein„ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 5-9-91, “Deutschland will Slowenien und Kroatien anerkennen„ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 6-12-91. 28 sostenne esplicitamente l’ allora Ministro Degli Esteri, Genscher, impegnato in un duro scontro “politico/epistolare” con l’ allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Perez De Cuellar, il quale, “profeticamente” ma inutilmente, cercò di mettere in guardia Bonn/Berlino da “riconoscimenti selettivi, anticipati e non concordati che rischiano di estendere il conflitto anche a Bosnia/Erzegovina e Macedonia”60. Quanto appena riportato potrebbe indubbiamente bastare per chiarire “da che parte stesse” il “F.A.Z.”, ma è solo, perlomeno, con altri cinque articoli/interviste di chiaro taglio “geo/politico/huntingtoniano”, con, almeno, altri due di commento alla fine dell’ “Era/Tudjman” in Croazia e con, almeno, uno scritto in occasione del decimo anniversario del 25/26-6-91 che emerge pienamente, inconfutabilmente e, si spera abbastanza, dettagliatamente la posizione del quotidiano francofortese. In un doppio colloquio con i vescovi cattolici Kamphaus e Stimpfle, infatti, il prestigioso foglio tedesco dà voce alle richieste di due esponenti di primo piano di una rilevantissima istituzione, il primo era, all’ epoca, vescovo di Stoccarda, concernenti non soltanto uno “scontato Alleingang” politico/diplomatico ma anche una iniziativa unilaterale di sostegno “anche militare” in favore di Lubiana e Zagabria e diretta, perciò, contro “i nazional/comunisti serbi, bizantini ed ortodossi”61. Per parte sua poi, una prestigiosa firma come Johann Georg Reissmueller non ha certo lesinato in fatto di uso di espressioni come “Serbo/Kommunismus” o “Panzer/Kommunismus” ; non sottraendosi nemmeno alla tentazione, invero “irresistibile” anche per i media italiani anche durante il conflitto del 1999, di paragonare Slobodan Milosevic’ ad Adolf Hitler 62. Dalla descrizione della popolazione slovena che egli stesso fa, inoltre, risulta in maniera inequivocabilmente evidente “l’ obbligo” non solo per il quotidiano per il quale scrive ma anche per la B.R.D. tutta di schierarsi a difesa delle repubbliche secessioniste. Come, infatti, non parteggiare per i “Tedeschi della Jugoslavia : diligenti, parsimoniosi, ordinati, affidabili e, in più, esemplarmente cattolici ?”63 L’ apice dell’ interpretazione “conservatrice” e “geo/politico/huntingtoniana” che il “F.A.Z.” ha fatto propria rispetto all’ inizio, e non solo, della crisi nella ex/Jugoslavia viene, però, raggiunto, per lo meno secondo chi scrive, dall’ intervista che sempre lo stesso Reissmueller realizzò con Otto d’ Asburgo il 23-3-91. Secondo l’ ex/principe ereditario d’ Austria ed all’ epoca, di certo non casualmente, deputato europeo della C.S.U. , infatti, “i ‘piccoli popoli’ d’Europa sono assolutamente in grado di sopravvivere, una volta raggiunta l’ 60 A tal riguardo, confronta : “Genscher widerspricht Perez De Cuellar” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 16-12-91. 61 A tal proposito, confronta : “Anerkennung waere der erste Schritt” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 5-11-91 , “Bischof fordert militaerische Hilfe fuer Kroatien„ Frankfurter Allgemeine Zeitung, 12-12-91. 62 A tal riguardo, si veda : J.G. Reissmueller : “Herrenvolk/Verblendung” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 26-2-94. 63 A tal proposito, confronta : J.G. Reissmueller : “Manchmal werden sie die Deutschen Jugoslawiens genannt” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 16-4-94. 29 indipendenza, a patto, però, che vengano integrati in essa”64. Il disegno di una “Ost/Mittel/Europa” delle “piccole patrie” , ma anche delle “patrie”, “piccole e grandi”, “diminuite” dalle avversità economiche, sociali e politiche della transizione al capitalismo ed alla democrazia occidentale/borghese, ruotanti attorno al “colosso tedesco” riunificato non avrebbe potuto essere stato esternato in maniera tanto “soft” quanto diretta ed esplicita. Chi scrive è, senz’ ombra di dubbio, alieno da qualsivoglia forma di “germanofobia”65. Ma anche l’ osservatore più libero da pregiudizi e preconcetti non può confondere un chiaro progetto geo/politico, economico e culturale, condivisibile o meno ma certamente presente, con una serie di coincidenze. L’ Europa con la quale si intende far integrare la metà orientale del Continente è un’ Europa che, a partire dal 3-10-1990, si configura come a guida tedesca ed è, ovviamente, più semplice e decisamente più consigliabile, per Bonn/Berlino, dirigere l’ ingresso in essa della sola Repubblica Ceca e non di tutta le ex/Cecoslovacchia, di Slovenia e Croazia e non di tutta la ex/Jugoslavia, di Estonia, Lettonia e Lituania e non di tutta l’ area ex/sovietica66 oppure instaurare un proficuo ma soprattutto, e molto più prosaicamente, conveniente rapporto di collaborazione con una Mosca tornata alle frontiere precedenti l’ avvento di Pietro Il Grande che con un’ U.R.S.S. magari “globalmente sconfitta”, e pure priva del cosiddetto “Impero Esterno”, ma ancora unita ed eventualmente governata da una “versione locale” di Deng-Xiao-Ping67 anch’ essa fautrice di un programma modernizzante, nazionalista ed accentratore. Non deve perciò stupire, è bene ricordarlo nuovamente, la “benevola attenzione”, tanto per esprimersi eufemisticamente, con la quale la R.F.T. ha guardato, e tuttora guarda, a quanto è accaduto oltre la ex/“cortina di ferro” dal 1989 in avanti. Chiarissime, del resto, non mancheranno di apparirne le molteplici ed in questa sede già enucleate motivazioni, nonostante che, al fine di portare a termine una simile operazione, si sia fatto uso di un ovvio occhio di riguardo nei confronti della penisola balcanica. Di esse le summenzionate dichiarazioni dell’ erede di casa Asburgo costituiscono una ulteriore, “raffinata” ed autorevole controprova. Per quanto concerne la fine dell’ “Era/Tudjman” poi, il “F.A.Z.”, rispetto, appunto, ai mutamenti intervenuti a Zagabria in seguito alla morte del “Presidente dell’ Indipendenza” ed alla sconfitta elettorale del suo partito H.D.Z. (Comunità Democratica Croata) alle elezioni politiche e presidenziali dell’ inverno 64 A tal riguardo si confronti : J.G. Reissmueller : “ Die kleinen Voelker Europas sind lebensfaehig wie eh und je” Intervista a O. Von Habsburg Frankfurter Allgemeine Zeitung, 23-3-91. 65 Si spera che il lettore lo abbia, ormai, già capito ma, in caso contrario, non mancano, all’interno del presente testo, altre occasioni per giungere alla conclusione di cui sopra. 66 In tal caso, si potrebbe addirittura parlare di una “Casa Comune Europea” di “gorbacioviana” memoria ma rivista in chiave teutonica. Uno scenario invero, almeno allo stato attuale delle cose, estremamente improbabile. 67 Forse Jurij Andropov, se non fosse prematuramente scomparso?. 30 1999/2000, ha parlato di un “mutamento epocale”68 e non ha nemmeno nascosto come la piega autoritaria assunta dallo stile governativo del “Padre Della Patria Croata” abbia costituito “un importante impedimento sulla strada dell’ Europa”69 . Allo stesso tempo però, sempre da parte del “Corriere Della Sera tedesco”, è stato anche abbondantemente sottolineato come il “il più grande merito di Tudjman”, e cioè l’ indipendenza del suo paese, non possa essere in alcun modo sminuito70. Passando, infine, alla valutazione del decennale delle dichiarazioni unilaterali di indipendenza di Lubiana e Zagabria71, il prestigioso foglio francofortese ammette l’ esistenza di “luci ed ombre”, relative anche ai rispettivi percorsi storici, politici, economici e socio/culturali che Slovenia e Croazia hanno intrapreso nel corso degli ultimi dieci anni, ma senza mai dimenticare che l’ “aggressore”, e quindi il responsabile di tutte le tragedie della ex/Jugoslavia, è sempre stato il governo di Belgrado72 . Posizioni indubbiamente meno nette sono state, invece, scelte dall’ “eterno rivale” del “F.A.Z.”, ovvero il “S.Z.” . Configuratosi come il “meno anti/serbo” fra i “Wessi/Zeitungen”, avessero questi ultimi interpretato la deflagrazione balcanica in senso sia “conservatore, geo/politico ed huntingtoniano” che in chiave “umanitaria/progressista/universalistica”, il quotidiano bavarese ha sempre fatto propria una linea sicuramente definibile come “moderata” sostenendo, fin dall’ inizio della “Guerra dei Dieci Anni”, accanto a quella delle “responsabilità serbo/federali”, l’ esistenza anche di “falsi miti” e di “bugie” relative alla percezione che in Germania, tanto le elites politico/economico/culturali quanto la gran parte dell’ opinione pubblica, hanno tradizionalmente avuto, e tuttora conservano, dei serbi come loro acerrimi nemici73 . Si può dunque parlare, ammesso che esserlo costituisca necessariamente una virtù, di un “S.Z.” “neutrale ed equidistante ?” 68 A tal proposito, confronta : M. Rueb : “Epochenwechsel in Kroatien” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 5-1-00. 69 A tal riguardo, confronta : M. Rueb : “Tudjmans groestes Verdienst ist die Unabhaengigkeit Kroatiens” , Frankfurter Allgemeine Zeitung, 12-12-1999. 70 In proposito, confronta : M. Rueb : “Tudjmans groestes…” op. cit. . 71 Ricorrenza, quest’ultima, che ha visto i cinque quotidiani politici in questa sede considerati “minori” ribadire le proprie posizioni. Il “D.W.” ha, quindi, espresso un giudizio esplicitamente positivo, approvando “geo/politicamente e huntingtonianamente” quanto allora avvenuto, in ciò confermato dalla simile valutazione, discendente, però quest’ultima, da una interpretazione “universalistico/progressista/umanitaria”, fatta propria tanto dal Frankfurter Rundschau quanto dal TagesZeitung . “N.D.” e “J.W.” , invece, anch’ essi coerentemente in linea con le rispettive opinioni editoriali, hanno confermato, il secondo in maniera particolarmente accentuata, la propria condanna delle dichiarazioni unilaterali di indipendenza effettuate da Lubiana e Zagabria alla fine di giugno del 1991. 72 A tal proposito, confronta : R. Olt : “Eine helle und eine dunkle Seite” Frankfurter Allgemeine Zeitung, 25-6-2001. 73 A tal riguardo, confronta : M. Beham : “Mythen und Luegen. Zum historischen ‘Serbien/Feindbild’ ” Sueddeutsche Zeitung, 2-3-94. 31 Chi scrive ritiene di no. Infatti, il rifiuto da esso operato nei confronti dell’ evidentissimo “filo/secessionismo sloveno/croato”, pienamente sostenuto, invece, tanto in senso “huntingtoniano” dai quotidiani politici conservatori quanto in chiave “progressista/umanitaria” da quelli della sinistra occidentale74 , non implica affatto, da parte del foglio di Monaco di Baviera, né alcuna “concessione” di sorta rivolta verso Belgrado, né qualsivoglia esitazione riguardo la “designazione” del “principale colpevole”. L’ analisi ed il giudizio complessivo formulati a proposito dell’ “Era/Tudjman” in Croazia sono rispettivamente la più dettagliata ed il più pesantemente negativo all’ interno di quanto apparso sulle pagine della stampa quotidiana politica tedesco/occidentale e giungono ad ulteriore conferma della posizione “anormale” occupata dal “S.Z.” , almeno in ambito “Wessi”. Jens Reuter, in un lungo articolo, tratteggia, infatti, gli anni novanta a Zagabria a tinte quanto mai fosche75 . Secondo l’ autore, Franjo Tudjman sviluppò uno stile di governo autoritario, non tollerò opposizione alcuna (“Io decido tutto da solo”, pare fosse il suo motto), non mostrò qualsivoglia rispetto per la Costituzione e ridusse il Parlamento a puro organo “ratificatorio/acclamatorio”. Almeno fino al 1995, i partiti di opposizione, fra i quali, come più importanti, si segnalano quello liberale e quello social/democratico, furono privati di qualunque margine di manovra poiché ogni eventuale rilievo che divergesse dalla linea ufficiale era equiparato al “tradimento della Patria”. Nei rapporti con l’ estero, poi, egli propugnò un concetto della sovranità nazionale che l’ autore definisce “completamente anacronistico” ponendo, infatti, ostacoli alla collaborazione delle autorità del proprio paese con il Consiglio d’ Europa, con la O.S.C.E. ed il Tribunale Internazionale de L’ Aja, “fomentando contrasti” con i vicini sloveni, ungheresi ed italiani, “immischiandosi continuamente” nelle vicende interne della Repubblica di Bosnia/Erzegovina usando a tal scopo, come “testa di ponte”, la componente etnicamente croata della Federazione Croato/Musulmana. Lasciò, inoltre, cadere nel vuoto l’ applicazione del “Programma Di Rientro” , preparato nel giugno del 1998 per i cittadini appartenenti alla minoranza serba cacciati dalla Croazia nel 1995, e guidò una trasformazione “parziale e criminale” degli assetti economici del proprio paese, esplicatasi in un altissimo e dilagante tasso di corruzione, causando così, fra l’ altro, una non indifferente fuga di cervelli, invece quanto mai desiderabili. Il confronto con la Slovenia è, sempre secondo Reuter, sconsolante. Certo, Lubiana ha avuto la indubbia fortuna di dover combattere tutt’ al più una “guerricciola”, e non un vero e proprio conflitto aperto avente come posta le zone etnicamente serbe del proprio territorio come quello, invece, sostenuto da Zagabria contro l’ esercito “serbo/federale”, ma è altrettanto indiscutibile come, a differenza di una Slovenia ormai pronta per l’ ingresso in Europa almeno a partire dal 2005, la Croazia, invece, sia 74 Dalla cui “forma mentis” politica e dal cui “modus operandi” editoriale non è, però, lecito espellere tutt’ altro che assenti considerazioni di stampo geo/politico. 75 A tal riguardo, confronta : J. Reuter : “Auf der Suche nach der verlorenen Zeit” Sueddeutsche Zeitung, 17-10-2000. 