UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA” FACOLTÀ DI INGENGERIA DOTTORATO DI RICERCA IN INGEGNERIA EDILE – XVIII CICLO “LA DEMOLIZIONE DELLE OPERE IN CALCESTRUZZO ARMATO: TEORIA, PROGETTO E CONTROLLO DEL RISCHIO” Dottorando: Ing. Daniel Raccah Docenti guida: Prof. Ing. Gabriele Novembri Prof. Ing. Ruggero Rondinella a mia madre, con amore e gratitudine. INDICE RAGIONATO Cap. 0 “INTRODUZIONE” • Oggetto della ricerca…………………………………………………………………..7 • Individuazione del problema scientifico…………………...……………………8 • Obiettivi della ricerca………………………………………………..…………………9 • Ambito della ricerca e base di partenza scientifica………………………..10 • Metodologia operativa e schema organizzazione ricerca…….... .........11 Cap. 1 “I PRESUPPOSTI TEORICI DELLA DEMOLIZIONE” • Historia Demolitionis...................................................................13 • Il problema culturale della demolizione.........................................16 • La progettazione di un intervento di demolizione...........................24 o il “suolo di demolizione”..................... ...................................24 o fattori subentranti nella scelta di una tecnologia.....................27 - motivi ed obiettivi estrinseci............................................27 - metodologie di Intervento............ ....................................29 - Demoliz. totale Vs Demoliz. Controllata...................29 - Demoliz. indifferenziata Vs Demoliz. Selettiva...........30 - vincoli contestuali...........................................................32 - componente economica..................................................35 - fattore ambientale..........................................................37 - principi di sicurezza........................................................40 • Considerazioni Strutturali.................................. ............................50 Cap. 2 “LE TECNICHE DI DEMOLIZIONE” ..........................................69 • Demolizione totale dell’apparato costruttivo...................................72 • o trazioni tramite cavi.............................................................73 o scalzamento delle fondazioni................................................73 o spinta diretta al ribaltamento................................................75 o palla demolitrice..................................................................76 o esplosivistica applicata alla demolizione.................................78 o procedimento Cardox...........................................................85 Frantumazione parziale dell’apparato costruttivo............................89 • o martello demolitore idraulico................................................89 o escavatore meccanico........................................................101 o spacca-roccia meccanici......................................................109 o spacca-roccia chimici..........................................................114 o spacca-roccia a sparo.........................................................120 o pinze e cesoie idrauliche......................................................122 o il Nibler.............................................................................124 o procedimenti elettro-chimici................................................124 o i Piloni...............................................................................124 o riscaldamento armature per effetto Joule.............................125 o generazione di microonde...................................................125 o elettro-fratturazione...........................................................129 Eliminazione singolo elemento costruttivo funzionale....................130 o o • - il disco diamantato.......................................................135 - seghe da parete...........................................................137 - troncatrici manuali........................................................138 - seghe taglia -pavimento.................................................140 - seghe a tuffo................................................................141 - seghe a catena.............................................................143 - filo diamantato.............................................................144 - le corone diamantate....................................................147 Procedimenti termici...........................................................151 - perforazione termica con lancia ad ossigeno...................152 - cannello a polvere.........................................................155 - cannello al plasma........................................................157 - il laser..........................................................................160 Trattamento superficiale degli elementi costruttivi.......................163 o • Utensili diamantati.............................................................130 Il degrado del calcestruzzo.................................................163 - le cause del degrado.............................. .......................165 - le fenomenologie...........................................................168 - la diagnostica...............................................................169 - dal progetto all’intervento..............................................175 - modalità d’intervento....................................................177 Idrodemolizione ad alta pressione...............................................180 - idrodemolizione controllata............................................184 - idrodemolizione selettiva...............................................184 Cap. 3 “VERBA VOLANT, EXEMPLA MANENT” - CASI STUDIO ..........191 • La demolizione delle “Vele” di Scampa............................ .............195 • La demolizione di un silos a Genova............................................216 • La demolizione di un ponte ferroviario.........................................227 • Lo smantellamento di una villa romana al Gianicolo......................233 • L’abbattimento del “Kingdome” a Seattle.....................................241 Cap. 4 “IL CONTROLLO DEL RISCHIO NELLA DEMOLIZIONE..........247 • Premessa.................................................................................247 • Il Project Management...............................................................248 • Cos’è un Progetto……………………………………………………………………249 • Motivi del Project Management…………………….…………………….……..251 • Aree del Project Management………………………………………….……….252 • Knowledge Based Decision Analysis………………………………….……….254 • Il Risk Management………………………………………………………….……..255 o Risk Identification……………………………………………………………256 o Risk Quantification……………………………………………………….….257 o Risk Response Development. …………………………………….…….257 o Risk Response Control……………………………….…………………....259 • La Progettazione Fault Tolerant...................................................260 • La Reliability Engeneering - Metodi di Gestione del Rischio............262 • Le Reti di Influenze....................................................................265 • Applicazione su caso pratico.......................................................266 • o Descrizione generale tecniche.............................................269 o Descrizione delle fasi esecutive...........................................270 o Individuazione possibili rischi..............................................274 o Creazione rete di Influenze..................................................275 Le Reti Bayesiane.......................................................................285 o Rete Bayesiana del caso studio...........................................289 • Conclusioni................................................................................293 • Bibliografia................................................................................297 Capitolo 0 Introduzione CAPITOLO 0: Introduzione Uno dei primi e migliori libri di Ingegneria che abbia letto1), iniziava molto originalmente, con un misterioso Capitolo 0, al posto di una più ordinaria premessa. La motivazione che si presentava al lettore per questa scelta, era il fatto che è cosa nota che generalmente qualsiasi introduzione o premessa nei libri, viene puntualmente saltata per il desiderio di iniziare il testo vero e proprio. Purtroppo, nelle premesse spesso si celano strumenti importatati per la comprensione dell’intero testo. Assegnando quindi all’introduzione il titolo di Capitolo 0, si crea nel lettore l’illusione di essere già addentrato nel corpo dell’opera. L’aver sperimentato in prima persona la validità di tale motivazione, mi ha quindi spinto ad inserire al posto della premessa, questo famoso Capitolo 0. 0.1 Oggetto della ricerca Oggetto della presente ricerca è l’approfondita analisi e conseguente ottimizzazione del processo progettuale che sta a monte di un’operazione di demolizione di un organismo complesso in calcestruzzo armato. Per organismo complesso, si intende un manufatto edilizio costituito da una molteplicità di parti, organizzate in modo tale da rendere non immediata la comprensione del proprio funzionamento e quindi una loro eventuale modificazione. Lo smantellamento di tale oggetto, nella piena considerazione di tutte le proprie caratteristiche, può presentare molte soluzioni progettuali, tanto ché non è sempre intuitivo capire quale sia quella dal rendimento più alto. Nella trattazione che segue, il momento operativo della demolizione viene presentato a pieno titolo come una delle varie fasi del ciclo vitale dell’organismo edilizio. Quindi, alla stregua di tutte le altre fasi, anche la demolizione deve necessariamente essere preceduta da un’attività progettuale che la razionalizzi e pianifichi a monte. L’assoluta necessità di tale attività pianificatoria è dimostrata nell’arco della ricerca. Verranno quindi in primo luogo distinti i due momenti principali della demolizione, ovvero: la progettazione dell’intervento, e la sua conseguente esecuzione pratica. Saranno quindi non solo analizzate nel dettaglio tutte le possibili metodologie e tecniche di abbattimento, ma verrà prestata particolare attenzione al rapporto tra la loro scelta e le condizioni contestuali, all’interno del processo progettuale. 7 Capitolo 0 0.2 Introduzione Individuazione del problema scientifico La ricerca stessa è inizialmente partita studiando ed approfondendo quegli argomenti su cui si è trovata maggior abbondanza di informazioni: l’argomento più trattato nelle fonti utilizzate, è sicuramente costituito dalle tecniche di demolizione. In tutti i testi studiati, queste tecniche venivano semplicemente elencate senza alcun criterio apparente, per poi passare direttamente alla descrizione del loro funzionamento operativo. In nessun luogo era fatto riferimento ad un’attività di tipo intellettuale che regoli questo genere di operazioni. Eppure, sia nel mondo accademico che in quello professionale, la progettazione di un processo di costruzione è un argomento da tempo largamente analizzato, col costante obiettivo di ottimizzarne il rendimento. La motivazione di questa gap sta nel fatto che, nella cultura generale ed in particolare nel mondo lavorativo, la demolizione è sempre stata vista come un episodio isolato nell’universo dell’edilizia, sicuramente un momento conclusivo di un organismo edilizio, ma mai veramente legato alle sue precedenti fasi vitali. Questa totale mancanza di collegamento tra il momento dello smantellamento, e la vita passata dell’organismo edilizio in questione, lascia assolutamente scoperta qualsiasi gestione razionale di tale processo: in pratica un’attività di demolizione edilizia viene spesso affrontata senza alcun criterio, e quindi le scelte da effettuare restano così a totale discrezione degli operatori fisici dell’operazione, cioè l’impresa esecutrice. È evidente che, nella maggior parte dei casi, l’unico criterio che un’impresa possa considerare valido è la propria convenienza economica. Le scelte progettuali, fatte secondo questo criterio spesso trascurano molti fattori importanti che influenzano un intervento di demolizione. La mancanza di coscienza della necessità di un progetto che stia alla base di una serie di operazioni di smantellamento, comporta in realtà una effettiva diminuzione del livello di rendimento delle operazioni fisiche, per il semplice fatto che molte variabili vengono lasciate nascoste, finché non si manifestano (come errori) portando sempre a dannose conseguenze. Uno dei principali fattori le cui conseguenze sono particolarmente dannose, è il fattore rischio: come si vedrà nel corso dell’opera l’avveramento di un rischio (che può essere di vario genere e tipologia) rappresenta e comporta il malfunzionamento generale dell’intero sistema. Quindi il problema scientifico che sta alla base e motiva l’intera ricerca, può essere articolato nei seguenti sintomi: - totale mancanza del concetto di progetto di demolizione; - conoscenza insufficiente degli elementi costitutivi di un processo progettuale applicato ad una demolizione; 8 Capitolo 0 Introduzione - carenza di una reale razionalizzazione ed ottimizzazione di tale processo progettuale; - scarsità del controllo del fattore rischio e delle sue conseguenze nei confronti dell’esecuzione delle operazioni di demolizione. Proprio a partire dai suddetti problemi di tipo scientifico, si sviluppano gli obiettivi della presente ricerca. 0.3 Obiettivi della ricerca Le finalità programmatiche che hanno spinto a svolgere e motivato la ricerca, sono le seguenti: - fornire un’approfondita analisi e classificazione tipologica dei possibili interventi di demolizione e delle tecniche utilizzabili: saranno perciò indagate le caratteristiche, le proprietà e le limitazioni di tutti i procedimenti di demolizione esistenti, partendo da quelli sperimentali, sino a quelli oramai più consolidati; - analisi delle correlazioni tra il contesto operativo, e le caratteristiche intrinseche delle tecniche esistenti: creazione di una matrice di interrelazioni che permetta lo studio delle diverse compatibilità, sotto i possibili aspetti, tra le scelte progettuali (ovvero i procedimenti utilizzabili) ed i vincoli contestuali presentati dall’ambiente e dall’oggetto su cui si interviene; - fornire un quadro di proposte, che serva da via preferenziale per la scelta delle possibili tecniche di demolizione, in funzione delle condizioni esterne nelle quali ci si trova ad intervenire; il tutto, al fine di una generale razionalizzazione ed ottimizzazione di questo specifico processo. Queste finalità generali, motivate dalle problematiche individuate e sopra illustrate, si sono poi concretizzate all’interno della ricerca in argomenti dettagliati: il corpo stesso del testo si propone come uno strumento formativo, il cui obiettivo è di introdurre il progettista nel mondo della demolizione attraverso uno specifico percorso. Nel concreto gli obiettivi si sono tradotti nei seguenti argomenti: 1. approfondita analisi delle tipologie di interventi di demolizione, delle possibili problematiche all’interno di un tale intervento e studio dei fattori costitutivi della progettazione di un’attività esecutiva; 2. enucleazione di tutte le tecniche della demolizione, in funzione delle loro caratteristiche, ma in particolare in funzione delle loro limitazioni operative; la finalità di questa sezione, come anche della precedente, resta quella di formare i bagaglio culturale del progettista e fornire gli strumenti necessari per la effettuare la scelta progettuale migliore, in funzione dei vincoli esterni; 9 Capitolo 0 Introduzione 3. ottimizzazione del momento decisionale all’interno di un iter progettuale: gestione e controllo del fattore rischio, ovvero il fattore che si ritiene più vincolanti tra tutti quelli subentranti all’interno di un processo progettuale. Lo schema di organizzazione della ricerca, sarà costituito in funzione degli obiettivi appena trattati. 0.4 Ambito della ricerca e base di partenza scientifica La ricerca si pone all’interno dell’indagine del processo della produzione edilizia e della sua razionalizzazione. All’interno di questo ambito si è scelto di studiare una particolare fase del ciclo vitale edilizio, solitamente trascurata o trattata in maniera parziale: la dismissione dell’organismo edilizio. Come già accennato, la demolizione non è mai stato un argomento molto studiato: in Italia, a causa del particolarissimo background storico, un vero e proprio blocco culturale ne ha da sempre limitato il campo d’azione, rilegando la demolizione ad un tipo di intervento da utilizzare solo in casi limite. Questa chiusura mentale, rendendo difficile la vita della demolizione, ne ha d’altra parte raffinato i mezzi: esiste infatti in Italia discreto mercato afferente alla cosiddetta demolizione controllata: questa tipologia di approccio verrà illustrata in seguito, presentandone il campo d’azione e le limitazioni. Nei paesi anglosassoni invece, essendo la demolizione una pratica più corrente, sono state ottimizzate quelle tipologie di tecniche più invasive, ed è stato quindi possibile trovarne in letteratura, alcuni testi che ne illustrano le modalità operative. In ambito nazionale esiste una base di partenza scientifica a proposito dell’argomento, ma questa era essenzialmente orientata a sottolineare aspetti ben diversi dagli obiettivi che si prefigge la presente ricerca: la maggior parte degli studi condotti analizzavano la demolizione ad una scala molto vasta, quella urbanistica, indagando le conseguenze socio-urbane dei grandi “sventramenti”; un’analisi condotta ad una scala minore rispetto a quella urbanistica è stata trovata in una ricerca di dottorato di poco precedente: in essa venivano essenzialmente trattate le conseguenze di un intervento di demolizione, inteso come modificazione di uno spazio architettonico. Quindi il presente testo, si presta ad essere anche inteso come un approfondimento ed un’ulteriore scesa nel dettaglio rispetto alla base di ricerche preesistenti: partendo da un’analisi a scala urbana degli effetti di una demolizione, si continua studiandone le ripercussioni sulla singola architettura, fino ad arrivare all’approfondito studio del progetto che ne regola le attività, ed al controllo dei suoi fattori cardine ai fini della ottimizzazione del rendimento finale. 10 Capitolo 0 0.5 Metodologia ricerca Introduzione operativa e schema organizzazione Si è scelto di organizzare la ricerca come un percorso, il cui obiettivo è guidare il progettista all’interno dell’iter progettuale che regola un intervento di demolizione. Il testo si sviluppa in quattro parti. Nel primo capitolo, si introdurrà il lettore-progettista ai concetti fondamentali ed ai presupposti teorici su cui si basa un progetto di demolizione; in questa fase si eseguirà un’approfondita analisi e scomposizione del progetto nei suoi componenti costitutivi, classificando tutti quei fattori che possono entrare in gioco in un momento decisionale, all’interno di un iter progettuale: di ognuno di essi sono state studiati i rapporti e le relative correlazioni; è stato così assegnato ad ognuno un peso relativo, nei confronti dell’intero processo. Attraverso questo studio, si introdurrà progressivamente il concetto di momento decisionale dentro un processo progettuale: nel caso specifico della pianificazione di un’operazione di abbattimento, il momento decisionale è rappresentato dalla scelta, in primo luogo della metodologia di intervento (demolizione totale o parziale, indifferenziata o selettiva), ed in secondo luogo della specifica tecnica da utilizzare. Alla conclusione del primo capitolo, il lettore avrà acquisito non solo un certo bagaglio culturale sui possibili fattori costitutivi, ma avrà sviluppato mentalmente una vera e propria rete virtuale che collega e relaziona tra loro tutte queste variabili; la risoluzione di questa rete nella maniera ottimale, cioè prendendo in giusto conto il peso relativo di ogni fattore, fornisce l’indicazione della tipologia di intervento e di relativa tecnica da utilizzare: in sintesi è possibile dire che, così facendo si è esplicitato ed approfondito il percorso mentale di un progettista in un momento di scelta progettuale. Nel secondo capitolo si continuerà ad arricchire il back-ground culturale del progettista, entrando nel dettaglio delle singole tecniche, studiandone le caratteristiche ed i limiti, in base ad una serie di criteri prefissati, ed in particolare sottolineando il livello di compatibilità della singola tecnica col contesto operativo. Tutte le tecniche, esistenti o in fase di sperimentazione, saranno preventivamente inquadrate e classificate all’interno della relativa tipologia di approccio, in modo tale da fornire una prima indicazione al progettista sulla scelta da effettuare in funzione dei possibili vincoli di progetto, già studiati nel primo capitolo. Il terzo capitolo ha la funzione di costituire un momento di sintesi di tutto quanto è stato detto nei capitoli precedenti: attraverso l’illustrazione e l’analisi critica di alcuni casi studio strategici, si presenteranno alcuni esempi concreti di progettazione di demolizioni complesse: si avrà così l’opportunità di mettere in 11 Capitolo 0 Introduzione luce le possibili interazioni tra le suddette variabili della progettazione, e di scoprire come le varie problematiche sono state di volta in volta risolte dai progettisti. Oltre a fornire una esemplificazione di funzionamento delle principali tecniche di abbattimento e dal loro rapporto con i vincoli progettuali, i suddetti casi studio sono stati selezionati poiché rappresentano casi mediamente rari di integrazione di tecniche molto diverse tra loro, la quale integrazione ha garantito altissimi risultati prestazionali. Una volta acquisito il bagaglio culturale attraverso i primi capitoli, il lettore giunge infine al quarto capitolo: a questo punto risulta chiaro, tra le altre cose, che tra i vari aspetti da considerare in un momento di scelta progettuale, il fattore rischio rappresenta mediamente l’input più caratterizzante. Quindi interpretando il concetto di progetto in base alla semantica ed alle definizioni della disciplina del Project Management, se ne approfondirà un aspetto in particolare: il rischio progettuale e della sua gestione, altrimenti detto il Project Risk Management. Si evidenzia così l’importanza di una progettazione di tipo Fault Tolerant, ossia un’attività pianificatoria flessibile, in cui, già nella sua genesi siano contemplate le possibili cause di insuccesso, e quindi siano state prese le dovute misure, preventive o mitigatrici del danno. Si arriverà infine al momento della Decision Taking, che, nel caso della demolizione è rappresentato dalla scelta della metodologia e della relativa tecnica di intervento: questo momento decisionale sarà supportato, in funzione della limitazione del rischio, dall’uso dei metodi della Reliability Engeneering (gestione del rischio). Fra le varie tecniche analizzate, si è scelto di utilizzarne una in particolare, e di fornirne un esempio pratico di applicazione: trattasi della tecnica delle Reti Bayesiana, uno degli strumenti più all’avanguardia di simulazione probabilistica di modelli di processi produttivi. 1) “Edilizia 1” – Enrico Mandolesi - UTET 12 Capitolo 1 CAPITOLO 1: I Presupposti Teorici della Demolizione DEMOLITIONIS HISTORIA I primi casi tecnicamente documentati, di interventi di demolizione veri e propri, si possono trovare nella storia, sotto forma di estesi lavori di scavo su roccia, finalizzati alla costruzione di grandi opere infrastrutturali (in particolare romane), quali strade, canali e simili. Sicuramente la descrizione più antica del primo intervento di demolizione è descritta nella Bibbia (Giosuè 6:1-27) e riguarda la distruzione delle mura della città di Gerico da parte dell’esercito Ebraico sotto la guida di Joshùa Bin-Nun (Giosuè figlio di Nun). Obbedendo alle indicazione divine, il comandante Giosuè fece marciare una volta al giorno, per sei giorni, tutto l’esercito d’Israele intorno alle mura della città: l’esercito marciante doveva essere preceduto da sei sacerdoti che dovevano suonare altrettanti corni di montone; anche l’Arca dell’Alleanza doveva essere trasportata durante l’accerchiamento. Il settimo giorno si dovevano compiere sette giri, sempre accompagnati dal suono dei corni, ed al compimento del settimo giro tutto l’esercito doveva urlare con tutte le proprie forze; al suono di questo urlo le mura della città collassarono e la città fu conquistata. Ricostruzione artistica dei fianco settentrionale dell’antica Gerico, basata sugli scavi tedeschi effettuati tra il 1907ed il 1909. Sezione schematica del sistema di fortificazione della città di Gerico È proprio nelle demolizioni finalizzate ad uso militare, che le tecniche di abbattimento trovarono la loro massima fioritura: infatti senza nessuna barriera geografica o etnica, svariati sono i testi di strategia militare in cui molto spazio è dedicato alla spiegazione di tecniche d’assalto di fortificazioni, di mura, di torri, e più in generale di distruzione di qualsiasi manufatto edile adibito alla difesa. 13 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Tra i testi principali che furono profondo argomento di studio dei più grandi condottieri della storia, da Alessandro Magno a Napoleone Bonaparte, da Federico II di Prussia a William I di Orange-Nassau (conosciuto come William the Silent), si riportano i più noti: - Parangelmata Poliorcetica, di Heron di Bisanzio; - De obsidione toleranda, anonimo; - Strategicon di Kekaumenos; - Taktika di Nikephoros Ouranos. La poliorcetica (Poliorceticon) è l’arte dell'attacco delle fortificazioni.ed tradizione nobilissima e vanto speciale dell’ingegneria italiana, naturalmente ereditata dalla ricca tradizione bellica romana. Prima dell’introduzione dell’uso dell’esplosivo, era assai frequente in Italia la demolizione di torri, ottenuta per ribaltamento: si incideva profondamente la base, avendola preventivamente puntellata Torre di assalto illustrata nel testo, di Heron di Bisanzio durante il lavoro con delle aste di legno, da bruciare poi nella fase finale.Un tale procedimento fu applicato come una novità in America, per le demolizioni eseguite dopo il terremoto di S. Francisco di California, ma fu di uso corrente in Italia per tutto il Medioevo e i tempi moderni, e deriva nientemeno che dai sistemi romani di attacco delle fortificazioni. Secondo Vegezio (celebre autore di “De re militari”) lo scavo si poteva effettuare talvolta nel muro, altre volte nel terreno. I puntelli erano chiamati ligneae columnae o sublices e la loro carbonizzazione avveniva dopo l’aspersione di pece e nafta. Secondo altri autori, i puntelli, invece di essere bruciati, potevano essere strappati via dal loro posto con un argano (il verrochium). Tutte le tecniche appena descritte, come anche lo sfaldamento delle fondazioni dell’opera da demolire, trovano applicazione ancora al giorno d’oggi, ed il loro funzionamento è spiegato nel II capitolo del presente testo. È anche documentato un procedimento secondo il quale un foro di demolizione, iniziato a mano, si faceva allargare formandovi dentro e alimentandovi un fuoco in un fornello (le cosiddette “mine di Erone”) oppure attraverso mezzi chimici oggi non ben noti ma conosciuti dai Greci, e dai Romani chiamati acetum 1). A volte il distacco di grossi frammenti di pietra o muratura mista poteva avvenire attraverso l’introduzione una serie di cunei, infissi a colpi di mazza nella linea di distacco prefissata, e battuti tutti progressivamente, come si fa tutt’oggi nella cavatura delle pietre. 14 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Tutti questi procedimenti, altro non sono che i predecessori della moderna tecnica che utilizza i cosiddetti spaccaroccia meccanici e chimici, descritti in seguito nel capitolo relativo alle tecniche. 1) Vedere anche in Dione Cassio il racconto dell'assedio di Eleuteria da parte di Quinto Cecilio Metello, 148 a. C.; oppure le notizie dell’impiego di tali materiali per il traforo del Furlo sulla via Flaminia, nell'epigrafe appostavi; e confrontare con la “Poliorcetica” di Apollodoro, con la descrizione di un fornello speciale per demolizioni. 15 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Il problema culturale della demolizione: Il concetto di demolizione secondo la visione tradizionale ed alla luce dei nuovi principi dello sviluppo sostenibile Negli ultimi decenni si è andata pian piano maturando nella società e nella mentalità comune, una nuova sensibilità ed attenzione nei confronti dell’ambiente. Tra i concetti principali che caratterizzano questo nuovo approccio nei confronti dell’ambiente, troviamo: una limitazione del consumo delle fonti di energia non rinnovabili, un concezione dello sviluppo non indiscriminato e fagocitante, ma che si curi di riprodurre in parte, i beni che vengono consumati; infine l’importantissimo concetto del riciclaggio applicato in tutti i campi. Naturalmente questa nuova mentalità ed i suoi principi, si sono trasferiti anche nell’architettura e nel mondo dell’edilizia portando alla nascita del concetto di architettura sostenibile. Quest’ultima prevede tra i controllata, bassi consumi fonti energetiche ordinarie, base della bioarchitettura), materiale. suoi punti cardine: una urbanizzazione ordinata e energetici realizzati attraverso l’integrazione delle con fonti energetiche naturali rinnovabili (principio il riciclaggio della maggiore quantità possibile di Prima di analizzare le conseguenze dell’applicazione dello sviluppo sostenibile in architettura, andiamo a conoscere l’evoluzione di questo concetto negli ultimi anni, fissando due definizioni di architettura sostenibile: quella cosiddetta tradizionale ed una più innovativa. Secondo la concezione che è possibile definire “tradizionale” lo sviluppo sostenibile si ritiene possa essere perseguito costruendo edifici che durino il più a lungo possibile, con materiali ecocompatibili di elevata affidabilità, intervenendo con periodiche manutenzioni per prolungare la sopravvivenza, la cui fine non può essere sancita aprioristicamente. All’opposto, la concezione che si può definire “innovativa” prevede la demolizione dell’edificio ed il riciclaggio dei prodotti residui una volta che esso non si dimostri più idoneo sotto il profilo funzionale e tecnologico, il che ai nostri giorni avviene entro periodi temporali molto brevi poiché i processi di obsolescenza fisica sono molto più rapidi rispetto al passato. Come è stato possibile dedurre dalle due definizioni poc’anzi espresse, i fattore tempo e la sua limitazione, sono ciò che definisce la differenza tra le due concezioni: limitare a monte la durata dell’opera o tentare di prolungarla il più possibile. A questo punto, una volta focalizzato questo fattore cardine, cioè il tempo e la sua limitazione, è impossibile evitare una profonda riflessione sul significato che 16 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione l’architettura ed il progetto architettonico assumono in rapporto ad una sua durabilità predefinita. Come qualunque oggetto nato da un impulso creativo artistico, anche un’opera di architettura è leggibile sotto due istanze, quella fisica, che si manifesta nell’aspetto costruttivo di un edificio, ed quella spirituale, relativa alla valenza simbolica che un’opera di architettonica assume, quando viene progettata; viene dunque naturale porsi alcune domande di tipo esistenziale: come è possibile progettare un’opera architettonica, sapendo che la durata di quest’ultima è limitata nel tempo? Quale ruolo di rappresentanza può assumere un’opera così destinata a non durare? Sapendo che la durevolezza non è più un requisito richiesto, non seguirà forse automaticamente, da parte del progettista, un abbassamento qualitativo generale del progetto? Di conseguenza è proprio necessario demolire, o meglio, progettare di demolire tutto? A questo ed altri dubbi proverò a dare risposta in questa breve introduzione, in primo luogo analizzando quali possono essere i motivi cardine che, in base ai principi dello sviluppo sostenibile, portano a limitare a priori la durata della vita media di un edificio. Si può assumere che l’utilità di un edificio venga meno a causa di tre motivi basilari: - perdita dei requisiti puramente tecnici di efficienza funzionale (deterioramento dello stabile, non rispondenza dello stesso a nuove norme di sicurezza); - incapacità dell’organismo di rispondere alla mutazione delle esigenze dei fruitori; - valenze semantiche e simboliche dell’opera architettonica non più corrisposte dal contesto sociale. Si noti che sussiste un parallelismo tra i suddetti tre motivi, e la triade vitruviana di firmitas - utilitas – venustas: quando si parla di perdita di efficienza funzionale altro non si tratta che di firmitas, in senso più vasto; l’utilitas è rappresentata dalle esigenze dei fruitori, mentre invece la venustas si potrebbe associare alle valenze simboliche di un’opera di architettura, cioè l’aspetto più astratto e meno legato a fattori materiali. In pratica quando viene meno uno degli elementi della triade, e gli eventuali costi per risarcirlo sono troppo elevati, si può profilare l’ipotesi della dismissione e dunque della demolizione. I primi due motivi si possono ricondurre a puri parametri di natura economica: è facile comprendere che la perdita di efficienza funzionale potrebbe essere ovviata con la semplice manutenzione dello stabile, ma spesso la convenienza economica diventa un vincolo che si oppone a queste operazioni di mantenimento in efficienza. Questa situazione si riscontra nei casi della cosiddetta architettura hi-tech: essendo l’alto contenuto tecnologico la caratteristica principale di questa tendenza architettonica, è facile immaginare che, non solo la costruzione, ma 17 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione anche la manutenzione e gestione di questi edifici risulta economicamente molto gravosa. Un esempio lampante di questo caso è quello dell’illustre Hong Kong & Shanghai Banking Corporation progettato da Norman Foster: il contratto di progettazione e costruzione prevede infatti una vita di esercizio di soli 50 anni, questo perché nel programma di gestione si è verificato che allo scadere di questo periodo il costo per la manutenzione ordinaria sarà talmente elevato da non rendere più conveniente il suo utilizzo. Si prevede quindi che allo scadere del suo ciclo vitale l’edificio verrà smontato1). Così come il primo, anche il secondo motivo è riconducibile a parametri di scelta puramente Hong Kong & Shanghai Banking Corporation economici: il cambio di destinazione d’uso per mutate esigenze dei fruitori, a volte comporta dei costi che non sempre possono essere coperti dai guadagni che la mutata funzione potrebbe portare. Ne abbiamo un esempio italiano con le “Vele di Scampìa” nel quartiere di Secondigliano a Napoli (il progetto delle Vele e la demolizione di alcune di esse sarà ampiamente trattato nel resto del testo): questo ardito progetto appartiene e documenta storicamente quel filone del pensiero architettonico conosciuto come tendenza megastrutturista che, nel secondo dopoguerra e fino agli anni ’60, si sviluppo in quasi tutti i paesi occidentali. Purtroppo subito dopo la costruzione dell’opera (e in verità anche durante), questa divenne un luogo dove abbandono, degrado, emarginazione sociale e microcriminalità regnavano indisturbate, anche partendo dal fatto che non solo il lavoro fu realizzato difformemente rispetto al progetto originale, ma fu anche lasciato incompleto, privo di ascensori e misure sanitarie e di igiene pubblica. Dopo anni di discussioni e polemiche, si è deciso di intervenire in maniera ibrida, tentando di soddisfare sia l’esigenza economica, sia quella sociale: nonostante l’intervento più economicamente conveniente sarebbe stato una demolizione totale, rispetto ad una ristrutturazione completa degli edifici, si è deciso di demolire soltanto due vele e ristrutturare il resto adibendolo a funzioni diverse. Le “Vele” di Scampìa Tornando al nostro discorso, si comprende che solo il terzo motivo, (valenze simboliche dell’opera non più corrisposte dal contesto sociale), può essere ricondotto a parametri di scelta culturali e non economici: un teorico esempio potrebbe essere costituito dal Complesso del Vittoriano (Monumento al Milite 18 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Ignoto) sito in piazza Venezia a Roma, da decenni oggetto di ardenti discussioni sulla sua ubicazione e contestualizzazione all’interno del centro storico romano. Comunque, qualunque sia il motivo, si sta oramai assistendo alla progressiva sistematizzazione e istituzionalizzazione all’interno del processo edilizio convenzionale dell’operazione di dismissione e demolizione: laddove il processo edilizio tradizionalmente inteso si concludeva con le attività di gestione dell’edificio lasciando indeterminato (o perlomeno subordinato agli interventi di manutenzione) il ciclo di vita, si sono aggiunte le attività che delimitano l’orizzonte temporale della costruzione. Appare perciò evidente la necessità di uno studio ed di un approfondimento dell’argomento “demolizione” nei suoi vari aspetti, quali possono essere: le tecniche, l’aspetto economico, organizzazione e dei procedimenti costruttivi e dell’iter progettuale, il quadro normativo vigente etc.; ovviamente ognuno di questi aspetti si differenzia a seconda dell’oggetto e della tipologia su cui ci si trova a dover intervenire. Come è trasparso dalle definizioni iniziali, l’importanza che la fase della demolizione può assume re all’interno della vita di un’opera architettonica, varia in funzione di quanto ci si avvicini ad una visione moderna di sviluppo ed architettura sostenibile, od allo stesso tempo ci si allontani dalla visione più tradizionale: in pratica conta molto il fattore culturale per un approccio alla demolizione. Vediamo infatti che da sempre la concezione tradizionale del costruire bene, pone come attributo, qualità imprescindibile del costruito, quella della sua durevolezza nel tempo, cioè la capacità dell’organismo di resistere all’usura che deriva dalla sua fruizione ed in generale dallo scorrere del tempo. All’idea di durata, è senza dubbio affiancato il concetto di conservazione, di manutenzione, in quanto operazioni finalizzate a prolungare la vita dell’edificio per riaffermare il suo valore artistico e simbolico, e ripristinare i suoi requisiti tecnici e funzionali; ovviamente, il suddetto modus agendi contrasta con forza la filosofia “dell’usa e getta” basato su parametri esclusivamente di convenienza economica. Come abbiamo accennato in precedenza, sul significato di permanenza si fonda da sempre il desiderio dell’uomo di rappresentare con l’opera architettonica valori trasmissibili nel tempo, che non siano solo quelli di natura funzionale e tecnica ma siano portatori anche di connotati simbolici, culturali, storici: un’opera di elevato contenuto qualitativo da custodire e consegnare ai posteri, non come ingombrante fardello ma come prezioso patrimonio. Con l’avvento della rivoluzione industriale, nuove concezioni si presentarono all’orizzonte: la produzione seriale che l’industria era capace di fornire, influenzò 19 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione anche la visione della casa e dell’architettura in genere: il Crystal Palace di Joseph Paxton ci fornisce la rappresentazione perfetta di questo concetto. Crystal Palace di Joseph Paxton Il Crystal Palace 2), edificato per l’Esposizione Universale di Londra nel 1851, e totalmente realizzato dall’assemblaggio in opera di una piccola gamma di elementi costruttivi prefabbricati in officina (la colonna in ghisa, la trave reticolare, la lastra in vetro, l’arcata in legno), determina una svolta percettiva e progettuale decisiva dalla quale non si potrà più prescindere. Non potendo dilungarmi troppo in questa sede, ed analizzare gli svariati aspetti di quest’opera, mi limiterò a sottolineare solo ciò che può essere utile al nostro discorso: è interessante notare come, poiché il Crystal Palace è stato concepito come un prodotto industriale, ne possiede anche tutte le qualità e gli attributi, compresa la possibilità di demolizione concepita come smontabilità. Innanzitutto l’accelerazione dei procedimenti costruttivo: sarà infatti costruito in poco più di quattro mesi; la trasportabilità :solo un anno dopo sarà smontato da Hyde Park, spostato e rimontato a Sydeham con qualche piccola modifica; la semplificazione: la modularità degli elementi non lascia spazio ad errori in fase esecutiva; la grande dimensione: sarà ampio come tre volte San Petro ed ingloberà al suo interno gli alti alberi del parco; il record produttivo: il materiale impiegato è uguale ad un terzo della produzione del vetro in un anno di tutta l’Inghilterra. Il Crystal Palace rappresenta anche il primo esempio di ciò che viene definita “architettura temporanea”: ossia quello stile architettonico tipico di opera concepite per funzioni non permanenti quali ad esempio manifestazioni e fiere; non sempre però al giorno d’oggi questo stile corrisponde una reale smontabilità od intenzione di permettere il trasferimento l’opera da una locazione ad un’altra. 20 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Nell’ambito della concezione di temporaneità dell’architettura, visione meno tradizionale e più moderna, abbiamo sinora trattato opere la cui limitata durata nel tempo era stata già decisa in fase progettuale; come è naturale pensare il caso più semplice di impiego della demolizione è invece costituito da edifici la cui necessaria dismissione è dovuta ad un avanzato stato di degrado: a differenza del passato in cui il degrado poteva solo essere dovuto all’usura del tempo, oggi, con l’introduzione di tecnologie e materiali non ancora sperimentati nella loro affidabilità e durabilità, si è avuto una rapida obsolescenza di alcune opere di architettura moderna; se queste, per la maggior parte hanno superato il periodo di sopravvivenza ipotizzato dai loro autori lo si deve al fatto che ad esse i posteri hanno riconosciuto un valore architettonico e simbolico prima che documentario, rimediando ad una consistenza tecnica insufficiente nei confronti dell’azione del tempo, attraverso complessi, numerosi e costosi interventi di restauro e conservazione. Basti per tutti il celebre esempio di Ville Savoye di Le Corbusier, che, in quasi settant’anni di vita, è giunta oramai al terzo intervento di rifacimento, prevalentemente a causa del forte degrado per carbonatazione del calcestruzzo. Lo stesso discorso dell’ Hong Kong & Shanghai Bank vale per il centro Pompidou di Renzo Piano e Richard Rogers a Parigi: le immani spese di manutenzione altamente tecnologica e specializzata hanno difficoltà ad essere coperte dai guadagni. Se è possibile dare una definizione della tendenza odierna nei confronti della demolizione in rapporto all’architettura, si potrebbe dire che il manufatto oggi è visto più come un bene non permanente e non trasmissibile integralmente nel tempo, ma piuttosto temporaneo, e ciò non per una pre-limitazione della durata a monte, ma piuttosto per coscienza della naturale limitatezza temporale del prodotto. Si sottende così il concetto di reversibilità del processo di costruzione, che riporta al ripristino delle condizioni ambientali originali. E’ una visione più attenta agli aspetti ambientalistici, in cui la natura e l’ambiente sono visti come l’unica risorsa permanente, mentre tutto ciò che è prodotto dall’attività umana è soggetto a deperire e disintegrarsi. 21 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione E’ immediato comprendere come quest’ultima visione e quest’atteggiamento culturale nei confronti della demolizione, risultino i più equilibrati, i più bilanciati, i più auspicabili. A seguito delle analisi compiute in questa breve introduzione, sul problema dell’approccio culturale nei confronti della demolizione, mi appare ora più chiaro come rispondere ai quesiti che ci siamo posti all’inizio di questo paragrafo: a mio parere, la giusta mentalità dovrebbe essere quella secondo la quale il limite ultimo della vita di un’opera di architettura non dovrebbe essere deciso a priori, bensì dovrebbe essere data la possibilità di dismettere e demolire l’edificio; cioè fin dalla fase progettuale, ciò che dovrebbe essere premeditato, non è l’ultima ora dell’organismo, bensì la potenzialità che quest’ultimo deve contenere in se stesso di essere demolibile, o meglio smontabile, e permettere ovviamente una forte riciclabilità di tutti i suoi componenti. La riciclabilità (ampiamente trattata nel seguito dell’opera) e la possibilità di smontare un organismo edilizio, sono fattori che possono e devono essere decisi in fase progettuale, lasciando così ai posteri la scelta e non l’obbligo di demolire, considerando anche il fatto che ciò che a noi oggi può sembrare di poca importanza e la cui gestione e manutenzione poco conveniente, in futuro potrebbe assumere altri significati e valenze che oggi non siamo in grado di vedere. Naturalmente la possibilità di smontare un organismo edilizio, piuttosto che demolirlo, è fortemente influenzata da aspetti tecnico-costruttivi: il procedimento costruttivo, che caratterizza un’opera, ed in particolare il tipo di unione tra gli elementi, sono i fattori che, dal punto di vista pratico, permettono uno smantellamento facile e veloce dell’edificio, ed una conseguente riciclabilità dei suoi componenti. Per quanto riguarda lo scheletro, un’ossatura portante realizzata in acciaio con unioni bullonate manifesta immediatamente la sua potenzialità di essere smontata; la stessa operazione diventa già più complicata per una struttura in muratura portante, ed anche per riciclare i mattoni si necessita di particolari operazioni di pulitura. Un’interessante soluzione progettuale ci è fornita da alcune opere di Renzo Piano, che, per il complesso residenziale di Rue de Meaux (Parigi 1991) propone, attraverso la tecnica dell’assemblaggio a secco, dei componenti di facciata in laterizio montati su telai metallici. Complesso residenziale Rue de Meaux (Parigi 1991) di Renzo Piano 22 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Particolari di facciata Situazione ben diversa è quella rappresentata dalle costruzioni con ossatura in cemento armato: il calcestruzzo, per sua caratteristica intrinseca permette solo unioni di tipo “bagnato”, senza soluzioni di continuità; è per questo che in genere non si può parlare di smontabilità di un edificio in calcestruzzo armato, ma solo di demolizione vera e propria, che richiede mezzi e tecniche ad hoc, e che necessariamente impone la rottura dell’elemento costruttivo funzionale (e.c.f.); un caso a parte è costituito da quelle costruzioni in c.a.o. oppure c.a.p., in cui può capitare che gli e.c.f. stessi siano elementi prefabbricati da assemblare in opera. Ma di questo avremo tutto il tempo di parlare, essendo la demolizione delle opere in calcestruzzo il tema di questa ricerca. 1) Per ulteriori approfondimenti vedere “Innovazione tecnologica ed architettura” – Laura Angeletti – Gangemi Editore. 2) Vedi anche “Architettura del ferro” - Roisecco 23 Capitolo 1 LA PROGETTAZIONE DEMOLIZIONE I Presupposti Teorici della Demolizione DI UN INTERVENTO DI Il presente paragrafo si prefigge l’obiettivo di spiegare nel dettaglio quali siano le fasi di un processo progettuale di un intervento di demolizione, analizzando tutti quei fattori che interagiscono in tale iter e risultano essere poi determinanti al fine della scelta della tecnologia da utilizzare. La presente relazione, si riferisce essenzialmente ad un intervento di demolizione cosiddetto complesso, cioè che interessa un organismo articolato, comprensivo di un rapporto col contesto che non può essere ignorato. Di conseguenza la trattazione dovrà necessariamente partire, in primo luogo dagli aspetti più generali, per poi arrivare alle conseguenza tecniche più specifiche. In generale si può dire che, un attività di progettazione applicata ad una demolizione, sia essa totale o parziale, indifferenziata o selettiva, è un atto pianificatorio che ha come scopo finale quello di arrivare alla scelta di un tecnica (con annesso procedimento) di demolizione, che parta da un insieme di vincoli progettuali di vario tipo, mirando alla minimizzazione dell’impatto economico (in primo luogo), ed ambientale sul contesto circostante. È stata già illustrata in precedenza, l’importanza del concetto di riciclo applicato all’industria delle demolizioni, in particolare dal punto di vista dell’impatto ambientale che tale intervento comporta specie se è di grande scala. Il fatto interessante da notare è che, al contrario della mentalità comune, il rispetto ambientale e la convenienza economica di un intervento (di qualsiasi genere esso sia, non solamente finalizzato ad uno smantellamento), non sono necessariamente in contrasto tra di loro: cioè un progetto di abbattimento ben pensato, potrà facilmente risultare economicamente conveniente, se fin dall’inizio sarà data sufficiente rilevanza al discorso del riciclo. Quindi un intervento di demolizione ben progettato non solo non potrà prescindere dalle conseguenze apportate dal riuso, ma anzi dovrà essere pensato in modo tale da facilitare ed ottimizzare tali procedure. Il “suolo di demolizione” Come premesso, si è deciso di esaminare il caso di smantellamento di un organismo complesso, in modo da avere l’occasione di trattare tutti i possibili fattori che possono influenzare il relativo processo di progettazione. Di conseguenza non è possibile limitare l’analisi al solo lotto occupato dall’organismo dismesso, ma è necessario allargare lo sguardo ad un concetto più vasto di “suolo di demolizione”; l’estensione di questo lotto virtuale non è definibile a priori, ma può variare di volta in volta, a seconda della tipologia di 24 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione edificio considerato, in particolare della sua destinazione d’uso, ed anche in funzione della tecnologia che si decide di adoperare. La destinazione d’uso di un edificio, ricopre un ruolo fondamentale per la definizione del suolo di demolizione, è infatti necessario conoscere il tipo di attività che si svolgeva nell’edificio durante il suo periodo di servizio, con particolare riguardo alla possibilità di riscontrare attività di tipo industriale, dalle caratteristiche particolarmente inquinanti nei confronti del contesto: il rischio è che eventuali sostanze tossiche presenti nel corpo dell’edificio stesso (all’interno delle varie reti impiantistiche, ad esempio), oppure semplicemente contenute in esso (vedi esempio serbatoi industriali anche se già svuotati), possano, in seguito alla demolizione, essere liberati nell’ambiente e, permeando il terreno sottostante, inquinarlo irrimediabilmente. Si comprende come la tecnica di demolizione che si decida di utilizzare, sia fortemente legata al questo discorso: è evidente che un organismo edilizio costituito da elevato tasso di componenti dannosi per l’ambiente, richieda un tipo di demolizione selettiva, che dia l’occasione di attuare preventivamente una selezione tra i vari componenti edilizi, allontanando quelli pericolosi prima di eseguire l’abbattimento vero e proprio dell’ossatura. È quindi possibile definire una specie di raggio d’azione dell’eventuale danneggiamento delle adiacenze, che allarga automaticamente le dimensioni del sito interessato, comprendendo anche i lotti di pertinenza di edifici adiacenti che potrebbero risentire di detto processo demolitivo; più in generale, questa possibile interazione (enucleata in seguito) tra l’organismo interessato dallo smantellamento, e le adiacenze potrà variare in funzione dei seguenti fattori: a. possibili danni per inquinamento; b. possibili danni demolizione; dovuti ad azioni meccaniche relative alle fasi della c. possibili fastidi arrecati agli abitanti delle adiacenze, causati dalla presenza del cantiere stesso. a) Al fine di evitare eventuali nocivi e difficilmente-recuperabili, danni per inquinamento, è necessario prevedere a monte (ancor prima della fase progettuale, bensì durante quella programmatica) una serie di analisi del sito interessato, atte a definire le caratteristiche geologiche, per comprendere quanto lontano si possa estendere un eventuale inquinamento del terreno. Tra le principali analisi da eseguire, si segnalano le seguenti: - accurato rilievo topografico dell’area interessata; - analisi geologiche e litologiche, finalizzate alla valutazione della permeabilità del terreno nel caso di contaminazione del suolo; - studi idrogeologici: fondamentali per conoscere la circolazione idrica sotterranea, sempre in vista di un suo possibile inquinamento, (con ulteriore estensione del danno) 25 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione - studi dell’idrologia superficiale: per valutare i corsi d’acqua potenzialmente inquinabili durante i lavori di demolizione; - studio dell’uso del suolo, al fine di valutare l’eventuale presenza di cave o aree di escavazione sotterranee; - situazione archeologica: per evitare ritrovamenti archeologici improvvisi che allungherebbero asintoticamente (se non addirittura bloccherebbero) i lavori in corso; - presenza di reti impiantistiche sotterranee, con eventuali serbatoi annessi; b) La tipologia di danni dovuti ad azioni meccaniche, relative alle varie fasi della demolizione, sono generalmente funzione del tipo di tecnica utilizzata. In primo luogo bisogna distinguere tra i danni apportati al contesto e quei danni indesiderati, apportati all’edificio stesso in questione: è evidente che quest’ultima situazione si può verificare solo nel caso in cui si stia eseguendo una demolizione parziale (che interessa perciò solo parte dell’organismo edilizio), con l’intenzione di lasciare intatto il resto della struttura. Fatta questa differenziazione, si puntualizza che i rischi di seguito trattati saranno solo quelli nei confronti del contesto circostante. In particolare, la relazione tra la tecnica di demolizione utilizzata e la possibilità di danneggiamento, si manifesta col fatto che la magnitudine stessa del danno, cresce in funzione del livello di distruzione apportabile dalla tecnica scelta: è chiaro che l’uso dell’esplosivo, ad esempio, se non accuratamente progettato, potrebbe comportare diversi “effetti” collaterali, quali ad esempio, la proiezione di macerie, le sovrappressioni nell’aria causate dall’esplosione, l’impatto al suolo di parti del corpo di fabbrica, non adeguatamente frazionate, etc.; quest’ultimo dannoso effetto secondario, è comune anche all’uso del martello demolitore idraulico, con l’aggiunta di forti vibrazioni indotte, per intervalli di tempo prolungati. Per contro, una demolizione eseguita attraverso una graduale rimozione degli elementi costruttivi, tramite, ad esempio il taglio del calcestruzzo con utensili diamantati, comporta un livello di rischio di danneggiamento sensibilmente minore. Nel capitolo relativo alle tecnologie sono illustrati, tra l’altro, gli eventuali svantaggi di ciascuna tecnologia. c) Anche l’ultimo punto, cioè quello relativo ai disagi causati dalla presenza del cantiere stesso, nei confronti della popolazione abitante nelle adiacenze, concorre ad allargare sensibilmente l’estensione di ciò che abbiamo definito “suolo di demolizione”. Una buona organizzazione del cantiere sarà tale da minimizzare il contributo apportato da questo fattore, all’estensione dell’area in soggetto, diminuendo quindi il più possibile i possibili intralci che un cantiere comporta alle vicinanze. 26 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Detto ciò, si può comprendere come la progettazione stessa dovrà svolgersi su due diverse scale di grandezza: in un primo tempo sarà valutato su una scala più vasta, per poi arrivare ad una scala locale, più circoscritta. Fattori subentranti nella scelta di una tecnologia La scelta della tecnologia da utilizzare in un interevento di demolizione, rappresenta l’obiettivo finale di un processo progettuale, il quale, per fornire dei risultati convenienti sotto vari punti di vista, dovrà prendere in considerazione tutti quei fattori che possono influenzare tale iter progettuale. Col presente paragrafo, si intende effettuare un’approfondita enucleazione delle possibili variabili in gioco durante un atto pianificatorio di un’attività di smantellamento, fornendo alla fine un quadro di interrelazioni tra i diversi fattori ed i possibili risultati progettuali. In generale, si può iniziare classificando tali fattori principali che subentrano durante la fase decisionale, influendo fortemente sulla scelta finale della tecnologia: 1. Motivi ed obiettivi estrinseci; 2. Vincoli contestuali; 3. Componente economica; 4. Fattore ambientale; 5. Principi di sicurezza. In verità il quarto fattore, ossia quello ambientale, potrebbe rientrare all’interno dei discorsi relativi alla sicurezza, ma vista la grande importanza che riveste, si è deciso di trattarlo separatamente. Motivi ed obiettivi estrinseci Tra le cinque categorie, quella indicata come prima, risulta essere la più generica, cioè quella che, senza entrare nella specificità, è capace di influenzare la decisione della tecnica da adoperare. In generale, si può iniziare dicendo che lo smantellamento di un organismo edilizio, può avvenire essenzialmente in due casi: quando siano presenti dei motivi impellenti che “spingano da monte” ad eliminare un immobile, oppure quando ci siano degli obiettivi particolari che “attirino da valle” questa drastica decisione; può anche accadere che motivi ed obiettivi coesistano nello stesso momento decisionale, motivando maggiormente la suddetta decisione. Nel caso in cui non ci siano vincoli particolari che caratterizzino la scelta progettuale, spesso può accadere che il fattore principale che la influenzi, sia 27 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione proprio il motivo stesso che spinge alla demolizione; le principali cause in questione, possono essere classificate come segue: a) disagibilità dell’immobile, causata da ß a1 ) motivi di sicurezza; b) perdita di utilità dell’immobile, causata da ß b1 ) inefficienza funzionale; Entrambe le motivazioni possono valere sia globalmente su tutto l’immobile, che in maniera locale solo su parte di esso; a seconda che la disagibilità / inutilità sia globale o locale, il tipo di demolizione potrà essere totale, parziale, o addirittura solamente superficiale (nel caso ad esempio di degrado superficiale di un elemento costruttivo). Similmente anche gli obiettivi che portano a decidere di smantellare un immobile, possono interessare tutto l’organismo, parte degli spazi che esso comprende, od anche solamente alcuni degli elementi costruttivi che lo costituiscono: quindi nel caso si voglia liberare totalmente il suolo occupato, si opterà per una tecnica che porti alla demolizione totale, oppure si utilizzerà una delle varie tecniche di demolizione controllata, nel caso si voglia limitare l’intervento ad un numero limitato di componenti del corpo di fabbrica. Approfondendo le due categorie di cause che possono motivare una demolizione, si può ulteriormente suddividere la classe a) (relativa alla sicurezza dell’immobile) nelle seguenti sottocategorie: - sicurezza statica dell’organismo: perturbata (in maniera irrecuperabile) da eventi eccezionali naturali e non (sisma, esplosioni…), o da semplice degrado avanzato delle strutture portanti; - sicurezza delle reti impiantistiche: fondamentale nel caso di edifici di tipo industriale, causata da una mancata manutenzione che ha portato nel tempo ad un degrado irrecuperabile, oppure da una difformità rispetto alle direttive normative vigenti. La categoria b) - relativa alla perdita di utilità dell’immobile – è totalmente libera da qualsiasi fattore di pericolo per gli utenti, e si presenta spesso nel caso di edifici “ad alto tasso di specificità”: per quegli edifici, solitamente adibiti a produzioni industriali altamente tecnologiche, le cui funzioni interne risultino essere fortemente specifiche, può accadere che, con l'ammodernamento degli impianti produttivi interni, gli spazi non risultino più funzionali alle attività che si svolgevano al loro interno. Si può quindi sintetizzare la situazione illustrata con una generica inadattabilità dell’immobile a soddisfare le mutate esigenze funzionali interne. Un celebre esempio di totale inefficienza funzionale, che però non ha portato alla demolizione, ma ad un più semplice e conveniente cambio di destinazione d’uso, è rappresentato dal “Lingotto” di Torino: ex stabilimento di produzione della FIAT, progettato dall'ing. Mattè Trucco, il Lingotto viene ristrutturato su progetto dell'Arch. Renzo Piano negli anni ottanta. 28 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Il Centro polifunzionale del Lingotto ora comprende: centro congressi, hotel, centro fiere, business center, gallerie commerciali e parcheggi. Sulla sommità della torre sud si trova la “Bolla”: sala Vip panoramica da 25 posti costruita in cristallo e acciaio. Al suo fianco si può vedere l'eliporto sospeso che permette un rapido collegamento con l'Aeroporto di Torino - Caselle. Quest’approfondimento sulle tipologie di possibili motivazioni che stanno alle spalle di un progetto di abbattimento, è necessario poiché sono proprio queste generiche necessità che spesso orientano sulla scelta della tipologia di demolizione da eseguire. Si faccia attenzione che non si sta ancora affrontando il tipo di tecnica, ma semplicemente la tipologia di approccio all’intervento: in pratica si sta decidendo quanto invasivo dovrà essere l’intervento, e di conseguenza, che grado di distruzione apporterà all’organismo edilizio in questione. Di seguito vengono classificati ed analizzante i possibili approcci ad un intervento di demolizione. Metodologie di intervento La prima distinzione che è possibile fare, è quella tra una demolizione totale, ed una cosiddetta demolizione controllata. Per demolizione totale si intende un operazione fortemente distruttiva, finalizzata all’eliminazione totale dell’oggetto, nei tempi più brevi possibili e, generalmente, con la minima considerazione al contesto circostante. All’interno di questa tipologia di approccio, rientrano ovviamente le tecniche più distruttive, che sono poi anche quelle più note: l’esplosivistica civile, la palla demolitrice, il martello demolitore, l’abbattimento per spinta o trazione tramite benna, etc. L’alto potenziale distruttivo di queste tecniche, ed in generale della tipologia d’approccio in questione, necessita solitamente di spazi liberi e di ridotti vincoli contestuali (di vario genere, non solo volumetrico – vedi par. seguente “Vincoli Contesutali”). 29 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione È altresì necessario puntualizzare che negli ultimi anni, l’uso dell’esplosivo si raffinato molto: se all’inizio del secolo, il suo uso comportava abbattimento totali e mediamente incontrollabili, recentemente, con l’introduzione delle micro-cariche ritardate e tramite competenze strutturali specifiche, è possibile controllare perfettamente la traiettoria di caduta del manufatto da demolire, ed anche tutti quei dannosi effetti secondari (proiezione di frammenti, nubi di polveri, sovra - Demolizione totale del villaggio Coppola -Siag pressioni in aria, shock dinamici su terreno, trasmissione di vibrazioni sul terreno), di cui si tratterà in seguito, nel paragrafo relativo. La demolizione controllata, pur essendo leggermente meno nota, è comunque fondamentale nella vita di un edificio: in questa definizione rientrano tutte quelle operazione di parziale smantellamento di un organismo edilizio; questa rimozione controllata può essere pensata ed applicata a diversi oggetti: dall’eliminazione di una trancia di edificio, a quella di una solo elemento funzionale (sia esso costruttivo o strutturale), fino ad arrivare alla rimozione della singole stratificazioni di un elemento funzionale. La forte versatilità di questo genere di operazioni, le rende utili non solo nella fase finale del ciclo di vita di un edificio, ma anche durante le fasi intermedie, qualora risultasse necessaria una modifica all’impostazione iniziale. Quindi in questa categoria rientra qualsiasi operazione tipica di un intervento di ristrutturazione o consolidamento. Si ricorda che in questa ricerca si è ritenuto opportuno trattare la sola demolizione di opere in calcestruzzo armato, quindi la trattazione di rimozione di elementi costruttivi non strutturali, attraverso interventi di demolizione controllata, non rientra nelle finalità di questo testo. In questo genere di operazioni rientrano un vasta gamma di tecniche: la maggior parte di esse si basa sul principio del taglio vero e proprio dell’elemento strutturale, tramite particolari strumenti rotanti dagli spigoli diamantati, oppure tramite tecniche basate sull’antico principio del scalpello (inserimento cuneo e sua battitura sino all’ottenimento del distacco tra due parti). Tutte le tecniche accennate saranno approfondite nel relativo capitolo sulle Tecniche di Demolizione. 30 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione La seconda classificazione tra le tipologie di approccio alla demolizione è quella tra una demolizione indifferenziata ed una demolizione selettiva. Una demolizione indifferenziata è un genere di intervento che non permette nessuna cernita delle componenti edilizie o dei materiali appartenenti nell’organismo da abbattere. La suddetta cernita potrebbe essere fatta immediatamente prima dell’intervento o subito dopo, ma la particolare tecnica scelta ed il suo potenziale distruttivo, la renderebbero troppo laboriosa. Si comprende quindi che questa selezione, da fare a monte o a valle dell’intervento, è essenzialmente finalizzata ad un riutilizzo delle componenti o dei materiali ottenuti dalla demolizione. Per quanto riguarda la selezione eseguita prima della demolizione, è oramai diventata una pratica corrente, e consiste in uno smontaggio di tutti quegli elementi costruttivi costituiti da materiale riciclabile, altresì pericoloso, ovvero inquinante ai fini dell’ambiente; è così che vengono preventivamente smontati tutti i serramenti interni e esterni, i rivestimenti orizzontali pregiati, gli apparecchi sanitari e le componenti impiantistiche riutilizzabili, come anche le stratificazioni di impermeabilizzazione e di isolamento, controsoffitti, serbatoi e componenti impiantistiche pericolose. Una demolizione selettiva consiste quindi in un approccio ancora più delicato: oltre allo smontaggio ed alla cernita iniziale, si prevede anche una selezione, più o meno rigorosa, che segua la fase dell’abbattimento vero e proprio. In questa seconda selezione, si classificano e si esegue lo stoccaggio separato dei cosiddetti rifiuti C. & D. (Construction & Demolition). Se è stata effettuata la prima separazione, il cumulo di macerie che resta dopo un abbattimento è per lo più costituito da materiale lapideo (muratura di vario genere, appartenente alle partizione verticali esterne ed interne, e calcestruzzo dello scheletro portante): ciò che solitamente può risultare utile separare, anche in base alla relativa richiesta del mercato, è il calcestruzzo ed i ferri d’armatura. Il calcestruzzo può essere trattato e lavorato (processi di frantumazione in loco, o in siti specializzati) per poter poi essere riutilizzato in altre opere di importanza strutturale minore (sottofondi stradali, elementi di fondazione), mentre il ferro delle armature può essere fuso completamente riutilizzato per qualsiasi applicazione. In sintesi, è possibile elencare le seguenti fasi relative ad una demolizione selettiva: - smontaggio e separazione degli impianti; - rimozione di componenti inquinanti dal punto di vista ambientale o tecnico; 31 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione - separazione degli elementi non strutturali; - demolizione elementi strutturali, partendo dall’alto fino alle fondamenta; - stoccaggio delle diverse frazioni in contenitori separati; - invio delle frazioni omogenee agli impianti di trattamento; - lavorazione dei rifiuti per ottenere prodotti commerciabili o energia; - smaltimento dei rifiuti non recuperabili in discarica. Quindi l’intera distinzione tra demolizione indifferenziata e demolizione selettiva, è funzione del concetto e della input progettuale del riutilizzo dei materiali: il riciclo di per sé è diventato un campo abbastanza vasto, nel seguito dl testo gli sarà dedicato un paragrafo sintetico, poiché la trattazione approfondita di questo tema, non rientra tra gli obiettivi di questa opera. Vincoli contestuali Con ciò che è stato indicato come secondo punto, e cioè i cosiddetti “vincoli contestuali”, si intendono tutte quelle condizioni, essenzialmente esterne all’oggetto stesso della demolizione. In questa categoria rientrano in particolare tutti quei vincoli che sono funzione dell’ubicazione dell’edificio. Il fattore ubicazione diventa vincolante quando comporta una limitazione degli spazi utilizzabili per il cantiere della demolizione e per tutte le manovre ad esso annesse, in particolare le seguenti: - spazio direttamente necessario per lo svolgimento dell’attività demolitiva: quindi nel caso di uno smantellamento effettuato con mezzi meccanici, sarà necessario disporre di uno spazio adeguato per un agevole passaggio dei macchinari; questo fattore ha una forte influenza sui tempi e di conseguenza sui costi dell’intera operazione; 32 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione - spazi per lo stoccaggio del materiale di risulta: ancora prima di eseguire la demolizione, è fondamentale considerare l’eventuale necessità di disporre di spazi per il provvisorio stoccaggio di tutti i cosiddetti rifiuti C. & D. (costruzione e demolizione). La scelta stessa della tecnologia da utilizzare può essere fatta in funzione proprio di questo fattore: ossia a seconda dello spazio di cui si disponga nel cantiere in questione, si può optare per una tecnica che al momento stesso della demolizione, permetta anche una forte frammentazione delle macerie (e quindi uno spazio d’ingombro minore), a dispetto invece di un’altra tecnica che porti invece alla semplice disarticolazione della struttura per singoli elementi costruttivi. Infatti la diversa pezzatura delle macerie, a seconda dei casi, più o meno conveniente ai fini dell’ingombro e del successivo smaltimento, può essere decisa a monte, in funzione della tecnologia utilizzata: l’uso dell’esplosivo può indifferentemente comportare frammenti di piccola o grossa pezzatura, a seconda che si utilizzino relativamente poche cariche concentrate sui nodi strategici, oppure delle microcariche distribuite sullo sviluppo dell’elemento costruttivo; questa seconda opzione calibrata nel tempo con micro-ritardi, comporta in primo luogo il distacco dell’elemento dallo scheletro, e immediatamente dopo, ancora prima che tocchi il suolo, la sua frammentazione. La demolizione con mezzi meccanici ordinari, quali escavatori o martello demolitore idraulico, produce solitamente macerie di grosse dimensioni, come anche tutti quei procedimenti basati sul taglio del calcestruzzo con utensili diamantati, (tecniche da utilizzare nel caso si desideri ottenere solamente un netto distacco di un elemento dal resto del corpo). La demolizione di un elemento costruttivo, quali i plinti di fondazione ad esempio, eseguita con degli spaccaroccia (chimici o meccanici) può identicamente creare a frammenti più o meno grandi, a seconda di quando fittamente si dispongano gli elementi dirompenti. Rientrano nella categoria di vincoli contestuali, anche se in maniera più virtuale, le normative vigenti nel luogo dove si esegue l’intervento: ad esempio non è possibile ignorare come il background culturale-normativo italiano si ponga in una posizione assolutamente sfavorevole nei confronti dell’uso degli esplosivi in ambito civile, normalmente utilizzati invece nei paesi anglosassoni. In questa sede si è comunque scelto di non approfondire i discorsi relativi al quadro normativo in materia, poiché costituendo un campo a se stante ed estremamente vario, potrebbe fuorviare dagli obiettivi della presente ricerca. 33 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Una tipologia lievemente diversa di vincoli, è quella costituita da condizioni intrinseche all’organismo stesso. Un esempio chiarificatore di vincolo intrinseco, è rappresentato dalla tipologia strutturale dell’organismo in questione: a seconda della rigidezza (globale o locale) dello scheletro portante si può essere obbligati a dover optare per una tecnologia più devastante, rispetto ad un’altra. Le “Vele” di Scampìa atterrate Un caso simile si è presentato nella demolizione delle “Vele” di Scampìa intervento descritto dettagliatamente nella sezione “casi studio”- in cui ci si è trovato davanti ad una struttura estremamente rigida e fortemente interconnessa in tutte le sue componenti (parte della struttura era realizzata addirittura a “tunnel” in c.a.): come è spiegato in seguito, prima di agire con forti dosi di esplosivo, che avrebbero portato ad una cernierizzazione alla base, si è dovuto indebolire fortemente la struttura, modificandone addirittura lo schema statico, e passando da un comportamento di lastre e piastre in c.a., a dei più attaccabili portali. Per completezza si contempla in questa sede anche la possibilità che la scelta della tecnica sia fatta in funzione del prodotto che si vuole ottenere dalle macerie a demolizione avvenuta. Questa eventualità è resa possibile in quei casi in cui il processo di demolizione sia pensato con un’altissima considerazione del fattore riciclo, nell’ambito di una progettazione sensibile all’impatto ambientale. Il discorso del riclico dei rifuiti C. & D. e di tutte le possibili applicazioni, costituisce un oggetto di studio di grande interesse: ciononostante non sono ancora definite delle prescrizioni di normativa adeguate che regolino l’uso dei suddetti materiali di risulta. A causa della complicatezza (normativa) del tema, nella presente ricerca si eviterà di entrarne nel merito, potendo costiituire questa stessa, un argomento di ricerca a se stante; si intende comunque sottolienarne i possibili vantaggi economici. A questo punto rusulta chiaro come la promessa di un futuro risparmio nei costi di smaltimento, o addirittura di un guadagno nella rivendita di materiale riutilizzabile, potrebbe rivestire un ruolo decisionale notevole in un intervento di demolizione di una certa importanza. Centrale di trattamento mobile 34 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Una metologia di intervento che preveda una demolizione selettiva è infatti totalmente finalizzata al successivo riciclo e riutilizzo dei materiali di risulta. Nonostante la legittimità e validità teorica di un intervento di demolizione pensato in quest’ottica, tuttora i costi di lavorazione ai fini del riciclo restano ancora considerevoli, normalmente non giustificati dall’attuale valore attribuito ad alcuni dei materiali di risulta (gli aggregati, nel caso del calcestruzzo). La soluzione ottimale è quindi saper valutare con accuratezza fino a che punto spingere il grado di selezione in fase di demolizione per cercare di ottenere dei prodotti, che sufficiente affidabili dal punto di vista tecnico, presentino dei costi di produzione concorrenziali con il mercato dei prodotti naturali di riferimento. In un secondo tempo si illustrerà come elaborare l’intero processo di abbattimento in funzione di un successivo riuso. Componente economica Il terzo fattore elencato, tra quelli che maggiormente influiscono sulla decisione del procedimento da adoperare , è sicuramente il “fattore economico”. A monte di tutto, sta la qualificazione dell’impresa appaltatrice che dovrà fisicamente eseguire i lavori: è evidente che, a seconda delle risorse, sia tecnologiche che economiche a propria disposizione, l’impresa proporrà una soluzione invece che un’altra. Non è detto quindi che la tecnica di demolizione scelta alla fine, rispecchi la soluzione ottimale dal punto di vista tecnico, ma tale compromesso è comprensibile. Il problema nasce quando una scelta effettuata per motivi puramente economici, pur ottenendo i risultati progettati (targets), comporta un forte impatto ambientale, conseguenza spesso trascurata. È proprio per evitare ciò, che si è provveduto negli anni a creare un mercato che riutilizzi in rifiuti C. & D. (Construction & Demolition), adeguatamente trattati e selezionati. All’interno di un organismo edilizio di qualsivoglia tipologia, alcuni elementi costruttivi permettono un loro immediato riutilizzo, senza la necessità di un pre-trattamento, mentre molti altri elementi costituenti devono subire preventivamente alcune rielaborazioni. Queste lavorazioni preparatorie possono essere svolte in loco, ovvero in stabilimenti specializzati. Il calcestruzzo in particolare, necessita di una serie di trattamenti (illustrati nel capitolo relativo alle tecnologie) prima di poter essere riciclato: questo trattamento è costituito essenzialmente da un’azione di cernita e ulteriore frammentazione, fino ad arrivare alla pezzatura desiderata. Tornando a trattare i fattori che subentrano nel processo progettuale per individuare una tecnica di demolizione, è possibile effettuare una elencazione delle possibili spese (in fase esecutiva) considerando la possibilità di uno parziale riciclaggio dei materiali: 35 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione - spese relative alla tecnologia stessa; - spese relative alle misure di sicurezza (nei confronti degli contesto); - spese relative allo smaltimento rifiuti C.& D., fase costituita dalle seguenti sottofasi: - o eventuale pre-trattamento in sito; o imballaggio; o trasporto allo stabilimento di riciclaggio più vicino; o controllo qualità post-trattamento; operatori e del spese relative al trasporto ed al deposito dei rifiuti residui inutilizzabili, nelle discariche più vicine. Al fine di ridurre il più possibile le spese da sostenere, aumentando di conseguenza l’utile dell’impresa, è conveniente quindi l’inserimento del concetto del riciclo: l’unico modo per ammortizzare, in una certa misura, le spese succitate, diventa la rivendita di detti prodotti riciclati. Come viene spiegato in seguito (nel capitolo relativo alle tecnologie), quello del riciclaggio è un mercato ancora giovane, in particolare in Italia: alcuni prodotti dello smantellamento di un edificio, possono essere rivenduti senza dover subire lavorazioni particolarmente impegnative ed onerose (prodotti in acciaio, serramenti interni ed esterni), mentre altri, ed il calcestruzzo tra questi, necessitano di laboriosi trattamenti, oltre a controlli qualitativi, prima di potere essere rimesso sul mercato. Quindi solo una valutazione di mercato ragionata ed approfondita può consentire di ottenere considerevoli risparmi si in termini economici che in termini di utilizzo di risorse: visto in quest’ottica, il riciclaggio diventa realmente una componente cardine del progetto esecutivo. Per valutare effettivamente il grado di convenienza di un possibile riutilizzo di un materiale, è però necessario prescindere dalle considerazioni a carattere generale, ed immergersi in una serie di valutazioni economiche molto più concrete; si riportano in questa sede le linee guida su quali siano i fattori da indagare, per poter redigere alla fine un documento, che abbia come risultato finale delle cifre che rappresentino la convenienza o meno, il risparmio od addirittura il possibile utile, di un riciclaggio all’interno di un intervento di demolizione. In primo luogo bisogna valutare il mercato esistente relativo al sottoprodotto ottenuto e stimarne l’effettivo valore mercato: la relazione che se ne redige, dovrà contenere quindi un prezzo medio del suddetto sottoprodotto, preventivamente già quantificato (in mc o kg). Questa valutazione economica risulterebbe più completa, se corredata di un cronoprogramma che definisca i tempi necessari per il piazzamento del prodotto nel relativo mercato e quindi del conseguente ammortamento. Una volta calcolati gli eventuali utili si può passare a computare le spese dovute alle varie fasi di quest’attività di riciclaggio. 36 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Si riportano le principali fasi relative ad un processo di riciclaggio, focalizzando l’attenzione sui componenti in calcestruzzo, avvisando però che l’utile dovuto al concetto di riuso inizia ad assumere una certa rilevanza, quando viene applicato al maggior numero possibile di materiali derivanti in uno smantellamento di un organismo edilizio; quindi, una volta abbattuto l’edificio si avrà: - primo stoccaggio provvisorio in cantiere; - pre-trattamenti in cantiere: o prima cernita del materiale di interesse, dalle componenti inutilizzabili o dannose; o frammentazione finalizzata ad un trasporto più conveniente; - imballaggio del materiale ottenuto, per suo invio verso il relativo depositi di trattamento; - recupero ambientale (ritorno alle condizioni iniziali) degli spazi di stoccaggio provvisorio; - trasporto dal cantiere al deposito per eventuali ulteriori trattamenti; - trattamento definitivo in deposito per l’ottenimento del prodotto finale; - prove di controllo qualitativo per ottenimento dei permessi di immissione sul mercato; - trasporto e collocazione del prodotto presso relativo rivenditore; - trasporto in discarica del restante materiale inutilizzabile. Ciascuna delle fasi elencata dovrebbe essere ulteriormente suddivisa nelle sue eventuali sottofasi, per poter valutare, di ognuna di esse, i relativi costi e tempi, prevedendo anche l’incidenza economica di eventuali ritardi nella tabella di marcia. Più a fondo verrà eseguita questa ricerca, tanto maggiore sarà il livello di dettaglio della conoscenza del risparmio acquisita: ad esempio per ottimizzare la sola voce relativa ai trasporti, sarebbe utile valutare anche in flusso medio di automezzi necessari al trasferimento del materiale da una sede ad un’altra, scegliendo quindi uno stabilimento per il trattamento che contemporaneamente, minimizzi il percorso, facendo riferimento ad un bacino di utenza più vasto possibile. Fattore ambientale Ciò che è stato definito come quarto fattore, ossia il “fattore ambientale”, rientrerebbe in verità in ugual misura sia all’interno della categoria dei “vincoli contestuali”, che in quella dei “principi di sicurezza”: in effetti i discorsi relativi a questo fattore altro non sono che delle prescrizioni, atte a garantire vari tipi di sicurezza nei confronti del contesto ambientale circostante. Data però la fondamentale importanza di questo elemento, si è preferito analizzarlo in maniera separata da tutti gli altri fattori. 37 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Le categorie generiche di possibile danneggiamento ambientale, causato da un processo di demolizione, sono (in ordine crescente di gravità): - inquinamento acustico nei confronti degli abitanti adiacenti: forte nel caso di uso di esplosivo, o qualsiasi altro mezzo meccanico classico; più limitato nel caso di utilizzo di utensili diamantati per il taglio, spacca-roccia, od idrodemolizione; - inquinamento dovuto a polveri generiche: conseguenza tipica di procedimenti di abbattimento per impatti meccanici (di vario genere, esplosivi e mezzi meccanici), ma limitabile attraverso l’affiancamento di getti d’acqua ad ampio raggio; - inquinamento a carattere tossico: possibile a causa di alcuni materiali fortemente inquinanti, che nel momento dell’abbattimento potrebbero essere liberati nell’ambiente ( aria, acqua, terreno), mettendo a rischio direttamente gli operatori ed il contesto (tipico il caso degli elementi in amianto in matrice stabile o friabile); per questi la normativa vigente prevede tassativamente severe procedure di rimozione e smaltimento. Rientrano particolarmente in questa categoria i rischi conseguenti ad una demolizione di un fabbricato adibito ad uso industriale (in particolare di produzione chimica), il quale potrebbe, se non preventivamente bonificato inquinare, al momento dell’abbattimento, l’ambiente circostante, ed ancor peggio contaminare, con liquami tossici, presenti nei propri impianti, eventuali falde acquifere nascoste nel sottosuolo. In generale, come si può notare valutando le diverse tipologie di inquinamento succitate, i rischi relativi al discorso ambientale, possono coinvolgere il contesto su una scala molto più allargata rispetto al suolo su cui insiste l’edificio da demolire, basti pensare al caso di contaminazione di una falda acquifera. Il fattore di rischio ambientale, può coinvolgere altresì anche ciò che si desidera siano i materiali di risulta di un intervento di demolizione, ai fini di un successivo riciclo, rendendoli quindi inutilizzabili. Senza disturbare il già citato caso di demolizione di stabilimento chimico, basti pensare che in alcuni casi, anche macerie provenienti da costruzioni localizzate in aree prossime al mare possono dare problemi di rilascio di solfati e cloruri alcalini (tanto dannosi anche per il calcestruzzo in fase di esercizio, se non protetto da adeguato copriferro, contro il noto processo della carbonatazione). Le principali cause di un possibile danneggiamento di rifiuti C. & D. possono essere le seguenti: à l’ambiente stesso rende - tipologia ed ubicazione dell’edificio da demolire inutilizzabili i futuri materiali da riciclare; - materiali impiegati durante l’esercizio dell’organismo edilizio à la destinazione d’uso dell’edificio danneggia, tramite i materiali in esso trattati, i futuri materiali da riciclare; 38 Capitolo 1 - I Presupposti Teorici della Demolizione materiali costitutivi il corpo di fabbrica e tipologie di impianti tecnici presenti à il corpo di fabbrica stesso, tramite alcuni suoi elementi costruttivi può inquinare i futuri materiali da riciclare. Si elencano in seguito alcuni materiali che possono alterare in maniera sensibile l’impatto ambientale dei residui da demolizione ottenibili: rivestimenti e giunti catramati, materiale ligneo impregnato, pannelli di isolamento termo-acustico di vario genere costituiti di lana di vetro o di roccia. È quindi doveroso smontare ed eliminare preventivamente, ed in maniera separata tutta la componente impiantistica, partendo dai tradizionali componenti di impianti tecnici (quali quadri e cavi elettrici, tubazioni e scarichi, centraline di riscaldamento e di condizionamento, canne fumarie), fino, ovviamente, ai grandi trasformatori, motori elettrici, gruppi elettrogeni etc. Pinza frantumatrice montata su robot tele-comandato 39 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Principi di sicurezza Per affrontare il discorso relativo al quinto punto, cioè i “principi di sicurezza”, è necessario in primo luogo, classificare le diverse tipologie di rischio che un intervento di abbattimento comporta, distinguendole anche in funzione dell’oggetto sul quale grava il rischio. Le possibili macro-categorie sono le seguenti: - I sicurezza relativa alla statica; - II sicurezza relativa all’impiantistica; - III sicurezza relativa al procedimento stesso di abbattimento; Prima di passare ad enucleare le caratteristiche ed i sottoinsiemi di ogni tipologia di rischio, si preferisce riportare una tabella, illustrativa di tutte le categorie e sotto-categorie dei possibili protagonisti che possono essere oggetto di un qualche genere di rischio. Nella tabella sono anche riportate le immaginabili correlazione e mutue influenze tra i suddetti protagonisti, cioè le varie possibilità che il rischio agente su un elemento influenzi indirettamente altri oggetti. L’oggetto più importante esposto al rischio, è naturalmente l’essere umano, infatti si può notare come tutti gli elementi, direttamente o meno, possano influenzare la risultante di rischio a cui può essere soggetto: quindi lo studio dei possibili rischi e tutto finalizzato alla protezione di questo protagonista. Per fattore umano, si intendono due categorie, distinguibili per ubicazione: gli operatori dell’intervento di demolizione, presenti direttamente sul sito, e gli abitanti circostanti il sito interessato. Entrambe le categorie possono essere soggette a rischi, in maniera diretta o indiretta per tramite dell’organismo edilizio interessato (globalmente o localmente per mezzo di una sua componente), ovvero per tramite dell’ambiente circostante. Bisogna ricordare che l’attenzione nei confronti della sicurezza delle maestranze operanti in un intervento di demolizione, è relativamente moderna, come del resto quella nei confronti di qualsiasi categoria di operatore di cantiere. A questo proposito si possono consultare molti filmati (in particolare della nota società americana di macchina da cantiere “Caterpillar”) e documentazioni in genere, relative a demolizioni avvenute all’inizio del secolo scorso, per vedere in quali condizioni di scarsa sicurezza si lavorava fino a non molto tempo fa. Ad ogni modo l’evoluzione del concetto generale di sicurezza in cantiere, (culminato in Italia con la nota legge 494 del 1996) è un discorso estremamente vasto, ed esula dagli obiettivi del presente testo. 40 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Tabella illustrativa interrelazioni tra i protagonisti del rischio Per chiarire e fornire un esempio pratico di tutte le possibili interrelazioni studiate nella tabella, si riporta qui di seguito, un caso esemplificativo, in cui, a partire da poche esempi pericolosi, si illustrano tutte le possibili non-auspicabili conseguenze. • S e durante la fase di programmazione e progettazione di un intervento di demolizione, non sono state prese adeguatamente in considerazione le conseguenze strutturali sull’edificio, di una sua progressiva manomissione, potrebbe verificarsi un suo danneggiamento strutturale imprevisto, quale un crollo parziale precoce, che risulterebbe naturalmente molto rischioso, in primo luogo direttamente per le maestranza in cantiere; potrebbe risultare altrettanto dannoso anche per l’ambiente del sito della demolizione, se esso comportasse un danneggiamento di eventuali impianti non adeguatamente svuotati, e la dispersione dei materiali (accidentalmente tossici) al loro interno; se il liquame versato permeasse nel terreno, il danno potrebbe estendersi anche nell’ambiente circostante, attraverso la contaminazione di una falda sottostante e mettendo quindi a rischio anche una popolazione residente non immediatamente nelle vicinanze. Senza dover ricorrere al liquame tossico assorbito dal terreno, basti considerare che il crollo parziale precoce avverrebbe molto probabilmente lungo una direzione non auspicata, danneggiando quindi gli edifici adiacenti, e di conseguenza mettendo nuovamente e gravemente a rischio i loro residenti. Un altro esempio di danneggiamento che l’edificio in fase di demolizione, può comportare nei confronti del contesto, in particolare sugli altri edifici, è rappresentato dal rischio della proiezione incontrollata di macerie durante la disarticolazione dello scheletro portante, per effetto dell’esplosivo. 41 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Fortunatamente anche questo effetto è controllabile in vario modo: in primo luogo, calibrando il quantitativo di esplosivo usato in base al calcolo della massima gittata (con un moto parabolica) di un detrito proiettato; così facendo si previene l’evento pericoloso a monte, altrimenti è possibile comunque prevedere una fasciatura dell’elemento in cui sono state inserite le cariche, con del materiale tessile particolare: la fasciatura, che pur venendo distrutta durante l’esplosione, riuscirà comunque a ridurre l’accelerazione dell’elemento proiettato. Non è raro il caso in cui, demolendo parzialmente un corpo di fabbrica, si vadano a rompere delle tubazioni interrate ancora in funzione, facendo disperdere nel terreno dei forti quantitativi d’acqua; questa dispersione può portare ad una locale liquefazione del terreno (annullando la resistenza del terreno a sforzi taglianti, cioè rendendo nulle le componenti t ij del tensore degli sforzi). La conseguenze, come spesso accade, sono cedimenti differenziali delle fondazione gravanti su quella fetta di terreno, che comportano danneggiamenti della struttura in elevazione, quali la nascita di diffusi e profondi quadri fessurativi. È d’altronde improbabile che tale danneggiamento, dovuto a cedimenti differenziali in fondazione, comporti un crollo dell’edificio stesso, mettendo a rischio la vita degli alloggianti. Stiamo quindi trattando delle conseguenze di tipo geotecnico dovute ad un intervento di abbattimento, e quello analizzato, non è l’unico caso immaginabile. Basti considerare la semplice espressione elaborata da Karl Terzaghi (padre della geotecnica), con contributi di Prandtl e Caquot, per la valutazione del carico limite a rottura di un terreno, su cui grava una fondazione nastriforme: 1 γ BN γ , come si può notare facendo una 2 piccola applicazione numerica, la componente dovuta al sovraccarico laterale è quantitativamente molto importante per garantire la portanza del terreno: nel caso in cui si dovesse eliminare un corpo di fabbrica preesistente ad un altro edificio adiacente ad esso, e qualora la fondazione di quest’ultimo risultasse calcolata considerando il sovraccarico degli edifici circostanti, si andrebbe incontro a non pochi problemi di cedimenti differenziali del corpo che si voleva mantenere. q lim = cN c + γ D f N q + meccanismo di collasso Questo avverrebbe perché, eliminando questo sovraccarico laterale, si renderebbero più liberi di risalire i cunei superficiali di rottura del terreno, favorendo quindi il meccanismo di collasso, e di conseguenza un cedimento della fetta di terreno sottostante la fondazione. 42 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Sempre il terreno, potrebbe diventare un ottimo mezzo di trasmissione di onde di vibrazione, generate in vario modo, e dirette verso gli edifici adiacenti; esistono tanti procedimenti di demolizione, che, in maniera indesiderata comportano come effetto secondario, la creazione di onde di sovra-pressione: basti pensare all’uso dell’esplosivo, o del martello demolitore ed di tutte le altre tecniche il cui procedimento si abbattimento si basa sul principio degli impatti ripetuti (tutto ciò sarà ampiamente trattato in seguito). Attenzione a non dimenticare la possibilità di forti vibrazioni indotte da un impatto al suolo non adeguatamente considerato, generato da una caduta di una maceria troppo massiva. Questo genere di vibrazioni può portare alla rottura di eventuali vetrate di edifici adiacenti, con conseguente ferimento dei dimoranti. Infine per avere un esempio di interrelazione tra l’ambiente del sito della demolizione, e gli abitanti delle zone circostanti, basti pensare a quel tipo di inquinamenti generati nel cantiere, e capaci di diffondersi direttamente senza l’ausilio di un mezzo fisico (quale il terreno o le falde acquifere): ne sono un esempio l’inquinamento acustico generato durante il processo di demolizione, il cui livello è variabile in funzione della tecnica adoperata, e l’inquinamento generato dalle polveri, che vengono prodotte più o meno sempre, a prescindere dal procedimento utilizzata. Entrambe le tipologie di inquinamento, agiscono indifferentemente sia sulle maestranze in cantiere (in misura maggiore), sia sui residenti delle zone circostanti (in misura minore). Esistono comunque diverse metodologie per ridurre gli effetti dei suddetti fenomeni, quali l’abbattimento delle polveri con getti d’acqua, o l’uso di semplici d.s.p. (dispositivi di sicurezza personale, nel nostro caso cuffie da cantiere) da parte degli operatori. Con questi semplici esempi si è mostrato come fenomeni apparentemente sconnessi tra loro possono influenzarsi anche indirettamente ed a lungo raggio, il tutto finalizzato ad una valutazione dei possibili rischi agenti sugli esseri umani coinvolti (direttamente o meno). Riassumendo, nell’esempio illustrato: § l’edificio gli operatori analizzato danneggia tramite à imprevisti; § l’edificio l’ambiente analizzato danneggia à inquinamento terreno; § l’ambiente danneggia residenti confinanti i à tramite inquinamento acquifere; falde § l’edificio analizzato edifici contigui danneggia à tramite imprevisti; crolli § gli edifici danneggiano i residenti contigui à tramite conseguenze crolli imprevisti / proiezione incontrollata di detriti; 43 eventuali eventuali crolli Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione incontrollata di detriti; § l’ambiente edifici contigui danneggia gli à tramite liquefaz. perdite H2 0; terreno per tramite diminuzione portanza à terreno (vd. espressione di Terzaghi); à tramite trasmissione vibrazioni; § l’ambiente operatori § l’ambiente danneggia residenti confinanti danneggia gli à tramite inquinamento polveri o acustico; i à tramite inquinamento polveri o acustico; Tornando alla prima classificazione, quella relativa alle tipologie di rischi che un processo di demolizione può comportare, come si può notare, nella Ia categoria si sono raccolti tutti quei possibili eventi comportanti una componente di rischio di tipo strutturale. I protagonisti che possono essere oggetto di questa tipologia di rischio, possono essere sia entità fisiche che persone: per definizione, il rischio di tipo statico agisce, in primo luogo, direttamente sulla struttura, globalmente o localmente, ed in seguito, per tramite di essa o di un suo componente, può mettere in pericolo le persone. I possibili rischi, già accennati nel caso esemplificativo, e le dovute precauzioni da prendere (sia in fase progettuale, che esecutiva), per evitare dissesti strutturali indesiderati, saranno ampiamente discussi in seguito, nel paragrafo relativo alle considerazioni strutturali: ciononostante si premette che, per motivi chiarificati successivamente , il rischio relativo agli aspetti strutturali è quello maggiormente influente nel momento decisionale di un iter progettuale relativo ad un intervento di abbattimento. I rischi derivanti dalle componenti impiantistiche di un organismo edilizio da demolire, possono agire essenzialmente su tre soggetti: sul personale addetto alla demolizione, sull’organismo edilizio stesso e sulle sue componenti fisiche, od infine sul contesto ambientale. Le tipologie di reti impiantistiche possono essere le più svariate, basti considerare per esempio, la grande varietà presente all’interno di un edificio a destinazione ospedaliera, oppure in uno stabilimento per produzioni industriali: in questo caso infatti, le tipologie di impianti di produzione, e le relative reti impiantistiche, variano sostanzialmente, in funzione dello oggetto finale della produzione ed a seconda del tipo di lavorazioni previste per il suo ottenimento; la medesima forte variabilità vale anche per i materiali trattati all’interno di queste reti impiantistiche. Nella categoria dei rischi impiantistici si è deciso di trattare solamente quelli gravanti direttamente sull’uomo (nel nostro caso sulle maestranze del cantiere) e 44 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione non quelli agenti per tramite di un inquinamento di un mezzo convettivo (aria, acqua, terreno), i quali saranno contemplati nella terza categoria. Quindi, nonostante la grande varietà delle possibili reti impiantistiche, le più comuni sono quelle relative agli impianti elettrici, termici, del gas e di condizionamento. Tornando all’obiettivo del discorso, cioè la valutazione di quali fattori possano influire sulla scelta di una tecnica di demolizione all’interno di un processo decisionale, non si può affermare che un progetto possa essere a tal punto influenzato dai “principi di sicurezza” (in particolare da quelli legati alla componente impiantistica) tanto da esserne vanificato, ma sicuramente esso dovrà interagire con detti principi e tenerli in massima considerazione: questo attento riguardo nei loro confronti, si manifesterà in pratica in alcune prescrizioni di sicurezza, che affiancheranno le varie fasi del progetto ed eventualmente modificheranno quest’ultime, sempre in funzione dell’incolumità degli operatori. Anche il fattore di sicurezza relativo all’inquinamento, come del resto la quello della sicurezza nei confronti degli operatori di cantiere, rientra in un discorso relativamente nuovo e moderno, poiché l’intero concetto della sensibilità ambientale è stato acquisito solo negli ultimi. L’ultima tipologia di rischio che subentra nel momento decisionale è quello che dipende dal procedimento di abbattimento utilizzato: ogni tecnica di demolizione, comporta intrinsecamente delle componenti di rischio. Solitamente, le persone maggiormente esposte a questa tipologia di rischi sono gli addetti stessi alla demolizione, ma bisogna specificare che, a seconda del livelli di devastazione al quale la tecnica può arrivare, le componenti di rischio che essa contiene possono allargare il proprio raggio d’azione, fino a raggiungere oggetti e persone ben al di fuori del cantiere della demolizione. Suddividendo le tipologie di tecniche in tre grandi categorie, si avranno: - tecniche basate sull’uso di esplosivo; - tecniche basate sull’uso di mezzi meccanici (a grande e piccola scala); - tecniche basate sull’uso di procedimenti chimici o termici. Come è noto, i procedimenti basati sull’uso dell’esplosivistica risultano essere quelli più devastanti, e la loro potenza può accidentalmente investire, sia il personale di cantiere che i civili, residenti o passanti nelle vicinanze; nel caso non siano state prese le dovute precauzioni, il personale di cantiere potrebbe essere colpito (in maniera sicuramente fatale) sia direttamente dalla deflagrazione, che indirettamente dall’edificio in questione, tramite un suo inaspettato collasso (anche parziale); le persone esterne al cantiere invece, possono eventualmente essere danneggiate in maniera più indiretta: solitamente la momento dell’esplosione il cantiere viene severamente interdetto ai non addetti ai lavori, creando una zona cuscinetto sufficientemente estesa da evitare qualsiasi rischio diretto dell’esplosione sui passanti. Possono però essere colpiti sia gli edifici che i relativi residenti da eventuali conseguenze trasversali, quali: proiezione incontrollata di detriti, sovrappressioni nell’aria (tali da portare alla rottura di 45 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione vetri), e tutte quelle possibili conseguenze di secondo ordine, di natura geotecnica contemplate nel paragrafo precedente. I procedimenti che vedono impegnati mezzi meccanici di demolizione, possono essere a loro volta ulteriormente suddivisi in due sottocategorie: mezzi meccanici pesanti ed attrezzature meccaniche portabili a mano. Nella prima classe rientrano tutti quei macchinari pesanti azionati dall’uomo, che fanno essenzialmente capo alla benna, e sulla quale è possibile montare attrezzature secondarie di vario genere (martelli demolitori, wrecking ball, pinze, cesoie e frantumatori idraulici, fresatrici e bocciardatrici, scarnificatici, etc.): le loro prescrizioni di sicurezza sono essenzialmente quelle relative a qualsiasi altra macchina da cantiere. Nella seconda sottocategoria rientrano invece tutte quelle attrezzature mobili, manovrabili a mano, che permettono perciò un minor livello di distruzione, essenzialmente finalizzate all’eliminazione di un solo elemento costruttivo: ne fanno parte quindi, tutti gli utensili per il taglio del calcestruzzo, basati sulla tecnologia del diamante, i vari spacca-roccia (chimici, meccanici, a sparo), frollini e martelli pneumatici manuali, attrezzature per il taglio termico e per l’idrodemolizione (finalizzata al taglio od alla sola scarnificazione superficiale); per le prescrizioni di sicurezza delle suddette tecnologie, è sufficiente far riferimento alle istruzioni per l’uso che le varie ditte fabbricanti forniscono col prodotto. Sinora sono stati illustrati ed approfonditamente analizzati, i principali fattori che si ritiene subentrino all’interno di un processo decisionale relativo ad un’attività di demolizione di un organismo edilizio, influenzando direttamente la scelta finale della tecnologia da utilizzare. Si è tentato di rendere la loro esposizione più immediata alla comprensione, tramite alcuni casi pratici, finalizzati più che altro alla chiarificazione delle interrelazioni esistenti tra i vari fattori in gioco ed i protagonisti, fisici ed umani, del processo di demolizione. La enucleazione fatta sinora può essere sintetizzata tramite lo schema che segue. 46 47 5. Principi di sicurezza. 4. Fattore ambientale; 3. Componente economica; 2. Vincoli contestuali; 1. Motivi ed obiettivi estrinseci; inquinamento a carattere tossico; danneggiamento prestazioni; rischi di natura strutturale-geotecnica; rischi di natura impiantistica; rischi intrinseci alla tecnica utilizzata; 4.3 4.4 5.1 5.2 5.3 materiali da riciclare; ambiente / persone; ambiente / persone; inquinamento per polveri; da alterata perturbata da esigenze funzionali; inadattabilità a mutate impiantistiche sicurezza reti sicurezza statica dell'organismo ingombro del materiale di risulta; ambiente / persone; 4.2 inefficienza funzionale motivi di sicurezza; ingombro della strumentazione; VS recupero con rivendita materiale riciclato spese da sostenere inquinamento acustico; 3.2 3.1 interazione fattore riciclo vincoli normativi vincoli volumetrici e di ingombro; perdita di utilità dell'immobile, causata da disagibilità dell'immobile, causata da 4.1 2.3 2.2 2.1 1.2 1.1 Fattori che influenzano la scelta di una tecnologia CONTROLLO di un PROGETTO di DEMOLIZIONE difformità con le norme vigenti; degrado avanzato; degrado strutture portanti; eventi eccezionali (naturali e non) Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Tutta l’analisi condotta finora in maniera specifica sul caso della progettazione e del decision taking di un’attività demolitiva, ha in verità un disciplina corrispondente normalizzata, di carattere totalmente generale, e conosciuta all’interno dei grandi processi produttivi con il nome di Project Management. L’approfondimento di questa disciplina ed alcuni esempi di sue applicazioni pratiche saranno oggetto del capitolo finale di questo testo, e rappresenteranno l’obiettivo della tesi stessa: applicare anche alla progettazione di un intervento di demolizione dei criteri di razionalizzazione che permettano, di conseguenza, un migliore controllo del rischio (uno dei fattori più vincolanti nel momento del decision taking). 48 Capitolo 1 CONSIDERAZIONI I Presupposti Teorici della Demolizione STRUTTURALI IN UN INTERVENTO DI DEMOLIZIONE Per potersi introdurre allo studio degli aspetti strutturali che intervengono in un processo di demolizione, è necessario, in primo luogo, modificare la comune concezione della demolizione: come è stato già più volte ribadito, il momento della demolizione non deve essere pensato come un'unica fase operativa, bensì come un processo costituito da un sucessione di operazioni, ove, ad ognuna delle quali corrisponde un particolare schema statico; ogni schema statico dovrà di volta in volta tener conto delle variate condizioni al contorno. Solamente da alcuni anni i processi di demolizione delle opere, sono stati oggetto di fasi evolutive che ne hanno investito sia la scientificità delle procedure che le tecnologie esecutive. Nel passato, infatti, la cultura tecnica corrente ha ritenuto la demolizione un evento accessorio e marginale rispetto alla costruzione di un’opera, relegando le tecniche specifiche operative in un quadro artigianale senza alcuna specificità professionale. Demolizioni totali o parziali venivano condotte spesso con mezzi inadeguati e, di frequente, in dispregio di ogni norma e cautela della sicurezza; l’unico obiettivo di una painificazione di un qualsiasi intervento di demolizione era la minimizzazine dell’impegno di mezzi e mano d’opera. L’assenza di un piano preordinato di demolizione e l’affidamento delle possibili problematiche al solo intuito dell’operatore o del capocantiere, nel passato ha spesso dato luogo a situazioni impreviste, a crolli a catena che potevano essere evitati, con una approfondita analisi delle caratteristiche dell’opera o delle sue parti. Le evoluzioni del settore hanno oggi recepito la fondamentale importanza della conoscenza delle caratteristiche strutturali delle opere interessate da processi di demolizione. Nella moderna cultura tecnica la demolizione può anche essere interpretata come un processo di smontaggio dell’opera, la quale va sottoposta, eventualmente, a fasi inverse a quelle che ne hanno caratterizzato la costruzione. Il processo di demolizione, quindi, va progettato e pilotato con una successione di operazioni ad ognuna delle quali può corrispondere un preciso schema statico che dovrà tenere conto delle zone critiche dell’opera su cui intervenire per facilitare il processo stesso. Lo sviluppo delle tecniche operative sia con macchine tecnologicamente avanzate che con mezzi esplosivi garantisce oggi una rigorosa attuazione del progetto di demolizione il quale deve individuare, in ogni fase, obiettivi ben precisi nella loro progressione operativa sino alla conclusione del processo stesso. L’attuale assenza di una normativa specifica per le demolizioni, in verità difficile da impostare, rende i processi estremamente liberi ed affidati unicamente alla preparazione e alla sensibilità degli operatori. È però necessario puntualizzare che la maggior parte delle premesse sinora fatte, assumono realmente il loro peso quando si stia trattando di una demolizione 49 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione parziale o comunque controllata, e non nel caso di un abbattimento totale od indifferenziato. È chiaro che nel primo caso, è necessario non solo un maggior impegno di mano d’opera, ma anche un coinvolgimento diretto del personale all’interno della struttura da demolire: ne conseguono quindi una serie di rischi per il personale che non risulterebbero invece in un intervento di demolizione totale, effettuata solitamente da uan certa di stanza di sicurezza. Tutti i discorsi e le considerazioni che seguiranno, sono finalizzate a mettere in luce l’imprevedibilità del comportamento strutturale di un organismo edilizio nella sua fase di smantellamento: queste considerazioni non sono altro che deduzioni relative al particolare processo della demolizione, tratte da una generale comportamento strutturale di un sistema portante. Essenzialmente gli stessi principi e schemi strutturali validi per la progettazione vengono utilizzati “al contrario” nella fase di smantellamento. In questa sede, non si ha nessuna intenzione di rispiegare i principi che regolano la progettazione strutturale, che si suppongono noti grazie alle discipline della “Scienza delle Costruzioni” e della “Tecnica delle Costruzioni”: si intende comunque sottolineare alcuni aspetti secondari del comportamento strutturale, che talvolta possono rimanere nascosti o latenti nella comune conoscenza strutturale di un progettista edile, ma riaffiorare come veri e propri problemi, con relativi gravi rischi, nella progettazione di un intervento complesso di abbattimento. A questo fine risultano molto utili i casi studio riportati ed analizzati nel dettaglio nel terzo capitolo: questa parte del testo ha il pregio di illustrare e commentare criticamente interventi di demolizione molto diversi tra loro, accomunati però da una forte presenza della componente strutturale (con relativi rischi) tra i fattori caratterizzanti la scelta progettuale della tecnica e del procedimento di demolizione da seguire. Cercheremo in primo luogo di esaminare, in forma generale e con riferimento ad alcune tipologie di opere, gli aspetti statici di interesse che possono caratterizzare le fasi evolutive, spesso in rapida successione, di una demolizione guidata. TIPOLOGIE DELLE OPERE E CLASSIFICAZIONE Anche se le opere che possono essere interessate da processi di demolizione sono estremamente varie per materiale e tipologia, per iniziare con ordine si ritiene opportuno svilupparne una classificazione. Per quanto concerne il materiale è possibile distinguere le seguenti tipologie: - strutture in legno (ordinario o lamellare); - strutture in muratura; - strutture in ferro; - strutture in calcestruzzo armato normale gettate in opera o prefabbricate; 50 Capitolo 1 - I Presupposti Teorici della Demolizione strutture in calcestruzzo armato precompresso gettate in opera o prefabbricate. In effetti, ad ognuno di tali materiali sono legate tipologie strutturali correnti, in genere, ben consolidate.L’elenco ed un breve esame di tali tipologie risulta importante, anche con riferimento a particolari fasi costruttive, ove presenti, in quanto il progettista di un processo di demolizione non può operare senza un corredo di conoscenze, per quanto possibile completo, delle caratteristiche dell’opera su cui interviene. Per ogni tecnologia costruttiva si sono elencati alcuni punti fondamentali che ne riassumono le caratteristiche costruttive ed il comportamento strutturale. • strutture in legno: o solaio realizzato in tavole di legno con o senza getto di completamento; o ridotto peso proprio solaio e relativa rigidezza; o travatura principale e secondaria in legno, di modesta luce; o elevata deformabilità, fenomeni di instabilità molto ridotti; o travatura principale e secondaria schematizzabili come semplici travi appoggiate; o travature reticolari a schema semplice in genere isostatico; o eventuale presenza di elementi strutturali a puntone e tiranti (all’interno di schemi reticolari); • strutture in muratura: o elementi verticali portanti a sostegno di impalcati di piano, anche in legno, variamente e mutuamente ammorsati; o elementi verticali portanti sollecitabili essenzialemente a sforzo normale e non a momento flettente; o carico trasmesso in fondazione uniformente distribuito; necessità di utilizzo di fondazioni di tipo continuo (travi rovesce); o elevato peso proprio e rigidezza degli elementi verticali, rispetto agli orizzontamenti. o possibili tipologie ad arco, a semplice curvatura, di varia luce, funzione ed importanza. Si può spaziare dagli archi di qualche metro a presidio di aperture sino ai ponti e viadotti ad arco; o tipologie a doppia curvatura (volte) per coperture di aree di notevoli dimensioni; • strutture in acciaio: o telai semplici o complessi con possibile comportamento a “ritti pendolari od a telaio con nodi ad incastro”; o comportamento strutturale e modello di calcolo (vedi punto preced.) definito in funzione della tipologia di unioni: a cerniera od ad incastro. 51 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione o orizzontamenti considerabili come travi appoggiate (isostatico) in caso di modello a “ritti pendolari”, ovvero come travi continue multicampata (iperstatico) in caso di modello a telaio con nodi ad incastro; o presenza quasi assicurata di elementi di controventamento; o diversità di tecnologie esecutive delle unioni: chiodate, imbullonate o saldati; o fortemente sensibile a fenomeni di instabilità: sia per gli elementi orizzontali, che per quelli verticali; o mediamente deformabile sutto carichi verticali; • strutture in calcestruzzo armato: o comportamento a telaio con perfetta trasmissione di Caratteristiche di Sollecitrazione, tra tutti gli elementi strutturali; o pilastri soggetti a presso-flessione deviata; o travi reticolari, Vierendel; o archi di notevole luce per ponti e viadotti realizzati con getto in opera (ponti Maillard) o con particolari procedure; in genere prefabbricate, con tutte funzionamento le alla • strutture in calcestruzzo armato precompresso: o travi semplici gettate in opera con cavi di precompressione post-tesi interni o esterni per applicazioni civili o per ponti e viadotti; o travi semplici prefabbricate in officina con armature di precompressione aderenti per applicazioni civili o per ponti e viadotti; o ponti e viadotti realizzati per conci in avanzamento, in opera o prefabbricati, con schema statico evolutivo; o ponti e viadotti realizzati con travi appoggiate prefabbricate successivamente rese continue con armatura convenzionale o cavi; o ponti e viadotti realizzati con getti in opera e varati a spinta con schema statico evolutivo. e Viste tridimensionali di nodi in acciaio: nodo 1 nodo 2 52 - nodo 1: giunto a cerniera (permette rotazioni, non trasmette momento); - nodo 2: giunto ad incastro trasmette tutte le C.di S.); Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione CONSIDERAZIONE STATICHE È necessario premettere che la complessità e la varietà delle tipologie delle opere, sia per materiale costitutivo e schema strutturale che per sequenze esecutive, non consente di individuare procedure operative ripetitive. Di conseguenza vanno impostati criteri operativi a carattere generale e di principio i quali, volta a volta, dovranno trattare prima i problemi di statica locale e, successivamente, i problemi di statica globale, nel quadro della isostaticità o iperstaticità dell’opera e degli schemi che verranno progressivamente a configurarsi. Per statica locale si intende il complesso di problemi che interessano parti dell’opera la cui crisi non coincide necessariamente con la crisi della struttura principale portante. Trattasi quindi di problemi che possono interessare le solette, le rampe scale, gli sbalzi ed altro; per statica globale si intende, invece, il complesso dei problemi che interessano parti dell’opera la cui crisi può coincidere con la crisi della struttura. Anche un intervento teso ad alterare il numero di iperstatiche della struttura va inquadrato nell’ottica della statica globale. Ciò premesso, un processo di demolizione deve preliminarmente individuare i seguenti aspetti fondamentali: - analisi dello stato di fatto: coincide con la raccolta della documentazione tecnica che descriva le caratteristiche dell'opera, analizzata da tutti i punti di vista: destinazioni d’uso, analisi costruttiva, concezione strutturale; di tutti questi aspetti dovrebbe essere studiata l’evoluzione nel tempo; - ipotesi di procedimento: momento progettuale vero e proprio in cui viene pianificata la strategia di intervento; - valutazione stadi intermedi: osservazione ed analisi delle fasi fondamentali delle operazioni di demolizione, con annesse verifiche statiche transitorie. Su tali punti si ritiene opportuno sviluppare alcune considerazioni. a) Analisi dello stato di fatto L’opera da demolire deve essere ben inquadrata con riferimento alla sua età, allo stato, ai materiali e alle loro caratteristiche, alle fasi costruttive e agli schemi strutturali che possono caratterizzarla. Risulta fondamentale poter disporre della documentazione tecnica. Non è altresì da sottovalutare l’analisi visiva dell’organismo da demolire, poiché solo in questo modo è possibile constatare fenomeni di degrado, che riducendo fortemente l’area della sezione resistente, ne compromettono fortemente le capacità strutturali. L’età dell'opera in genere può consentire di individuare, anche se non sempre in modo sufficientemente completo, le modalità costruttive adottate, le caratteristiche dei materiali delle varie parti, le tecniche di unione degli elementi strutturali. 53 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Al fine di adottare, nel processo di demolizione agli stati limite, un coefficiente di sicurezza necessariamente ridotto, può risultare opportuno effettuare valutazioni dirette delle caratteristiche dei materiali, con prelievo di campioni o prove non distruttive. Su tale base si può procedere ad una valutazione delle capacità portanti delle singole sezioni strutturali (e dei collegamenti), siano esse in legno, in muratura, in calcestruzzo normale, in acciaio o in calcestruzzo armato precompresso. Particolare attenzione va rivolta alla individuazione delle fasi di costruzione, poiché in particolare le grandi opere conservano memoria statica delle fasi transitorie. Alla conclusione di tali valutazioni il quadro conoscitivo dell’opera deve risultare sufficientemente completo per affrontare il progetto di demolizione. b) Ipotesi di procedimento Le strategie di intervento, nel rispetto del contesto in cui ’l opera è ubicata e delle possibilità operative, dovranno individuare, sotto l’aspetto statico e in modo compiuto, le seguenti successioni: - rimozione carichi pavimentazioni); permanenti portati (tramezzature, rivestimenti, - demolizione progressiva degli elementi strutturali, partendo dagli elementi più portati fino a quelli più portanti; - progressivo declassamento dei vincoli di iperstaticità dell’opera e smontaggio dei singoli elementi costruttivi; - pilotaggio ed orientamento della caduta degli elementi strutturali e loro frazionamento a terra per facilitare trasporto e smaltimento. I punti di cui sopra dovranno essere singolarmente oggetto di analisi, anche approssimata e variamente diversificata, al fine di individuare le soluzioni ottimali nel quadro dell'approccio operativo, dell’assetto statico transitorio e della sicurezza. Si vuole sottolineare il fondamentale problema del declassamento caratteristiche iperstatiche e della individuazione delle zone critiche dell’opera. delle Tale declassamento assume particolari aspetti nelle strutture reticolari, classiche nei grandi ponti in acciaio ad arco o a travata, dando vita a schemi variati. La eliminazione di qualche asta o dei suoi collegamenti può comportare la trasformazione di un tirante in puntone, con conseguente crisi per instabilità locale. Analogamente risulta complesso il declassamento di un incastro a cerniera o comunque di un vincolo di continuità strutturale nelle travi continue o nei telai. Particolare attenzione va rivolta ai sistemi di controventamento in fase di demolizione. A proposito di questa operazione, è necessario fare una distinzione sui possibili rischi che si corrono: nel caso in cui si demolisca progressivamente tutto un 54 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione organismo edilizio, eliminando subito gli elementi di controventamento, si lascia il resto dell’organismo attaccabile da parte di eventuali azioni orizzontali; se i tempi previsti per la conclusione dell’intervento sono relativamente brevi, la probabilità che si presenti un’azione orizzontale che porti al collasso, è abbastanza ridotta (specie se si usano tecniche di demolizione totale). La conseguenze più pericolose si presentano però nel caso in cui si stia operando una demolizione parziale di un organismo edilizio e, all’interno di tale processo, si preveda la rimozione od il trasferimento degli elementi di controventamento (ipotesi più possibile nel caso di uno scheletro in acciaio); non solo si rischia di lasciare l’edificio indifeso nei confronti delle azioni orizzontali, ma, nel caso di spostamento della posizione dei controventi si va a modificare completamente la concezione strutturale dell’opera! I controventi infatti non rivestono soltanto il ruolo di assorbimento delle forze orizzontali, ma, rappresentando anche elementi di elevata rigidezza locale, influenzano fortemente la posizione del centro delle rigidezze dell’intero edificio. Un loro spostamento comporta necessariamente una modificazione della distanza tra il centro delle masse e quello delle rigidezze, con conseguente nascita di un momento torsionale agente su un paino orizzontale. L’aspetto più importante è sicuramente il fatto che nel caso di distribuzioni non simmetriche dei pilastri e/o delle loro rigidezze, le sollecitazioni nei pilastri più lontani dal centro delle rigidezze si incrementano rispetto alla ripartizione basata sulla sola rigidezza dei pilastri a causa della rotazione che il solaio subisce nel suo spostamento. Disponendo, ad esempio, una parete a setto particolarmente rigida ad un’estremità dell’edificio, si può arrivare a raddoppiare le sollecitazioni sui pilastri all’estremo opposto. Da qui l’importanza, in sede progettuale, di favorire la scelta di schemi strutturali simmetrici, per evitare concentrazioni di sollecitazioni su una parte sola della struttura. La simmetria deve riguardare la disposizione dei pilastri, ma soprattutto la distribuzione delle rispettive rigidezze, nel senso che non è strettamente necessario che i pilastri siano distribuiti in modo perfettamente simmetrico, purché le loro rigidezze siano ripartite planimetricamente in modo che il baricentro di queste ultime non sia significativamente discosto dalla risultante delle azioni. Quindi nella progettazione, prevedendo di utilizzare degli elementi particolarmente rigidi (pareti a setto, nuclei scale o ascensori a struttura scatolare) è bene disporli ad entrambe le estremità della planimetria dell’edificio in modo da contenere comunque tra loro la risultante delle azioni, fornendo il massimo braccio possibile per ridurre l’effetto di rotazione dovuto all’eccentricità dell’azione. Queste ultime considerazioni, utili nella progettazione di una costruzione, diventano fondamentali nella progettazione di una demolizione. L’elevata rigidezza di nuclei scale e/o ascensore ha spesso comportato notevoli problemi addirittura in fase di caduta dell’organismo da abbattere: il nucleo oppone spesso una notevole resistenza alla caduta, restando spesso in piedi, oppure (cosa più rischiosa) modificando la direzione di caduta degli elementi 55 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione contigui. Per ovviare a questo problema, si può procedere con due approcci diversi: è possibile isolare l’elemento, tagliando i collegamenti che lo legano al resto della struttura, per poi farlo cadere separatamente; oppure, al contrario, lo si vincola fortemente al resto della struttura, per assicurare che venga trascinato nella caduta, nella direzione preponderante della maggior parte della massa cadente. Si ricorda che se per gli edifici in acciaio i controventi sono generalmente costituiti da tralicci reticolari in acciaio, per gli edifici in calcestruzzo armato sono rappresentati da setti scale e/o ascensori. Nel secondo caso, oltre alle conseguenze strutturali, la loro rimozione anticipata rispetto al resto dell’edificio non è molto funzionale a livello cantieristico, visto che le scale stesse continuano ad essere utilizzate dal personale di cantiere per la comunicazione verticale. Le zone critiche dell’opera o individuate come tali nel processo di demolizione, devono presentare facilità di intervento per l’accesso sia degli operatori che dei mezzi d’opera, e le loro caratteristiche statiche devono essere preliminarmente ben valutate in rapporto al superamento degli stati limite richiesti. I problemi connessi alle strutture in calcestruzzo armato precompresso risultano, in conseguenza, più complessi anche con riferimento, come si dirà, alle fasi di precompressione, le quali, nel processo di demolizione, non possono spesso seguire a ritroso il processo adottato nella costruzione. A conclusione di tale esame strategico dell’opera, il progettista della demolizione è in grado di individuare nel quadro locale globale tutte le fasi progressive di intervento da sottoporre al successivo esame statico. c) Verifiche statiche transitorie alla demolizione Le verifiche statiche transitorie dovranno fare preciso riferimento agli schemi che il progettista della demolizione o dello smontaggio dell’opera ha individuato ed intende attuare. Trattasi, in genere, di verifiche in deroga alle normative, eseguite agli stati limite con coefficiente di sicurezza minimo ma non inferiore ad 1,3÷1,4, specialmente se non si conoscono in modo compiuto le caratteristiche dei materiali e le disposizioni delle armature nelle strutture in cemento armato, le caratteristiche dei collegamenti nelle strutture in acciaio, gli ammorsamenti nelle strutture in muratura. Tali verifiche non vanno sottovalutate, e vanno condotte con procedure mirate. Per dimostrare l’importanza di tale verifiche, ossia le forti variazioni di distribuzione pensionale a cui sono soggette le strutture nelle varie fasi della loro demolizione, si riportano in seguito alcuni esempi illustrativi. CASO 1 Come è stato infatti più volte ripetuto, durante un’attività demolitiva di un organismo strutturalmente impegnativo, è necessario non solo verificare la 56 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione stabilità dello scheletro integro (per garantire la sicurezza durante eventuali lavorazioni preliminari), ma anche degli schemi statici modificati. È fondamentale quindi ricordarsi in primo luogo che, a meno che non si esegua una demolizione totale con esplosivo, l’eliminazione di qualsiasi elemento strutturale comporta necessariamente una modificazione dello schema statico, ed una sensibile ridistribuzione delle caratteristiche di sollecitazione. Questo concetto può essere facilmente illustrato con il seguente esempio, che, tra l’altro ben si adatta al nostro caso studio, in particolare alla fase di progressivo smantellamento dell’impalcato. Si noti bene che tutte le considerazioni che seguono, essendo fatte su di uno schema di solaio associato ad una trave continua, sono assolutamente valide anche per una trave vera e propria; ne consegue un interesse ed un’applicabilità tanto maggiore. Si consideri quindi uno schema semplificativo di una fascia di solaio di larghezza unitaria, soggetto ad una carico uniformemente distribuito P, somma del peso proprio, permanenti ed accidentale costante, trascurando un discorso di combinazioni di carico. Risolvendo lo schema stitico (tramite qualsiasi prontuario) si ottengono le caratteristiche di sollecitazione di taglio e momento ovunque sulla fascia di solaio. È interessante notare come cambiano (migliorando in alcune sezioni, e peggiorando in altre) le caratteristiche di sollecitazione di taglio e momento, quando viene eliminata la prima campata a sinistra, passando da uno schema di trave continua di tre, a due campate. M1 = M 4 = − pl 2 24 M2 = M 3 = − pl 2 10 M 12 = M 34 = pl 2 12,5 M 23 = pl 2 40 T1 = +0,4 pl T4 = −0, 4 pl T2− s = −0,6 pl T2− d = +0,5 pl T3− s = −0,5 pl T3−d = +0,6 pl Le sezioni più sollecitate sono, simmetricamente, i due appoggi intermedi, e le due campate esterne; in particolare, come è noto, gli appoggi interni presentano 57 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione contemporaneamente i valori più alti sia di taglio, che di momento; la campata centrale invece presenta un momento positivo che è più di tre volte minore rispetto alle campate adiacenti. La situazione cambia sensibilmente quando si elimina la prima campata: in primo luogo, quella che prima era la campata centrale, diventa ora terminale, con una triplicazione del momento positivo su di essa; è chiaro che se questa campata di solaio (o trave vera e propria che sia) è stata progettata in base ad un momento di circa pl2 /40, quando esso giunge a valere pl2 /12.5, è molto probabile che i coefficienti di sicurezza siano stati “consumati” e non garantiscano più la resistenza. M1 = M 3 = − M2 = − pl 2 24 pl 2 8 M 12 = M 23 = pl 2 14,3 T1 = −T3 = +0,375 pl T2− s = −0,625 pl T2− d = +0,625 pl Anche la campata 3-4 del primo schema subisce qualche variazione, ma comunque di ordine di grandezza tale da potere ancora essere assorbito (il momento passa dal valore pl2 /12.5 ad pl2 /14.3). Tralasciando ora le campate, si nota che il momento sul appoggio 2 (I schema) tende ad annullarsi, diventando quest’ultimo, nel secondo schema, un appoggio terminale Un peggioramento delle condizioni, lo subisce invece l’appoggio 3 (I schema), che mantenendo le campate adiacenti, passa da un momento di pl2 /10, ad un valore di pl2 /8. Sempre in quest’appoggio anche il taglio complessivo aumenta leggermente, passando da (0.6+0.5)pl , ad un (0.625+0.625)pl. Riassumendo, in seguito all’eliminazione della campata più esterna, le sezioni che hanno subito i peggioramenti più significativi sono, la campata 2-3, che ha visto una triplicazione del proprio momento positivo (capace addirittura da portare alla crisi), e l’unico appoggio centrale rimasto, nel quale è aumentato sia il momento che il taglio. 58 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione In generale, come è noto, per elementi trave non eccessivamente corti, il taglio e le corrispondenti t, influiscono relativamente poco sulla resistenza globale, rispetto alla flessione ed alle corrispondenti s. È necessario però sottolineare che queste considerazioni strutturali, non garantiscono la perfetta aderenza al comportamento reale della struttura, poiché in una previsione di comportamento (ad esempio capire se l’aumento del momento, porterà o no alla crisi della campata 2-3) subentrano molti fattori, che restano più o meno nascosti agli occhi del progettista che deve verificare l’esistente; valga come esempio per tutti, la possibilità di imbattersi in un solaio (o trave che sia) con un’armatura sovradimensionata rispetto alle reali esigenze dettate dalle C.d.S.:questa presenterà una resistenza superiore a quanto sia possibile immaginare, a meno che non si eseguano dettagliate prove pacometriche (di rilevanza magnetica) per valutare la quantità e la posizione dei ferri utilizzati. Inoltre non bisogna dimenticare che, in generale prima di affrontare la demolizione dello scheletro portante di una qualsiasi organismo, si è già provveduto a smantellate tutti gli elementi non strutturali: ciò comporta l’annullamento del contributo di carico fornito dalla cosiddetta sovra-struttura e da tutti gli accidentali, lasciando in pratica intatto solo il contributo del peso proprio della struttura. Di conseguenza sarà in generale più difficile che si raggiunga una condizione di stato limite ultimo, a causa di una eventuale modificazione dello schema strutturale, come ipotizzato e descritto in precedenza. Col semplice esempio della trave continua è stato possibile dimostrare come, con un’errata tempistica di smantellamento (del solaio, nel nostro caso), è possibile causare un comportamento inaspettato della struttura, e più in generale una failure del sistema. CASO 2: CURVA DI INTERAZIONE Nell’ambito di un interventi di demolizione parziale di un edificio esistente, assume un’importanza vitale la conservazione della capacità portante di quella parte delle strutture che si prevede debbano rimanere in funzione. Uno dei problemi principali, è che spesso l’intuizione strutturale risulta fuorviante rispetto al reale comportamento di una struttura modificata: il seguente esempio valga da spiegazione. 59 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione È noto che all’interno di uno schema di telaio piano, multipiano e multicampata, i pilastri centrali sono soggetti maggiormente a sforzo normale, rispetto al momento trasmesso dalle travi. Questo perché, ad un pilastro centrale sottende solitamente un’area di influenza maggiore rispetto ad uno di bordo; inoltre, se il suddetto pilastro è compreso tra due travi di rigidezza e luce simile, le due rotazioni trasmesse da quest’ultime, si bilanciano tra loro, senza trasmetterne al pilastro, quindi anche il momento trasmesso sarà limitato. Simmetricamente un pilastro d’angolo sarà limitatamente sollecitato a compressione, a causa della solitamente piccola area di influenza sottesa, mentre sarà fortemente inflesso, a causa della rotazione non bilanciata trasmessagli dall’unica trave che gli si intesta. È sufficiente osservare una curva di interazione M-N di una sezione presso-inflessa, per capire che un pilastro resiste molto meglio se sollecitato maggiormente a compressione che a flessione. Se il punto P1 rappresenta la situazione iniziale del pilastro,cioè la coppia M-N a cui è sollecitato, riducendo il carico assiale sul pilastro, e quindi la N a cui è sollecitato, si passa al punto P2 . Mantenendo invariata il momento agente M e riducendo lo sforzo normale, non si fa altro che aumentare l’eccentricità e = M/N. Così facendo è possibile passare da un punto che si trova all’interno della curva di interazione, cioè compreso all’interno del dominio di interazione, ad un punto esterno alla curva, quindi rappresentativo di una situazione di collasso della sezione. 60 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione In base a questo semplice esempio concettuale, risulta più facile comprendere come la semplice diminuzione di carico assiale su un pilastro d’angolo, causata da un’eventuale smantellamento di piano superiore, possa portare ad una situazione più sfavorevole, a causa della crescita dell’influenza del momento sul suddetto pilastro: il fenomeno appena descritto, solitamente và contro la “naturale l’intuizione strutturale” di un eventuale progettista di un intervento di demolizione, che non sia particolarmente esperto di comportamento strutturale: infatti, di primo impatto, la riduzione di un carico assiale viene solitamente (e spesso erroneamente) associata ad un fenomeno assolutamente positivo per la struttura, nessuno quindi si potrebbe immaginare che possa nascondere invece un rischio intrinseco. Le stesse conseguenze ai fini dei pilastri, possono accadere qualora si dovesse eliminare (in una demolizione parziale) la campata finale di una travata continua: il penultimo pilastro, al quale inizialmente si innestavano simmetricamente due travi, risulta improvvisamente trasformato in pilastro laterale, con tutto ciò che questo comporta: contemporanea diminuzione di area di influenza sottesa (quindi diminuzione della N), e sbilanciamento di rotazioni al nodo (quindi forte trasmissione di momento dalla restante trave). Questo tipo di “modifica” comporta anche uno forte cambiamento dello stato sollecitativo della travata, ridotta di una sua campata: è infatti noto che (ad esempio in una trave continua a due campate) la presenza di una campata adiacente, pur causando un forte momento negativo all’appoggio centrale, riduce il momento in campata; eliminando infatti la suddetta campata adiacente, il momento all’appoggio diminuisce fortemente (trasferendosi però al pilastro, prima solo compresso, ora presso-inflesso), mentre quello nell’unica campata rimasta cresce sensibilmente. CASO 3: DEMOLIZIONE ARCATE È cosa nota che la stabilità globale di arcate multiple è solitamente affidata al mutuo contrasto che esercitano tra loro i singoli archi, assorbendo tra loro le azioni orizzontali. Se inavvertitamente se ne eliminasse una, tutte le altre potrebbero di conseguenza collassare lateralmente con un effetto domino. Per evitare ciò, è consigliabile non demolire mai totalmente un arco, ma lasciarne sempre integra una fascia resistente (vedi fig. sotto). 61 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Naturalmente in un’operazione di demolizione simile a quella appena descritta, è sicuramente necessaria anche una verifica della fascia di impalcato sul quale appoggerà il mezzo meccanico addetto alla demolizione; in questa verifica risulta d’altra parte corretto non considerare nell’analisi dei carichi agenti tutti i permanenti di sovrastruttura e gli accidentali (fuorché quelli relativi alle operazioni di demolizione). CASO 4: DEMOLIZIONE CAPRIATA RETICOLARE Come nel principio dell’arco, anche una capriata reticolare (metallica o in legno) deve la sua resistenza globale ad un elemento catena, che chiude il triangolo delle forze, assorbendo le sollecitazioni orizzontali; la sua rimozione, voluta od indesiderata, porta al collasso immediato della struttura. 62 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione CASO 5: DEMOLIZIONE DI ORIZZONTAMENTI IN CALCESTRUZZO ARMATO Qualsiasi elemento orizzontale in calcestruzzo armato presenta un comportamento a telaio con nodi ad “incastro”, grazie alle continuità del getto (di cls.) e delle barre di armatura; lo schema statico di una trave incastrata (ad una o più campate) presenta sempre dei momenti agli appoggi non nulli. Questo può essere sfruttato positivamente, per facilitare il suo abbattimento: minando uno degli appoggi, la trave passa da uno schema di trave perfettamente incastrato, allo schema di una mensola, con un fortissimo aumento del momento (e relativa rotazione) sull’appoggio rimasto integro, facilitando il ribaltamento della trave e del pilastro a cui è rimasta collegata. Questa piccola applicazione rappresenta in piccolo ciò avviene durante una demolizione che utilizza esplosivo sui nodi strutturali: per ottenere l’implosione è sufficiente modificare progressivamente, con l’uso di micro-cariche lo schema di calcolo dello scheletro portante. CASO 6: DEMOLIZIONE ELEMENTI VERTICALI IN C.A. Il modo più per demolire elementi verticali in c.a. od in murature è il loro ribaltamento sul fianco; naturalmente è necessario poter disporre di una adeguato corridoio di caduta (con L > 1,5h). Il ribaltamento, ottenuto applicando con una forte flessione sull’elemento, deve essere facilitato con il taglio preventivo delle armature nelle zone tese, come del resto avviene anche negli orizzontamenti in calcestruzzo armato. La presenza di ferri in trazione integri, non solo potrebbe impedire la caduta, ma (cosa ben più pericolosa) deviarne la direzione di caduta. Si vedrà che questa stessa fondamentale osservazione vale per qualsiasi elemento strutturale verticale, quale setti, nuclei scale o ascensore, torri e ciminiere. Il ribaltamento può essere ottenuto per spinta (con la benna di un escavatore) o per trazione (con dei cavi legati alla benna di un escavatore). Bisogna prestare massima attenzione alla direzione di caduta, posizionando adeguatamente la forza orizzontale al di sopra del baricentro delle masse, per evitare di creare una coppia in direzione opposta, facendo ribaltare l’elemento sopra l’operatore. 63 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione CASO 7: TORRI PIEZOMETRICHE Una tipologia strutturale molto impegnativa è rappresentata dalle torri piezometriche: la loro conformazione, forte massa in sommità, sorretta da elementi verticali sottili, variamente connessi, ne fa una struttura molto difficilmente controllabile una volta che venga perturbata la sua stabilità e si passi ad una configurazione variata, distante da quella di partenza. La difficoltà maggiore sta quindi nel tentare di controllare la struttura durante la caduta stessa, e mantenere invariata la direzione che è stata pianificata. Essenzialmente le tipologie di torri piezometriche si riducono ad una possibilità di variazione del numero degli appoggi: possono essere tre, quattro od anche sei. Minando in profondità rispettivamente due o quattro sostegni, si ottiene il ribaltamento sul fianco della struttura. In generale è possibile distinguere i caduta : - seguenti casi di mancato controllo della un spezzettamento insufficiente degli appoggi (vedi fig. caso 1 e sequenza 1), può portare al pericoloso fenomeno che li porta a comportarsi come puntoni (mediamente rigidi) che si oppongono alla caduta della massa del serbatoio, spingendolo in direzioni incognite ed imprevedibili; 64 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione - un eccessivo spezzettamento di una sola parte degli appoggi (vedi fig. caso 2), può portare alla spinta verso l’altra direzione dei restanti pilastri, facendoli atterrare nella zona opposta al corridoio di caduta, solitamente considerata sicura; - lo stesso effetto di deviazione della traiettoria di caduta può essere causato (come accennato in precedenza) dal mancato indebolimento preventivo della struttura: per indebolimento della struttura si intende, il taglio dei ferri di armatura in quella che sarà la zona tesa nel momento della caduta, e parallelamente la frantumazione o l’eliminazione di elementi in calcestruzzo che possano funzionare da puntone al momento della formazione del cinematismo. Sequenza di crollo di una torre piezometrica Abbattimento di una torre piezomentrica: dalla foto si comprende chiaramente che la cernierizzazione è stata creata con dell’esplosivo, posizionato sul fianco sinistro, dove si possono notare tra l’altro alcuni brandelli di materiale di rivestimento, utilizzato per limitare la proiezione di frammenti lapidei. 65 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione CASO 8: PRECOMPRESSO Le strutture in precompresso, con particolare riferimento alle strutture post-tese, risultano estremamente delicate in quanto la trave isolata (ad esempio nelle strutture da ponte) può raggiungere la crisi se è privata di elementi di impalcato. Ciò si può verificare se la coazione con i cavi è stata applicata in progressione. In tale caso, eliminando la soletta di impalcato l'intera precompressione emigra sulla trave, la quale può raggiungere la crisi, non prevista, al momento flettente negativo. Nello schema che si allega si illustra un caso classico che si può presentare nei ponti a travata. Si fa riferimento alla campata tipo di un viadotto realizzato con travi prefabbricate in calcestruzzo precompresso a cavi post-tesi e soletta gettata in opera. Il diagramma delle tensioni di precompressione sono illustrate negli schemi, evidenziando che se si demolisce la soletta l’intera precompressione sviluppata da tutti i cavi emigra sulla sola trave. In tal caso la trave può raggiungere lo stato limite per trazione. Nel caso in cui i cavi di precompressione siano stati iniettati, non risulta possibile decomprimerli prima di effettuare ulteriori rimozioni strutturali. In tali casi può convenire l’applicazione di cavi provvisori ed eseguire lo smontaggio della sola trave. In tal senso la precompressione con cavi esterni presenta notevoli vantaggi, in quanto questi possono essere preventivamente detensionati. Il medesimo problema, in forma più complessa, si presenta nella demolizione dei ponti realizzati a conci in avanzamento, prefabbricati o non. Altre verifiche fondamentali che interessano una estesa classe di strutture sono quelle relative alla instabilità flesso-torsionale di travi alte, anche reticolari, in parete sottile, in calcestruzzo o acciaio, all’atto in cui vengono meno le controventature di progetto. I problemi di instabilità flesso-torsionale possono presentarsi anche nei casi di sollevamento di elementi strutturali all’atto dello 66 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione smontaggio. I punti di sollevamento vanno opportunamente definiti con la finalità di elevare il carico critico dell’elemento in fase di movimentazione. CONCLUSIONI Come è stato premesso, le considerazioni sinora svolte, sono finalizzate a creare quel bagaglio culturale utile al progettista, per capire come il fattore strutturale possa interagire ed influenzare la progettazione di una intervento di demolizione. È stato sottolineato come il momento decisionale relativo alla scelta della tecnologia e del procedimento da utilizzare, sia fortemente caratterizzato dalla tipologia strutturale in questione. Nel quarto capitolo si trasferiranno le considerazioni fatte sul rapporto tra tipologia strutturale e progetto di demolizione, in confronti tra i rischi relativi alle suddette considerazioni strutturali ed il momento decisionale (disciplina del decision taking). Tutto ciò è altresì un’ulteriore conferma del fatto che, un abbattimento di una struttura complessa necessita di uno specifico bagaglio di conoscenze strutturali, oltre che di una vera e propria progettazione. Alcuni degli esempi illustrati nel terzo capitolo, non solo descrivono l’iter progettuale volto all’esecuzione dell’intervento, ma riportano nel dettaglio anche alcuni calcoli strutturali che si sono resi necessari per verificare le varie fasi transitorie della demolizione: in particolare, nello studio dell’atterramento di una delle “vele” di Secondignano (a Napoli) vengono riportate e spiegate le verifiche di resistenza di alcuni setti murari che sono stati “alleggeriti” in fase di indebolimento della struttura (fase che anticipa e facilita l’abbattimento con l’esplosivo). Le difficoltà che si presentano al progettista, qualora affronti gli aspetti strutturali di una demolizione, sono quindi svariati ed oltretutto, spesso restano nascosti ad occhi non specializzati,; tutto ciò senza contare che solitamente il progettista se la deve cavare senza una adeguata documentazione tecnica, operando su una struttura non nota, a volta non ispezionabile (se pericolante), e che nasconde al suo interno i difetti occulti del progettista originale, e della dita esecutrice. Proporzionalmente al numero delle incognite in gioco, crescono anche i relativi rischi connessi. Non essendo i processi di demolizione ancora inquadrati in una normativa specifica (in corso di studio), tanto più si ritiene necessaria una alta professionalità e competenza per chi affronta il settore. 67 Capitolo 1 I Presupposti Teorici della Demolizione Sequenza di abbattimento di una torre piezometrica a sei appoggi. La cernierizzazione eseguita attraverso l’uso dell’esplosivo, non riesce a far ribaltare completamente la torre sul proprio fianco: infatti, a causa di uno slittamento relativo delle sezioni distaccate (foto C) la struttura crolla anche secondo la direzione verticale. 68 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione CAPITOLO 2: LE TECNICHE DELLA DEMOLIZIONE Nel capitolo precedente sono state, tra l’altro, descritte ed indagate le varie metodologie di demolizione (abbattimento, totale, parziale, indifferenziato, selettivo): si intende ora approfondire la conoscenza di tutte le possibili tecniche relative ad ogni tipologia di approccio. Nel corso della lettura di questa sezione sarà possibile vedere come nel mondo della demolizione, spesso la realtà riesca a superare la fantasia creativa: è per questo che si è scelto di riportare, oltre a quelle più conosciute e convenzionali, anche alcune tecniche sperimentali ed fortemente specifiche, concepite per lo smantellamento di determinati elementi costruttivi o per l’esecuzione del lavoro in condizioni particolari. La classificazione, e la relativa esposizione, che vede le tecniche organizzazione in base al decrescente livello di distruzione apportato, nasce in funzione del discorso delle metodologie di demolizione. Ogni tecnica esposta verrà analizzata nel dettaglio, secondo dei criteri di valutazione più o meno standardizzati; questi criteri possono essere riassunti nella lista che segue: - descrizione e principi di funzionamento della tecnologia; - storia ed evoluzione della tecnologia (all’estero ed in Italia); - principali vantaggi e limiti nell’applicabilità; - classificazione tipologica dei possibili interventi; - casi speciali di utilizzazione; - parametri di progetto: principali grandezze che determinano la scelta della tipologia di intervento; - criteri pratici per la scelta del modello; - tendenze del mercato e possibili evoluzioni future; - scheda sintetica riassuntiva. Chiaramente non sarà sempre possibile applicare l’intero sistema di valutazione ad ogni tecnica esposta, ma sarà comunque garantita un’analisi che metta in luce le caratteristiche ed i limiti operativi di ogni tecnica, in funzione del contesto operativo e dell’oggetto su cui si deve intervenire. Lo schema che segue esemplifica la classificazione in base al grado di invasività delle operazioni: 69 Capitolo 2 α Le Tecniche della Demolizione β DEMOLIZIONE TOTALE dell’APPARATO COSTRUTTIVO: - esplosivistica applicata alla demolizione; palla demolitrice; spinta diretta al ribaltamento; trazioni tramite cavi; scalzamento delle fondazioni; - procedimento Cardox. FRANTUMAZIONE PARZIALE dell’APPARATO COSTRUTTIVO: - martello demolitore idraulico; spacca-roccia chimici; spacca-roccia meccanici; spacca-roccia a sparo; pinze e cesoie idrauliche; il Nibler (uncino); procedimenti elettro-chimici; i Piloni; riscaldamento armature per effetto Joule; generazione di microonde; elettro-fratturazione. - γ ELIMINAZIONE del singolo ELEMENTO COSTRUTTIVO FUNZIONALE: - - ∆ Utensili diamantati: - fori consecutivi per carotaggio; - seghe da parete; - troncatrici manuali; - seghe taglia-pavimento; - seghe a tuffo; - seghe a catena; - seghe a filo diamantato; Procedimenti termici: - perforazione termica con lancia ad ossigeno; - cannello al plasma; - laser. TRATTAMENTO SUPERFICIALE degli ELEMENTI COSTRUTTIVI: - - 70 Acqua ad alta pressione: - idrodemolizione selettiva; - idrodemolizione controllata; scarnificatrici meccaniche; fresatrici stradali; concrete planer (bump cutter); fresatrici polivalenti; fresatrici brandeggiabili; piallatrici – molatrici; bocciardatrici – pallinatrici; attrezzature manuali. Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Si è ritenuto superfluo entrare nel dettaglio delle altre mcchine adibite al trattamento superficiale di elementi in calcestruzzo: essendo estremamente flessibili, il loro funzionamento e le loro caratteristiche non possono influenzare le scelte progettuali. Sono state quindi solamente elencate in quest’introduzione, ma non troveranno riscontro nel resto del testo. D’altra parte, per poter trattare compiutamente quella che nello schema è stata indicata come quarta metodologia di intervento (classe ∆), si è ritenuto necessario fornire al lettore, una breve approfondimento tematico; la tecnica dell’idrodemolizione finalizzata alla rimozione di uno strato superficiale di calcestruzzo (copriferro) non può prescindere dall’illustrazione delle motivazioni che giustificano tale tipologia di intervento: come sarà detto infatti, l’idrodemolizione selettiva si rende necessaria qualora appaiano determinati fenomeni di degrado superficiale del calcestruzzo. Il suddetto paragrafo quindi si prefigge lo scopo di fornire al progettista un quadro sintetico della problematica, analizzata secondo i seguenti punti: - le cause del degrado; - le possibili fenomenologie; - le indagini e la diagnostica (distruttiva e non invasiva); - modalità di intervento ed i criteri di scelta; - glossario termini tecnici ed approfondimenti. 71 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione DEMOLIZIONE TOTALE DELL’APPARATO COSTRUTTIVO DEMOLIZIONE PER TRAZIONE TRAMITE CAVI Si tratta di un procedimento di demolizione che avviene per trazione dell’elemento costruttivo interessato: la parte dell’opera da demolire viene imbracata con un sistema di cavi, si esercita quindi una trazione tramite gli stessi cavi, che vengono azionati da un motore, fino ad arrivare al collasso generale. Questa tecnica trova un suo predecessore, in un metodo utilizzato dai boscaioli per abbattere gli alberi. Nel loro caso, si pratica un taglio alla base del tronco per indebolire la resistenza a trazione delle fibre tese, perciò parallelamente nella demolizione applicata all’edilizia, si realizzerà un intaglio con strumenti diamantati nella parte bassa dell’opera. Questo metodo risulta abbastanza pericoloso, in particolare quando non siano state ben sostenute e puntellate tutte le restanti parti, adiacenti all’elemento da demolire. In effetti, in questo genere di lavori si sono spesso verificati crolli improvvisi, in seguito ad un qualsiasi evento accidentale non previsto (ad esempio improvvisa azione orizzontale di vento agente su una struttura già fortemente destabilizzata). Campi d’applicazione La demolizione realizzata con l’aiuto di cavi è soprattutto adoperata per l’abbattimento di opere in muratura, che, al contrario del calcestruzzo armato non presentano ferri di armatura, i quali costituiscono la principale fonte di resistenza a trazione dell’opera. Tuttavia la tecnica è applicabile anche nel caso di opere in calcestruzzo armato, previa realizzazione di profondi intagli negli elementi verticali portanti, che permettano la sconnessione delle barre d’armatura longitudinali. In generale, queste tecniche sono applicabili in quelle situazioni in cui si stiano trattando opere relativamente sane, mentre sono fortemente sconsigliate per murature antiche costituite da mattoni semplicemente legati tra loro da calce o da un miscuglio di calce ed argilla. I cavi rischiano di non riuscire a rovesciare l’opera ma di staccarne solamente alcune parti, la cui traiettoria di caduta diventa quindi assolutamente imprevedibile. Se l’opera non si è ribaltata, la sua stabilità diventa molto aleatoria, ed il cantiere risulta, di conseguenza, molto pericoloso per il personale. Modalità d’esecuzione Per il tiraggio dei cavi è necessario utilizzare dei motori meccanici molto stabili, che non risichino in alcun caso di ribaltarsi, come nel caso dei bulldozer, dei 72 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione trattori e delle pale meccaniche. Devono dunque essere ben ancorati ad un piano d’appoggio. Sono da evitare tutte le trazioni lungo una direzione obliqua che comportano un imprevedibilità del piano di caduta (come risulta dalla fig. XXX) I cavi saranno scelti di una sezione sufficiente per non rischiare la loro rottura; in effetti una rottura dei cavi potrebbe risultare molto pericolosa, per l’effetto frusta che ne verrebbe causato. D’altra parte si consiglia di raddoppiare i cavi (aggiungere dei cavi di riserva, da usare solo in caso di necessità), in modo tale che gli operai non dovranno tornare a lavorare sull’opera, fortemente instabilizzata, in caso di rottura dei cavi principali. Rischi e precauzioni Si raccomanda infine di proteggere il motore di trazione cavi (eventualmente con degli assi di legno) per sminuire i possibili danni causati da una frustata di un cavo spezzato in fase di esercizio. In ogni modo, il direttore di cantiere deve essere assolutamente presente durante questo tipo di demolizione: questa deve procedere per trance e bisogna rispettare un certo ordine di operazioni, relativo alla gerarchia di portanza dei singoli elementi costruttivi, le quali devono essere identiche a quelle che eseguite per una demolizione manuale. Ad esempio nessun solaio deve essere demolito prima che lo siano le mura perimetrali che scaricano su di esso. È innegabile che la demolizione attuata in questo modo risulta molto difficilmente controllabile, comportando gravi rischi sia per il personale, che per le costruzioni adiacenti (in particolare non si possono trascurare le numerose vibrazioni trasmesse attraverso il suolo). Sarà dunque preferibile demolire un elemento costruttivo alla volta, e non intere trance di edificio, avendo particolare cura di sostenere e puntellare i solai destinati a ricevere le macerie dai piani superiori, onde evitare crolli precoci indesiderati. Occorrerà, d’altra parte, raddoppiare la prudenza, allorché si ci si trovi in condizioni in cui sia strettamente necessario inviare del personale su quelle parti di opera ancora in piedi, ma oramai irrimediabilmente instabilizzate. SCALZAMENTO DELLE FONDAZIONI Esattamente come il procedimento che utilizza i cavi in trazione, anche questa tipologia di procedimenti di demolizione si concretizzano, nel ribaltamento dell’opera, al quale consegue poi la sua disgregazione al suolo. In seguito si descriveranno due procedimenti particolari che appartengono alla suddetta tipologia; Sostituzione degli elementi portanti Il primo procedimento consiste in una progressiva (in misura dell’avanzamento dei lavori) sostituzione degli elementi portanti alla base, con elementi portanti provvisori, cioè puntelli. 73 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Quando una quantità sufficiente degli elementi portanti è stata soppressa e rimpiazzata con puntelli di vario genere, questi vengono tirati via con l’aiuto di cavi oppure possono essere bruciati se sono costituiti da elementi lignei; il tutto naturalmente dopo aver prestato molta attenzione a richiamare tutto il personale da tutte le zone pericolose (traiettorie sia di caduta presunta che di caduta possibile). Questa tecnica è stata spesso utilizzata per opere di grande altezza quali le ciminiere. Si preferisce utilizzare questa tecnica di caduta guidata, per le opere in muratura, visto che l’impatto al suolo comporta un buon disgregamento della struttura, cosa che facilita il successivo smaltimento delle macerie; questa tecnica funziona in misura minore per le opere in c.a., la cui disgregazione è in parte impedita dalla presenza dei ferri di armatura. Come per il procedimento di caduta guidata tramite cavi, malgrado tutte le precauzioni possibili, anche questo procedimento risulta comunque molto pericoloso. Disgregazione del terreno Un secondo caso appartenente alla suddetta tipologia di procedimenti, consiste nell’operare direttamente sul primigenio elemento portante in un organismo edilizio, ossia il terreno: si prova in fatti a far “sprofondare” l’opera nel suolo. In pratica si va a corrodere il suolo a livello del piano di appoggio delle fondazioni, iniettando forti quantitativi d’acqua sotto le fondazioni; in alcuni casi si pompando via il fango o il miscuglio acqua-sabbia che si è venuto a creare. Ne consegue comunque uno “scalzamento” delle fondazioni. Appendice geotecnica Dal punto di vista geotecnico, si fa passare il terreno da una situazione di partenza in condizioni drenate con limitata presenza d’acqua, ad una successiva situazione di terreno saturo in condizione non drenata: di conseguenza, come noto dai concetti basilari della Meccanica delle Terre, lo scheletro solido del terreno perde la sua capacita di mutua trasmissione delle tensioni tangenziali (all’interno del tensore degli sforzi tutte le τij si annullano lasciando un tensore costituito solo dai termini sulla diagonale principale) arrivando quindi ad una situazione di plasticizzazione, cioè collasso, del terreno. A questa plasticizzazione (intesa dal punto di vista geotecnica, cioè di rottura) localizzata del terreno su cui scaricano le fondazioni, conseguono naturalmente dei sensibili cedimenti differenziali delle fondazioni, che, in condizioni limite portano al collasso totale della struttura sovrastante. Per evitare crolli incontrollati prima di ammorbidire il terreno, si provvede a puntellare la struttura sovrastante, ed ad eliminare i puntelli solo in un secondo tempo, quando si è assicurata un condizione di sufficiente sicurezza per gli operatori. L’eliminazione dei puntelli può avvenire sia per trazione tramite cavi, che per loro carbonizzazione (se sono lignei). Questo metodo è stato molto utilizzato in passato per eliminare delle blockhaus dalla costa atlantica. Le fondazioni di alcune di queste blockhaus erano state 74 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione fondate su un terreno sabbioso, che permettendo, come è immaginabile, una buona permeabilità, hanno reso particolarmente agevole l’iniezione del liquido. SPINTA DIRETTA AL RIBALTAMENTO Questo procedimento di demolizione, consiste semplicemente nell’applicare una spinta all’organismo da demolire, attraverso una benna montata su una pala meccanica, movimentata da un escavatore. In pratica si applica una forte azione orizzontale concentrata, che va ad aumentare la sollecitazione di presso-flessione sui pilastri, fino a portarli a rottura: la loro crisi comporta di seguito il loro ribaltamento nella direzione di spinta ed il conseguente collasso di tutta la struttura. Dinamica della caduta Il punto di applicazione della spinta deve essere scelto in modo tale che questo cada al di sopra del centro di gravità (baricentro) dell’elemento da demolire, per evitare naturalmente che un’azione orizzontale troppo bassa porti ad un ribaltamento dell’elemento nel senso opposto a quello della spinta, cioè proprio nella direzione della pala meccanica; questa necessità strutturale limita purtroppo le altezze degli elementi che possono essere distrutti, poiché non sempre le pale meccaniche ordinarie possono raggiungere le altezze richieste. Nonostante tutte le attenzioni che si possono prendere relativamente al punto di applicazione della spinta, per poter controllare la direzione di caduta, è sempre comunque necessario garantire la sicurezza dell’autista del mezzo: l’automezzo deve perciò poter assicurate le cosiddette sicurezze F.O.P.S. (Falling Objects Protective Structure), R.O.P.S. (Roll Over Protective Structure) e F.G.P.S. (Front Gard Protective Structure). 75 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Sicurezza Con F.O.P.S. si intende che la cabina debba essere progettata e costruita con una struttura atta a resistere alla caduta di materiali durante il lavoro (sassi, frammenti di roccia, ecc); con R.O.P.S. si intende una cabina progettata e costruita con una struttura atta a resistere a più ribaltamenti completi del mezzo; infine con F.G.P.S. si intende una cabina progettata e costruita per resistere alla proiezione frontale (sul parabrezza) di materiale, durante lo svolgimento del lavoro. Campi d’applicazione Questa tecnica non è facilmente utilizzabile su strutture in calcestruzzo armato, visto la forte resistenza a trazione (conseguente alla sollecitazione di pressoflessione) delle barre di armatura, mentre si adatta meglio al caso di elementi in calcestruzzo non armato. Ovviamente questa tecnologia trova facile applicazione nella demolizione di opere in muratura, grazie alla resistenza praticamente nulla a trazione della muratura stessa. PALLA DEMOLITRICE Funzionamento e caratteristiche Questo procedimento di demolizione si basa su di una serie di impatti ripetuti, esercitati sulla struttura utilizzando una grossa palla metallica (in inglese “wrecking ball”); quest’ultima viene sospesa ad un cavo, il quale la fa agire sotto un movimento pendolare, ovvero per caduta verticale, l’impatto è del tipo che caratterizza anche l’azione dei piloni (vedi par. 2.3). Il notevole impatto della palla sulla struttura da demolire, provoca immediatamente un parziale crollo, e solitamente segue la distruzione completa dell’opera. Sulle pareti in muratura, o in calcestruzzo poco o non armato, l’effetto è solitamente immediato, e non è necessario eseguite diversi impatti nello stesso punto. Questa è la ragione per la quale, questo procedimento è stato utilizzato a lungo, nonostante lo sviluppo delle nuove tecniche, vista appunto la grande efficacia ed il suo basso costo di produzione. Per il calcestruzzo armato, l’utilizzazione della palla, pone certamente un grande numero di problemi, ma ciononostante non si supera tutt’oggi con nessun’altra tecnologia di demolizione, la possibilità di demolire elementi di alcuni metri di spessore, quali ad esempio basamenti sottomarini. Le macerie del calcestruzzo fortemente armato, solidarizzano fortemente con i ferri d’armatura, che dovranno poi essere tagliati con l’ausilio del cannello ossidrico. 76 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Le palle sono generalmente realizzate in acciaio e possono pesare dai 500 ai 2000 kg. Queste palle sono fissate ad un cavo di una gru su di un cingolato; talvolta si utilizza un circuito pneumatico montato sul cavo per ammortizzare gli effetti dinamici sui cavi stessi. Il peso della palla sarà, in ogni caso, sempre inferiore alla metà del carico di sicurezza. Wrecking ball Campi d’applicazione Il metodo della cosiddetta caduta brutale, che consiste nel portare la palla ad un altezza considerevole al di sopra della copertura dell’organismo che si vuole demolire e lasciarla poi cadere verticalmente, è quello che viene impiegato più spesso; in particolare, viene utilizzato per la distruzione di elementi orizzontali quali impalcati, strade, piste aeroportuali, od anche per ridurre il volume delle opere che sono fatte cadere al suolo (anche con l’aiuto di esplosivo) e facilitarne dunque il successivo smantellamento delle macerie. Sicurezza e precauzioni Come è stato già detto la palla è vincolata ad un cavo sospeso ad una gru (sono escluse le gru a torre) ed il cavo stesso è arrotolato su di un tamburo smontabile al fine di permettere la caduta della palla. Si consiglia di fissare la sfera con un doppio cavo, uno principale ed uno di richiamo, per permettere di recuperare la palla in caso di rottura del cavo principale. Si raccomanda inoltre di avere in cantiere un approvvigionamento di diverse palle, poiché se, per una ragione qualsiasi, dovesse scomparire durante la demolizione di un opera (in seguito al blocco e la rottura di un cavo per esempio), non sarebbe necessario inviare personale per recuperarla in quelle zone in cui la stabilità degli elementi è stata fortemente perturbata. Inoltre le stesse valutazioni sulla posizione del centro di pressione, fatte nel caso della demolizione per spinta, sono egualmente valide anche nel caso della demolizione effettuata con la palla demolitrice: bisogna infatti prestare attenzione a non attaccare con un’azione orizzontale la base di un elemento verticale, poiché ciò causerebbe il ribaltamento della parte superiore dell’elemento, proprio nella direzione dell’operatore. 77 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione LA DEMOLIZIONE CON L’ESPLOSIVO Il Controllo degli effetti dell’esplosivistica civile Nella carente letteratura tecnica esistente sulla demolizione, la maggior parte dei testi, si occupa delle possibili applicazioni dell’uso dell’esplosivo. All’interno di questi testi, strutturati concettualmente in maniera molto simile, gran parte dello spazio è dedicato alla descrizione delle consolidate tecniche di scavo in roccia (cava o galleria) attraverso l’uso di esplosivi. In effetti l’ingegneria mineraria è stato il primo campo di applicazione civile della potenza dirompente dell’esplosivo, al di fuori del campo bellico. Sono quindi reperibili testi che spiegano dettagliatamente, non solo tutte le regole di preparazione e posizionamento delle cariche, ma forniscono tutti i criteri di dimensionamento delle stesse. Quindi a causa della suddetta ripetitiva presenza di testi sull’argomento, ed onde evitare di riportare meramente i contenuti degli anzidetti testi, si coglie l’opportunità di finalizzare maggiormente il discorso, concentrandoci sul controllo delle possibili conseguenze negative dell’uso degli esplosivi per l’abbattimento di edifici. Per approfondimenti sui dettagli esecutivi delle fasi operative, si rimanda ai testi riportati in bibliografia. Obiettivi Lo scopo che si pone questo paragrafo, è quindi di introdurre il lettore ai possibili effetti secondari dell’esplosivistica civile, e fornire alcuni criteri per il controllo degli stessi; parallelamente si tenterà di sfasare alcuni pregiudizi appartenenti alla mentalità comune1). Nel primo capitolo del presente testo, sono già state affrontate alcune problematiche culturali che limitano un’applicazione più generalizzata della demolizione. Se questi preconcetti valgono per la demolizione in genere, sono tanto più validi quando questa viene fatta con l’uso dell’esplosivo. In particolare a causa di guerre giustamente non dimenticate, e di ancora terribili usi terroristici dell’esplosivo, questo non gode generalmente di una buona fama. Questo approccio può essere comprensibile quando l’utente non sia costituito da un professionista o comunque da una persona con competenze tecniche. Diventa meno accettabile quando questi pregiudizi arrivano da tecnici operati nel settore dell’edilizia o del civile in genere. La principale conseguenza negativa di una corretta conoscenza delle caratteristiche dell’uso dell’esplosivo, è che risulta difficile effettuare una scelta veramente ottimizzata qualora ci si trovi in un momento decisionale, all’interno di un processo progettuale. Ciò che vuole evitare è che ci si trovi davanti ad una scelta obbligata di una tecnica di demolizione per semplici blocchi mentali, quando invece l’utilizzo dell’esplosivo potrebbe portare a risultati migliori. 78 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione I principali concorrenti dell’esplosivo, sono le tecniche di abbattimento con macchinari meccanici, che, manifestando un maggiore livello di sicurezza nelle fasi operative, comportano però indiscutibilmente una tempistica fortemente maggiore. Secondo alcune stime, di conseguenza anche i costi di un’operazione meccanica supererebbero mediamente almeno di cinque volte i costi delle stesse operazioni fatte con l’esplosivo. Vibrazioni indotte Una delle conseguenze dell’uso dell’esplosivo generalmente più temute, sono le vibrazioni indotte. Un intervento di questo genere può comportare due tipologie di vibrazioni: quelle relative al momento della deflagrazione, e quelle dovute alla conseguente caduta a terra della massa disgregata dall’esplosione. Per quanto le prime possano sembrare le più dannose nei confronti degli edifici adiacenti, in verità la loro elevata frequenza e piccola ampiezza non permette loro di assumere nessuna importanza. La seconda tipologia invece è invece associata a frequenze più basse delle prime, quindi potenzialmente più pericolose. Mentre la prima tipologia di vibrazioni indotte dipende solamente dalla quantità di esplosivo utilizzato, la seconda tipologia varia fortemente in funzione della massa impattante al suolo e dall’altezza di caduta: in pratica queste vibrazioni 1 sono direttamente proporzionali all’energia cinetica E = mv 2 trasferita dalla 2 massa al terreno, al momento dell’impatto. L’energia liberata dal brillamento, non viene mai interamente trasmessa al terreno in quanto viene dissipata per frantumare il materiale stesso. Inoltre è possibile limitarla semplicemente frazionando le cariche e microritardando le fasi del brillamento. Caso della demolizione del silos a Genova – intervento della Siag 79 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione È da notare che solitamente non avviene che tutta la massa impatti contemporaneamente al suolo, ma la disgregazione si diluisce in un arco di tempo che va dai 2 ai 5 secondi, abbattendo il picco dell’energia trasmessa; inoltre molto spesso la distanza degli edifici limitrofi è sufficiente per limitare la quota di vibrazioni assorbite. La misurazione di entrambe le tipologie di vibrazione avviene attraverso l’uso di strumenti particolarmente sensibili, detti sismografi. Nel caso in cui ci si trovi davanti a forti adiacenze, oppure si debba interagire con un terreno altamente rigido e compatto (quindi più capace di trasmettere oscillazioni), od anche edifici limitrofi di particolare destinazione d’uso o importanza che richiedano un blocco totale delle vibrazioni indotte, vi sono alcuni escamotage che possono facilmente essere attuati. In primo luogo è possibile limitare, in base alla necessità, l’entità della massa cadente, creando una disgregazione parziale e graduale; inoltre una della soluzioni più utilizzate è quella di creare preventivamente un cuscino di macerie al suolo che assorba l’energia d’urto, abbattendo di conseguenza la generazione di vibrazioni. Entrambe le soluzioni ora accennate sono state adottate per l’abbattimento di una struttura di contenimento particolarmente massiva poggiante su un suolo delicato: la descrizione di questo caso studio è contenuta nel terzo capitolo (“La demolizione di una silos a Genova”), ore viene tra l’altro commentato tutto l’iter progettuale che a portato alla suddette scelte, nella piena considerazione delle particolari condizioni contestuali. Questo esempio è considerato uno dei casi che meglio rappresenta una perfetta integrazione di più tipologie di intervento e relative tecniche fortemente diverse tra loro, ma le cui caratteristiche migliori sono state fruttate per ottenere la soluzione ottimale. Inquinamento acustico Come nel caso delle vibrazioni indotte, anche il rumore generato in un intervento di demolizione con esplosivo, può essere classificato in due categorie: quello creato dall’ esplosione vera e propria, e quello generato dalla caduta delle masse disgregate. La caduta delle masse però, non avvenendo mai contemporaneamente, non genera livelli di rumore apprezzabili; ciò che a prima vista può preoccupare di più, è il suono della detonazione. Anche in questo caso però,negli interventi ben progettati, si prevede che le cariche siano generalmente poste all’interno di fori perfettamente sigillati e non in aria libera, riducendo notevolmente anche in questo modo il rumore prodotto. Senza contare che molto prima della detonazione gli abitanti adiacenti vengono abbondantemente avvisati, è sempre possibile, come nel caso delle vibrazioni indotte, controllare il livello del rumore generato con appositi strumenti di misura detti fonometri. 80 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Problematiche di ingombro A proposito di questo problema, sembra che oramai la cultura generale non abbia più molti pregiudizi: grazie infatti alla diffusione dei media di filmati demolizioni eclatanti, il generico utente è cosciente che è possibile realizzare abbattimenti per implosione, ossia che non consentano alle macerie di fuoriuscire dal perimetro dell’edificio. A seconda della tipologia di edificio possono essere più o meno adatte diverse tecniche di abbattimento che adottano l’esplosivo: solitamente edifici alti e snelli, vengono accompagnati alla caduta creando una cerniera alla base, mentre edifici più bassi e tozzi sono più facili da abbattere facendoli collassare verticalmente su loro stessi. La concezione strutturale che sta dietro al procedimento dell’implosione è descritta nel paragrafo relativo alle “Considerazioni Strutturali in un intervento di demolizione”. Purtroppo il tragico caso del crollo delle Twin Towers dimostra come l’implosione sia un tipo di collasso applicabile anche ad edifici molto alti. Il ribaltamento laterale dell’edificio è però il procedimento più semplice di abbattimento: nel caso in cui non si disponga di un corridoio di caduta sufficientemente lungo, è sempre possibile cernierizzare in quota la struttura, oppure sezionarla preventivamente per ottenere abbattimenti separati. Cernierizzazione in quota di una torre piezomentrica. Rischi generali Una volta compreso che un abbattimento con esplosivo, se eseguito in maniera professionale, ha a monte una precisa attività progettuale e di calcolo, tutti i timori di danneggiamenti conseguenti al collasso della struttura nei confronti delle adiacenze, vengono meno. Inoltre, poiché un intervento fatto con l’esplosivo impiega un tempo di esecuzione molto più breve dello stesso intervento fatto con mezzi meccanici, staticamente anche i rischi connessi alle fasi operative sono minori. Interazione col terreno Un altro timore generalmente associato all’uso degli esplosivi, è quello di una destabilizzazione del terreno: i rischi supposti conseguenti a questa operazione sono cedimenti di fondazioni, o addirittura frane di profili rocciosi. 81 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione In verità l’esplosivistica civile trova le sue prime applicazioni proprio nello scavo in roccia: quindi nuovamente, se è garantita una professionalità nel lavoro, sicuramente il rischio di un’interazione dannosa col terreno non sussiste. Basta sfogliare un qualsiasi testo di ingegneria mineraria per vedere come l’esplosivo, a seconda del quantitativo e del posizionamento può eseguire diverse operazioni: frantumare, tagliare, far franare, o scavare. È vero che la roccia è un buon trasmettitore di vibrazioni a causa della sua rigidezza, ma è altresì vero che le alte frequenze di un’esplosione (centinaia di Hz) sono ben lontane dalle frequenze proprie di un piano di fondazione. Produzione di polveri È vero. Ad un abbattimento con esplosivi segue sempre un discreto polverone. Chiunque sia addetto ai lavori però sa che anche demolire meccanicamente un edificio provoca parecchia polvere. In quantità giornalmente minore ma distribuita per tutta la durata del lavoro. Alla fine la quantità totale risulta pressoché identica. Ma il disagio alle abitazioni limitrofe può ridursi ai pochi minuti conseguenti l’abbattimento se oltretutto si è provveduto ad informare gli abitanti di chiudere le finestre, spegnere condizionatori e ritirare i panni. Operazioni che sono sopportabili per una sola giornata e un po’ meno gestibili per venti o trenta giorni consecutivi. La polvere in entrambi i casi deve essere inerte, ossia deve essere scevra da sostanze tossiche o nocive, per Legge. Per ridurre il più possibile la polvere generalmente si bagna con idranti la zona di caduta. Questo stesso procedimento viene usato anche in caso di demolizione con mezzi meccanici, come illustrato nelle foto in basso. 82 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Proiezione di detriti La balistica dei detriti derivati dalla frantumazione del materiale è una scienza empirica, ma comunque studiata e prevedibile. Oggi è possibile calcolare con buona approssimazione la distanza massima alla quale arriverà il materiale in base alla quantità di esplosivo utilizzato, alla tempistica delle detonazioni ed al volume di materiale da demolire. Tuttavia in pochi casi ormai ci si permette di disperdere detriti nel circondario, quando gli spazi a disposizione sono insufficienti i professionisti degli esplosivi hanno l’esperienza necessaria a predisporre le necessarie protezioni, utilizzando a seconda dei casi barriere di rete, lamiere o materiali di recupero per ridurre la gittata dei frammenti. Sono stati compiuti negli ultimi anni alcuni studi seguiti da sperimentazioni sul campo che hanno permesso di individuare a seconda delle caratteristiche del materiale interessato dalle cariche il sistema più opportuno di protezioni contro i lanci balistici. Oggi è possibile anche eliminare totalmente questo problema riducendo a zero il lancio di detriti dal punto di scoppio delle cariche. Nella foto a lato si nota come nella demolizione di una ciminiera in mattoni le reti di protezione abbiano contenuto il 100% del materiale frantumato dalla esplosione. Conclusioni Il filo conduttore, che accomuna le osservazioni fatte sulle possibili questioni riscontrabili in un intervento di demolizione, è la necessità che l’operazione sia progettata ed eseguita da delle figure professionali: col tempo si è riuscito a 83 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione superare le suddette problematiche solamente grazie ad approfonditi studi ed in base a casistiche di esperienze passate, solo in questo modo è stato possibile mettere a punto una serie di provvedimenti atti a limitare totalmente o quasi, i possibili effetti secondari indesiderati dell’uso dell’esplosivo. L’utilizzo di esplosivo è in generale un mestiere pericolo, tanto più quando viene applicato alla demolizione: questo richiede delle conoscenze approfondite non solo nel campo dell’esplosivo, ma in particolare riguardo il comportamento strutturale di scheletri le cui staticità venga modificata. Del resto, sottolineare la necessità di una professionalità nella progettazione di un intervento di demolizione è lo scopo dell’intera ricerca, che mira tra l’altro a fornire un percorso formativo e degli strumenti pratici di supporto per il progettista. Cernierizzazione alla base dell’edificio. Notare il taglio sulle pareti trasversali, eseguito per eliminare possibili elementi di contrasto alla caduta; Notare i pilastri a sinistra che vengono pericolosamente spinti verso l’esterno, in direzione opposta al ribaltamento; questo comportamento si verifica spesso nelle torri piezomentriche, ove i pilastri possono funzionare da puntoni, modificando la direzione della massa cadente. 1) Il presente paragrafo è tratto da un articolo apparso sulla rivista Recycling del maggio 2005, scritto dai tecnici della società Siag Srl. Daniele Coppe, Andrea Reggiani e basato sulla loro vasta esperienza personale. 84 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione IL PROCEDIMENTO CARDOX Il procedimento Cardox nasce come tecnica di abbattimento (nata in Francia) di pareti di roccia; in seguito la sua applicazione si è estesa anche nel campo di opere in muratura, ed in cemento non armato. La demolizione dei suddetti elementi si ottiene per mezzo di una violenta esplosione all’interno di una cavità nell’elemento, riempita di anidride carbonica fortemente compressa. Nonostante la prima apparenza, questo procedimento non è considerato un sistema di tipo esplosivo. A differenza delle tecniche che si basano più propriamente sull’esplosivo, nel procedimento Cardox si sfruttano le caratteristiche deflagranti del gas compresso, che, anche se controllabili con difficoltà, non presentano il rischio di esplosione per shock dinamici. Questo procedimento è evidentemente molto meno pericoloso per il personale, tanto più che il rischio di incidenti di tiro ovvero di esplosione prematura scompaiono totalmente. Una delle differenze fondamentali tra le due tecniche consiste nella modalità di impatto: un gas che deflagra agisce in maniera molto diversa da quella di una esplosione classica: il candelotto inserito in una cavità, esercita la sua pressione (al momento dell’esplosione) in maniera localizzata, solo sulla superficie dell’elemento con cui si trova a contatto, mentre il gas ha la capacità di esercitare la sua pressione (al momento della deflagrazione) su tutta la superficie del foro nel quale è stato inserito. Principi di funzionamento Il procedimento consiste nell’introdurre un tubo particolare dentro al quale è assicurata la presenza del gas, in un foro preventivamente eseguito con un martello pneumatico nell’elemento da demolire. Si farà particolare attenzione a fissare saldamente il tubo all’interno del foro, per evitare la sua violenta espulsione (effetto siluro) al momento dell’accensione. Il tubo Cardox stesso consiste essenzialmente in un cilindro metallico costituito da tre parti: - la testa di scarico; - il corpo del tubo; - la testa di tiro. Le due teste sono raccordate per avvitamento all’estremità del corpo del tubo. Prima di avvitare la testa di scarico, si antepone una membrana d’acciaio (il disco di rottura) destinato ad otturare il corpo del tubo in una delle sue estremità: questa membrana è molto meno resistente delle pareti laterali del tubo. All’altra estremità del tubo, il lato della testa di tiro, è posto un composto infiammabile. La combustione di questa soluzione infiammabile è provocata dall’accensione di un detonatore elettrico, annegato in essa. Il detonatore viene azionato da una corrente elettrica a bassa tensione, fornita da un esploditore, raccordato alla testa di tiro. All’esterno di questa soluzione infiammabile, il corpo del tubo è riempito con del gas carbonico diossido allo stato liquido. 85 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione L’accensione innesca la combustione della soluzione infiammabile, la quale a sua volta, porta ad una rapida espansione del liquido carbonico, ed alla sua trasformazione in gas: la pressione da esso esercitata è sufficiente da provocare la rottura del disco. Questa rottura permette al gas ad alta pressione (2700 kg/cm2 ) di uscire dallo sfiatatoio della testa di scarico e di diffondersi in tutto il foro agendo sulla massa da abbattere (tempo d’azione 2 ÷ 40/1000 sec). La variazione di volume è di circa 600 volte maggiore rispetto alla situazione iniziale, e con una pressione di uscita di circa 3.000 bar si riescono ad abbattere più di 3 tonnellate di materiale lapideo. Si può in seguito riciclare il tubo Cardox, ricaricando sia la soluzione infiammabile, che il gas deflagrante e cambiando ovviamente il disco di rottura. I densità della soluzione e del gas sono scelti in modo tale che il gas stesso sia ad una temperatura tale che gli sia impossibile accendersi in ambienti con presenza di grisù ( = gas naturale particolarmente infiammabile presente in cave di roccia sotterranee). Inoltre la soluzione di carbone diossido non è altro che un gas inerte che viene solitamente usato per gli estintori, risultando quindi molto sicuro ai fini di eventuali esplosioni secondarie per simpatia. 86 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Messa in opera Il primo passo da eseguire è l’esecuzione di un foro dal diametro appropriato, per una profondità variabile tra 0,80 e 2,40 m. Il progetto di tiro deve essere scelto in funzione della natura del materiale, delle sue caratteristiche meccaniche e dei vincoli cantieristici. La riempitura del foro deve essere eseguita tentando di riempiendo tutta la profondità disponibile; nel caso in cui il tubo non possa essere conficcato fino al fondo del foro, è importante che lo si blocchi con del cemento, per evitare il suddetto effetto”siluro”. Tutti i tubi sono raccordati all’estremità, in modo tale che i fili elettrici possano essere “accesi” da un esploditore classico. Questo dispositivo permette di liberare un spinta superiore a circa 12 tonnellate. Il rendimento dell’operazione varia a seconda della durezza del calcestruzzo, mentre il volume del materiale dislocato varia tra 0,5 e 3,0 m3 . Questo procedimento non riesce però a fornire una buona produttività quando usato su elementi in calcestruzzo fortemente armato. Campi d’applicazione - demolizione di banchi rocciosi in fondo di scavo, in prossimità di opere esistenti che non devono subire eccessive vibrazioni; - demolizione di blocchi in calcestruzzo non armato o in muratura; - scavi di canali fognari, di gallerie, di collettori; - demolizione in opera con sollevamento effettuato con mezzi meccanici. Sicurezza Questo procedimento non presenta particolari pericoli. Non è un procedimento di tipo esplosivo. Le precauzioni possibili sono quelle tipiche di processi di demolizione con esplosivo: perciò si deve mantenere una certa distanza di sicurezza al momento del brillamento, per evitare rischi causati dall’eventuale proiezione di macerie, ed in particolare si deve evitare di trovarsi sull’asse del tubo di Cardox, che, se non ben fissato, potrebbe espellersi verso l’esterno. Commenti Vantaggi: - semplice utilizzazione; - economico - possibile utilizzazione in luoghi urbani (non isolati); - assai rapido; - assenza di onde d’urto, poche vibrazioni; 87 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Inconvenienti: - non efficace per il cemento fortemente armato; - raggio d’azione ridotto a circa 0,80 m; - abbastanza rumoroso; - demolizione non controllata; 88 Capitolo 2 FRANTUMAZIONE Le Tecniche della Demolizione PARZIALE dell’APPARATO COSTRUTTIVO IL MARTELLO DEMOLITORE IDRAULICO Introduzione Nella demolizione medio pesante è ormai generalizzato l’uso di martelli demolitori idraulici montatati su macchine operatrici portanti, quasi sempre escavatori. Negli ultimi anni questo prodotto è stato caratterizzato da questi da una rapida evoluzione tecnologica, che ha trasformato il martello demolitore da semplice massa battente a gravità, ad una sofisticata attrezzatura dotata di moderne tecnologie, che passeremo in rassegna nel corso di questa relazione. Sul mercato sono oggi giorno presenti una grande varietà di tipologie di martelli demolitori idraulici, tutti apparentemente molto simili, quasi eguali nell’aspetto esteriore, a volte anche nel colore, ma il cui funzionamento è basati su tecnologie sostanzialmente diverse. L’obiettivo di questa relazione è quello di fornire dei criteri per la scelta dello strumento più idoneo da utilizzare, a seconda del caso di demolizione che ci si trova a dover affrontare, tra la vasta gamma di prodotti presenti nel mercato. A monte di quest’analisi, verrà illustrata l’evoluzione della tecnologia del martello demolitore nel tempo, e verranno tra l’altro spiegate, le principali caratteristiche dei modelli moderni. Principi di funzionamento ed evoluzione tecnologica Come è facilmente immaginabile, la demolizione manuale di un qualsiasi elemento costituito di materiale lapideo, vede come protagonisti, sostanzialmente tre figure: l’uomo, il martello e l’utensile. L’operatore, attraverso un martello od una mazza, esercita un impulso su un elemento conformato a cuneo che, penetrando nella roccia da demolire, la frantuma. In questo caso il “lavoro” è dato dal prodotto del peso della mazza (intesa come forza F applicata ad un corpo) per l’altezza di caduta (intesa come spostamento s lungo la direzione della componente della forza). Con l’avvento della meccanizzazione nella demolizione, uomo è stato sostituito nel suo sforzo fisico da una macchina, che nel caso specifico era l’escavatore meccanico. La capacità di demolizione di un escavatore si può ricondurre essenzialmente ad una spinta laterale, cioè un’azione orizzontale, applicata all’organismo edilizio, tale da portarlo al collasso per cernierizzazione alla base, quindi ribaltamento, grazie alla crisi per presso-flessione dei pilastri. 89 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Per ampliare poi il campo di applicazione dell’escavatore ai lavori di scavo di materiali resistenti, e di demolizione e frantumazione del calcestruzzo, essendo questi difficilmente aggredibili con la benna, si è munito l’escavatore di una massa battente; l’intervento di demolizione consisteva dunque nel lasciar cadere la massa battente dall’alto del braccio a traliccio della macchina scavatrice. Anche in questo caso l’escavatore a fune e la massa battente, usufruendo delle leggi della meccanica, producevano un lavoro, dato dal prodotto della forza peso della massa battente, per lo spostamento percorso durante la sua caduta. Come è facilmente comprensibile, per aumentare il lavoro compiuto dal meccanismo sopra esposto, si potevano modificare solo due variabili: aumentare il peso della massa cadente oppure l’altezza di caduta. Avendo però il braccio dell’escavatore un’altezza massima limitata, per aumentare il lavoro si doveva aumentare il peso della massa battente fino al limite della forza di sollevamento dell’escavatore a funi; si diffuse così il concetto che il “peso” fosse l’elemento qualificante del sistema di lavoro. Tale idea è ancora presente, tanto è vero che alcune ditte produttrici classificano i loro martelli in relazione al peso: una catalogazione del genere avrebbe senso solo se impiegassimo il martello demolitore come una massa battente da lasciar cadere da una certa altezza. Una prima evoluzione tecnologica, quindi concettuale, si è avuta con l’introduzione dell’oleodinamica nella produzione di macchine da cantiere, il ché ha consentito la costruzione di escavatori dotati di braccio articolato, con cinematismi azionati da cilindri idraulici, alimentati da un circuito idraulico molto semplice ed a potenza costante. Di conseguenza si è andato pian piano abbandonando in principio di funzionamento e la tecnica di demolizione, della “boccia” metallica che impatta sull’organismo da demolire. In estrema sintesi questa nuova attrezzatura è composta da: un cassone, che costituisce il carter di chiusura degli impianti interni, un pistone (o massa battente), ed un utensile (la parte a contatto diretto con l’elemento da frantumare). In questo caso il concetto di peso non è più applicato a l’intero martello, ma alla sola massa battente. In base a questa nuova tecnologia di funzionamento, il lavoro sarà equivalente all’energia cinetica erogata dal sistema, e cioè: Ecin = 1 2 mv 2 Ecin = energia cinetica m = massa del pistone v = velocità del pistone 90 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Componenti costitutivi LEGENDA (a titolo d’esempio di è considerato un martello di produzione Krupp modello HM 2500 Marathon' ) 1 Dispositivo di ottimizzazione delle caratteristiche del colpo, che facilita il recupero di energia; 2 Raccordo montato di serie per la ventilazione forzata, ad es. per l'impiego subacqueo. 3 Finestrella di ispezione consente un accesso diretto per la manutenzione periodica; il corpo dei martello può essere inoltre facilmente smontato dalla cassa. 4 Dispositivo di accumulo di energia e sicurezza di avvio, assicurati da un accumulatore con pistone a gas integrato nel coperchio del cilindro. 5 Sistema di lubrificazione automatica montato direttamente sul carter dei martello; estremamente maneggevole e con un consumo di lubrificante ridotto. 6 Sospensione elastica della massa battente su elementi ammortizzatori precaricati, si evitano dannose ripercussioni sull'attrezzatura della macchina portante. 7 Piccole guide di isolamento acustico poste tra la massa battente e la cassa dei martello. Attenuazione dei contraccolpo per la sicurezza dell'operatore e della macchina ottenuta grazie a una corsa lunga della massa battente. 8 Trasmissione ottimale dell'energia battente grazie al diametro della punta uguale al diametro della massa battente. 10 Struttura esterna di elevata durata della garantita dall'impiego di materie prime resistenti all'usura nei punti sottoposti alle sollecitazioni più intense. 1 1 Sistema di protezione delle boccole contro l’ingresso di polvere. 12 Punta dell’utensile, di elevatissima qualità d'acciaio. 91 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Altra grandezza fondamentale nella definizione delle caratteristiche di un martello demolitore (o di qualunque macchina operatrice) è la “potenza”, che definisce la produttività della macchina in termini temporali, permettendone dunque anche una valutazione di tipo economico. Il successivo passo avanti che la tecnica compie per contenere i consumi dei motori endotermici ed aumentare i loro rendimenti specifici, è l’introduzione del concetto di “recupero energetico”: in parallelo alla dotazione del turbocompressore per i motori, il martello demolitore idraulico si arricchisce del dispositivo di recupero di energia: questo componente permette il recupero dell’energia secondaria, altrimenti persa, prodotta rispettivamente dai gas di scarico e dalla sovrappressione causata dal rimbalzo dell’utensile. Un ulteriore progresso tecnologico si riscontra con l’introduzione sul mercato degli escavatori con circuito oleodinamico a potenza idraulica variabile: di conseguenza anche il martello demolitore si adegua alla nuova tecnologia, migliorando le prestazioni e proponendosi con il dispositivo che consente il “colpo variabile”, cioè la possibilità di variare istantaneamente, con un processo del tutto automatico, l’energia per ogni colpo ed il numero di colpi per unità di tempo. Approfondimento sul funzionamento delle nuove tecnologie Quando il lavoro di demolizione interessa materiali duri, essendo l’urto tra due elementi con una forte rigidezza assimilabile ad un urto di tipo elastico, non tutta l’energia d’urto prodotta dal martello demolitore idraulico è trasferita sulla roccia da demolire: una parte dell’energia, sotto forma di rimbalzo, tende a dare una spinta in direzione opposta all’utensile, che tramite il pistone, trasmette il rimbalzo all’olio presente nella camera superiore di spinta, facendone aumentare la pressione. Quando un martello demolitore idraulico è dotato di dispositivo di recupero dell’energia, se l’aumento di pressione supera un valore predeterminato, l’apertura di una valvola permette il recupero dell’aumento di pressione, che andrà a sommarsi alla pressione dell’olio dell’escavatore nell’apposito dispositivo contenente gas inerte. E’ da notare che l’aumento di pressione sarà direttamente proporzionale all’intensità dell’urto e continuerà fino al cedimento del materiale in corso di demolizione. Lavorando su materiali particolarmente duri, a parità di potenza assorbita, il martello demolitore idraulico con dispositivo di recupero dell’energia, offre una maggiore produttività: infatti se il martello demolitore non è fornito di un dispositivo di recupero, l’energia di rimbalzo si dissiperà all’interno del sistema martello/escavatore sotto forma di vibrazioni e di calore, dannosi e per il circuito idraulico, e per la macchina operatrice. I sistemi per il recupero d'energia sono sostanzialmente due: accumulatore di tipo “aperto” e accumulatore di tipo “chiuso”. Con la prima soluzione la spinta del pistone è esercitata in gran parte da un gas inerte contenuto sotto pressione in una 92 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione camera sigillata da guarnizioni. Con la seconda soluzione vi è una capsula suddivisa in due parti da una membrana elastica che separa il gas inerte dall'olio idraulico; il pistone è spinto verso il basso sia dall'olio dell'impianto idraulico, sia dal gas inerte. Con il sistema di accumulazione di tipo “aperto” bisognerà confidare molto sulla tenuta delle guarnizioni che vengono sollecitate continuamente ad attrito da parte del pistone: infatti, la spinta della massa battente è assicurata unicamente dall'azoto in pressione ed è intuitivo che la minima perdita delle guarnizioni riduce di molto l'energia dei colpi a seguire. In genere, però, la demolizione di materiali compatti, duri ed omogenei, che rappresenta situazione più favorevole non è la condizione normale di lavoro, tanto meno quella più difficoltosa da affrontare. E’ invece più frequente dovere affrontare la demolizione di materiali duri ma geologicamente non omogenei. In questi casi occorre dosare l'energia di ogni singolo colpo in funzione della resistenza dello strato di materiale che, di volta in volta, si trova a contatto con la punta dell'utensile. La situazione peggiore si presenta quando l'utensile incontra un vuoto od uno strato di scarsa consistenza nella roccia: in quella occasione tutta l'energia che il martello stava fornendo diventa improvvisamente eccessiva, e deve essere istantaneamente ridotta per evitare i colpi a vuoto, i quali comporterebbero urti, vibrazioni, e calore, fortemente dannosi, sia per il martello demolitore, sia per l’escavatore. In sintesi, se la rilevazione della consistenza della roccia, la variazione dell'energia i base a quest’ultima, e la modifica della frequenza dei colpi nell'unità di tempo si adattano in maniera automatica ed istantanea alle mutate condizioni di demolizione, allora siamo in presenza di un martello demolitore idraulico predisposto con un funzionamento a "colpo variabile". Un martello demolitore idraulico così configurato, inizia il lavoro in condizioni di bassa energia e alta frequenza, per non danneggiarsi a causa dei colpi a vuoto; proseguendo nella demolizione, il martello rileva la consistenza della roccia e istantaneamente adegua proporzionalmente energia e frequenza dei colpi. Quando il materiale cede, il rimbalzo diminuisce, la corsa del pistone è immediatamente ridotta e conseguentemente diminuisce l'energia del colpo successivo. Criteri per la scelta della tipologia di martello Una volta conosciute qual è il funzionamento delle principali tecnologie che caratterizzano i vari modelli di martello in commercio, si può già affrontare la scelta dell’utensile da utilizzare nei vari casi, con maggior criterio e discernimento. Prima di individuare i criteri per la scelta dell’uso dei diversi tipi di martello demolitore, valutiamo i vantaggi che l’uso di quest’ultimo offre rispetto all’utilizzo dell’esplosivo nella demolizione. L'introduzione di nuove tecnologie ha permesso di aumentare le dimensioni, le potenze e la capacità produttiva dei martelli demolitori idraulici. Queste 93 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione innovazioni vedono l'impiego sempre più diffuso di tale attrezzatura anche nelle cave di grandi dimensioni dove in passato, per l'abbattimento primario, si faceva largo uso di perforatrici e di materiale esplosivo. La scelta tra l'accoppiata perforatrice/esplosivo e quella martello/escavatore, sarà essenzialmente legata alle seguenti condizioni: - in edilizia: eccessiva altezza dell’edificio da demolire, quindi limitatezza fisica del braccio dell’escavatore (max. 40 ÷50 m., vedi paragrafo escavatori) - sia nell’edilizia che in cava: livelli qualitativi e quantitativi di produzione previsti; - sia nell’edilizia che in cava: particolari necessità di produzione di materiale di risulta caratterizzato da una determinata pezzatura; - sia nell’edilizia che in cava: eventuali condizioni che rendono particolarmente inopportuno l'uso degli esplosivi (in cava la presenza di gas infiammabili quale il grisù; nell’edilizia varie condizioni di incompatibilità del concetto di demolizione totale, col contesto circostante). - in cava: natura geologica (dunque la durezza) del materiale; Volendo dare un esempio di scelta basata su criteri di pura produttività, si può dire che, nel campo dello scavo in cava, per produzioni di oltre mille metri cubi al giorno, in roccia particolarmente dura e compatta, si ritiene ancora vantaggioso l'uso di esplosivi; per produzioni inferiori è preferibile l'impiego del martello demolitore. In sintesi, i vantaggi dell’esplosivo sono: nell'uso di questa attrezzatura rispetto all’utilizzo - riduzione del rischio connesso all'uso di esplosivo; - competitività economica della demolizione con il martello nei confronti dell'esplosivo che, tra l'altro, è di non facile approvvigionamento, per la ristrettezza della normativa che ne regola l’uso; 94 Capitolo 2 - Le Tecniche della Demolizione razionalizzazione della produzione del materiale di risulta, in quanto la demolizione con il martello demolitore mette a disposizione del materiale con pezzature decisamente più trasportabili e adatte a essere frantumate senza altre lavorazioni (tra l’altro il prodotto della demolizione fatta con il martello è anche meno dannoso per le ruote gommate delle pale caricatrici). Tornando alla scelta tra i modelli di martelli demolitori, come prima cosa, bisogna dire che un buon martello non deve demolire tre cose: se stesso, l'escavatore e l'operatore. Il miglior criterio di confronto di prestazioni tra diversi martelli demolitori è, solitamente, quello della produttività, ovvero della quantità di materiale demolito in un determinato intervallo di tempo (dimensionalmente espresso in metri cubi/ora o tonnellate/ora). Certamente la produzione dipenderà da molti altri fattori, quali l'abilità dell'operatore, il tipo di materiale da demolire, le condizioni di lavoro ed altro ancora, ma sicuramente è strettamente connessa con la "potenza d'urto" (detta anche “potenza resa”), che varia in funzione dell'energia per ogni singolo colpo. Inoltre, a parità di potenza resa, un martello demolitore, con maggior energia d'urto in bassa frequenza di colpi sarà più produttivo su materiali duri, rispetto a quello con bassa energia in alta frequenza, che invece sarà adatto per rocce tenere. Per esemplificare il discorso, se si devono affrontare materiali duri, compatti e omogenei, la scelta può essere indirizzata anche verso martelli senza il dispositivo del colpo variabile; nel caso di materiali eterogenei, che presentano una variabilità della consistenza, è preferibile optare per un martello con dispositivo di colpo variabile. Il peso del martello non è sicuramente un termine di confronto, ma serve soltanto per stabilire l'accoppiamento con l'escavatore: a parità di potenza, quindi, sarà utile scegliere quello meno pesante. Infatti, un martello più leggero, a parità di potenza, presenta i seguenti vantaggi: possibilità di accoppiamento con escavatori di classe inferiore, quindi meno costosi, diminuendo cosi l'investimento iniziale per la macchina operatrice; minori consumi e meno ingombri. Ribadiamo ancora che il criterio più appropriato di confronto non è dunque il peso del martello, concetto generalmente diffuso, ma la potenza d'urto o potenza resa. In conclusione, analizziamo schematicamente i punti salienti che, a nostro parere, sono indispensabili per una corretta valutazione del martello demolitore idraulico. Innanzitutto, bisogna valutare i parametri tecnici principali, tra loro interconnessi, che sono di supporto per la determinazione del rendimento oleodinamico del martello: potenza assorbita, potenza resa, dimensioni e peso. Successivamente bisogna considerare le innovazioni tecnologiche, sostanziali per ottimizzare la potenza resa e trasferirla al meglio sul materiale da demolire, in quanto tali innovazioni aumentano la produzione e diminuiscono i costi di utilizzo: recupero di energia, colpo variabile e polivalenza di accoppiamento con diversi escavatori. Infine i particolari costruttivi, che sono basilari per l’affidamento ed il valore intrinseco del martello: forma e dimensioni della massa battente, accumulatore di azoto, sistema di sospensioni, ermeticità e rigidezza del cassone, centrale 95 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione automatica di ingrassaggio, sistemi di abbattimento delle polveri, contenimento dell'inquinamento acustico. Le tendenze di mercato Le ragioni che hanno portato a un sempre più diffuso impiego di questi strumenti di lavoro sono, in realtà, molteplici. Innanzitutto, non è affatto casuale che la quota più importante di questo mercato - quota che sfiora il 70 % - sia detenuta oggi dal segmento dei martelli medio leggeri che hanno un peso da 80 fino a 400 kg, e sono montabili su mini e midi, escavatori e su terne. Come per delle macchine movimento terra di dimensioni contenute, anche per i piccoli escavatori, oggi giorno si presenta un momento di grande rimonta, e questo è comprensibile visto, grazie al progressivo intensificarsi degli interventi sia di ristrutturazione edilizia, che di manutenzione stradale. Una vivacità di mercato che ha spinto le aziende costruttrici di questi veicoli a proporre al cliente le macchine già accessoriate di martello demolitore idraulico, strumento che, a seconda delle dimensioni e potenza si presta a svariati utilizzi e che, in genere, viene richiesto proprio per la sua versatilità. Diverse tipologie di punte Risulta indispensabile, infatti, in qualsiasi intervento che prevede piccole demolizioni, compresi i rifacimenti del manto stradale dove spesso vengono impiegati martelli idraulici muniti di punta a scalpello per tagliare l’asfalto. Nonostante non vi siano dubbi sul fatto che la domanda si orienti da alcuni anni in prevalenza sulle gamme medio leggere, non bisogna comunque sottovalutare l'andamento degli utensili da demolizione che appartengono, invece, alla categoria medio pesante: in altre parole, di quei martelli che oscillano dagli 8 quintali alle 7 tonnellate di peso e che sono montabili su escavatori dalle 12 alle 80 tonnellate. Pur essendo esiguo il numero di unità vendute all'anno, rispetto ai risultati ben più entusiasmanti registrati nella categoria degli utensili medio piccoli, va tenuto conto comunque della ripresa che anche questo segmento ha registrato di recente. Due sono, sostanzialmente, i fattori che hanno infuso nuova linfa a un mercato che, prima di allora, versava in una condizione di assoluta stagnazione. In primo luogo, l'ampia diffusione, già da alcuni anni, dei martelli idraulici nelle cave, a seguito dell'entrata in vigore di specifiche normative che, pur non vietando completamente l'impiego di materiali esplosivi nella demolizione primaria, di fatto ne hanno limitato notevolmente l'utilizzo. Alla luce di questa nuova situazione, quindi, il grande escavatore accessoriato di martello demolitore rappresenta oggi la soluzione più semplice perché, anche nei casi in cui la legge consente l'utilizzo dell'esplosivo, la procedura da seguire per ottenere il permesso di demolire è piuttosto ostica e impone il rispetto di una serie di regole molto complesse. 96 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione La seconda causa di sviluppo di questo comparto è stata, invece, da un anno a questa parte la volontà di numerose amministrazioni locali di dare il via, finalmente, a interventi di riqualificazione di ampie aree industriali dismesse, sia in periferia che all'interno dei centri urbani. Molte sono state, infatti, le aziende che hanno scelto di abbandonare i vecchi stabilimenti, oppure di ristrutturarli; un fenomeno che ha comportato una forte domanda non solo di pinze da demolizione, ma anche di martelli idraulici di notevole dimensione e che ha favorito una vera e propria evoluzione della produzione di settore, spingendo progettisti e costruttori a individuare modelli sempre più pesanti e potenti, in grado di distruggere persino i blocchi di fondazione degli edifici industriali realizzati con qualità di cemento ad elevata resistenza e fortemente armati, come nel caso delle acciaierie. Prospettive future Come è comprensibile dal panorama finora illustrato l'utilizzo sempre più esteso del martello demolitore idraulico in svariati comparti del mondo delle costruzioni, ha spinto le industrie a puntare molto sulla innovazione tecnologia, nel tentativo di mettere a punto modelli in grado di soddisfare al meglio le esigenze di una clientela divenuta in pochi anni molto più ampia ed eterogenea. Risultato? In primo luogo, certamente, una accesa competitività fra le più importanti aziende costruttrici, tenuto conto che il mercato italiano è al terzo posto per volume d'affari dopo quello del Giappone e degli Stati Uniti, ma anche un forte stimolo alla ricerca di tecnologie capaci di aumentare progressivamente il grado di produttività dei martelli. I!innovazione ha riguardato innanzitutto l'incremento di energia prodotta dell’utensile. I martelli demolitori delle ultime generazioni sono più potenti e sviluppano una maggiore energia per colpo; hanno quindi un rendimento maggiore a parità di potenza espressa. Fra le caratteristiche tecniche oggi più richieste, occupa un posto particolare la suddetta “potenza variabile”, che, come ho spiegato sopra, altro non è che la possibilità di adeguare la velocità del colpo alla resistenza offerta dal materiale da demolire. In questo mercato che si sta sempre più autodefinendo come settore a parte si sta anche tentando di mettere ordine nella produzione: al fine di poter avere un corretto paragone tra le caratteristiche di prodotti provenienti da costruttori diversi, ultimamente, tramite delle associazioni internazionali, si stanno dando delle regole per uniformare i dati delle prestazioni relative al martello demolitore idraulico; in pratica esiste un programma di qualificazione della produzione che si fonda su una serie di test, svolti da un organismo internazionale, che valutano la reale potenza emessa dai martelli. Tutto questo per evitare che dalle industrie vengano diffusi a scopo promozionale, come già accaduto, numeri ed informazioni non veritieri sulle caratteristiche dei vari prodotti, e per fissare delle grandezza di paragone normate che permettono il confronto chiaro e diretto tra le caratteristiche dei diversi prodotto presenti sul mercato. 97 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Le nuove tendenze privilegiano tra l’altro anche innovativi sistemi di insonorizzazione, permettendo di rispettare le recenti normative di legge che limitano l’inquinamento acustico. Anche questa importante caratteristica, come la necessità di produrre martelli ed escavatrici sempre più piccoli è stata incentivata da, ed allo stesso tempo ha permesso e favorito, un cambiamento della destinazione d’utilizzo del martello demolitore: da macchina da cava, il suo utilizzo si spostato sempre più verso i centri urbani dove le condizioni di lavoro sono più anguste e difficoltose. Un aspetto che solitamente si oppone all’invenzione di sistemi tecnologici sempre più sofisticati, è la perdita della semplicità di utilizzo e l’aumento di necessità di manutenzione: la ricerca è, allo stesso tempo, impegnata nello studio di modelli in cui gli interventi di manutenzione siano ridotti all’essenziale. Modelli che possono diventare quindi molto appetibili, oltre che per il cliente tradizionale che continua a preferire l’acquisto, anche per quello che decide di sperimentare la formula del noleggio. Questo spiega il crescente successo di martelli (specie della fascia medio-piccola) che presentano alcune tecnologie atte a migliorare la durabilità nel tempo e limitare gli interventi di manutenzione: esistono, ad esempio, modelli a monoblocco dove sono stati eliminati tutti i tiranti, le componenti cioè più soggette all’usura ed a guasti; oppure delle versioni che presentano una guarnizione che protegge la massa battente in fase operativa dall’introduzione di schegge di materiale e di polvere; un’ultima innovazione è data da un sistema di lubrificazione automatica che unge la punta con del grasso, ogni volta che l’operatore mette in moto il martello, per ovviare a dannose dimenticanze. Alcuni consigli pratici per il corretto uso del martello demolitore idraulico A fini di una corretta utilizzazione in condizioni di sicurezza, si ritiene opportuno richiamare alcune utili considerazioni, ed alcuni accorgimenti pratici raccolti dalle case costruttrici, relative alle tecniche d'uso del martello demolitore idraulico. Posizionamento martello rispetto elemento da demolire: - un presupposto fondamentale per un'efficiente demolizione dei materiale è che l'utensile lavori sempre con un angolazione di 90 gradi rispetto al paino del materiale da demolire; man mano che la superficie si demolisce, occorre correggere immediatamente l'angolazione dell'utensile; - occorre usare il braccio portante per mantenere una pressione costante dietro al demolitore, quando questo è in funzione. In questo modo ci si assicura che l'utensile venga applicato al materiale con una forza costante; - quando bisogna demolire un masso di grandi dimensioni è preferibile non iniziare la demolizione dal centro di questo, ma per una migliore attaccabilità, è meglio partire dai lati esterni; 98 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - se si usa l'utensile in modo errato, le boccole porta-utensile si usureranno in modo non uniforme: questo causa un aumento delle sollecitazioni sull'utensile e sulla superficie dì battuta dei pistone; ad esempio se si usa l'utensile contro superfici oblique, si possono facilmente produrre nello stesso notevoli sollecitazioni che possono portare alla rottura dello stesso; - per i lavori in tunnel, è importante che il demolitore sia angolato a più di 90 gradi rispetto al braccio portante; in questo modo, i pezzi di roccia che si distaccano non danneggeranno il braccio portante o l'operatore; Sollecitazioni indotte sul martello: - bisogna fare attenzione a non applicare una forza di avanzamento tale da far sollevare il mezzo portante dal terreno; - non è necessario lavorare sullo stesso punto per più di 15 secondi; se l'oggetto da demolire resiste, posizionare l'utensile da un’altra posizione; - quando il materiale s'infrange, evitare di continuare la percussione; la percussione a vuoto è la causa più dannosa di una rapida usura dei trattenitore e del codolo; - occorre tenere sempre presente che il demolitore è un utensile a percussione, capace di resistere a sforzi assiali, e non deve quindi essere soggetto a sollecitazioni di flessione; - l’uso di utensili piatti o a tagliente largo, su superfici dure può causare notevoli forze di torsione che possono danneggiare non solo il tagliente dell'utensile, ma anche il codolo e il trattenitore; - gli utensili sono temprati attraverso speciali procediementi e non possono quindi essere rifucinati; è invece possibile rettificarli o lavorarli a macchina; Vibrazioni indotte: - se la pressione di avanzamento è insufficiente, il meccanismo antivibrazione dei demolitore non sarà pienamente efficiente e le vibrazioni meccaniche si trasmetteranno al mezzo portante; - se le normali vibrazioni a cui è soggetto l’escavatore, cominciano ad aumentare di frequenza ed intensità in modo anomalo, ciò indica che i gas nell'accumulatore sono soggetti ad un’eccessiva sovrapressione; Regime delle temperature: - quando la temperatura dell'olio supera gli 80°, è necessario fermare il demolitore. Se la temperatura dell'olio è inferiore a –10°, è necessario riscaldare il demolitore prima d'iniziare il lavoro; - l’uso del martello demolitore in ambienti freddi, al di sotto di –10°, può causare la frattura dell'utensile. Per evitare questo inconveniente, riscaldare l’utensile prima d'iniziare il lavoro; 99 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - l’utensile si usura molto rapidamente se surriscaldato. La superficie di contatto assume una forma a fungo e diventa fragile; per questa ragione è bene evitare tempi di percussione prolungati; - un tipico danno da frattura, causato non solo da temperature troppo fredde, ma anche da eccessiva fatica, provoca il formarsi del caratteristico motivo ad anelli su gran parte della superficie di frattura. Glossario termini tecnici - Contropressione: definizione della pressione presente nel condotto di ritorno dell'olio al serbatoio. - Energia d'urto: è indicata in joule (J) o in chilogrammetri (kgm) ed è l'energia di ogni singolo colpo: il pistone o massa battente durante la sua discesa si carica di energia cinetica che viene trasferita all'utensile nel momento dell'impatto. - Potenza assorbita: energia per unità di tempo richiesta per compiere il lavoro; si esprime attraverso l’espressione: Pa = (pQ)/600, dove Pa è la potenza espressa in chilowatt (kW); p è la pressione in bar; Q indica la portata in litri al minuto (alcuni costruttori indicano erroneamente la potenza assorbita, al posto della potenza d'urto). - Potenza d'urto o potenza resa: capacità di lavoro eseguibile dalla macchina; si esprime attraverso l’espressione: Po = (FrEn )/60000, dove Po indica la potenza espressa in chilowatt (kW); Fr indica la frequenza espressa in numero di colpi al minuto; En indica l'energia espressa in joule (J). - Rendimento medio: come qualsiasi rendimento di una macchina, è il rapporto tra la potenza d'urto e la potenza assorbita ( η = ∆L L1 ). Ogni volta che si trasformano delle energie si hanno delle perdite. Il rendimento medio è in relazione diretta con il rendimento idraulico, a sua volta collegato al contenimento delle dispersioni del flusso d'olio all'interno dei martello; Talvolta si possono trovare indicati anche il rendimento meccanico ed il rendimento d’urto; il rendimento meccanico dipendente dalla qualità dei materiali, dal grado di lavorazione di finitura e trattamenti termici sul componenti dei martello: una lavorazione grossolana produrrà maggiori attriti, surriscaldamento, minore durata e minore rendimento; il rendimento d'urto che sarà in funzione dalla forma dei pistone e dell'utensile; se i diametri dei due componenti sono molto vicini l'onda d'urto si trasmetterà interamente al materiale da demolire. A titolo d'esempio, indicativamente possiamo evidenziare dei valori di rendimento per classi di peso del martello: per martelli con peso fino a 200 kg il rendimento è 0,55; per quelli con peso fino a 400 kg il rendimento sarà 0,60; se la tara arriva a 1.000 kg il coefficiente si attesta a 0,65; per le attrezzature oltre i 1.000 kg l'efficienza si ferma al valore 0,70. 