32 ora costretta ad una “lunga e forsennata rincorsa”, tesa al recupero del “tempo sprecato” durante il decennio “tudjmaniano”. Una rincorsa che, però, cominciata tra il dicembre del 1999 ed gli inizi del 2000 con le vittorie elettorali delle opposizioni, non terminerà, sempre stando a quanto sostenuto da Reuter, prima di dieci o dodici anni. Proseguendo la lettura del presente lavoro, non si potrà non notare una impressionante quanto sorprendente somiglianza fra i toni “anti/tudjmaniani” del “S.Z.” e quelli, del medesimo taglio, esternati dallo “J.W.” . Si tratta però, si badi bene, soltanto di un casuale quanto fugace momento di incontro. Infatti, la contrarietà del quotidiano bavarese rispetto all’ operato del defunto ex/presidente croato, a differenza delle opinioni espresse in merito dall’ ex/foglio della F.D.J. della D.D.R. , non riguarda “il cosa” ma “il come”. Il confronto dal quale Zagabria esce perdente non è, secondo lo “S.Z.”, quello con la Jugoslavia del periodo titino e post/titino ma quello con la Lubiana indipendentista, prima, ed indipendente, poi, il cui “grande merito” è quello di “aver fatto ciò che andava fatto nel modo in cui c’ era bisogno che fosse fatto” a differenza, invece, di una Croazia “troppo restia” ad un cambiamento, però, strettamente necessario onde rendersi idonei a “salire sull’ unico, ed ultimo, treno possibile” : quello, cioè, diretto verso Bruxelles. Una valutazione bilanciata dei pregi e dei difetti del “socialismo titino”, come anche dei “pro” e dei “contro” della sopravvivenza della Jugoslavia, sia come “progetto ideale” che come struttura statale/istituzionale, con quest’ ultima caratterizzata da un assetto federale o condeferale, più o meno “eterodossamente” socialista o capitalistico/borghese, non trova spazio, in ambito tedesco/occidentale, neanche presso l’ unico quotidiano capace di tenere una linea certamente differente da quella portata, invece, avanti dai suoi “omologhi geografico/politici”, a prescindere dalla “parzialmente falsa” dicotomia fra accenti “huntingtoniani” ed “umanitario/universalistici”. Franjo Tudjman rappresentava, dunque, agli occhi del “S.Z.” un leader politico talmente impresentabile da dover venire necessariamente sussunto all’ interno della medesima categoria “autocratico/dittatoriale” alla quale non può non appartenere anche colui che, in ogni caso, rimane il “cattivo par excellence” e cioè Slobodan Milosevic’ ? Indubbiamente, la risposta a tale quesito è e può essere, secondo Peter Muench, soltanto positiva76 . E’ però Peter Sartorius, al di là anche della ulteriore occasione per una ennesima comparazione negativa fra i due uomini politici offerta dalla obiettiva connivenza fra il defunto ex/capo dello stato croato e l’ attualmente sotto processo a L’ Aja ex/presidente serbo, prima, e federale, poi, concernente una spartizione anti/musulmana della Bosnia/Erzegovina, a fare il punto, a dieci anni dal suo inizio, sull’ origine della ancora non conclusasi crisi ex/jugoslava. E tale “tirare le somme” è tutt’ altro che favorevole a Belgrado77 . Ciò che dell’ articolo in questione, in particolare, ma anche della più complessiva posizione del “S.Z.”, 76 A tal riguardo, confronta : P. Muench : “Das Balkan/Trauma” Sueddeutsche Zeitung, 23-6-2001. A tal proposito, confronta : P. Sartorius : “Plan A, Plan B und das Verhaengnis” Sueddeutsche Zeitung, 25-6-2001. 77 33 in generale, ha maggiormente colpito l’ attenzione di chi scrive è la scarsa rilevanza assegnata da parte del quotidiano bavarese, in relazione alla dissoluzione della Jugoslavia post/Tito, sia all’ azione degli “agenti esterni”, in generale78 , che a quella esercitata dalla Germania, in particolare. Posto, infatti, che anche nell’ analizzare le linee di condotta osservate dagli altri sei quotidiani in questa sede prescelti chi scrive non ha precipuamente concentrato la propria attenzione su come questi abbiano valutato il ruolo dei primi, risulta, però, comunque sorprendente il “silenzio” del “S.Z.” relativo a quello assunto da Bonn/Berlino durante tale delicatissimo frangente della politica internazionale. Il 25-6-1991 segna, infatti, il definitivo inizio della definitiva fine della Jugoslavia post/Tito. Una fine, però, sembra di capire, da ascriversi, secondo il foglio bavarese, a cause del tutto interne. Circa settantacinque anni prima, infatti, le potenze vincitrici della Prima Guerra Mondiale, “con lo scopo di dare finalmente pace ai Balcani” , avrebbero creato un’ artificiale Jugoslavia della cui stabilità interna i “privilegiati” Serbi, nei quali chiunque conosca, anche sommariamente, le vicende storico/politiche dei Balcani non può non riconoscere i principali “perturbatori” degli interessi tedeschi in quella zona d’ Europa per lo meno a partire dall’ ultimo quarto del diciannovesimo secolo in poi, avrebbero fatto da garanti e che, dopo la morte di Tito, unica vera ragione, secondo Sartorius, della esistenza di tale stato, avrebbero cercato in tutti i modi di conservare unita, pena la perdita della propria “tradizionale posizione di primato” rispetto agli altri popoli inclusi con loro nei medesimi confini divenuti, nel frattempo, questi ultimi, federali. Al fine di evitare un evento così grandemente esiziale per il proprio potere, la dirigenza serba, secondo l’ autore, avrebbe perciò elaborato un “Piano A” ed un “Piano B”, con il secondo da applicarsi in caso di fallimento del primo. Quest’ ultimo, il “Piano A” per l’ appunto, avrebbe dovuto assumere i connotati di un rapido ed efficace “putsch” contro i vertici politici sloveni; da mettere in pratica come immediata risposta del centro alle dichiarazioni unilaterali di indipendenza effettuate da parte delle più settentrionali capitali della ormai definitivamente morente Federazione. Sarebbe stato applicato, invece, il “Piano B” in quanto quello “A”, sempre secondo Sartorius, sarebbe stato frustrato nei suoi risultati dalla inaspettatamente determinata resistenza offerta dalla Milizia Territoriale di Lubiana. Posta l’ esistenza, in casa serbo/federale, anche di obiettivi “geograficamente diversi” rispetto alla “riconquista” della Slovenia, è del tutto da escludersi l’ esistenza di una componente di “ingenuità” , per quanto eventualmente minoritaria, relativa ad una riluttanza dell’ Armata Popolare Jugoslava a scagliarsi contro un “popolo fratello” ? E tale “ingenua 78 “Attrazione magnetica” esercitata dal contemporaneo salto di qualità che l’ integrazione europea occidentale allora compiva, dalla mobilitazione pro/jugoslava solo verbale da parte di Londra e Parigi mentre gli attori politico/istituzionali italiani si mostravano divisi al loro interno, dall’ atteggiamento “attendista e defilato” degli U.S.A. , dal ruolo delle principali istituzioni economico/finanziarie mondiali, dalla crisi e dalla fine non solo del cosiddetto “blocco socialista” ma anche della stessa Unione Sovietica. 34 riluttanza” non avrebbe, perciò, aiutato la Slovenia a secedere in un’ atmosfera di anche notevole incredulità visto che non pochi cittadini jugoslavi, nonostante la situazione drammatica che il loro paese stava attraversando sia dal punto di vista politico che socio/economico, erano ben poco propensi a credere alla fine, e soprattutto ad una TALE fine, della federazione creata da Tito ? Al di là di quesiti che, spero, al lettore appariranno per lo meno sensati, l’ applicato “Piano B” è stato caratterizzato da un respiro più profondo rispetto a quello solo militare del fallito “Piano A”. Il “Piano B”, infatti, avrebbe mirato, secondo Sartorius, alla trasposizione pratica dell’ idea della “Grande Serbia” la quale, raggiungendo con i propri confini tutte le terre abitate da Serbi, dentro e fuori la madrepatria, avrebbe funto da “adeguato sostituto” in caso di impossibilità, da parte delle autorità centrali, ad assicurare la ulteriore sopravvivenza della Jugoslavia. Stando a quanto scritto da Sartorius, è con la messa in pratica di tale “Piano B” che Belgrado “getta la maschera” e, “alleata” con un’ Armata Popolare non più Jugoslava ma Serbo/Montenegrina, e quindi sempre più schierata al fianco delle milizie irregolari “serbo/locali”, mostra il proprio “vero volto” : quello, ancora una volta, dell’ “aggressore”. Soffermarsi sull’ articolo appena preso in esame, in particolare, e sulla linea del “S.Z.”, in generale, ha spinto chi scrive a porsi non poche domande. E’ plausibile prospettare l’ esistenza della Jugoslavia come fatto puramente artificiale senza, per di più, nemmeno distinguere fra Jugoslavia monarchica e socialista ? E perché non citare, fra le ragioni della nascita dell’ “artificiale Regno S.H.S.”/“Prima Jugoslavia”, anche un chiaro movente di “contenimento anti/germanico” ? Per non dover trovarsi, successivamente, costretti ad ammettere che le deflagrazioni balcaniche degli anni novanta del ventesimo secolo costituiscono anche, un dato di fatto, quest’ ultimo, difficilmente contestabile, una “vittoria tedesca”? E come mai la “Serbia privilegiata”, prima dell’ ascesa di Slobodan Milosevic’ , ha espresso un solo dirigente della Lega Dei Comunisti realmente importante a livello federale, e cioè Alexander Rankovic’79 , a meno di non voler considerare anche la, tutto sommato, breve e, contemporaneamente, “problematica” parabola del comunque montenegrino Milovan Djilas ? E riguardo all’ “eterno tema” di una burocrazia e di un Esercito Federale “dominati da Serbia e Montenegro” : è proprio da escludersi la presenza, in quei settori della società jugoslava, di corposi contingenti di cittadini appartenenti anche ad altre etnie, specie in ambito repubblicano non serbo ? E, provocatoriamente, chi avrebbe il coraggio di sostenere che l’ Italia del Centro/Nord è “occupata” , termine quest’ ultimo, invece, quanto mai abusato, presso i circoli ed i movimenti politici nazionalisti anti/serbi ed all’ interno di ricostruzioni storico/giornalistiche di taglio filo/sloveno e filo/croato, in rapporto a quanto accadeva 79 Fino al 1966, questi fu il capo della polizia segreta. Venne, in quell’ anno, deposto proprio da Tito quando si scoprì che, in ossequio alla sua visione accentuatamente “belgradocentrica” degli equilibri federali, i suoi agenti erano giunti a spiare, addirittura, lo stesso Maresciallo in quanto non “sufficientemente centralista”. Eliminato dalla vita politica, senza però subire alcun processo, Rankovic’ morì nel 1983 ed i suoi funerali vennero celebrai in chiave serbo/nazionalista. 35 sull’ altra sponda dell’ Adriatico, da “un’ orda di militari e burocrati meridionali” solo perché in quegli ambiti occupazionali è da riscontrarsi una forte componente di cittadini originari del Sud del nostro paese ? Non è tuttociò, invece, sia in Italia che nella ex/Federazione titina e “post/titina”, un prodotto di differenze economico/sociali interregionali le quali fanno sì che chi proviene da aree meno sviluppate scelga con più facilità la varie forme dell’ impiego statale ? Se al CROATO/SLOVENO Tito ( il “vice” del Maresciallo, Edvard Kardelj, era, “addirittura”, “completamente” sloveno) , è bene non dimenticarne le origini etniche, si fosse dovuto, inoltre, ascrivere la ragione prima, e quasi esclusiva, dell’ esistenza di questa Jugoslavia “socialista e serbocentrica” , perché fu proprio l’ Accademia SERBA delle Scienze e delle Arti, nel 1986, a criticarne, tanto esplicitamente, l’ eredità politica, economica, sociale e culturale accusandolo : di aver favorito una politica economica e degli investimenti eccessivamente rivolta verso le esigenze della Slovenia e della Croazia, di aver trasformato la Serbia, con la Costituzione del 1974, nell’ unica componente repubblicana “dotata” al suo interno di due regioni fortemente autonome e caratterizzate dalla presenza rilevante, e particolarmente forte nel Kosovo/Metohija, di un elemento etnicamente allogeno e, sempre nel contesto di una costruzione federale iper/multietinca e, quindi, “ontologicamente” costretta a confrontarsi con complicatissimi problemi di questo tipo80 , di aver permesso, avendo egli contribuito, in prima persona e da una posizione di assoluto vertice, a tracciare i confini inter/jugoslavi, che la Serbia fosse l’ unica componente repubblicana a vedere tanti cittadini jugoslavi “etnicamente suoi” vivere al di fuori dei suoi confini ? E ciò anche senza considerare, peraltro, il riconoscimento dell’ autocefalia della chiesa ortodossa macedone. Provvedimento preso durante gli anni sessanta, tale decisione politica costituì un importante tassello volto a rafforzare il vigore di una identità nazionale sicuramente storicamente ed ancora attualmente fragile ma che proprio Josip Broz volle, scontentando non pochi in Serbia, separata da quella belgradese. Il “S.Z.” non è, ovviamente, il solo quotidiano, fra i sette in questa sede prescelti, ad essersi reso fautore di una linea non certo esente da anche non pochi rilievi, non difficilmente effettuabili da parte di un almeno non sprovveduto osservatore degli avvenimenti jugoslavi e “post/jugoslavi”. E’, però, la “indeterminatezza” che ne contraddistingue l’ analisi effettuata in relazione anche e , ed in questa sede, visto lo scopo del presente lavoro, soprattutto alla fase iniziale della “Guerra dei Dieci Anni” ad aver spinto, per lo meno chi scrive, a porre ed a porsi tali, ed altri, quesiti in misura maggiormente pronunciata. Il “filo/secessionismo sloveno/croato” ed il conseguente giudizio favorevole ad una Germania “interventista” espressi, geo/politicamente, da “F.A.Z.” e da “D.W.” e , “umanitariamente”, da Frankfurter Rundschau e “TAZ.”, da un lato, come anche l’ “anti/secessionismo croato/sloveno” e la contrarietà radicale al ruolo da Bonn/Berlino svolto prima di tutto, ma non soltanto, durante l’ autunno/inverno 1991/1992, fatti invece propri da 80 In aggiunta, tuttociò, ai “normali travagli” che costellano l’ esistenza di ogni compagine statale. 