100 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione L’ESCAVATORE MECCANICO A monte dell’utilizzo di qualsiasi strumento di demolizione, sta la macchina adibita alla movimentazione dell’utensile stesso: tutti gli utensili che andremo ad analizzare in seguito, quali il martello demolitore idraulico, pinze, cesoie, frantumatori, hanno in comune la possibilità di essere montati sullo stesso supporto, e cioè il braccio dell’escavatore meccanico. Negli ultimi anni, con l’avanzare del settore della demolizione, si è presentata sempre più la necessità di utilizzare macchine attrezzate con tipologie di braccio adatte a sopportare impieghi anche molto gravosi. Fin da quando è emersa questa necessità, le aziende produttrici hanno iniziato a realizzare bracci da demolizione idonei ad essere utilizzati su ogni tipo o marca d'escavatore, con varie combinazioni di, possibilità d’altezza raggiungibili e di capacità di portata dell’utensile, ottimali per la macchina. Lo scopo di questa relazione illustrativa sull’escavatore meccanico, è quello di fornire un’analisi dell’evoluzione di quelle macchine che, utilizzate inizialmente in modo empirico, con adattamenti improvvisati in cantiere, hanno finito per diventare veri e propri strumenti dedicati specificamente al settore della demolizione. In questa sede non si entrerà in merito alla maggiore o minore efficacia di un sistema di demolizione rispetto ad un altro, considerazioni che saranno argomento della terza parte dell’opera, in cui verranno messe a confronto le adeguatezze e le capacità di adattamento delle varie tecniche di demolizione a seconda del contesto in cui ci si trova a dover operare. Come premesso, è stato proprio l’affermarsi, dei nuovi utensili per la demolizione, quali e pinze e cesoie idrauliche, che ha portato la macchina base (escavatore idraulico appunto) ad escavatore cingolato assumere una connotazione ben precisa in funzione della sua capacità di portare il via via crescente carico dell’utensile demolitore in posizione di lavoro, e fornirgli l'energia (sotto forma di pressione oleodinamica) necessaria per il funzionamento. Evoluzione utilizzo escavatore Prima ancora di abbinare l’escavatore ai suddetti utensili di demolizione, iniziamo col dire che l'escavatore idraulico è da sempre stata la macchina più utilizzata per la demolizione. Da mezzo per movimento terra è stato rapidamente 101 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione convertito in uno strumento particolarmente efficace nella demolizione di strutture realizzate in laterizio prima, e in cemento armato o acciaio in seguito. Ricordiamo infatti che i primi interventi, consistevano semplicemente nello spingere e tirare la struttura grazie ada uno sperone montato su prolunghe fisse poste al posto della benna: così facendo era possibile demolire, costruzioni in laterizio o comunque di consistenza modesta. In pratica non si faceva altro che applicare delle forze orizzontali alla struttura, portandola al collasso per semplice ribaltamento. Le strutture più impegnative invece, sia in cemento armato che in ferro, venivano demolite manualmente con l’impiego di personale operante direttamente sul manufatto: è evidente che simili interventi comportavaano enormi rischi per la sicurezza delle maestranze, oltre ad un basso livello di produttività. Come è possibile comprendere da ciò che è stato finora esposto, l’utilizzo dell’escavatore nella demolizione si limitava fino a poco tempo fa alla cosidetta fase primaria, cioè il portare la struttura al collasso, lasciando però vacante la fase della demolizione secondaria, ossia la frantumazione degli elementi, in componenti di dimensioni tali da favorire un facile trasporto. In seguito, l’utilizzo del martello idraulico per lo scavo in roccia, montato sull'escavatore fu rapidamente sperimentato anche nella demolizione di costruzioni in cemento armato, ottenendo eccellenti risultati per lo sgretolamento della struttura, (ossia la demolizione primaria), lasciando però insoluto il problema dello sgombero dei materiali di risulta, a causa della presenza del ferro che doveva essere tagliato a mano. 102 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Come premesso, è stata proprio con la successiva messa a punto di pinze, cesoie e frantumatori, che affiancando il martello demolitore idraulico, ha permesso di affrontare e risolvere brillantemente a terra anche la demolizione secondaria, e cioè lo sgretolamento e sminuzzamento, per un pronto recupero dei materiale per le successive fasi di riciclaggio. L’applicazione di questi utensili sugli escavatori tradizionali non è risultata particolarmente difficile. L'impianto idraulico di base della macchina, tutto sommato, permetteva l’alimentazione dell’utensile in modo non particolarmente difficile, anche se la sua utilizzazione ha richiesto successivamente alcuni interventi. Questi efficientissimi utensili hanno permesso, tra l’altro, di affrontare la problematica della demolizione in modo ottimale, oltre che dal punto di vista della produzione, anche dal punto di vista della sicurezza, riducendo sempre più l’utilizzo diretto dell’operatore sulla struttura da demolire, che ovviamente il più delle volte si trova già in uno stato di degrado e fortemente pericolante. Pinza per taglio di struttura metallica attaccata ad escavatore meccanico 103 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Limiti di utilizzo La vera trasformazione si è verificata però. con l'esigenza di dover affrontare altezze e distanze sempre maggiori, e comunque ben superiori ai normali valori accessibili da un braccio standard da escavatore. Per altezze superiori a 15 - 16 m, il braccio normale non è più sufficente. Aggiungere prolunghe fisse non permette di recuperare grandi altezza, pregiudicando spesso sia la stabilità della macchina che la sua capacità idraulica. Si sono resi pertanto necessari due radicali interventi sulla macchina base, che ne hanno in parte modificato l’essenza: il primo rivolto ai bracci, che si sono evoluti secondo esigenze particolari, il secondo conseguentemente rivolto ad incrementare la stabilità della macchina per le mutate esigenze di impiego. Si sorvola appositamente su quelle miriadi di applicazioni particolari, spesso ardite, che di volta in volta hanno permesso di trasformare un escavatore già operante in una macchina da demolizione. In seguito si è cercato di classificare le più utilizzate tipologie di bracci, che, attraverso una opportuna geometria, permettono di operare egregiamente fino a ragguardevoli altezze, e che per una certa standardizzazione sono entrate a far parte di una ben definita offerta all’impresa di demolizione. Grande capacità di adattamento degli escavatori moderni agli spazi più ristretti La produzione standard di bracci da demolizione si può riassumere mettendo in luce queste principali tipologie: 104 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - bracci tradizionali, i quali rappresentano la soluzione ideale per demolizioni a media altezza; - bracci articolati, ideali per demolizioni a forte altezza, e quando è necessario operare anche al suolo; questo tipo di attrezzatura permette un’agevole sostituzione con bracci da scavo tradizionali; - bracci monolitici: rappresentano la soluzione meno costosa per questo genere d’applicazione, in quanto viene utilizzato il braccio base della macchina. Per operazioni di pura demolizione, però, non consentono elevate prestazioni in altezza, mentre è molto rapido il montaggio sulla macchina d’attrezzature tradizionali di scavo. Entrando maggiormente nel dettaglio si possono individuare le seguenti tipologie di funzionamento del braccio dell’escavatore: - braccio principale snodato con cilindri ausiliari ed avambraccio lungo. Per altezze fino a 16 - 18 m. (in funzione della dimensione della macchina base), permette una grande operatività ed una eccellente lavorazione a terra. Lo snodo aggiuntivo permette di mantenere il carico relativamente vicino alla macchina, per cui in generale, per queste versioni, si possono montare utensili di notevole potenza. Il braccio, per la sua particolare conformazione, può essere utilizzato anche con la benna, pertanto la macchina mantiene molte delle prerogative dell'escavatore classico. Per il raggiungimento di altezze superiori vengono montate prolunghe che sono sicuramente in grado di innalzare l'utensile, ma appesantiscono il braccio, con sensibile svantaggio rispetto al braccio specifico da demolizione visto nel paragrafo precedente. Una variante di prolunga è il braccio telescopico, che permette di raggiungere grandi altezze quando necessario e, contemporaneamente di riavvicinare l'utensile quando ci si abbassa con la demolizione. Questa operazione permette di limitare lo sbalzo e migliora quindi la stabilità; - braccio in due parti con monolitico diritto (invece della forma classica a boomerang) e avambraccio lungo. Trova impiego su macchine che non necessitano di grandi altezze, oppure su macchine di grandi dimensioni per utensili molto potenti che privilegiano la produzione a media altezza e la frantumazione a terra; 105 Capitolo 2 - Le Tecniche della Demolizione braccio articolato con tre elementi. In questo caso il braccio è costruito con lo scopo fondamentale di raggiungere le maggiori altezze. Naturalmente la potenza dell’utensile dipende dalla dimensione della macchina. Le macchine lavorano con la prima parte del braccio in posizione pressoché verticale, ammettendo un piccolo scostamento da questa posizione, in quanto molto rapidamente si arriva a pregiudicare la stabilità della macchina. Il tronchetto intermedio fornisce l’avanzamento al braccio porta utensile, mentre il braccio porta-utensile posiziona lo stesso per le operazioni di lavoro. Il braccio può rannicchiarsi per limitare le dimensioni di ingombro durante il trasporto. Per ridurre ulteriormente le problematiche di trasporto, il primo braccio, secondo le ultime tendenze, viene diviso in due parti in modo che il primo troncone resti sempre montato sulla macchina, mentre il resto del braccio può essere staccato e posizionato su un supporto adeguato. Lo smontaggio del braccio da demolizione in corrispondenza del primo tronco permette alla macchina di montare un braccio da scavo standard in modo da rendere l'escavatore più versatile. La logica di impiego di queste prolunghe, sia fisse che telescopiche, è quella di poter utilizzare utensili con capacità diversa in funzione dell’altezza di lavoro. Per cui, in certi casi, si montano le prolunghe per raggiungere la massima altezza limitando la capacità dell'utensile, perché è predominante la necessità di arrivare nel punto desiderato, anche se con una piccola capacità produttiva. Successivamente, con il diminuire dell’altezza della demolizione, viene smontata la prolunga e montato un utensile con capacita superiore, per avere maggiore produzione. Una caratteristica particolarmente apprezzata della prolunga telescopica è la possibilità di avvicinare l’utensile con movimento rettilineo, e quindi più facilmente controllabile, rispetto all’uso di combinazioni di due o più movimenti delle varie parti del braccio. Abbiamo visto come notevole sia stata la trasformazione subita dal braccio dell’escavatore per diventare braccio da demolizione. Altre parti della macchina subiscono però modifiche ed adattamenti considerevoli: il sottocarro, la piattaforma girevole, l’impianto idraulico. Ricordando che la macchina da demolizione, nasce dall’escavatore, macchina movimento terra, si può facilmente comprendere come le sue caratteristiche 106 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione fondamentali siano mirate a fattori produttivi, quindi velocità nei movimenti, con cicli di lavoro sempre più rapidi. Nella demolizione primaria i movimenti devono essere invece perfettamente controllabili, non scattanti né, tranne l'utensile, particolarmente veloci. Le caratteristiche dell’impianto idraulico sono pertanto differenti. L’adozione sulle macchine moderne di sistemi Load Sensing e dell’elettronica, ha reso agevole l’adattamento dei parametri dell’impianto alle nuove esigenze. Il dispositivo di rotazione, ralla con riduttore a motore idraulico, è ugualmente previsto anche per l’escavatore utilizzato nella demolizione, non senza alcuni interventi di adattamento. Arrivando dunque a problemi di equilibrio globale del mezzo, è intuitivo comprendere come all’aumentare del peso dell’attrezzo sollevato dal braccio o, dell’altezza che si vuole raggiungere, cresce proporzionalmente il problema del ribaltamento del mezzo. Analizziamo i due casi: mantenendo costante il braccio tra la base d’appoggio e il punto d’applicazione del carico di servizio da sollevare (nel nostro caso il peso dell’attrezzo demolitore quale, il martello idraulico, il frantumantore etc.) l’aumento del momento ribaltante è abbastanza intuitivo; con l’aumento dell’altezza da raggiungere, cresce necessariamente la lunghezza e dunque il peso proprio del braccio dell’escavatore: per ragiungere perciò forti aggetti ad alte quote, è preferibile dunque non inclinare il braccio, ma utilizzarne uno spezzato in tronconi, in modo da non aggiungere all’eccentricità del carico, anche quella del peso proprio del braccio. L’aumento del contrappeso, indispensabile su tutte le macchine per garantire la suddetta stabilità, più le nuove condizioni di carico determinate dal braccio, cambiano di conseguenza le sollecitazioni che arrivano alla ralla, per cui si sono rese necessarie sia modifiche strutturali della piattaforma girevole, oltre all’adozione di ralle con capacita di carico maggiori. Anche il carro normalmente richiede l’adozione di alcuni accorgimenti. L’esigenza della massima stabilità possibile in direzione dell’asse pirncipale del carro spinge all’adozione di carri lunghi. La stabilità longitudinale è dunque facilmente raggiungibile, mentre per quella laterale resta una grossa difficoltà da superare. I carri non possono essere eccessivamente larghi, in quanto la larghezza costituisce una delle maggiori remore per il trasporto di questi mezzi. Alcuni costruttori sono in grado di ovviare a questo inconveniente fornendo carri cingolati a carreggiata variabile, in grado di rientrare in accettabili dimensioni di ingombro per il trasporto e fornire, allo stesso tempo, la base di appoggio allargata in cantiere quando sia necessaria una buona stabilità. Un’ulteriore soluzione per ovviare al probrema del ribaltamento laterale del mezzo, in seguito all’aumento dell’ecentricità del carico, è costituito dall’utilizzo di appoggi estensibili uscenti dal carro, che, sollevando tutto il mezzo forniscono una base d’appoggio più estesa; ciò comporta un aumento del braccio resistente ( e dunque del momento) del mezzo, nei confronti del momento ribaltante fornito dal carico eccentrico. 107 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Escavatore meccanico Vs esplosivi Viene ora spontaneo chiedersi quali altezze massime si possano raggiungere, al giorno d’oggi, dal punto di vista prettamente tecnico. I valori massimi attualmente considerati, per garantire una buona operatività, si aggirano essenzialmente sui 35-40 metri. Ma, a sentire le ditte produttrici, questi dati non costituiscono un limite, né per la macchina (per la quale sono disponibili soluzioni diverse, non ultima quella della costruzione di un mezzo totalmente dedicato e ottimizzato per questa funzione), né per l’operatore: infatti è ormai diffuso l'utilizzo di telecamere o di particolari sistemi di controllo visivo che possono colmare la distanza tra operatore e la zona d’impiego dell’utensile; in certi casi, sono previste ed allestite cabine reclinabili con tutto il posto guida, per la migliore disposizione dell’operatore nei confronti dell’utensile. L’odierna altezza massimale sembra oggi rappresentata dal progetto di un'azienda, la quale sta preparando un braccio che raggiungerà un’altezza di 50 metri: composto da tre sezioni ripieghevoli e da una telescopica, è dotato infine di una prolunga terminale. Un limite concreto, invece, può essere la convenienza per l'impresa di affrontare una demolizione da terra quando, per altezze superiori a quelle normalmente considerate, ci si trova tra l’altro in presenza di costruzioni relativamente recenti, le cui dimensioni implicano la presenza di strutture di notevole portata. È qui che entra il gioco la demolizione tramite esposivo, campo che da sempre si oppone alla demolizione tradizionale attuata con mezzi meccanici; nella parte del testo relativa agli esplosivi si tenterà di tracciare il limite della convenienza tra le due tecnologie, evidenziando i vantaggi dell’una e dell’altra. Sempre in caso di forti altezze si può prevedere l’uso di sistemi di demolizione che prevedano macchine di dimensione opportuna posizionate direttamente al piano, ed utilizzate per lo smontaggio della struttura solaio per solaio. Abbiamo visto come la macchina da demolizione abbia assunto alla fine una sua nuova fisionomia ben precisa. Si stanno infatti abbandonando trasformazioni empiriche o improvvisazioni, ed il demolitore, da attento professionista nel suo lavoro altamente specializzato, si orienta sempre più verso l’utilizzo di un mezzo concepito per questo scopo sin dalla sua progettazione. Tanto è vero che costruttori di fama mondiale sono arrivati a propagandare una serie di macchine, che rientrano nella classificazione di “Demolition Line”, proprio per distinguerle dall’escavatore tradizionale da cui sono nate, ma da cui in seguito, proprio per le modifiche sostanziali subite, si sono differenziate. La tabella 1. si propone di riassumere la disponibilità di macchine oggi offerta dal mercato, nell'ambito di una ormai consolidata omogeneità. 108 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione I MARTINETTI PIATTI Risultati interessanti possono essere ottenuti anche con l’utilizzazione di martinetti piatti posizionati all’interno di incavi realizzati all’interno dell’elemento da demolire. I risultati ottenuti sono essenzialmente analoghi a quelli ottenibili con i martinetti idraulici. Si creano delle fessure che vengono allargate fino a quando le armature interne possono essere tagliate con dei candelotti. Contrariamente ai martinetti idraulici, i martinetti piatti possono essere utilizzati anche su elementi di piccolo spessore. I DIVARICATORI I dilatatori idraulici sono degli apparecchi che utilizzano il principio del cuneo, ben conosciuto per i lavori eseguiti su pietra. Per tagliare un blocco di pietra in due parti, si crea una piccola fessura (allineata con la linea di taglio) con l’aiuto di un martello perforatore, si posiziona poi il cuneo, che verrà conficcato nella massa. Al giorno d’oggi, per demolire le murature, oppure delle opere in calcestruzzo (molto o poco armato), si utilizza lo stesso principio, potenziato attraverso un impianto oleodinamico che agisce su uno o più pistoni. Principio di funzionamento Tenuto conto del progetto di taglio stabilito dal progettista, ed in funzione dei vincoli imposti dal cantiere (potenza delle macchine di sollevamento, possibilità di posizionare dei dilatatori, limiti di tempo, etc.) si determinano le superfici di taglio. Considerando la tensione di rottura del materiale ( ft ) da demolire ed in funzione della potenza dei suddetti dilatatori, si determinano il numero di apparecchi necessari. A seconda delle marche, dei modelli, e della potenza degli apparecchi, esiste un’offerta che varia su una gamma dalle 70 alle 350 tonnellate di pressione esercitata. Tutti basati sullo stesso principio di funzionamento, i diversi dilatatori presentano alcune differenze che li rendono più o meno adatti a certi lavori; qui in seguito si vengono presentate le principali tipologie di divaricatori. 109 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Il Rock Jak Questo dilatatore è costituito da una serie piccoli pistoni che agiscono in parallelo, grazie ad una piastra di ripartizione, sulla parete di un foro eseguito preliminarmente nell’elemento da demolire. Lo svolgimento delle operazioni è il seguente: si comincia col forare il materiale da demolire. Affinché l’apparecchio possa agire nelle migliori condizioni, si deve effettuare questa penetrazione con la massima minuzia possibile: sezione ben circolare, asse rettilineo, assenza di asperità. Contemporaneamente all’apparecchio, si introduce una piastra speciale per la ripartizione degli sforzi. Uno spostamento di 3 mm. di questi pistoni è già sufficiente per provocare una fessura nell’elemento, secondo un piano perpendicolare all’asse del pistone. Gli sforzi esercitati sono in media di circa 140 tonnellate, ma variano a seconda del modello considerato. Il Darda Questo dispositivo comprende un solo pistone che agisce su un componente a forma di cuneo. Questo cuneo “allontana” due semi-gusci metallici che si applicano contro la parete del foro per permettere allo sforzo di svilupparsi. Lo svolgimento delle operazioni è molto simile a quello del procedimento precedente. Si comincia sempre eseguendo uno o diversi fori ben circolari ed ad asse rettilineo, al fine di evitare la rottura del cuneo. In seguito si introduce nel foro l’apparecchio munito di una punta adatta al materiale da demolire. Con l’accensione della pompa idraulica (elettrica, pneumatica o ad motore diesel), il gambo del pistone inizia a discendere ed a spingere il cuneo tra i due gusci, che iniziano quindi ad allontanarsi: di conseguenza il calcestruzzo comincia a fessurarsi. È da notare che i due gusci metallici presentano una superficie leggermente inflessa alle loro estremità al fine di migliorare la loro resistenza per forma alle forti pressioni a cui sono sollecitate. Questo procedimento permette un lavoro molto più efficace ed evita che si fratturino solo i bordi superiori del foro, rendendo impossibile il resto dell’abbattimento. 110 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Per evitare di danneggiare l’apparecchio è necessario tuttavia, effettuare un foro di profondità sufficiente affinché il cuneo divaricatore non si inceppi. Gli sforzi esercitati variano da 85 a 350 tonnellate a seconda dei modelli. Il Gullick Dobson Questo apparecchio è della stessa famiglia del Rock Pak. Allorché si aziona l’apparecchio, il pistone risale verso l’interno e allontano due cunei (semi gusci). Il funzionamento del pistone è assicurato da una pompa idraulica a comando manuale, o da una pompa ad aria alimentata da una compressore, raccordato ad un circuito ad aria compressa. Si riporta in seguito una tabella riassuntiva delle principali caratteristiche degli apparecchi finora illustrati: Marca Modello Forza di dilatazione (tons.) 10 107 Rock Jak Diametro del foro necessario (mm) Lunghezza del foro (mm) 88,9 600 22 + 24 (divaricatore + pompa) 75 160 Darda Rock Pac Peso (kg) C1 85 23 - 25 210 9 C2 200 32 – 35 270 17,5 C3 230 35 – 38 430 21,5 C 3W 190 35 – 38 440 21,5 C 3WL 190 35 – 38 590 24,7 C 3WLL 190 36 – 38 700 26,2 C4 230 40 – 42 640 28 C 4W 190 45 – 48 660 29 C5 320 42 – 48 640 31,5 C 5W 260 45 – 48 660 32,5 C6 350 45 – 48 790 36 C 11 315 45 – 48 630 36 C 11L 365 45 – 48 700 37,8 C 11W 265 45 – 48 560 36 Mini 60 36 200 52 + 16 160 160 55 – 70 300 – 570 20 + 16 350 350 60 – 80 300 – 570 30 + 16 (divaricatore + pompa) Gullick Dobson G.D. 100 50 356 (cuneo 46mm) 508 (cuneo 46mm) 111 39 (cuneo 46mm) 46 (cuneo 46mm) Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Messa in opera La messa in opera di questi apparecchi non deve essere necessariamente eseguita da una mano d’opera specializzata, non richiede quindi una formazione particolare. I dilatatori sono solitamente impiegati dalle imprese di demolizione che utilizzano anche le altre strumentazioni per la demolizione controllata, quali la lancia ad ossigeno, gli utensili diamantati etc., e preferiscono utilizzare gli spacca-roccia meccanici per spezzettare grandi blocchi di calcestruzzo precedentemente tagliati con le tecniche suddette. Risulta essere un procedimento abbastanza rapido e relativamente poco costoso. Allorché ci si trova in presenza di calcestruzzo leggermente armato, è possibile (a seconda della potenza erogabile dall’apparecchio) prima di arrivare alla rottura, allargare la fessura di alcuni cm, per poter cosi tagliare i ferri con la fiamma ossidrica. Grazie alla relativa leggerezza delle apparecchiature, e grazie al loro funzionamento autonomo, questi divaricatori risultano molto maneggevoli e possono essere utilizzati praticamente in qualsiasi tipo di cantiere. In generale, i divaricatori sono uno strumento totalmente silenzioso e non generano né polveri, né esplosioni, né vibrazioni, tutte caratteristiche molto apprezzabili sopratutto in situazioni di demolizione controllata. Campi d’applicazione Considerate le caratteristiche finora descritte, le applicazione più frequenti, sono le seguenti: - demolizione di opere in muratura, i calcestruzzo non o debolmente armato, oppure di massi di roccia. - completamento della demolizione di grossi blocchi in calcestruzzo, tagliati in precedenza tramite altre tecniche, al fine di una loro migliore frammentazione in pezzi più piccoli per facilitare il loro successivo smantellamento. Anche dal punto di vista della sicurezza questa tecnologia risulta molto vantaggiosa, non comportando alcun rischio per il personale addetto. Si riassumono in seguito le principale caratteristiche (positive e negative) della tecnologia sopra descritta. 112 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Consigliabile: su strutture in cemento anche fortemente armato; su blocchi di roccia omogenea; quando la struttura si può espandere senza danni; quando non si possono attendere i tempi dell'espansione chimica; quando si vuole ridurre in frammenti blocchi in locali con uscite anguste; su spessori non inferiori ai 200 mm. Lavori tipici: su vecchi caveau; su basi di gru, macchinari, plinti e simili; “scapitozzamento” di pali di fondazione; spallamento di centine di gallerie in cemento armato. Vantaggi: frantumazione carriolabile di grosse strutture; limitato impiego di mezzi, energia, personale; direzionabilità dell'azione espansiva; rapidità di esecuzione; possibilità di eseguire lavori sottomarini; economico; assenza di vibrazioni e rumori; assenza di polveri e fumi; sicurezza nell’impiego; autonomia di funzionamento. Limitazioni: utilizzazione difficoltosa per il cemento armato (causa presenza ferri); raggio d’azione ridotto; la struttura da demolire deve essere libera di espandersi anche per evitare danni alle strutture adiacenti; i ferri di armatura del cemento vanno tagliati successivamente; nei modelli a cuneo, la lunghezza del foro deve essere maggiore di quella del cuneo; la profondità di spacco nei modelli a cuneo è limitata dalla lunghezza del cuneo stesso; Attrezzatura: si va dagli spaccaroccia costituiti da cunei infissi a colpi di mazza, ai modelli azionati idraulicamente; 113 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - quelli idraulici possono disporre di cunei divaricatori coassiali al foro o di cilindri (da 1 a 5) ad azione trasversale al foro. Potenza di spacco: forza di spacco può superare le 250 tonnellate di spinta per singolo divaricatore; con una centralina si possono attivare contemporaneamente fino a 8 divaricatori raggiungendo le 2.000 tonnellate di spinta; utilizzando più divaricatori in fori eseguiti lungo una linea di taglio, si crea una spaccatura continua. Motorizzazioni: alcuni dispongono di pompa idraulica a mano; la maggior parte di centralina idraulica azionata da motori elettrici od a scoppio; Potenze: da 3 a 5 Kw ca. Pesi: martinetti da 15 ad oltre 35 Kg ciascuno, centralina da 70 ad oltre 100 Kg ca.; Personale necessario: 1 operaio (qualificato). SPACCA-ROCCIA CHIMICI La demolizione con il sistema in oggetto prevede di dover praticare sull’elemento da demolire (indifferentemente costituito da roccia, calcestruzzo o muratura), una serie di fori. con un’opportuna geometria, nei quali sarà colato poi un agente demolitore non esplosivo dalle forti capacita espandenti. Quindi la demolizione risulta essere di tipo meccanico; il prodotto dentro i fori, a momento dell’indurimento, aumenta di volume con una spinta che, a circa 4 giorni, raggiunge, al foro, 8-900 kg/cm2 . Quando la pressione arriva a 400 kg/cm2 , si riescono già a rompere la maggior parte delle rocce. La migliore utilizzazione di questo prodotto risulta in lavori di demolizione silenziosi ed esenti da vibrazioni e proiezioni di pietre. La distanza da un foro all’altro ed il raggio d’azione del prodotto sono strettamente dipendente dalla durezza della roccia e dal diametro dei foro eseguiti. Il peso specifico di questi particolari materiali espandenti è di circa 1, 7 kg/dm3 . La fornitura di questo prodotto avviene sotto forma di polvere, che dovrà poi essere miscelata con un’idonea quantità d’acqua: il risultato è un’ liquido denso che verrà versato negli appositi fori eseguiti nel manufatto da demolire. Nel caso di applicazioni orizzontale e impieghi sopra testa, esistono in commercio prodotti particolari, i quali, una volta miscelati con l’acqua assumono una consistenza malleabile e pastosa: questa massa verrà arrotolata a mano in piccoli salsicciotti ed introdotta immediatamente nei fori. Per ottenere un’azione 114 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione efficace è consigliabile comprimere i succitati rotolini all’interno del foro, con l’aiuto di un’asta (il cui diametro corrisponda all'incirca a quello dei foro). Il rapporto ideale tra acqua di miscelazione e polvere espandente, è il 20% del peso. Quindi per una confezione da kg 5 si impiegherà un litro di acqua. L’aggiunta impropria dell’acqua oltre le indicazioni dei 20% fa decadere le caratteristiche di spinta dei 30% ed oltre. Non si richiede la sigillatura dei foro dopo il getto. Applicazione su roccia: Nelle rocce senza un libero accesso laterale, all'inizio è necessario praticare un'apertura di accesso. Dapprima si devono riempire i fori di accesso, e, solo in seguito, rispettando un intervallo di tempo di circa 1 ora da fila a fila, riempire gli altri fori . Esecuzione di cavità in pareti e soffitti Affinché nel punto di collegamento tra parete soffitto non si creino forze di reazione indesiderate, dapprima viene demolito un cono, secondo lo stesso principio della demolizione della roccia. Lavori in presenza d'acqua Se durante i lavori con betonamit si presume possa piovere, i fori devono essere coperti adeguatamente: l'eventuale acqua piovana che penetrasse nei fori vuoti potrebbe miscelarsi con lo spaccaroccia e cambiarne il rapporto quantitativo, che era stato accuratamente predosato. Profondità e diametro dei fori È chiaro che il quadro fessurativo che si propaga sull’elemento da demolire, è strettamente correlato con la l’interasse, il diametro e la profondità dei fori eseguiti (dove fare colare l’agente espandente). La tabella qui di seguito riportata, indica il valore dell’interasse dei fori da mantenere (una volta fissato il diametro), in funzione della qualità dell’elemento da demolire. 115 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione In tutti i materiali da demolire che presentano due lati liberi, la distanza tra il foro ed il rispettivo bordo esterno, deve essere di regola 1 o 2 volte il normale interasse tra i fori. La distanza tra i fori nel calcestruzzo non armato è di circa 10 volte il diametro ideale dei foro. Nel calcestruzzo debolmente armato, la distanza tra i fori dovrà essere 4 volte il diametro dei foro. Non esiste nessuna prescrizione per la profondità massima dei fori mentre la minima sarà di 5 diametri il foro (diametro 40 mm = profondità minima 20 cm). Il foro da 20 mm può avere una sua logica in roccia tufacea o magrone di calcestruzzo non armato oppure, sempre in manufatti teneri, per une demolizione disegnata. Il diametro ideale dei foro è di circa 40 mm. I fori di diametro inferiore, riducono la pressione d'espansione. I fori di diametro maggiore, 45-50 mm, consentono un aumento della pressione d’espansione, facendo però anche aumentare il pericolo di espulsione della carica, in caso di preparazione inappropriata. È importante che la distanza di 25 o 35 cm ci sia anche tra il foro e la parte libera del manufatto, questo per permettere lo spanciamento quindi la rottura dei manufatto stesso. 116 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione I fori devono essere puliti soffiando la polvere di perforazione. L’attrezzo ideale per la perforazione è il fioretto. Tempo di reazione Il grafico seguente mostra il rapporto tra la pressione d’espansione e il tempo di reazione con fori dei diametro di 20 mm, 30 mm e 40 mm, su un periodo di 4 giorni. Tempo di reazione in funzione della temperatura La tecnologia degli spaccaroccia chimici è però operativa solo in una determinata fascia di temperatura: la tabella riportata in basso si basa sui valori seguenti: o dimensione dei blocco di calcestruzzo da demolire: 50 x 50 x 50 cm, qualità del calcestruzzo: Rck 400 N/mm2. o diametro dei foro 40 mm o temperatura ambiente da 22 a 32°C. o temperatura all'interno dei foro, costante 22°C. 117 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Come si vede dal succitato esempio, il tempo di reazione aumenta o diminuisce in rapporto di 10 minuti per ogni °C di differenza di temperatura, con temperatura interna costante di 22 °C. Un ulteriore aumento della temperatura interna accelera maggiormente il tempo di reazione. Temperatura dell'acqua Come premesso, l’acqua d’impasto deve avere una particolare temperatura. Con temperature esterne oltre i 25 °C, l’acqua d'impasto deve essere fredda: se necessario, si deve raffreddarla con dei ghiaccio. Inoltre è consigliabile installare dispositivi di protezione contro il sole prima di iniziare i lavori o eseguire i lavori di riempimento durante il fresco delle ore notturne, per i motivi già spiegati. Se invece ci si trova ad operare in ambienti con temperature attorno allo 0 C°, il tempo di attesa altrimenti lungo, può essere abbreviato notevolmente grazie all’aggiunta di acqua a 50 C°. Per temperature estremamente fredde,si dovrà coprire la zona di lavoro e scaldarla con dell’aria calda. Consumi Il consumo dell’agente è proporzionale al diametro dei foro. La tabella qui accanto mostra la quantità di betonamit necessaria per i tre diametri dei fori usuali, con una profondità dei foro di 1 metro. 118 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Principali vantaggi: - il materiale miscelato ha una consistenza simile allo stucco, quindi facilmente lavorabile; - non presenta nessun problema di magazzinaggio; - uso semplice, che non .richiede mano d’opera specializzata; - utilizzabile sia per lavori in orizzontale, che per lavori sopra testa; - (consistenza più pastosa).permette una frantumazione carriolabile di grosse strutture; - silenziosità in fase di espansione; - assenza di proiezione di materiale frantumato; - consente anche lavori sottomarini; Prescrizioni di sicurezza L’uso degli spacca-roccia chimici non prescrive severe misure di sicurezza, come ad esempio quelle adottate durante l’uso di esplosivi. È consigliato comunque osservare sempre i punti seguenti: - è vietato riempire bottiglie di vetro e di metallo o altri recipienti che si allargano verso il basso (aumento dell’effetto dirompente); - evitare di guardare nei fori riempiti durante le prime 6-8 ore dopo la carica; - portare occhiali di protezione, guanti di gomma, scarpe di protezione e casco; - coprire con un telo per eventuali sbruffi; - rispettare la temperatura dell'acqua di miscelazione. Dopo aver caricato i fori, si consiglia sempre di coprirli, perché l'aumento di temperatura causato dall’irraggiamento solare o da diametri dei fori eccessivi potrebbe accelerare fortemente (in maniera indesiderata) il processo dirompente. Poiché solitamente questi prodotti contengono calce, evitare il contatto diretto con la pelle. Si riporta in seguito la consueta scheda riassuntiva delle principali caratteristiche del prodotto sinora analizzato. Consigliabile: - su strutture massive in cemento anche armato; - su blocchi di roccia omogenea; - quando in cantiere si disponga di mezzi limitati; - quando la struttura da demolire si può espandere senza danni; - quando si vuole ridurre in frammenti dei blocchi, in locali con uscite anguste. Lavori tipici: - su trovanti di roccia durante scavi; 119 Capitolo 2 - Le Tecniche della Demolizione su basi di gru, macchinari, plinti e simili; “scapitozzamento” di pali di fondazione. Rumorosità: - medio alta nell'esecuzione dei fori con perforatori o fioretti; - assente in fase di reazione chimica. Attrezzature: un perforatore per eseguire fori di 30 - 50 mm di diametro e miscelare prodotto ed acqua pulita. Un contenitore di plastica Potenza di spacco: La pressione esercitata sulla superficie dei fori è attualmente dalle 4.000 alle 9.000 tonnellate per metro quadrato Personale necessario: 1 operaio (generico) Limitazioni: - la struttura da demolire deve essere libera di espandersi, anche per evitare danni alle strutture adiacenti; - i ferri di armatura del cemento vanno tagliati a parte; - i fori ciechi non devono contenere acqua per evitare di ridurre l'effetto espansivo ed aumentare i tempi di reazione; - rispetto assoluto delle temperature e delle quantità d’acqua; SPACCAROCCIA A SPARO Trattasi di un demolitore portatile, che utilizza cartucce simili a quelle di un fucile da caccia, calibro 12, o calibro 8. Si carica come una pistola, la sua canna viene infilata verticalmente entro un foro di 40 millimetri di diametro, effettuato con un trapano a rotopercussione od una perforatrice ad aria, entro il blocco o la struttura da demolire. Il foro, cieco, viene riempito d'acqua fino quasi all'orlo e la canna del demolitore viene immersa nel liquido. Fatta esplodere la cartuccia a distanza, con un cordino lungo 6 metri, si crea un’onda di pressione che, grazie all’incompressibilità dell’ acqua, si trasmette alla struttura, lungo tutta la superficie del foro, la quale collassa o comunque si fessura profondamente. Crepe interne preesistenti facilitano l’effetto dirompente. Il “rinculo” indesiderato dell’arma, viene evitato solitamente grazie ad una stuoia di gomma pesante posta sul blocco. 120 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Consigliabile: - ove non si possa usare l’esplosivo; - ove sia necessaria la riduzione di grossi blocchi; - in presenza di bancate di roccia; - ove non sia possibile l’utilizzo di martelli demolitori; Lavori tipici: - frantumazione di “trovanti” singoli; - ausilio allo spacco di strutture in cemento anche armato; - demolizione di bancate; - scavi di trincee; - lavori di demolizione subacquea; Vantaggi: - necessita solo di un grosso trapano e di qualche litro d’acqua; - è sufficiente una cartuccia per spaccare blocchi di roccia di 1 o 2 metri cubi di volume; - elevato rapporto costi/benefici; - quasi inesistente proiezione di materiale; - non è richiesta la licenza di “fochino”; - inapprezzabile sviluppo di gas nocivi; - semplicità di utilizzazione. Rumorosità: - bassa in esterni, ed episodica in interni; - scoppi singoli e attutiti dall’acqua. Personale necessario: - la stessa persona che realizza il foro può azionare l’attrezzo; Attrezzatura necessaria: un perforatore, con motore a scoppio, o con compressore ad aria, se non si dispone di energia elettrica; una punta da trapano sufficientemente lunga; Potenza demolitiva: pressione di lavoro da 100 a 200 Mpa; si può incrementare l'effetto demolitivo dello sparo disponendo preventivamente nel foro (dentro 121 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione disponendo preventivamente nel foro (dentro l'acqua) un o più cartucce a varie altezze, che esploderanno per “simpatia” (vedi cap. “esplosivi”). PINZE E CESOIE IDRAULICHE Il sistema si basa sulla demolizione controllata di elementi in c.a. con delle pinze di grosso calibro azionate da potenti sistemi idraulici, in grado di ridurre in frantumi le strutture da demolire. Mascelle con denti d'acciaio durissimo, azionate idraulicamente, possono mordere e ridurre in frammenti il cemento armato delle gradinate di uno stadio di calcio come anche di una rampa di scale all'interno di un edificio abitato, con una limitata produzione di rumore. Allo stesso modo grosse cesoie riescono a tagliare letteralmente il calcestruzzo, con annesse armature, lasciando sul campo solamente dei monconi di elementi facilmente smaltibili. Appunto una dei principali qualità di questa tecnologia è la notevole semplificazione del compito d’asporto dal cantiere delle strutture demolite; inoltre, queste macchine hanno la capacità di adattare la loro larghezza di apertura allo spessore dell’elemento da demolire, rendendole estremamente flessibili; Si riporta nella seguente scheda tecnica, un esempio delle principali caratteristiche tecniche di una pinza idraulica. Risultati e vantaggi - relativa assenza di percussioni, vibrazioni e rumore (specie sulle pinze manuali); - operatività su bracci di benne anche ai piani alti degli edifici e talora su strutture anche pericolanti; Materiali lavorabili Consentono di demolire strutture di materiale diverso, anche in cemento fortemente armato. 122 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Campi d’impiego - demolizione di solai, pareti, pilastri, travi, scale e parti di edifici. - demolizioni parziali o totali di fabbricati, stabilimenti, gradinate di stadi, silos, caveaux. Rumorosità: - bassa sulle manuali / media sulle altre. Consigliabile: - ove convenga ridurre le strutture in frammenti; - ove non convenga puntellare la struttura da demolire; - ove il rumore non sia è bandito (es. ospedali, alberghi, banche, condomini, uffici, stabilimenti in attività). Lavori tipici: demolizione di fabbricati, stabilimenti, gradinate di stadi, cinema e teatri, silos, caveau, ciminiere, prefabbricati metallici, ma anche di travi, pilastri, scale, pareti e solai in interni Motorizzazioni: - centralina idraulica separata per le manuali, quella della macchina operatrice per le grandi potenze; da 3 a 100 Kw ca. Personale necessario: - per le manuali 1 operaio (qualificato) e almeno 1 operaio (generico); - in genere per le altre, solo l'operatore del mezzo meccanico. Necessità particolari: - le più grandi pinze manuali necessitano di un servosostegno; - quelle di media apertura sono montate su bracci di escavatori; - per grandi altezze e grosse strutture possono essere sospese a gru. Potenzialità demolitiva: - quelle manuali mordono attualmente da 200 a 440 mm ca. di spessore; - quelle più grandi anche oltre i 1.600 mm e, se dotate di cesoie vicino al fulcro della forbice, tagliano anche l'acciaio; 123 Capitolo 2 - Le Tecniche della Demolizione talune, dotate di particolari dentature, sono dedicate alla frantumazione minuta, a terra, di strutture in cemento armato per il recupero ed il riuso. IL NIBLER Questa particolare tecnica di demolizione è stata messa a punto dal British Research Establishment, e consiste nel sollevare elementi piani di calcestruzzo con un grosso gancio a forma di J sospeso ad un cavo di una gru oppure ad una pala meccanica; tentando di sollevare l’elemento piano solamente da un suo spigolo, non si fa altro che si sollecitare il calcestruzzo a trazione sottoponendolo ad un forte momento flettente localizzato; una utile chiarificazione può essere fornita dall’immagine qui a fianco. Questo procedimento viene quindi utilizzato spesso per la demolizione di piastre, piste, elementi di fondazione interrati, etc. Il rendimento di questa tecnica si aggirano sui 53 m2/h (per piastre di spessore variabile tra 12,5 e 25 cm). Il rendimento non cambia allorché ci si trovi ad intervenire anche su calcestruzzo leggermente armato (reti di tondini φ 6mm). È in corso di realizzazione un apparecchiatura basata sullo stesso principio, per potere essere utilizzata anche su piastre dai 30 ai 37,5 cm di spessore. PROCEDIMENTI ELETTRO-CHIMICI Questo procedimento, messo a punto negli anni ottanta da alcuni ricercatori, consiste nella rapida corrosione dei ferri d’armatura dell’elemento in calcestruzzo, tramite l’applicazione di un flusso di corrente elettrica continua, dopo avere preventivamente spruzzato la superficie del pezzo da demolire con una soluzione salina corrosiva. L’espansione volumetrica delle armature dovuta alla formazione di ossido di ferro ( = ruggine), provoca in qualche ora la rapida degradazione del calcestruzzo, la cui principale manifestazione è l’esplosione del copriferro. Si tratta dunque di un procedimento meccanico di demolizione. L’energia elettrica consumata può variare dai 360 ai 530 Wh. I PILONI Il principio di funzionamento di questo procedimento prevedete la caduta dall’alto (1 ÷ 3 m. d’altezza) sull’opera da demolire, di una massa d’acciaio di alcune tonnellate. L’applicazione più frequente di questa tecnologia si ritrova nei casi smantellamento di grosse solette controterra o di piste aeroportuali. Naturalmente per ottimizzare la produzione, il telaio che fa da guida alla massa battente è montato su carro mobile. La capacità produttiva della macchina varia in funzione della natura e dello spessore dell’opera da demolire. 124 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Ad esempio per il rifacimento della pista autostradale A1 a Saint Denis e Roissy in Francia, si è riuscito ad ottenere una produttività di 6000 m2/giorno (9 ore lavorative), operando su di una soletta di 22 cm di spessore. RISCALDAMENTO DELLE ARMATURE PER EFFETTO JOULE Alla fine della seconda guerra mondiale, si è tentato di far fessurare degli elementi in calcestruzzo armato, facendo circolare un flusso di corrente elettrica (a bassa tensione, ma di elevata intensità, 5000 ÷ 6000 A) nei ferri di armatura. Per effetto Joule, le armature si riscaldavano e, per dilatazione differenziale rispetto al calcestruzzo, si otteneva la sua fessurazione ed il distacco del calcestruzzo dalle armature. Una delle principali difficoltà di questo procedimento, consisteva nel fatto che non sempre era possibile avere una buona connessione elettrica tra le armature. Per permettere alla corrente di una tale intensità di passare occorreva saldare i cavi alle armature. Naturalmente si è compreso molto rapidamente, che inoltre una piccolissima parte di tipologie di elementi in calcestruzzo aveva le caratteristiche geometriche per poter essere demolito attraverso questo procedimento, tenuto conto, tra l’altro delle numerose possibilità di corto circuito. Inoltre è difficile solamente pensare a come far arrivare, in maniera economica, una tale potenza elettrica in un cantiere classico. Last but not least, i rischi di elettrificazione per il personale addetto sono altissimi per questo tipo di procedimento. Bisogna segnalare che questa tecnica è inapplicabile in caso di ferri d’armatura che superano i 10 mm, cosa che ne riduce maggiormente il campo d’applicabilità. Il riscaldamento delle armature come procedimento di demolizione è stato dunque velocemente abbandonato, tanto più che verso gli anni sessanta c’è stata la crisi energetica che ha reso inaccettabile un tale consumo di corrente elettrica. GENERATORE DI MICRO-ONDE Le microonde sono delle onde elettro-magnetiche di frequenza compresa tra 1 e 10 gigahertz (109 Hz). Queste corrispondono ad una gamma di onde decimetriche (30 cm di lunghezza d’onda per 1 GHz) e centimetriche (0,5 cm per una frequenza di 60 GHz). Si agisce dunque con onde elettromagnetiche di frequenza molto elevata, altrimenti anche dette di hyperfrequenza. È oramai risaputo che queste onde vengano utilizzate non solo dai radar e nelle telecomunicazioni, ma anche in campo medico, alimentare, culinario, per l’essiccazione di prodotti , etc. Attualmente si prevede la realizzazione di un apparecchio che permetta la demolizione parziale (superficiale) di opere il calcestruzzo. È dunque pensabile una loro commercializzazione nei prossimi anni. 125 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Principi di funzionamento La radiazione di microonde, come del resto le radiazioni infrarosse ed il laser non sono altro che un mezzo di trasmissione di calore, e, più in generale, di energia,. Il principio che porta al riscaldamento è lo stesso di quello perdite dielettriche, vale a dire il riscaldamento di materiali onde elettromagnetiche penetrano in profondità nel corpo da le molecole costitutive di quest’ultimo, ne provocano un riscaldamento. su cui i basano le non conduttori. Le demolire: eccitando rapido ed elevato È importante sottolineare che, poiché man mano che il flusso di radiazione avanza nella massa, l’energia stessa si degrada: ciò comporta che la temperatura nella parte centrale del corpo sia molto più elevata rispetto a quanto sarebbe, se si utilizzassero delle tecniche di riscaldamento esterne convenzionali, quali le radiazioni infrarosse o una fiamma. Questa temperatura dipende anche dalla profondità di penetrazione: se questa è sufficientemente grande, cosa che avviene nella maggior parte dei casi, la temperatura nella regione centrale del corpo in calcestruzzo può raggiungere temperature ben maggiori rispetto a quelle sulla superficie laterale. In generale si può dire che, la quantità di calore prodotta nel materiale cresce con la seconda potenza in funzione del campo elettrico (vale a dire in funzione della potenza trasportata dall’onda); naturalmente dipende anche dalle caratteristiche del mezzo, in particolare in funzione della frequenza propria. L’energia elettromagnetica invece si va attenuando all’aumentare della profondità raggiunta dal flusso: questa profondità di penetrazione è inversamente proporzionale alla frequenza del raggio. Si è notato altresì, che quanto più la massa in questione ha una forte capacità di trattenere l’energia, tanto meno questa energia riesce a penetrare. Si conclude quindi che, a seconda del materiale su cui ci si trova ad intervenire, si dovrà scegliere la frequenza adatta, realizzando il compromesso ottimale tra la potenza fornita e la profondità di penetrazione dell’energia. La frequenza industriale solitamente adottata è di 2450 MHz. Nei materiali con deboli perdite dielettriche, nei quali non è possibile eccitare gli elettroni liberi presenti nel reticolo cristallino, si riesce invece a riscaldare l’acqua presente nel corpo, poiché queste ha un’elevata capacità di assorbimento delle onde. Questa tenderà dunque a migrare verso l’esterno e quindi ad evaporare. A partire da una certa temperatura, diversa per ogni materiale, le perdite dielettriche del minerale si intensificheranno fortemente. Questo improvviso aumento di temperatura, porterà alla nascita di un elevato stato tensionale all’interno della massa. Nel calcestruzzo, un ruolo importante è giocato dall’acqua e dall’acciaio: l’acqua, a causa della sua elevata capacità di assorbimento, mentre l’acciaio a causa del suo elevato tasso di riflessione. L’acqua, sia libera che cristallizzata, è il principale fattore che collabora con le microonde: a causa del forte shock termico quest’acqua presente nei pori del 126 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione calcestruzzo, si vaporizza; questo vapore acqueo riesce ad infilarsi nella profondità dei pori esercitando una forte pressione sulla superficie laterale causando una microfessurazione diffusa. I primi strati irradiati si svuotano così molto rapidamente, ed il calcestruzzo diventa ancora più permeabile all’energia, permettendone una maggiore profondità di penetrazione nella massa. Il calcestruzzo finito superficialmente (intonacato) necessita di un tempo leggermente maggiore per permettere la penetrazione del flusso. Messa in opera Questo procedimento può essere utilizzato in due diverse modalità, ottenendo, di conseguenza diversi risulatati: - irradiazione generale su tutta la massa. In questo caso, si rende fragile tutto l’insieme dell’elemento, portando ad una acellerazione del stato di degrado e permettendone una demolizione semopilficata. Questo procedimento richiede delle potenze abbastanza ridotte, applicate però per un periodo prolungato. - irradiazione localizzata. In questo caso solo una piccola parte dell’opera viene interessata dall’azione delle onde, si può definire quindi come un processo di demolizione parziale controllata. Al contrarion dell’iradiazione generale, in questo caso, è necessaria una forte potenza impulsiva per provocare l’esplosione istantanea degli strati più superficiali della parte irradiata. Fra i due, il secondo metodo sembra essere quello più adatto alle reali esigenze di un generico processo di demolizione. Prove eseguite su degli elementi in calcestruzzo, hanno permesso di osservare i seguenti fenomeni: - t = t0 : riscaldamento localizzato della faccia irradiata per i primi minuti di esposizione; - t > 3 min.: il calcestruzzo si screpola superficialmente presentando delle piccole fessure, dalle quali fuoriesce il vapore acqueo; - t > 5 min.: l’intero blocco in calcestruzzo risulta molto caldo, l’acqua evapora più rapidamente ed il calcestruzzo sbianca; - t > 10 min.: tutti i suddetti fenomeni vengono accentuati, ed il blocco intero si frantuma facilmente sotto l’azione di un martello leggero; si può notare come le superfici di separazione tra le macerie, siano tutte umide, ad ulteriore prova che sia stato proprio il vapore acqueo, (oramai condensato) ad aver portato al collasso della struttura grazie alla sua forte pressione interna. L’apparecchiatura necessaria si presenta semplicemente sotto forma di un generatore di hyperfrequenze sulla guida di un’onda standard. Le potenze 127 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione necessarie per poter utilizzare questo procedimento, sono di circa 5 ÷ 10 kW. Per ottenere il rendimento ottimale, è necessario concentrare correttamente il fascio di hyperfrequenze ad una piccola distanza dalla fonte. Nel caso di calcestruzzo armato, si riscontra una difficoltà dopo la fessurazione del calcestruzzo, quando bisogna trovare una maniera semplice per allargare le fessure e poter tagliare le armature. La frequenza di lavoro adottata è di 2450 MHz. Utilizzazione Le potenza ottimale attuale sembra essere situata attorno ai 10 kW. Superato questo valore, aumenta il rischio di causare numerose e pericolose esplosioni sulla superficie di calcestruzzo (causate della liberazione del vapore acqueo surriscaldato). Con una potenza di 10 kW, si può fortemente indebolire una superficie di 1 m2, per uno spessore che va dai 5 ai 20 cm. Le possibili utilizzazioni di un apparecchio di questo genere sono numerose. I primo luogo si potranno realizzare delle aperture in muri in calcestruzzo, con una rapidità inattesa e nel completo silenzio. Sono naturalmente assenti anche vibrazioni, polveri e fumi di qualsiasi genere. Sicurezza È d’altra parte necessaria la protezione del personale operatore: questa si può ottenere con l’applicazione di schermature che assorbano le radiazione riflesse lateralmente. Dietro queste schermature sia l’operatore che i macchinari generatori, sono inoltre al sicuro anche da eventuali esplosioni violente della superficie di calcestruzzo. È in fase di studio, l’ottimizzazione di questo sistema di schermatura, in modo da poterlo utilizzare anche in ambienti angusti e ristretti. Commenti Alla luce di quanto finora esposto, il procedimento di indebolimento del calcestruzzo attraverso la generazione di microonde, presenta i seguenti vantaggi e limiti: Vantaggi: - elevata rapidità di esecuzione; - totale silenziosità; - assenza di fumi; - assenza di vibrazioni; Limiti: - difficile disponibilità delle apparecchiature sul mercato; 128 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - tecnica, di per se, non sufficiente a completare il lavoro: necessita comunque affiancata da un cannello per il taglio delle armature, ed di uno strumento per lo sgretolamento definitivo del calcestruzzo; - difficoltà nell’assicurare la totale sicurezza del personale; - costi verosimilmente ancora troppo elevati; - necessita personale altamente qualificato. L’ELETTRO - FRATTURA Con questo procedimento sperimentale, si sottopone il calcestruzzo ad una corrente ad alta frequenza. Quest’ultimo, che diventa allora conduttore, si riscalda a seguito di una perdita dielettrica, e di conseguenza si rende fragile a causa di una forte dilatazione laterale. 129 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione ELIMINAZIONE DEL SINGOLO ELEMENTO COSTRUTTIVO FUNZIONALE TAGLIO DEL CALCESTRUZZO CON UTENSILI DIAMANTATI Il principio di funzionamento degli utensili diamantati, finalizzati al taglio od alla foratura del calcestruzzo, si basa sulla proprietà caratteristica del diamante di essere il materiale più duro che si conosca. L’utensile diamantato permette di effettuare diverse lavorazioni (tagli e fori) rapidamente e in modo netto su qualsiasi tipo di materiale edile o pietra naturale da costruzione, riducendone drasticamente i costi e i tempi, diventando quindi un ottimo strumento anche per piccoli impieghi. Qualunque sia lo strumento diamantato considerato (dischi, corone o fili), il principio di funzionamento è lo stesso: una forte azione abrasiva localizzata, ottenuta tramite una velocissima rotazione di un sottile elemento metallico, la cui finitura al bordo è realizzata con una particolare miscela ferro-adamantina. Quest’azione abrasiva si concretizza, a seconda della tipologia di strumento utilizzato (disco e filo, o corona), nel taglio o nella foratura dell’elemento in calcestruzzo. Natura dei componenti I diamanti utilizzati sono industriali ma di origine naturale: non sono totalmente puri, contengono infatti un certo numero di impurità (0,2% di azoto, del nickel, del ferro, alluminio, boro, nelle proporzioni di qualche ppm a 300 ppm circa). Esistono anche dei diamanti sintetici, ma quelli di origine naturale, restano senza dubbio i più adatti per la realizzazione degli utensili destinati al taglio del calcestruzzo. I fattori principali che interessano i costruttori sono la durezza, la resistenza all’abrasione e la resistenza agli impatti dinamici (che possono essere svariati e di diversa entità nelle operazioni di taglio). Principio di funzionamento Come premesso qualsiasi strumento diamantato è solitamente costituito da due componenti: una placchetta diamantata, detta anche “segmento” o “corona”, ed un supporto d’acciaio, detto anche “anima” o “stelo”; il segmento stesso, è costituito a sua volta, da una miscela di polveri di metallo e grani di diamante. I diamanti possono essere di granulometria abbastanza grossa, andando da un quinto di carato (1 carato = 0,2 g) sino alla polvere di diamanti. In tutti i casi, la loro funzione resta la stessa: agire per abrasione. Da questa miscela (costituita da particelle di diamante trattenute all’interno di una matrice metallica), allorché viene pressata a freddo, si ottengono dei semilavorati di varie forme, che verranno successivamente ripressati e riscaldati contemporaneamente: questo 130 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione processo di giunzione è detto “sintetizzazione”. Si ottengono così leghe con diverse proprietà meccaniche. È possibile infine distinguere due tipologie di strumenti, a seconda del comportamento della loro parte attiva: gli strumenti con diamanti incastonati e quelli con diamanti solidificati. Gli attrezzi dai diamantati incastonati sono destinati alla lavorazione di materiali omogenei e “teneri” relativamente facili da trattare. I diamanti risultano interi, ed il loro numero può variare tra le 60 e le 100 pietre a carato. La matrice nella quale sono incastonati i diamanti è invece a base di tungsteno. Solitamente si impiega questo tipo di strumenti per la lavorazione di opere in muratura classica. Gli attrezzi con diamanti solidificati sono invece destinati alla lavorazione di materiali più duri ed eterogenei (calcestruzzo armato e non, granito, etc.). In questo caso i diamanti sono molto più piccoli; il loro numero varia tra i 100 ed 1000 pezzi a carato e sono annegati nella legante. La natura del legante, la concentrazione dei diamanti e la loro granulometria, saranno pensate in funzione dell’Rck del calcestruzzo da tagliare (calcestruzzo siliceo molto duro, oppure un calcestruzzo calcareo molto più morbido). La solidificazione del diamante si presenta sotto forma di piccoli segmenti posizionati lungo le zone marginali del disco o della corona metallica. In entrambi i casi, la matrice (a base di polvere metallica) che trattiene il diamante, dovrà essere molto resistente all’usura per abrasione, e la lega metallica utilizzata dovrà essere molto dura: questo implica alte temperature di sintetizzazione. Procedimenti di produzione degli strumenti Vi sono svariate forme di segmento e di corone, lisce o scanalate. L’anima o stelo, è realizzata in acciaio di alta qualità, con basso tenore di carbonio se utilizzata per utensili con saldatura laser. La giunzione tra segmento ed il supporto d’acciaio è invece un discorso totalmente diverso: questa può essere effettuata attraverso tecniche diverse, che verranno brevemente esaminate qui di seguito. 131 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione • Giunzione mediante “brasatura”, si ottiene con la fusione di una speciale lega a base d’argento, che fissa le due parti senza portarle alla fusione. Questa tecnica può essere usata solo per utensili refrigerati con acqua. L’uso a secco è vietato per utensili con giunzione inferiore a 4 mm. di spessore. • Giunzione mediante “saldatura laser”, si ottiene per microfusione delle due parti, ottenuta da un fascio concentrato di luce. Questa tecnica permette un utilizzo sicuro degli utensili segmentati a secco. • Giunzione “sinterizzata”, si ottiene pressando a freddo la miscela di polveri direttamente sul corpo d’acciaio. Dalla successiva sinterizzazione in appositi stampi, si ottiene un disco segmentato o corona continua in esecuzione liscia o scanalata.Anche questa tecnica permette un utilizzo sicuro degli utensili a secco. Dopo aver effettuato la giunzione, l'utensile viene rettificato nella sua parte diamantata e nello stesso tempo gli viene dato anche il senso di rotazione. Si esegue poi l’operazione di raddrizzatura e tensionatura, per portare l’utensile ad una rotazione perfettamente rettilinea ed assente da vibrazioni ad una velocità prestabilita durante la lavorazione. Un momento fondamentale all’interno del processo di fabbricazione degli utensili, è la giudiziosa scelta che il produttore dovrà effettuare a proposito della dimensione, la forma dei diamanti, e della loro incastonatura all’interno di una matrice di appropriata composizione, il tutto a seconda del tipo di utilizzazione lavorativa prevista per quello strumento. La situazione ideale è quella che prevede l’utilizzo di granuli di diamante molto resistenti, di forma pressoché cubica. La scelta della matrice o del “legante” (= lega metallica, che dovrà contenere i granuli nella sua composizione) è abbastanza complessa. Talvolta può accadere che , a seconda del lavoro da eseguire, alcuni granuli di materiale logorato e qualche scheggia di diamante si miscelino per formare un fango abrasivo, che a sua volta attacca chimicamente il legante. Se questo è troppo tenero, è possibile che questo si consumerà molto più velocemente rispetto 132 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione alle componenti in diamante: fisicamente si vedranno le particelle, prima sfaldarsi e poi staccarsi. Se, al contrario, il legante è troppo duro e non si consuma abbastanza rapidamente, si consumeranno ante tempore, i diamanti sulla superficie di contatto, annullando l’azione di taglio, e rendendo inefficace lo strumento. Quindi, affinché un utensile diamantato possa lavorare ad alto rendimento, cioè col massimo risparmio economico, la durezza del legante, così come la qualità e la dimensione delle particelle di diamante, dovranno essere correttamente determinate. Tenuto conto dell’alta qualità dei risultati generalmente ottenibili grazie a questi strumenti, e dei costi ancora relativamente elevati, si conclude che questo tipo di tecnologia risulta più adatta ad eseguire operazioni di taglio o foratura finalizzate alla trasformazione di spazi esistenti, oppure alla demolizione parziale di elementi costruttivi funzionali, e non alla demolizioni totale di un organismo edilizio. Campi d’applicazione Si deve segnalare innanzitutto che, per utilizzare questo genere di macchine è necessario disporre di un personale specializzato. Infatti questi strumenti, corone o dischi che siano, sono relativamente più costosi delle tecniche tradizionali: per ottenere buoni risultati, devono dunque essere impiegati nelle migliori condizioni di lavori. Fortunatamente le case produttrici assicurano una approfondita assistenza tecnica, cosa dalla quale non si può prescindere se non si ha una grande esperienza nel campo. Oltre all’utilizzazione più intuitiva del taglio del calcestruzzo finalizzato allo smantellamento di un organismo edilizio, questa tecnologia, si presta benissimo ad applicazioni locali nell’ambito delle nuove costruzioni. Si può rinunciare, ad esempio, a lasciare in fase di costruzione, gli appositi spazi per cavedii di passaggio impianti, bensì forare il calcestruzzo, secondo le proprie necessità, ad indurimento avvenuto. Questo porterebbe tra l’altro ad evitare tutti quegli errori umani che possono incorrere al momento della predisposizione delle posizioni dei cavedii. Quest’applicazione risulta particolarmente adatta quando la tecnologia costruttiva degli elementi orizzontali ad esempio, preveda solette piene: è risaputo infatti che nel caso di solai latero-cementizi, allorché si prevedano fori di una certa dimensione (sicuramente maggiore di un cavedio per passaggio tubi) i travetti che circondano questo foro devono essere adeguatamente rinforzati. Naturalmente non si può prescindere da conseguenze di tipo strutturale quando si va a forare la sezione di una trave, in qualsiasi direzione lo si faccia: l’effetto più intuitivamente comprensibile è la riduzione dell’area della sezione resistente. In casi di piccole perforazioni finalizzate principalmente per il passaggio di tubazioni idrauliche, il rischio che il foro eseguito porti al collasso locale dell’elemento è abbastanza ridotto, si consiglia comunque di eseguire verifiche di resistenza locali con la sezione ridotta nel caso in cui le perforazioni inizino ad avere una larghezza consistente. 133 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Conseguenze meno immediate possono essere la messa a nudo dei ferri di armatura: abbiamo detto che questi utensili diamantati tagliano indifferentemente il calcestruzzo e l’acciaio, dunque si possono verificare spesso situazioni in cui ferri che prima erano ben ancorati nel calcestruzzo, si trovano dopo un taglio adiacente, a contatto diretto con l’ambiente esterno, e dunque facilmente attaccabili da fenomeni corrosivi. La qualità del lavoro eseguito non necessita alcuna operazione di rifinitura dell’elemento tagliato. Si raccomanda il taglio effettuato con la sega circolare per opere relativamente poco spesse (< 30 cm.) per spessori superiori (o per semplici esecuzioni di fori) si può utilizzare indifferentemente sia la tecnica dei fori secanti tramite l’utilizzo di carotatrici, sia di seghe a tuffo. È possibile un’ulteriore applicazione di questa tecnologia grazie alle macchine scanalatici, utilizzate per migliorare l’aderenza dei pneumatici in caso di pioggia, e facilitare lo smistamento delle acque piovane. Messa in opera Si è deciso di classificare e descrivere gli utensili diamantati in commercio in base alla possibile azione che quest’ultimi riescono ad esercitare: la differenza principale sta perciò tra il taglio e la perforazione. Di conseguenza possiamo suddividere gli utensili in tre categorie principali: le seghe e le corone ed i fili. In base al criterio appena esposto, le seghe esercitano essenzialmente una azione di taglio, le corone invece esplicano principalmente un’azione di perforazione, mentre infine la tecnologia del filo diamantato può essere utilizzata sia tagliare che perforare. Prima di approfondire le caratteristiche e le limitazioni delle tipologie di utensili da taglio appena classificati, possono essere fatte alcune osservazioni pratiche valide per tutte le tecnologie Questi attrezzi tagliano molto bene le armature in acciaio. Questo materiale è dunque utilizzabile per il calcestruzzo armato. È indispensabile un apporto d’acqua per raffreddare la lama, smaltire le schegge e pulire la superficie tagliante dell’attrezzo. Questo apporto d’acqua deve cresce con l’aumentare della profondità del taglio. Esistono delle tecnologie che 134 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione permettono di raccogliere quest’acqua per evitare che si sparga nel luogo del lavoro. Si fa notare tuttavia che un abuso d’acqua può essere al contrario, dannoso, poiché la totalità dei residui viene smaltita rapidamente, e no si può più contare sull’effetto dell’auto abrasione, si potrebbe dunque arrivare alla “vetratura” del calcestruzzo. IL DISCO DIAMANTATO Per determinare il grado di efficacia nel taglio di un elemento di calcestruzzo, qualunque utensile si utilizzi, è importante conoscere la natura granulometrica del calcestruzzo, ed in particolare il tenore di quarzo contenuto: infatti le velocità di avanzamento nelle operazioni di taglio possono variare da 0,3 a 1,2 m/min. per una avanzamento di 25 mm. I rendimenti variano, per la maggior parte degli strumenti in commercio tra i 200 ed 700 cm2 /min., a seconda della durezza del materiale tagliato. In pratica, la velocità ottimale di taglio deve tener conto della durezza del materiale da tagliare. Generalmente si riescono a raggiungere velocità di taglio più elevate nel caso di corone a diamanti solidificati, rispetto al caso di corone a diamanti incastonati. Le velocità generalmente consigliate dai produttori, per ottenere una limitata usura dei dischi, sono le seguenti: - per calcestruzzo non armato………………..40 ≤ vm/s ≤ 55 - per calcestruzzo armato…………………….35 ≤ vm/s ≤ 45 Riguardo alla possibile profondità del taglio si assume generalmente che questa possa al massimo essere uguale a circa 2/5 del diametro del disco (esempio: disco da 50 cm → massima profondità di taglio = 20cm). La potenza delle macchine da taglio possono variare da 8 a 120 CV., mentre le velocità di taglio del calcestruzzo armato sono generalmente comprese tra 15 e 100cm/min, a seconda della profondità della passata. L’usura del disco diminuisce all’aumentare della profondità della passata, la quale, a sua volta porta ad un aumento della velocità di avanzamento. Certi dischi hanno la capacità di tagliare, prima di arrivare ad un’usura totale, più di 200 m2 di materiale. Tipologie di macchinari a disco Come premesso, esistono diverse macchine diamantate utilizzabili in cantiere, a seconda della tipologia di lavoro che si intende eseguire. Esistono macchine per il taglio dei solai (giunti di carreggiate o di pavimenti industriali) muniti di un solo disco. Certi macchinari invece possono presentare diversi dischi montati in linea sullo stesso telaio, ma regolati ad altezze differenti, per realizzare dei tagli di maggiore profondità in una sola passata (taglio di carreggiate per la realizzazione ad esempio di giunti di dilatazione). È anche possibile montare su delle macchine speciali un numero di dischi in parallelo sullo stesso albero per effettuare la scanalatura di impalcati. 135 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Tutte le macchine sono comunque montate su carrelli mobili. Per i lavori di taglio o di demolizione parziale nel settore delle costruzioni, quali tagli murali, oppure tagli di solaio, si utilizzano delle seghe montate su dei telai metallici che vengono preventivamente fissate sull’opera da tagliare. Il disco avanza lungo il telaio al mezzo d’una vite senza fine attivata manualmente o automaticamente. Il motore è alimentato da una pompa idraulica a flusso variabile, permettendo così di regolare facilmente la velocità dell’albero. Esistono delle particolari seghe idrauliche dette “a tuffo” (di brevetto svizzero) che possono tagliare elementi fino a 120 cm di spessore (peso di 150 kg, corsa della lama 8 cm, fissaggio per ventose, rendimento da 1 a 3 m2 /lama, velocità v = 1 ÷ 4 m/s a seconda della durezza del materiale). Tabella indicativa massime velocità periferiche ammesse nei dischi diamantati. La tecnologia del disco diamantato è, come premesso, applicabile su una moltitudine di macchinari diversi: in questa trattazione verranno descritte i principali macchinari esistenti che utilizzano questa tecnologia, attraverso una serie di schede riassuntive delle principali caratteristiche, al fine di permettere anche una lettura più immediata. 136 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione L aSEGHE DA PARETE vParticolari guide metalliche vengono fissate con stop osu strutture piane o leggermente curve, parallelamente ralla linea del taglio. Sopra vi scorre un telaio-sega che iutilizza come utensile tagliante un disco diamantato in rotazione, il tutto raffreddato ad acqua. T i pConsigliabile: su strutture in cemento armato; idove sia richiesto un lavoro di precisione; cquando la struttura deve rimanere a vista; i per tagliare a filo parete, pavimento, soffitto; : per separare una struttura da demolire in -maniera tradizionale, da una che rimane in sito; - apertura di vani per: porte, finestre, scale e passaggi per impianti; - taglio di rampe di scale e pianerottoli per la posa in opera di ascensori; - giunti su fabbricati, vasche, canali, strutture, etc.; - abbattimento di barriere architettoniche; - tagli di precisione, intarsi; - Vantaggi: assenza di vibrazioni dannose e di polvere; limitata larghezza del taglio; Limitata necessità di personale; profondità di taglio raddoppiabile agendo da entrambi i lati dell’elemento costruttivo; basso peso del macchinario e buona profondità di taglio; possibilità di tagliare praticamente in ogni condizione operativa. Rumorosità: Medio – alta. Larghezza di Taglio: Circa 4 - 7 mm ed oltre Profondità massima di Taglio: attualmente circa 350 / 550 / 700/ 1,115 mm, secondo la potenza della sega 137 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Attrezzature: Leggere seghe scorrevoli su guide piatte o “a tubo”, fissate con stop alle strutture; azionate a mano, semiautomatiche od automatiche sia in avanzamento che in fase di operatività del disco diamantato. Motorizzazioni: - Alcune hanno un motore elettrico che aziona direttamente il disco; - Le più diffuse hanno centraline idrauliche con motore elettrico od a scoppio, carrellate. - In alcune i comandi sono su una consolle separata Potenze: da 3 a 40 KW circa Pesi: - Sega da 20 a 150 Kg circa (in parti separabili); - Centralina da 70 a 400 Kg ca.; - Tubi idraulici (da 2 a 7) lunghi 8 -12 m ca. Utensili: dischi diamantati raffreddati ad acqua, attualmente fino a ca. 2.500 mm di diametro Operatività: La più ampia anche su superfici irregolari, in qualsiasi posizione, a filo parete, soffitto, pavimento, in senso normale od angolato Personale Necessario: 1 operatore (specializzato) + 1 operaio (generico) Limitazioni: - tagli solo rettilinei; - contenimento dell'acqua di raffreddamento (ca. 5 -10 l/m); TRONCATRICI MANUALI Dai pochi centimetri del flex o "frullino", come viene comunemente definita in cantiere la troncatrice manuale a disco, si arriva ora ad attrezzature che tagliano cemento armato fino a 260 millimetri di profondità (con anelli diamantati da 350 mm). 138 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Consigliabile: - pressoché su qualsiasi materiale utilizzando il disco o l’anello dedicati; - per il taglio di strutture, quasi in tutte le posizioni; Lavori Tipici: - taglio di manufatti edili sia fuori che in opera; - tracce per impianti; Vantaggi: - assenza di vibrazioni dannose; - maneggevolezza; - buona precisione; - non necessitano di personale qualificato; - trasformabilità di talune troncatrici in tagliagiunti montandole su carrellini con due ruote gommate; Rumorosità: - elevata nei modelli con motore a scoppio; - media nei modelli idraulici; - medio - alta negli altri; Larghezza di taglio: dovuta allo spessore del disco; 2 - 6 mm ca.; Profondità massima di taglio: attualmente circa 260 mm.; Attrezzature: piccole macchine costituite prevalentemente da un motore, e da un utensile rappresentato da un disco o da un anello a corona circolare. Il tutto viene sostenuto manualmente dall'operatore. Alcuni modelli hanno una centralina idraulica separata; Motorizzazioni: in genere a scoppio; ma anche elettriche, ad aria compressa ed idrauliche; Potenze: da 2 a 7,5 KW circa; Pesi: da 8 a 15 Kg ca.- (la eventuale centralina idraulica 100 Kg ca.); Utensili: dischi od anelli diamantati raffreddati a secco e ad acqua; Operatività: ampia su strutture verticali, orizzontali, inclinate; Personale Necessario: 1 operaio (generico o qualificato) per i modelli idraulici; 139 Capitolo 2 Potenze: Pesi: Le Tecniche della Demolizione da 2 a 7,5 KW circa da 8 a 15 Kg ca.- (la eventuale centralina idraulica 100 Kg.ca) Utensili: - dischi diamantati a secco e ad acqua; - anelli diamantati raffreddati ad acqua; Operatività: ampia su strutture verticali, orizzontali, inclinate; Personale Necessario: - 1 operaio (generico) o 1 operaio (qualificato) per i modelli idraulici Limitazioni: - non sempre è possibile tagliare a "filo" delle strutture; - è disagevole tagliare dal basso verso l'alto; - l’aerazione dei locali con i modelli a scoppio; SEGHE TAGLIAPAVIMENTO Si utilizzano seghe montate su ruote, dette comunemente “tagliagiunti” o “tagliapavimenti” o “tagliasfalto”, con avanzamento manuale od automatico che, impiegando dischi diamantati, tagliano asfalto e cemento armato a varie profondità. Consigliabile: - su strade e piazzali; - in ambienti di ampiezza adeguata; - su solai anche di elevato spessore; - su pavimentazioni industriali; Lavori Tipici: - taglio di manti stradali per posa di condotte; - realizzazione di giunti segati; Vantaggi: - assenza di vibrazioni dannose; - assenza di polvere (se il raffreddamento del disco è ad acqua); - buona precisione; 140 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - elevata produzione; - limitata necessità di personale; Rumorosità: alta. Larghezza di Taglio: da 3 a 10 mm ca. Profondità massima: anche fino a 800 mm ca. attualmente fino a 400 mm ca., con macchine speciali Macchine: montate in genere su 4 ruote con sistemi meccanici o idraulici di sollevamento ed operatività del disco; Motorizzazioni: diesel, elettriche, a benzina, idrauliche; Potenze: Pesi: da 3 a 70 KW circa; da 35 a 2.000 Kg ca.; Utensili: dischi diamantati con raffreddamento sia ad acqua che a secco; Operatività: in piano o con inclinazione limitata; Personale necessario: 1 operatore (qualificato); Possibilità particolari: - montare più dischi sullo stesso asse o su assi separati per tagli multipli contemporanei e fresature; - comandare le macchine con il laser per percorsi rettilinei di notevole lunghezza; - comandare le macchine con guide elettroniche su percorsi anche leggermente curvilinei; Limitazioni: - pesi elevati per grossi spessori di taglio; - contenimento dell'acqua di raffreddamento in interni (ca. 4-10 l/m'); SEGHE A TUFFO Si eseguono sulla struttura da tagliare dei fori passanti di circa 200 mm di diametro, attraverso i quali può affondare un grande disco diamantato insieme al motore che lo mette in rotazione. Il motore scorre liberamente attraverso il foro mentre il disco taglia la struttura creandosi per fresatura la sua sede. Entrambi sono montati su uno speciale telaio-sega che consente la loro precisa penetrazione nella struttura interessata. E’ così possibile realizzare tagli rettilinei, spezzate, aperture squadrate sul cemento anche armato. 