36 “N.D.” e “J.W.” , dall’ altro, presentano, infatti, tutti i crismi di conclusioni tratte dall’ utilizzo di chiarissimi schemi interpretativi. Schemi interpretativi, poi, tutt’ altro che esenti da vizi sia formali che sostanziali ; a loro volta, questi ultimi, per quanto concerne la stampa tedesco/occidentale, grosso modo riconducibili, secondo chi scrive, a quelli già evidenziati a proposito della “S.Z.”, ma con l’ aggiunta di una tutt’ altro che trascurabile “aggravante” , in rapporto al quanto mai desiderabile fine di poter disporre di una informazione la più “pacata” ed “imparziale” possibile, a sua volta dovuta ad un pronunciato “spirito da crociata”, sia “geo/politica” che “umanitario/progressista”, mentre, per quel che riguarda quella tedesco/orientale, indubitabilmente rintracciabili, prima di tutto, in un evidente tono da “contro/crociata”. Quale giudizio, nell’ ambito di un panorama così “deciso”, è , invece, possibile formulare a proposito dell’ orientamento del “S.Z.” ? La moderazione equivale, di per sé, ad una non/scelta ? Tutt’ altro che necessariamente, è ovvio. D’ altro canto però, in presenza di una linea “autonoma e differente” soltanto abbozzata, essa può effettivamente apparire come tale. La “diversità”, per lo meno “tedesco/occidentale”, ad esso derivata dall’ aver adottato una collocazione scevra da qualsivoglia “crociata”, sia “geo/politica” che “umanitaria”, risulta, infatti, non pienamente completa. E ciò non perché ad una relativa “moderazione” filo/slovena e filo/croata abbiano fatto, e facciano, seguito “compensatorie” dosi di “estremismo” su altri importantissimi aspetti della delicatissima questione balcanica81 ma perché a siffatta “moderazione” si è affiancata, e si affianca, come già precedentemente posto in evidenza, una evidente sordina posta su una più ampia analisi delle cause della fine della Jugoslavia, in generale, e sul ruolo svolto, principalmente nel corso del periodo compreso tra la fine del 1991 e l’ inizio del 1992, dalla B.R.D. , in particolare. Il tutto sembra, perciò, sfociare in una interpretazione della deflagrazione balcanica che, oltre che come non completa, si configura anche come “quasi/fatalista”. La Jugoslavia, infatti, stando anche a quanto in precedenza fatto notare, avrebbe cessato la propria esistenza in quanto “inevitabilmente destinatavi” dalla sua stessa “essenza artificiale”. Posta l’ evidente insufficienza di una simile chiave di lettura, emerge, quasi imperiosamente, verrebbe da scrivere, la mancanza di un’ approfondita valutazione a proposito dell’ invece inconfutabilmente esistente ed indubbiamente notevole ruolo tedesco. Un simile giudizio, invece, viene ritenuto, da parte di chi scrive, di importanza praticamente imprescindibile. Esso, infatti, non solo avrebbe non poco contribuito a delineare tempi e modi della fine della Jugoslavia come visti da un “S.Z.” maggiormente “analitico” ma, in primo luogo, avrebbe reso obiettivamente più semplice lumeggiare in modo maggiormente circostanziato, la posizione del foglio bavarese nei confronti, per lo meno, della proiezione internazionale della “Berliner Republik”; questa “nuova e 81 Sobodan Milosevic’ , infatti, tanto per limitarsi ad un solo esempio, non è certo, secondo il foglio bavarese, maggiormente esecrando di quanto non lo sia secondo gli altri quotidiani, per lo meno quelli tedesco/occidentali, in questa sede fatti oggetto di specifica analisi. 37 libera B.R.D.” ormai “inevitabilmente” e definitivamente assestatasi su posizioni di preminenza nei Balcani, in tutta la metà orientale del nostro Continente, nell’ ambito della U.E. ed anche oltre i confini di quest’ ultima. La Germania, rispetto al terribile decennio balcanico appena trascorso, in generale, e rispetto al distacco di Lubiana e Zagabria da Belgrado, in particolare, si è mossa “bene” o “male” ? La Germania indubitabilmente e prepotentemente tornata “potenza” sulla scena internazionale è un “bene” o un “male” ? Non impressioni la apparentemente sconcertante semplicità con la quale sono stati formulati i quesiti di cui sopra. Porre, infatti, la sordina su di essi, adottando una linea “fatalistico/riduttiva” come quella testè delineata, significa, a parere per lo meno di chi scrive, collocarsi, come minimo, a ridosso di una “non/posizione”, di una “scelta di non/scelta” in parte, è possibile, ispirata al “S.Z.” anche dal suo caratterizzarsi come “isola laico/riformista” all’ interno di un “oceano bavarese” estremamente cattolico ed esplicitamente conservatore tutto o quasi proteso, a parole e nei fatti, sempre per restare nell’ ambito dell’ intervallo temporale prescelto per il presente lavoro, a favore dell’ incontestabilmente interessato avverarsi delle aspirazioni indipendentiste slovene e croate. 2-4-2: “I cinque quotidiani politici ‘minori’ ” : il “Die Welt”, il “Frankfurter Rundschau”, il “Tageszeitung”, il “Neues Deutschland” e lo “Junge Welt” Tra i quotidiani in questa sede definiti “minori”, quello che, più risolutamente si è schierato a favore dell’ indipendenza di Slovenia e Croazia è il “Die Welt”. Per il foglio “neo/berlinese”, non ci sono dubbi : è Slobodan Milosevic’ colui il quale “effettivamente” lancia, il 27-6-1991, l’ attacco alla Slovenia, e non, come invece realmente accaduto, il premier Ante Markovic’. Lo scopo dell’ offensiva è preservare, a qualunque costo, l’ esistenza della Jugoslavia in quanto strumento primario, secondo Herbert Kremp, di attuazione e consolidamento del dominio serbo sugli altri popoli della regione82. D’ altronde, sarebbe stato impossibile che l’ aggressività “gran/serba” non fosse sfociata nell’ uso della forza militare. Secondo Carl G. Stroehm, infatti, le tesi del politologo statunitense Samuel P. Huntington sul “Clash Of Civilizations” come chiave interpretativa dei conflitti post/”Guerra Fredda” sarebbe, in tutta l’Europa centro/orientale, pienamente confermata e, per suffragare un simile dato di fatto, basterebbe solo confrontare le transizioni relativamente tranquille dei paesi ex/socialisti di matrice 82 A tal proposito, confronta : H. Kremp : “Balkan : die Wiege des Krieges” Die Welt, 6-4-1999. 38 cattolico/protestante, e quindi occidentale (Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria83), con quelle, ben più travagliate, parziali ed “autoritarie”, in corso in quelli di matrice ortodossa (Bulgaria e Romania su tutte), e quindi orientale. Che, poi, tale contrasto emerga con massima intensità nella ex/Jugoslavia giungerebbe come ulteriore attestato di validità di quanto appena sostenuto. L’ unica peculiarità degli avvenimenti dell’ ex/Federazione titina, infatti, consisterebbe nella virulenza e non nella sostanza dello scontro ; virulenza moltiplicata, nei suoi perniciosi effetti, dal passaggio della linea di frontiera e di frattura fra orienta ed occidente proprio all’ interno dello sventurato paese84. Se, dunque, si tratterebbe dell’ attacco contro “due piccoli paesi occidentali” portato dal “mondo bizantino e nazional/comunista”, risulterebbe tutt’ altro che sorprendente che una Germania ormai pienamente ed irreversibilmente occidentale abbia garantito e continui a garantire loro il proprio sostegno ; anche a costo di ignorare le critiche provenienti da partners ed alleati, europei e non85. Da ciò discende conseguentemente, secondo il “Die Welt”, anche l’ assoluta esigenza, per la B.R.D. , di “non fossilizzarsi su non necessari richiami al rispetto dei diritti umani che non fanno altro che ostacolare e disturbare la politica tedesca”, nei Balcani in generale e, specialmente, “in Croazia”86, e che rischiano di impedire un pieno apprezzamento, da parte della stessa R.F.T. , dell’ importanza geo/politico/economica della propria presenza nella regione. Stando ad Hannes Burger, infatti, è soprattutto la Slovenia indipendente a rappresentare “la porta della Baviera verso il Sud/Est europeo”87. Certo, non che il decennio presidenziale di Franjo Tudjman sia stato esente da ombre ; resterebbe, però, in ogni caso inattaccabile l’ importanza del suo ruolo storico : quello, cioè, di aver dato alla Croazia l’ indipendenza e la libertà88. E’ , dunque, più che positiva la valutazione che il “D.W.” fa della politica filo/Lubiana e filo/Zagabria perseguita dal governo Kohl/Genscher, almeno, fin dagli inizi del 1991. Una politica talmente “appropriata”, secondo il quotidiano “neo/berlinese”, che non solo è stata proseguita dal governo Kohl/Kinkel e dalla coalizione “rosso/verde” di Schroeder e Fischer, ma che ha anche goduto di un evidente suggello internazionale con la guerra del 1999 fra “Terza Jugoslavia” ed Alleanza Atlantica. Le bombe sulla Federazione fra Serbia e Montenegro, infatti, non solo costituirebbero una “tardiva ammenda” per 83 Chi scrive, però, non può far a meno di notare come, ogni qual volta vengano magnificati con tanti elogi i mutamenti intervenuti a Varsavia, Praga e Budapest, raramente venga citato il ben diverso stato delle cose vigente a Bratislava. Paese dotato di salde ed indiscutibili radici cattoliche, la Slovacchia, tormentata da notevoli instabilità sia economiche che politiche, rappresenta, evidentemente, una non indifferente “stecca” all’ interno del coro delle “rosee transizioni” in atto attorno ad essa. 84 A tal riguardo, confronta : C. G. Stroehm : “Kampf der Balkan-Kulturen” Die Welt, 27-1-97. 85 A tal proposito, confronta : T. L. Friedman : “Bonn soll Frieden schaffen” Die Welt, 19-10-95. 86 A tal proposito, confronta : C. G. Stroehm : “Wende in Paris” Die Welt, 29-9-95. 87 A tal riguardo, confronta : H. Burger : “Aussenpolitik der besonderen Art” Die Welt , 3-1-96. 88 A tal proposito, confronta : D. Melcic’ : “Franjo Tudjman : der Praesident, der Kroatien schuf ” Die Welt, 15-11-99 e B. Kalnoky : “ Der Mann, der Kroatien schuf „ Die Welt, 13-12-99. 39 sloveni, croati e bosniaci non/serbi, “aggrediti” a partire dal biennio 1991/1992, ma fungerebbero, anche, da sonora e definitiva smentita della linea politica a lungo seguita nei Balcani dagli U.S.A. (dalla Francia e dal Regno Unito) ma, da sempre, non condivisa dalla Germania. Per Washington in particolar modo, Serbia e Croazia hanno rappresentato, durante un non brevissimo lasso di tempo, interlocutori egualmente poco graditi ed anzi, nel corso dei negoziati poi sfociati nella Pace di Dayton/Parigi come durante la fase ad essa anche non immediatamente successiva, era, “addirittura”, emerso Slobodan Milosevic’ come il leader più ragionevole e maggiormente affidabile dell’ intera area. Il capovolgimento che l’ approccio statunitense ai Balcani ha subito tra la fine del 1998 e l’ inizio del 1999, e che ha poi visto gli U.S.A. capeggiare la coalizione anti/Belgrado pochi mesi dopo, è stato commentato con piena soddisfazione dal “D.W.” in quanto conferma “finalmente giunta” della fondatezza dell’ atteggiamento anti/serbo della diplomazia tedesca ; una scelta, questa, che il quotidiano “neo/berlinese” si fregia di aver costantemente e convintamene sostenuto89. Pur non avendo adottato uno schema interpretativo così esplicitamente schierato come quello fatto proprio dal “D.W.”, né il “Frankfurter Rundschau” né il “TAZ.” possono, però, essere classificati come quotidiani filo/serbi. Tutt’ altro. Il foglio francofortese, all’ interno di un approfondito “speciale” dal titolo “Machtwechsel in Serbien”, “Cambio di Potere i Serbia”, e precipuamente dedicato agli avvenimenti lì succedutisi durante il lasso di tempo intercorso fra le elezioni presidenziali del tardo settembre del 2000 e quelle parlamentari del successivo 23-12, non si è sottratto, in concomitanza con la “fine dell’ ‘Era Milosevic’ ” , dal rileggerne retrospettivamente la fasi salienti e l’ esito del confronto fra il suo “regime” e quello, non certo inattaccabile, del “nazionalista Tudjman” non lascia adito a dubbio alcuno nel suo essere completamente sfavorevole all’ ex/“uomo forte di Belgrado”90. Responsabile di averlo sistematicamente rapinato91, l’ elite politica capeggiata dallo statista serbo/montenegrino ha talmente danneggiato il proprio paese da averlo trasformato, dopo tredici anni di governo, in un “deserto morale e materiale”92. Non che il “colpevole” appoggio di buona parte della popolazione serba prima di tutto al Partito Socialista Serbo93 ed i tutt’ altro che disinteressati comportamenti di alcuni paesi occidentali, soprattutto 89 A tal riguardo, confronta : C. G. Stroehm : “Spaete Genuugtuung fuer die Kroaten” Die Welt, 35-99. 90 A tal proposito, confronta : G. Poerzgen : “Die Kronleuchter sind gewienert” Frankfurter Rundschau, 24-11-00. 91 A tal riguardo, confronta : “Jugoslawien” Frankfurter Rundschau, 7-10-00. 92 A tal proposito, confronta : R. Paasch : “Nach der Wende in Belgrad” Frankfurter Rundschau, 28-12-00. 93 A tal riguardo, confronta : S. Israel : “Europa muss helfen” Frankfurter Rundschau, 7-11-00. 40 Francia e Germania94, non abbiano giocato un rilevante ruolo nello scatenarsi e nel decennale decorso della crisi balcanica. Ciò però, sempre stando a quanto sostenuto dal foglio francofortese, non può far dimenticare come l’ “imputato” primo e principale dello scoppio di quattro atroci guerre (Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Kosovo), dell’ attuazione di mostruose pulizie etniche e del ritorno di nefaste ideologie “nazional/mitologiche” sia stato e rimanga il “regime” di Belgrado95. Fautore di una linea non distantissima da quella portata avanti dal “Frankfurter Rundschau”, anche il “TAZ.” ha avuto ed ha poche perplessità rispetto all’ attribuzione delle maggiori responsabilità relative alle tormentatissime vicende ex/jugoslave degli anni novanta del secolo scorso. Il ritratto di Franjo Tudjman che Erich Rathfelder traccia sulle colonne del foglio berlinese non è certo dei più lusinghieri. Il defunto ex/presidente croato, infatti, sarebbe stato poco meno che un omologo del suo “rivale di Belgrado”, scelto, dai circoli croati più fervidamente nazionalisti presenti in Germania, Argentina, Canada, Stati Uniti ed Erzegovina Occidentale, ma anche in patria, come “uomo giusto”, sia per secedere dalla Jugoslavia, sia per spartirsi la Bosnia/Erzegovina assieme alla Serbia96. Durante il suo doppio mandato presidenziale inoltre, la Croazia avrebbe “perso molti anni sulla strada della piena trasformazione in un paese compiutamente democratico”97. Ma per quanto ricco di aspetti criticabili possa essere stato il periodo “tudjmaniano” a Zagabria, anche secondo il “TAZ.” i principali responsabili di dieci anni di tragedie balcaniche vanno cercati a Belgrado. “Normalizzate” Serbia, Kosovo, Vojvodina e Montenegro durante il triennio 1987/1989 e vinte le elezioni politiche repubblicane del 1990 sulla base di un programma “ultra/nazionalista”, è, infatti, la classe politica al potere nella “Città Bianca” ad aver causato, con il proprio sciovinismo aggressivo, la reazione armata di Slovenia e Croazia e ad aver trasformato “legittimi movimenti favorevoli all’ auto/determinazione nazionale in eserciti pronti a difendere le rispettive neo/conquistate indipendenze, anche ricorrendo alla guerra patriottica”98. Il “TAZ.”, d’ altro canto, non sottovaluta affatto il ragguardevole influsso della politica estera tedesca relativo alla decisione della comunità internazionale di riconoscere l’ indipendenza di Lubiana e Zagabria, prima, e di Sarajevo, poi (accettandone la trasformazione dei confini da amministrativi in internazionali)99, né 94 A tal proposito : M. Winter : “Bewaehrungsprobe auf dem Balkan” Frankfurter Rundschau, 2811-00. 95 A tal riguardo, confronta : M. Winter, op. cit. , 28-11-00. 96 A tal proposito, confronta : E. Rathfelder : “Kroatien trauert um seinem Vater” Tageszeitung, 1312-99 e E. Rathfelder : “Der Kreis schliesst sich„ Tageszeitung, 7-10-00. 97 A tal riguardo, confronta : E. Rathfelder : “Kroatien hat viele Jahre verloren” Intervista a S. Mesic’ Tageszeitung, 27-01-00. 98 A tal proposito, confronta : E. Rathfelder, op. cit. , 7-10-00. 99 A tal riguardo, confronta : P. M. La Gorce : “Die N.A.T.O. und ihre Suedosterweiterung” Le Monde Diplomatique, 3/00. In un’ ulteriore similitudine con “Il Manifesto”, il quotidiano berlinese 41 sottostima in alcun modo le conseguenze, quantomeno controverse, di una simile presa di posizione. Ma, proprio come le non poche perplessità sorte a proposito della Croazia indipendentista, prima, ed indipendente, poi, nemmeno gli effetti, per lo meno contraddittori, causati dallo scontro dei contrapposti interessi diplomatici delle grandi potenze possono in alcun modo sminuire le responsabilità di Slobodan Milosevic’ e la condanna che Milos Vasic’ esprime nei confronti del suo operato è totale. Lo statista serbo/montenegrino, infatti, non solo avrebbe scatenato, in prima persona, le guerre in Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina e Kosovo ma, avendo preferito, come via d’ uscita dal “socialismo auto/gestito”, il nazionalismo para/fascista alla social/democrazia, si sarebbe anche macchiato di un crimine, probabilmente, ancor più grave : aver anteposto, per la prima volta dal 1945, il principio etnico a quello di cittadinanza100. Lontanissime, invece, sia dall’ “anti/serbismo huntingtoniano e geo/politico” di “F.A.Z.” e “D.W.” che da quello “universalistico/umanitario/progressista” di “Frankfurter Rundschau” e “TAZ.”101, le posizioni del “Neues Deutschland” , ed ancor più evidentemente dello “Junge Welt” , hanno avuto ben poco a che spartire anche con la “incompleta cautela” del “Sueddeutsche Zeitung”. Dalle colonne dell’ ex/organo del Comitato Centrale della Sozialistische Einheitspartei Deutschlands , Frank Wehner condanna l’ ipocrisia di “alcuni politici che oggi non dormono dalla compassione” per il Kosovo ma che sin dal momento iniziale della disgregazione della Federazione creata da Tito si sarebbero dimostrati talmente “spietati” da esternare la propria soddisfazione per la caduta dell’ “ultimo bastione bolscevico” avendo ottenuto, con la frantumazione della Jugoslavia, l’ assetto balcanico ideale al perseguimento dei propri interessi. Definendo il 25-6-91 “un giorno nero per la Jugoslavia, per i Balcani e per l’ Europa tutta”, l’ autore punta il dito contro le “colpe insanguinate” dell’ occidente, in generale, e della B.R.D. , in particolare, e li accusa, avendo riconosciuto quelle repubbliche che “in modo anarchico si erano separate dalla Federazione” , di “aver innescato la crisi e di essere stati, fin dall’ inizio, tutt’ altro che neutrali”. Slobodan Milosevic’ , sempre secondo Wehner, sarebbe un cinico “aparatschik” che avrebbe puntato sul nazionalismo per uscire dalla grave crisi, economica ideologica e politica, che ha attanagliato la Jugoslavia durante tutto il decennio ottanta del secolo scorso, ma non può però, per questo, diventare la “Inkarnation des Boeses” (l’ “Incarnazione del Male”). La teoria stando alla quale i Serbi sarebbero dei “demoni nazionalisti” ed i non/Serbi dei valorosi “combattenti per la libertà” è, esce, una volta al mese, allegando l’ edizione tedesca della prestigiosa versione “internazionalmente mensile” di quello che, probabilmente, è il più prestigioso quotidiano francese. 100 A tal proposito, confronta : M. Vasic’ : “Das System Milosevic’ ” Tageszeitung, 10-6-00. 101 Anche nonostante il fatto che questi ultimi due quotidiani abbiano delineato, l’ uno, quello francofortese, “in condominio” con la Francia, l’ altro, quello berlinese, a prescindere da qualsivoglia “apparentamento” o paragone, l’ esiestenza di un ruolo tedesco “non positivo”, per lo meno durante la “prima fase” dello smembramento jugoslavo. 42 infatti, “primitiva” perché, volutamente, dimentica la “Demokratiefeindlichkeit” (“avversione alla democrazia”) di Franjo Tudjman, l’ espulsione di 400.000 cittadini croati di etnia serba dal loro paese, tra il maggio e l’ agosto del 1995, ed il “tutti contro tutti bosniaco” generato da un “referendum illegale”. L’ autore, ovviamente, è inoltre ben lungi dal non menzionare il Kosovo : non certo casualmente “ignorato” in nome degli accordi di Dayton/Parigi ma, quattro anni dopo, scusa ideale per “distruggere l’ unico paese europeo, oltre alla Federazione Russa, non ancora piegato completamente ai voleri dei paesi occidentali e dell’ Alleanza Atlantica”102. Altrettanto duro è Gerd Prokot, il quale sottolinea come la caduta del Muro sarebbe coincisa con la ripresa della “tradizionale poltica ‘gran/tedesca’ nei Balcani”. Le due Germanie pre/1990, infatti, avrebbero avuto un differente ma convergente interesse a che la Jugoslavia restasse unita. Bonn, in quanto capitale inserita all’ interno del sistema occidentale di alleanze, avrebbe considerato la diversità del socialismo jugoslavo utile in chiave di contenimento dell’ azione del Patto di Varsavia, mentre per Pankow, non poco diffidente delle “sperimentazioni” e dell’ autonomia di Tito ma anche capitale inserita all’ interno del sistema di alleanze facente capo a Mosca, la R.S.F.J. restava, pur sempre, un paese socialista. In barba ad ogni sorta di “cautela politica” però, il primo governo tedesco post/1990, quello Kohl/Genscher, nel tardo autunno 1991, “quando il futuro della Federazione non era ancora stato definitivamente deciso”, avrebbe costretto irresponsabilmente i partners europei ad accettare il riconoscimento di Slovenia e Croazia ; irritando, in tal modo, Washington ed ignorando la successivamente realizzatasi profezia del presidente della Conferenza de L’Aja, Lord Peter Carrington, secondo il quale l’ appoggio a Lubiana e Zagabria avrebbe costituito “la miccia capace di incendiare la Bosnia/Erzegovina”. Attaccando la continuità che l’ attuale coalizione “rosso/verde” avrebbe mantenuto rispetto all’ approccio verso i Balcani dell’ ultra/decennale “periodo/Kohl” (1982/1998), Prokot si scaglia contro l’ ipocrisia di “slogans umanitari” come “diritto all’ auto/determinazione dei popoli”, “impedire la pulizia etnica” o “abbasso Milosevic’ ”, dietro ai quali si nasconderebbero, invece, “risentimenti storici” , “incompatibilità ideologiche” , “atavici desideri di vendetta” e “calcoli politici a lunga scadenza”103. La più grande delle mistificazioni interverrebbe però, sempre stando a Prokot, con la strumentalizzazione del “presunto mito della ‘Grande Serbia’ ” : una strumentalizzazione utile, se non altro, a giustificare un decennio di convinto “anti/serbismo” e di convinto “anti/jugoslavismo”. La pubblicazione, durante il mese di settembre del 1986, del “Memorandum dell’ Accademia Serba delle Scienze e delle Arti”, il discorso che Slobodan Milosevic’ tenne, il 28-6-1989, al Campo dei Merli in Kosovo, in occasione 102 A tal riguardo, confronta : F. Wehner : “Dreifache Chronik eines angekuendigsten Todes” Neues Deutschland, 12-4-99. Lascia, però, abbastanza interdetto chi scrive il fatto che l’ autore, fra i paesi cosiddetti “resistenti” , non abbia citato anche la Bielorussia. 103 A tal proposito, confronta : G. Prokot : “Wenn Machtrausch die Wahrnehmung truebt” Neues Detuschland, 12-4-99. 43 del 600° anniversario della battaglia che vide la coalizione dei principi bosniaco/erzegovesi, macedoni e serbi, capeggiata dal serbo Lazar, uscire sconfitta dallo scontro con l’ esercito turco (da quel momento sarebbero cominciati circa 500 anni di dominazione ottomana sulla regione) e quello che l’ allora presidente serbo pronunciò a Belgrado di fronte al Parlamento della propria repubblica, il 30-5-1991, verrebbero frequentemente letti, secondo l’ autore, come tre momenti/chiave per individuare i fondamenti ideologici sui quali, di lì a poco, si sarebbe innestata l’ azione militare jugo/serba volta a realizzare gli obiettivi ultra/nazionalisti ad essa sottesi. Farsi fautori di una simile presa di posizione equivale però, secondo Prokot, ad un atto di palese faziosità. Perché, si chiede l’ autore, citare sempre il “Memorandum” serbo e dimenticare altrettanto costantemente i “Contributi per un Programma Nazionale Sloveno” del 1987 e l’ opera del futuro presidente croato Franjo Tudjma, intitolata “Deriva dalla Verità Storica” e datata 1989 ? Perché, poi, non ricordare come la decisione, “certamente deprecabile”, presa dalla dirigenza serba di annullare la forte autonomia che la Costituzione del 1974 aveva concesso a Vojvodina e Kosovo, mai avrebbe potuto entrare in vigore se non avesse ricevuto l’ avallo della Presidenza Collegiale Jugoslava, organismo, quest’ ultimo, all’ interno del quale erano presenti i rappresentanti di TUTTE le repubbliche e, quindi, anche , di Slovenia e Croazia ? E se è, infine, vero, che il 30-5-1991 Slobodan Milosevic’ rivendicò il “diritto dei Serbi a vivere in un solo stato” perché omettere di segnalare come il presidente serbo avesse poi aggiunto, sempre nell’ ambito della medesima frase del medesimo discorso, che tale stato era, a suo parere, la Jugoslavia, “un paese da condividere con chi lo vuole” ?104 Ma se incontestabilmente indiscutibile appare il contrasto tra le posizioni riscontrabili leggendo i “Wessi/Zeitungen” e quelle appena emerse tracciando un’ analisi della linea seguita dal “N.D.” , ancor più marcata, oltre a quella non certo enorme ma comunque presente nei confronti di quest’ ultimo, emerge la contrapposizione fra quanto sostenuto dai primi, “S.Z.” incluso, e l’ impostazione fatta propria, invece, dallo “Junge Welt”. L’ ex/quotidiano della F.D.J. , infatti, non sembra avere dubbi : la responsabilità principale della fine della Jugoslavia e delle guerre da quell’ evento originatesi (Slovenia, Croazia, Bosnia/Erzegovina, Kosovo) è del governo della B.R.D. la cui politica durante il decennio novanta del ‘900, a prescindere dal “colore politico” della coalizione al potere a Bonn/Berlino, sarebbe consistita in un costante attacco alla Jugoslavia, prima, ed alla Serbia, poi. Quali gli scopi di quest’ offensiva diplomatico/militare ? In una prima fase, la creazione, sotto il segno del Deutsche Mark, del “lato balcanico” della nuova “Ost/Mittel/Europa” ad egemonia tedesca (riconoscimenti di Slovenia, Croazia e Bosnia/Erzegovina), a sua volta punto di partenza dell’ “Europa Germanica”. Successivamente, l’ annichilimento della Serbia mirato ad 104 A tal riguardo, confronta : G. Prokot : “Niemand darf euch schlagen, niemand !” Deutschland, 15-4-99. Neues 44 ottenere il controllo dell’ area danubiana, porta strategica di accesso, quest’ ultima, allo scacchiere geo/politico all’ insegna del cui controllo si è aperto, ed è altamente probabile che si svolga, l’ appena iniziato XXI° secolo : l’ area trans/caucasico/caspica. Ricchissima di petrolio e gas naturale, ma anche “ideale” per “l’ accerchiamento” della Federazione Russa e per “avvertire” la Cina, l’ attuale Asia centrale ex/sovietica avrebbe, storicamente, sempre goduto di notevoli attenzioni da parte dei circoli governativi tedeschi : dal cancelliere Bethmann/Hollweg (“Il Reich ha l’ obbligo morale di favorire la liberazione delle nazionalità non/russe dal giogo dei moscoviti”), passando per Adolf Hitler (“battuto a Stalingrado”), fino alla “Berliner Republik” dei governi Kohl e Schroeder. E’ in questa chiave, dunque, che, secondo Till Meyer, andrebbero letti sia l’ adesione tedesca al progetto di esercito europeo, sia il sostegno della Germania all’ allargamento progressivo della U.E. (Turchia non esclusa) : la possibilità di dominare il “Centro del Mondo” , infatti, sarebbe talmente allettante da spingere l’ Europa a guida “rosso/giallo/nera” a contrastare perfino i progetti formulati, rispetto ad esso, dagli Stati Uniti d’ America105. Il primo tassello di una siffatta ed appena delineata strategia si sarebbe esplicato, secondo Hannes Hoffbauer, nell’ uso prima da parte tedesca, in particolare, e poi da parte occidentale, in generale, del criterio dei “due pesi, due misure” nei confronti dei vari etno/nazionalismi affermatisi prepotentemente in Jugoslavia tra la fine degli anni ottanta ed i primi anni novanta. L’ appoggio offerto alle istanze indipendentiste di Slovenia e Croazia, “sull’ onda dell’ unità nazionale ottenuta attraverso l’ ANNESSIONE106 dei cinque Laender orientali” ed usando il diritto all’ auto/determinazione dei popoli come “grimaldello ideologico” per disintegrare la Federazione, mostrerebbe l’ ingiustificata distinzione, messa in atto da parte di un amplissimo spettro politico estendentesi dalla C.S.U./C.D.U. ai Verdi, fra nazionalismo “cattivo” , da un lato (Serbia, Serbo/Croazia e Serbo/Bosnia) e nazionalismo “buono”, dall’ altro (Slovenia, Croazia, Bosnia musulmana, Erzegovina croata e Kosovo albanese)107. A tal proposito infatti, in maniera incontestabilmente illuminante, emergerebbe tra l’ altro, sostiene Winfried Wolf, l’ assoluta pretestuosità del “presunto” massacro di 45 civili albanesi a Racak108 , 105 A tal proposito, confronta : T. Meyer : “Geostrategisches Weltzentrum” Junge Welt, 21-12-99. Si ritiene utile porre fortemente l’ accento sulla parola “annessione”. Un tale vocabolo, usato per descrivere la “Wende” (“Svolta”), e cioè il ritorno all’ unità dello stato tedesco, è, infatti, peculiarità unica dello “Junge Welt”. 107 A tal riguardo, confronta : H. Hoffbauer : “Guter und Schlechter Nationalismus” Junge Welt, 14-99. 