141 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Consigliabile: - Su solette, pareti e platee di forte spessore, in cemento anche armato - Se il manufatto è accessibile da una sola parte Lavori tipici: - Realizzazione di pozzetti - plinti – passi d’uomo - Aperture di vani per aerazione - condizionamento - Passaggio di impianti su dighe – centrali elettriche - opere d’arte, ecc. Rumorosità: Medio – alta; Profondità massima: Attualmente fino ad alcuni metri; Diametro massimo del disco diamantato: acqua; fino a 1.200 mm ca. raffreddato ad Attrezzature: - speciali telai - sega in profilati metallici; - supportati da carotatrici, fissati con stop alla struttura da tagliare; Motorizzazioni: - centraline idrauliche separate, motorizzate in genere elettricamente, ma anche a scoppio, con consolle di comando a distanza; Attrezzature: - speciali telai - sega in profilati metallici; - supportati da carotatrici, fissati con stop alla struttura da tagliare; Motorizzazioni: Centraline idrauliche separate, motorizzate in genere elettricamente, ma anche a scoppio, con consolle di comando a distanza; Potenze: Attualmente fino a circa 20 - 30 Kw ca.; Pesi: il telaio sega 50 Kg ca., mentre la centralina idraulica 170 Kg ca. Operatività: - ampia sia in orizzontale che in verticale ed in casi particolari anche a soffitto; - a filo parete, pavimento, soffitto; Personale necessario: - 1 operatore (specializzato) + 1 operaio (generico); Limitazioni: - esecuzione di grandi pre-fori mediante carotatrici e corone diamantate; - contenimento dell’acqua di raffreddamento (ca. 5-10 I/m’); 142 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione SEGHE A CATENA La tradizionale motosega per il taglio della legna viene ora impiegata nel settore edile come strumento di demolizione alternativa. Utilizzando speciali catene con placchette al carburo di tungsteno al diamante industriale, su attrezzature manuali o guidate è ora possibile tagliare strutture di tufo, calcare, pietrame siliceo e cemento armato. Consigliabile: - quelle manuali a secco, solo su tufo e laterizi; - quelle manuali diamantate, debolmente armato; - le altre su mattoni e talune anche su calcare, selce e cemento; - su muratura varia di spessore anche molto elevato; anche su cemento Lavori Tipici: - taglio di muri per l'impermeabilizzazione contro l'umidità di risalita per capillarità; - apertura di vani su pareti; - incassi per pilastri, travi, cordoli nei consolidamenti; - taglio di falde di tetti e laterizi in opera o fuori; Vantaggi: - vibrazioni contenute su materiali teneri; - nelle automatiche, bassa polverosità; - discreta precisione; - ridotto spessore del taglio; Attrezzature: - le manuali in genere elettriche; ma anche a scoppio, idrauliche o ad aria compressa; - quelle automatiche: elettriche o con centralina idraulica separata; Potenze: da 2 a 20 Kw circa; Pesi: le manuali da 5 a 20 Kg; Utensili: catene con placchette al carburo per l'uso a secco, ma anche al diamante raffreddato ad acqua; Operatività: in tutte le posizioni; Personale Necessario: 1 operatore (qualificato); 143 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Necessità Particolari: - le catene al diamante devono essere raffreddate ad acqua; - nei modelli guidati è spesso necessario fissare le guide piane o a denti alle pareti; Limitazioni: - polverosità con le seghe manuali (se non diamantate); - qualche vibrazione sui materiali duri; - le diamantate tagliano con difficoltà i grossi ferri d'armatura in senso longitudinale; FILO DIAMANTATO Il sistema di taglio che utilizza il filo diamantato, è costituito da un cavo d'acciaio sul quale vengono fissate delle perline diamantate, distanziate tra di loro da una plastica speciale iniettata ad alta pressione. La perlina diamantata può avere diversi diametri a seconda del materiale andrà a lavorare, tipicamente dagli 8 mm. agli 11 mm.; come nel caso degli utensili diamantati, il diamante può essere inserito nelle perline, sinterizzazione (per materiali più duri o per durate maggiori), ovvero elettrodeposizione (per materiali più teneri e per maggiori velocità di taglio); che altri per per Inizialmente le perline diamantate venivano fissate su di un cavo d'acciaio per mezzo di molle pretensionate, distanziali e pressatori (per la sua versatilità e semplicità di montaggio, questo sistema è usato ancora per il taglio del marmo in cava). Oggi però, per le normative di sicurezza sul lavoro e per ragioni di praticità ed efficienza, si preferisce un montaggio mediante iniezione plastica. I fili diamantati sono disponibili in qualsiasi lunghezza; le tipologie possibili sono: - ad anello chiuso senza giunzioni; - sinterizzato plastificato (speciale per tagli di grosse dimensioni); 144 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - elettrolitico plastificato (speciale per tagli di piccola dimensioni); - fili per applicazioni speciali. Caratteristiche: Il sistema risulta essere molto flessibile, adattabile a diverse tipologie di lavoro: non ha i limiti di diametro imposti dai dischi, e può tagliare qualsiasi spessore. É particolarmente indicato in presenza di calcestruzzi molto armati, per strutture di grandi dimensioni, e difficilmente raggiungibili con altre metodologie. Può essere affiancato dall’uso di sistemi ad acqua per abbattere le polveri. Vantaggi: - efficiente e capace di alta produzione; alta versatilità; non genera rumore, polveri o vibrazioni; esegue tagli di sezioni notevoli; esecuzione di tagli anche circolari; possibilità di operare da una sola parte della struttura da tagliare e in ambienti di ampiezza limitata. Limitazioni: - contenimento dell'acqua di raffreddamento del filo (ca. 10 - 20 l/m1 ed oltre); - richiesta specializzazione del personale operativo; - sensibile assorbimento di corrente elettrica; - precisione non elevata (specie in tagli orizzontali di notevole dimensione); Materiali lavorabili: - calcestruzzo poco, mediamente o fortemente armato. - pietre naturali: inerte granitico o calcareo (granito o marmo) - laterizi, mattoni pieni, pomice. conglomerati e composti. materiali refrattari. Campi d'impiego: - demolizione controllata di strutture in cemento armato; - apertura di vani, porte, finestre, muri di contenimento; - taglio di elementi costruttivi funzionali quali, travi, pareti, pilastri, solette, solai, murature; - demolizione di ponti, camminamenti stadi sportivi, centrali elettriche, cartiere, silos, ciminiere, caveau, interni di cinema e teatri, diaframmi, travi, pilastri, etc.; 145 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - taglio per la demolizione di canali, condotte, dighe, caveaux, crogiuoli, ciminiere, basamenti e plinti; - taglio strutture immerse; - realizzazione di giunti su fabbricati; - apertura di vani per passaggi ed impiantistica; Attrezzature necessarie: - telai sega con puleggia motrice del filo diamantato, orientabile; scorrevoli su guide poste a terra; con tensionatori del filo ad arganello elettrico od a pistone idraulico; - telai speciali con il filo diamantato contenuto nell'inviluppo della macchina, da fissare direttamente sulla struttura da tagliare; - telai speciali per la esecuzione di tagli circolari anche di grande diametro; - sistemi di taglio "a tuffo" quando si deve operare verticalmente su una struttura senza poter passare il filo al di là di essa; - alcune seghe tagliapareti a disco diamantato diventano seghe a filo diamantato sostituendo il disco con una puleggia cha trascina il filo. Il sistema di avanzamento della sega a disco diviene in tal caso anche il tensionatore del filo diamantato; - quadro di comando in consolle separata. 146 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Motorizzazioni: - elettriche con puleggia in presa diretta o idrauliche con centralina azionata da motori elettrici o diesel; Potenze: da 7 a 50 KW ca. Pesi Delle Macchine: da 35 a 150 Kg ma anche fino a 1.000 Kg ca. Utensili: - filo diamantato in anello chiuso, raffreddato con ampi getti d'acqua opportunamente orientati per liberare la fessura di taglio dal materiale fresato; - per motivi di sicurezza le perline vengono distanziate e bloccate sul filo d'acciaio trainante, per pressione e con la plastificazione; - gli anelli di filo vengono chiusi o con giunti attivati con piccole presse manuali o con giunti a vite; LE CORONE Come per le seghe, i piccoli segmenti di diamanti solidificati sono inseriti sul supporto metallico, all’estremità di un tubo d’acciaio; questi microscopici cristalli di diamante industriale, affiorano man mano che si consuma la lega metallica. Esistono anche dei bordi diamantati continui inseriti sulla corona, od incollati direttamente sul tubo. Si prevedono dei piccoli alveoli per lo smaltimento dell’acqua e dei sedimenti. A seconda del produttore, i diametri possono andare 12 ad 800 mm, ma la maggior parte sono compresi tra 20 e 400 mm., mediamente si arriva a forare ad una profondità di 3 m., ma in casi particolari si possono raggiungere persino i 6 m. La velocità di rotazione è solitamente scelta in modo che la velocità periferica della corona sia compresa tra 1,5 e 4 m/s (1,5 per il calcestruzzo siliceo molto duro e fortemente armato, 4,0 per calcestruzzo calcareo). Le macchine devono essere perfettamente stabili, per evitare qualsiasi vibrazione. Queste possono essere fissate alle strutture con appositi stops, tramite ventose a vuoto, oppure attraverso diversi tipi di assemblaggio meccanico. La pressione ottimale da esercitare è di circa 80 kg/cm2 . 147 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Il motore che genera la rotazione può essere di tipo idraulico, elettrico, pneumatico od a benzina, mentre la potenza del motore è di circa qualche CV (0,5 ÷ 5 CV). Naturalmente l’usura delle corone, che può essere più o meno rapida, dipenda dalla durezza del calcestruzzo perforato: - calcestruzzo molto siliceo ………………………5 ÷ 6 m - calcestruzzo calcareo ……………………….…20 ÷ 25m La maggior parte delle carotatrici in commercio permettono di eseguire fori (con profondità non eccessiva) in tutte le direzioni: quindi fori verticali, orizzontali, obliqui. Naturalmente l’usura delle corone, che può essere più o meno rapida, dipenda dalla durezza del calcestruzzo perforato: calcestruzzo molto siliceo ……………………5 ÷ 6 m; calcestruzzo calcareo …………………20 ÷ 25m; La maggior parte delle carotatrici in commercio permettono di eseguire fori(con profondità non eccessiva) in tutte le direzioni: quindi fori verticali, orizzontali, obliqui. FORI CONSECUTIVI La realizzazione di fori passanti, sovrapposti fra loro, lungo una linea, un taglio che separerà nettamente interessata (i bordi del taglio dentellati). leggermente determinerà la struttura risulteranno Consigliabile: - su strutture in cemento anche molto armato; - in ambienti di dimensioni ridotte; - dove si debbano escludere percussioni ed eccessivo rumore; - quando si dispone di poca energia elettrica; - dove il manufatto è accessibile solo da una parte; - se indisponibili macchine di taglio più veloci. 148 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Lavori Tipici: - apertura di vani per: porte, finestre, scale, passaggi di tubazioni per impianti, etc; - deumidificazione con il metodo Massari; - taglio di elementi strutturali; - demolizione di caveau; - incassi per pulsantiere, solai sospesi, inghisaggi Vantaggi: - assenza di vibrazioni dannose e di polvere - operatività anche in posizioni difficili - perforazioni anche di forte spessore - buona precisione Consigli pratici per l’utilizzo e la sicurezza I procedimenti di taglio sinora illustrati non presentano dei rischi particolari, non di meno si riportano in seguito alcuni consigli pratici, fondamentali nell’utilizzazione di questi strumenti. In primo luogo verificare sempre l’integrità del disco prima di procedere al suo montaggio, se esiste un minimo sospetto che questo sia danneggiato o abbia subito qualche urto non usarlo e contattare il costruttore. Si raccomanda di non usare dischi da taglio per eseguire invece spianatura, molature, sbavature o comunque operazioni diverse dal taglio. Il disco deve essere montato con il senso di rotazione (freccia) concorde a quello della macchina. Verificare sempre che l’albero della macchina non sia danneggiato o usurato e gli accoppiamenti siano esenti da giochi di alcun genere. Tagliando per lunghi periodi materiali molto duri e poco abrasivi, può talvolta accadere che il disco perda la sua taglienza; si consiglia pertanto di ravvivarla eseguendo qualche taglio in un materiale tenero e molto abrasivo o con apposito blocchetto fornito su richiesta dal produttore. Assicurarsi che le flange di trascinamento tra cui viene bloccato il disco siano di uguale diametro, perfettamente piane, pulite e successivamente serrate secondo le indicazioni del fabbricante della macchina. Per ciò che riguarda il materiale elettrico, le alimentazioni sono solitamente assicurate, e corrono su basse tensioni (24 V, ossia 220 V mono) con protezioni di interruttori differenziali. Si riporta in seguito una tabella riassuntiva relativa ai principali problemi e le loro possibili cause. 149 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Commenti Nella tabella che segue sono messe a confronto le caratteristiche (classificate tipologicamente) del due sistema di demolizione basato sul taglio del calcestruzzo con utensili diamantati, e quello generalmente più convenzionale (ad esempio attraverso l’utilizzo del martello pneumatico). 150 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione PROCEDIMENTI TERMICI DI DEMOLIZIONE: PERFORAZIONE TERMICA CON LA LANCIA AD OSSIGENO La perforazione termica non è un procedimento nuovo. È stato infatti utilizzato più di sessanta anni fa nelle acciaierie per stappare i fori di colata del metallo o delle scorie di fusione. Ma è stato soprattutto alla fine della seconda guerra mondiale che questa tecnica è stata utilizzata per tagliare roccia e calcestruzzo. Principi di funzionamento La combustione dell’acciaio causata dall’ossigeno, è un processo fortemente endotermico, e produce degli ossidi di ferro liquidi. Questo fatto gioca un ruolo importantissimo, portando alla utilissima conseguenza di abbassare la temperatura di fusione del calcestruzzo. In seguito a questa fusione si formano di conseguenza delle scorie liquide (servono 1650 cal. per fondere 1 cm3 di calcestruzzo). Per effettuare la perforazione si utilizza una lancia termica o anche detta “lancia ad ossigeno”. Questa lancia è costituita da un tubo d’acciaio di 13, 17 o 21 mm. di diametro esterno, che contiene una fascia interna di fili di lega a base di ferro, stretti l’uno contro l’altro (φ = 1 a 2 mm.). Dopo aver leggermente aperto l’ingresso dell’ossigeno, l’estremità della lancia viene accesa con l’aiuto della fiamma ossidrica tradizionale (od anche semplicemente con una sigaretta). Quando la lancia è pronta a funzionare, la si applica sul materiale da forare e si aumenta il flusso dell’ossigeno. Durante la propria combustione, la lancia termica esercita una tripla azione che causa la foratura: - azione termica: la reazione esotermica di combustione, dovuta alla formazione di ossido di ferro, permette la fluidificazione delle scorie prodotte (la temperatura si aggira su un ordine di circa 2000 ÷ 2500 °C). - azione chimica: gli elementi costitutivi del materiale da tagliare si combinano con l’ossido di ferro prodotto dalla lancia. L’ossido di ferro ha il ruolo dell’elemento fondente, vale a dire che esso abbassa il punto di fusione del calcestruzzo a 1500 ÷ 1700 °C, quando solitamente si aggira su una temperatura di circa 3000 °C; questa temperatura è molto influenzata dal tenore di calce nel calcestruzzo, dunque dal suo dosaggio in cemento. - azione cinetica: il getto d’ossigeno sotto pressione facilita l’espulsione delle scorie al di fuori del foro che si sta eseguendo. Messa in opera La perforazione termica necessita di pochi e poco ingombranti elementi, qui di seguito elencati: a) Alimentazione d’ossigeno: 151 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Questa viene realizzata con delle bombole sotto pressione, ognuna delle quali può contenere 7 m3 di gas compresso a 150/200 bar. Solitamente le bombole vengono tenute insieme all’interno di telai, che ne possono contenere da 9 a 28 (rispettivamente 63 m3 – 800 kg e 196 – 2500 kg). In casi di grandi operazioni di demolizioni, dove il consumo è superiore ai 5000 m3 , possono essere utilizzati degli evaporatori, fissi o mobili, che contengono ossigeno liquido. La regolazione della pressione di lavoro dell’ossigeno, può essere manovrata attraverso un riduttore di pressione manuale, che a seconda dei casi, può portare la pressione dei gas da 7 ad 11 bar. Questa regolazione permette di evitare che la lancia si bruci prima dei fili (pressione troppo forte) od al contrario, che i fili si brucino prima della lancia (pressione troppo debole). b) Il porta lancia e le lance: Una delle estremità delle lance è unita al porta-lance (con o senza protezione incorporata), di cui il rubinetto di regolazione è collegato al riduttore della bombola d’ossigeno con una bombola flessibile. Le lance, che si consumano a seconda dell’avanzamento della perforazione, sono costituite da un tubo in acciaio nel quale sono introdotti dei fili in lega a base di ferro. Quando queste si sono accorciate troppo, si arresta l’arrivo dell’ossigeno, si smonta la parte restante (la cosiddetta “cicche”) e al si sostituisce con una nuova lancia. A seconda dei modelli è possibile riutilizzare “le cicche” montandole sulla testata delle nuova lance (per filettatura od attraverso manicotti). Bisogna sottolineare che la fusione del calcestruzzo è molto localizzata, ed la perforazione prosegue fintantoché è garantito il consumo della lancia, ed il contatto tra la sua punta ed il fondo del foro. Le lance possono avere le seguenti caratteristiche: φ esterno (mm) 17 21 Peso (kg/m) 1,4 2,4 Lunghezza (m) 3/4 Utilizzazione Questo procedimento si adatta particolarmente per lavori di demolizione parziale controllata. L’operazione di demolizione può essere eseguita in vario modo, in seguito si descriveranno quelli più utilizzati: Serie di fori adiacenti Il taglio di una parete di calcestruzzo può essere attuato eseguendo una serie di fori adiacenti tra loro e tangenti sulla circonferenza; questo principio è valido anche per il taglio del calcestruzzo eseguito attraverso carotatrici diamantate. Il 152 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione diametro dei suddetti fori è di circa 4 ÷ 5 cm. Se nel corso della perforazione, si incontrano dei ferri di armatura, questi vengono bruciati, come del resto l’acciaio della lancia, cosa che facilita ed accelera l’avanzamento del lavoro. Per assicurare un buon smaltimento delle scorie, si deve spesso ruotare la lancia in modo da eseguire una penetrazione obliqua. Qualora quest’ultimi risultassero troppo viscosi, si lasciano raffreddare per un po’ allontanando la lancia. Quei pochi punti che dovessero restare ancora integri dopo l’azione della lancia possono essere completati agevolmente con un martello pneumatico. Rapporto tempo- materiale consumati per la perforazione del calcestruzzo Si può riassumere il tutto nella seguente tabella: Profondità del foro [cm] 25 60 Consumo/foro Ossigeno [m3 ] 0,6 ÷0,8 1,5 ÷2,5 Tempi/foro Lancia φ 17 mm [min] [m] 1,3 ÷1,6 1’20 ÷1’40 3 ÷5 3’ ÷5’ Questo valori sono relativi a lavori di tipo ordinario. In caso di perforazione verticale, i valori sono leggermente più elevati (+10 ÷ 30%) e vanno crescendo in funzione dello spessore dell’elemento da forare. Delle perforazioni verticali sono state realizzate in Gran Bretagna su dei blocchi di calcestruzzo di 7 m. di spessore, ma a partire dalla profondità di perforazione di 2,5 m., è stato necessario espellere le scorie con un getto d’aria sotto pressione. Al contrario, per delle pareti di minore spessore, il consumo può essere ridotto dal 20 al 40%. In generale, questo consumo dipende quindi da: - le condizioni climatiche; - l’esperienza e l’abilità dell’operatore; - dal tipo di materiale da tagliare (per il calcestruzzo, dal suo tenore d’acqua, dalla granulometria impiegata e dalla quantità di armatura); - dalla profondità di perforazione; Principali applicazioni Le applicazioni più convenienti per questo tipo di taglio sono: - lo smantellamento totale di un’opera; - la demolizione di opera provvisorie; - la demolizione totale o parziale di opere che risultino già danneggiate; - la modificazione di spazi. 153 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Si possono realizzare dei fori quasi ovunque, tanto all’aria aperta quanto sott’acqua, a condizione di disporre di un o spazio di almeno 1 ÷ 1,5 m. Questa tecnica si presta molto bene ad essere affiancata da altre tecniche quali ad esempio quella dei divaricatori meccanici o idraulici. In certi casi è possibile sostituire i fili in lega di ferro all’interno della lancia con della polvere d’alluminio. L’emissione di calore in questo caso aumenta sensibilmente. In effetti un grammo di polvere di ferro (FeO) produce 1720 cal., mentre 1 grammo di alluminio ne produce 7200 cal. (4,2 volte di più). Sicurezza La formazione del personale può essere molto sbrigativa, grazie alla semplicità della procedura. Ma se si vogliono ottenere degli alti rendimenti uniti con il rispetto delle norme di sicurezza è preferibile utilizzare un personale che abbia un certo tipo di esperienza in questo tipo di lavori. Come per tutti i procedimenti di demolizione, è necessario tenere conto delle precauzioni abituali per assicurare la sicurezza dei locali adiacenti e quella degli operatori. In particolare non si finirà di ripetere che bisogna sempre verificare la stabilità generale dell’opera durante la lavorazione. Quando si deve trasformare lo spazi di locali esistenti attraverso l’uso della lancia termica, si può proteggere il suolo dalle scorie, spargendo su di esso della sabbia, evitando non solo il contatto tra solaio e scorie fuse, ma anche facilitando le operazioni di pulizia. Le scorie che restano attaccata all’elemento che si perfora sono facilmente staccabili anche una volta raffreddate. Per ciò che riguarda il personale, si devono prendere precauzioni particolari dalla proiezione di scintille (in particolare di scorie roventi) e dalla loro colata. Questo è il motivo per cui si utilizza od uno schermo metallico verticale appoggiato al suolo, oppure di uno scudo circolare sulla porta-lancia, per proteggere le mani dell’operatore. Quest’ultimo sarà, d’altra parte, fornito di particolari abiti di protezione. Il problema dei fumi emessi diventa importante nel caso di lavori in ambienti poco ventilati. I fumi sono prodotti dall’acqua contenuta nel calcestruzzo, la quale viene liberata nel momento della fusione. Il vapore acqueo si mischia con le polveri scure dell’ossido ferrico. Questi fumi dovrebbero essere evacuati da appositi impianti di ventilazione. Situazione particolarmente difficili si verificano in quei casi in cui si devono eseguire lavori in spazi in cui l’attività non può subire interruzioni (ospedali, ad esempio). Commenti Riassumendo, la perforazione termica presenta i seguenti vantaggi e limiti: 154 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Vantaggi: - permette il taglio di blocchi calcestruzzo poco o molto armato (anche precompresso); - risulta abbastanza silenzioso; - risulta assai rapido; - totale assenza di vibrazioni dannose per gli il resto della struttura; - utilizzabile in centri o locali abitati; - mano d’opera istruibile rapidamente; - non necessita di grandi attrezzature per poter essere messo in opera; - possibilità d’impiego anche sottomarino; Limiti: - carente di precisione e nettezza del taglio; - necessita di sgobbare il pezzo di calcestruzzo dalle scorie; - produzione di grosse quantità di fumo; - possibile proiezione di materiale rovente (rischio di incendio); - necessita di particolari protezione dell’operatore; - costo abbastanza elevato. IL CANNELLO A POLVERE Procedimento abbastanza recente, il cannello a polvere viene impiegato per tagliare setti in calcestruzzo, ed allo stesso tempo le eventuali armature. Principi di funzionamento Il principio di funzionamento si pone a metà strada tra il taglio classico dell’acciaio con la fiamma ossidrica e quello di taglio del calcestruzzo eseguito attraverso la lancia termica (poc'anzi descritta). Si basa sulla combustione di un composto di polvere di ferro e di alluminio, attraverso una fiamma ossiacetilica. Il risultato di questo processo di combustione è la produzione di grandi quantità di calore, di ossido ferrico e di alluminio liquido. Questi ultimi, a contatto con il calcestruzzo, esplicano il ruolo di elemento fondente, abbassandone la temperatura di fusione a 1700 °C. Avviene dunque la formazione di scorie liquide. La fiamma viene invece alimentata dalla combustione di un miscela di ossigeno ed acetilene, che fuoriescono da una corona di piccoli fori alla base del cannello. Questa fiamma porta la polvere ad una temperatura tale che permette l’inizio di questa reazione di combustione con l’ossigeno. Quest’ultimo è espulso da un foro centrale del condotto, formando così il dardo del cannello. 155 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione La polvere (formata da granuli e non scaglie) è un combinazione composta generalmente di 85% di polvere di ferro ed un 15% di polvere d’alluminio. Per tagliare il calcestruzzo, è appunto necessaria una certa presenza di polvere d’alluminio, poiché mantiene attiva, ed accelera la combustione della polvere di ferro. La polvere nella giusta proporzione viene dosata da un distributore, che la spinge con dell’aria compressa da un piccolo condotto parallelo a quello principale. Al fine di evitare un intasamento è molto importante che la polvere e l’aria compressa restino secche e libere di qualsiasi traccia d’olio, che naturalmente porterebbe alla formazione di un composto fangoso. Messa in opera L’apparecchiatura viene alimentata da: - polvere, da un distributore riservato; - ossigeno, tenuto all’interno di bombole; - gas combustibile (acetilene), tenuto all’interno di bombole; - aria compressa, espulso da bombole o da un compressore. Tutta l’apparecchiatura può essere montata su un telaio mobile. Il telaio principale che sorregge il cannello può scorrere su delle rotaie, e può essere movimentato attraverso un telecomando, allontanando in questo modo, l’operatore dal luogo dell’operazione e migliorando le condizioni di sicurezza. La larghezza dei tagli eseguibili con questa tecnologia si aggira sull’ordine di circa 30 ÷ 40 mm. Eccetto per una zona di circa 20 mm. ai lati del taglio eseguito, il calcestruzzo non subisce fenomeni di degrado. Questo fatto è dovuto alla velocità di taglio (1 ÷ 8 cm/min). A seconda degli spessori da tagliare, il rendimento può oscillare tra 0,2 e 0,6 m2/h (il rendimento si calcola moltiplicando la lunghezza per lo spessore di taglio effettuato in un’ora). Utilizzazioni Il cannello a polvere permette di realizzare dei tagli nel calcestruzzo armato, ma non permette di effettuare un foro: lo strumento non riesce a penetrare nel calcestruzzo, al contrario della lancia ad ossigeno. Infatti, per iniziare ad eseguire un taglio è necessario avere a disposizione un bordo libero oppure eseguire un foro, che sarà il punto di partenza della linea di taglio, con un martello pneumatico ad esempio. Inoltre è necessario disporre anche di uno spazio libero posteriormente a dove agisce il cannello, in modo tale che la fiamma possa fuoriuscire, ed i detriti colare via. Purtroppo, questo rappresenta un limite nell’applicabilità di questa tecnologia per elementi quali fondazioni o elementi comunque molto tozzi. A seconda della lunghezza del dardo e della fiamma di cui si può disporre, si possono tagliare spessori sino a 50 cm. Segue una tabella relativa ai consumi per spessori di calcestruzzo dai 250 ai 400 mm. 156 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Sicurezza Le condizioni di sicurezza sono le stesse da rispettare nel caso di uso della lancia termica (descritte in precedenza). I fumi, generati a causa della evaporazione della componente d’acqua presente all’interno del calcestruzzo, devono essere evacuati da adeguati dispositivi di ventilazione forzata, nel caso si lavori in ambienti con una scarsa ventilazione naturale. Commenti Vantaggi: - poco rumoroso - possibile utilizzazione in luoghi urbani (non isolati); - permette di tagliare le armature contemporaneamente al taglio del calcestruzzo - elevata velocità di taglio; - il taglio è ottenuto direttamente, e non attraverso fori adiacenti tangenti; - assenza di vibrazioni; Inconvenienti: - forte produzione di fumi; - sicurezza del personale da studiare nel dettaglio; - frequenti problemi nella distribuzione della polvere nell’impianto; - costo abbastanza elevato; - necessita protezione nei confronti delle scorie prodotte; - necessita protezione nei confronti del materiale proiettato; IL CANNELLO AL PLASMA Si è iniziato a sperimentare ed a mettere a punto questa nuova tecnica di taglio del calcestruzzo, agli inizi degli anni ottanta, in seguito alla sua applicazione nel taglio delle strutture metalliche. Il cannello al plasma ad arco permetterebbe di tagliare il calcestruzzo ad altissime temperature, cosa che porterebbe al sensibile aumento della velocità di esecuzione. 157 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Principi di funzionamento Un plasma è un mezzo gassoso conduttore elettrico, composto da particelle di ioni e di elettroni incolonnati per formare un arco elettrico. Nelle saldature si distinguono si usa distinguere due tipi di plasma ad arco: l’arco trasferito e l’arco non trasferito. Per arco trasferito si intende il caso in cui la corrente venga trasferita all’elemento con cui sta a contatto: questo arco è stabilito tra l’elettrodo e l’elemento. L’arco non trasferito, si stabilisce tra l’elettrodotto in tungsteno ed il condotto in rame, e viene spinto verso l’elemento. Indipendentemente dalle tipologie sopra descritte, l’arco porta alla ionizzazione di un gas “plasmagenico” (conduttore di elettricità) spinto attraverso il condotto attorno all’elettrodo. Questo gas può essere ad esempio costituito da argon, elio, azoto ovvero un composto di uno dei suddetti gas con dell’idrogeno. Le temperature rilevate al centro della colonna di plasma dell’arco, in normali condizioni, si aggirano tra gli 8000 ed 25000 °C. Definite le singole tecnologie possiamo ora scendere nei dettagli di ognuna. a) Il cannello ad arco trasferito è utilizzato principalmente per tagliare degli elementi metallici o comunque sia conduttori. Il principio di funzionamento è il seguente: viene creata una forte differenza di potenziale all’interno dell’elettrodo interno (catodo) ed il condotto che costituisce l’anodo. Un gas viene convogliato all’interno del condotto. Di conseguenza, si forma un plasma nell’arco tra il catodo ed il corpo del condotto. Se il gas è convogliato sotto pressione, il plasma fuoriesce leggermente dall’orifizio del cannello. Purtroppo la maggior parte della produzione del calore resta concentrata in corrispondenza dell’orifizio del cannello: per evitare che questo si riscaldi troppo, l’ugello è raffreddato da un flusso d’acqua che viene fatto scorrere all’interno della superficie laterale dello stesso, in un canale posto in corrispondenza dell’orifizio d’uscita del plasma. D’altra parte, per trasportare il calore sul pezzo da tagliare, l’arco si sposta, trasferendo la funzione di anodo dal condotto al pezzo stesso da tagliare. b) Il cannello ad arco non trasferito viene invece utilizzato quando i pezzi da tagliare non sono dei conduttori elettrici. Il principio di funzionamento consiste nello spingere il plasma verso il calcestruzzo, con l’aiuto di un getto di gas sotto forte pressione. I risultati ottenibili sono comunque accettabili, ma il consumo di energia è enorme, benché il calcestruzzo sia meno conduttore di calore rispetto al metallo. Inoltre l’argon utilizzato è un gas molto costoso; si è pensato di sostituirlo dunque, con l’aria ad esempio, ma in questo caso di avrebbero forti problemi di ossidazione del condotto. Lavorando su questa tecnologia, i ricercatori hanno messo a punto una torcia al plasma con gli elettrodi consumabili. La temperatura del plasma si aggira sui 10.000 °C. 158 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Tutta l’apparecchiatura consiste in un cannello munito di due elettrodi concentrici: - l’elettrodo interno (catodo) non è altro che una lancia ad ossigeno modificata; - l’elettrodo esterno (anodo) è un tubo cavo in acciaio; - lo spazio tra questi due elettrodi è percorso da un gas che crea il plasma. I due elettrodi bruciano regolarmente e contemporaneamente, facilitando la fusione del calcestruzzo, abbassandone il punto di fusione e facendo diminuire la viscosità delle scorie prodotte. Le prove effettuale con tale apparecchiatura sembrano assai promettenti. La velocità di avanzamento di circa 10 cm al metro/min sono possibili a seconda delle caratteristiche del materiale da tagliare. Nel caso del calcestruzzo armato, i ferri di armatura servono da combustibile, come nel caso della lancia ad ossigeno classica. Le scorie fuse vengo tutte velocemente espulse dal foro, grazie al flusso gassoso. Con questo procedimento, il cannello può penetrare all’interno del materiale da tagliare, cosa che è difficilmente ottenibile nel caso del cannello al plasma tradizionale. Messa in opera In commercio è ancora difficilmente riscontrabile un cannello al plasma per il taglio del calcestruzzo. Tuttavia, in seguito alle diverse ricerche che sono state condotte recentemente, sembra che si stia vertendo verso la creazione di un’apparecchiatura leggera, trasportabile e di facile utilizzazione. La semplicità di utilizzazione dovrà essere paragonabile a quella della lancia ad ossigeno, con un efficacia e rendimento tuttavia nettamente superiore. Campi d’applicazione Le temperature ottenute grazie a questa tecnologia (circa 10000 °C) permettono di fondere molto rapidamente tutti i materiali da costruzione finora conosciuti. Il problema resta che la quantità di calore dissipata per il gas di spinta è notevole, e solo una parte relativamente piccola di questa viene trasferita al pezzo da tagliare. I rendimenti energetici sono tuttora molto deboli. Inoltre per poter utilizzare questa tecnica in cantiere si dovrebbe utilizzare una potenza di circa 50 ÷ 100 kW, abbastanza difficile da ottenere in cantiere. Una applicazione abbastanza particolare consiste nella striatura (rigatura) di strade o piste in calcestruzzo. Questo procedimento innovativo è stato progettato nell’ambito di una ricerca promossa dall’ente francese A.N.V.A.R. (Agenzia Nazionale per la Valorizzazione della Ricerca) ed è finalizzata ad ottenere, nei prossimi anni, un procedimento di rigatura di una superficie in calcestruzzo per migliorare l’aderenza dei pneumatici; obbiettivo principale è ottenere un costo minore rispetto a quello relativo agli utensili diamantati, in modo da permettere l’industrializzazione della produzione dell’apparecchiatura. Un dispositivo permettere di creare, da una parte all’altra del flusso del plasma, e parallelamente alla direzione del solco da tracciare, due barriere d’acqua, che 159 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione delimitano il campo d’azione del plasma. Si possono tracciare dei solchi distanti circa 1 cm. senza pregiudicare la resistenza meccanica della zona di calcestruzzo tra i due solchi consecutivi, interessata dall’operazione. Le proiezione di scorie sono ridotte grazie alla presenza dei getti d’acqua. Il generatore del plasma è del tipo ad arco soffiato, alimentato a corrente continua da un gruppo generatore di 20 kW di potenza. Il gas “plasmagenico” utilizzato è l’azoto, per motivi sia tecnici (intenso flusso di calore) che economici (costi ridotti). Sicurezza Come per la lancia ad ossigeno, è comunque necessario che il personale si protegga nei confronti della proiezione di scorie. Devono essere prese delle ulteriori precauzioni nei confronti del rischio elettrico dovuto alla notevole intensità della corrente utilizzata. Commenti Riassumendo, la perforazione termica ottenuta col cannello al plasma presenta i seguenti vantaggi e limiti: Vantaggi: - risulta più efficace e rapida degli attuali procedimenti termici di demolizione; - utilizzabile per perforazioni sia verticali che orizzontali; - utilizzabile in caso di calcestruzzo armato; Limiti: - elevato livello di inquinamento acustico; - produzione di grosse quantità di fumo; - proiezione di materiale rovente (rischio di incendio); - necessita di disporre di un potente approvvigionamento di energia elettrica. IL LASER Come è risaputo, il laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation), non è altro che un fascio di luce concentrato, monocromatico e di fase costante. Nel caso di una fonte di radiazione tradizionale (sole, fiamma, lampadina), la radiazione emessa è multidirezionale, mentre nel laser le radiazioni emesse si presentano sotto forma di un fascio di una piccola apertura angolare (circa due milliradianti). L’agitazione termica degli atomi nel caso di una fonte classica, provoca una emissione di onde elettromagnetiche di frequenze differenti e sfasate tra loro. Nel caso di un fascio laser, c’è una coerenza temporale (cioè in un certo istante, le vibrazioni hanno tutte la stessa fase), ed una coerenza spaziale (cioè il fascio 160 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione prodotto presenta una grande lunghezza d’onda). Ne risulta un’onda unica che supporta una grande quantità di energia, cosiddetta fotonica. Così un piccolo fascio laser di 1 milliwatt riesce a fornire un’illuminazione equivalente a quella di una fonte pluridirezionale da 16kW. Tenuto conto dell’elevata concentrazione angolare del fascio, è possibile ottenere, adottando degli idonei dispositivi ottici, una concentrazione superficiale di energia emessa su una piccolissima area: ad esempio un piccolo laser da 1 milliwatt focalizzato su una zona di 1 µm di diametro, fornirà una densità di potenza di 100 kW/cm2 . A titolo comparativo, il sole fornisce una concentrazione superficiale di 0,1 W/cm2 . Questa proprietà del laser risulta molto interessante per lavori finalizzati al taglio di materiali. Si sottolineano inoltre altre proprietà interessanti, quali la concentrazione spettrale (dovuta al monocromatismo del laser), la concentrazione temporale (utilizzata dai laser impulsivi). In quest’ultimo caso, l’energia conservata dal materiale attivo per il “pompaggio” (eccitazione), può essere liberata (fase di emissione) in un tempo molto breve, qualche nanosecondo, fornendo così un’elevata potenza. Si deduce quindi che ad energia costante, la potenza è inversamente proporzionale alla durata dell’impulso. Le applicazioni industriali in questo settore sono in piena fioritura, basti pensare alla microelettronica ed alla nanotecnologia. Ciononostante, la caratteristica che interessa maggiormente in questa sede, è la capacità che ha il laser di trasformare l’energia luminosa in calore. Le fasi di un processo di taglio eseguito col laser sono le seguenti: allorché un fascio incontra la superficie dell’elemento da tagliare, parte dell’energia viene assorbita, facendo aumentare velocemente la temperatura della zona d’impatto; si possono dunque avere fusione o shock termico, ed in seguito, una separazione del materiale in due parti. Essendo il calcestruzzo un cattivo conduttore di calore, le perdite di energia sono dunque ridotte ed il taglio può essere effettuato più facilmente rispetto al caso dei metalli ad esempio. Poiché, come è stato finora spiegato, il taglio col laser è un processo termico, le prestazione ottenibili sono indipendenti dalla durezza del materiale, ad esempio, e da tutte le altre caratteristiche fisico-meccaniche non inerenti con proprietà di conducibilità termica. Negli Stati Uniti, utilizzando un laser di 1 kW di potenza e dei tempi di esposizione di circa 30 secondi, si è riuscito a rompere dei piccoli pezzetti di calcestruzzo; è comprensibile come in questi casi, lo shock termico giochi un ruolo importante. L’obiettivo dei prossimi anni è quello di ottenere una potenza del laser tale da portare alla fusione della zona d’impatto in tempi sufficientemente brevi. Nella seguente tabella sono descritte le caratteristiche principali delle varie tipologie di laser (ogni laser è particolarmente adatto ad una diversa tipologia di lavoro). 161 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Tra i laser ad emissione continua, i più utilizzati sono quelli basati sull’anidride carbonica. In questo tipo di laser, la componente attiva è costituita da una colonna gassosa (combinazione di CO2 He, N2) eccitata da una scarica elettrica. La potenza finale è proporzionale alla lunghezza del tubo di scarica. Queste apparecchiature possono essere affiancate da un impianto che espelle un gas sulla zona colpita dal laser, al fine di proteggere la lente (da cui nasce il fascio) da eventuali proiezioni di scorie (dovute ad esplosioni sulla superficie del calcestruzzo). I laser a base di CO2 sono quelli sui quali attualmente si stanno concentrando la maggior parte delle ricerche, al fine di ottenere una futura utilizzazione in cantiere: per ottenere ciò è necessario in primo luogo aumentare la potenza di questo tipo di laser, e renderlo di facile utilizzazione, affidabile e sicuro. Bisogna inoltre sottolineare alcun aspetti molto positivi di questa tecnologia al laser, ossia la totale silenziosità, assenza di vibrazioni, fumi, polveri o gas tossici. 162 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione TRATTAMENTO SUPERFICIALE DEGLI ELEMENTI COSTRUTTIVI I procedimenti e le tecniche che prevedono il trattamento superficiale degli elementi costruttivi in calcestruzzo armato sono solitamente utilizzati in caso di riscontro di fenomeni di forte degrado del calcestruzzo. Si è ritunuto quindi necessario ed utile anteporre alla descrizione delle tecniche, una sintesi delle principali problematiche di durabilità del calcestruzzo, fornendo un quadro delle possisbili fenomenologie, delle relaitve cause e delle modalità di intervento. IL DEGRADO DEL CALCESTRUZZO Introduzione generale Considerato ai suoi albori il materiale del futuro, il calcestruzzo in questo secolo ho avuto una forte diffusione nelle costruzioni, imponendosi come prodotto destinato o durare nel tempo. Purtroppo, oggi constatiamo come le premesse fossero errate e come il fenomeno del degrado delle strutture in cemento armato affligga le costruzioni in misura sempre maggiore. Sono nati così molti filoni di studio che interessano il concetto di “durabilità” del calcestruzzo, e parallelamente si è sviluppato tutta una serie di tecniche di intervento per il ripristino e la protezione delle strutture. Maggiore specializzazione tecnica, e qualità dei prodotti, sono le condizioni che oggi guidano i progettisti verso recuperi che presentino un elevato grado di affidabilità e durata. Lo scopo di questa breve relazione è quello di fornire un quadro delle tematiche sul degrado delle strutture in calcestruzzo, analizzandone sia le possibili cause scatenanti, che le tipologie, e descrivendo in seguito le principali procedure per la sua individuazione e la diagnosi. Come si può dedurre da una breve revisione della corposa letteratura specifica, l’argomento in questione è estremamente vasto e multisfaccettato: necessariamente perciò, questa sua trattazione non potrà essere esaustiva, bensì puramente illustrativa. La necessità stessa di questo paragrafo nasce dall’esigenza di fornire un background culturale per potere affrontare in maniera più cosciente i vari aspetti delle tecniche di demolizione superficiale, argomento infatti dei prossimi paragrafi. L'impiego del calcestruzzo armato nell’ambito dell’edilizia civile, industriale e delle infrastrutture ha permesso la realizzazione di grandi opere, talvolta molto ardite, risultato sia dell’ingegno di grandi progettisti (architettonici e strutturali), che dell’impiego di tecniche di esecuzione sempre più accurate e tecnologiche. Questo materiale è però soggetto a fenomeni di degrado che ne comportano il decadimento sia estetico, che strutturale. Per risolvere tale problematica, che comporta delle operazioni di manutenzione molto dispendiose; si è pertanto diffusa negli ultimi decenni la “cultura" della durabilità del calcestruzzo, intesa 163 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione come mantenimento nel tempo dell’integrità e delle caratteristiche strutturali e architettoniche per le quali il materiale viene impiegato. Dalla prima esigenza di ridurre il rischio che accadano eventi catastrofici, si è passati all’allungamento della vita delle strutture ed ad un abbassamento dei costi di mantenimento. Quando una struttura subisce un danneggiamento che rimane non individuato, questo può progressivamente aumentare pregiudicando la sicurezza e le prestazioni della struttura stessa. È pertanto vitale individuare al più presto ogni eventuale danno, effettuare l’analisi delle cause che lo hanno provocato e intervenire poi con la conseguente riparazione. Cemento armato ordinario calcestruzzo Tabella limiti per le compressioni in esercizio nel Nell’ambito di queste problematiche, rientra anche il nuovo ed eccezionale interesse che tutti gli operatori mostrano per la durabilità, ovvero il mantenimento nel tempo delle prestazioni di una data opera. La durabilità, per la prima volta nominata nella normativa tecnica italiana nel 1980, è oggi un parametro di progetto fondamentale, così come lo sono la resistenza e le altre caratteristiche dei materiali. Un esempio specifico della rinnovata importanza data alla durabilità ed alle prestazioni in esercizio, è ritrovabile nel concetto stesso di verifica col metodo agli Stati Limite, in cui oltre alla, più nota, verifica di resistenza, Stato Limite Ultimo, (S.L.U.), si affianca la verifica agli Stati Limite di Esercizio (S.L.E), differenziata a seconda delle condizioni atmosferiche esterne: se si legge il paragrafo A.4.2 Sezione II della Circ. Min. LL.PP. 15 ottobre 1996 (Istruzioni per l’applicazione del D.M. 9 gennaio 1996) si nota come la capacità resistente del calcestruzzo considerato non dipenda solo dal Rck, ma anche del livello di aggressività dell’ambiente circostante, per mezzo di specifici coefficienti moltiplicatori. Si riporta in seguito la dicitura esatta, di verifiche agli S.L.E. tratta dalla suddetta normativa: “Per assicurare la funzionalità e la durata delle strutture è necessario: - prefissare uno stato limite di fessurazione adeguato alle condizioni ambientali e di sollecitazione nonché alla sensibilità delle armature alla corrosione; 164 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - realizzare un sufficiente ricoprimento delle armature con calcestruzzo di buone qualità e compattezza; - tener conto delle esigenze estetiche.” È indispensabile che il problema della durabilità si affronti durante l’intero ciclo della produzione edilizia: progetto, esecuzione e gestione. La progettazione deve considerare le caratteristiche (dell’ambiente nel quale il manufatto sarà inserito, determinando i parametri da utilizzare per la composizione della “ricetta” dei calcestruzzo. La fase esecutiva necessita di un accurato controllo quotidiano finalizzato alla realizzazione dell’opera in termini qualitativi, sia in relazione alle caratteristiche del materiale, sia definendo e le modalità operative di esecuzione (verifica delle condizioni ambientali prima dei getti, corretto posizionamento dei casseri, vibratura dell’impasto, maturazione, eccetera). Durante la vita utile del manufatto il controllo costante e la manutenzione periodica consentono il futuro risparmio economico oltre a garantire condizioni ottimali di utilizzo per gli utenti. Analizziamo le tre fasi con maggior dettaglio. Le cause del degrado Il degrado del calcestruzzo può avere origine già in fase progettuale; infatti, un calcolo strutturale inadeguato, l’impiego di materiali di scarsa qualità, un insufficiente controllo della messa in opera, sono alcuni dei fattori che possono compromettere la struttura ancora prima della sua effettiva messa in servizio. All'atto della definizione di un progetto di ripristino, sono da considerare i seguenti fattori: § condizioni ambientali interne ed esterne alla struttura; § esposizione e relative misure protettive; § condizioni d'uso; § qualità di esecuzione; § forma degli elementi; § programma di manutenzione. I seguenti esempi rappresentano alcune tra le negligenze più frequenti, cause di successivi problemi di durabilità. La causa più diffusa di degrado superficiale di opere in calcestruzzo, è senza dubbio l’errata valutazione del copriferro, causa della corrosione delle armature e della conseguente espulsione del copriferro stesso (i dettagli del processo chimico-meccanico sarà trattato nel seguito). 165 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Un’altra grave disattenzione che porta all’espulsione del copriferro da parte dei ferri d’armatura, può verificarsi in strutture essenzialmente compresse (pilastri): la mancanza di staffatura idonea, ovvero la mancata chiusura delle staffe nei pilastri, comporta il sensibile aumento della lunghezza libera d’inflessione del ferro longitudinale compresso, che, soggetto ad instabilità a carico assiale, spinge ed espelle fuori lo strato di calcestruzzo adiacente. Spesso accade che la verifica a deformabilità di una struttura viene trascurata, specie nelle strutture di carattere ordinarie (civile abitazione): nei casi in cui i carichi in gioco, non molto elevati, portino ad un dimensionamento ridotto (basato solo sulla resistenza) della sezione dell’elemento, è probabile che questo soffra di un’eccessiva deformabilità, che, se non prevista in tempo debito sarà causa di fessurazioni non dovute, e dunque degrado prematuro dell’elemento costruttivo (avendo favorito infiltrazioni & ossidazioni). In seguito della messa in servizio invece, le cause di degrado si suddividono in tre categorie: - chimiche; - fisico- meccaniche; - elettrochimiche. Analizziamole con maggior dettaglio. Cause Chimiche Acqua piovana: comporta generalmente l’indebolimento dei reticoli cristallini al quale consegue la disgregazione del materiale. Essendo questa una causa inevitabile, i problemi che ne conseguono possono comunque essere ovviati semplicemente facendo uso di calcestruzzi di qualità non scadente. Acqua marina: l’azione dei sali provoca la formazione gesso ed ettringite con progressivo aumento di volume. Ne conseguono la fessurazione del calcestruzzo e la corrosione dei ferri d’armatura. Acque solfatiche: agiscono sulla pasta del cemento: filtrando all’interno ne aumentando di volume, e porta il distacco delle parti esterne del manufatto. Gli elementi costruttivi più esposti all’azione delle acque marine o di quelle solfatiche, sono le fondazioni, le quali sono a contatto diretto col terreno; si provvede infatti alla loro protezione sia con appositi magroni che con copriferro maggiori rispetto a quelli in elevazione (min 4 cm.). Carbonatazione: fenomeno chimico che ha origine nella presenza di anidride carbonica in atmosfera; ne risulta la formazione di carbonato di calcio, con conseguente contrazione del volume della pasta di cemento, diminuzione dei valore del pH della pasta di cemento e cambiamento del peso del calcestruzzo. La carbonatazione comporta la comparsa di fessurazioni e la non passivazione delle armature. 166 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Cloruri: penetrano nel calcestruzzo solamente in fase acquosa, causando la corrosione delle armature: sono pertanto assolutamente da evitare, le acque che presentano cloruri per creare l’impasto del calcestruzzo. Composti azotati e solfo-derivati: attaccano il calcestruzzo dissolvendo parte del conglomerato indurito. Il fenomeno si verifica con frequenza nelle aree urbane, dove la loro presenza è maggiore a causa dell’inquinamento. Cause Fisico-Meccaniche Gelo / disgelo: la ripetizione dei cicli di gelo/disgelo provoca dapprima lo sfaldamento superficiale del manufatto, in seguito la sua disintegrazione; questo tipo di azione che si manifesta nell’apertura di fessure, è di tipo progressivo come la maggior parte delle seguenti azioni: favorisce una migliore, e più dannosa, penetrazione di agenti nocivi nella parte di calcestruzzo ammalorato. Shock termico: è provocato da forti e rapidi sbalzi di temperatura Vento: effettua una doppia azione distruttiva sul manufatto: in primo luogo esercita un’abrasione sulla superficie in calcestruzzo, asportandone le particelle solide più superficiali; in seguito deposita sulla superficie stessa, particelle dannose dovute all’inquinamento atmosferico. I manufatti che si trovano nelle vicinanze del mare sono inoltre aggrediti dai sali trasportati dal vento sotto forma di aerosoli. Creep (scorrimento viscoso): è provocato dall'applicazione di un carico costante, che deforma il calcestruzzo nel tempo. Infine, si ricordi che valori sensibili di “ritiro” provocano fessurazioni nel calcestruzzo, facilitando l’accesso agli agenti aggressivi. Cause Elettrochimiche Per “corrosione” si intende il complesso di reazioni spontanee tra un materiale e l’ambiente, tale da provocare il graduale decadimento tecnologico del materiale. La corrodibilità dei metalli non è una caratteristica intrinseca di ogni metallo, ma è funzione dell’ambiente esterno. I processi corrosivi si realizzano sempre con un meccanismo di tipo elettrochimico, legato alla presenza di aree anodiche e catodiche, dovute a micro e macroscopiche eterogeneità esistenti sulla superficie dell’acciaio e nel liquido che riempie i pori del cemento. Mentre talvolta, lo strato di ossido che si forma sulla superficie di certi metalli li protegge dal procedere del processo corrosivo, questo non accade con l’acciaio dei ferri d’armatura: essendo il primo strato di ossido poco compatto e porosa, il processo di corrosione non trova alcun ostacolo e procede fino al completo danneggiamento del ferro. Dopo l’innesco del processo corrosivo, la velocità con cui esso procede è molto variabile, e dipende dalla velocità con cui l’ossigeno perviene alla superficie(confronta concetto di area esposta nelle sezioni miste acciaiocalcestruzzo) delle armature e dalla conducibilità del calcestruzzo. 167 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Le fenomenologie La disgregazione di un manufatto in calcestruzzo può avvenire in tre modi: 1. distacco dell'interfaccia tra aggregati e pasta cementizia; 2. distacco dei ferri di armatura dal conglomerato; 3. rottura della pasta base del cemento. L’alterazione superficiale più comune è quella che comporta il cambiamento del colore di una superficie di calcestruzzo esposta all’ambiente. Le principali cause si ritrovano nell’: - assorbimento di sostanze estranee all’atmosfera, polvere ed inquinanti in genere; - deposito di sali in superficie tramite efflorescenza; - flusso in superficie di sostanze estranee. Le fessurazioni accompagnano sempre i fenomeni di degrado e possono essere di diversa natura: - fessure di assestamento e di ritiro in fase plastica; - fessure da carbonatazione; - fessure da movimento termico; - fessure da ritiro igrometrico. La superficie di un manufatto in calcestruzzo si può scheggiare, sfaldare oppure scrostare; può presentare pertanto alcuni difetti superficiali quali: - lo sfogliamento, che consiste nel precoce congelamento dello strato superficiale prima che si sia raggiunta una sufficiente resistenza. Le cause si ritrovano nell’alternanza dei cicli di gelo/disgelo e nell’uso di sali congelanti; - la screpolatura, costituita di una sottile trama di fessure che può comparire su un’intera superficie di calcestruzzo. La fessurazione può essere accentuata dal fenomeno chiamato “bleeding”; - la scheggiatura, consistente nella disgregazione in scaglie, della superficie di getto; - la polverizzazione, causata da un’errata maturazione, dalla presenza di anidride carbonica, dalla formazione di condensa sulla superficie e da un’insufficiente umidità; - i nidi di ghiaia, cavità irregolari causate dalla segregazione, tra gli inerti pezzatura maggiore ed il cemento; - le cavità superficiali, causate dall’aria imprigionata sotto la boiacca superficiale che, durante la presa, espande per effetto del calore di idratazione, facendo apparire i vuoti in superficie. 168 di Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione La diagnostica L’affidabilità e la durata di un intervento di ripristino dipendono in gran parte dal corretto approccio diagnostico nei confronti dei manufatto. Una diagnostica appropriata comprende tutta una serie di operazioni, sequenziali e standardizzate tra loro, atte a definire, nell’ambito della programmazione dell’intervento, le modalità e le procedure dì controllo e verifica che verranno applicate nell’esecuzione di un intervento completo ed efficace. Le fasi dell’approccio all’intervento si articolano in: 1. valutazione visiva della struttura in esame, con localizzazione dei difetti e loro relativa classificazione secondo una procedura standardizzata di controllo e verifica non distruttiva; 2. valutazione del progetto nel suo complesso, con molta attenzione nei confronti di eventuali interventi successivi, che consentono di evidenziare le possibili irregolarità e le carenze statiche; 3. valutazione delle condizioni di esercizio meccaniche che di condizioni ambientali. a livello sia di sollecitazioni L’analisi del degrado di un manufatto in cemento armato, si può articolare in tre momenti principali: analisi sul manufatto, analisi in laboratorio e valutazione. La prima attività consiste nella redazione di un rapporto riguardante lo stato di fatto dell’opera in esame. Successivamente si procede all’analisi delle condizioni ambientali proprie del luogo nel quale il manufatto è inserito. L’intervento necessita di un rilevamento fotografico a colori, da trasformare successivamente in un disegno strutturale nel quale siano posti in evidenza lo stato fessurativo e quello di degrado. Buoni risultati si ottengono con l’impiego di liquidi penetranti, i quali permettono l’evidenziazione delle fessure, della differenza di porosità e di bolle e nidi di ghiaia nascosti sotto la superficie. Per la rilevazione dello stato di fatto delle armature di superficie si impiegano i cercaferri, magnetici o elettrici; per conoscere invece il loro stato di conservazione si misurano i potenziali elettrici oppure, con piccoli assaggi, si verifica lo stato di ossidazione delle armature di superficie. Per ottenere una valutazione più approfondita della situazione variata, si possono completare le analisi sinora illustrate, ricalcolando la struttura, considerando le variazioni apportate dal degrado, al modello di calcolo. La diagnostica non distruttiva Il calcestruzzo, avendo subito un forte boom nella prima metà del secolo scorso, oggi ci ritroviamo con un immane eredità di opere costruite in calcestruzzo armato, che, non essendo state adeguatamente curate, si ritrovano in forte stato di degrado. 169 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Per le nuove costruzioni è necessario predisporre, già a livello progettuale, un piano di diagnosi nel tempo dello stato di salute della struttura, con il quale è poi possibile tracciare, ed aggiornare continuamente, un piano di manutenzione programmata (annullando, se possibile del tutto, i costosissimi interventi di manutenzione straordinaria). Per le vecchie costruzioni bisogna prima di tutto leggere lo stato di salute reale mediante un’indagine accurata, effettuare immediatamente gli interventi urgenti e di seguito, considerare questo stato di cose quale nuovo “punto zero” e procedendo poi come indicato per le nuove costruzioni. Da ciò che è stato finora illustrato, si può allora comprendere come nella tematica del recupero delle strutture in calcestruzzo armato, siano coinvolti molti aspetti. In questa parte dell’inchiesta sul degrado delle strutture in calcestruzzo armato, si desidera evidenziare come sia possibile diagnosticarne lo stato di salute e leggerne l’invecchiamento nel tempo. Esistono tecniche ormai consolidate e in gran parte normate (a livello italiano, europeo o ad entrambi i livelli), per lo più importate dal mondo anglosassone, da decenni attento alla diagnosi e alla durabilità delle costruzioni. Da tempo queste tecniche sono disponibili anche in Italia e necessitano solo di essere conosciute a fondo tra gli operatori del settore per trovare una più vasta applicazione. La diagnosi della salute di una struttura in calcestruzzo armato può essere effettuata in due modi diversi (non necessariamente alternativi). La prima, misurando il degrado in momenti successivi, nel corso della sua vita utile di progetto (e se si vuole anche al di là di questo termine), mediante tecniche di indagine non distruttive o parzialmente distruttive. La seconda, effettuando in maniera continuativa, mediante appositi sistemi automatici, un monitoraggio dell’evoluzione nel tempo delle grandezze ritenute più significative. In Italia, la consuetudine è quella di intervenire sulle strutture con queste tecniche di diagnosi nel momento in cui il danneggiamento diventa evidente e l’intervento di recupero inevitabile. Pur tralasciando sterili esterofilie, dobbiamo però ammettere che a livello internazionale abbiamo a disposizione alcuni esempi che potrebbero utilmente essere imitati (anche da noi però, non mancano significative eccezioni). In Gran Bretagna, ad esempio, esistono circa 200 mila ponti e opere infrastrutturali importanti in calcestruzzo armato (negli Stati Uniti i ponti sono circa 578 mila per una lunghezza complessiva di 13.700 miglia) e tutti quanti devono essere “visitati” e messi alla prova con opportune tecniche non distruttive ogni quattro anni (secondo la prima modalità di diagnosi sopra esposta). Basta un rapido conto per intuire che ciò significa una mole di lavoro enorme: ogni anno vengono sottoposte a check-up circa 50 mila strutture. In questo modo è possibile avere il polso della situazione in ogni momento e programmare gli interventi di manutenzione necessari (diluendoli opportunamente nel tempo, programmando spese, disagi e il necessario approvvigionamento di risorse). 170 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione In Canada e in Svizzera il tipo di intervento scelto è un po’ differente ma altrettanto efficace: quando una struttura importante viene edificata, viene nel contempo messo in opera un sistema di monitoraggio con scopi di prevenzione, e un intervento tempestivo in caso di problemi (secondo la seconda modalità di diagnosi sopra descritta). Si tratta di apparati che comprendono gruppi di sensori (anche parecchie centinaia) e centrali per il controllo delle acquisizioni (cicli di letture) e l’elaborazione, dei dati. Inoltre, mediante il telecontrollo è possibile gestire l’intero sistema lontano dall’opera sottoposta a controllo. Si può prevedere anche l’inserimento di dispositivi di segnalazione di eventi anomali o del superamento da parte dei parametri misurati dei livelli di guardia. L’obiettivo è la realizzazione di strutture intelligenti che forniscano in modo automatico e in continuo un rapporto dettagliato sul loro stato di salute. Mentre le tecniche di monitoraggio strutturale sono ben note anche da noi (numerose sono le applicazioni di raffinati sistemi agli edifici di importanza storica come monumenti, beni architettonici etc.), c’è per ora, meno competenza circa le tecniche non distruttive per la diagnosi delle strutture in calcestruzzo armato. Indagini e diagnosi Le principali domande alla quali è necessario rispondere quando si indaga sul degrado di una struttura in calcestruzzo armato sono le seguenti: 1. cause e fenomenologie del degrado; 2. estensione del fenomeno di degrado; Come è stato illustrato precedentemente, le principali cause di degrado di un calcestruzzo sono l’attacco da parte dei solfati, la reazione alcali-aggregato ed i cicli di gelo e disgelo. La corrosione delle armature, pur essendo una delle cause più frequenti di degrado, va considerata a parte in quanto è un processo elettrochimico che richiede la presenza di un umidità e di ossigeno e può avvenire solo se l’effetto passivante del fluido alcalino contenuto nella matrice che circonda l’acciaio viene meno a causa della carbonatazione o dei cloruri; è pertanto una conseguenza dei fattori, di degrado prima elencati. Nella diagnosi strutturale dunque, l’analisi deve essere focalizzata sui fenomeni che coinvolgono e consentono di misurare lo stato di corrosione: misurando la corrosione si misurano le cause di degrado che lo hanno determinato ed i possibili effetti di deterioramento futuri. In sintesi, nell’ambito di una diagnosi è bene confrontare le seguenti analisi: - esame visivo, rilievo delle caratteristiche dimensionali; - raccolta dei dati storici, per scoprire l’evoluzione della manutanzione (e quindi dei problemi) del manufatto in questione; - determinazione delle caratteristiche meccaniche in situ; 171 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione - determinazione delle caratteristiche meccaniche in laboratorio (su campioni opportunamente prelevati); - misura della profondità di carbonatazione (carbonatazione, pH del calcestruzzo e probabilità di innesto di attività corrosiva sono strettamente correlati); - individuazione delle barre di armatura e stima dei diametri dei ferri mediante rilevazioni elettromagnetiche (indagine con pachometro); - misure elettrochimiche per la stima della presenza di corrosione e della possibile velocità con cui eventualmente procede (mediante prova della semi-cella e della resistività diettrica); - analisi petrografica per l’esame del calcestruzzo indurito. Vediamo più in dettaglio le caratteristiche di ciascuna di queste indagini. Il primo passo di ogni analisi deve sempre essere l’esame visivo, con il quale rilevare difetti evidenti, quadro fessurativo, macchie di ruggine ed effetti di attività corrosiva in atto (distacchi del copriferro). Importante è anche la raccolta dei dati storici: il progetto esecutivo e la relazione tecnica, le modalità ed i tempi di esecuzione, la storia del degrado ed i relativi interventi di ripristino eseguiti. I metodi di indagine meccanici, sono i controlli non distruttivi più comunemente impiegati per stimare, nelle strutture, le caratteristiche di resistenza dei materiali. Sono per lo più di semplice applicazione, consolidati e già normati, tuttavia i risultati vanno esaminati con cura in quanto dipendono dalle condizioni superficiali della zona indagata. In genere la grandezza meccanica indagata è la resistenza superficiale del calcestruzzo. Le tecniche sono piuttosto note e non vale pertanto la pena soffermarsi sui dettagli. Si tratta delle prove sclerometriche, penetrometriche (metodo della pistola di Windsor), oppure estrattive (metodi “pull-out”). La normativa ( la recente Uni 10766 del maggio 1999) oggi consente di prelevare dei campioni cilindrici di diametro molto limitato (28 millimetri) che vengono definiti “microcarote”, arrecando un danno davvero minimo alla struttura. La misura della profondità di carbonatazione viene eseguita per determinare il valore del pH del calcestruzzo. La prova consiste nello spruzzare sulla superficie interessata una soluzione di fenolftaleina in etanolo. A seconda della diversa colorazione che assume, questa soluzione a contatto con il calcestruzzo, si può determinare lo stato di carbonatazione: un calcestruzzo sano appena gettato, in assenza di degrado e senza carbonatazione) presenta un pH basico (circa 13); in presenza di carbonatazione l’equilibrio si sposta e la matrice cementizia diventa acida (pH attorno a 4). Fa parte delle tecniche di diagnosi non distruttive anche la tecnica elettromagnetica di indagine delle strutture in calcestruzzo armato, mediante pachometro, che fu sviluppata per la prima volta nel 1955. Da allora il principio di prova si è ampiamente diffuso, rimanendo sostanzialmente immutato per circa 30 172 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione anni, ed è utilizzato ancora ai giorni nostri: in un nucleo in acciaio a forma di “U” viene forzato il passaggio di corrente elettrica mediante un filamento a bobina (un solenoide) in cui passa corrente alternata a bassa frequenza. Esiste un segnale “accoppiato” a questo flusso di corrente nel nucleo, che viene letto con uni seconda bobina. Per il principio dell’induzione magnetica, se nelle vicinanze esiste una barra di armatura, il percorso magnetico ne risulta influenzato: il segnale accoppiato viene massimizzato quando la sonda è parallela alla barra, aumenta in maniera proporzionale al diametro della barra e diminuisce rapidamente con la distanza dalla barra (distanza di copriferro). Il limite di questa tecnica consiste nel fatto che, poiché si misurano grandezze molto piccole, hanno grande influenza le variazioni dovute, ad esempio, alle oscillazioni termiche, alle interferenze elettromagnetiche esterne e alla presenza di corpi con proprietà ferromagnetiche nel calcestruzzo (ad esempio fibre metalliche). In epoca recente è stata sviluppata una tecnica differente: viene generato un campo magnetico di forma simile a quello sopra esposto, ma di frequenza più elevata e impiegando l’aria come nucleo. Se esiste in prossimità del campo una barra di armatura, una corrente parassita viene indotta sulla circonferenza della barra e un eco di ritorno giunge alla sonda. Se viene impiegata una tecnica di induzione “a impulsi”, il segnale emesso e quello ricevuto vengono separati e non esiste lettura (segnale) in assenza di barra di armatura. Questa è la tecnica migliore perché più stabile. Come sopra, il segnale aumenta con la dimensione del tondino e cala con l’aumento del copriferro. Esistono anche altre tecniche che sfruttano principi intermedi tra i due descritti. La relazione copriferro/diametro/intensità del segnale non è semplice: si tratta di una legge inversa di quarto o sesto grado (a seconda della precisione desiderata). Per effettuare la stima del copriferro è necessario entrare in questa relazione con un valore di segnale e uno di diametro. Se invece la grandezza desiderata è il diametro della barra e il copriferro non è noto, si ha solo un segnale che caratterizza il problema con il quale ricavare due parametri: l’intensità del segnale corrisponde a una serie di possibili coppie di valori copriferro-diametro, ma la coppia giusta non è nota. Per colmare questa incertezza, è necessario effettuare più misurazioni sulla stessa barra, ma con lievi e note differenze nelle condizioni di misura. Integrando i risultati di più misure sarà possibile scegliere la coppia di valori diametro-copriferro corretta (la soluzione sarà in questo caso figlia di un sistema di equazioni che andrà opportunamente risolto). Ad esempio, è possibile fare diverse misure inserendo tra la sonda e la barra dei distanziatori di spessore noto, oppure ruotando la sonda stessa. I pachometri più moderni disponibili sul mercato sono calibrati internamente per visualizzare in maniera diretta il valore del copriferro e sono dotati di microprocessore per elaborare in automatico il valore del diametro delle barre di armatura in millimetri. 173 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione I materiali non ferromagnetici (ad esempio l’acciaio inossidabile) sono completamente invisibili ai pachometri che sfruttano la tecnica della riluttanza magnetica, mentre danno qualche segnale a quelli che sfruttano la conduttività elettrica. Poiché l’acciaio inossidabile è un conduttore molto scarso, il segnale subisce forti variazioni con diversi diametri della barra: le barre più sottili (8 e 10 millimetri) sono invisibili mentre quelle più grandi (diametro maggiore di 20 millimetri) possono essere individuate (viene però sempre sottostimato il copriferro). Per gli acciai inossidabili si usano in genere dei localizzatori di metalli anziché i pachometri. Il grado di corrosione non può essere stimato usando solo il pachometro: una barra deve perdere almeno metà del suo materiale perché un pachometro possa rilevare delle differenze. Esistono per questo scopo altre tecniche di tipo elettrochimico (misura del potenziale di corrosione e della resistività del calcestruzzo) che possono però essere applicate solo dopo avere localizzato con precisione le barre. Vediamo come si può effettuare la misura del potenziale di corrosione. La corrosione dell’acciaio è un processo elettrochimico che coinvolge zone anodiche (in corrosione) e zone catodiche (passivate) del metallo. In assenza di acqua la massa cementizia ha carattere basico (il pH è addirittura superiore a 13) e non può verificarsi il fenomeno della corrosione dei ferri. In presenza di acqua (di risalita, da infiltrazione o residua) l’anidride carbonica presente nell’atmosfera (0,3%) provoca la carbonatazione del calcestruzzo, rendendo leggermente acido l’ambiente attorno alle armature. In questo ambiente è favorita la corrosione. La chimica della corrosione fa sì che laddove esiste un processo di corrosione in atto, la regione di calcestruzzo prossima alla barra assuma un potenziale negativo significativo che, mediante un elettrodo standard e un voltmetro ad alta impedenza, può essere rilevato e misurato esattamente. Misurando il potenziale elettrico superficiale del calcestruzzo al di sopra di una barra di armatura, in relazione ad un elettrodo standard di riferimento, si accerta e si localizza la presenza di corrosione e quindi il probabile comportamento della barra al riguardo. Tale diagnosi identifica quella zona dove è presente la corrosione e quindi dove è probabile un futuro danneggiamento della struttura. Altra indagine riguarda la misura della resistività dei calcestruzzo. Il momento in cui la corrosione delle barre può iniziare e la velocità con cui procede dipendono dalle caratteristiche della pasta cementizia e dalla permeabilità del calcestruzzo (la presenza di acqua innesca il processo di carbonatazione). La conduttività del calcestruzzo è una proprietà elettrolitica che garantita dalla mobilità ionica della soluzione acquosa presente nei pori della matrice di pasta cementizia; dunque un calcestruzzo molto permeabile sarà caratterizzato da un’elevata conduttività e da una bassa resistività elettrica. In tal modo, la conoscenza della resistenza elettrica del calcestruzzo può fornire un criterio di misura della presenza di acqua al suo interno e, quindi, della possibile velocità di corrosione delle barre di armatura presenti. 174 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione L’analisi petrografica è applicata su campioni di ogni tipo di matrice idraulica indurita, compresi calcestruzzo, malta, intonaco, stucco, e similari. Per l’analisi si usano dei campioni opportunamente prelevati, in genere delle carote, dalle quali vengono ricavate delle sezioni sottili (spessore di qualche decina di micrometri) mediante piatto rotante abrasivo. Sulle sezioni vengono poi svolte analisi mediante microscopi e rifrattometri per la misura dell’indice di rifrazione. Gli scopi di questo particolare esame di laboratorio sono: - determinazione (nel dettaglio) delle cause di degrado del calcestruzzo nella struttura; - determinazione delle prestazioni future della matrice cementizia; - determinazione della rispondenza dei calcestruzzo a quanto richiesto nelle specifiche; - descrizione della matrice (qualità del legante, grado di idratazione, grado di eventuale carbonatazione, presenza di vuoti, natura degli aggregati, adeguatezza della maturazione, rapporto acqua /cemento, lettura delle reazioni alcali-aggregati, attacco da parte di solfati o altri attacchi chimici o cicli di gelo e disgelo, misura degli effetti del fuoco, etc). Per concludere, possiamo dire che anche per le strutture come per la medicina, prevenire è meglio che curare. Le possibilità tecniche non mancano (fondate sulla letteratura specifica, oramai sovrabbondante e completata da numerose recenti normative), i costi non proibitivi (qualche anno fa, quando l’indagine non distruttiva sulle strutture era a livello pionieristico i costi erano molto più elevati) e comunque costa molto meno progettare in qualità e verificare la durabilità, piuttosto che intervenire a degrado avvenuto. Dal progetto all’intervento Dopo avere individuato, nei precedenti articoli, le principali cause del degrado dei manufatti in calcestruzzo (armato e non), viste quali sono le patologie, quali le tecniche e gli strumenti di diagnosi e di progettazione e avendo così, ben chiaro dove intervenire, e con quali obiettivi, il passo successivo è quello relativo a come e con quali tecnologie intervenire, per ripristinare le strutture ammalorate. Il mercato odierno offre un’infinità di tecniche di intervento sul calcestruzzo ammalorato: il ruolo del progettista, una volta comprese le principali cause del problema, sarà quello di scegliere tra le soluzioni offerte dal mercato, quella che più si confà alla sua situazione. L’obiettivo che questo paragrafo si propone di raggiungere, è quello di fornire un sintetico quadro tipologico delle possibili soluzioni adottabili. Essendo tutto l’intervento molto delicato, è centrale avere approntato un buon “progetto” di recupero, in grado di definire e descrivere tutte le fasi e le specifiche tecniche a monte dell'applicazione. 