108 Il dato di fatto dell’ appartenenza etnica albanese dei cadaveri rinvenuti è fuori discussione. Ciò che però, da parte della cosiddetta “comunità internazionale” (ovvero Stati Uniti ed alleati, anche se non senza qualche non trascurabile distinguo), ha fatto considerare questo tragico avvenimento come la classica “goccia che fa traboccare il vaso” va ravvisato nello status civile delle vittime come evinto dagli osservatori O.S.C.E. diretti dall’ ex/capo della C.I.A. , William Walker. Il risultato della “missione Walker” , però, è ben lungi dall’ essere stato confermato da una equipe medica finlandese , “in loco” successivamente inviata , la quale si è dichiarata costretta, in 106 45 episodio, questo, impossibile da non leggersi come non in funzione dello scatenamento della guerra del 1999, rispetto, invece, all’ assoluta indolenza seguita all’ eliminazione di circa 180 cittadini croati di etnia serba, questi sì tutti certamente civili, a Gospic’ , Croazia, nel 1991109. Oltre che inammissibile quindi, fa notare ancora Hannes Hoffabuer in un ulteriore momento critico nei confronti in primo luogo della politica del governo Kohl/Genscher, la scelta di avallare l’ indipendenza di alcune componenti della Federazione, invece di impedire la guerra sul territorio di questa (così recitava, però, una delle motivazioni portanti grazie alle quali tale provvedimento era stato, sin da subito, prima invocato e successivamente giustificato), ne avrebbe, addirittura, aumentato l’ intensità110. Un’ opinione quest’ ultima, a parere di un Thomas Klein piuttosto polemico, condivisa del resto, ancora nel 1995, dall’ allora capogruppo verde al Bundestag, Joseph “Joschka” Fischer111. Nel corso di una lunga ed indubbiamente favorevole intervista poi, caso non certo comune all’ interno del panorama dell’ informazione, politica e non, “cartacea” e non, tedesca e non, l’ attuale ex/presidente della “Terza Jugoslavia”, Slobodan Milosevic’ , ha l’ opportunità sia di ribadire le proprie critiche alla politica tedesco/europea dei riconoscimenti sia, tornando su uno dei temi più cari al recente nazionalismo serbo, e cioè quello della “Serbia come vittima dell’ ultimo genocidio del XX° secolo”, di confutare l’ accusa, a lui continuamente rivolta, di essere stato il vero “deus ex machina” della deflagrazione balcanica. Dichiarandosi non “gran/ serbo” ma “gran/jugoslavo”, Milosevic’ afferma, infatti, di aver voluto “tutti i cittadini jugoslavi di etnia serba in un solo stato”112 proprio in nome della stabilità interna della Federazione113. Più che benevolo con Milosevic’, lo “Junge Welt” è , invece, durissimo nei confronti di Franjo Tudjman, definito da Hans Werner un “nazionalista autocrate” durante gli anni potere del quale la Croazia sarebbe stata ridotta in “condizioni desolate” ed invece del tanto agognato aggancio all’ area “mittel/europea” ed alla “comunità trans/atlantica” avrebbe sperimentato soltanto disoccupazione, povertà, corruzione ed arricchimento di pochi privilegiati. Ripercorrendone la biografia “umana” e politica, l’ autore si sofferma diffusamente sulla “degenerazione ideologica” del futuro presidente sottolineandone, con dovizia di particolari, la trasformazione da commissario politico del movimento partigiano titino a storico ultra/nazionalista convinto che la Jugoslavia in quanto tale costituisse la forma più compiuta di oppressione nei confronti del popolo croato il cui stato “ustascia”, edificato grazie all’ mancanza di prove certe, chiare e definitive, a sospendere ogni giudizio. A tal proposito, confronta, fra l’ altro : T. Boari : “Racak, bugie di guerra” Il Manifesto, 6-2-01. 109 A tal riguardo, confronta : W. Wolf : “Kinkels ehemaliger Mann”, Junge Welt, 4-12-00. 110 A tal proposito, confronta : H. Hoffbauer, op. cit. , 1-4-99. 111 A tal riguardo, confronta : T. Klein : “Gedanken zum Krieg auf dem Balkan” Junge Welt, 2012-97. 112 Secondo non pochi osservatori, l’ inizio della fine della R.S.F.J. sarebbe cominciata proprio con l’ enunciazione di tale “imperativo” politico. 113 A tal proposito, confronta : “Gespraech mit Slobodan Milosevic’ ” Junge Welt, 5/6/7/8-1-99. 46 indispensabile apporto fornito da Germania nazista ed Italia fascista fra il 1941 ed il 1945, ne avrebbe, invece, rappresentato l’ espressione probabilmente più compiuta della “secolare lotta” per l’ indipendenza nazionale. Werner mette in chiara evidenza la, a suo modo di vedere, “obiettivamente inconfutabile” continuità fra nazi/fascismo e nazionalismo croato ; ricordando una certamente poco felice affermazione di Tudjman, relativa alla sua soddisfazione per essere sposato con una donna di origini né ebree né serbe, menzionandone il libro intitolato “Deriva dalla Verità Storica”, teso a ridurre drasticamente la portata dell’ Olocausto ed il numero delle vittime del tristemente famoso campo di concentramento di Jasenovac114, e riportando una dichiarazione, risalente al 1993, rilasciata da Dinko Sakic’115, secondo il quale “Tudjman è oggi il politico che più coerentemente persegue i fini dello N.D.H. (Stato Indipendente Croato/Ustascia)”. Il tutto poi, fa notare l’ autore sempre in tema di realizzazione pratica degli obiettivi maggiormente deteriori dello sciovinismo “gran/croato”, anche alla luce dell’ espulsione di 400.000 cittadini croati di etnia serba dalla Croazia nel 1995 ; un crimine per il quale è “stupefacente” che non sia mai stato emesso, da parte del Tribunale Internazionale de L’Aja, alcun mandato di cattura nei confronti dell’ oggi defunto statista116. Durissimo con Tudjman, il foglio berlinese si mostra estremamente sprezzante anche nei confronti dell’ attuale presidente croato Stipe Mesic’ : ultimo presidente della R.S.F.J. , ex/alleato politico del suo predecessore a Zagabria, Tudjman per l’ appunto117, ma, soprattutto, “misirizzi di Fischer”118 nonché, secondo Winfired Wolf , figura appartenente a quella fazione dei servizi segreti croati la quale, dopo la federalizzazione dell’ U.D.B.A.119 , realizzata nel 1966 in seguito allo scoppio dello “scandalo Rankovic’ ”, almeno dalla fine degli anni ’70, sotto la guida di Ivan Krajacic’, prima, e di Josip Manolic’ , poi, avrebbe lavorato di comune accordo con il B.N.D./Bundes Nachrichten Dienst120 per lo smantellamento della Jugoslavia socialista e per la nascita di una Croazia indipendente legata a doppio filo, assieme alla Slovenia, all’ Austria e, soprattutto, alla Germania121. Sempre stando allo “J.W.”, ci sarebbe, infine, ben poco da stupirsi nel 114 Principale campo di concentramento istituito dallo Stato Indipendente Croato/Ustascia all’ interno del quale trovarono atroce morte quasi un milione di prigionieri in primo luogo anti/fascisti ed anti/nazisti di qualunque etnia, zingari, ebrei e serbi. 115 Condannato a venti anni di carcere in quanto ultimo comandante del sopra citato famigerato campo. 116 A tal riguardo, confronta : H. Werner : “Verheerendes Vermaechtnis” Junge Welt, 13-12-99. 117 Da quest’ ultimo, successivamente, allontanatosi con lo scoppio della guerra in Bosnia/Erzegovina. 118 A tal proposito, confronta : R. Goebel : “Fischers Stehaufmaennchen in Zagreb” Junge Welt, 19-2-00. 119 I servizi segreti della Jugoslavia socialista. 120 I servizi segreti dell’ allora Repubblica Federale Tedesca, durante quel periodo capeggiati dal successore di Genscher al Ministero degli Esteri, Klaus Kinkel. Il nome degli attuali servizi segreti, quelli cioè della “Berliner Republik”, è rimasto invariato. 121 A tal riguardo, confronta : W. Wolf : “Kinkel, der B.N.D. und Manolic’ ” Junge Welt, 4-12-00. 47 retrodatare in maniera così temporalmente pronunciata gli sforzi tedeschi volti a disarticolare la Jugoslavia. Già nel 1982, infatti, l’ allora presidente federale Richard Von Weizsaecher si disse “favorevole” all’ indipendenza croata122 e quattro anni prima, nel 1978, il governo tedesco/occidentale addirittura rinunciò alla consegna di quattro membri della R.A.F./Rote Armee Fraktion catturati in Jugoslavia non appena le autorità di Belgrado domandarono, in cambio, l’ estradizione di otto terroristi nazionalisti croati individuati all’ interno del territorio della Repubblica Federale Tedesca. Uno stato, quest’ ultima, definito perciò, da Till Meyer, “potenza protettrice” del terrorismo croato anti/jugoslavo123. CAPITOLO TERZO : CONCLUSIONI Tema già di per sé innegabilmente interessante, l’ analisi del comportamento politico/diplomatico della R.F.T. rispetto alla crisi jugoslava come descritto e commentato dai principali quotidiani politici tedeschi, lo diventa, secondo chi scrive, ancor di più se la lettura di tali “esperienze balcaniche”, con il periodo 1991/1992 al centro dell’ attenzione, viene relazionato al mutato profilo internazionale della “Nuova B.R.D.” ed al mai terminato dibattito, inter/tedesco ma anche internazionale (dibattito, per certi versi, ulteriormente intensificatosi dopo il “raggiungimento della maggiore età”), sulla natura della Germania Imperiale, di Weimar, nazista e post/1945 fino alla “Wende” e, soprattutto, sulla natura della attuale “Berliner Republik”. 3-1 : “LA ‘BERLINER REPUBLIK’ VISTA DALL’ INTERNO : UNO SGUARDO D’ INSIEME” Ridurre i Balcani ad un “semplice pretesto” per concentrarsi esclusivamente sulla R.F.T. rientrerebbe all’ interno di uno schema interpretativo eccessivamente riduttivo : come sminuire, infatti, in maniera “scientificamente” accettabile, pur propendendo per una “soluzione 122 123 A tal proposito, confronta : W. Wolf , op. cit. , 4-12-00. A tal riguardo, confronta : T. Meyer : “Schutzmacht B.R.D.” Junge Welt, 23-11-98. 48 germanocentrica”, l’ importanza del ruolo tedesco in rapporto a vicende, però, intrinsecamente rilevantissime come quelle ex/jugoslave dello scorso decennio ? E’ , dunque, in base a riflessioni di questo tipo che chi scrive ha optato per la prospettiva analitica di cui appena sopra ; ed è sempre per tale motivo che si spera che l’ adozione di siffatto criterio sia emersa durante l’ intero arco del presente lavoro. Non si sottolineerà mai a sufficienza, infatti, l’ importanza della data del 3 ottobre 1990 all’ interno della recentissima storia della nazione tedesca in quanto la prima segna per la seconda, simbolicamente e non solo, l’ inizio di una “Nuova Era”. I riflessi internazionali, balcanici e non, di tale “spartiacque territoriale” ritengo e spero siano stati già adeguatamente trattati in precedenza, mentre è su quelli interni, dai primi non certo svincolati ed anzi con essi in rapporto dialettico se non, addirittura, di causa/effetto, che , pur non costituendo essi il tema centrale del lavoro in questione, preme ora soffermarsi, anche in aderenza a quanto precedentemente sostenuto. La “Berliner Republik”, infatti, non è descrivibile come pura e semplice estensione della vecchia R.F.T. a 5 nuovi Laender perché se è vero, da un lato, che la D.D.R. non esiste più, è altrettanto incontestabile, dall’ altro, che il suo “innesto” all’ interno del precedente corpo tedesco/occidentale abbia notevolmente alterato le caratteristiche di quest’ ultimo, mettendone il consolidato e pienamente euro/occidentale “asse renano/bavarese” in concorrenza con il nuovo “magnete” berlinese situato al centro del “Vecchio Continente”. “Sozialmarktwirtschaft” (Economia Sociale di Mercato) , “Kanzlerdemokratie” (Democrazia del Cancelliere) e “Bipolaresmerhparteiensystem„ (Sistema Pluripartitico Bipolare) , caratteristiche tipiche della vecchia R.F.T. , oltre a dover confrontarsi con le sfide di una società post/industriale sempre più complessa come quella tedesca (cosiddetta globalizzazione prima di tutto, ma non solo), devono reggere anche il non certo indifferente urto di ciò che Wolf Lepenies ha chiamato “l’ evento inaudito”124. Disoccupazione diffusa, crescente de/legittimazione, per lo meno, di buona parte del sistema politico125, a sua volta manifestatesi in rilevanti tassi di astensionismo elettorale, affermazione di partiti “eterodossi” rispetto alla storica “triade” C.S.U./C.D.U. , F.D.P. , S.P.D. , i Verdi durante gli anni ottanta ed il P.D.S. durante gli anni novanta, e ri/emersione di una, tutt’ altro che trascurabile, di una mai scomparsa estrema destra, testimoniano , almeno, di alcune delle conseguenze di questo doppio sforzo. Si potrà obiettare che la attuali difficoltà della politica a tenere il passo dei mutamenti economico/tecnologici, sociali e culturali non costituisce certo una peculiarità tedesca. Ma è realmente “normale” un paese alle prese con il “Mauer im Kopf” (“Muro nella testa”), con il tema ancora caldo della “Innere Einheit”126 (unità interna ma anche intesa come interiore) e , per di più, 124 A tal riguardo, confronta : W. Lepenies . “Conseguenza di un evento inaudito. I tedeschi dopo l’ unificazione” Il Mulino, Bologna, 1993. 125 Il caso “Kohl/Spendenaffaere” è stato, al tal proposito, estremamente esemplare. 126 Una lettura paradossale ed estremamente “grand/guignolesca” delle avversità incontrate dalla società tedesca nel superare (un superamento esplicatosi in un sostanziale ma incompleto ed 49 aggravato da una doppia esigenza di esigenza di “Vergangenheitsbewaeltigung” (“fare i conti con il proprio passato”) ? L’ 8/9 maggio 1945 costituisce una sconfitta nazionale o l’ inizio di una rinascita democratica che, secondo i più, sarebbe culminata nel 3 ottobre 1990 ? La D.D.R. è lecitamente classificabile come una pura e semplice “parentesi negativa” da liquidare al più presto ? Basta il risarcimento per chiudere il caso degli “Zwangsarbeitern”127? E che dire della polemica incentratesi sul rapporto fra semplici cittadini tedeschi e nazionalsocialismo : i primi erano “volenterosi carnefici” o soltanto “uomini comuni”128? Quanti altri Priebke, Haas, Engel ed Emden, tanto per citare i nomi di alcuni fra i criminali nazisti maggiormente noti all’ opinione pubblica italiana, ma anche quanti altri Barbie, Malloth, Saevecke, Schubert, Seifert e Viel, piccolo contingente, questo, rappresentante solo una minuta frazione dei criminali nazisti attivi nel resto d’ Europa, trascorrono e/o hanno trascorso una tranquilla vecchiaia da pensionati ? Ed è ancora utile e sensato processarli129? Domande come quelle appena poste e l’ intensità del celeberrimo “Historikerstreit” esemplificano, in maniera quasi ottimale, l’ ampiezza delle ferite ancora aperte. Senza effettuare ingiustificabili equiparazioni revisionistiche fra Germania nazista e D.D.R. va, poi, ricordato come anche la valutazione della eredità storica, politica, economica, sociale e culturale dello stato tedesco/orientale130 ricorra costantemente all’ interno del dibattito inter/tedesco ed anche internazionale. D’ altro canto, però, la più che sostanziale tenuta del quadro democratico, culminata nell’ assolutamente tranquillo “Generationswechsel” (“cambio generazionale”) tenutosi in incompletabile annullamento della D.D.R. nella R.F.T.) le non poche differenze politiche, economiche, sociali, culturali ed anche, in parte, linguistiche (visto, ad esempio, il maggior uso del genitivo presso la popolazione dei territori orientali) fra “Ossis” e “Wessis” è stata offerta dal mediometraggio demenziale “Das Deutsche Kattensaegen Massaker”. Ispirato alla celeberrima serie di films “horror/splatter” statunitensi “Non aprite quella porta/The Texas Chainsaw Massacre”, il mediometraggio in questione, diretto da Christopher Schliengensief, vede come protagonista una tranquilla e benestante famiglia tedesco/occidentale la quale, dopo la caduta del Muro, si reca “dall’ altra parte” per “fare salsiccie” di quanti più cittadini tedesco/orientali possibile. A tal proposito, confronta : F. Giovannini : “Cyberpunk e Splatterpunk. Guida a due culture di fine millennio” Datanewes, Roma, 2001, pag. 53. 127 A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “Risarciti gli schiavi di Hitler” La Repubblica, 18-7-00; A. Tarquini : “Risarciti gli schiavi di Hitler” La Repubblica, 24-5-01 ; C. Zamborano : “Schiavi di Hitler, la Germania vota il risarcimento” L’Unità , 31-5-01. 128 A tal riguardo, confronta : C. Browning : “Uomini comuni. Polizia tedesca e ‘soluzione finale’ in Polonia” Einaudi, Torino, 1995 ; D.J. Goldhagen : “I volenterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’ Olocausto” Mondatori, Milano, 1998. 129 A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “Processare i nazisti ? Non serve più” Intervista a S. Wiesenthal Il Venerdì de La Repubblica, 27-4-01. 130 Vengono citati, su questo tema, il “Literaturstreit” del dopo/1990, l’ istituzione della “Commissione Eppelmann”, i “casi” Heym, Maron, Stolpe e Wolf ed i processi Honecker, Mielke, Kessler, Modrow, Kernz, Schabowski e Wolf. Su tuttociò è bene confrontare, prima di tutto : C.S. Meier : “Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania Est” Il Mulino, Bologna, 1997. 50 occasione delle elezioni politiche del 27 settembre 1998131, l’ irreversibilità del processo unificatorio ancora in corso ed la giustificata soddisfazione per l’ evidente primato continentale, proprio mentre si riduce sempre più la percentuale dei tedeschi “anagraficamente coinvolti” con il periodo di Hitler, hanno spinto il filosofo Hans/Magnus Enszenberger a superare il “Verfassungspatriotismus” (“Patriottismo della Costituzione”) di Juergen Habermas132 per formulare la liceità di un “Patriotismus tout court”, seppur “Sotf”133. “Si può”, dunque, essere orgogliosi di essere tedeschi ? Sì, anche se, almeno attualmente come nel breve/medio periodo, non più che moderatamente. Certo, il passo compiuto, dalla totale rimozione dell’ “Era Adenauer”, attraverso i primi convinti ma anche controversi tentativi di ristabilire il senso tedesco della patria durante quella di Kohl134, fino alle recenti ed esplicite dichiarazioni dell’ attuale “Bundeskanzler” 131 La vittoria elettorale della coalizione “rosso/verde” ha portato al potere la prima generazione di politici tedeschi privi, a cominciare da ovvi motivi anagrafici, di qualunque contatto con il periodo nazista. Si tratta poi, per di più, di un gruppo dirigente che, dopo aver pienamente ed attivamente attraversato il 1968, si mostra ora con un volto estremamente pragmatico, rassicurante e “governativo”. Esemplificano al meglio tale trasformazione : il cancelliere social/democratico G. Schroeder, il suo collega di partito, e titolare dell’ “Innenministeruim” (Ministero Degli Interni) , O. Schilly ed il leader verde, nonché titolare dell’ “Auswaertiges Amt” (Ministero Degli Esteri), J. Fischer. I primi due, da sempre schierati a sinistra, difesero durante gli anni settanta, in qualità di avvocati, non pochi membri, simpatizzanti e fiancheggiatori della R.A.F. (il secondo, inoltre, partecipò in prima persona alla lotta ambientalista/pacifista svoltasi durante gli anni ottanta contro il dispiegamento sul territorio della R.F.T. dei missili nucleari statunitensi “Pershing” e “Cruise”) , mentre il terzo, fortemente e lungamente attivo all’ interno del movimento extra/parlamentare di sinistra, sempre a partire dal 1968, nonché figura di primo piano dell’ ambientalismo e del pacifismo più politicamente intransigenti (durante gli anni ottanta alla testa di un allora decisamente più agguerrito partito verde), è stato uno dei più convinti sostenitori delle operazioni militari dirette contro la Federazione Jugoslava nel corso della primavera/prima estate del 1999. Su questi temi, confronta : P. Ortoleva : “I movimenti del ’68 in Europa ed in America” Ed. Riuniti, Roma, 1998 ; T. Garton/Ash : “Germania, Fischer, il terrorismo : le guerre di un passato che torna” La Repubblica, 6-2-01 ; A. Tarquini : “La lunga metamorfosi di Fischer, l’ estremista convertito al potere” La Repubblica, 11-1-01 ; B. Valli : “Germania, i meriti dei figli del ‘68” La Repubblica, 25-1-01 ; S. Viola : “Gli anni caldi del giovane Fischer” La Repubblica, 30-1-01. 132 A tal proposito, confronta : G. E. Rusconi (a cura di) : “Germania : un passato che non passa. I crimini nazisti e l’ identità tedesca” Einaudi, Torino, 1987. 133 A tal riguardo, confronta : R. Beste, T. Hildebrandt, J. Leinemann, C. Mestmacher, G. Rosenkranz : “Absurdes Getoese” Der Spiegel, 13/01 ; L.V. Ferraris : “Il mio patriottismo„ Intervista a H. Kohl Limes, 3/94 ; R. Mohr : “Die neuen ‘Fast/Patrioten’ ” Der Spiegel, 37/00 ; A. Tarquini : “Enszenberger, ‘patriottco soft’ ” La Repubblica, 12-9-00 ; A. Tarquini : “ ‘Essere tedesco non è una colpa. Ritroviamo l’ orgoglio nazionale’ ” Intervista a E. Nolte La Repubblica, 22-3-01. 134 Il 5-5-85, l’allora presidente statunitense Ronald Reagan, accompagnatovi proprio dallo statista cristiano/democratico, si recò in visita, a ridosso del 40° anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale sul teatro europeo, al cimitero militare di Bitburg ospitante, anche, le tombe di 50 Waffen/S.S. ; numerose manifestazioni di protesta, negli U.S.A. come nelle R.F.T. , acompagnarono l’ avvenimento. E’ poi utile ricordare come il contestato tentativo “Nolte/iano” di ridimensionare la specificità storica del nazionalsocialismo sia stato tutt’ altro che scevro da intenti 51 (Cancelliere Federale) Schroeder135 è notevole ; ed anche la rinascita architettonica della capitale Berlino136, come pure la riscoperta del passato prussiano137 (già effettuata, tra l’ altro, spingendosi addirittura fino a Lutero e Thomas Muentzer e per motivi non poi diversissimi da quelli attuali, ai tempi della D.D.R. di Honecker138), testimoniano di tale cambiamento. Proiettati, però , sullo sfondo dell’ unicità del recente passato tedesco, il ri/emergere ed il consolidarsi di una estrema destra xenofoba, ultra/nazionalista ed a volte apertamente nazista, non possono lasciare indifferenti. Manifestazione tedesca, peraltro complessivamente contenuta dal punto di vista elettorale (le percentuali di voto ottenute da Le Pen in Francia, prima, e successivamente da Haider in Austria sono, infatti, sconosciute ai loro, più o meno, omologhi tedeschi), di un fenomeno pan/europeo, il “ritorno delle teste rasate” ha stupito i più per la violenza con la quale si è esplicitato. Gli avvenimenti di Dessau, Eberswalde, Frankfurt am Main, Hoyeswerda, Moelln, Quedlinburg, Recklinghausen, Rostock, Solingen e Wismar mostrano soltanto la “punta” di un “iceberg” a sua volta costituito dagli oltre 12.000 reati di stampo razziale ed anti/semita compiuti durante questi primi undici anni di Germania ri/unificata, dagli oltre 60.000 militanti che l’ estrema destra può vantare ; militanti a loro volta capaci, specialmente nei territori orientali, di dare vita perfino alle cosiddette “zone nazionali liberate” : quartieri, ed a volte intere piccole città, tassativamente vietati a chiunque non abbia un aspetto “veramente tedesco”. “Reps”, D.V.U. e N.P.D. traggono, infatti, la loro linfa vitale, e ripropongono inquietanti sogni di un passato “ariano”, proprio cavalcando le paure legate, prima di tutto, all’ arrivo di nuova immigrazione ed alle difficoltà nell’ integrazione di una popolazione straniera che, in termini sia assoluti che relativo/percentuali, fra “Auslaender” (stranieri), “Asylanten” (rifugiati) ed “Aussiedler” (cittadini est/europei di discendenza tedesca), è fra le numerose d’ Europa. Ma nonostante la loro incidenza elettorale rimanga limitata139 e gli sforzi del cosiddetto “Runder Tisch”140 (“Tavola Rotonda”) si siano, finora, dimostrati vani, è stato da più volti al rafforzamento dell’ identità collettiva tedesca. Su questi temi, confronta : G. Caldiron : “La destra plurale. Dalla preferenza nazionale alla tolleranza zero” Il Manifestolibri, Roma , 2001. 135 Di taglio decisamente più prudente sono state, invece, le relative affermazioni del “Bundespraesident” (Presidente Federale) Johannes Rau ; anch’ egli social/democratico ma anagraficamente più anziano di Schroeder. A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “ ‘Sono un patriota tedesco’. Polemica su Schroeder” La Repubblica, 21-3-01 ; J. Leinemann, M. Doerry : “Ich liebe Menschen” Intervista a J. Rau, Der Spiegel , 13/01. 136 A tal riguardo, confronta : R. Salvadori : “Berlino 2001” Storia e Dossier, febbraio 2001. 137 A tal proposito, confronta : A. Tarquini : “Berlino scopre l’ orgoglio di Prussia” La Repubblica, 8-1-01. 138 A tal proposito, confronta : G. Mc Lachlan : “Germany : The Rough Guide” Rough Guides Ltd., London, 1999. 139 Ciò, però, non esclude assolutamente la possibilità di clamorosi “exploit” come il 13% conquistato dalla D.V.U. alle elezioni amministrative del Land orientale del Sachsen/Anhalt tenutesi nel corso della primavera del 1998. 140 Il “Runder Tisch”, istituito nel 1994, dovrebbe servire da strumento di coordinamento dei partiti di estrema destra avente lo scopo di riunire, in una sola formazione politica, la forza elettorale dei 52 parti fatto notare come i loro toni, anche più che “haideriani” siano, ormai, divenuti parte integrante del linguaggio del “mainstream” politico/istituzionale tedesco141. Ecco dunque, al fine di fornire qualche esempio al riguardo, il “Bundestagsfraktionschef” (Capogruppo al Bundestag) della C.S.U./C.D.U. , Friedrich Merz, chiedere di accogliere solo i “gli stranieri utili”142, il premier bavarese, e possibile candidato alla Cancelleria per la C.S.U/C.D.U. alle prossime elezioni politiche dell’ autunno del 2002, Edmund Stoiber, opporsi tenacemente alla “Doppel/Pass Gesetz”143 (Legge sulla Doppia Cittadinanza), in nome di un modello sociale liberista/conservatore fondato su “Laptops und Lederhosen”144 (“Laptops e Pantaloni di Cuoio”) , l’ esponente cristiano/democratico Roland Koch vincere le lezioni regionali in Assia, al termine di una campagna elettorle dominata dal tema dell’ “Einwanderung” (immigrazione) , non rifiutando l’ appoggio dei “Reps”, Juergen Ruettgers, candidato democristiano, sconfitto, alla carica di premier del Land più popoloso, il Nord Rhein/Westfalen, scagliarsi ferocemente contro i “green/ card Plaene” (“Programmi di Carta Verde”) del governo Schroeder145, in segno di assoluta contrarietà rispetto alla possibilità che circa 30.000 esperti di computer provenienti dal sub/continente indiano godano di facilitazioni rispetto all’ espletamento delle pratiche burocratiche propedeutiche ad loro immigrazione legale e stanziale in Germania, il giudice amburghese Ronald Schill ottenere, alla testa del suo Partei der Rechtsstaatlicher Offensive (Partito dell’Offensiva dello Stato di Diritto), un sorprendente 20% circa alle elezioni per il rinnovo del senato della città anseatica, svoltesi alla fine di settembre del 2001, sulla scorta di un programma anti/immigrazione146 tutt’ altro che malvisto per lo meno dalla C.S.U. ed, infine, la C.D.U. candidare a sindaco, in occasioni delle elezioni berlinesi dell’ autunno del 2001, un Frank Steffel balzato agli “onori” della cronaca anche per sue alcune non certo felici esternazioni nei confronti di immigrati e portatori di handicap. Sempre da parte conservatrice, inoltre, è stato lanciato un serrato dibattito sulla necessità assoluta che in Germania prevalga una “Reps” nei Laender meridionali, e quella di cui la D.V.U. dispone al nord ed all’est, con la penetrazione presso i più giovani, ad oriente ma non solo, che la N.P.D. ha realizzato attraverso “l’ esempio patriottico” dei vari gruppi di skinheads e boneheads, attraverso il cosiddetto “nazi/rock” ed attraverso la frange più violente del tifo da stadio. 141 A tal riguardo, confronta : G. Caldiron, op. cit. ; G. M. Del Re : “Ombre haideriane sulla Germania” Limes, 3/00. 142 A tal proposito, confronta : G. M. Del Re, op. cit. . 143 Anche per questo motivo, piuttosto “diluita” da parte dell’ attuale maggioranza “rosso/verde”. 144 A tal riguardo, confronta : G. Caldiron , op. cit. ; G. M. Del Re, op. cit. . Va, inoltre, sottolineato come lo stesso Stoiber sia stato il più convinto fautore tedesco dell’ alleanza di governo austriaca fra l’ OE.V.P. dell’ attuale cancelliere Wolfgang Schuessel ed il F.P.OE. di Joerg Haider. 145 Coniando lo slogan : “Kinder statt Inder”, cioè “I bambini invece che gli Indiani”. A tal proposito, confronta : G. M. Del Re, op. cit. . 146 Un programma basato su slogan come “Legge ed Ordine” e “Nessuna Pietà” ; quest’ ultimo mutuato direttamente da Joerg Haider. E’ interessante notare come, in tedesco, “Partei der Rechtsstaatlicher Offensive” possa significare sia quanto sopra ricordato quanto “Partito dell’ Offensiva dello Stato di Destra”. Una semplice coincidenza ? 