175 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Dopo avere stabilito in fase progettuale quale tipo di intervento eseguire, la prima fase applicativa, necessaria e fondamentale, è la preparazione delle superfici, operazione di assoluta importanza da cui dipende il buon risultato dell’applicazione. Le operazioni di preparazione e pulitura consentono di ottenere una superficie compatta, “sana” e priva di porosità, impurità e anomalie varie. La prima operazione da eseguire è l’asportazione della parte cementizia ammalorata, un composto cementizio incoerente e non funzionale strutturalmente. Questa asportazione si può ottenere con diverse tecniche quali la martellinatura, l’idrodemolizione selettiva (abbondantemente trattata e spiegata in seguito), la scalpellatura pneumatica e l’uso di scarificatori. In generale, lo spessore di sacrificio è compreso tra 1,5 e 2,5 centimetri (in certi interventi pesanti di idrodemolizione controllata, si possono raggiungere profondità maggiori), e comunque deve essere costante su tutta la superficie interessata al ripristino. Se l’intervento riguarda l’esposizione dell’armatura, si procede all’asportazione anche del materiale sottostante per circa 2,0 centimetri alla quota dei ferri. In questo caso, dopo avere eliminato la ruggine mediante sabbiatura e spazzolatura, si applica sui ferri un prodotto protettivo bicomponente, a base cementizia o di resine, in due strati successivi. Questa applicazione consente di garantire un’ottima resa anche in attesa di un intervento di ripristino non esattamente imminente. Le impurità residue (polvere efflorescenze, eccetera) vengono poi asportate con un lavaggio di acqua in pressione o una sabbiatura a secco. Criteri di scelta Una volta approntate le superfici, si procede con le operazioni di ripristino strutturale. Ovviamente la scelta dei materiali o le relative specifiche tecniche e di intervento sono la condizione fondamentale per il buon esito del recupero, e qui le capacità e le conoscenze del progettista o del tecnico di cantiere sono decisive. Oggi il mercato offre numerosi prodotti e soluzioni per il ripristino e la protezione preventiva dei manufatti in cemento armato. A vantaggio di progettisti e operatori, bisogna dire che oggi quasi tutte le aziende (le più importanti sicuramente) si sono strutturate con uffici tecnici in grado ai offrire, non solo tutte le, specifiche tecniche e le informazioni caratteristiche sui loro prodotti, ma anche una valida assistenza in fase esecutiva e una costante opera di divulgazione e formazione scientifica. Compito del progettista, quindi, è individuare all’interno dell’offerta commerciale, il prodotto (o i prodotti) più confacente alle particolarità dell’intervento che si intende eseguire. La scelta del prodotto, da parte del progettista, deve essere condotta sulla base delle informazioni contenute nelle schede tecniche, le quali ne riportano le caratteristiche chimiche, fisiche, meccaniche, di applicazione, di stoccaggio, etc. 176 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Generalizzando, si possono suddividere questi prodotti in due grandi categorie: i materiali a base cementizia e quelli a base polimerica. I materiali a base cementizia vengono in genere utilizzati per interventi di ripristino strutturale, ma sono validi anche per le applicazioni di finitura e le impermeabilizzazioni. Le caratteristiche dei materiali devono essere la facilità di applicazione, un basso rapporto acqua/cemento, alta fluidità, lunga durata, omogeneità e perfetta adesione, oltre alla ovvia compatibilità delle caratteristiche meccaniche con quelle della struttura oggetto dell’intervento. Vengono anche chiamate malte tissotropiche, per la loro fluidità in movimento e la viscosità da fermo che consentono una buona aderenza anche operando in verticale. Le tecniche di applicazione delle malte cementizie variano secondo la specificità dell’intervento e devono essere parte dello studio condotto dal tecnica nell’esame della scheda tecnica. In genere, queste sono: applicazione con cazzuola, a spruzzo, con pompaggio e iniezione. I materiali a base polimerica contemplano le resine epossidiche, siliconiche e acriliche. Quelle epossidiche garantiscono un’ottima adesione al supporto, notevoli valori delle caratteristiche meccaniche e un modesto ritiro. Sono generalmente impiegate per l’incollaggio (vecchio con nuovo calcestruzzo), la sigillatura, la verniciatura e il riempimento di cavità e fessure. Le resine siliconiche creano una pellicola permeabile al vapore, il che le indica come prodotti idrorepellenti idonei per il rivestimento impermeabile di malta, calcestruzzo o murature. Infine, le resine acriliche vengo impiegate come prodotti adesivi e vernicianti in emulsione. Quest’ultima soluzione rappresenta un ottimo protettivo per le superfici esterne degli edifici, in quanto le resine acriliche creano un’interruzione tra il manufatto e l’ambiente. Modalità di intervento Dopo avere individuato il materiale più idoneo alle caratteristiche dell’intervento di ripristino, si procede con l’applicazione dei prodotti. Come evidenziato, non esiste una regola generale universalmente valida, ma vi sono numerose soluzioni date dalla combinazione tra tipologie di intervento e caratteristiche del prodotto. Si cerca comunque di proporre una casistica degli interventi più frequenti e delle più consolidate tecniche di recupero, che vanno ovviamente contestualizzate caso per caso. Le tecniche di intervento applicate a manufatti in calcestruzzo in genere sono impiegate per quattro tipologie principali di constatato degrado: - la sigillatura di fessure e cavità; - la ricostruzione del copriferro; - il ripristino strutturale estensivo; - le applicazioni protettive. Queste tipologie possono presentarsi sia singolarmente, che contemporaneamente e interessare ampie porzioni delle moderne strutture in cemento armato. 177 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Il ripristino di elementi in cemento armato che presentino fessurazioni o cavità anomale si esegue procedendo inizialmente con la preparazione e la pulizia delle superfici con idrolavaggio o spazzolatura, avendo cura di asportare, oltre alle impurità, eventuali residui di interventi precedenti. Si procede poi con l’applicazione del materiale (in questo caso si impiegano le resine) utilizzando le apposite pistole e lisciando poi con una spatola per ottenere una buona finitura della superficie. Se le fessurazioni sono superficiali, dopo la pulitura ma prima dell’applicazione del prodotto bisogna bagnare la superficie fino a saturazione. In questo caso si impiegano le malte in due strati successivi, con spazzola o pennello, alla distanza temporale, prescritta dalla scheda tecnica. La ricostruzione dello strato superficiale delle strutture in cemento armato, noto come copriferro, è una delle casistiche più frequenti di intervento. Ciò nonostante questa patologia sia una delle più facilmente evitabili già in fase progettuale o esecutiva, in quanto la causa del degrado è l’inadeguato spessore della porzione di manufatto compresa tra i ferri più esterni e la superficie di contatto. Per intervenire in questo caso si inizia asportando il materiale danneggiato con uno scalpello o altre tecniche fino al raggiungimento della parte sana della struttura. Si elimina quindi la ruggine dai ferri e si pulisce la superficie di applicazione con le tecniche già descritte. Il materiale idoneo per questo tipo di intervento è una malta a base cementizia. Dopo la bagnatura, si applica a pennello la prima mano; quando questa è ancora fresca si interviene con una nuova mano data con cazzuola, costipando tutta la parte interessata. Per raggiungere spessori elevati si esegue l’operazione a strati successivi intervallati. Se invece lo spessore da ottenere è sottile, si devono preventivamente proteggere i ferri di armatura con uno specifico prodotto anticorrosivo. Il ripristino può interessare superficie e volumi anche molto estesi; in questi casi è fondamentale asportare, anche con una certa celerità dei tempi di esecuzione, il calcestruzzo ammalorato. Per questo motivo, in genere, per la fase di preparazione delle superfici viene impiegata la tecnica dell’idrodemolizione selettiva (descritta in seguito nel paragrafo specifico). Una volta portate al vivo le armature, si procede a un controllo e una verifica del loro stato di salute con le tecniche di analisi e diagnosi, approfondite negli altri paragrafi. Infatti, i casi di degrado più complessi possono comportare anche la rimozione dei ferri e la loro sostituzione con nuovi elementi. Data l’estensione della superficie di applicazione, prima della posa del materiale di ripristino si ancora alla struttura una rete elettrosaldata. Eseguita la bagnatura della superficie, si passa all’applicazione a spruzzo della malta da ripristino a base cementizia (nel caso di spessori significativi, si opera per strati successivi). L'ultima casistica comprende gli interventi di protezione delle strutture, che possono eseguire con l’applicazione di prodotti a base cementizia. Dopo consueto trattamento di pulitura delle superfici e avere constatato l’assenza lesioni o fessurazioni, si interviene con la prima mano preparatoria successivamente con una seconda mano a pennello o a rullo. Atteso il tempo 178 si il di e di Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione riposo specificato nella scheda tecnica del prodotto, si stende una seconda mano. Questa procedura viene impiegata in maniera più o meno analoga con prodotti di diversa natura. È fondamentale, comunque, rispettare sempre le fasi e i tempi di applicazione indicati dalle case produttrici. GLOSSARIO ED APPROFONDIMENTI: - Bleeding o essudamento: in una pasta di cemento o in un calcestruzzo, le particelle solide sospese in acqua sono spinte verso il basso dalla forza di gravità e tendono a sedimentare; l’affioramento dell’acqua alla superficie è detto bleeding (essudamento, essudazione). Quando la presa arresta il fenomeno prima che esso sia fisicamente completo, il sedimento finale può avere concentrazione d’acqua e porosità variabili. Si definiscono una velocità di bleeding (è il volume d’acqua che affiora in un recipiente cilindrico per unità di tempo ed unità di superficie, cm/s) ed una capacità di bleeding (è il volume d’acqua essudata rispetto al volume iniziale della pasta). Il bleeding del calcestruzzo, che ne costituisce una sorta di segregazione, può talvolta portare ad un affioramento di una quantità d’acqua di spessore maggiore di 1 cm. Esso dipende essenzialmente dal coefficiente di permeabilità della pasta di cemento, e dal rapporto a/c (acqua/cemento). 179 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione IDRODEMOLIZIONE AD ALTA PRESSIONE Principio di funzionamento Come è stato finora illustrato, il degrado del calcestruzzo, dovuto ad una diversa casistica di cause scatenanti, è un fenomeno che si manifesta essenzialmente sulla superficie delle opere in calcestruzzo; la soluzione più comune al problema del degrado superficiale del calcestruzzo, è solitamente quella della rimozione degli strati superficiali delle opere danneggiate. Al fianco di questa tipologia di operazioni, si trova quella classe di interventi più profondi, che prevedono una vera e propria demolizione delle opere in calcestruzzo, attuata attraverso il taglio delle stesse. La differenza fra questi due tipi di interventi attuati attraverso la tecnologia dei getti d’acqua ad alta pressione verrà spiegata nel dettaglio in seguito, nel paragrafo relativo alla differenza tra l’idrodemolizione controllata e quella selettiva. Il principio di funzionamento dell’idrodemolizione consiste nell’accoppiare una forte pressione creata da un compressore, alla capacità erosiva di un mezzo naturale quale l’acqua. Al variare della pressione applicata al fluido, cambia la sua capacità di erosione, permettendo all’operatore di scegliere, a seconda delle esigenze, tra un intervento di pulizia superficiale, di decontaminazione, ad uno di irruvidimento e scarnificazione, fino ad arrivare persino ad una demolizione per taglio degli elementi costruttivi. Evoluzione della tecnologia Facendo un excursus storico, si scopre però che la prima applicazione della tecnologia dei getti ad alta pressione, non è stata all’interno del campo dell’edilizia bensì in alcune grandi industrie manifatturiere americane: nel 1971 alla Alton Box Board Industry si sperimentò, con risultati favorevoli, di taglio di tavolati in cartone con un sistema waterjet, portando il liquido ad una pressione di 280 Mpa con un flusso di 6 l/min. L’acqua veniva espulsa attraverso un ugello che riusciva a tagliare un tubo di cartone spesso 1,25 cm. che veniva mosso sotto al getto. Il taglio riusciva con una tale precisione e velocità, che il cartone non faceva in tempo a bagnarsi, ed inoltre, si poteva evitare il fenomeno della piegatura dei bordi, tipico di un processo di taglio con lame meccaniche. Poiché, per sua natura, il getto viene costantemente rinnovato, non si presentava neanche il fenomeno dell’usura dello strumento di taglio, come avveniva per le lame. Concettualmente non si è fatto altro che estendere in altri campi, l’esperienza già consolidata dell’utilizzo di getti d’acqua ad alta pressione per la pulizia di scafi navali. 180 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Pochi anni dopo si sperimentò l’utilizzo, di questa innovativa tecnologia nel campo dell’edilizia, ottenendo risultati positivi in particolare per il taglio di opere in muratura Nel 1980 fu effettuato il primo cambiamento alla tecnologia del jet cutting system: facendo passare il getto in pressione attraverso un piccolo alloggiamento ed ancora per un secondo ugello di collimazione, nel primo alloggiamento veniva generata una depressione, che permetteva l’aspirazione di una piccola quantità materiale sabbioso. Si crea dunque un flusso di una miscela di questa “sabbia” (vagliata secondo particolari procedimenti per ottenere una granulometria adatta a passare attraverso anguste valvole e restringimenti) e acqua, dalle forti capacità abrasive. Questa combinazione, conosciuta sotto il nome di Abrasive Water Jet (AWJ), è oggi sufficientemente potente da potere tagliare una grande varietà di materiali. Operando a pressioni fino a 40 Mpa, e con un 8% di materiale abrasivo nel flusso, questo strumento sta trovando un crescente range di possibili applicazioni. Nello stesso tempo si andò sviluppando un’ulteriore applicazione del Water Jet System, e cioè la scarnificazione di superfici: anche qui ci fu una evoluzione; partendo dall’uso di sistemi che poco si differenziavano da unità mobili per il lavaggio di macchine migliorando, pian piano, la capacità di spinta delle pompe, e diminuendo relativamente i costi delle stesse, il mercato di questa applicazione cominciò ad allargarsi: oggigiorno si possono trovare sul mercato americano pompe che lavorano a 10 Mpa (pressione sufficiente per la pulizia di superfici) al modico prezzo di $ 200. Nel 1982 un giovane neolaureato inglese fu commissionato di trovare un sistema alternativo per l’inserimento del materiale abrasivo all’interno del flusso d’acqua. Il giovane ricercatore riuscì nell’impresa incapsulando il materiale abrasivo all’interno di un piccolo contenitore in pressione, posizionato tra il sistema di pompaggio e l’ugello. Facendo passare un piccolo quantitativo d’acqua in pressione attraverso questo alloggiamento, l’abrasivo viene forzato ad uscire, e, cosa fondamentale ed innovativa, mantenendo invariata sia la pressione dell’acqua, che la sua velocità! Questo sistema rappresentava un’alternativa al convenzionale Abrasive Water Jet, perciò per differenziarlo, è stato denominato Abrasive Slurry Jet (A.S.J.). L’incredibile vantaggio di questo nuovo sistema costruttivo, è che, mischiando l’acqua all’abrasivo in questa maniera si riesce a tagliare uno spessore di materiale da costruzione, in meno di un quarto del tempo necessario per il taglio dello stesso spessore con la tecnologia A.W.J. Il tutto senza contare che la potenza richiesta dal sistema si abbatte del 75%, come anche la pressione esercitata dalla pompa; ciò comporta che si possono utilizzare semplicissime pompe per l’industria della pulizia di pavimenti (vedi paragrafo precedente) abbattendo in maniera concorrenziale i costi sia per l’acquisto, che per la manutenzione. 181 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione La possibilità di poter utilizzare pompe a bassa potenza, quali quelle per la pulizia di pavimenti, comporta un altro ulteriore vantaggio: i macchinari per la pulizia di pavimentazioni hanno come qualità intrinseche quelle di avere un forte mobilità e di essere facilmente adoperabili anche da personale non specializzato; queste convenienti qualità sono state trasferite anche per le altre applicazioni della tecnologia Water Jet. Oggigiorno si aggiungono al getto d’acqua anche degl’additivi a base polimerica per migliorarne la coesione in uscita. È in fase di microonde a microonde si permetteranno d’acqua. sperimentazione una tecnica combinata, che unisce l’azione delle quelle de tradizionale getto d’acqua: grazie ad una sorgente di generano preventivamente delle microfessure nel calcestruzzo, che un’infiltrazione ed abrasione più rapida del successivo getto Il primo approccio documentato in Italia di utilizzo della tecniche dell’acqua ad alta pressione, risale invece al 1986: si trattava di un sistema manuale, costituito da una pompa in alta pressione e da una lancia manovrata da un operatore; questa tecnologia è stata impiegata in un intervento di risanamento di una diga, e che comportava una richiesta di potenza nell'ordine dei 200 HP, con una pressione di 1050 bar (vedremo in seguito quali sono le grandezze fondamentali che caratterizzano un intervento di idrodemolizione). Constatata l’efficacia di questo sistema, alcune aziende interessate, iniziarono a dedicarsi progressivamente ad una specifica attività di ricerca in questo settore di mercato, all’epoca alquanto ristretto, studiando in proprio, la fattibilità di una meccanizzazione dell’utilizzo; si passava dunque da una lancia manovrata manualmente da un operatore, ad una telaio mobile che, oltre ad un compressore, conteneva anche l’apparato dal quale fuoriusciva il getto d’acqua. Il vantaggio principale che questa meccanizzazione del processo ha portato, è stato quello di un sensibile aumento della produzione, poiché la capacità di un operatore di sostenere un getto ad alte pressioni è limitata, non solo ad una certo intervallo di tempo, ma anche ad una certa spinta del getto uscente. Infatti, nel corso dello stesso anno, per l'intervento di risanamento superficiale di un canale Enel, veniva impiegato il primo utensile su carro semovente, primo passo di un processo di evoluzione tuttora in corso. Solo in seguito si arriverà a pensare ad una automazione completa del processo, grazie alla programmazione dei movimenti del carro semovente. Il 1988 fu l’anno che vide la nascita, in Italia, dei primi sistemi ad avanzamento computerizzato; oggi, dodici anni più tardi, grazie anche alla collaborazione di tecnici e fornitori, si è arrivato ad applicare le tecniche di idrodemolizione nelle più svariate opere di grande ingegneria, quali: gallerie, dighe, ponti, canali, aeroporti, porti, etc. Il tutto, utilizzando sistemi con potenze che possono arrivare ad 1000 HP, e pressioni di 1200/2000 bar, con procedimenti sempre più automatizzati. 182 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Caratteristiche principali I principali vantaggi di questa tecnologia sono i seguenti: - poiché il taglio è generato da una moltitudine di particelle molto piccole (dell’ordine di 150 nm.) questo risulta molto preciso, e non crea alcun danno alla superficie adiacente il bordo; - poiché non vengono generate significative quantità di calore in questo processo (tra l’altro parte viene dissipata dall’acqua stessa), questo sistema è considerato come un sistema di taglio a freddo (cold cutting tool). - essendo solitamente il getto molto concentrato, anche il consumo d’acqua risulta ridotto. - abbattimento delle polveri compreso nel momento dell’esecuzione; - silenziosità del processo; - totale assenza di vibrazioni significative; - inoltre la forza di reazione generata dal getto è di piccola entità; prove di laboratorio la valutano attraverso quest’espressione: Spinta [Newton] = 0,745Q P Dove Q rappresenta il flusso in l/min., e P è la pressione misurata in MPa. Questa caratteristica comporta un doppio vantaggio: in primis il getto non esercita un pressione smisurata sull’oggetto che viene tagliato, evitando così rischi di disturbo di situazioni in equilibrio instabile; in secundis non si richiede molta forza per reggere l’ugello (se manualmente) o mantenerlo in posizione in un telaio fisso. In particolare, quest’ultima qualità della tecnologia AWJ, ha permesso di integrarla con sistemi robotizzati in modo da sistematizzare la produzione più modulare e seriale. Lo stato dello sviluppo odierno di questa particolare tecnologia di demolizione permette di tagliare una lastra d’acciaio di spessore 8 mm. Alla velocità di 60 cm/min con una pressione di 70 Mpa. Nella forma originale di questo sistema, cioè prima che fossero apportate le suddette sostanziali modifiche meccaniche, il Water Jet Cutting Technology presentava anche alcuni svantaggi: - il costo del sistema di pompaggio e dei vari componenti che dovevano essere costituiti da materiali di alta qualità per resistere a pressioni di circa 400 Mpa. - il sistema risulta relativamente più lento rispetto al taglio effettuato con strumenti diamantati; - maggiore difficoltà di taglio di calcestruzzo armato a base silicea (dunque più duro). 183 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Le tipologie di intervento Come suddetto, la tecnologia dell’idrodemolizione si differenzia in due possibili tipologie di intervento, così individuabili: 1) idrodemolizione controllata; 2) idrodemolizione selettiva. Idrodemolizione Controllata E’ un sistema d’impiego dell’utensile d’acqua per la demolizione, di porzioni ben delimitate e individuate per superfici e spessori. Questo tipo di demolizione avviene attraverso il taglio dell’elemento in calcestruzzo, grazie ad un getto d’acqua espulso ad altissime pressioni da fori di ugelli molto piccoli. Alcuni esempi di possibili applicazioni sono: l’asportazione radicale di cordoli e giunti nelle opere d'arte, la risagomatura dei raggi delle gallerie, scassi per centini, etc.; la demolizione, quindi, di quanto espressamente richiesto sia su opere di nuova costruzione, che su quelle da riadattare, a prescindere dalle portate e potenze in bar (che servono a determinare la produzione e il tempo di realizzazione, e saranno grandezze fondamentali della demolizione cosiddetta selettiva). Il taglio di elementi strutturali attraverso getti d’acqua ad altissima pressione si è talmente evoluto, tanto da rappresentare una soluzione speciale per risolvere particolari situazioni di emergenza (vedi par. “In case of disaster”). Idrodemolizione Selettiva E’ un sistema d’impiego che, grazie alla forza di proiezione di un getto d’acqua a pressioni lievemente minori rispetto a quelle necessarie per il taglio del calcestruzzo, ma uscente da ugelli con aperture longitudinali, consente l’asportazione di quelle parti di conglomerato cementizio ammalorato oltre agli spessori espressamente richiesti, fino ad ottenere uno strato a resistenza omogeneo della parte rimanente del manufatto. In caso si debba asportare uno strato di calcestruzzo che presenta un’elevata resistenza, si può prevedere di mischiare l’acqua del getto, con della sabbia, aumentando così sensibilmente il potere erosivo del sistema. 184 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Uno dei grandi vantaggi di questa tecnologia è quello di non danneggiare in nessun modo i ferri di armatura contenuti nell’elemento in calcestruzzo, ma anzi di ripulirli da eventuali ossidazioni, lasciandoli integri, pronti per una successiva protezione con vernici anti-ruggine. Ci sono inoltre alcuni aspetti che caratterizzano entrambi i procedimenti e che, senza dubbio, vanno a diretto vantaggio di questa tipologia di intervento, rispetto alle tecniche di demolizione più tradizionali, quali l’uso del martello pneumatico: il sistema idrocinetico penetra molto facilmente tra i ferri d’armatura senza danneggiarli, anzi questi vengono puliti automaticamente dall’ossido di ferro (ruggine) portandoli ad un grado di pulizia s.a. 2,5 - ST3 (ferro bianco), senza ovviamente ridurne il diametro; inoltre fondamentale è la totale assenza di vibrazioni, che causano microlesioni o danni non solo ai ferri d’armatura ma anche alla restante porzione di calcestruzzo. Ovviamente l’applicazione dell’idrodemolizione (sia essa selettiva o controllata) ha come risultato finale quello di produrre una superficie irregolare che migliora l’adesione del nuovo conglomerato cementizio; il tutto senza creare polveri dannose alla salute; Applicazioni speciali: “In case of disaster” Come premesso, questa innovativa tecnologia si presta anche, molto facilmente, ad utilizzi diversi dalla demolizione interpretata come abbiamo finora illustrato. Molti studi a riguardo sono stati compiuti dall’Università del Missouri (U.S.A.), la quale è riuscita a potenziare e diversificare i possibili utilizzi dei getti d’acqua ad alte pressioni, indirizzando essenzialmente il loro uso, verso l’attività di salvataggio e recupero di persone rimaste intrappolate in seguito a crolli e collassi di edifici. Lo scopo di questa relazione è quello di illustrare l’alta potenzialità di questo sistema la sua forte adattabilità a nuove situazioni, ed, in particolare i vantaggi del suo uso “in case of disaster”. Ma vediamo quali sono state le esigenze che hanno portato all’applicazione di questa tecnologia in un campo talmente particolare. 185 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione Come è risaputo, i disastri sono per loro natura, fenomeni inaspettati, imprevedibili, sia nell’ubicazione, che nella magnitudine del danno che ne può conseguire. Per evitare gli ingenti danni che possono conseguire dal crollo di edifici, ci si pone ovviamente in sicurezza, già in fase di progettazione; quando ciò non dovesse bastare (cioè per i cosiddetti eventi eccezionali), ci si deve fornire di strumenti tali da permettere un intervento veloce e privo di ostacoli: la movimentazione di un equipaggiamento massivo ed ingombrante costa tempo e danaro. Crolli È risaputo che, a seguito di crolli di edifici, solitamente le macerie, si trovano in una situazione di equilibrio instabile, e l’unico modo per capirne il livello di precarietà è un’analisi di tipo visivo, che eviti perciò di disturbare lo stato di apparente equilibrio della struttura collassata. Queste considerazioni assumono un’enorme importanza quando si tratta della fase di salvataggio dalle macerie degli eventuali superstiti. Lo smantellamento dalle macerie (di dimensione notevole) può essere attuata attraverso due procedimenti: • smantellamento diretto degli elementi crollati, attraverso appositi macchinari, quali gru dotate del cosiddetto “polipo” per rottami montato al posto della benna; • taglio e ridimensionamento dell’elemento da rimuovere, in vista del successivo smantellamento per componenti. L’uso dei getti d’acqua ad alta pressione si pone all’interno della seconda categoria di procedimento: implementando la capacità di questi getti di tagliare elementi costruttivi costituiti da qualsiasi materiale applicabile nell’edilizia, il sistema si è facilmente dimostrato adatto all’uso nelle suddette situazioni di emergenza. Bisogna infatti considerare che, in seguito ad un collasso “spontaneo” di una struttura (cioè non guidato da un processo di demolizione), solitamente ci si trova davanti ad una serie elementi sovrapposti costituiti da diversi materiali, e quindi non tutte le tecnologie si adattano uniformemente alla demolizione di questa stratificazione di vari materiali: ad esempio un martello pneumatico, che perforerebbe tranquillamente qualsiasi elemento in c.a., mal si adatta quando deve affrontare l’acciaio, sia esso da c.a., che da carpenteria metallica; d’altra parte una lancia termica, ideale per il taglio dell’acciaio, è inapplicabile per il calcestruzzo armato. Ovviamente l’uso del martello idraulico e di tutte le macchine movimento terra, sono improponibili per la forte perturbazione che portano ad un sistema altamente instabile, quali le macerie post-collasso; d’altra parte, la lancia termica comporta il grave rischio di innescare deflagrazioni ed esplosioni di eventuali fluidi (gas o liquidi) infiammabili fuoriusciti durante il crollo. Non comporta invece perturbazioni al sistema, l’uso di seghe dal profilo diamantato, capaci di tagliare qualsiasi materiale senza creare vibrazioni significanti. Il problema di questa tecnologia, è l’ingombro e la scarsa 186 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione manovrabilità di queste macchine quando devono si richiede loro di tagliare spessori notevoli. In seguito a queste problematiche è nata l’esigenza, in quei paesi che più investono per la prevenzione e a “cura” di situazioni d’emergenza, di studiare una strumentazione flessibile, adattabile a svariate situazioni, leggera, delicata nel suo intervento, di facile trasporto ed utilizzo. Dunque oltre all’uso più generico del getto d’acqua ad alta pressione per il taglio dei materiali da edilizia, , si sta tentando di indirizzare questa tecnologia verso una specifica applicazione: la capacità del getto di perforare un pila di materiali diversi, permette la creazione di un condotto attraverso il quale strumentazioni, quali minuscole video camere o sensori acustici, possono essere facilmente inserite e movimentate consentendo una migliore capacità di ricerca di eventuali dispersi intrappolati nelle macerie. Come già premesso, la forza di reazione che il getto esercita sulla superficie di applicazione, è di piccola entità e nella maggior parte dei casi non dovrebbe compromettere la stabilità del sistema; inoltre è preferibile prevedere dei controlli sequenziali man mano che il getto avanza nei vari strati, per evitare rischi per eventuali vittime intrappolate. Per un sistema attrezzato a tale scopo è sufficiente essere forniti di una pompa capace di erogare una pressione di 35 MPa e di generare un flusso di circa 35 l/min. La pompa stessa, la riserva d’acqua, il serbatoi carburante ed i tutte le tubature annesse sono fissate ed una base di supporto le cui dimensioni entrano tranquillamente nel retro di un furgoncino. Si prevedono in aggiunta, due serbatoi di riserva per il mantenimento della pressione ai livelli richiesti, ed un piccolo serbatoio dove alloggia il materiale abrasivo che viene inserito nel getto prima che questo raggiunga l’ugello. Un sistema così attrezzato riesce a perforare senza problemi una sequenza di lastre d’acciaio e di blocchi in calcestruzzo; in particolare la perforazione di una parete in calcestruzzo armato spessa 30 cm richiede 2 minuti effettivi. Come si vede in figura nessuna vibrazione indotta dalla perforazione, disturba la quiete di un bicchiere colmo d’acqua posto sopra il blocco che viene perforato. La velocità di avanzamento della trivellazione è inversamente proporzionale al diametro del foro che si vuole realizzare, cioè più si procede velocemente, più piccolo sarà il foro realizzato. È abbastanza intuitivo pensare che l’abbinamento tra l’acqua stessa e la sua capacità perforante, ben si adatta a risolvere anche le problematiche tipiche di un incendio: lo spegnimento del fuoco e l’impossibilità di accesso diretto ai locali in fiamme. Incendi Un esempio di applicazione della tecnologia dei getti d’acqua ad alta pressione in casi d’incendio, la si può trovare in Svezia: nei piccoli villaggi la maggior parte 187 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione delle abitazioni sono costituite in legno, è dunque facile che si sviluppino incendi (solitamente non di grossa importanza). Una società (la CCS Cobra) ha perciò sviluppato un sistema di Cold Cutting che permette di trivellare mura o tetti degli edifici in fiamme, e raggiungere, sempre con la stessa strumentazione, il cuore dell’incendio, senza dover entrare direttamente nell’edificio, mettendo a rischio la vita dell’operatore. Dunque il getto viene utilizzato per una doppia funzione: trivellazione degli ostacoli e spegnimento delle fiamme. Questo sistema si adatta bene per incendi di piccola portata, mentre non risulta idoneo quando ci si trova di fronte a grossi carichi di incendio: questo non solo perché il flusso d’acqua è comunque limitato, ma anche per un difetto intrinseco di questa tecnologia: per perforare gli ostacoli si richiede una pressione di 35 MPa, la quale innalza il getto a velocità di circa 200 m/s; movendosi a questa velocità l’acqua si trascina dietro, per effetto viscoso, dei considerevoli movimenti d’aria, che, come effetto secondario vanno ad alimentare le fiamme. Finché si tratta di piccoli incendi questo effetto collaterale non influisce molto, ma non ci permette ancora di affrontare grossi carichi d’incendio. Grandezze principali nella progettazione di un intervento Per la scelta dell'utilizzo di un sistema di idrodemolizione è necessario prendere in considerazione fondamentalmente due parametri: i tempi ed i costi, a loro volta determinati dalla potenza in HP, portata e pressione. Considerato che, statisticamente, per la demolizione con acqua si assume che siano necessari circa 15.000/20.000 litri per 1.000 dm3 su calcestruzzi da minima resistenza di Rck 30 kN/m2, possiamo dedurre il costo considerando che: - per un sistema manuale, è possibile impiegare unità da 17/25 litri/minuto a 150/200 HP (vista la reazione di spinta sostenibile dall’uomo addetto al funzionamento); - in automatico, è possibile impiegare unità da 200/300 litri/minuto a 900/1200 HP. Va ricordato che è sulla base dello spessore del materiale da demolire che si riscontra la validità delle diverse formule: quando, ad esempio, ci troviamo di fronte a richieste di demolizione di spessori di alcuni cm, si possono utilizzare sia sistemi manuali che automatici. Quando, invece, la richiesta diventa di parecchie decine di cm, è opportuno considerare esclusivamente l’impiego di sistemi automatici. Non è pensabile immaginare, infatti, che un operatore utilizzi, per lunghi periodi di tempo e con una produttività costante, la lancia manuale, condizione in cui si troverebbe ad operare nel caso in cui lo spessore del materiale da demolire fosse particolarmente cospicuo. I sistemi automatici, al contrario, consentono senz’altro la demolizione di grossi spessori, pur dovendo peraltro tenere nella dovuta considerazione, le condizioni logistiche per poter raggiungere le aree di intervento. 188 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione In questo senso, grande rilevanza assume la qualità, che può essere garantita solo da quelle aziende che hanno sviluppato esperienze, investito nella ricerca di soluzioni più efficaci, in modo tale da produrre dei macchinari “flessibili”, adattabili, in grado di operare nelle condizioni più diverse. Quando, ad esempio, la richiesta del committente è la demolizione superficiale di alcuni cm. di spessore su ponti o gallerie, le soluzioni proponibili sono diverse, manuali o automatiche; sarà il prezzo a determinare le regole della competizione. Quando invece vengono richiesti spessori di parecchie decine di cm, come nel caso di interventi di demolizione controllata, e la logistica del luogo in cui operare permette l'utilizzo di un sistema automatico, come premesso, questa rappresenta l'unica soluzione che si possa seriamente accettare. Sintetizzando ciò che traspare dalle descrizioni fornite sinora, per la valutazione dell’applicazione della tecnica dell’idrodemolizione più adatta, bisogna prendere in considerazione: - la posizione logistica, cioè la difficoltà di raggiungere e muoversi all’interno dell’area di intervento; - lo stato di consistenza del manufatto: ossia il livello di degrado raggiunto dal materiale, e di conseguenza lo spessore di materiale da rimuovere. Tempi, costi e tipologia di macchinari, sono tutte variabili dipendenti dalle grandezze suddette. Il reale problema, dunque, ciò che determina la bontà di una soluzione rispetto ad un'altra, è lo spessore da raggiungere; un parametro determinante, nonostante se spesso nei capitolati d’appalto venga sottovalutato: vengono utilizzate altre unità di misura, come cm2 od i dm3. L'esperienza acquisita dalle varie ditte nel corso degli anni permette di affermare che l’idrodemolizione è una tecnica nell’ambito della quale, per ottenere una produttività concorrenziale con le altre tecnologie sul mercato, è necessaria una attenta valutazione della logistica delle opere su cui intervenire, l’elaborazione di richieste chiare da parte dei committenti, e, soprattutto, una chiara distinzione tra idrodemolizione controllata e idrodemolizione selettiva, che possono dare, a seconda dei casi, risultati completamente diversi. Si riporta in seguito una tabella riassuntiva, per una consultazione e lettura più veloce delle principali caratteristiche della tecnologia di demolizione con acqua ad alta pressione. Demolizione con H2O: scheda riassuntiva Descrizione: - Impiegando speciali pompe ad altissima pressione ed utilizzando anche la sola acqua, è possibile dirigere i getti con particolari lance azionate manualmente o 189 Capitolo 2 Le Tecniche della Demolizione sostenute da bracci meccanici semplicemente irruvidire il cemento. per demolire, tagliare, scarificare, o Applicazioni: - Asportazione (scarifica) del danneggiare i ferri di armatura; cls., anche per notevoli spessori senza - Per bocciardature e irruvidimenti veloci di ampie superfici anche verticali; - Per la decontaminazione profonda di vasche e silos; - In lavori di idrosabbiatura ed idroerosione; - Scarifica profonda di impalcati di ponti, viadotti e strutture portanti in cemento armato ammalorato per risarcimento con malte e resine; - Rettifica della sezione di gallerie, diaframmi,etc.; - Distacco di intonaci tenaci, residui da incendi, gomma da piste aeroportuali, etc. Vantaggi: - Mette a nudo il ferro di armatura senza intaccarlo; - Rapidità di esecuzione; - Assenza totale di vibrazioni sulla restante struttura. - Azione di intensità graduabile per distaccare la sola superficie ammalorata; Rumorosità : medio-alta. Attrezzature: - Gruppi di potenza costituiti da pompe ad alta tecnologia che consentono di raggiungere pressioni fino ad oltre 2.500 bar. - Lance azionate manualmente o con servosostegni brandeggiati verticalmente o fatti scorrere su superfici piane. - L ’uso della sabbia aumenta il potere erosivo. Motorizzazioni: protetti da carter in genere diesel con potenze di circa 700 Kw. Personale necessario: 1 operatore specializzato + almeno 1 operaio qualificato. Limitazioni: - Approvvigionamento e smaltimento dell’acqua. - Ampi spazi operativi sia per gli utilizzatori che per i gruppi di potenza e le zone di rispetto. - L’uso delle lance manuali è limitato dalla possibilità di controllo delle forze di reazione. - Grosse produzioni sono possibili solo con attrezzature adeguate e talvolta appositamente realizzate per risolvere il problema specifico. 190 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” « VERBA VOLANT, EXEMPLA MANENT » - CASI STUDIO Il titolo stesso del presente paragrafo esprime compiutamente la necessità e la motivazione che sta alla base del capitolo che seguirà. L’obiettivo principale di questo capitolo, è di fornire degli esempi reali di interazione tra scelta progettuale e condizioni al contorno, concretizzando tutti i discorsi teorici trattati nei capitoli precedenti: • nel primo capitolo è stato fornito al progettista quel bagaglio culturale necessario per la conoscenza delle problematiche che possono presentarsi all’interno di una progettazione di un intervento di demolizione: una volta dimostrata la necessità di un progetto che regoli una tale attività esecutiva, questo è stato scomposto in tutti i suoi possibili fattori costitutivi, per permettere la comprensione, e sviluppare una capacità di previsione, dei possibili rischi di progetto; sono state inoltre definite e classificate le possibili tipologie di interventi di demolizione, come premessa all’analisi delle singole tecnologie, fatta nel secondo capitolo; • nel secondo capitolo sono stati quindi forniti al progettista, gli strumenti pratici per effettuare una scelta progettuale, compatibilmente con tutti i vincoli di progetto illustrati, ovvero è stata approfondita la conoscenza di tutte le possibili tecniche di abbattimento, analizzando le loro caratteristiche e limitazioni, sempre in funzione delle possibili condizioni contestuali. Questo terzo capitolo rappresenta quindi un momento di sintesi dei capitoli precedenti: attraverso i casi studio illustrati viene dato un esempio concreto di interazione tra i possibili vincoli contestuali e le tecniche di abbattimento utilizzabili (cioè scelte progettuali); gli esempi che seguiranno sono stati selezionati in funzione di due obiettivi principali: • fornire un esempio per ogni metodologia di approccio alla demolizione (abbattimento, totale, parziale, indifferenziato, selettivo etc. vedi par. “Metodologie di Intervento”); • fornire degli esempi di progettazione di interventi complessi: la complessità sta nella capacità del progettista di adattare il progetto a situazioni e condizioni contestuali non ordinarie, e di modificare la proprie scelte il funzione delle problematiche presentatesi nel corso dell’esecuzione (vedi esempio dello smantellamento di una villa romana al Gianicolo); alcuni esempi descrivono come le scelte progettuali più ottimali, sono state rese possibili grazie a soluzioni che prevedevano l’uso integrato di tecniche concettualmente diverse, operanti in parallelo (vedi esempio di demolizione di un silos a Genova); 191 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” In questa sede si vuole cogliere l’occasione di sottolineare inoltre un altro concetto importante: ossia capire quanto lo studio di esempi storici abbia un’importanza, che spesso viene sottovalutata. Come premesso più volte, il nostro obiettivo è l’ottimizzazione del progetto e la conseguente razionalizzazione delle operazioni. È quindi necessario limitare il più possibile quegli imprevisti di progetto che possono risultare dannosi ai fini dell’ottenimento dei target (obiettivi) preposti; quindi tra tutti i fattori costitutivi di un progetto, il fattore del rischio risulta essere quello da tenere maggiormente sotto controllo; infatti, l’ultimo capitolo del presente testo tratterà essenzialmente le metodologie di gestione del rischio. Purtroppo la grande tragedia delle opere di ingegneria sta nel fatto che il rischio, e molti dei conseguenti errori (o faults) che e derivano, potrebbero in verità essere evitati, ed uno dei migliori mezzi per limitarli, viene spesso trascurato: questo strumento per il miglioramento dell’affidabilità dell’ingegneria è lo studio e l’analisi critica dei casi storici. In verità, da sempre le migliori lezioni si imparano dall’analisi dei grandi errori, ma un forte contributo di supporto al progettista può arrivare anche dall’analisi degli iter progettuali di interventi reali, e dallo studio delle metodologie e soluzioni adottate per la risoluzione di diverse situazioni problematiche. Tra tutti le tipologie di rischi di progetto, il concetto di errore e la conoscenza della sua esistenza, sono fattori fondamentali in qualsiasi iter pianificatorio, infatti i migliori progetti sono quello concepiti nei termini di prevenzione del fallimento (progettazione fault tolerant). L’approccio che un progettista dovrebbe mantenere costantemente, è descritto adeguatamente nelle seguenti parole di Lev Zetlin1), raffinato ingegnere strutturale: “gli ingegneri dovrebbero essere leggermente paranoici durante la fase di progettazione. Dovrebbero considerare ed immaginarsi che l’impossibile potrebbe verificarsi. Non dovrebbero avere un atteggiamento troppo compiaciuto e sicuro, confidando che sia sufficiente attenersi ai requisiti previsti dai manuali di progettazione per garantire la sicurezza e la solidità di una struttura.” Del resto la descrizione dello stesso atteggiamento è perfettamente descritto ed auspicato anche dal Prof. Gavarini2), con le parole: “Può sembrare retorico ma un buon Ingegnere deve conoscere la materia profondamente ed affrontare i problemi sempre e comunque con attenzione ed umiltà”. Tra tutti i possibili rischi di progetto elencati, il fattore umano continua ad essere quello che maggiormente impedisce all’affidabilità dei progetti di ingegneria, di raggiungere i livelli in teoria alti che sarebbero resi possibili dai moderni materiali e metodi di analisi. Nonostante possa sembrare che spesso l’errore sia nascosto proprio all’interno della complessità delle nuove tecnologie, il noto 192 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” ingegnere geotecnico R.B. Peck3), collega del padre della geotecnica Karl Terzaghi, afferma: “nove casi su dieci di fallimenti verificatesi di recente non erano dovuti a difetti della tecnologia, bensì a sviste che avrebbero potuto e dovuto essere evitate; … i problemi sono essenzialmente non quantitativi, e le soluzioni sono essenzialmente non numeriche”. Quindi si può sicuramente affermare che capire la casistica storica, come e perché siano stati commessi errori (faults) è un fattore fondamentale per aiutare il progettista ad eliminare i difetti nei progetti futuri; maggiore è il numero dei casi storici che un progettista conosce, più sarà facile riconoscere i modelli di ragionamento errati e riflettere sui passi da evitare. A questo punto, uno dei metodi più sicuri per scongiurare errori tecnici di progettazione, potrebbe sembrare quello di adattare soluzioni storiche comprovate e consolidate, ai nuovi problemi progettuali che si presentano di volta in volta. Questo metodo di risoluzione di problemi progettuali, nasconde però grandi pericoli che spesso vengono sottovalutati: - il primo rischio è che, se l’osservazione del mero risultato pratico possa far sembrare la soluzione oramai consolidata, essa nasconda in verità degli errori latenti che sarebbero venuti fuori alla prima condizione eccezionale; l’errore sta nel mettere alla prova una soluzione, solamente tramite l’osservazione del fenomeno fisico che la rappresenta, senza nessuna analisi dei concetti teorici che stanno alla sua base. Citando una frase di Leonardo Da Vinci: “quelli che s’innamoran di pratica senza scienza, sono come ‘l nocchiero, ch’entra in naviglio senza timone o bussola che mai ha certezza di dove si vada”; - il secondo rischio sta, in tutta la probabilità, proprio nella volontà di adattamento di una soluzione ad una situazione progettuale per la quale questa non è stata originariamente concepita. Pur supponendo la validità totale di una soluzione (cioè mancanza di errori latenti) in una situazione, qualora questa venga adattata ad un’altra situazione molto simile, nasce una forte probabilità di errore: questi errori si concentrano maggiormente in quel ∆ di differenze tra la prima e la seconda situazione progettuale. È chiaro che cambiando le condizioni di progetto, una soluzione precedentemente valida può non risultare più tale: il rischio vero nasce qualora le due situazioni sembrino molto simili. È allora che è necessario e fondamentale che il progettista approfondisca e raffini la sua analisi delle condizioni di progetto, ricercando con attenzione certosina (al limite del paranoico!) quelle piccole differenze concettuali: all’interno di quelle differenze nascosto il nostro famigerato errore! 193 Capitolo 3 1) “Verba Volant, Exempla Manent” Lev Zetlin, Compilation of Lectures Presented at Various National Convenions, Conferences, Seminars, Zetlin-Argo Structural Investigations, West Palm beach 1988 – tratto dal testo “Gli errori degli Ingegneri” di Henry Petrovki. 2) Carlo Gavarini “Lezioni di Scienza delle Costruzioni” – Masson Editoriale Esa. 3) R.B. Peck “Where has all the Judgement gone?” – Norges Geotekniske Istitutt, Publjkasjon 134, 1981– tratto dal testo “Gli errori degli Ingegneri” di Henry Petrovki. 194 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” LE VELE DI SCAMPÌA A NAPOLI OVVERO IL FALLIMENTO DELL'UTOPIA Backgroud culturale Le Vele di Scampía appartengono a pieno merito, almeno dal punto di vista concettuale, alla tipologia di edifici che fanno riferimento a quell’idea di Unità di Abitazione, nucleo autosufficente, comprensivo di tutti i servizi necessari; dal punto di vista realizzativo invece, si vedrà, che per svariati motivi, non si è mai riuscito a realizzare alcunchè al di fuori dell’edificio stesso, che è quindi rimasto isolato da tutto ed incapace di fornire quel livello di confort che era stato previsto in fase iniziale. Più in generale, l'esperienza del Movimento Moderno e del Razionalismo scaduto oramai a banale funzionalismo) si chiuse ufficialmente e secondo la storiografia, con il CIAM di Otterlo del 1959. Fu un episodio in particolare a decretarne la fine: la demolizione delle Unità di Abitazione Pruitt lgoe-Housing del 1972 (confronta “The language of the Post-Modern Architecture” di Charles Jencks). Fu infatti un moto di insoddisfazione popolare a far saltare in aria a Saint Louis, i super blocchi puristi realizzati tra il 1952 ed il 1955 dal progettista Minoru Yamasaki, scatole abitative con allucinanti “strade interne”, lunghe, buie, pericolose: un moto di ribellione dell'utenza, razionalmente non giustificabile, ma umanamente comprensibile. Il tema è vasto e per la sua complessità coinvolge l’urbanistica, l’architettura, la sociologia, ma anche la politica, l’igiene e l’ordine pubblico. A proposito della sua demolizione lo storico dell'architettura C. Jenks scrive: “l’architettura moderna è morta il 15 luglio 1972 alle 15,32 a Saint Louis, Missouri, nel momento in cui l’obbrobrioso complesso di Pruitt-Igoe ha ricevuto il colpo di grazia con la dinamite”. Il complesso in questione fu costruito nel 1956 con i fondi del programma postbellico americano: era costituito da 33 blocchi di 12 piani per un totale di quasi tremila alloggi in cui abitavano circa 12.000 persone (vedi fig. 1). L’idea progettuale riprendeva in svariati aspetti, i punti cardinali della visione urbanistica di Le Corbusier: ritroviamo infatti una forte diminuzione dell’area sfruttata (a favore dello spazio circostante) ottenuta grazie allo sviluppo ni altezza, coem anche il discorso della mobilità pedonale separata del traffico quello automobilistico; anche dal punto di vista distributivo funzionale, si ritroviamo un uso massiccio di gallerie di comunicazione e di ascensori per la viabilità verticale. Tutte le caratteristiche a suo tempo considerate innovative, quali i passaggi coperti, gli ascensori, i giardini, le vie di comunicazione, ecc. si dimostrarono purtroppo vere e proprie fonti di degenerazione sociale, pericolose per la maggior parte degli abitanti stessi. Gli spazi comuni, per esempio, venivano accaparrati, distrutti, oppure diventavano depositi di immondizia. Le famiglie che occupavano piani ormai semi-abbandonati erano riuscite a separare il loro territorio e quindi a 195 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” renderlo privato e controllato, mentre gli spazi completamente abitati erano diventati focolai di violenza e di vandalismi. Una contraddizione era particolarmente più stridente: il super blocco di Pruitt-Igoe era nato di fronte a un quartiere pre-esistente di case tradizionali a condominio, Carr Square Village: costituito da strutture morfologicamente più basse, ma con lo stesso spazio procapite a disposizione, era abitato da abitanti radicati nel luogo ma con la stessa tipologia sociale del vicino violentissimo quartiere: lì non era successo nulla di straordinario durante tutto il tempo della costruzione, del declino e della demolizione del mostro accanto. Il complesso divenne anche economicamente insostenibile dato che il circolo vizioso degrado-violenza non permise mai di giungere a un tasso di occupazione superiore al 60% degli alloggi. Dopo aver speso milioni di dollari in interventi ricostruttivi, in parcelle di assistenti sociali e urbanisti specializzati in convivenza urbana, il comune lanciò un referendum tra gli abitanti che ebbe il seguente risultato: “demolite il quartiere e dateci una casa normale”. Così fu fatto. Gli artificieri piazzarono la dinamite, l’evento fu pubblicizzato al massimo e da esso nacque una enorme produzione di letteratura specializzata (vedi fig. 2). fig. 1 Hellmuth-Yamasaki, il quartiere di Pruitt-Igoe, Saint Louis, Missouri. fig. 2 La demolizione di Pruitt-Igoe. Una storia estremamente simile è quella delle cosidette “Vele” di Scampìa per le quali il film “Le occasioni di Rosa” di Piscicelli, risulta emblematico forse più di ogni altra forma di descrizione dello stato delle cose nella desolante periferia di Secondigliano. Disagio, alienazione urbana, conflittualità sociale, emarginazione, precariato, disoccupazione, che comportano criminalità violenza, droga, sono i fattori e le caratteristiche del luogo, da molto tempo narrati periodicamente nei telegiornali. Le Vele di Scampìa appartengono e documentano storicamente anche quel filone del pensiero architettonico 196 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” conosciuto come tendenza mega-strutturista che, nel secondo dopoguerra e fino agli anni ‘60, si sviluppò in quasi tutti i paesi occidentali: una delle caratteristiche principali di questa corrente era senza dubbio, una eccessiva fede ed idealizzazione delle nuove possibilità della tecnologia, ai danni di un qualsiasi altro contenuto formale dell’architettura: la forma proposta dalla struttura e dettata dalla pura necessità, è stata assurta a demiurgo e sublimata a linguaggio architettonico. Un intervento analogo alle Vele, sia dal punto di vista concettuale che dal punto di vista realizzativo, è Planimentria generale del quartiere Scampìa rappresentato in Italia dal Corviale (Sud-Est di Roma 1973-81) progettato e diretto da un gruppo di architetti coordinati da Mario Fiorentino; trattasi di una macrostruttura lunga circa un chilometro profonda 200 metri, per 8.500 abitanti su nove piani, conprensivo di nuclei di servizi collettivi sistemati all’interno del complesso stesso, nell’interstizio generato dalla composizione delle fasce residenziali. La nascita del progetto Già il Piano Regolatore Generale del ‘39 di Piccinato prevedeva una grande zona di espansione edilizia a nord del Parco di Capodimonte. Il Piano di Zona per Napoli-Secondigliano fu redatto dal Comune di Napoli al sensi della legge 167/62 ed approvato dal Ministero dei Lavori Pubblici il 25/08/65 al n° 2.440, anche se con un ridimensionamento di superfici e di vani. In un’area di circa 400 ettari, per 78.000 abitanti, poco distante dall'aeroporto di Capodichino, fu previsto un grande insediamento di edilizia economica e popolare. Furono così gettate le basi per la creazione di un rione ghetto, futura fonte e sede di malessere sociale; 197 Capitolo 3 Con i suoi 110.000 abitanti, l’intero quartiere di Scampía è la quarta città della Campania, dopo Napoli, Salerno, Torre del Greco, e prima di Caserta, Avellino, Benevento. In pratica però, essendo priva delle più elementari infrastrutture e dei servizi che la possano rendere civile ed umana, “Verba Volant, Exempla Manent” fig.3 Plastico del progetto originario risulta essere nulla più che una città dormitorio. Il progetto venne elaborato negli anni ’72 -‘74 su incarico della Cassa per il Mezzogiorno da un gruppo di stimati professionisti e docenti universitari (tra i quali Vincenzo Forino, Camillo Gubitosi, Alberto Izzo, Nicola Pagliara, Aldo Loris Rossi, Raimondo Taranto) coordinato dall’arch. Franz Di Salvo. Descrizione morfologica Le Vele (sette edifici contrassegnati con le lettere A-B-C-D-F-G-H) impegnano i lotti “M” ed “L” per la costruzione di 6.453 vani (vedi planimentrie), pari a circa 1.192 alloggi, per circa 6.500 abitanti ed un indice di affollamento di un abitante per vano. Nel progetto originario erano previste altresì attrezzature e servizi, nuclei elementari di verde a forma triangolare, ciascuno di 700 metri quadri, collegati a percorsi e sistemi pedonali, giochi per i bimbi, attrezzature domestiche all'interno dei vari “campi” destinati a servizi ed, ancora, una serie di “centri” di vario tipo: scolastico, religioso, commerciale, culturale, sanitario. Il modello spaziale, costituito da due blocchi paralleli “a gradoni” con collegamenti verticali (blocchi scale-ascensori) ed orizzontali (strade ballatoio), è stato pubblicato su rinomate riviste quali Casabella e l'Architecture D'Aujord'hui. La morfologia pensata dai progettista Franz Di Salvo è quella di un edificio a tenda, dal profilo a curva parabolica, e con struttura “a cavalletto”. Gli alloggi affacciano verso l'interno con l'ingresso, i servizi, le cucine. Lo schema distributivo generale è costituito da alloggi in linea, serviti da strade pensili e contenuti entro unità di abitazione con assi longitudinali orientati secondo l'asse Nord-Sud, per favorire le migliori condizioni di soleggiamento. Le strade pensili, costituenti tutti i collegamenti orizzontali all’interno delle unità, confluiscono verso ampi pianerottoli sui quali smontano lateralmente gli ascensori. Dalla strada pensile si smistano scalette ad una sola rampa con un dislivello di 1,50 m., aggregando così - a grappolo - gli alloggi che si fronteggiano ad una di. stanza di 8,20 m (che nel progetto originario era di 10,80 m). L’altezza massima è di 45 m, pari a 14 piani. Progettato pensando alla industrializzazione edilizia ed al coordinamento dimensionale, ha alla base il modulo di 1,20 m, unità di misura 198 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” base, con una estrema flessibilità e duttilità, con i multipli ed i sottomultipli di 1,20 m. Il modulo scandisce sia la maglia strutturale (tre moduli da 1,20 = 3,60; sei moduli da 1,20 = 7,20, ottimale per la prefabbricazione) che quella funzionale, le distribuzioni interne, le dimensioni dei vani (3,60 x 3,60), dei corridoi interni, delle scale, ecc. La situazione attuale Oggi, a trent’anni dalla loro costruzione, il caso delle Vele di Scampìa esplode in tutta la sua drammaticità. Il luogo dell’utopia, del sogno e del riscatto sociale, è divenuto luogo di abbandono, degrado sociale ed economico, micro-delinquenza ed organizzazioni a delinquere, droga, prostituzione, emarginazione sociale. Su questo tema, da molto tempo è acceso un dibattito vivissimo, all’interno della città, tra utenti, cittadini, politici, amministratori, tecnici, progettisti, intellettuali ed uomini di cultura: da questo dibattito emergono essenzialme te due opposte posizioni che rappresentano relativamente dei diversi approcci alla risoluzione di un problema: da una parte c’è la posizine favorevole ad una demolizione totale, per far posto a nuove e più “umane” abitazioni, portata avanti dai comitati di quartiere, intellettuali ma anche associazioni sindacati, partiti politici e settori dell’arco costituzionale del Consiglio Comunale di Napoli; dall’altra parte si oppone un approccio che tende salvare ciò che viene ritenuto una originale testimonianza di una esperienza progettuale e culturale, partita dall’Assise di Palazzo Marigliano. fig. 4 Planimetria del lotto edificato Una posizione intermedia è invece quella che propone di demolire solo alcune delle suddette Vele, e di lasciarne altre in sito, prevedendo per esse un radicale cambio di destinazione d’uso 199 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Dall’ idea iniziale alla realizzazione Come sottolinea il Prof. E. Sicignano in un suo articolo, non è possibile condannare senza distinzioni l’idea e la mentalità, che a suo tempo ha portato alla concezione delle Vele: è necessario in primo luogo analizzare con maggior dettaglio le cause che hanno comportato ciò che è stato un eclatante fallimento. L’analisi deve avvenire attraverso diverse angolazioni, che dovranno svolgersi sviscerando i seguenti aspetti del problema: - Concezione strutturale ed effettiva realizzazione; - Linguaggio architettonico-compositivo; - Backgrund sociale; - Aspetti economici ed analisi costi-benefici; Dal punto di vista strutturale, vi è una differenza sostanziale tra l’opera che risulta realizzarta, e la concezione primigenea del progetto di Franz Di Salvo. L’originaria struttura a cavalletto, immaginata prefabbricata, era stata calcolata da uno dei più grandi ed insigni strutturisti italiani e di questo secolo, Riccardo Morandi; dopo la costruzione della prima Vela realizzata a perfetta regola d’arte, l’impresa che aveva appaltato i lavori nel 1976, fallì e si decise di demolire la struttura campione, che, nonostante fosse fedele al progetto Di Salvo-Morandi, fu ritenuta eccessivamente costosa. L’impresa fu dunque sostituita, cosìcome la concezione strutturale: si optò per una tradizionale struttura trilitica di luce 3,60 m al 1° ordine, successivamente di luce 7,20 m per quelli successivi, con un sistema di prefabbricazione a tunnel, che comportava l’inglobamento nel getto di calcestruzzo delle reti e degli impianti tecnologici. È necessario tra l’altro elencare cosa è accaduto in concreto dal punto di vista dell’amministrazione: nel maggio dell’80 il Comune di Napoli, pressato da una fortissima spinta sociale, assegnò una gran parte di alloggi, benché privi degli indispensabili allacciamenti ai servizi pubblici (acquedotto e fognatura comunale, gas, luce) con danni e disagi allora accettati e mitigati dalla priorità dell’assegnazione dell’alloggio, con allacciamenti precari rimasti tali fino ad oggi. Dopo il terremoto dello stesso anno ‘80, senza attendere nessuna graduatoria, si verificò un’ondata di occupazioni abusive ed ancora un’altra nell’82, la quale, oltre a saturare ogni e qualsiasi disponibilità di alloggi, trasformò fisicamente gli spazi architettonici: i piani porticati divennero abitazioni di fortuna, creando superfetazioni e nuove baracche all’interno di un’opera di architettura moderna. Si riportano di seguito le principali conseguenze negative causate da alcune sostanziali modifiche apportate all’idea iniziale. Nessuna delle infrastrutture ed opere di pubblico interesse, servizi, ecc., è stata mai realizzata, tranne la caserma dei carabinieri (quest’ultima al posto dell’ultimo corpo del lotto “M”, isolando interamente il quartiere); Dal punto di vista distributivo, la modifica apportata al sistema costruttivo ed alla struttura originale di Riccardo Morandi con la interposizione di setti, ha negato 200 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” quella libertà di pianta, distributiva, funzionale e compositiva pensata da Di Salvo; anche l’illuminazione degli spazi interni, ha subito sensibili danneggiamenti a causa di alcune modifiche apportate dalle imprese, quali l’avvicinamento dei corpi di fabbrica da 10,80 ad 8,42 metri, e la loro connesione attraverso l’uso di strade pensili, non più leggere e trasparenti; non meno dannosa è stata la variazione apportata al profilo delle vele, trasformato da parabola in uno ziggurat, così come la chiusura delle facciate, che hanno inciso negativamente sulla forma e nuovamente sulla illuminazione degli spazi interni; Parallelamente, un’enorme sovraffollamento degli alloggi ha snaturato gli originari corretti rapporti abitante-vano, sottolineato da alcuen scelte “volumetriche che hanno portato alla trasformazione delle “torri” in “vele”, e dalla mancata costruzione dell’ultima “vela” (al cui posto è stata realizzata la già menzionata caserma dei carabinieri); la mancata realizzazione delle aree comuni, ogni sei piani, in corrispondenza delle scale, di uso comune per servizi ed attrezzature varie, nonché la eliminazione delle piastre degli atri, la rete dei percorsi pedonali, le aree per il gioco dei bambini, le aree di sosta e di attesa dei mezzi pubblici, ha profondamente e negativamente inciso sulla qualità della vita di relazione; Il tutto è stato coronato dalla mancanza assoluta di ogni e qualsiasi forma di manutenzione di opere fortemente usurate, cosa che ha contribuito non poco a radicalizzare una situazione già fortemente critica; Le provenienze di questa popolazione sono per al gran parte dal centro antico e storico della città, dai quartieri Sanità, San Carlo all’Arena, ma anche dalle 201 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” baraccopoli di San Giovanni a Teduccio. Una popolazione, dunque, monoclasse in larga misura disoccupata, proletariato, sottoproletariato anche se con modestissime fasce di livello impiegatizio e terziario che non conosce l’integrazione sociale. Totalmente assente è il tessuto artigianale e produttivo oltre che uffici e servizi comunali. Carenti le misure sanitarie e di igiene pubblica, la pulizia sistematica e quotidiana di tutte le parti condominiali e pubbliche, il non funzionamento degli ascensori (dei quali furono rubati, fin dall'inizio, da ignoti, funi, motori, smantellate le cabine ed i cavedi riempiti di ogni sorta di rifiuti). Da qui le enormi difficoltà di accedere al piani alti, fino al quattordicesimo piano, vere e proprie barriere architettoniche per persone anziane e portatori di handicap. È divenuta allora una necessità la dotazione e l’installazione al di fuori dei balconi di carrucole da muratori, montacarichi a motore (per qualcuno meno povero) per trasferire al piani alti gli approvvigionamenti quotidiani. Scene di un mondo che doveva essere primo, sulla carta, nella carica utopistica della originaria idea progettuale di Di Salvo, ma che è oltre e fuori il terzo mondo per come così oggi miseramente appare. Così le “colline artificiali”, la rivisitazione dell’idea della città antica integrata e condensata, la memoria del vicolo di Napoli con le sue luci e le sue ombre, lo spazio stretto di relazione, si sono trasformati in una grande trappola. Il portico, l’atrio, la scala, sono divenuti luoghi di pericolo, nuove carceri piranesiane, dove, nella penombra di ogni angolo, la microcriminalità può agire indisturbata. Così molta gente prova rimpianto per i tempi passati nei quartieri del centro antico ove la vita, pure svolta in un basso o in un buio monolocale, certamente però avveniva in un tessuto sociale più omogeneo e compatto, ove le relazioni interpersonali si svolgevano in uno spazio prossemico noto e controllato. Questa diffusa condizione di malessere e di ripulsa per il proprio ambiente di vita, generata da uno spazio che ha la capacità di modificare e determinare i comportamenti degli individui che ospita, genera a sua volta delinquenza. Il fallimento dell'Unità di Abitazione di Marsiglia di Le Corbusier, rimasta prototipo, così come il fallimento delle Vele di Scampía rappresentano la disgregazione dell'ideologia e della politica dello zooning, della città considerata come insieme di funzioni separate anche se poste in luoghi vicini. La città antica, invece, garantiva l’integrazione sociale ed economica, aggregando negli stessi luoghi realtà di estrazioni diverse, anche culturali, oltre che sociali ed economiche. 202 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Dopo un accesissimo dibattito, che dura oramai da anni, che ha visto scendere in campo perfino alte autorità civili e religiose, l’iniziale progetto di demolizione di tutte le sette Vele è stato rivisto. Recentemente il Consiglio Comunale di Napoli ha deliberato, nella Variante Nord al Piano Regolatore Generale, la demolizione di solo due delle Vele, prevedendo un nuovo quartiere residenziale per i “velisti” e destinando le Vele attuali a funzioni di tipo terziario, quali un polo universitario per lo studio dette bio-tecnologie e della criminalità organizzata, sede della Protezione Civile, teatri, discoteche, bar, ristoranti. D’altra parte, trattandosi di interventi sulla “res pubblica” non si può prescindere da alcune considerazioni di tipo economico e Particolare della testata di una Vela delle analisi costi-benefici: nonostante tutto quanto si è detto in termini di degrado, malessere e vandalismo, occorre pure ribadire che il valore di mercato delle Vele è dell’ordine delle decine di miliardi; in ogni caso un bene della collettività. Parlare quindi di demolizione tout court significa mettere in conto oltre il valore di mercato, anche i notevoli costi delle demolizioni e dei trasporti a rifiuto dei materiali di risulta, i costi per la costruzione dei nuovi alloggi, i costi sociali - non economici - dei lunghi tempi del cantiere. D’altra parte se fosse passata per intero la tesi della demolizione totale, per analogia, si sarebbe dovuto fare altrettanto, per eliminare un malessere sociale, per lo Zen a Palermo, il Corviale a Roma e l’Unità di Abitazione a Marsiglia. Qui invece la sociologia urbana è intervenuta proponendo una terapia mirata, rivolta innanzitutto al recupero sociale e poi quindi al recupero architettonico ed ambientale dell’intero quartiere. Fermate la dinamite, il tritolo e le ruspe si può pensare a riqualificare l'esistente, riducendo il sovraffollamento abitativo, creando nuove residenze ma anche gli attesi servizi sociali, le infrastrutture, la Protezione Civile, l’Università nonché una struttura tecnico-amministrativa di gestione e manutenzione continua per il riscatto di questa sfortunata periferia. La demolizione è parte integrante, anche concettuale, del processo stesso di costruzione: demolire per costruire, demolire per ricostruire, demolire per rigenerare le città, così come la storia ci insegna ed anche le moderne e contemporanee (soprattutto straniere) esperienze ci testimoniano. Demolire sì, quando serve; ma la demolizione non può rappresentare solo la “estrema ratio” e la vittima da sacrificare sull'altare della pacificazione sociale, del “mettere a posto le nostre coscienze”, né surrogare l'esorcismo di un male tanto noto quanto ignoto, da debellare in altri tempi ed in altre sedi. 203 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” 204 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” ESPERIENZA DI DEMOLIZIONE COMBINATA DI UN FABBRICATO IN C.A. IN AMBITO URBANO - la vela H di Scampia a Napoli Premessa La seguente relazione illustra un’esperienza di demolizione di un fabbricato di grandi dimensioni in un contesto urbano, che la nuova amministrazione comunale della città di Napoli sta conducendo in questi mesi. Sulla scorta delle demolizioni dei complessi denominati Vele F e G, eseguite in località Scampia alle porte di Napoli, l’ufficio Programma di Riqualificazione Urbana di Scampia del Comune di Napoli, ha inteso proseguire nell’opera di dismissione dei complessi di residenziali – non più in grado di assolvere alla loro funzione abitativa - e di sostituzione delle stesse, con nuove strutture più adeguate alla risocializzazione ed al recupero dell’intero quartiere (nel paragrafo precedente è stata illustrata nel dettaglio la storia di questi fabbricati, analizzati anche dal punto di vista costruttivo e strutturale). Questo utilissimo esempio ha la qualità di esporre un intervento di demolizione, da eseguire in un’area alquanto urbanizzata: questa caratteristica in particolare, ha fortemente influenzato la scelta della tecnologia di demolizione, che quindi non è stata presa in base a motivi di ordine economico, tempistico od in base alla capacità delle imprese appaltatrici (che spesso vengono scelte a prescindere dalle loro effettive capacità). Ubicazione del fabbricato Dal punto di vista urbanistico la struttura ricade in un lotto abbastanza urbanizzato, tra via Labriola ed il Viale della Resistenza. Disposto con l’asse maggiore lungo la direttrice Nord-Sud, il fabbricato presenta un’ampia area libera sul fronte Ovest (quello liberato dalla demolizione degli altri edifici, denominati “vele”), mentre sui fronti Nord e Sud, due ampie strade costeggiano il lotto di intervento. Diversa la situazione sul fronte Est; qui l’area di impronta del fabbricato costeggia un lotto edificato dove sorgono due complessi scolastici: la scuola elementare statale E. Montale con accesso dal Viale della Resistenza e la scuola media statale don Guanella, con accesso dall via Labriola. Su questo fronte il fabbricato, nel suo punto più esterno, dista dalla scuola don Guanella di soli 15,00 m circa. La struttura da demolire occupa nel suo complesso, circa 65.000 mc. v.p.p. 205 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” La concezione strutturale Il complesso, realizzato tutto in calcestruzzo armato gettato in opera, a meno delle rampe del corpo scala che sono in elementi prefabbricati, presenta una forma in pianta ad H, con le quattro ali parallele, leggermente sfalsate longitudinalmente fra loro, collegate nella parte centrale dal robusto corpo scala. Lateralmente al corpo scala, le ali sono separate da una intercapedine di circa 9,50 m; passerelle in struttura mista acciaio-calcestruzzo collegano tra loro i corpi opposti; le strutture di connessione sono presenti a quote sfalsate rispetto a quelle degli alloggi ed hanno interpiano doppio. Strutturalmente esse sono semplicemente appoggiate alle strutture verticali. Le due intercapedini presentano piani di calpestio ribassati rispetto alla quota della strada circostante; tali piani di calpestio sono tra loro sfalsati in altezza. I prospetti dell'edificio presentano altezza variabile da un minimo di 15,15 m nelle parti più basse (altezza riferita alla quota del fossato) ad un massimo nella parte centrale di 48,15 m (anche tale altezza è valutata a partire dalla quota del fossato). Le ali erano destinate funzionalmente ad alloggi per tutti i piani, tranne i primi due che avevano funzione di cantinole e locali deposito; la struttura di tali volumi è costituita da una fitta trama di setti portanti verticali in cls., dello spessore di 0,14 m, posti ad interasse dì 3,60 m (larghezza del modulo unitario tipo del fabbricato) gli impalcati sono realizzati con solette piene in c.a. dello spessore di 0,12 m; l’interpiano ha altezza di circa 3,00 m. La larghezza di ciascuna ala è di 8,50 m interni, cui si aggiungono 1,20 m di balconi esterni; verso l’interno non sempre sono presenti sbalzi, quando questi sono presenti, hanno larghezza pari ad 1,00 m. I primi due livelli non presentano la stessa tipologia strutturale a “tunnel”, ma un sistema ripetitivo di portali 206 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” semplici di luce pari a 7,70 m. e posti ad interasse di 3,60 m., i pilastri di questi due livelli pilotis hanno dimensione 0,40 x 1,40 m. Il corpo scale centrale, invece, è costituito da una torre autoportante di notevoli dimensioni ed impostata su solide pilastrate. Il corpo scala, a meno dei primi due livelli, è verticalmente giuntato dai quattro corpi alloggio; orizzontalmente invece, sono presenti degli elementi in c.a. di collegamento tra i corpi. Tale struttura centrale, pur essendo costituita da un doppio filare di telai, presenta sezioni trasversali fortemente connesse a causa della distribuzione di travi su piani sfalsati, di una doppia serie di rampe prefabbricate e di solai di sbarco impostati su un doppio interpiano. La scelta della tecnica La scelta della tecnica di demolizione e del relativo procedimento da utilizzare, ha dovuto tener conto dei seguenti punti, e solo in seguito, è stato approvato: - la presenza di altri edifici così prossimi ai volumi da demolire; - la particolare concezione strutturale (elevata rigidezza) del fabbricato da demolire; - la necessità di ridurre comunque al minimo i tempi di esecuzione ed i disagi alla zona ed agli utenti delle due scuole adiacenti. Si è dunque deciso di portare avanti, quasi parallelamente, due differenti tecniche di demolizione: una prima che fa ricorso all’utilizzo di macchine speciali dotate di bracci telescopici snodabili, armati di idonei utensili per la frantumazione degli elementi lapidei e per il taglio delle strutture in acciaio, ed una seconda basata sull’abbattimento dei volumi di altezza maggiore per mezzo di microcariche esplosive opportunamente posizionate. In particolare il progetto di demolizione riprende quello felicemente concluso nel febbraio 2000 e relativo all’edificio denominato Vela H: infatti la pressoché identica concezione strutturale dei due fabbricati, una distribuzione dei volumi alquanto simile, una posizione sul territorio identica essendo i due lotti affiancati, e, soprattutto, l’esperienza precedente di doppia tecnica di demolizione, hanno consigliato di ripetere le scelte e le tecniche di abbattimento che hanno assicurato quel successo. Quindi l’utilizzo di un procedimento di demolizione controllata applicato ai corpi bassi, prossimi agli edifici da mantenere, ha garantito alla committenza la maggior sicurezza di non intaccare le adiacenze, mentre l’ampio spazio a disposizione sul fronte Ovest ha invece consentito, con la massima sicurezza, l’abbattimento dei volumi più alti, a mezzo delle cariche esplosive. Durante la fase propedeutica al brillamento sono stati effettuati sopralluoghi sullo stato di fatto delle strutture dei fabbricati più vicini, mentre un monitoraggio strumentale di tali strutture sarà condotto durante la fase di brillamento al fine di valutare gli effetti dovuti alle detonazioni ed all’impatto al suolo dei volumi da abbattere. 