53 “Leit/Kultur” (“Cultura/Guida”) di matrice “storico/tradizional/nazionale”147 e scroscianti sono piovuti gli applausi in seguito alla paradossale conclusione del “caso Mehmet” (E’ questo il nome fittizio di un micro/criminale minorenne nato in Baviera da genitori turchi, mai stato in Turchia, incapace di esprimersi in turco ma “trasferito/deportato” in Anatolia a seguito dell’ ennesimo arresto)148. A testimonianza, però, della ragguardevole estensione delle sopracitate “ombre haideriane”149, non va dimenticato come esse abbiano raggiunto anche l’ opposto versante politico. L’ attuale “Innenminister” (Ministro Degli Interni), Otto Schilly, l’ ex/ “Bundeskanzler” (Cancelliere Federale) Helmut Schmidt ed i vertici sindacali si sono , infatti, congiuntamente espressi contro l’ idea che la B.R.D. divenga “ein Einwanderungsland” (“una terra di immigrazione”)150 e, fra le ragioni che spingono il governo tedesco, nella persona del commissario europeo all’ allargamento, il social/democratico G. Verheugen, a guardare anche con qualche timore all’ ingresso nell’ U.E. di Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Estonia e Slovenia, prima “pattuglia” di un contingente ben nutrito, c’ è la forte, e non certo infondata, preoccupazione rispetto al “dumping sociale” del quale i lavoratori provenienti da quei paesi sarebbero portatori, una volta ottenuta la libertà di circolazione all’ interno del territorio dell’ Unione. Il deciso decremento del tasso di “political correctness” che il dibattito politico tedesco tende sempre più a mostrare può essere causa di inquietudine, visto il recente passato della Germania e la sua attuale notevolissima rilevanza politica, economica e geo/strategica. Chi scrive, però, ritiene tale fenomeno non privo di implicazioni positive, in quanto ennesimo segnale della progressiva riconquista della tanto agognata “normalità”. Infatti, per quanto delicati possano essere i temi del neo/nazismo, dell’ immigrazione, dell’ identità nazionale e della cittadinanza, si ritiene un confronto su di essi che si delinei come aperto, duro e diretto nettamente preferibile a poco convinte, forzate, “ipocrite” e, sotto certi aspetti, pericolose ed irresponsabili minimizzazioni e sottovalutazioni effettuate, magari, in nome di un improbabile “quieto vivere”. Altrettanto ineludibile poi, è l’ esigenza che anche a Berlino si osservi un giorno di festa nazionale pienamente accettato e condiviso in quanto momento imprescindibile del processo di riaffermazione di una “sana” identità nazionale tedesca dopo i dodici di nazismo ed i quarantacinque di divisione interna. La domanda sorge, dunque, spontanea: qual’ è il corrispettivo germanico del 14/7 francese, del 4/7 statunitense, del genetliaco della regina 147 A tal proposito, confronta, fra l’altro : A. Tarquini : “C.D.U. , la svolta a destra” La Repubblica, 3-11-2000 ; A. Tarquini : “Imparate ad essere tedeschi” La Repubblica, 4-11-2000 ; A. Tarquini : “Schroeder contro C.D.U. e nazisti” La Repubblica, 6-11-2000 ; S. Fischer, T. Hildebrandt, J. Hogrefe, H. Knaup , J. Leinemann , P. Larsch , Ue. Schaefer, B. Schmid, G. Spoerl : “Die Grosse Konfusion„ Der Spiegel, 9/00. 148 A tal riguardo, confronta : G. M. Del Re, op. cit. . 149 A tal proposito, confronta : G. M. Del Re, op. cit. . 150 A tal riguardo, confronta : G. M. Del Re, op. cit. . 54 britannica (16/6), dell’ 1/10 cinese, dell’ 8-9/5 sovietico/russo ed anche del 2/6 italiano151 ? Scartato il “poco coinvolgente” 13/5, giorno, nel 1949, della promulgazione della comunque non priva di “velleità pan/tedesche” “Grundgesetz” (“Legge Fondamentale”, questo il nome della Costituzione) tedesco/occidentale, e troppo problematico, per fondarvici un ancora solo discreto orgoglio di patria, l’ 8-9/5, anniversario della capitolazione tedesca nel 1945, la R.F.T. pre/1990 celebrava il proprio “compleanno” il 17/6 in ricordo della rivolta anti/governativa sviluppatasi nel 1953 a Berlino/Est ed in altre città della Repubblica Democratica Tedesca. Venuta meno la D.D.R. durante il biennio 89/90, e reputato insufficiente il 18/3, giorno delle prime elezioni a liste plurime della storia della Germania Democratica, è ora quella del 3/10, giorno ufficiale della ritrovata Unità, la data della festa nazionale. Notevole, però, è stata anche l’ eco in risposta all’ idea di J. Fischer di scegliere per tale scopo il 9/11152. Probabilmente meno legato all’ unità di quanto non sia il 3/11, il 9/11 ha però il pregio, secondo il leader verde, di “raccogliere in sé” tutto un secolo (e che secolo !) di storia ; tedesca, certamente, ma anche ricchissima di ripercussioni e “collegamenti” internazionali. L’ adozione, come giorno di festa nazionale, della data che ha visto la nascita della Repubblica di Weimar nel 1918, nel 1923 il tentato putsch di Monaco, nel 1938 la “Notte dei Cristalli” , nel 1967 i pesanti scontri, sviluppatisi in occasione della visita dello Scià di Persia, fra studenti e polizia a Berlino/Ovest , che causarono la morte del giovane Benno Ohnesorge e che funsero da “atto fondativo” per tutto il “sessantotto” e “post/sessantotto” tedesco, e nel 1989 la caduta del Muro, segnerebbe simbolicamente, sempre stando a quanto sostenuto da Fischer, l’ avvento della “nuova tranquillità” per una Germania ormai “pienamente adulta” che, senza dimenticarlo, ha ormai “metabolizzato” il passato, anche quello più oscuro153. Appare, perciò, del 151 Nel nostro paese, si è ultimamente assistito anche ad un esplicito “revival” del 4/11 ; anniversario della vittoria nella Prima Guerra Mondiale e giornata delle Forze Armate. 152 A tal proposito, confronta : S. Anst, J. Hogrefe, J. Leinemann : “9 November als Feiertag” Intervista a J. Fischer Der Spiegel, 34/00. 153 A tal riguardo, confronta : S. Anst, J. Hogrefe, J. Leinemann, op. cit. ; P. Steinbach : “Der 9 November in der deutschen Geschichte des 20. Jahrhunderts und in der Erinnerung„ Aus Politik und Zeitgeschichte Beilage zur Wochenzeitung “Das Parlament„ , 22-10-99. Non troppo dissimile è, al tal riguardo, la situazione del Giappone, “combattuto” fra due date : l’ 11/2 ed il 3/5. La prima corrisponde al “Kankoku Kinen No Hi” (“Giorno della Fondazione”), festività deputata a celebrare l’ ascesa al trono del primo Dio/Imperatore nel 660 a.C. , mentre la seconda , “Kenpou Kinenbi” (“Giorno della Costituzione”) ricorda l’ entrata in vigore della costituzione post/bellica, nel 1947. Il contrasto fra la festività antica, pienamente autoctono/nazionale e quindi, vista la tradizionale immagine e coscienza di popolo “divino” che i nipponici hanno di sé, non priva di rimandi sciovinistico/aggressivi, e quella recente e legata tanto alla sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale quanto alla nascita del Giappone democratico, ma anche posto “sotto tutela” da parte del vincitore statunitense, è evidente. Chi scrive ritiene utile, inoltre, far notare come il “Bunkendu” (3/11), ricorrenza originariamente legata al compleanno dell’ Imperatore Meiji ( e cioè dell’ Imperatore promotore di quel processo di “occidentalizzazione esteriore” e modernizzazione che, dal 1868, rese il Giappone una grande potenza al pari di europei, russo/sovietici e nord/americani), sia stata trasformata, a partire dal 1946, nel “Giorno della Cultura” e come, comunque, persista l’ usanza di 55 tutto logico e naturale che una B.R.D. riunificata e sempre più “pacificata”, sia internamente che nei suoi rapporti con gli altri stati, vicini e non154, sottoponga a revisione155 il ruolo, finora di basissimo profilo, delle proprie Forze Armate156. Queste ultime, durante la scorsa decade, sono state investite da un doppio processo riformatore. Dal punto di vista organizzativo/strutturale, si è assistito ad una diminuzione degli effettivi totali, contemporanea ad una loro crescente professionalizzazione, in previsione della loro trasformazione da effettivi di un esercito di massa, votato alla pura e semplice difesa del territorio nazionale, a truppe di un esercito di professionisti pronto per interventi di “polizia internazionale” in scenari, principalmente, “fuori area”. Dal punto di vista legale/costituzionale poi, graduale ma costante è stato il mutamento del clima politico generale che ha visto la netta maggioranza di S.P.D. e Verdi spostarsi sulle posizioni “interventiste” da lungo tempo sposate da C.S.U./C.D.U. e F.D.P. e che ha, così, contribuito, in maniera decisiva, al superamento dell’ interpretazione restrittiva degli articoli 87, comma 2, e 24, comma 2, della Legge Fondamentale la quale ha limitato fortemente la proiezione “internazionale”, in generale, e “fuori area”, in particolare, delle Forza Armate di Bonn/Berlino. Questa vera e propria “rivoluzione copernicana”, che postula la parità di rango fra la Germania e le potenze che la sconfissero quasi 60 anni fa e che, perciò, segna definitivamente la fine del secondo dopo/guerra, è stata avallata e perfezionata dalla Corte Costituzionale di Karlsruhe la quale, il 12-7-94, ha sancito la costituzionalità della partecipazione tedesca ad operazioni militari fuori dall’ “Area N.A.T.O.” . Alla luce di quanto appena sostenuto perciò, risulta facile comprendere l’ uso progressivamente più attivo che la Germania ha fatto del proprio strumento militare durante gli anni novanta : prima timidamente (Cambogia, invio di alcuni jets presso la base N.A.T.O. turca di Incirlik nel corso della “Guerra del Golfo”, Somalia), poi sempre più convintamene. “Torna Sigfrido” quindi, ha scritto G. Dottori157, ma, stavolta, come “peace/keeper”. Nel corso del 1995, il “battesimo del fuoco”. Prima, la partecipazione della “Luftwaffe” (Aeronautica Militare) ai raids della N.A.T.O. contro i serbo/bosniaci, e successivamente, il contributo, attraverso il dispiegamento sul territorio di un contingente “rosso/giallo/nero”, all’ applicazione degli accordi di Dayton/Parigi : sia assicurando le retrovie dell’ I.FOR. (Interposition Force) in Croazia che schierandosi in prima linea all’ interno del festeggiare il compleanno dell’ Imperatore correntemente regnante (per quanto questi abbia perso, sempre a partire dalla metà degli anni quaranta, ogni prerogativa divina). Il genetliaco dell’ attuale regnante Akiito/Heisei cade il 23/12. 154 Il 21/9/99 Ehud Barak, allora premier israeliano, è stato il primo leader straniero ad incontrare il capo del governo tedesco nella sua nuova sede berlinese, una scelta, quella di tale primo ospite, ovviamente tutt’ altro che casuale. 155 Anche e soprattutto sulla scorta di mutamenti epocali dello scenario internazionale come la fine del “socialismo reale” in Europa, il crollo del Muro seguito dalla rapida scomparsa della D.D.R. , la fine dell’ U.R.S.S. ed il vertice N.A.T.O. di Roma della fine del 1991. 156 A tal riguardo, confronta : G. Dottori : “Il ritorno di Sigfrido” Limes, 3/00. 157 A tal riguardo, confronta : G. Dottori, op. cit. . 56 territorio designato come settore francese della S.FOR. (Stabilization Force) 158 . Quattro anni più tardi poi, durante lo svolgimento dell’ azione militare portata avanti dall’ Alleanza Atlantica contro la Federazione Jugoslava, Berlino inviava quattro Tornado Recce e dieci Tornado ECU per la ricognizione e per la soppressione delle difese anti/aeree avversarie ; sforzo, questo, affiancato dal dispiegamento in territorio macedone, fin dalle prime fasi della crisi kosovara, dell’ unico contingente alleato dotato di mezzi pesanti. Con l’ occupazione del Kosovo, il contingente tedesco toccò gli 8.000 effettivi, scesi successivamente a 5/6.000, ed il generale Klaus Reinhardt, fra l’ 810-99 ed il 10-4-00, assolse al compito di comandare tutti i contingenti K.FOR (Kosovo Force), cioè 40.000 uomini complessivamente, fra cui italiani, francesi, britannici e statunitensi. Considerando che neanche 10 anni fa in Somalia, per spostare una colonna di blindati in una zona a rischio, i tedeschi pretesero una scorta italiana, non può non risaltare, con tutta evidenza, l’ abisso che separa quella timidissima Bundeswehr (Esercito Federale) dall’ attivismo dell’ attuale “Interventionsarmee” (“Esercito di Intervento”)159 ; specchio ed allo stesso tempo prodotto di una Germania “grande potenza” ideatrice, particolare da non dimenticare assolutamente, del “Patto di Stabilità per i Balcani” presieduto, non certo casualmente, proprio da un tedesco : il social/democratico Bodo Hombach. Certo, non poca impressione, sempre ai fini delle “ritrovate moralità e liceità” della “spendibilità internazionale” della Bundeswehr, hanno destato, presso l’ opinione pubblica non solo tedesca, tre episodi particolarmente rivelatori delle presenza della estrema destra anche fra i ranghi dell’ esercito come l’ invito a partecipare ad una propria manifestazione rivolto dall’ Accademia Militare al discusso Mafred Roeder nel gennaio del 1995160, come la pubblicazione, sul numero 2/3 1996 della rivista del “Verteidigungsministerium” (Ministero Della Difesa) , denominata “Truppenpraxis”, di un articolo del tenente/colonnello Reinhard Herden contenente alquanto strampalate tesi neo/imperialiste161, e come, infine, i fatti di Hammelburg dell’ aprile del 1996162. L’ affidabilità democratica delle Forze Armate 158 Operazioni, queste di cui sopra, approvate dal Bundestag, a larghissima maggioranza, il 6-12- 95. 159 Tra l’altro, presente anche nell’ ambito della missione O.N.U. a Timor/Est, sempre nel corso del 1999. 160 E’ questi, infatti, un fervente promotore di iniziative tese alla “Re/Germanisierung” dei perduti “Ost/Gebiete” (“i Territori dell’ Est” e cioè : Sudeti, Slesia, Pomerania Orientale, Baltico) nonché imputato per reati di terrorismo. A tal proposito, confronta : G. Dottori, op. cit. . 161 Secondo quest’ ultimo, infatti, l’ occidente deve usare il proprio potenziale militare nei confronti dei paesi del Sud del mondo per ottenerne le materie prime ed aprirne i mercati. La Germania, in questo processo, deve assumere, sempre stando ad Herden, un ruolo cardine. A tal riguardo, confronta : G. Dottori, op. cit. . 162 La località in questione è il luogo di addestramento militare nel quale sette aspiranti “peace/keepers”, pronti a partire per la Bosnia/Erzegovina, hanno auto/celebrato una loro esercitazione riprendendosi, con l’ ausilio di una telecamera portatile, nel corso di simulate 57 rosso/giallo/nere rimane, però, difficilmente attaccabile nonostante tali incresciosi accadimenti e malgrado la “problematicità oggettiva” relativa alla data del 20/7, anniversario del fallito attentato alla vita di Adolf Hitler messo in atto, nel 1944, da un gruppo di militari “dissidenti/prussiano/anti/nazisti” capeggiati dal tenente colonnello Klaus Philip Schenk, conte Von Stauffenberg, come cardine fondante della “nuova Bundeswehr”163. Nessuno, dunque, avanza riserve di sorta rispetto alla sempre più accentuata assunzione di responsabilità internazionali, militari e non, da parte della B.R.D. , la quale, ormai non più sorprendentemente, partecipa al corpo di spedizione N.A.T.O. in Macedonia (operazione “Essential Harvest”) e contribuisce alla difesa dello spazio aereo statunitense nel corso della “crisi afgana” della seconda parte del 2001 (alla “seconda fase” della quale è altamente probabile che prenda parte attiva con l’ impiego di uomini e mezzi) ? Innanzi tutto, va notato che almeno parte di chi si oppone al “neo/attivismo teutonico” lo fa in quanto esso si caratterizza come “targato N.A.T.O.”, mentre il grado di accettazione dello stesso sarebbe maggiore, probabilmente, se l’ egida disponibile fosse quella dell’ O.N.U.164. Per quanto concerne la carta stampata poi, il lettore, sempre, prima di tutto, in tema di Balcani e sempre limitando il campo d’ osservazione alla stampa quotidiana politica, dovrebbe aver ormai familiarizzato con le riserve e le critiche al riguardo espresse dal “N.D.” e, in particolar modo, dallo “J.W.”, come pure con la maggior cautela, rispetto alla “furia” degli altri “Wessi/Zeitungen”, del “S.Z.” (ed anche dell’ autorevole settimanale “Die Zeit”). Volgendo lo sguardo, invece, in direzione di un ambito più strettamente partitico, risulterebbe notevolmente difficile non notare come, marginale la destra estrema e consolidato “cavallo di battaglia” dei partiti di centro e centro/destra, F.D.P. e C.S.U./C.D.U. , la “Germania attiva” sia ormai largamente accettata anche dalla S.P.D.165 e fucilazioni dimostrative di civili inermi e nel corso di fittizi stupri etnici “condendo” il tutto con canti nazisti. A tal proposito, confronta : G. Dottori, op. cit. . 