207 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” La presente relazione riferisce su tutte le prescrizioni, le tecniche e gli apprestamenti progettati al fine di consentire una definizione compiuta dell'opera di demolizione, incluse le indicazioni di sicurezza, rese necessarie dai forti indebolimenti che si sono dovuti arrecare alla struttura al fine di favorire il meccanismo di crollo ipotizzato, agli accertament preventivi ed ai monitoraggi richiesti per le strutture strettamente limitrofe al fine di consentire una verifica delle strutture dopo il crollo. Il progetto di demolizione La demolizione con le macchine. I volumi più bassi costituiscono circa il 15% dell’intera cubatura dei fabbricato (10,250 mc v.p.p ). Per essi la scelta di ricorrere alle macchine demolitrici deriva da più di una ragione. Una prima motivazione che ne ha sconsigliato la demolizione congiunta agli altri volumi a mezzo di esplosivo, è dovuta alla ridotta altezza di questi corpi. Infatti, come meglio si dirà nel prossimo paragrafo, lo schema di crollo cui si fa affidamento per i corpi alti non è quello di disgregazione della struttura per effetto di una implosione, ma, data la forte rigidezza strutturale di questi volumi, il crollo viene innescato a mezzo di ribaltamento dei volumi alti (trattati appunto come corpi rigidi). Per poter innescare questo “ribaltamento” e per poter rendere fortemente evolutivo il primo squilibrio che si ha per effetto della esplosione, è necessario avere un carico molto forte ed un baricentro dei pesi totali molto alto. La limitata altezza delle parti di estremità dei corpi non garantisce pienamente circa il verificarsi di queste due condizioni. Come già accennato, l’altra motivazione che ha fatto propendere per la scelta meccanica è stata quella delle notevole vicinanza di tali corpi, per lo meno nella zona di Sud Est dei fabbricato, ad un edificio esistente; si è preferito allora ricorrere a dei mezzi che, seppur più lenti, potessero operare con maggiore controllo durante la demolizione. Da non trascurare è anche il fatto che riducendo i volumi da abbattere con l’esplosivo si riducono anche le masse coinvolte nel crollo istantaneo con riduzione della forza di impatto al suolo e delle vibrazioni indotte; ciò in considerazione di edifici così vicini, non può essere che un vantaggio! I mezzi meccanici con i quali si prevede di intervenire sono le moderne macchine demolitrici dotate di pinze e cesoie, capaci di modulare le potenza di frantumazione e di assicurare, tanto il taglio degli elementi in acciaio, quanto la macinazione delle parti in calcestruzzo. Tali macchine, che forniscono anche sul piano della sicurezza di intervento la massima garanzia, grazie ala possibilità di operare anche attraverso dei 208 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” radiocomandi, hanno un notevole rendimento ed una velocità di esecuzione quasi sorprendente: si è arrivati anche a produttività di 40/50 mc/h (cubatura v.p.p.). Per quanto riguarda i tempi ed i modi di tale demolizione, la tipologia e la disposizione del cantiere hanno favorito il ricorso all’utilizzo contemporaneo di almeno due macchine, senza cha queste abbiano mai avuto sovrapposizioni od interferenze pericolose per le normali attività del cantiere. Inoltre per motivi di sicurezza si è fatto in modo che le macchine operassero sempre dalle strade carrabili che fiancheggiano longitudinalmente il fabbricato. L’altezza dei corpi da demolire con i mezzi meccanici, e la distanza del punto di stallo della macchina, hanno spinto verso l’utilizzazione di mezzi dotati di braccio snodabile di lunghezza tra i 20 ed i 25 m.; i circa 25 giorni di lavoro per tale demolizione hanno confermato i rendimenti orari previsti e di cui si è detto. La demolizione con esplosivo. Per la parte centrale dei fabbricato, costituita dal corpo scala e dai quattro volumi alloggio residui alla demolizione controllata con macchine, (per un totale di circa 52,250 mc v.p.p.) è prevista in prima fase, una demolizione ottenuta con l’uso di microcariche esplosive, ed in seconda fase, una demolizione meccanica, per i volumi abbattuti ed oramai “attaccabili” con gl’usuali mezzi meccanici. Una volta decisa la tecnologia da utilizzare per la demolizione del suddetto corpo, ci si trova davanti alla scelta di quale tipologia di collasso generare attraverso l’esplosivo; solitamente, per edifici che superano una certa altezza, risulta più semplice e conveniente nei confronti del contesto, generare un cinematismo di rottura che porti all’implosione della struttura su se stessa (per i dettagli del procedimento, vedere par. “Classificazione dei cinematismi di rottura”): con il livello di affinamento odierno di questa tecnica, è possibile far collassare un edificio in pieno centro urbano, senza minimamente danneggiare le strutture adiacenti; persino il problema dello shock dinamico creato dall’impatto al suolo delle strutture demolite, è oggi alleviato grazie alla possibilità di frantumare gli elementi costruttivi in piccoli frammenti ancor prima che tocchino il suolo: ciò si ottiene maggiorando il numero di cariche applicate e minimizzando contemporanamente la loro potenza esplosiva. Nel caso analizzato però, pur essendo la struttura sufficientemente alta, la stessa si presentava nel suo complesso estremamente rigida: i corpi alloggio, erano realizzati mediante una struttura a tunnel con setti orizzontali e verticali fortemente armati e strettamente vincolati tra loro, mentre il corpo scala era invece costituito da una struttura intelaiata spaziale i cui livelli erano collegati da grosse travi fuori piano; infine i volumi centrali si presentavano tutti fortemente connessi tra loro e tali da creare una struttura spaziale assolutamente monolitica e molto poco vulnerabile. Tale specificità strutturale ha imposto un meccanismo di crollo differente da quello cui si ricorrerebbe usualmente per strutture intelaiate, anche di notevoli dimensioni ed altezze. 209 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” L'unico meccanismo che si poteva quindi ipotizzare era quello dell'innesco di un “ribaltamento” della struttura intorno all’asse longitudinale di appoggio di uno dei due prospetti. DEMOLIZIONE CON ESPLOSIVO Fase 1: brillamento Fase 2: demolizione con macchine del corpo ribaltato I corpi costituenti il volume da demolire (i quattro corpi alloggio ed il corpo scala) vengono considerati indipendenti per quanto riguarda il meccanismo di crollo; le masse pressoché uguali dei quattro volumi laterali e quella dei corpo scala verranno poste in movimento a mezzo di cariche dimensionate come se i corpi fossero completamente indipendenti. Durante la fase propedeutica alla esplosione la maggior parte dei possibili legami trasversali tra i blocchi sono stati preliminarmente eliminati;,alcuni elementi, che sono stati mantenuti nonostante tutto, sono stati valutati non rilevanti al punto tale da costutuire un ostacolo alla caduta dei corpi, avendo scelto per tutti i corpi un unico indirizzo di caduta. Come è stato spiegato in precedenza, all’interno di un organismo edilizio, risultanno particolarmente fastidiosi alla caduta, quei componenti particolarmente “tozzi”, che rapresentano una concentrazione di rigidezza; infatti, un elemento fondamentale nella riuscita della demolizione, è il ribaltamento del corpo scala: si è quindi scelto di anticipare, seppur nell’ordine di microtempi, l’innesco della detonazione delle microcariche dei pilastri di detto blocco, rispetto a quella degli altri elementi minati; l’obiettivo era quello di sfruttare la forte inerzia di tale massa,in modo tale da favorire il movimento del resto dello scheletro facendolo trascinare dal movimento anticipato del corpo scala. Il meccanismo di rotazione di tale corpo centrale prevede la formazione di cerniere al piede dei due pilastri posteriori, adeguatamente indeboliti nelle loro armature, a mezzo di tagli localizzati nelle zone che, in fase di caduta risulteranno tese. Per assicurare la fuoriuscita della risultante dei carichi dal baricentro, si realizzerà una area di carica di notevoli dimensioni che prevede, per i pilastri esterni nel senso di caduta, il brillamento di quattro livelli. La presenza della struttura portante dell’ascensore comporta che per quattro piani anch’esso venga minato dopo averne indebolito le parti strutturali con i suddetti 210 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” tagli a “bocca di lupo”, per assicurare che tale struttura, posta nella zona centrale del corpo scala, non costituisca un puntone al ribaltamento dei volumi retrostante, opponendosi ad esso. Oltre alla questione dei corpi scala, si è scoperta nei corpi alloggio, in luogo di normali pilastri, la presenza dei setti verticali di larghezza pari ai corpi da abbattere,: questo ha reso, se possibile,ancora più difficile la disposizione delle cariche. Si è pensato, quindi, di modificare sensibilmente anche qui lo schema statico, per favorire il meccanismo di crollo, passando quindi, da una struttura a setti portanti, ad una struttura a pilastri e travi. È stata, quindi, condotta un’ampia opera di indebolimento di tali pareti con tagli verticali ed orizzontali. In questo modo si sono trasformate le pareti in dei veri e propri portali su tre ritti, i primi due dei quali, quelli disposti nel verso di caduta, saranno opportunamente minati. I tagli dei portanti individuano portali facilitano realizzazione meccanismo ribaltamento. setti dei che la dei di Il secondo taglio, opposto alla direzione di ribaltamento, è stato conformato a triangolo per ridurre la superficie di intervento.Questa “trasformazione” delle strutture portanti verticali dei volumi alloggio da setti a pilastrate, ha comportato particolari precauzioni in fase esecutiva, in particolare per evitare di indurre nella struttura bruschi impatti e vibrazioni nella fase della loro eliminazione; naturalmente, tantopiù si è prestato attenzione in fase progettuale, avendo fortemente modificato lo schema statico: è stata quindi richiesta una vera e propria verifica della nuova struttura, creata in seguito ai vari tagli. Le dimensioni minime dei puntoni che verranno a costituirsi dopo i tagli, sono frutto di una valutazione delle sollecitazioni che graveranno sulle parti residue in c.a. I livelli interessati dagli indebolimenti e per i quali è previsto il posizionamento delle microcariche sono i primi due ed il quarto delle struttura modulare. Per i primi due livelli dei corpi alloggio - quelli con struttura portante in pilastri e travi - è previsto il caricamento dei pilastri presenti prossimi al verso di caduta, oltre all’indebolimento delle sezioni di quelli opposti. Altri indebolimenti sono stati previsti per tutti i piani da minare e consistono nella demolizione di tutti i pannelli non portanti di tamponatura, sempre al fine di 211 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” evitare qualsiasi fenomeno che possa ostacolare la caduta dei volumi dopo il brillamento. Per tutti i piani è prevista la demolizione degli elementi di finitura non portanti. Le verifiche ed i monitoraggi strutturali durante la fase di indebolimento. Come detto, per poter favorire il meccanismo di crollo per “ribaltamento” dei corpi laterali, è stato necessario eseguire, sulle strutture portanti verticali, degli indebolimenti da realizzarsi attraverso dei tagli, essenzialmente di due tipologie: 1) di piccola profondità, finalizzate al solo taglio delle armature che, in fase di crollo risulterebbero tese; 2) tagli passanti, finalizzati a realizzare, in luogo del setto, un sistema a portale. È chiaro che tali indebolimenti inducono, nelle residue strutture portanti una alterazione del preesistente stato di sollecitazione che deve essere contenuto entro limiti accettabili per le sezioni residue, al fine fondamentale di garantire la sicurezza alle lavorazioni precedenti alla fase di esplosione. Carichi considerati: I carichi considerati durante la fase di calcolo, sono quelli dovuti al peso proprio delle strutture e della sovrastruttura, tuttora presente sullo scheletro, mentre non sono evidentemente portati in conto i sovraccarichi accidentali. Il calcolo è stato eseguito per le sole azioni verticali non tenendo conto eventuali azioni da sisma o vento, in considerazione della ridotta fase temporale in cui tali strutture ridotte dovranno essere in esercizio. 212 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Numero di piani totali: 15 Carico totale alla base del pannello N tot = N piano × 15 = 29,75 × 15 = 446,25 t Tensione di compressione alla base del pannello: σ c = N tot / A = 446,25 /(8,60 × 0,14) = 370,63 t m = 37,06 kg/cm2 2 Stato tensionale successivo agli indebolimenti: Gli indebolimenti comporteranno, in ciascun setto, due aperture della larghezza di 1,80 m. Ciò impone che, a seguito di tali operazioni, la larghezza della sezione complessiva, resistente a compressione di ciascuna parete, sarà pari a 5,00 m ( = 8,60 - 1,60 x 2). Avendo scelto di realizzare i due ritti esterni pari a 1,50 ed uno centrale di 2,00 m si può ritenere che ciascuno dei setti laterali, nell’ipotesi di schema cautelativo di trave continua su tre appoggi, dovrà assorbire un carico pari a: Pest = 0,25 × N tot = 116,60 t mentre per il setto centrale si avrà un maggiore sforzo, pari a: Pcent = 0,5 × N tot = 233,12 t le relative tensioni normali saranno: σ est = Pest / Aest = 116,60 /( 0,14 ×1,50) = 555,24 t m = 55,52 Kg/cm2 2 σ cest = Pcent / Acent = 233,12 /( 0,14 × 2,00) = 832,57 t m = 83,25 Kg/cm2 In considerazione dell’eccezionalità della situazione, e della brevità del tempo per cui tali strutture saranno soggette a tale stato massimo di sollecitazione - tale operazione di indebolimento è l’ultima prevista prima della fase di caricamento e brillamento -, si è scelto di accettare tali valori. 2 Verifica di instabilità dei setti. Oltre alla verifica dei tassi di sfruttamento a compressione dei “maschi murari” rimanenti, ne è stata eseguita anche una finalizzata a valutare l’instabilità dei ritti sotto il carico centrato. Ai fini della valutazione della lunghezza libera di inflessione, per la quale è necissario conoscere la tipologia di vincoli alle estremità dell’asta considerata, si è ipotizzato un comportamento ad trave perfettamente incastrata (nei setti). - Ritti esterni: Pest = 116,60 t Aest = 0,14 ×1,50 = 0,21m 2 Jmin = BH 3 / 12 = 0,143 × 1,50 / 12 = 3, 40e −4 m 4 Lunghezza libera di inflessione: Le = β × l 0 = 0,5 × 3,00 = 1,50m 213 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Raggio giratore d’inerzia: ?min = J min Aest = 3,40e − 4 0,21 = 0,040m ? = Le ρ min = 1,50 / 0,0404 = 37,1 < 50 Snellezza: per ? < 50 à ? =1 il coefficiente relativo all’instabilità non è significativo, quindi non è necessaria la verifica all’instabilità. - Ritto centrale: Pce n t = 233,12 t Acent = 0,14 × 2,00 = 0, 28m 2 Jmin = BH 3 / 12 = 0,143 × 2,00 / 12 = 4,60e −4 m 4 Lunghezza libera di inflessione: Le = 0,5 × l = 0,5 × 3,00 = 1,50m Raggio giratore d’inerzia: Snellezza: ?min = J min Aest = 4,60e −4 0,280 = 0,04005m ? = Le ρ min = 1,50 / 0,0405 = 37,00 < 50 per ? < 50 à ? =1 il coefficiente relativo all’instabilità non è significativo, quindi non è necessaria la verifica all’instabilità. In ogni caso al fine di rendere assolutamente sicure tutte le fasi di indebolimento si è proceduto al controllo delle microdeformazioni indotte nei pilastri generati dai tagli che andavano succedendosi. Il controllo è stato eseguito mediante estensimetri a corda vibrante; le letture giornaliere rilevate durante il monitoraggio hanno rassicurato circa la capacità della struttura pluriconnessa e fortemente iperstatica di ridistribuire i carichi in maniera omogenea tra tutti gli elementi resistenti ed i valori di incremento delle sollecitazioni interne sono stati contenuti nell'ambito dei valori teorici calcolati. Posizionamento delle cariche Per il meccanismo di crollo che è stato scelto, il brillamento delle cariche deve assicurare, non solo il taglio dell’elemento portante in alcune sezioni (quelle minate), ma anche l’intera distruzione di alcuni blocchi per una certa altezza; solo in questo modo il peso proprio della struttura può innescare il ribaltamento della struttura. Per ottenere la totale disgregazione degli elementi minati si è scelto, quindi, di minare ciascun elemento verticale con tre allineamenti di cariche, in testa, al piede ed in mezzeria. Il dimensionamento delle cariche deve essere eseguito in maniera tale da assicurare non solo la capacità dell’esplosivo di frantumare il calcestruzzo. ma, considerata anche la fitta maglia di armatura presente nei pilastri, anche di 214 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” assicurare che i detriti siano di dimensioni tali da poter essere espulsi dalla gabbia per effetto della detonazione. Le tipologie di elementi minati sono le seguenti: - pilastri dei corpi alloggio (per i primi due livelli); - ritti generati delle pareti; - pilastri del corpo scala. dagli indebolimenti Disposizione delle cariche negli elementi minati. Conclusioni All’atto della redazione del presente articolo non si era ancora arrivati alla fase del brillamento. Gli indebolimenti e le perforazioni sono state tutti eseguiti e si attendeva l’assenso della amministrazione per procedere alle opere di esplosione. La precedente esperienza della Vela G ha fornito importanti indicazioni circa la doppia tecnica di demolizione e di tali indicazioni si è tenuto da conto nel nuovo progetto cercando di affinare alcuni interventi, di ridurre i tempi delle lavorazioni propedeutiche, di ottimizzare la disposizione delle cariche anche al fine di limitare il numero dei fori. In ogni caso anche quest’intervento ha dimostrato come il recupero di contesti degradati e la riqualificazione urbana possano passare anche attraverso la rinuncia al costruito non più adattabile alle nuove esigenze e che le tecniche di demolizione di edifici in ambienti fortemente urbanizzati sono affidabili, sicure ed economicamente competitive. Il risultato finale 215 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” LA DEMOLIZIONE DI UN SILOS A GENOVA Un esempio di sinergia Il seguente caso studio descrive il progetto e l’esecuzione di un intervento di abbattimento controllato di un silos per il contenimento di frumento, sito nel porto di Genova. L’importanza di quest’esempio, sta nel fatto che, trovandosi l’edificio in una zona dai vincoli contestuali abbastanza rigidi, è stato necessario ricorrere alla collaborazione, ed al lavoro parallelo di più tecniche diverse tra loro, che solitamente vengono utilizzate separatamente. In questo caso ogni tecnologia viene sfruttata al massimo nel suo campo d’azione, ottenendo un rendimento molto maggiore rispetto al caso di una demolizione tradizione, effettuata con un’unica tecnica. Il secondo fattore che sottolinea la significatività di questo caso studio, è la serie di precauzioni e studi preliminari che si sono dovuti effettuare per evitare alcuni dannosi effetti secondari che l’abbattimento dell’organismo in questione, poteva comportare al contesto. È particolarmente interessante notare come i suddetti “possibili” effetti secondari abbiano pesato in fase progettuale, portando alla caratterizzazione di tutto il procedimento di demolizione. Descrizione dello stato di fatto L’obiettivo che spinse ad optare per l’abbattimento totale di questo silos era il desiderio, ormai in fase di realizzazione, di un generale rinnovamento del golfo di Genova, in particolare della sua parte più antica: in questa ottica questo immenso magazzino di oltre 160.000 mc. (realizzato negli anni sessanta) rappresentava un forte ostacolo. La riqualificazione del porto, prevedeva tra le altre iniziative la costruzione di un nuovo museo per il mare e la navigazione, di un polo universitario, ed una nuova grande piazza urbana. Come già detto precedentemente, per comprendere a fondo le motivazioni che hanno portato alla scelta di un procedimento di demolizione composto da una successione di più tecniche, è prima necessario analizzare quali erano i vincoli contestuali nei quali il progettista si è imbattuto. Il vincolo principale è sicuramente relativo a problemi di ingombro, in particolare riferito al limitato spazio a disposizione intorno al fabbricato; non è possibile 216 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” altresì trascurare la passività delle dimensioni del fabbricato stesso, che in altezza raggiungeva i 76 m. Oltre al limitato spazio di manovra, l’abbattimento avrebbe dovuto prendere in conto la stretta adiacenza con altri due edifici, tra l’altro in corso di ristrutturazione, da mantenere assolutamente intatti. Naturalmente consistevano anche tutti quei problemi tipici di un cantiere edile, in particolare la necessità di consentire il normale svolgimento delle attività del porto dove sorgeva il silos. I vincoli ora elencati sono tutti essenzialmente di tipo logistico; oltre a questi, hanno fortemente influenzato la scelta del procedimento di abbattimento, alcune questioni dal sapore più propriamente strutturale: la banchina del porto su cui sorgeva il silos, è stata costruita tra il 1883 ed il 1886, e, non risultava immediata la comprensione della sua portanza; già si presentiva quindi la difficoltà di fare impattare al suolo l’edificio, che avrebbe creato onde d’urto per un carico dinamico, difficilmente sopportabili dall’impalcato. Ultimo problema, ma non per questo meno importante, è un discorso che è stato più volte definito in precedenza, come uno dei rischi dalle conseguenze più disastrose: la presenza di serbatoi di materiale infiammabile interrati, o comunque nascosti. Fortuitamente è stata rilevata della polvere di esplosivo proprio all’interno dello stesso silos. Il progetto La soluzione progettuale pensata per ottenere i risultati desiderati, in considerazione delle condizioni al contorno, è risultata essere alquanto ingegnosa. Non potendo la banchina sopportare lo shock dinamico dovuto al crollo dell’intero fabbricato, si è pensato di tagliarlo letteralmente a fette con del filo diamantato, e, solo in seguito cernierizzare alla base ogni trancia - dieci in totale con dell’esplosivo. In questo modo oltre a risolvere il problema dell’impatto si è garantito un maggior controllo dei detriti, evitando la loro caduta in mare. Nonostante l’ingegnosa intuizione di diminuire l’impatto al suolo tagliando l’edificio, questa soluzione non garantiva la totale assenza di danno, sia nei confronti del pontile, sia nei confronti degli edifici adiacenti soggetti alle forti vibrazioni trasmesse loro tramite il suolo stesso. È stato quindi necessario non solo effettuare una approfondita analisi geologica delle stratificazioni su cui fondava la banchina, risultate tra l’altro di bassissima portanza, ma addirittura creare un modello matematico che simulasse il comportamento del suolo al momento della caduta di una delle trance dell’edificio. 217 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Analisi dinamica dell’ impatto della struttura sul molo Il taglio dell’edificio è stata calcolato in modo tale che ogni porzione dell’edificio, resti appoggiata a due file di quattro pilastri cadauna. Minando la prima fila di pilastri si sarebbe sicuramente ottenuto il ribaltamento al suolo della trancia in questione. A questo punto, essendo certi che la banchina avrebbe mal sopportato l’impatto, il problema è stato raggirato posizionando nella zona di caduta una specie di cuscino, la cui funzione sarebbe dovuta essere non solo quella di proteggere il molo, ma anche quella di assorbire tutta l’energia cinetica sviluppata. Il problema era capire la posizione più convenente dove posizionare il cuscino, e la sua dimensione effettiva. L’unico modo era creare un modello agli Elementi Finiti (metodo F.E.M.) dell’intera banchina, sottoporlo allo shock dinamico della massa in caduta, e studiarne quindi le deformazioni e la reazioni alla base, trasmesse agli strati sottostanti. Ovviamente non bastava creare solo un modello geometrico del molo, ma bisognava anche simularne le caratteristiche fisico-meccaniche: è stata quindi fatto un approfondito studio del materiale costituente il molo allo stato odierno alla demolizione (considerando quindi eventuali processi di degrado o modificazione chimica), ed anche di ciò che sarebbe stato il cuscino di ghiaia a terra. È stata anche modellata la singola trancia in caduta, distinguendo tre differenti fasi, ed utilizzando differenti sistemi di equazioni per descriverne il moto. Prima Fase: si considera il movimento della massa, compresa dall’istante del brillamento della carica, fino al momento del primo contatto al suolo della parte inferiore del silos. Il centro di rotazione della massa è posizionato alla base della seconda (ed unica rimasta) fila di pilastri. L’angolo di rotazione è compreso tra: 0 ≤ θ (t ) ≤ β , mentre l’equazione che descrive il moto d2 è: I 1 2 θ (t ) = P ⋅ d ⋅ sen[α + θ (t )] dt 218 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Seconda Fase: si considera il movimento della massa, compresa dal momento del primo contatto al suolo fino al contatto con il lembo superiore. Il centro di rotazione si trova nel primo punto di contatto. L’angolo di rotazione è compreso tra: 0 ≤ θ ( t ) ≤ π 2 − β − γ , mentre l’equazione che descrive il moto è: I2 d2 θ (t ) = P ⋅ d 2 ⋅ sen[π 2 − β + φ − θ (t )] dt 2 Terza Fase: inizia con l’adagiamento di tutta la facciata sul cuscino a terra, e si conclude con la fine definitiva del movimento della massa. Si considera il centro di rotazione ancora fisso nel primo punto di contatto, mentre l’angolo di rotazione. è compreso tra: 0 ≤ θ (t ) ≤ γ , mentre l’equazione che descrive il moto è: d2 θ (t ) = P ⋅ d 2 ⋅ sen[π 2 − β + φ − θ (t )] − f ⋅ d t dt 2 Dopo aver fatto girare queste equazioni con un adeguato programma automatico, è stato calcolato che, dato un impulso dinamico di 0,5 sec., lo spessore minimo necessario del cuscino per ottenere l’attenuazione desiderata (cioè una pressione di contatto al suolo di 3 kg/cm2 ), era di 4 m. Il modello agli elementi finiti del pontile, era costituito da una mesh di elementi di dimensione 50 x 50 cm., e simulava il comportamento di una parte di pontile di dimensioni in pianta 100 x 20 m., e profonda 10 m. I risultati di queste analisi, portarono alla conoscenza dello stato tensionale a terra generato dalla caduta di ognuna delle trance in cui era stato diviso l’edificio; la massima velocità di caduta rilevata era di circa 70 mm/s. Le informazioni dedotte portarono alla progettazione del cuscino secondo la forma indicata nella figura in seguito. I2 Il controllo delle polveri Qualsiasi processo di demolizione previdente ed eseguito secondo criteri di sicurezza, prevede una accurata indagine sulle reti impiantistiche presenti e sui relativi serbatoi di contenimento. Nel caso in questione era necessario controllare in particolare l’interno dei silos stessi, ed assicurarsi che non vi sia alcuna 219 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” presenza di materiale potenzialmente infiammabile (quindi esplosivo o deflagrante), prima di utilizzare qualsiasi utensile capace di generare scintille ovvero eccessivo calore. Tenendo presente la destinazione d’uso dei silos, cioè il materiale immagazzinato in esso in condizione di servizio, i tecnici adibiti alla demolizione già conoscevano i rischi correlati: era infatti risaputo che questo poteva comportare due problemi specifici: uno legato alla fermentazione del grano, causato dall’eventuale presenza di umidità, l’altro correlato alla polvere di farina , in sospensione nell’aria. In generale la presenza di micro-polvere in sospensione in aria, combinata con un ambiente particolarmente secco, se solo stimolata da una scintilla può divampare, dando luogo ad un’immane esplosione. Il rischio dell’esplosione è in generale inversamente proporzionale alla granulometrica della polvere: minore è la granulometria, maggiore è la probabilità di una sospensione diffusa ed uniforme nell’aria e quindi di un facile incendio. Studi effettuati a questo proposito, hanno indicato che il rischio sussiste per granuli di polvere di dimensione minore di 74 micron, mentre le concentrazione pericolose vanno di 10 ai 600 g/m3 . Questa generica condizione può essere particolarmente aggravata nel caso in cui oltre alla polvere di farina , il grano, soggetto all’umidità, abbia generato gas solforici o metano (entrambi altamente infiammabili). Essendo stati abbandonati per lungo tempo (10 anni), le camere interne potevano presentare entrambe i rischi: ambiente secco che favorisce la sospensione di polveri, ovvero ambiente umido che favorisce la fermentazione e la conseguente generazione di gas. Per evitare questi pesanti rischi, è stata condotta un massivo monitoraggio di tutte le 100 camere interne dei silos. Il grado di infiammabilità degli ambienti interni è stato misurato con dispositivo capace di analizzare contemporaneamente i livelli di più gas, quali: CO2 , CH4 , O2 , CO ed H2 S. Poiché l’altezza media di ogni ambiente era di circa 50 m., sono state condotte diverse misurazione per ciascuno di essi, che sono risultate sempre fortunatamente negative. Assicurati della carenza di gas infiammabili nel ambiente, si è passato a misurare la concentrazione delle polveri sottili sospese nell’aria, attraverso un dispositivo laser a diffrazione: il volume d’aria che si vuole analizzare viene illuminato con una raggio laser visibile, di conseguenza i granuli in sospensione riflettono la luce secondo alcuni angoli caratteristici; in base ad essi è possibile risalire alla dimensione del granulo, ma non solo: la riflessione del fascio di luce avviene creando una particolare diffrazione anulare dal quale una rilevatore collegato con un terminale informatico, riesce a risalire alla concentrazione rapportata alla dimensione del granulo. Il rapporto dimensione – concentrazione dei granuli nelle camere dei silos risultarono in un range pericoloso, quindi prima di procedere con qualsiasi 220 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” operazione di demolizione, tutte le camere furono areate e le pareti lavate con getti d’acqua. La prima fase della demolizione Per effettuare lo straordinario lavoro di taglio, è stato necessario utilizzare dei cavi diamantati di 180 m. di lunghezza: basti ricordare che questi fili dovevano tagliare contemporaneamente cinque setti di calcestruzzo armato di un’altezza media di circa 60 m. Per movimentare una tale circuito è stato necessario creare un dispositivo apposito capace di resistere al fortissimo picco di corrente elettrica necessaria per far partire la rotazione del filo. Per problemi di ingombro, non è stato possibile posizionare le pulegge di trazione nella posizione a loro più idonea, ma si è dovuto orientarli addirittura perpendicolarmente al piano di taglio (disposizione che comporta una fortissima usura di tutti i meccanismi di trazione). Come se ciò non bastasse, l’ambiente più alto dei silos era un piano tecnico dedicato al passaggio di tutti i pesanti macchinari (e relativi impianti) adibiti alla movimentazione del grano: si è quindi provveduto anche al loro taglio con una fiamma ossidrica. Una volta eseguito il taglio e prima di preparare le cariche per la cernierizzazione, una schiera di escavatori Caterpillar dal peso operativo di 60 tonnellate cadauno, è stata impegnata a pieno regime per diversi giorni, per creare il cuscino di ghiaia (uno diverso per ogni caduta!). 221 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” La seconda fase della demolizione Dopo il taglio della struttura, ci si trovava davanti a nove trance della struttura iniziale, ognuno dei quali sostenuti da otto pilastri da 1,5 m. di diametro, disposti su due file. Per ottenere la cernierizzazione alla base, e quindi il ribaltamento della struttura, è bastato minare la fila frontale di pilastri, come mostra la foto. Sullo sviluppo verticale di ogni pilastro sono stati eseguiti con un martello pneumatico, 6 fori da 32 mm. di profondità, e sono stati inseriti al loro interno dei candelotti di dinamite da 25 mm. di diametro e 200 mm. di lunghezza. Anche i pilastri posteriori sono stati indeboliti, minandoli frontalmente con un foro e tagliando con una sega i ferri longitudinali posteriori, che, in fase di caduta avrebbero opposto una resistenza, andando in trazione. Ogni foro era collegato singolarmente ad una proprio detonatore elettrico e sono stati programmati 12 fasi di micro-ritardi da 25 millisecondi cadauno. I primi due pilastri a essere fatti brillare sono stati i due centrali della fila frontale, partendo dalla base per arrivare (con microritardi) alla loro sommità; hanno seguito i pilastri laterale della prima fila (sempre dalla base fino in sommità), per poi passare alla seconda fila, con un micro-ritardo di 0,5 sec., secondo lo stesso ordine utilizzato per la prima. Con l’occasione di quest’abbattimento, il committente ha richiesto anche la demolizione di due enormi gru metalliche, che servivano per caricare il silos col grano arrivato con le navi cargo. Anche il loro abbattimento è stato ottenuto con il ribaltamento al suolo dopo aver però attentamente tagliato ed indebolito tutti quegli elementi che potevano funzionare da controventamento: sia quelli metallici (a “croce di Sant’Andrea” od a “K”) sia le tamponature esterne (le quali con la loro rigidezza possono sensibilmente modificare la direzione di caduta programmata). Per distruggere gli appoggi ed ottenere quindi il ribaltamento, sono state utilizzate delle particolari cariche esplosive concentrate, che “abbracciando” la sezione del profilato metallico, riescono letteralmente a tagliarlo. Dopo abbattimento delle gru, sulla banchina non restava altro che la torre di controllo, cioè una semplice edificio in calcestruzzo armato, alto circa 80 m., che è stato facilmente ribaltato a terra, minandone i piani inferiori. Il monitoraggio e l’analisi delle vibrazioni Sia le esplosioni delle cariche interne ai pilastri in calcestruzzo, che quelle a cielo aperto applicate ai profilati metallici, sono state progettate ed ottimizzate per essere strettamente necessarie, evitando anche di oltrepassare il limite delle vibrazioni indotte. In generale le vibrazioni più intense non sono quelle generate nel momento del brillamento, bensì quelle causate dalla caduta a terra della massa demolita. 222 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” L’entità di questo secondo genere di vibrazioni è stato però approfonditamente analizzato in fase progettuale grazie proprio al modello dinamico agli elementi finiti. Per verificare la corrispondenza tra gli output della simulazione, ed i risultati fisici, è stata installata, in punti strategici del cantiere, una rete di nove differenti sismografi. I dati raccolti durante i dieci giorni della demolizione, sono serviti non solo per testare la veridicità del modello di calcolo elaborato, ma sono stati altresì utilizzati per uno studi, già avviato, relativo alla possibilità di prevedere i picchi di velocità raggiungibili da elementi proiettati durante l’impatto a terra di una massa demolita. L’obiettivo principale di questi studi ed analisi era trovare una sistema di equazioni che permettesse di valutare in maniera semplice i picchi di vibrazione indotti nell’ambiente (suolo ed edifici adiacenti) a seguito dell’impatto di masse a terra, il tutto finalizzato a poter valutare il livello di fattibilità di un processo di abbattimento totale in un contesto delicato quale quello urbano; per capire l’importanza dello studio basti pensare ai vincoli contestuali riscontrabili durante un processo di demolizione, da eseguire nel centro storico di una qualsiasi capitale europea. L’unico sistema simile di equazioni esistente è quello elaborato da Langerfors e Kihlstrom (1967), che fornisce però solo la possibilità di prevedere i picchi di vibrazioni indotti dalla detonazione di esplosivi. I risultati del monitoraggio condotto, hanno confermato ciò che ci si aspettava secondo la modellazione, mantenendo quindi i valori di vibrazioni indotte, al di sotto dei limiti fissati dalla normativa (UNI 9916 – din 4150), pur registrandosi lievi variazioni dei valori massimi: il motivo di tali variazioni è stato associato alla diversa consistenza e dimensioni dei cuscini anti-impatto, realizzati di volta in volta in posizioni diverse per le cadute delle diverse trance. Proprio queste 223 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” lievi variazioni del picco hanno confermato l’importanza e la necessità di questi cuscini di assorbimento, che hanno svolto completamente il loro ruolo. La relazione empirica adoperata per la valutazione delle oscillazioni generate, è la seguente: E v = K D 0 .7078 E = m ⋅ g ⋅ h g = energia potenziale della massa in caduta; m = massa della trancia in caduta; hg = altezza del baricentro della trancia; D = distanza dal punto di impatto; K = 14,9 ÷ 25 = coefficiente che esprime la rigidezza del terreno, (funzione delle sue caratteristiche fisicomeccaniche). È necessario sottolineare che l’espressione utilizzata, nasce empiricamente da osservazioni condotte sul ribaltamento a terra di organismi molto alti (torri, ciminiere, etc.) senza prevedere l’uso di alcun tipo di cuscino d’assorbimento. Quindi sicuramente non è possibile utilizzarla in casi di abbattimenti per implosione, ma inoltre, anche nel nostro caso forniscono una valutazione del picco fortemente maggiorato. Dal grafico riportato, è possibile osservare che le misurazioni fatte con la maggior parte dei sismografi (a parte il sismografo A) si ritrovano nei dintorni (in particolare al di sotto) della curva relativa a K = 19,5. A fornisce risultati diversi a causa probabilmente della particolare posizione di caduta della prima trancia, molto prossima al bordo della banchina. Ciononostante nei calcoli è stato utilizzato il valore di K = 25, aumentando fortemente il fattore di sicurezza, senza tra l’altro considerare la presenza del cuscino! Conclusioni L’obiettivo dell’illustrazione di questo caso studio era mostrare la non banalità del processo di demolizione di una costruzione particolare quale questo notevole silos. 224 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Mai quanto in quest’esempio è possibile dire che, in generale, come per un processo di costruzione, l’approccio può essere molto diverso: è possibile procedere improvvisando, affidandosi all’intuito ed all’esperienza pratica, oppure è possibile avanzare in maniera sicura, avendo programmano e progettato (per quanto necessario) l’iter che si deve percorrere. È chiaro che per costruzioni o demolizioni complesse, quali l’esempio illustrato, i rischi in gioco sono immensi (inconvenienti, ritardi incontrollabili, valutazioni economiche errate, ferimento del personale), e non è più possibile afrontarli con una mentalità rpovinciale e tradizionanlista che rifugge qualsiasi supporto scientifico, affidandosi alla sola intuizione dell’operatore. È semplice immaginare quali sarebbero potute essere le disastrose conseguenze se l’appalto della demolizione fosse capitato nella mani di una ditta che, pur avendo a disposizione i mezzi necessari per l’esecuzione, non avesse affrontato la progettazione con la necessaria preparazione scientifica, necessaria ed indispenssabile per intuire, capire e prevedere correttamente, l’importanza ad esempio di tutto il discorso delle vibrazioni indotte. Il secondo importante punto messo in luce con l’analisi di questo caso studio, è la possibilità di un integrazione armoniosa di tenologie molto diverse tra di loro: la tecnica del taglio col filo diamantato è infatti solitamente adoperata in un precedimento di demolizione di tipo controllato, associato solitamente a modificazioni poco invasive dell’esistente; l’esplosivo al contrario è tipico di una tipologia di abbattimento totale ed indifferenziato. Nel nostro caso si nota come abbiano lavorato con totale simbiosi, ognuno ottimizzando le proprie caratteristiche e preparando il campo per la tecnica utilizzanta in seguito. In conclusione si può osservare come oltre alla programmazione del procedimento, anche la scelta delle tecnologie stesse sia motivata da un’aspirazione di reale ottimizzazione, dalla considerazione profonda dei possibili rischi in gioco, e non, come spesso avviene in base a puri criteri di convenienza economica dell’impresa. La descrizione del seguente caso studio è liberamente tratto ed adattato da un articolo presentato dagli autori D. Coppe, A. Reggiani, A. Bacci, A. M. Verno, per la 31° Conferenza Annuale della ISEE (International Society of Esplosive Engeneering) su Esplosivi e Tecniche di Abbattimento, tenutasi ad Orlando (Florida) nel Febbraio 2005. Gli autori sono tra l’altro, i progettisti e gli esecutori stessi della demolizione. Danilo Coppe: esperto nazionale di esplosivi, fondatore della S.I.A.G.; Andrea Reggiani: ingegnere strutturista, project manager della S.I.A.G.; Adolfo Bacci: Professore di Gas Dinamica all’Università di Pisa; Amanda Vernò: ingegnere specializzato nel controllo e nel monitoraggio delle vibrazioni. 225 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Tavola illustrativa della sequenza delle fasi di abbattimento, e della caduta delle trance tagliate. Nell’ultima immagine a destra è possibile notare la nettezza della superficie tagliata col filo diamantato. 226 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” DEMOLIZIONE DEL PONTE DI COURNALÈ Premessa La demolizione del ponte di Cournalè, costruito in comune di Pessinetto nel 1916, rientrava in un piano di intervento sulla tratta montana della linea ferroviaria Torino-Cères programmati con il duplice obiettivo di: • rimediare al dissesto idrogeologico ed ai danni strutturali causati dalle recenti alluvioni; • riclassificare l’intera tratta al transito dei moderni elettrotreni. Per il ponte del Cournalè erano state ipotizzate due possibili soluzioni: rinforzare la struttura oppure ricostruirla integralmente. A seguito di un’attenta valutazione tecnico-economica, la seconda soluzione risultava nettamente più vantaggiosa. Il motivo per il quale si è scelto di illustrare questo progetto di demolizione è che esso rappresenta un tipico esempio di procedimento di demolizione con tecnica mista: uso di esplosivo affiancato da demolizione con classici mezzi meccanici. Inoltre questo esempio fornisce una testimonianza del fatto che la maggior parte delle tecniche utilizzabili per l’abbattimento di elementi in calcestruzzo, possono essere egualmente utilizzate per gli elementi in muratura: infatti in questo caso le travate del ponte erano realizzate in calcestruzzo (debolmente armato), mentre i piloni erano esclusivamente realizzati in blocchi di muratura. Caratteristiche del ponte Il ponte in questione è costituito da una serie di quattro archi di luce netta 17,33 m., ai quali si affiancano, sul lato Torino, due archi minori, i quali scaricano direttamente sul terreno. La lunghezza complessiva del ponte si aggira sui 100 m. Gli archi sono realizzati in conglomerato cementizio non armato, lo spessore in sezione di chiave è di 0,80 m, mentre cresce sino ad 1,10 m nella sezione d’imposta. 227 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” I piloni di appoggio sono stati realizzati in muratura, mentre il rivestitimento è stato eseguito in pietra a vista; le dimensioni del fusto sono di 2,52 m x 6,90 m, mentre l’ingombro del relativo blocco di fondazione è di 3,20 m x 7,70 m. I piloni si mantengono ad un interasse costante di circa 20m. foto. 1 - Il ponte prima della demolizione L’intervento di demolizione Per evitare che la diga formata dal materiale abbattuto ostruisse completamente l’alveo del torrente (con conseguente grave pericolo di tracimazioni non controllabili) è stato deciso di effettuare la demolizione suddividendola in più fasi separate, così organizzate (fig. 1): • I fase (prima del 24.07.96): demolizione con mezzi meccanici della spalla lato Torino e dei due archi secondari adiacenti; • II fase (il 24.07.96): demolizione con esplosivo di due pile e dei due archi principali; • III fase (dal 24 al 31.07.96): sgombero del materiale abbattuto dal greto del torrente; • IV fase (il 31.07.96): demolizione con esplosivo delle due pile e dei due archi principali restanti (prossimi al lato Ceres); • V fase (dopo il 31.07.96): sgombero del materiale abbattuto e demolizione con mezzi meccanici della spalla lato Ceres. Il materiale crollato sul greto del torrente sottostante (Stura di Lanzo), è stato trasportato quindi ad un impianto di riciclaggio mobile installato in prossimità della spalla lato Torino. 228 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Il cinematismo di rottura progettato per la demolizione del vecchio ponte, prevedeva che il collasso della struttura avvenisse mediante l’esecuzione di interventi distruttivi sugli archi (in chiave e sull’imposta) e sulle pile. L’innesco dell’esplosivo è stato progettato con dei microritardi, come sempre avviene, per dare luogo alla formazione del cinematismo di rottura (e quindi di caduta) più naturale con la tipologia strutturale dell’organismo: infatti, immaginando in prima approssimazione lo schema del ponte come una trave continua su più appoggi, le prime cariche sono state fatte brillare sulle campate, distruggendone la continuità, ma più che altro, creando degli schemi a sbalzo che partono dalle pile centrali. Questa modificazione dello schema statico ha portato ad un sensibile aumento del momento agli appoggi centrali, rispetto al precedente schema di trave continua, favorendo infatti la seconda serie di esplosioni, avvenuta con un studiato microritardi, proprio alla sommità dei piloni centrali. Questa seconda ondata di esplosioni ha creato ad una cernierizzazione di questi sbalzi, (comportando la labilizzazione finale), demolendo definitivamente l’impalcato. La terza ed ultima serie di esplosioni era finalizzata all’abbattimenti del fusto delle pile d’appoggio. Come mezzo di attacco è stato adottato un esplosivo a base di nitrogliceroglicole (gelatina 1 di produzione Italesplosivi confezionata in cartucce con diametro di 25 mm) caricato in fori e fatto brillare in sequenze micro-ritardate, come spiegato in precedenza. Piano di Tiro I punti delle pile e degli archi su cui si è intervenuti in maniera distruttiva con l’esplosivo, sono indicati in fig. 1. I fori (& = 30 mm) sono stati eseguiti dall’alto verso il basso, con profondità variabili da 0,6 a 1,5 metri. L’intervento sugli archi mirava essenzialmente a tagliare trasversalmente la struttura che, di conseguenza, è stata interessata per tutta la sua larghezza (3,55 m) da una doppia fila di 6 fori interdistanti di 0,5 m circa (6 x 2 = 12 fori). L’intervento sulle pile mirava invece ad eliminare un altezza di circa 1 m, mediante frantumazione spinta del materiale costituente la muratura: di conseguenza è stata impostata una perforazione verticale a maglia quadrata (0,5 ÷ 0,6 m di lato) che ha interessato l’intera sezione (2,52 m x 6,90 m) con 46 fori di pila. In sostanza si sono effettuati i seguenti tipi di intervento (vedi fig. 2): A) Taglio dell’arco in chiave; B) Taglio dell’arco all’imposta; C) Frantumazione della pila. 229 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Nella tabella a fianco si riportano i consumi relativi (in particolare dei kg di esplosivo) per ogni tipologia di intervento. Sia nella volata del 24, che in quella del 31.07.96, si sono effettuati due interventi di tipo A, quattro interventi di tipo B, ed infine nuovamente due interventi di tipo C. Per ambedue le volate il consumo di esplosivo e di detonatori è stato quindi pressoché identico, e precisamente quello indicato in tabella. La carica di ogni foro è stata innescata direttamente con un detonatore elettrico microritardato. Tutti i 166 detonatori sono stati collegati tra loro in serie, e le due estremità del circuito sono state collegate alla linea del tiro. Controlli di sicurezza In questo paragrafo si rileggono tutte quelle misure preventive di sicurezza prese nei confronti delle tipiche, possibili conseguenze dannose nei confronti del contesto, dovute all’uso dell’esplosivo. Il caricamento dell’esplosivo ed il collegamento del circuito elettrico, hanno richiesto in totale circa 4 ore di lavoro, durante le quali l’accesso al cantiere è stato riservato solamente al tecnico delle mine (detto in gergo fuochino). Al momento del brillamento è stato interrotto per pochi minuti il traffico sulla adiacente strada provinciale. In relazione ai problemi di sicurezza tipici delle demolizioni con esplosivo sono state adottate le seguenti procedure: 230 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” - detonatori e reofori inseriti nei fori, sono stati protetti con guaine di robusto materiale isolante per prevenire dispersioni di corrente ed il conseguente rischio di creare mine inesplose; - sono state continuamente tenute sotto controllo le condizioni atmosferiche della zona per escludere la possibilità di esplosioni premature causate da correnti elettrostatiche estranee (che potrebbero portare ad un’attivazione prematura ed involuta dei detonatori); - il peso delle singole cariche è stato dimensionato, con appositi calcoli, in modo da rendere assolutamente trascurabile il livello di sismicità indotto dall’esplosione nell’ambiente circostante; - è stato evitato l’impiego di cariche esterne alla struttura, ed è stato previsto il borraggio di ogni foro, in modo tale da evitare successive sollecitazioni trasmesse attraverso l’atmosfera (sovrappressioni e/o rumori molesti). Infine, in relazione al pericolo di proiezioni incontrollate di materiale lapideo, essendo stata calcolata una gittata massima teorica di circa 100 metri, e non risultando entro tale raggio ubicata alcuna struttura, si è volutamente rinunciato a predisporre opere di contenimento, la cui posa in opera avrebbe comportato un eccessivo allungamento dei tempi. Ci si è limitati quindi a sovrapporre robusti tavolati in legname alle pareti antistanti le cariche esplosive, unicamente per proteggere il circuito elettrico di detonatori da eventuali danneggiamenti provocati da agenti esterni. Riciclaggio del prodotto demolito Per la mancanza di discariche in prossimità del cantiere e per non appesantire eccessivamente il traffico locale in un periodo di alta stagione, l’impresa contraente generale (in inglese general contractor) aveva disposto che il materiale proveniente dalla demolizione subisse i primi trattamenti sul posto, al fine di un suo successivo riciclaggio. Si è quindi scelto, tra i modelli disponibili sul mercato (ed a disposizione della ditta appaltante il lavoro di riciclaggio e smantellamento) un impianto di frantumazione mobile di dimensioni tali da poter essere posizionato nel ristretto spazio disponibile ai piedi del fiume (dimensioni di base 10,80 x 2,45 m, altezza di 3,10). 231 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Quindi, dopo una preventiva cernita dei blocchi lavorati a vista (provenienti dalle pile), il tout venant costituito da pietrame e da conglomerato cementizio è stato trattato in cantiere dal suddetto impianto di frantumazione. Con una potenza del motore di 37 kW (50 CV) a 1500 giri/min., si è garantita una produzione di 8 ÷ 10 t/ora, producendo un frantumato di circa 5 ÷ 10 cm, a partire da blocchi di dimensione oscillante tra i 50 ed 70 cm. L’alimentazione del frantumatore avveniva anteriormente tramite un escavatore a braccio principale snodato, mentre lo scarico del frantumato avveniva posteriormente, non prima di aver separato magneticamente i ferri (provenienti dall’armatura degli sbalzi laterali del ponte), ed averli scaricati lateralmente alla macchina, sul fianco opposto a quello in cui lavorava l’escavatore. Con questa operazione di riciclaggio si è ottenuta una notevole valorizzazione del materiale recuperato (2000 m3 ) che verrà integralmente utilizzato sul posto, sia per le esigenze del cantiere, sia per lavori di interesse del comune di Pessinetto. Successivamente all’abbattimento del vecchio ponte, si è iniziata la costruzione di quello nuovo, realizzato con travi prefabbricati in conglomerato cementizio precompresso armato, e le cui campate hanno una lunghezza di 22,00 m. Le pile in calcestruzzo armato hanno un interasse di 23,40 m., le dimensioni del fusto sono 2,20 x 6,70 m., mentre le fondazioni hanno un ingombro di 6,80 x 10,80 m. I tempi previsti per la costruzione sono 9 mesi, con un costo complessivo dell’opera di circa 800.000. €. 232 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” PARCHEGGIO SOTTERANEO AL GIANICOLO Il seguente caso progettuale è molto rappresentativo, essenzialmente per due motivi: in primis non si tratta di una classica operazione di demolizione, pensata e progettata, bensì di una soluzione di demolizione controllata, nata per ovviare ad un problema riscontrato in corso di costruzione di un opera ben diversa; in secundis, avendo riscontrato la presenza di alcuni elementi di estremo valore, la tecnologia stessa di rimozione, ha dovuto subire delle modifiche nella tecnologia di funzionamento per essere adattata alla delicata situazione. Il fatto che la seguente descrizione, sia relativa ad un progetto di demolizione controllata di un manufatto in muratura, è indifferente ai nostri fini, poiché la maggior parte delle tecniche di demolizione utilizzabili per le opere in calcestruzzo, possono essere applicate senza sostanziali modifiche, anche per la muratura. Ogni imprenditore o direttore di cantiere, conosce i problemi e le difficoltà che si incontrano quando, scavando per realizzare una qualsiasi opera (impianti, fondazioni, strade, in un lavoro pubblico o privato) si scoprono degli antichi reperti, residui di costruzioni o manufatti dell'antichità: questo significa fermare i lavori per tempi indefiniti, aspettare il giudizio delle autorità competenti, dover eseguire fastidiose ed onerose varianti in corso d’opera. fig. 1: Panoramica del Gianicolo. Vista della rampa destra scoperta e della rampa sinistra interrata. 233 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Descrizione del caso Questi inaspettati ritrovamenti esercitano un’influenza anche ben al di sopra del livello di scavo: infatti i cittadini sono i primi ad accorgersene a causa dei prolungati disagi al traffico che un cantiere aperto solitamente comporta. A Roma, nell’ambito di uno dei più importanti interventi per il Giubileo, era prevista la realizzazione del parcheggio sotterraneo del Gianicolo, opera essenziale per regolarizzare l’afflusso dei pullman e delle autovetture dei pellegrini in visita alla Città dei Vaticano. Praticamente a struttura completata, mentre si realizzavano i lavori di costruzione di una delle due rampe di accesso al parcheggio, su una di esse (quella sotterranea) sono stati trovati dei ruderi di una villa romana. Uno dei procedimenti più diffusi per la realizzazione di tunnel e gallerie, ad una quota non molto profonda rispetto al piano di campagna, prevede le seguenti fasi lavorative: - scavo a sezione obbligata, per la realizzazione delle paratie laterali; - realizzazione dei suddetti muri di contenimento; - posizionamento su di essi del solaio di copertura; - svuotamento dall’interno del volume di terra delimitato dalle partizioni realizzate. In pratica, lo scavo vero e proprio viene iniziato solo una volta che il volume di terra da eliminare, e stato delimitato con le paratie laterali ed un sovrastante solaio di copertura (che permette tra l’altro, di non interrompere a lungo il passaggio in quella zona). Il suddetto procedimento è stato esattamente seguito nel caso in esame, col risultato che l’impresa esecutrice dei lavori, dopo aver realizzato le due palificazioni laterali e la copertura, dopo aver tolto il terreno rimasto all’interno, a galleria ormai praticamente realizzata, ha scoperto delle antiche mura. E' stata avvertita la Soprintendenza e quando i tecnici sono arrivati si sono resi conto che i reperti avevano un notevole valore storico e hanno logicamente sospeso i lavori. Si è continuato poi a rimuovere manualmente la terra nella galleria, lavoro che ha avuto quindi tempi di esecuzione lunghi, visto che gli operai erano direttamente controllati dal personale della Soprintendenza. Descrizione dello stato di fatto Alla fine dello smaltimento del terreno, sono così venute alla luce alcune stanze: tre vani e mezzo, poiché il quarto era stato praticamente tranciato dalla palificazione in c.a., che costituiva una parete della galleria. La terra aveva riempito tutti gli spazi poiché, in epoca remotissima, i soffitti di tutto il complesso erano crollati. Delle stanze si sono conservati solo i muri perimetrali, costruiti dal classico muro “a sacco” romano, alcuni rifiniti in opus reticolatum, altri con affreschi in buone condizioni di conservazione. 234 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” A questo punto, tutti gli interessati e responsabili delle varie istituzioni coinvolte si sono, loro malgrado, incontrati (o piuttosto scontrati) sul da farsi. Dall’intersezione di esigenze fortemente diverse, ognuna relativa alla diversa figura professionale, nacque il vero problema: come proseguire? Ignorare la scoperta era oramai impossibile, deviare sensibilmente la direzione del percorso era economicamente improponibile, ed anche crearvi un sito archeologico era logisticamente inattuabile. In particolare: l’impresa era stata costretta a sospendere i lavori, rinviando il riconoscimento di quanto eseguito, ritardando la consegna e quindi il collaudo dell’opera finita; la Soprintendenza voleva salvare e lasciare possibilmente in loco, tutte le murature ed in ogni caso temporeggiare, continuando a fare le ricerche necessarie; il Ministero dei Lavori Pubblici - Provveditorato alle Opere Pubbliche per il Lazio, che stava seguendo e dirigendo i lavori dell’intervento avrebbe voluto che i lavori si svolgessero e terminassero nei tempi previsti; infine il Comune di Roma avrebbe voluto che i lavori fossero portati a termine per rendere fruibile completamente quell’importante opera che è il parcheggio dei Gianicolo. Dopo un lungo esame ed innumerevoli riunioni, si è finalmente concordato e stabilito di completare la galleria rendendola al più presto fruibile per l’accesso al parcheggio: dunque l’esigenza funzionale ha prevalso sulle altre. Di conseguenza ciò avrebbe comportato il distacco degli affreschi, la rimozione dei reperti murari e il recupero, attraverso una ricerca accurata, di tutto quello che si poteva ritrovare. Le strutture murarie in elevazione, con parte della fondazione, avrebbero dovuto essere spostate momentaneamente in altro luogo, in attesa di poterle rimontare in luogo da stabilirsi successivamente, assieme agli altri reperti eventualmente rinvenuti attraverso gli scavi da effettuare in loco e nelle immediate vicinanze. Il progetto della demolizione Il Provveditorato alle Opere Pubbliche per il Lazio ha quindi elaborato, con la collaborazione dei maggiori esperti dei settore, un progetto di intervento per la protezione, rimozione, traslazione al deposito dei reperti archeologici murari rinvenuti nella galleria Torlonia. 235 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” fig. 9 Primo rilievo delle murature con indicazione della numerazione dei campioni. L’intervento consisteva nella suddivisione delle pareti murarie in blocchi “campioni”, mediante l’esecuzione di tagli, eseguiti attraverso l’impiego di speciali attrezzature; in loco si sarebbe provveduto alla costruzione degli involucri di protezione ed imballaggio degli stessi campioni, grazie ai quali si sarebbe eseguita la rimozione, movimentazione e trasporto verso un deposito provvisorio. Fattore fondamentale era dunque la salvaguardia delle murature durante il taglio, l’imballaggio e gli spostamenti. Queste dovevano essere tolte dalla loro posizione senza correre il minimo rischio di frantumarle, o anche di danneggiarle minimamente. Solo così si sarebbe potuto, successivamente, rimontare e riassemblare il reperto in altro loco. Come è stato finora più volte spiegato nel testo, ogni tecnologia presenta dei particolari vantaggini ambiti diversi: compito del progettista è quello di saper distinguere quali sono i vincoli della situazione che si trova a dover affrontare, e saper, sia scegliere la tecnologia, che progettare l’intervento, in base ad essi. Le esigenze dell’operazione in questione erano il distacco degli elementi di interesse dalla loro sede, mantenendo integro il manufatto, ed evitando qualsiasi danneggiamento dovuto a vibrazioni. Il tutto però doveva essere eseguito in tempi molto brevi, per poter permettere la prosecuzione dei lavori di costruzione della rampa. fig. 2 Posizionamento della macchina da taglio. Una volta separato l’elemento campione, restava da effettuare il suo imballaggio speciale e la sua movimentazione in sede più sicura. Riassumendo le esigenze le di conseguenza i criteri per la scelta della tecnica erano: - divisione di un elemento in più parti; - esecuzione dell’operazione in tempi ridotti; - esecuzione dell’operazione con totale assenza di vibrazioni; 236 Capitolo 3 - “Verba Volant, Exempla Manent” divisione netta e precisa che non danneggi i bordi adiacenti la superficie di contatto. Sulla base dei suddetti requisiti la scelta tra le attuali tecnologia a disposizione sul mercato è versa per il taglio, effettuato con utensili dai bordi diamantati. Le fasi lavorative previste nel progetto erano organizzate come segue: - taglio delle murature con attrezzature al diamante, in blocchi definiti “campioni”, con pezzatura di circa 1,30 m di base, per 1,50 m di altezza. - inserimento di una lastra di metallo di adeguato spessore nel taglio di base, con risvolto verticale ad “L” in modo da contenere base e risvolto inferiore del maschio murario. - costruzione in loco di un imballaggio in legno foderato con pannelli in materiale poliuretanico, con la funzione di assorbire e uniformare le sporgenze e le irregolarità della muratura, proteggerla e sostenerla. - serraggio delle pareti lignee mediante installazione di tiranti filettati posti nelle parti alte e basse dei contenitore, attraversanti anche i risvolti metallici. - rimozione dei “campioni” facendoli scorrere dalla loro posizione su un fork lift, utilizzando la lastra metallica, posta alla base, come un vassoio di sostegno. Prima dell’intervento sulle murature la Soprintendenza ha provveduto al distacco di tutti gli affreschi, al loro trasporto presso il laboratorio per il consolidamento, pulizia e restauro su una struttura a nido d’ape, per poterli poi rimontare sulle murature, una volta riassemblate. L’esecuzione dei lavori Il Provveditorato, in accordo con l’impresa che stava eseguendo il lavoro di costruzione delle rampe, ha quindi interpellato alcune imprese di sua fiducia; uno dei criteri più vincolanti di scelta dell’impresa esecutrice, era proprio la ristrettezza dei tempi per l’esecuzione del lavoro, richiesti dall’urgenza di aprire l’accesso al parcheggio. 237 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Infine, tra le imprese presentatesi, è stata scelta la Saide Costruzioni di Roma, che, oltre a disporre delle necessarie attrezzature specialistiche, del personale competente, si è detta pronta a seguire le vincolanti modalità indicate e stabilite dal progetto. L’impresa scelta, aveva già svolto lavori di particolare delicatezza, quale l’intervento per il sostegno delle notevoli travi di appoggio delle vele nella Basilica Superiore di S. Francesco ad Assisi, coperte dai notissimi affreschi di Giotto. Come previsto dal progetto, sono state utilizzate delle attrezzature al diamante, necessarie per ottenere un taglio perfetto delle murature, al fine di poter imballare i settori di muro tagliati nelle “casserature” preparate a piè d’opera. È stato dunque organizzato il cantiere con due turni di personale altamente specializzato, in modo da poter rientrare nei tempi prefissati; sono stati inoltre realizzati, direttamente in galleria, un piccolo ma completo laboratorio di falegnameria ed un’officina meccanica; le funzioni di questa officina erano: la costruzione dei contenitori in legno foderati, il taglio a misura delle lastre di lamiera costituenti i basamenti di appoggio, ed il contenimento dei campioni. Per effettuare i tagli delle murature, così come richiesto, sono state approntate le varie attrezzature disponibili, seghe elettriche a nastro diamantato, seghe a disco diamantato, seghe con catena diamantata e carotatrici al diamante per i perfori occorrenti al passaggio dei nastro diamantato (per i dettagli delle suddette tecnologie, vedere relativo paragrafo nel capitolo “Le Tecnologie della Demolizione”); inoltre, per alcuni tagli di rifinitura e di distacco tra la palificazione in cemento e l'antico manufatto in muratura romana, delle seghe a catena con riporti di placche al Widia. Naturalmente, come sempre avviene negli interventi sul costruito, in corso d’opera nascono problemi difficilmente prevedibili in fase progettuale: la maggior parte delle attrezzature per il taglio (per c.a. o per muratura) necessita di un sistema di liquid cooling ( = raffreddamento liquido) per stemperare le elevate temperature che si generano per attrito tra lama e superfici di contatto al momento del taglio: lo smaltimento delle acque, specie in un terreno già umido mal si concilia, col rischio di dilavamento delle preziose murature. 238 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” L’impresa in questione, ha eseguito quindi una serie di prove, con le suddette attrezzature, al fine di vedere se era possibile utilizzare gli utensili diamantati senza raffreddarli, e quali sarebbero stati gli effetti sull’elemento da tagliare, e sull’attrezzatura stessa. L’antica muratura, era costituita in parte da blocchi e pezzatura di tufo, ed in parte da una tipica struttura “a sacco”, cioè due pareti in mattoni a delimitare un’intercapedine riempite di silice, sassi, scaglie di marmo, pezzi di basalto, etc. Il disco diamantato, la cui velocità di taglio avrebbe consentito un intervento rapido e molto preciso, non si è purtroppo potuto utilizzare, in quanto la sua struttura in acciaio, anche dopo aver ridotto il numero di giri, si è surriscaldata rapidamente, deformandosi. Anche le catene diamantate, senza raffreddamento non si sono potute utilizzare per lo stesso motivo. La deformazione della lama, rappresentava non solo un danno irreversibile per lo strumento, ma comportava il rischio – ben più grave – di eseguire un taglio incontrollabile nella muratura. La soluzione che infine ha consentito di eseguire il lavoro senza acqua di raffreddamento, è stata il nastro diamantato iniettato in plastica, opportunamente adattato per l’occasione. Le macchine sono state posizionate con le pulegge di trazione opportunamente distanziate dal muro, il nastro in uso era dunque più lungo di quanto normalmente utilizzato ed è stato fatto girare più lentamente: questo ha consentito che il calore provocato dall’attrito delle sole perle sulla muratura, non si trasmettesse e si accumulasse. Le molle, distanziatrici delle perle, e la struttura in acciaio, non hanno praticamente comportato attrito. Inoltre, la minore velocità di rotazione adottata, consentiva a ciascuna perla di effettuare un taglio perfetto, e di raffreddarsi prima di ritoccare il muro. 239 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Questa soluzione ha consentito di realizzare l’intervento in modo sicuro e preciso, rispondente alle richiesta della committenza, ovviando al problema del deflusso delle acque di raffreddamento. Per le suddette operazioni è stato utilizzato un nastro diamantato con 36 perle/metro, rivestito e iniettato in plastica, di granulometria 40 – 50, elettro-deposto, a concentrazione KD 1.1. fig. 10: prelievo dei campioni con montacarichi Durante le fasi di lavorazione, sono stati inoltre ritrovati due o tre frammenti di affresco (sfortunatamente di piccole proporzioni) che sono stati imballati, previa adeguata protezione, assieme alla porzione di muro sul quale trovavano. Nel corso dei lavori la sovrintendenza che, con la costante presenza degli archeologi e di alcuni specialisti del restauro ha seguito l’intero corso dei lavori, ha chiesto il recupero ed il “campionamento” di altre sedici porzioni di muro, portando così il totale dei campioni, a settansei. Sono stati anche recuperati tre blocchi di travertino, che costituivano delle soglie ed una decina di “bolli laterizi”. Nonostante tutti queste interruzioni ed imprevisti, sono stati rispettati i tempi previsti per il lavoro, permettendo la continuazione della rampa per l’accesso al parcheggio: il tutto senza il minimo danno ai reperti ritrovati. Tutti i campioni sono stati momentaneamente depositati in un locale vicino alla zona di ritrovamento, ed aspettano solo di essere rimontati, insieme alla reinstallazione degli affreschi e l’eventuale abbinamento con altri reperti che si spera di trovare durante successivi scavi. Questo potrebbe consentire una ricostruzione, interessante seppur parziale, di quella che potrebbe essere stata la “Domus Agrippinae”, cioè la villa che è stata prima di Agrippina, poi di Caligola ed infine di Nerone. 240 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” DEMOLIZIONE DELLO STADIO SEATTLE, WASHINGTON Lo stadio Kingdome di multifunzionale estremamente delle due principali squadre grandi fiere e manifestazioni genere finalizzate alle famiglie. “KINGDOME” A Seattle, costruito nel 1976, era uno spazio versatile: infatti costituiva la sede di allenamento sportive, e veniva spesso utilizzato per accogliere commerciali, concerti musicali ed attività di vario A seconda dell’evento poteva accogliere addirittura fino a 70.000 persone. Dalla data della sua apertura, in 24 anni vi si sono tenuti 3.000 grandi eventi e sono state accolte 66 milioni di visitatori, compensando abbondantemente i costi di costruzione di 67 milioni di dollari. Nel giugno del 1997, i cittadini dello stato di Washington hanno deciso con un referendum, la costruzione di un nuovo stadio da calcio e centro di grandi manifestazioni per la comunità. Il nuovo stadio sarebbe sostituito grandemente tutte le funzioni esercitate da quello precedente, con l’aggiunta netta di un parcheggio da 2.000 posti macchina. Lo stadio da demolire era comunque una meraviglia dell’ingegneria: rappresentava infatti la più grande copertura al mondo realizzata come volta sottile in calcestruzzo armato; il diametro della cupola era di 219,46 m (720 foot), e la volta sottile stessa aveva uno spessore di 12,7 cm (5 inches); era rinforzata da 40 costoloni radiali, che partivano da un anello di compressione, spesso 228,6 cm (7,5 foot) e di diametro 8,78 m (28.8 foot), ed arrivavano da un anello di trazione, spesso 60,96 cm (2,0 foot) e di diametro 7,31 m (24.0 foot). Quest’ultimo anello perimetrale poggiava su 40 pilastri in calcestruzzo alti 41,15 m (135 foot). Una squadra di 20 tecnici ha preparato l’implosione di questa grande struttura per cinque settimane, preparando circa 5.905 fori in cui inserire le cariche esplosive. Alla fine sono stati usati circa 2.145 kg di esplosivo e 34,8 m di corda. Il progetto della demolizione Uno dei principali vincoli di progetto nel caso in analisi erano sicuramente le imponenti dimensioni dell’organismo: era impensabile un suo smantellamento progressivo, non solo per l’allungamento che avrebbero subito i tempi, ma in particolare a causa della conformazione strutturale dell’opera stessa: non è possibile tagliare a fette o settori una struttura a cupola, e pretendere che continui a restare in piedi per la durata dello smantellamento, la stabilità dell’intero sistema è affidata più che mai alla collaborazione di ogni singolo componente strutturale, che non può essere rimosso senza creare disastrose ed incontrollabili conseguenze. 241 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Inoltre l’ordine di grandezza delle dimensioni era tale da rendere impossibile un disfacimento che portasse una dispersione di macerie in un’area troppo vasta, oppure la creazione di un cumulo troppo alto: in entrambi i casi, i tempi relativi alle successive operazioni di trasporto e smaltimento avrebbero subito dei forti allungamenti, ed in particolare nel secondo caso si sarebbe reso necessario l’uso di particolari gru (dall’altezza media, ma dall’eccessiva lunghezza del braccio); queste dovevano quindi essere localizzate in un unico sito, ben accessibile da ogni lato, tale da semplificare e favorire le fasi successive. L’unica soluzione era quella di far collassare su se stessa la struttura: questa soluzione si presentava come la meno rischiosa, ed avrebbe, se riuscita, permesso l’accumulo di tutte le macerie in una zona relativamente circoscritta. A causa della conformazione a simmetria radiale non è però fisicamente possibile far implodere una cupola su se stessa, poiché ogni trancia opporrebbe resistenza nei confronti di quella opposta, nel suo movimento di caduta verso l’interno. Si è quindi pensato di dividere il momento dell’implosione in due fasi: in ognuna delle fasi si sarebbero indeboliti ed atterrati degli spicchi diversi, ovviamente non in adiacenza uno con l’altro. Nella seguente sequenza fotografica vengono illustrati i principali momenti dell’abbattimento: si può notare come vengano progressivamente formate le cerniere per ogni settore circolare, e come si generi di conseguenza il cinematismo di caduta. Le prima fase in assoluto consiste nell’indebolimento della struttura: deve essere ridotta la sua rigidezza globale, abbassandola, da una struttura iperstatica, ad una al limite dell’isostaticità. Quindi in primo luogo sono stati rimossi tutti quegli elementi che avrebbero potuto opporsi in fase di caduta, o modificarne la traiettoria pianificata: l’eliminazione di tutte le tamponature, ha lasciato in vista il nudo scheletro. La struttura era realizzata con due tecnologie a seconda del tipo di elemento strutturale: i pilastri e tutti gli altri elementi soggetti essenzialmente a sollecitazioni di compressione (od al limite presso- flessione) erano realizzati in calcestruzzo ordinario, gettato in opera, mentre i costoloni, soggetti in 242 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” calcestruzzo armato precompresso: quest’ultimi potevano essere sia a cavi pretesi che post-tesi (vedere fig.1.b). Prima ancora di lavorare con gli esplosivi, si conclude la fase dell’indebolimento, eliminando tutte le rampe scale e quegli elementi di elevata rigidezza, non solo per evidenti motivi strutturali, ma anche semplicemente per ridurre il quantitativo di macerie da raccogliere in seguito. Solo a questo punto è possibile iniziare a posizionare le cariche esplosive: queste vengono collocate in modo tale da creare tante cerniere ed abbassare di conseguenza il grado di iperstaticità delle struttura. Come si può notare osservando la foto 3.a, è stata effettuata la suddivisione per settori premessa per facilitare il collasso: i settori circolari più scuri sono quelli destinati a cadere con il brillamento della prima serie di cariche, mentre quelli più chiari seguiranno i primi ad un intervallo temporale di 2,6 secondi. Nella figura 3.b invece si possono notare le speciali “bendature” con le quali sono stati fasciati i punti di maggior concentrazione di esplosivo, al fine di limitare il più possibile la proiezione di detriti di piccola taglia. 243 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Dalla foto si vede come i primi tre settori iniziano ad instabilizzarsi ed a collassare verso l’interno grazie alla cerniera creata a circa 1/3 dello sviluppo dei costoloni; è stata effettuata una cernierizzazione anche negl’elementi verticali, portandoli al ribaltamento; come si può vedere dalla sezione assonometrica, le rampe orizzontali che collegano i pilastri sono state lasciate integre, ed il loro forte carico ha aiutato fortemente il ribaltamento delle due file di colonne, che, di per sé potevano altrimenti opporre un buon momento d’inerzia resistente complessivo. Si comprende quindi come il progetto del brillamento sia stato pensato per sfruttare al massimo la forza di gravità, non facendo altro che mettere la struttura di in condizione di non poterle opporre resistenza. Non appena i prime tre spicchi si avviano a toccare rovinosamente il suolo, viene fatta brillare la seconda serie di cariche: gli ultimi tre settori circolari vengono “cinematizzati” allo stesso modo dei primi tre, con la differenza che oramai non incontrano nessun contrasto laterale lungo la caduta. Una volta cernierizzate queste strutture parziali, durante la loro caduta viene fatta esplodere una terza ed ultima ondata di microcariche, la cui funzione è l’ulteriore 244 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” frantumazione degli elementi strutturali; questa frammentazione non solo semplifica le operazioni di smaltimento, ma abbatte fortemente l’impatto della massa al suolo, e la conseguente creazione di onde di vibrazione. In circa 20 secondi, l’intera struttura era atterrata, generando un immenso cumulo di macerie che però non fuoriuscì dal perimetro dello stadio stesso. Anche la proiezione di macerie di piccola taglia, fu estremamente limitata e non comportò nessun danno al contesto cittadino. foto 6.a Il Kingdome è stato così atterrato esattamente in soli 16,8 secondi, comportandosi molto meglio delle aspettative: le macerie delle demolizione si sono concentrate in un mucchio pressappoco circolare di circa 7 m d’altezza, contro i 21 metri previsti. L’implosione e l’impatto a terra hanno creato una vibrazione paragonabile a quella di un terremoto di 2,3 gradi della scala Richter, ma non ha causato nessun danno sulle strutture adiacenti. Si riportano alcune immagine del momento della caduta e delle fasi preparative. Sequenze in successione dell’abbattimento dei primi e dei secondi settori circolari: si può apprezzare il ritardo voluto nel brillamento notando come mentre stia esplodendo la seconda serie di cariche, le prime fascie di copertura stia molto al di sotto del suo profilo originale. 