163 Gettano ombre non inconsistenti sulla effettiva “spendibilità democratica” dei fatti del 20/7/44 tanto “l’ intempestività” ad essi intrinseca (in quel momento l’ esito della guerra, per la Germania nazista, appare già piuttosto compromesso), quanto “l’ ambiguità programmatica” dell’ “entourage” militare “prussiano/anti/nazista” ; teso, quest’ ultimo, a cercare una “pace onorevole” con le potenze occidentali ma determinato a proseguire nella “crociata anti/russa ed anti/bolscevica”. 164 Appare, però, altrettanto vero come, con un’ O.N.U. disarmata, una Russia “diminuita”, un’ U.E. , militarmente e politicamente, ancora piuttosto fragile ed una Repubblica Popolare Cinese a tutto interessata tranne che ad una guerra, “fredda” o “calda” che sia, contro Washington, l’ Alleanza Atlantica, anche per precisa scelta degli U.S.A. (tra gli altri motivi, sicuramente poco o nulla propensi a vedere i propri margini di manovra sullo scacchiere internazionale restringersi a causa di eventuali “imboscate” all’ interno del Consiglio di Sicurezza) , resti l’ unico “braccio armato” disponibile ed in condizioni di assolvere un determinato tipo di non semplici compiti. 165 All’ interno di essa è scettica solo l’ ala sinistra, raccolta intorno al “Frankfurter Kreis” (“Circolo di Francoforte”) ed “orfana” dell’ ex/presidente, nonché ex/ministro delle Finanze, nonché “figlioccio politico” di Willy Brandt, Oskar Lafontaine dimessosi, quest’ ultimo, ad aprile del 1999, da ogni incarico governativo e partitico in polemica contro la partecipazione tedesca alla guerra contro la Federazione Jugoslava ed in polemica contro la politica economico/sociale del cancelliere Schroeder. Sul versante opposto degli schieramenti interni al partito, si colloca il “Seenheimer 58 dall’ ala “realista/governativa/maggioritaria” dei Verdi166. L’ unica eccezione di rilevanza nazionale è costituita, quindi, dal solo P.D.S. ; partito prevalentemente orientale, presieduto dall’ ultimo premier comunista della D.D.R. , nonché attualmente eletto al Parlamento Europeo, Hans Modrow ed, innegabilmente “erede” della S.E.D. , esso, pur senza difficoltà alcuna collocabile alla sinistra della S.P.D. , non è, però, definibile come una formazione politica “tout court” marxista/comunista167 visto che è solo la sua ala sinistra interna, orbitante attorno al “Forum Marxista” ed alla “Piattaforma Comunista”, a definirsi tale. Anzi, è proprio alla sua capacità di essere contemporaneamente “tradizionale” (marce commemorative per Karl Liebcknecht e Rosa Luxemburg, valorizzazione degli aspetti positivi della D.D.R. come eguaglianza, sicurezza sociale, occupazione, istruzione) ed “innovatore” (esplicitamente schierato a favore di maggiori diritti per immigrati ed omosessuali, dotato anche di una visibile connotazione ecologista, vicino ai “movimenti”, femminista ed attualmente diretto dal “duumvirato rosa” Petra Pau e Gabriele Zimmer) che ne ha allargato il bacino elettorale a livelli ragguardevoli ; nei territori della defunta R.D.T. , prima di tutto, ma, pur se in misura decisamente inferiore, anche in quelli della vecchia Repubblica Federale. Tutto sommato “discreti” infatti, vista la ancora non trascurabile ostilità che lo circonda168, appaiono i risultati ottenuti dal partito in Bassa Sassonia, Nord/Reno Westfalia, in coalizione con il D.K.P. , e ad Amburgo, apparentato con la lista civica verde di sinistra “Regenbogen Partei”. In lotta, con F.D.P. e Verdi, per il terzo posto nazionale, distaccatissimo, però, rispetto alle percentuali di S.P.D. e C.S.U./C.D.U. , ma, in ogni caso, stabilmente attestatosi al disopra della “fatidica” soglia del 5%, indispensabile, in Germania, al fine di ottenere rappresentanza parlamentare, il P.D.S. gode di ottima salute nei cosiddetti “Nuovi Bundeslaender” : governa organicamente con la S.P.D. il Mecklemburg/Vorpommern, “tollera” un governo di minoranza targato S.P.D. in Sassonia/Anhalt, fa parte della coalizione che ha sconfitto una tradizionalmente fortissima C.D.U. nella corsa per la poltrona di sindaco di Dresda169, è pronto, in Kreis” (“Circolo di Seenheim”) che ha tradizionalmente trovato il proprio “nume tutelare” in Helmut Schmidt : una contrapposizione, questa, quasi ovvia visto il radicatissimo contrasto, politico e personal/caratteriale, fra i due importanti statisti social/democratici. 166 Capeggiata da Joseph “Joschka” Fischer e dalla segretaria nazionale del partito, Renate Kunast. 167 In tal senso, invece, è possibile operare rispetto al piccolo D.K.P./Deutsche Kommunistische Partei : continuatore, rinato nel 1968, del K.P.D./Kommunistische Partei Deutschlands occidentale, messo, quest’ ultimo, fuori legge nel 1953 , e “controverso” alleato occidentale del P.D.S. soprattutto, finora, in occasione delle elezioni comunali e regionali del Land Nord/Rhein Westfalen svoltesi nel corso dell’ autunno del 1999. 168 In quanto considerato ancora legato alla “dittatura comunista orientale”. 169 Una “super/Ampel Koalition” che include anche : liste civiche, F.D.P., S.P.D. e Verdi. “Ampel Koalition” significa “Coalizione Semaforo” visto che i liberali, in Germania, sono i “gialli”, i verdi…rimangono “verdi” ed i social/democratici sono i “rossi”. I democristiani, invece, sono “i neri”, mentre ai sostenitori dell’estrema destra ci si riferisce come ai “marroni”. Considerati 59 coalizione con la S.P.D. , a governare anche la Turingia170 e ha ottenuto un rimarchevolissimo successo alle elezioni comunali anticipate di Berlino171 tenutesi, il 21 ottobre 2001, in seguito alla crisi della “Grosse Koalition” S.P.D./C.D.U. dovuta all’ emergere di una serie di scandali finanziari probabilmente esiziali per la futura carriera politica di Eberhard Diepgen, ex/sindaco della città sulla Sprea, e Klaus Landowsky, uomo di punta della C.D.U. berlinese e “figura di contatto” con il mondo imprenditoriale/finanziario/bancario locale. Rispetto all’ ottobre del 1999, data delle precedenti consultazioni, il P.D.S. : ha incrementato i propri consensi del 4,9%, è emerso come il primo partito fra i giovani al primo voto (33%), ha ricevuto il voto di quasi un est/berlinese su due (47,8% , 8,3% in più rispetto a due anni prima), ha raggiunto un rispettabilissimo 6,9 a Berlino/Ovest (2,7% in più rispetto a due anni prima), ha quasi eguagliato, con il 22,6% a livello cittadino, una C.D.U. in caduta libera (23,7% , il 17, 1% in meno rispetto a due anni prima) e non è poi distantissimo da una S.P.D. in indubitabile ripresa (primo partito in città con il 29,7%, 7,3% in più rispetto a due anni prima)172. Chi scrive ritiene piuttosto improbabile che il suo “Spitzenkandidat” (“Candidato di punta”), Gregor Gysi, divenga sindaco, ma, anche in caso il sindaco/premier incaricato, il social/democratico ed apertamente omosessuale Klaus Wowereit, scelga la strada di una “Ampel Koalition” fra social/democratici, verdi e liberali173, invece che quella di un “Rot/Rot-Rosa/Gruen” fra S.P.D. , P.D.S. e “Gruenen” o di un “Rot/Rot-Rosa organico” che includa soltanto S.P.D. e P.D.S. , resta assolutamente non scalfibile l’ importanza, tanto numerica quanto politica, dell’ ennesimo successo elettorale dei “Sozialisten” ; anche in rapporto alla confermata marginalità, politica per quanto non criminale, dell’ estrema destra. Si profila, dunque, il P.D.S. come forza di primissimo piano anche se il suo fortissimo radicamento geografico orientale, oltre a costituirne il primo sostegno, ne rappresenta anche il principale limite. La cosiddetta “eredità” della D.D.R. è, infatti, presso l’ opinione pubblica della vecchia Repubblica Federale, ancora vista con estremo sospetto soprattutto nei suoi momenti ritenuti, da quest’ ultima, come i più traumatici : l’ unificazione di S.P.D. e K.P.D. la quale, nei territori della S.B.Z. , diede vita alla S.E.D. (1946), la repressione sanguinosa della insurrezione del 17/6/53 a Berlino/Est ed in altre città della D.D.R. , la costruzione del Muro (12 e 13/8 1961). Contrarissimo alla guerra del 1999, contrario anche alla partecipazione tedesca ad “Essential Harvest” (nome dell’ operazione N.A.T.O. avviatasi nel corso dell’ autunno del 2001 e volta al dispiegamento di un “contingente di “politicamente i più rossi”, i sostenitori del P.D.S. , “cromaticamente parlando”, vengono, però, definiti “rosa”. 170 La Sassonia invece, a parte Dresda, rimane una solida roccaforte democristiana mentre è una “Grosse Koalition”, fra C.D.U. e S.P.D. , a governare nel Brandeburgo. 171 La capitale della B.R.D. è, infatti, anche un Land a sé stante. 172 A tal riguardo, confronta : S. Wiehler : “Wandertag der Waehler” Tagesspiegel, 22-10-01 ; H. Wild : “Fast jeder zweite Ost/Berliner waehlte die P.D.S.„ Tagesspiegel, 22-10-01. 173 Resa possibile dalla tenuta dei Verdi e dall’ ottimo risultato della F.D.P. . 60 pacificazione” in Macedonia) e decisamente critico del ruolo politico, diplomatico, economico e militare svolto da Bonn/Berlino, perlomeno a partire dal 1991 in poi, nei confronti della crisi ex/jugoslava, il P.D.S. è caratterizzato da un atteggiamento “anti/interventista” talmente importante da far sì che al congresso di Muenster (aprile 2000) due rilevantissimi esponenti interni del calibro di Gregor Gysi e Lothar Bisky siano stati sconfitti dall’ opposizione alla loro proposta la quale, pur mantenendo l’ ostilità del partito nei confronti delle “proiezioni fuori area” effettuate dalla N.A.T.O. , nel contesto, fra l’ altro, di una posizione complessivamente molto poco benevola rispetta all’ Alleanza Atlantica, sanciva, però, l’ ammissibilità del sostegno dei “Sozialisten” alle missioni di “peace/keeping” sponsorizzate dalle Nazioni Unite. Accanto all’ aver espresso una “solidarietà critica” agli U.S.A. dopo gli attacchi terroristici da essi subiti a New York e Washington l’ 11-9-01, il recente congresso del P.D.S. (Dresda, ottobre 2001), pur all’ interno della contrapposizione fra la maggioritaria e maggiormente “innovativa” Mozione 1174 e la sensibilmente più “conservatrice” Mozione 2175, ha , infine, manifestato, accanto alla condanna del terrorismo, la propria contrarietà all’ operazione militare alleata denominata “Enduring Freedom”176 auspicando, invece, un maggior coinvolgimento delle Nazioni Unite. L’ “anti/interventismo” dei “Sozialisten” ne è uscito, dunque, per lo meno sostanzialmente confermato. 3-2: “CHIOSA FINALE” Né il P.D.S. , né i “Fundis Gruenen”177, né i social/democratici “scettico/dissidenti” e né, tantomeno, associazioni sparse e movimenti vari possono, però, impedire lo svolgersi di un corso già segnato anche perché, oltre alla ridotta forza elettorale, e non soltanto, del fronte del “non/intervento” rispetto a quella dello schieramento ad esso, invece, favorevole, l’ “attivismo nord/atlantico” della Bundeswehr è figlio della riforma della stessa, a sua volta possibile vista la 174 A sostegno della quale hanno apposto la propria firma : Dieter Klein, Andrè Brie, Michael Brie, Gabriele Zimmer, Petra Pau, Lothar Bisky, Gregor Gysi, Dietmar Bartsch, Peter Porsch, Angela Marquardt. 175 In favore della quale hanno, invece, espresso il proprio sostegno : Winfired Wolf, Sara Wagenknecht, Klaus Kloepcke, Ellen Brombacher, Eric Hahn, Uwe/Jens Hauer, Klaus Paetzold. 176 Operazione messa in atto dal presidente statunitense George W. Bush, in collaborazione “in primis” con il Regno Unito, contro l’ organizzazione terroristica “Al Quaeda” (“L’Organizzazione”), facente capo al miliardario saudita Osama Bin Laden, e contro il governo dei “Talebani” (“Studenti del Corano”) in Afghanistan ma, probabilmente, passibile di allargamento ad un’ ampia gamma di ulteriori obiettivi. 177 Verdi “fondamentalisti”, ambientalisti/pacifisti radicali istituzionalmente rappresentati dall’ attuale ministro dell’ Ambiente, Juergen Trittin. 61 riconquistata sovranità diplomatica178 sancita, quest’ ultima, anche da dieci anni di “coinvolgimento germanico” nei Balcani il cui primo, cronologicamente parlando, e, probabilmente, più importante stadio si è esplicato nella prova di forza sostenuta da Kohl e Genscher in favore di Slovenia e Croazia. Le analisi che di essa hanno fornito i sette quotidiani “prescelti” riflettono e, simultaneamente, contribuiscono ad influenzare le opinioni di una popolazione e di un ceto dirigente, politico, economico e culturale, in chiara maggioranza favorevoli, prima, all’ indipendenza di Lubiana e Zagabria, poi, alla politica tedesca nei Balcani così come si è manifestata nel corso dello scorso decennio ed infine, ma stavolta dalla “parte giusta”, al “ritorno della ‘Potenza del Centro’ ”. Crescenti responsabilità, quindi, alla luce di una sempre più definitiva “normalità”. Altro che “Scheckbuchdiplomatie” (“Diplomazia del libretto degli assegni”)! Stabilire, infine, se e quanto tale “normalità” sia stata, a partire dal 1990, venga, attualmente, e/o sarà, in futuro, adoperata nel modo “giusto”, un concetto, quest’ ultimo, talmente astratto da risultare contraddistinto da contorni estremamente poco definiti, non costituisce tema del presente lavoro. Onde, però, evitare di incappare nel madornale errore di una eccessiva ed immotivata “germanofobia”, passando dalla “non/sottovalutazione” della forza tedesca ad una sua “mostruosa sopravvalutazione”, non bisogna, una volta posto un siffatto quesito alla B.R.D. , dimenticare di porlo, per lo meno, anche a buona parte dei partners internazionali di questa, europei e non. 178 Conseguenza della ritrovata unità, a sua volta prodotta dagli enormi sconvolgimenti del biennio 1989/1991. 62