245 Capitolo 3 “Verba Volant, Exempla Manent” Nella foto a sinistra si può osservare il risultato finale dell’operazione. La foto a destra invece, illustra la fase dell’armamento delle mine sull’estradosso della copertura. 246 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione IL CONTROLLO DEMOLIZIONE DEL RISCHIO NELLA Premessa Nel primo capitolo sono stati enucleati e analizzati tutti quei fattori che possono rientrare all’interno di un processo progettuale. Nel mondo delle costruzioni, a prescindere da quale sia l’oggetto della progettazione, i fattori che più caratterizzano i relativi processi progettuali non variano molto: che si sia trattando un progetto di costruzione, di manutenzione, di risanamento o di consolidamento antisismico, gli elementi che dirigono la progettazione sono pressoché gli stessi. Come è stato spiegato nei paragrafi iniziali, anche la demolizione fa parte integrante del ciclo di vita di un edificio. Alla pari di tutte le altre fasi, ideazione, costruzione, gestione e manutenzione, anch’essa necessita di un processo progettuale che diriga a monte, le sue attività operative. Ciò che si desume facilmente leggendo i primi capitoli del testo è la volontà di presentare una nuova visione, più razionale, del momento della demolizione e della relativa attività pianificatoria: se finora quest’ultima è sempre stata vista, in particolare nel mondo lavorativo, come un momento a sé stante ed isolato, le cui scelte progettuali erano regolate solamente da criteri di convenienza economica, è importante focalizzarla come una fase appartenente all’intero ciclo di vita dell’edificio, e come tale fortemente influenza da esso. Solo in questo modo è possibile associare alla demolizione, il concetto e la necessità di un progetto, come viene naturalmente fatto per tutte le fasi della costruzione e della gestione. Si ribadisce che i suddetti discorsi, e le considerazioni che seguiranno, assumono il loro pieno valore alla condizione che siano relativi ad interventi complessi di demolizione: con ciò si intendono operazioni di smantellamento di organismi edilizi che, per motivi vari, non possano essere eseguite attraverso la cosiddetta soluzione “banale”. È chiaro che per smantellamenti di piccoli organismi edilizi, la necessità di un’attività pianificatoria non sussiste, ma non appena ci si imbatta in una organismo più impegnativo, che, per motivi di sicurezza o semplicemente economici, richieda un’ottimizzazione del processo, finalizzata all’ottenimento di un predeterminato rendimento, diventa necessario scindere la demolizione in tutti i suoi fattori costitutivi, e trovare la soluzione progettuale più compatibile con la maggior parte dei vincoli presentati dal contesto. Proprio in ciò risiede, lo spirito e la profonda motivazione, che è alla base, e giustifica tutta la ricerca: un’attività demolitiva (di un organismo complesso) non può più essere affrontata con la superficialità che ha caratterizzata sinora questo 247 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione campo, deve essere invece trattata con gli stessi mezzi e criteri di ottimizzazione utilizzati per le altre stadi del ciclo vitale di un organismo edilizio. Se, come si è concluso finora, risulta quindi necessario per vari motivi, anteporre ad un atto di demolizione un progetto coerente al fine di razionalizzare quest’ultimo, è necessario ancor prima conoscere a fondo quali siano i fattori costitutivi di un progetto di demolizione: questa indagine è stata condotta nel primo capitolo di questo testo. Una volta definiti e classificati i componenti principali di un progetto di demolizione, l’obiettivo che si pone questa ricerca è quello di concentrarsi in particolare su uno dei fattori di progetto più vincolanti e caratterizzanti: il cosiddetto Risk Factor (fattore di rischio). Si tenterà quindi un esperimento di controllo del rischio in un processo di abbattimento, tramite uno degli strumenti di analitici oggi più usati per la modellazione probabilistica dei sistemi: le Reti Bayesiane. Attraverso le reti mostreremo come sia possibile attribuire dei valori di probabilità alle varie situazioni di rischio evidenziate. Il Project Management L’approfondita analisi fattori in gioco nel momento progettuale o egualmente decisionale, finalizzata all’ottimizzazione di qualsiasi processo produttivo, è da alcuni anni oggetto di studio di vari enti: più in generale rientra nella definizione del cosiddetto Project Management. Esiste infatti da diversi anni una disciplina, ed un relativo campo di studi, il cui scopo principale è l’ottimizzazione, e dell’iter progettuale e del relativo processo realizzativo, di qualsiasi genere di prodotto, producibile industrialmente e non; ciò può valere per il prodotto nella sua globalità, o solamente per i suoi singoli componenti costitutivi. Il Project Management è, più in generale definibile come, l’applicazione di conoscenze, capacità, strumenti e tecniche, ad un’attività progettuale, finalizzata al raggiungimento ed al soddisfacimento di esigenze espresse da un committente. La definizione appena data è appositamente generica, poiché in questo modo risulta chiaro il fatto che, l’organizzazione di un attività pianificatoria attraverso la disciplina Project Management, è applicabile a qualsiasi tipo di oggetto da produzione, con l’unico fine di ottimizzare il rendimento dell’attività progettuale stessa e/o del seguente iter produttivo. Il Project Management è una disciplina che nasce per ottenere un controllo di tipo logistico su un qualsiasi processo produttivo, in particolare in quelli di tipo industriale: in poco tempo la possibilità di avere questo tipo di controllo, si è anche estesa anche alla fase progettuale. L’organizzazione concettuale dell’intero Body of Knowledge (corpo di conoscenze) afferente al Project Management è oramai abbastanza normalizzata e standardizzata: esiste infatti un centro di studi americano, internazionalmente 248 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione riconosciuto, il PMI (Project Management Institute), dove vengono approfondite ed insegnate tutte le discipline afferenti a questo campo di studio. Qualsiasi professionista, a prescindere del campo in cui opera riconosce la necessità dell’esistenza di un progetto a monte di qualsiasi attività pratica complessa: questa esigenza, rappresentata da una pianificazione ordinata e razionale delle fasi operative di una qualsiasi attività pratica, è comune ed universalmente valida per qualsiasi attività professionale di alto livello: un chirurgo deve pianificare dettagliatamente le operazioni da eseguire, come un avvocato necessita di un pian di attacco per difendere una causa in tribunale, senza parlare della fervida attività progettuale che precede oramai qualsiasi nuovo lancio pubblicitari di un prodotto commerciale. L’ambito delle costruzioni è quello che da sempre si è più appoggiato sulla presenza di un progetto, che espliciti e spieghi ai diversi operatori, i svariati aspetti che costituiscono un organismo edilizio, permettendone la realizzazione fisica. Senza entrare troppo nel dettaglio, si potrebbe ricordare come, se ne passato un progetto di una grande opera era essenzialmente gestito da un’unica persona (o poco più), ai tempi odierni, con la complessità raggiunta dai progetti di larga scala, sarebbe impossibile pensare ad un unico personaggio che controlli nel dettaglio tutto l’iter: naturalmente ciò si verifica anche a causa della profonda specificità che caratterizza oramai ogni disciplina scientifica. Si è quindi passati alla cosiddetta progettazione d’equipe, in cui le menti e la professionalità di diverse persone collaborano al fine di generare un prodotto unico. Cos’è un Progetto Prima di iniziare ad analizzare le principali knowledge areas (aree di conoscenza) di un progetto, visti secondo la disciplina del Project Management, sarebbe utile fissare qualche definizione del concetto stesso di progetto. Solitamente, ad un’attività intellettuale pianificatoria, ordinata e razionale, seguono un’insieme di operazione pratiche che si pongono lo scopo di dar vita ad un prodotto. Quindi progetti ed operazioni condividono alcune caratteristiche; in particolare: - sono entrambi eseguiti da persone; - sono entrambi limitati da vincoli di vario genere; - vengono pianificati, eseguiti e controllati. Le principali differenze tra i due suddetti enti consistono nel fatto che le operazioni hanno uno svolgimento continuo e spesso ripetitivo, mentre i progetti sono temporanei ed unici. Quindi un progetto è definibile come un’attività temporanea intrapresa per creare un prodotto od un servizio comunque unico. Per “temporanea” si intende che ogni progetto ha un inizio ed una fine ben definita, seppur non necessariamente debba essere fissata la durata esatta. 249 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione La conclusione temporale del progetto avviene quando siano stati raggiunti gli obiettivi preposti, oppure quando risulta chiaro che gli stessi obiettivi non possano essere raggiunti. Il termine temporaneo non fornisce inoltre alcuna indicazione sulla durata del tempo di servizio del prodotto o servizio realizzato. Per “unico” si intende che il prodotto o servizio fornito differisce nelle sue caratteristiche principali da qualsiasi altro prodotto o servizio simile. Si fa notare che un servizio/prodotto può mantenere la sua unicità nonostante esso appartenga ad una categoria esistente molto vasta: basti pensare che una qualsiasi villa, pur appartenendo alla categoria di edificio con destinazione d’uso di civileabitazione, non potrà mai essere eguale ad un’altra villa. Egualmente lo stesso discorso vale a proposito degli elementi costruttivi: pur potendo essere standardizzati e ripetitivi, ciò non influisce sull’unicità del prodotto che concorrono a creare nella loro globalità. Un progetto può essere intrapreso a qualsiasi livello di organizzazione, può coinvolgere un sola persona o centinaia di persone, basti ricordare la costruzione delle cattedrali gotiche storiche. Allo stesso modo sia le ore dedicate, che le unità lavorative possono essere numericamente molto varie. Per ulteriore chiarezza si forniscono in seguito alcuni esempi di progetti relativi ai campi più diversi: - sviluppo di un nuovo prodotto o servizio; - modifica della struttura di un’organizzazione; - progetto di un nuovo mezzo di trasporto; - sviluppo di un nuovo sistema di scambio dati; - costruzione di un organismo edilizio; - presentazione una campagna politica o pubblicitaria; - potenziamento di un particolare business. Resta infine necessario sottolineare una lieve problematica linguistica del termine “progetto”: in italiano, questo termine viene utilizzato indistintamente per indicare concetti che in inglese vengono espressi in maniera distinta: Design Progettazione e progetto tecnico/artistico di un qualche prodotto/servizio/componente; Engeneering Progettazione in senso tecnico, con attenzione alle fasi realizzative, oltre che funzionali del prodotto; Drawing Disegni tecnici che comprendono una rappresentazione formale del progetto tecnico; Project Una serie di attività mirate al raggiungimento di un obiettivo; queste possono comprendere anche una parte relativa allo sviluppo progettuale tecnico di componenti/prodotti. 250 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Volendo esprimere i suddetti termini su un caso pratico, si consideri il seguente esempio: Design Sviluppo delle caratteristiche tecniche del nuovo veicolo: forma, motorizzazione , analisi strutturale, analisi funzionale, dimensionamenti etc. Engeneering Revisione del progetto della nuova auto per renderla costruibile sulle linee esistenti in modo efficiente; Drawing Disegni tecnici del nuovo veicolo; Project Proteo mirato allo sviluppo della nuova autovettura: analisi di mercato, gestione del team dell’ingegneria, pianificazione dei tempi di sviluppo, sviluppo del processo produttivo sviluppo di nuove tecnologie di realizzazione, analisi di costo, studi di fattibilità impostazione del nuovo veicolo, del suo sistema produttivo e di commercializzazione. Motivi del Project Management Vista l’universalità del concetto di progetto, la possibilità di affiancare un’attività pianificatoria in qualsiasi campo di tipo professionale, e d’altra parte, la necessità di organizzare e gestire le diverse competenze all’interno di equipe di progettazione, si comprende come sia nata l’esigenza di controllare i fattori appena descritti, da un riferimento superiore: ossia pianificare ed ottimizzare l’attività progettuale stessa. Questo è il target (lo scopo) principale che si pone il Project Management. Un altro vantaggio che l’introduzione del Project Management comporta, è la possibilità di creare un nuovo linguaggio comune, che utilizza terminologie compatibili con qualsiasi campo all’interno del quale si stia operando un’attività progettuale. Una conseguenza diretta del suddetto vantaggio, è però la necessità di mantenere i concetti trattati ad una scala abbastanza ampia da poter essere sempre adattata ai vari campi professionali, spesso estremamente diversi tra loro: si noterà quindi una certa impossibilità di scendere nel dettaglio, ma tra d’altra parte non bisogna dimenticare che l’obiettivo principale del Project Management è quello di controllare e gestire i fattori, quindi i protagonisti e le competenze, di un processo progettuale. Si riportano in seguito alcune definizioni di Project Management, al fine di chiarificarne ulteriormente le caratteristiche: • Per P.M. si intende l’applicazione dell’approccio sistemico alla gestione di attività tecnologicamente complesse o di progetti i cui obiettivi sono esplicitamente fissati in termini di parametri di costo e performance. (Cleland & King 1988) 251 Capitolo 4 • Il Controllo del Rischio nella Demolizione Pianificare, organizzare, dirigere e controllare le risorse dell’azienda per un obiettivo relativamente di breve termine, che è stato fissato per portare a termine traguardi ed obiettivi specifici. Inoltre il P.M. utilizza l’approccio sistemico alla gestione mediante l’assegnazione di personale di funzione (gerarchia verticale) ad uno specifico progetto (gerarchia orizzontale). (Kerzner 1989) Ed ancora: • Il processo mediante il quale le persone cercano di guidare un progetto per raggiungere traguardi prestabiliti, nel rispetto di vincoli temporali. Questo processo coinvolge elementi di pianificazione, monitorino, analisi, problem solving e comunicazione. • I sistemi automatizzati di PM aiutano i manager a mantenere gli elementi di controllo in particolare per progetti di grandi dimensioni, complessi, che implicano la gestione di un’elevata quantità di dati. Con l’aiuto di questi sistemi ed il supporto di servizi di PM, i manager sono meglio in grado di fissare il loro piano, di valutare regolarmente lo stato del progetto rispetto al piano e di sostenere possibili linee di azione alternative… (Decision Technologies Division della Electronic Data System Corporation – General Motors) Resta da fare un’ultima distinzione: spesso, in particolare nel linguaggio comune, il termine Project Management, viene più o meno impropriamente utilizzato per descrivere un organizzazione finalizzata al controllo e la gestione di operazioni di tipo continuo; in sintesi, si intende la semplice organizzazione del cantiere: è facile comprendere come questa visione del Project Management sia limitante rispetto a quella finora descritta. Aree del Project Management Nell’ambito di questo Project Management Institute, sono state indicate e categorizzate dodici aree di conoscenza, ognuna relativa ad un diverso fattore costitutivo del processo progettuale; di seguito vengono elencate queste aree, e se ne riportano le principali caratteristiche: 1. Project Integration Management: ovvero quel processo che assicura il corretto coordinamento dei vari elementi di progetto; consiste nel sviluppo del piano generale, nell’esecuzione del piano di progetto e nel controllo dei cambiamenti del piano. 2. Project Scope Management: descrive i processi necessari per assicurare che il progetto includa in sé tutti gli obiettivi preposti, al fine del soddisfacimento della committenza, secondo un contratto predefinito; esso consiste in nell’analisi preparativa, nella pianificazione degli obiettivi, nella loro definizione e verifica, oltre che nel controllo dei cambiamenti sugli stessi obiettivi. 252 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione 3. Project Time Management: descrive i processi necessari per assicurare il completamento del progetto secondo la tempistica accordata; esso consiste nella definizione dell’attività, nel suo sequenziamento, nella stima della durata delle singole attività, nello sviluppo dello scheduling e nel loro controllo. 4. Project Cost Management: descrive i processi necessari per assicurare il rispetto dei costi di progetto; esso consiste nella pianificazione delle risorse, nella stima dei costi, nel budgeting degli stessi e nel loro controllo. 5. Project Quality Management: descrive i processi necessari per assicurare il rispetto della qualità accordata del progetto; esso consiste nella pianificazione della qualità, nell’attuazione delle politiche di qualità, e nel controllo della stessa. 6. Project Human Resources Management: descrive i processi necessari per ottimizzare al massimo l’uso delle persone (e delle loro qualità) coinvolte nel progetto; consiste nella pianificazione dell’organizzazione di progetto, nell’assunzione dello staff, e nello sviluppo del team di lavoro. 7. Project Communication Management: descrive i processi necessari per assicurare il più appropriato e corretto modo di generazione, raccolta, distribuzione ed archiviazione dei dati di progetto; consiste nella pianificazione delle comunicazioni, nella distribuzione delle informazioni, nel continuo reportage delle prestazioni misurate, ed infine nella chiusura amministrativa della documentazione. 8. Project Risk Management: descrive i processi necessari per identificare correttamente e completamente, analizzare e fornire un’adeguata risposta ai rischi di progetto; consiste nell’identificazione e quantificazione dei rischi, nello sviluppo delle risposte e delle soluzioni al rischio, e nel controllo delle contromisure attuate. 9. Project Procurement Management: descrive i processi necessari per la corretta valutazione e gestione dei fornitori; consiste nella pianificazione dei contratti dei fornitori, nella pianificazione dell’acquisizione di proposte, nell’acquisizione delle offerte, nella selezione dei fornitori, nella gestione dei contratti e nella loro chiusura. 253 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Tabella tratta dal testo: “A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee. Knowledge Based Decision Analysis L’obiettivo dell’illustrazione approfondita di quali siano tutti gli aspetti da considerare all’interno di un’attività progettuale, era quello di mostrare la complessità di universo progettuale e delle possibili interrelazioni tra i suoi diversi elementi costitutivi. Si comprende quindi come sia fondamentale effettuare le scelte giuste, considerando tutte le variabili in gioco, al fine della massimizzazione del rendimento finale. La razionalizzazione e l’ottimizzazione del momento decisionale, è oramai anch’essa diventata una disciplina comunemente riconosciuta: è la cosiddetta Decision Analysis. 254 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Decision Analysis è definibile come l’arte e la pratica della Decision Theory, una teoria assiomatica che prescrive in che modo le decisioni progettuali debbano essere prese. La premessa fondamentale che sta alla base della Decision Analysis è che, il progettista è ragionevolmente capace di strutturare un problema decisionale, di elencare le possibili opzioni decisionali, di determinare i principali variabili indipendenti e dipendenti, di quantificare le incertezze e le preferenze, ma ha delle difficoltà a combinare queste informazioni sintetizzandole in una decisione razionale. La Decision Analysis si presenta come una insieme di strumenti empiricamente testati per strutturare un problema decisionale, quantificare incertezze e preferenze, individuare i quei fattori critici nel modello decisionale, e computare quel valore di informazioni che riduce le incertezze. La Teoria della Probabilità e la Teoria Decisionale forniscono invece quegli strumenti per combinare le osservazioni e quindi ottimizzare le decisioni. Mentre la Decision Analysis è basata su due teorie quantitative – la Teoria della Probabilità e la Teoria Decisionale – i suoi fondamenti sono qualitativi e sono basati su assiomi di scelte razionali. Lo scopo della Decision Analysis è di ottenere una comprensione profonda di una decisione, e non una semplice raccomandazione operativa. Durante tutta la trattazione fatta nei tre capitoli precedenti, si è più spesso sottolineato come la componente del rischio abbia influenzato le scelte progettuali (vedi III capitolo - casi studio)), pure sia fortemente vincolante nella scelta di una tecnologia rispetto ad un’altra (vedi II capitolo – tecnologie di demolizione); in effetti, a oltre al fattore di convenienza economica , la variabile del rischio è comunemente considerato come un fattore fondamentale nel momento della Decision Taking. Questo è il motivo per cui si è scelto di approfondire il campo del Risk Management, all’interno del quadro più generale del Project Management. Si passerà quindi a descrivere quali siano i processi della gestione del rischio, a spiegare il funzionamento della principali tecniche di Reliability Engeneering (controllo e gestione del rischio); infine si chiarificheranno i discorsi fatti con un’applicazione pratica di controllo del rischio, su di un’ ipotesi progettuale di demolizione, attraverso lo strumento delle già citate Reti Bayesiane. Il Risk Management Un progetto può sempre essere considerata come un’attività stocastica, per cui vi sono correlati dei rischi diretti od indiretti che è necessario gestire: più in generale si dirà l’obiettivo di tale gestione è la massimizzazione le conseguenze 255 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione positive di eventi positivi, ed conseguenze di un evento avverso. la All’interno del Risk Management, sottoinsiemi, ossia processi minori: contemporanea possono essere minimizzazione individuate - Risk Identification – (identificazione del rischio); - Risk Quantification – (quantificazione del rischio); - Risk Response Development – (pianificazione gestione rischi); - Risk Response Control – (controllo delle contromisure ai rischi). delle quattro L’elencazione fatta segue il percorso logico più intuitivo, ma non è escluso che le singole fasi possano interagire tra di loro anche secondo ordini diversi, dando luogo a diversi iter di progetto all’interno dell’insieme del Risk Management. Risk Identification Come suggerisce il nome stesso, questo processo consiste nella determinazione di quali siano i possibili rischi che possano interessare un progetto, e nella documentazione le caratteristiche di ognuno di essi. L’identificazione dei rischi è un processo che può presentarsi più volte durante lo sviluppo temporale di un progetto. È possibile fornire una vasta scelta di classificazioni di rischi: una delle categorie più generali, è quella che suddivide i rischi in interni ed esterni. Per rischi interni si intendo, quelle incognite dannose che lo staff progettuale è in grado di controllare o di influenzare, come ad esempio la stima dei costi, la gestione del personale, etc. Per rischi esterni invece si intendono quelle incertezze pericolose incontrollabili, totalmente al di fuori del controllo dello staff, come tendenze del mercato, etc. Naturalmente l’identificazione dei rischi deve necessariamente prendere in conto entrambe le classi. Il succitato P.M.I., analizza nel suo testo guida ognuno dei sub-processi (Risk Identification, Risk Quantification, Risk Response Development, Risk Response Control) attraverso dei criteri prefissati: viene cioè proposto un iter mentale ed operativo da seguire, in base al quale ogni singolo processo necessita per funzionare di alcuni precisi input, utilizza degli strumenti determinati, e fornisce quindi certi risultati (output). 256 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Tabella tratta dal testo: “A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee. Risk Quantification Questo processo ha l’obiettivo di attribuire ad ogni componente di rischio individuata nella fase precedente, il suo relativo peso, ed individuare le possibili correlazioni con le altre variabili di rischio. È altresì importante considerare anche quei rischi che possono interagire in modo inaspettato, e che talvolta possono innescare cosiddetti effetti “domino”, scatenati da una solo possibilità di rischio trascurata. In questa fase conviene anche distinguere i cosiddetti rischi “positivi”, ossia opportunità, da quelli “negativi”, ossia minacce vere e proprie. Come per il processo di Risk Identification, si riporta l’iter di svolgimento del processo di quantificazione del rischio: Tabella tratta dal testo: “A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee. Risk Response Development Una volta individuati e quantificati i possibili rischi, ci si trova davanti ad una rete di fattori di danno correlati tra loro in vario modo: si è quindi conclusa quella che potremmo definire, la fase della domanda. 257 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Da ora inizia il momento della risposta alle problematiche; si può quindi reagire ai rischi riscontrati secondo vari approcci: - evitare il rischio: questo si può ottenere operando direttamente sui rischi, e tentando la loro completa eliminazione; resta comunque un approccio definibile ideale, in quanto è difficile da pensare di eliminare totalmente i rischi; - mitigare i danni: questo è l’approccio concettualmente più conveniente, in quanto prelude ad una progettazione del tipo Fault Tolerant, ossia una concezione del progetto che prenda in conto, in maniera integrata, anche i possibili rischi. - accettazione del rischio: quest’approccio rappresenta semplicemente una estremizzazione di quello precedente. Per tutti gli approcci sinora illustrati è valida la supposizione che il rischio è visto come una variabile, funzione di due grandezze, la probabilità e la magnitudo: R = funz(M,P) R = magnitudo del rischio; M = magnitudo delle conseguenze P = probabilità o frequenza del verificarsi delle conseguenze La probabilità P è espressa ad esempio in numero di volte in cui il danno può verificarsi in un dato intervallo di tempo; mentre la magnitudo delle conseguenze M può essere espressa ad esempio come una funzione del numero di soggetti coinvolti in quel tipo di rischio e del livello di danno ad essi provocato (valutato ad esempio in giornate di assenza lavorativa). Continuando a trattare l’esempio di applicazione del rischio sulle persone, la determinazione della funzione di rischio f presuppone di definire un modello dell'esposizione dei lavoratori a quel dato pericolo, che consenta di porre in relazione l'entità del danno atteso con la probabilità del suo verificarsi, e questo per ogni condizione operativa all'interno di certe ipotesi al contorno. La decisione sull'intervento, che sia dell'uno o dell'altro tipo, necessita di stabilire prima quale sia il livello di rischio accettabile Radm , in base al quale verranno giudicate bisognose di intervento in via prioritaria tutte quelle situazioni che presentano un livello di rischio R tale che: R > Radm . L’iter di svolgimento del processo di risposta al rischio è il seguente: 258 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Tabella tratta dal testo: “A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee. Risk Response Control Il processo di controllo del rischio consiste nell’esecuzione del piano di gestione del rischio, precedentemente redatto, in modo tale da poter rispondere adeguatamente a eventi rischiosi che si dovessero presentare durante lo svolgimento del progetto. Nel caso si presentassero eventi pericolosi, che non siano stati previsti nel precedente processo di identificazione, è necessario eseguire una nuova iterazione di tutti i processi, individuando, quantificando e rispondendo nuovamente. È importante acquisire la mentalità che è impossibile prevedere a monte tutti i possibili rischi: è quindi necessario aver previsto la possibilità di accadimento di eventi accidentali, controllare continuamente il procedere del progetto, ed essere pronti (in caso di rischio imprevisto) a re-iterare e fornire nuove risposte. Proprio questo vuol dire progettazione fault tolerant. L’iter di svolgimento del processo di risposta al rischio è il seguente: Tabella tratta dal testo: “A guide to the Project Management Body of Knowledge” – PMI Standard Committee. 259 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Progettazione Fault Tolerant Progettare in maniera fault tolerant comporta lo sviluppo parallelo di “corsie alternative” di sviluppo del progetto, in caso che questo incontri durante il suo percorso principale i rischi accertati, o, più in generale mantenere invariato il livello qualitativo delle prestazioni fornite dal sistema nel caso che avvenga un fault imprevisto. Quest’approccio alla progettazione è applicabile a qualsiasi scala: basti pensare alla progettazione antincendio delle vie di fuga, che nella loro stessa esistenza, sottendono l’accadimento dell’incendio col tentativo di mitigarne le conseguenze; lo stesso discorso vale a proposito di alcune regole pratiche di progettazione esecutiva di strutture continue in c.a., che, in previsione del fenomeno di ritiro ad esempio, che consigliano il posizionamento di adeguati giunti: è inevitabile che il calcestruzzo si rituri, quindi tanto vale “aiutarlo” a creare le fessure che creerebbe comunque. Mentre la riduzione del rischio può avvenire mediante misure atte a ridurre la probabilità del verificarsi Il fallimentare episodio della demolizione di uan di un determinato danno delle Vele di Scampìa: esempio di grave danno atteso (adozione di misure di economico generato da una faiure di un prevenzione), la mitigazione processo di demolizione. delle eventuali conseguenze può essere ottenuta tramite l’adozione di misure di protezione, atte a diminuire l'entità del danno. Questi due procedimenti rappresentano relativamente le due tipologie di approccio del Risk Management: un’attitudine preventiva finalizzata all’individuazione ed all’eliminazione delle fonti di rischio ed un’attitudine di tipo compensativo, finalizzata a ridurre e mitigare le conseguenze di eventi dannosi che dovessero irrimediabilmente presentarsi nel corso dell’avanzamento del progetto. L’attitudine di tipo compensativo può utilizzare le seguenti strategie: 260 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione - ridondanza: prevedendo un sistema alternativo a quello principale, che lavori in parallelo ad esso, ci si assicura la continuazione della fornitura della prestazioni iniziali, nel caso di accadimento di un evento dannoso (i gruppi di continuità elettrica rappresentano l’esempio più immediato); - mascheramento: applicazione di misure compensative per limitare gli effetti del danno una volta accaduto (basti pensare ad una rete idrica antincendio); - localizzazione: isolamento del settore infettato dal problema (oramai accaduto) per evitarne la propagazione nell’aree adiacenti (basti pensare ad una parete taglia-fuoco); 261 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Reliability Engeneering - Metodi di gestione del rischio È stato illustrato come il Risk Management si ponga come obbiettivi principali, di anticipare il più possibile l’accadimento di eventi dannosi ai fini dell’avanzamento del progetto stesso, ed inoltre di mettere in pratica le misure necessarie per limitare il più possibile l’impatto e le conseguenze di eventi imprevisti che si siano già verificati. La nascita di sistemi di analisi di affidabilità di situazioni a rischio, nasce durante la seconda guerra mondiale, con gli studi condotti per la valutazione dell’affidabilità dei sistemi di guida missilistici. Negli anni questa disciplina, si è man mano affermata in tutti quei campi in cui sia presente un’elevata probabilità di rischio, che possa mettere in dubbio ottenimento dei target programmatici: vi sono state (e tuttora ci sono), applicazioni nell’industria aeronautica ed aerospaziale, come anche nella progettazione di impianti nucleari e raffinerie. Esistono svariati metodi per la valutazione e la gestione del rischio; vengono elencati e descritti i più conosciuti: - Failure Mode and Effect Analysis (FMEA); - Failure Mode, Effect and Criticality Analysis (FMECA); - Fault Tree Analysis (l’albero dei guasti); - Metodo Monte Carlo; - Reti Bayesiane. La tecnica FMEA, si basa su di una logica che, partendo dall’analisi di tutte le possibili avarie a livello del singolo componente, ne studia gli effetti sulla componente di ordine superiore, fino a ottenere le conseguenze finali sul sistema nella sua globalità; questa tecnica è quindi definibile come un processori tipo forward, poiché, partendo da tutte le possibili cause, arriva a studiare gli effetti e l’eventuale intaccamento delle prestazioni sul sistema. L'esecuzione della FMEA prevede che ogni parte del prodotto venga accuratamente analizzata considerando i suoi modi di guasto più probabili, la frequenza con cui si verificheranno ed i relativi effetti funzionali e sull'ambiente circostante. Essendo una tecnica fortemente analitica, questa sua caratteristica non le permette di adattarsi bene a situazioni empiriche che non presentano parametri numericamente quantificabili. Ciononostante resta una delle tecniche più conosciute ed usate per i suddetti scopi, poiché permette di: - osservare le conseguenze di qualsiasi tipo di fault del singolo componente sulla performance del sistema a qualsiasi scala di definizione, e non solo sui quella globale; - valutare il peso e la criticità del singolo fault relativamente alla failure generale del sistema; 262 Capitolo 4 - Il Controllo del Rischio nella Demolizione ottenere una classificazione di tutti i possibile modi di guasto (a partire dai singoli faults). La FMECA è una tecnica affidabilistica di tipo induttivo; essa inizia a livello di componente per determinare cosa potrebbe non seguire il percorso di progetto corretto, analizza le cause e valuta quali siano gli effetti sul sistema. L'Analisi di Criticità permette di quantificare la gravità degli effetti di ciascun modo di guasto (e quindi di classificare tutti i modo di guasto previsti in base all’indice di criticità). Per poterla impiegare occorre un’ampia conoscenza del sistema e delle sue funzioni. Il metodo può essere suddiviso in più fasi: - si inizia con l'analisi degli effetti di guasto (FEA); - si passa alle considerazioni dei modo di guasto (FMEA); - svolgere infine l’analisi di criticità. Una modalità di esecuzione della tecnica FMECA può essere: • analisi del sistema ed identificazione di tutti i suoi componenti; • elencazione dei possibili guasti per ogni componente, i modi con cui avvengono, gli effetti che essi producono sul sistema e le cause che li hanno prodotti; • per ogni causa si forniscono i seguenti indici: o gravità S: ordine di grandezza dell’impatto tra il danno e la prestazione del sistema; o frequenza F: probabilità di accadimento dell’evento dannoso; o rilevabilità R: indice della possibilità di rilevamento del difetto all’interno del processo; Si ottiene così un “coefficiente di criticità C” dal prodotto dei tre indici suddetti. In genere quando si utilizza la tecnica FMECA è possibile riempire una tabella del tipo riportato di seguito, seguendo nell’ordine indicato i vari passi. L'aggiunta di una Analisi di Criticità permette di quantificare la gravità degli effetti di ciascun modo di guasto e quindi di classificare tutti i modo di guasto previsti in base ad un Indice di criticità. Per questo motivo l’analisi viene denominata FMECA (Failure Mode, Effects and Criticality Analysis). 263 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione È chiaro che la possibilità di elencare i modi di guasto per classi di criticità ed ordinati per indice di criticità fornisce al progettista un utile strumento per identificare i provvedimenti da prendere per migliorare, quando necessario, la qualità e le prestazioni degli apparati (modifica al progetto, introduzione di particolari controlli nel piano di collaudo e/o nel piano di manutenzione, istruzioni particolari al personale operativo e di manutenzione, ecc.). La Fault Tree Analysis (detto anche Albero dei Guasti) è, al contrario della tecnica FMEA un metodi di tipo backward, poiché partendo dall’osservazione degli effetti, arriva all’individuazione delle possibili cause: esso permette di conoscere la probabilità di occorrenza di una indesiderata failure generale, a partire dalle faults dei singoli elementi costitutivi del sistema; quindi operativamente, si parte dall’osservazione della failure generale del sistema, e si ricostruiscono a ritroso le possibili cause di fault nei singoli componenti; si traccia in questo modo uno schema a forma di albero, in cui ad ogni fattore di rischio del singolo elemento, viene attribuito un valore probabilistico di occorrenza dello stesso, in base a delle banche dati statistiche. Il Fault Tree Analysis method, alla stregua degli altri metodi di gestione del rischio, permette di creare ciò che in gergo viene detta “Rete di Influenze ”, cioè una rappresentazione grafica dei legami e delle correlazioni tra i fattori costituivi di un iter progettuale di un determinato oggetto. Il metodo Monte Carlo, pur non essendo effettivamente una vera e propria tecnica appartenente alla reliability engeneering, ha comunque la capacità di simulare il comportamento di un qualsiasi sistema soggetto a diverse variabili aleatorie; una delle difficoltà nell’applicazione di questo metodo, sta nella necessità di alimentarlo accuratamente con una serie di campioni raccolti: maggiore sarà il numero dei campioni su cui si baserà l’analisi, e più accurati saranno gli output generati. Proprio per questa necessaria accuratezza nell’introduzione degli input, il metodo Monte Carlo viene solitamente usato ad un basso livello di definizione della progettazione, cioè in fase di pianificazione, quando sia necessario quantificare l’incidenza di parametri esterni sulla durata o sui costi complessivi del progetto. Poiché si è scelto di portare avanti un esempio pratico di controllo del rischio su di un intervento di demolizione, attraverso il metodo delle Reti Bayesiane, alla spiegazione del loro funzionamento, verrà dedicato un paragrafo a parte, nel seguito della trattazione. 264 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Le Reti di Influenze In questa sezione verrà illustrato un esempio di analisi delle interrelazioni tra le diverse variabili in gioco, nel caso dell’ipotesi di demolizione controllata, che verrà descritta in seguito; l’obiettivo di questo caso applicativo è di mostrare come, anche in uno scenario operativo non particolarmente complicato, lo scarso controllo di elementi costruttivi basilari o di fasi operative relativamente comuni, possano influenzare dannosamente tutto il processo, comportando una failure generale del sistema. Il primo passo operativo sarà la costruzione di una rappresentazione dei legami tra i vari elementi costitutivi del processo; costruendo quindi per il malfunzionamento generale del sistema da scongiurare, un albero causa-effetto probabilistico, saremo in grado di stabilire la probabilità con cui possa avvenire un failure generale, a partire dal probabilità di occorrenza del malfunzionamento dei singoli componenti elementari, costituenti il sistema (od il processo) in questione. Nel caso specifico del controllo del rischio in un intervento di abbattimento, si è creata, sulla base del background culturale acquisito nel corso della ricerca, una rete di influenze tra i vari fattori di rischio che possono presentarsi in una simile operazione. Una Rete di Influenze non è altro che un modello interpretativo di un rischio globale gravante su di una struttura da demolire: basandosi su di un processo di scomposizione del rischio stesso, attraverso un’analisi delle influenze, questa evidenzia la struttura causale dei processi. Graficamente un Diagramma (o rete) di Influenza si rappresenta come un insieme di nodi (solitamente ovali) collegati tra loro con delle frecce: gli ovali rappresentano gli elementi nei quali si scompone il sistema (o comunque il suo modello interpretativo), mentre le frecce indicano i legami di influenze tra i suddetti nodi. Poiché l’utilità della rete stessa è la rappresentazione schematica dei legami di causalità tra gli elementi del sistema, si potranno sempre distinguere ai vari livelli del diagramma, dei nodi “genitori” e dei nodi “figli”. Il rapporto di causalità tra un nodo “genitore” ed uno “figlio”, è indicato dalla direzione della freccia che li collega. Il passo successivo alla creazione del fault tree, sarà la trasformazione di questa rete di influenze in una vera e propria Rete Bayesiana, struttura formale che permetterà di individuare la probabilità del verificarsi di un possibile rischio. Essendo la creazione di una Rete Bayesiana, l’ultima fase del nostro caso applicativo, il significato del concetto che sta alla base di essa e tutte le sue caratteristiche verranno illuminate in seguito, appena prima della sua applicazione all’esempio in questione. Per la redazione dell’intero processo in questione si è seguito un iter progettuale ben preciso, che corrisponde essenzialmente al percorso descritto nel succitato testo “Project Management Body of Knowledge” (scritto dal Project Management Institute), nel capitolo relativo al Risk Management. Il percorso progettuale a cui si è fatto riferimento è in sintesi il seguente: 265 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione - Acquisizione del caso studio da analizzare: eliminazione di un telaio spaziale mono-piano, pluri-campate, in calcestruzzo armato, con solaio laterocementizio (dati geometrici reperibili in figura). - Decisione della metodologia di abbattimento da utilizzare: demolizione di tipo controllato, motivata dalla presenza di altri organismi edilizi da lasciare assolutamente intatti ed imperturbati durante la demolizione. - Decisione della tecnica di demolizione da utilizzare: taglio degli elementi in calcestruzzo con utensili diamantati, e frantumazione al suolo degli stessi con spacca-roccia. - Valutazione delle fasi esecutive: elencazione di tutte le fasi esecutive richieste dal procedimento scelto, al fine di poter successivamente dedurre i possibili rischi comportati da essi. - Risk Identification: deduzione ed elencazione dei possibili rischi derivanti da ogni fase del processo esecutivo, nei confronti di tutti i possibili soggetti a rischio (umani od enti fisici). - Risk Quantification: valutazione dell’entità e della pericolosità del singolo rischio in relazione alla riuscita globale del progetto (ottenimento dei target proposti); valutazione delle conseguenze di un possibile rischio e della deviazione dal programma iniziale. Ciò corrisponde alla creazione di una Rete di Influenze, che descriva le possibili interrelazioni tra i vari fattori che costituiscono il processo demolitivo. - Simulazione: creazione di un modello che simuli il comportamento della rete di influenze individuata, permettendo di conoscere la probabilità di occorrenza di un malfunzionamento generale in funzione della conoscenza delle probabilità di rischio dei singoli componenti. Ciò verrà ottenuto con l’utilizzazione uno strumento di simulazione detto Rete Bayesiana. - Risk Response Development: progettazione delle metodologie di contrattacco ai rischi rilevati nei passo precedente. I possibili metodi utilizzabili sono (ordinate in funzione della qualità del risultato ottenibile): elusione del rischio, prevenzione, protezione, attenuazione delle conseguenze, accettazione delle stesse. - Risk Response Control: proposta delle operazioni di controllo da mettere in atto durante la fase esecutiva, al fine di assicurare il funzionamento delle misure prese durante la fase del Risk Response Development. - Deduzioni: confronto tra i risultati ottenibili utilizzando diverse tipologie di misure di risposta ad un rischio di progetto ipotizzato. Applicazione su caso pratico Per poter giungere a studiare un applicazione di Rete Bayesiana, si è ipotizzato lo studio della demolizione di un semplice telaio in calcestruzzo armato. 266 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Il percorso di studio che verrà seguito viene qui di seguito sintetizzato; dopo aver deciso la tecnica operativa da utilizzare, verranno studiate nel dettaglio le fasi operative dell’intero processo di smantellamento. Questa analisi sarà finalizzata in particolare, per poter comprendere quali rischi si nascondono all’interno di ogni fase esecutiva: ci troviamo all’interno del cosiddetto Risk Identification. Una volta elencati tutti i possibili rischi, il passo successivo sarà valutare la magnitudo di ciascuno, ed in particolare le relazioni che legano il manifestarsi di un rischio nei confronti degli altri: la comprensione delle relazione di causalità e consequenzialità tra i fattori di rischio rappresenta effettivamente il processo di Risk Quantification. Tutte le interrelazioni trovate verranno rappresentate con una Rete di Influenze, cioè con un grafo costituito da nodi e aste, che permetterà una immediata visione di insieme. Quindi ogni componente di rischio sarà indagata ed approfondita per capire tutte le sue possibili cause genitrici. Una volta ottenuto questo quadro generale, subentrerà la vera e propria applicazione di Rete Bayesiana, particolare formalismo matematico di “estrazione probabilistica” che permetterà di “risolvere” la rete di influenze precedentemente tracciata. Come verrà approfonditamente spiegato in seguito, il sistema Bayesiano permette, una volta fissate delle probabilità di accadimento di ogni fattore di rischio, di valutare quale probabilità ci sia che un singolo fattore porti ad una failure generalizzata del sistema, o viceversa capire a ritroso, una volta avvenuta una failure, quale sia stato il fattore predominante che l’abbia causata. Quindi risolvere la rete di influenze vuol dire potere viaggiare al suo interno in avanti ed a ritroso, fissando a seconda dei casi, l’incognita da cercare: - nel caso in cui ci si imbatta in una componente di rischio specifica di un componente dell’organismo, procedendo in avanti sulle rete bayesiana, si comprende quale probabilità abbia questo specifico componente di comportare una danno generalizzato all’intero sistema; - nel caso in cui il fenomeno pericoloso generale sia già avvenuto (crollo inaspettato dell’organismo), andando a ritroso nella rete, si comprende quale fattore specifico abbia la maggior probabilità di aver causato il danno. Essendo appunto i singoli fattori collegati tra loro, la comprensione di quale sia la componente più “fastidiosa” non è immediata, ma comporta la risoluzione della rete attraverso i principi del metodo Bayesiano. Tornando al caso studio in questione, si ipotizza che il telaio si ad un solo piano, costituito da due campate, ed il solaio sia di tipo latero-cementizio. 267 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Carpenteria quotata del telaio. Sezione longitudinale quotata del telaio Le travi hanno direzione parallela all’asse principale dell’organismo, coprono una luce di circa 7,00 m., ed hanno una sezione di 30 x 60 cm. La luce media coperta dal solaio è di 4,50 m., e presenta una sezione resistente di 22 cm. (pignatta = 16 cm., soletta = 6 cm). Come è stato descritto in precedenza, in particolare nel caso di demolizioni complesse, è sempre consigliato, quando non interagisce con questioni di sicurezza personale, effettuare alcune operazione diagnostiche, studiando in primo luogo, lo stato di conservazione dell’organismo che si va ad intaccare: lo stato di degrado è sostanzialmente analizzabile visivamente, mentre per conoscere la qualità dei materiali utilizzati, bisognerebbe effettuare delle prove meccaniche su carotaggi estratti dallo scheletro stesso. Per sottolineare l’aleatorietà del nostro caso studio, si ipotizza che lo scheletro in c.a. in questione sia fortemente deteriorato, e presenti dunque i relativi tipici fenomeni: - frecce verticali accentuate; - profondi quadri fessurativi; 268 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione - espulsione del copriferro; - corrosione delle barre in vista; - manifestazioni di attacco cloridrico-fosfatico sul calcestruzzo. La maggior parte delle sopraindicate fenomenologie patologiche del calcestruzzo, potrebbero presentarsi a seguito di un incendio, avvenuto quando la struttura era ancora in esercizio: si immagina quindi che il motivo che ha portato alla demolizione della struttura descritta, sia proprio un incendio che abbia reso inagibile ed irrecuperabile il fabbricato. Questa condizione di partenza influenzerà molto la scelta della tecnica da utilizzare per l’abbattimento, la quale dovrà essere caratterizzata in particolare, da un esecuzione che coinvolga il meno possibile gli operai, e comunque da una adeguata distanza di sicurezza, proprio a causa della stabilità perturbata dello scheletro portante. Per coerenza con la maggior parte delle situazioni reali, si pone inoltre che non sia possibile reperire il progetto originale, ne tanto meno eseguire delle prove su carotaggi estratti dallo scheletro. Per ciò che concerne il contesto circostante l’organismo, lo si immagina di tipo urbano, quindi che comporti delle forti adiacenze tra gli edifici. Questa condizione risulterà particolarmente vincolante per la scelta della tecnica di demolizione da utilizzare: ovviamente saranno bandite quelle tecniche distruttive che comportino vibrazioni di vario genere (di lunga durata come quelle del martello demolitore, o con forti ma brevi picchi come quelle relative all’esplosivo, od alla conseguente caduta dall’alto di macerie) trasmissibili agli edifici adiacenti. Un’altra difficoltà che l’utilizzo di queste tecniche comporterebbe, sarebbe lo scarso controllo delle polveri prodotte da una demolizione di tipo invasivo. In base a queste condizioni di partenza, si è deciso di attuare una demolizione di tipo controllata utilizzando strumenti diamantati. Descrizione Generale Tecniche Il processo di smantellamento si dividerà essenzialmente in due fasi: smontaggio in quota e frantumazione a terra: il telaio in questione verrà smontato elemento per elemento, con delle seghe diamantate dal grosso diametro; in seguito si provvederà all’ulteriore frantumazione degli elementi costruttivi, direttamente a terra con dei dispositivi spacca-roccia meccanici. L’utilizzo di strumenti diamantati permette un’esecuzione veloce, totalmente assente da vibrazioni, anche se mediamente rumorosa, garantendo infine una totale incolumità del tratto resto della struttura rispetto alla parte tagliata. L’esigenza di limitare qualsiasi tipo di vibrazione indotta, comporta ovviamente la necessità di “accompagnare” a terra i pezzi di travi o solai tagliati, evitando di farli cadere rovinosamente dall’altezza della loro giacitura. Quindi prima di 269 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione effettuare il taglio di qualsiasi elemento, si prevede il montaggio di robusti ponteggi sottostanti, che dovranno sostenerne il peso, finche l’elemento non verrà trasportato via con l’aiuto di una gru. Il sollevamento dell’elemento costruttivo, dopo il suo distaccamento dall’organismo, avverrà grazie ad una sua preventiva imbracatura con dei solidi cavi azionati da una gru. Poiché il trasporto di elementi lunghi mediamente 5 m. risulterebbe scomodo ed oneroso, si prevede un loro spezzettamento in monconi più piccoli. Anche questa fase esecutiva, dovrà avvenire limitando al massimo “l’impatto ambientale” (propagazione di polveri, rumore, vibrazioni): quindi se solitamente questa operazione verrebbe effettuata con classici mezzi meccanici in dotazione a qualsiasi media impresa, quali pinze, ganasce o martello demolitore, nel nostro caso si ipotizza di utilizzare, come premesso, degli spacca-roccia, di tipo meccanico. La scelta degli spacca-roccia meccanici, rispetto a quelli chimici, è dovuta dalla maggior rapidità di esecuzione, che con quelli chimici sarebbe vincolata dalle 4-5 ore di attesa per la maturazione della miscela ed il successivo sviluppo delle pressioni interne. Invece di adoperare gli spacca-roccia, si sarebbe potuto frazionare gli elementi a terra con le stesse seghe diamantate utilizzate per il loro distacco dal telaio, ma questo avrebbe comportato un allungamento dei tempi, rispetto ad al caso delle due tecnologie operanti in parallelo: cioè appena viene tagliata via una trave o trancia di solaio, la si frantuma a terra, mentre le seghe continuano a tagliare i restanti elementi. Dal punto di vista economico, bisogna sottolineare che i procedimenti ipotizzati potrebbero risultare meno conveniente rispetto, ad esempio, ad una più tradizionale demolizione con macchinari meccanici (martello demolitore, pinze o cesoie montate sul braccio di una pala meccanica), anche se non si può negare che si ottiene un contemporaneo guadagno in tempo. Nonostante tutto l’utilizzo degli utensili diamantati diventa necessario quando si debba, come nel nostro caso, rispettare delle adiacenze molto strette. Descrizione Delle Fasi Esecutive La demolizione del telaio illustrato è costituita da tre fasi, ognuna relativa ad un diverso elemento costruttivo. Smontaggio dell’impalcato: 1. montaggio dei ponteggi circostanti il telaio, per l’accesso degli operai sull’estradosso del solaio da tagliare. 2. montaggio dei puntelli all’intradosso del solaio; i puntelli dovranno essere calcolati e dimensionati per sostenere il peso del solaio, che, dopo il taglio dovrebbe appoggiarsi totalmente ad essi; è inoltre necessario controventarli 270 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione adeguatamente per evitare svincolamento dell’impalcato. il loro ribaltamento al momento dello 3. messa in carico dei suddetti puntelli, per evitare sobbalzi dell’impalcato, una volta eseguito il taglio; 4. fissaggio di parapetti metallici al piano dell’impalcato per evitare rischi di caduta degli operai; 5. definizione dell’estensione del campo di solaio su cui operare, attraverso tracciamento dei confini di taglio, sull’estradosso del solaio; 6. montaggio dei ponteggi circostanti il telaio, per l’accesso degli operai sull’estradosso del solaio da tagliare. 7. montaggio dei puntelli all’intradosso del solaio; i puntelli dovranno essere calcolati e dimensionati per sostenere il peso del solaio, che, dopo il taglio dovrebbe appoggiarsi totalmente ad essi; è inoltre necessario controventarli adeguatamente per evitare il loro ribaltamento al momento dello svincolamento dell’impalcato. 8. messa in carico dei suddetti puntelli, per evitare sobbalzi dell’impalcato, una volta eseguito il taglio; 9. fissaggio di parapetti metallici al piano dell’impalcato per evitare rischi di caduta degli operai; 10. definizione dell’estensione del campo di solaio su cui operare, attraverso tracciamento dei confini di taglio, sull’estradosso del solaio; 11. perforazione del solaio, attraverso micro-carotaggi (almeno quattro, uno per ogni angolo di ogni trancia), per consentire il passaggio dei cavi che solleveranno e porteranno via l’impalcato, una volta separato dal resto dello scheletro; in generale è consigliato forare le parti in soletta piena dell’impalcato, poiché il passaggio del cavo attraverso una pignatta potrebbe inavvertitamente allargarsi a causa della frantumazione del laterizio stesso; 12. avvicinamento dell’autogrù con braccio telescopico e suo fissaggio al suolo per evitare ribaltamenti; 13. sollevamento in quota (estradosso solaio) del telaio/carrello della sega diamantata, tramite l’autogrù già posizionata; 14. passaggio dei cavi di supporto, nei fori loro fissaggio all’intradosso solaio; contropiastra che aggancia il solaio appoggio sufficientemente ampia, per caso di ampliamento del foro. 15. preparazione delle guide per il passaggio del carrello della sega (fig. 1); 271 attraversanti lo spessore del solaio e è opportuno controllare che la dall’intradosso, abbia una base di evitare la perdita dell’appoggio in Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione 16. taglio del solaio, comprensivo dei cordoli di collegamento tra i telai portanti, utilizzando il minore numero di operai necessari ed avendo evacuato i restanti (vedi fig. 2); 17. riporto del carrello di taglio al piano di campagna attraverso sollevamento con autogrù; 18. discesa degli operai dal piano e loro evacuazione dalle vicinanze; 19. sollevamento dell’impalcato e posa al suolo (vedi fig. 3, notare i ponteggi di supporto sottostanti l’impalcato); 20. frazionamento del solaio al suolo con seghe diamantate, per facilitazione trasporto e smaltimento; In caso di eccessivo peso dell’impalcato (carico maggiore di quello sopportabile dall’autogrù) è possibile eseguire le stesse operazioni, non per tutto l’impalcato, ma progressivamente, per fasce di larghezza da fissare in funzione del carico di servizio della gru. Taglio delle travi: 1. montaggio dei puntelli all’intradosso della trave; come per il solaio, la struttura di sostegno temporanea della trave (puntelli o carrello sollevatore) dovrà essere dimensionata per sorreggere interamente il peso della trave. 2. fissaggio laterale della trave, per evitare eventuale ribaltamento dopo l’esecuzione del taglio; 3. imbracaggio della trave con i cavi appesi all’autogrù, tramite i quali avverrà in seguito sollevamento ed trasporto; 4. preparazione delle guide e del telaio nel quale scorrerà il filo diamantato; come si può notare il telaio del filo viene posizionato solo dopo aver assicurato la stabilità della trave, che risulta essere, come premesso, estremamente degradata; 272 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione 5. esecuzione del taglio in maniera telecomandata da un operatore a terra, adeguatamente distante dal telaio in demolizione; il comando a distanza assicura una maggiore sicurezza degli operatori; 6. sollevamento della trave e sua posa al suolo. 7. frazionamento al suolo con spacca-roccia meccanici come per il solaio, per facilitarne il successivo trasporto e smaltimento; Le suddette operazioni vanno eseguite iterativamente entrambe le travi del telaio, lasciando così isolati i quattro pilastri. Nelle immagini qui sopra viene illustrato un taglio di una trave in c.a. eseguito con un disco diamantato. Mentre nelle immagini seguenti viene illustrata la stessa operazione eseguita però con un filo diamantato, montato su un braccio mobile. Questo secondo procedimento garantisce una maggiore sicurezza agli operatori, visto che possono eseguire il taglio a distanza, comandando un braccio meccanico mobile. 273 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Taglio dei pilastri: 1. fissaggio di perni metallici all’interno del pilastro da tagliare, per il suo successivo sollevamento; i perni metallici dovranno essere posizionati esclusivamente nell’estremità superiore dello stesso, - sopra la quota del baricentro (vedi fig.11) - onde evitare ribaltamenti, ma ad adeguata distanza dal bordo, per evitare il distacco del calcestruzzo in fase di sollevamento e la disastrosa caduta dall’alto dell’elemento. 2. preparazione del suolo circostante il pilastro: lisciature ed eliminazione di qualsiasi protuberanza per evitare fatali deragliamenti della sega, la quale lavorerà orizzontalmente, a filo del piano di appoggio; 3. preparazione delle guide per il passaggio della sega diamantata; 4. taglio alla base del pilastro (vedi fig. 11); 5. sollevamento del pilastro tramite autogrù, suo trasporto e posa al suolo; 6. eventuale frazionamento al suolo con seghe diamantate o spacca-roccia meccanici, per facilitare successivo smaltimento finale. Le suddette operazioni devono essere eseguite iterativamente per tutti i restanti pilastri. Individuazione possibili rischi Nel paragrafo relativo alla classificazione dei possibili rischi che intervengono in un processo di demolizione, sono già state identificate tre grandi categorie, all’interno delle quali inserire tutti i possibili rischi: - I pericoli relativi alla statica; - II pericoli relativi all’impiantistica; - III pericoli intrinseci al procedimento stesso di abbattimento. 274 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Per poter esemplificare nella maniera più chiara il concetto ed il funzionamento di rete Bayesiana, nel caso studio che si sta portando avanti, verranno tralasciati i rischi relativi alla seconda e terza categoria, e verrà approfondita solamente la prima categoria. Si supporrà quindi che si sia già provveduto allo smontaggio ed allo smaltimento di tutte le reti impiantistiche e di tutte quelle componenti dell’organismo edilizio che possano comportare un qualche inquinamento all’ambiente circostante. Si ipotizzerà altresì che il personale adibito alla demolizione sia stato adeguatamente avvisato riguardo i rischi in gioco, ed istruito in particolare nell’uso gli strumenti diamantati. Nel paragrafo precedente sono stati indicati i possibili “soggetti del rischio”: naturalmente il soggetto più importante è l’essere umano, sia esso l’operatore impegnato nella demolizione, o l’abitante delle zone adiacenti. E’ stato inoltre illustrato come l’operatore umano possa essere soggetto a vari tipo di rischio, in particolare in maniera indiretta: il fenomeno pericoloso gli può essere trasmesso tramite l’ambiente naturale circostante (quand’esso sia stato ad esempio gravemente inquinato), o tramite alcuni danni apportati agli edifici non coinvolti nella demolizione. Quindi ad ora, tutte le possibili correlazioni tra fattori di rischio ed entità soggette, sono state indagate, illustrate tramite tabelle e matrici di interrelazioni, ed esemplificate tramite esempi pratici e casi studio. Nell’esempio che si porterà avanti si concentrerà l’attenzione solamente sulle maestranze in cantiere adibite alla demolizione, tralasciando i pericoli a cui sono soggetti l’ambiente (naturale o costruito), e gli abitanti circostanti il “suolo della demolizione”. Creazione Rete di Influenze Focalizzando l’attenzione, è sicuramente possibile dire che all’interno della categoria di rischi di tipo strutturale, quella di maggior magnitudo è sicuramente rappresentata da un improvviso ed inatteso crollo o rovinosa caduta, dell’organismo o di uno dei suoi componenti, durante il suo smantellamento. Il verificarsi di questo fenomeno, sicuramente non auspicabile, comporterebbe quasi certamente un ferimento delle maestranze : questo rappresenta la failure generale del sistema, ossia il fenomeno dalla magnitudine del danno maggiore, e quindi da evitare accuratamente; in uno schema di Rete di Influenze, il cui funzionamento è stato illustrato nelle pagine precedenti, questa eventualità rappresenta il gradino più basso del sistema (il level 0), dal quale risalire lungo vari possibili percorsi, per capire, attraverso il metodo Bayesiano, quale fattore abbia la maggior probabilità di causare il danno generale (backward inference – capacità dignostica). Come trasparirà dall’esempio, la comprensione di quale sia il causa scatenante della failure, pur potendo sembrare immediata ed intuitiva, in realtà non risulta tale; non è detto infatti che, pur conoscendo la distribuzione probabilistica di ogni singolo fattore di rischio, si possa individuare quale sia quello realmente scatenante: i fattori infatti non lavorano separatamente, ma sono correlati da relazioni più o meno complesse, che creano percorsi critici non intuitivi, e che possono, ad esempio, portare a compimento un fattore dalla 275 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione distribuzione probabilistica di accadimento minore, rispetto ad un altro, dalla distribuzione probabilistica maggiore, ma con alcuni fattori filtro lungo il proprio percorso. Infatti l’ipotesi di partenza principale della disciplina del Risk Management, è che, nonostante la capacità del progettista di creare, grazie al suo bagaglio culturale e di esperienze, una rete di influenze, questi riesce a difficoltà a risolvere la rete creata, individuare il percorso critico, ed effettuare una scelta ottimizzata (decisioni taking moment). La realizzazione pratica della Rete di Influenze, e la sua conseguente trasformazione in Rete Bayesiana vera e propria, sarà effettuata utilizzando un particolare programma di calcolo adibito alla risoluzione di reti decisionali, il cui titolo è “GeNIe” (Graphical Network Interface), sviluppato dal Decision System Laboratory dell’Università di Pittsburgh, e reperibile online in versione freeware. Tornando al nostro esempio, tra tutte le fasi operative elencate, si decide fissare l’attenzione sulla fase dello smontaggio degli elementi strutturali: ipotizza quindi che si stiano tagliando, uno per uno (prima l’impalcato, poi travi ed infine i pilastri), secondo una prefissata sequenza, e ci si prepari seguito ad “imbracare” ogni elemento ed allontanarli, dal resto della struttura. di si le in Quindi, una volta definito il ferimento delle maestranze come il fenomeno rischioso dalle conseguenze più gravi, è possibile suddividere quest’ultimo in tre sottogruppi a seconda dell’elemento strutturale in caduta considerato: si definiscono quindi la possibile rovinosa caduta della trancia di solaio tagliato, ovvero della trave, od infine del pilastro. Così facendo si è passati dal cosiddetto level 0, a quello superiore level 1, relativo ai singoli elementi costruttivi strutturali. Da questo punto in poi, si procederà approfondendo il sistema delle possibili cause che si trova dietro la caduta rovinosa di ogni elemento: partendo col solaio si arriveranno alle sue possibili cause genitrici; lo stesso procedimento si adotterà per gli altri elementi. Analisi Solaio Una volta analizzate le fasi esecutive che costituiscono l’iter di smontaggio del solaio, è possibile ipotizzare quali siano le cause principali che possono portare al crollo: - il cedimento dei puntelli sottostanti al solaio, - il cedimento del solaio sottostante, su cui poggiano i puntelli; - una errata tempistica di esecuzione. La funzione dei puntelli è quella di sostenere la soletta una volta “tagliata via” dal resto del telaio. Si ricorda infatti che prima di passare a tagliare le trance di solaio, è necessario puntellarlo adeguatamente, in modo tale che dopo il taglio, questo possa 276 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione adagiarsi sui puntelli, messi precedentemente sotto carico. In seguito la soletta verrà sollevata con dei ganci preventivamente fissati saldamente al suo interno. I puntelli a loro volta poggiano e scaricano il peso dell’impalcato sorretto, sul solaio sottostante: quindi per consentire tale situazione, è prima necessario verificarne la capacità portante. Il carico a cui sarà soggetto il solaio di base una volta tagliato il solaio superiore, sarà, oltre al peso proprio, quello del solaio superiore, inteso come peso proprio struttura (mediamente per civile abitazione si aggira intorno ai 3,50 kN/m2 ) e carico di sovrastruttura (massetto in cls, alleggerito, guaine di impermeabilizzazione non rimosse, pavimentazioni, per un totale di altri circa 2,00 kN/m2 ; è verosimile considerare nulli gli accidentali ed il carico medio dei tramezzi sul solaio, durante la sua rimozione. Infine, anche una errata tempistica di esecuzione delle fasi si taglio, può portare alla formazione precoce ed indesiderata di cinematismi: è sempre necessario infatti, studiare non solo lo schema statico di partenza, ma anche tutti quegli schemi statici modificati, che si formano man mano che si procede con la demolizione. È fondamentale quindi ricordarsi in primo luogo che, a meno che non si esegua una demolizione totale con esplosivo, l’eliminazione di qualsiasi elemento strutturale comporta necessariamente una modificazione dello schema statico, ed una sensibile ridistribuzione delle caratteristiche di sollecitazione. Questo discorso è già stato approfonditamente trattato nella sezione relativa alle “considerazioni strutturali in un processo di demolizione”, in particolare per ciò che riguarda il comportamento globale di un telaio. Il genere di rischi contemplato nel suddetto paragrafo, può interessare anche il nostro caso, in particolare la tempistica con la quale smantellare l’impalcato. Tornando alla rete di influenze illustrata nella schema che segue, i fattori ora descritti, ovvero il cedimento dei puntelli, il crollo del solaio sottostante, ed una errata tempistica, rientrano tutti in un livello di indagine relativo alle cosiddette cause di primo ordine (level 2), cioè la prima classe di fattori che possono aver causato il danneggiamento del singolo elemento costruttivo. Il cedimento dei puntelli, se adeguatamente calcolati, può accadere per una serie di errori operativi, fra cui, il più comune è sicuramente un insufficiente serraggio del nodo. Per evitare ciò, prima di mettere in carica i puntelli o di farvi appoggiare il solaio tagliato, è necessario eseguire un giro di controllo del serraggio. Per ciò che riguarda il solaio sottostante, su cui poggiano i puntelli, a meno che non poggi direttamente controterra, e quindi sia stata verificata la presenza di un vespaio, si corre il rischio di un suo collasso al momento del taglio dell’impalcato di quota superiore. Per evitare ciò, e qualora non sia possibile rinforzarlo da sotto (per semplice inacessibilità), la preoccupazione maggiore, sarà quella di caricarlo il meno possibile: si dovranno quindi eliminare tutte le stratificazioni ed i rivestimenti removibili, sia al piano primo che al piano terra, e limitare al massimo il numero di persone e mezzi. Per semplicità, questo discorso sarà sintetizzato nello schema dalla voce “rinforzo solaio sottostante”. 277 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione La causa genitrice di una “tempistica di esecuzione errata” è il mancato rispetto delle fasi operative programmate; si suppone che il progetto della sequenza delle fasi sia stato redatto correttamente, quindi ciò che può accadere è che questa tabella di marcia non sia stata rispettata in cantiere. Sono già stati presentati alcuni esempi di quali siano le conseguenze di cambiamenti dello schema strutturale; per strutture complesse un’errata valutazione dell’evoluzione dei modelli di calcolo nelle varie fasi della demolizione, può dar luogo ad effetti disastrosi. A titolo d’esempio basti riprendere la descrizione del progetto d’abbattimento del silos da grano a Genova: è evidente il forte aumento probabilità di collasso per instabilità, della fetta di edificio, una volta tagliata via dal resto della struttura. Infatti i progettisti dell’intervento avevano previsto, l’immediato ribaltamento a terra della trancia, una volta tagliata col filo diamantato, proprio a causa dell’impossibilità di mantenere stabile la suddetta struttura. Nel caso in cui un operazione di questo genere venga fatta senza prendere adeguatamente in conto tutte le fasi della demolizione, ed i relativi componenti probabilistici di rischio di ogni singola fase, le probabilità di un collasso generale aumentano vertiginosamente. Come si può notare osservando queste prime tre cause genitrice individuate, esse rappresentano dei possibili fault che possono verificarsi operativamente, e non sono motivazioni intrinseche all’oggetto analizzato: lo scopo stesso della rete Bayesiana, qualora si decida di farla lavorare secondo una backword inference è quello di diagnosticare quale siano le possibili cause esecutive genitrici della failure, ossia quelle possibili dimenticante o disattenzioni operative che possano essere accadute; in questo modo, dopo aver “fatto girare” (intendasi, risolto) il modello simulato con la rete, ed aver trovato quale sia il fault che abbia la maggior probabilità di causare la failure generale, è possibile andare ad agire operativamente proprio su questa, abbattendo il rischio che ne deriva. Alla fine, l’ultimo level di cause dovrà costituire una check-list di controllo, in cui siano messi in luce solamente fenomeni fisici, che possano essere poi moderati nella realtà esecutiva. Si raccomanda dunque nuovamente che l’ultimo girone deve essere costituito solo da fenomeni visivamente osservabili, per poi poter essere tenuti sotto controllo una volta appurato il loro livello di dannosità. Nella figura di seguito, è rappresentata la parte di rete progettata finora. 278 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Analisi Trave Per ciò che riguarda la trave, la sua rovinosa caduta in fase di trasporto, può essere causata da tre categorie di motivi: - una rottura generale del sistema di sostegno temporaneo (cavi ed imbracatura); - il ribaltamento dell’intera autogrù, utilizzata per sollevare la trave; - nuovamente una errata tempistica di esecuzione dei tagli. Il sistema di sostegno della trave sollevata è costituito solitamente da due cavi: uno principale ed uno cosiddetto di sicurezza, che viene utilizzato in caso di rottura di quello principale; è infatti una buona norma di sicurezza, prevedere l’utilizzo di almeno un cavo di sicurezza per il sollevante di qualsiasi massa, come del resto è anche prescritto per l’utilizzo palla demolitrice. Sia il cavo principale, che quello secondario posso spezzarsi in fase di esercizio a causa di una lunga serie di motivi; di seguito si riportano le principali cause, tratte dalla Direttiva 98/37/CE (conosciuta meglio come Direttiva Macchine, testo legislativo basilare che definisce i possibili rischi in cantiere): - presenza ammaccature, strozzature, rigonfiamenti; - presenza di fenomeni di corrosione interna o esterna; - per degradazione, cattiva manutenzione e conservazione; - presenza di nodi di torsione o di asole nel cavo stesso; - presenza di piegature (plasticizzazioni locali) permanenti. La maggior parte delle cause elencate, sono dovute all’usura, e ciò deve essere periodicamente controllato secondo dei procedimenti normati e standardizzati: tutte le verifiche fatte devono essere registrate sul libretto ISPESL dell’apparecchio di sollevamento. Gli unici fattori di rischio che esulano da un discorso di usura sono la presenza di nodi di torsione o di asole nel cavo stesso: 279 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione queste possono verificarsi improvvisamente per un uso scorretto dell’apparecchio di sollevamento, e poi scomparire. La loro presenza, in particolare, quella dei nodi di torsione, (dovuti alla rotazione della massa sollevata intorno all’asse del cavo) è infatti estremamente pericolosa e facilmente si può evolvere in una rottura del cavo. Sono state quindi isolate dalle cause dovute all’usura, le quali, nello schema che segue sono indicate con la voce “Controllo Ispels effettuato”. Queste tre cause principali sono egualmente valide sia per il cavo principale che per quello secondario. Passando al ribaltamento dell’autogrù, è stato visto che, se sono rispettati i limiti di portanza dell’autogrù, il suo ribaltamento può essere essenzialmente causato da due fattori esterni: - l’improvviso cedimento del terreno sottostante; - il mancato posizionamento dei bracci stabilizzatori. Il cedimento improvviso del terreno sottostante, può essere facilmente evitato se si utilizzano idonei dispositivi di diffusione del carico trasmesso dalle gomme o dagli stessi bracci stabilizzatori: il metodo più semplice è di interporre della tavole di legno tra le gomme (o l’appoggio dei bracci) ed il terreno. I bracci stabilizzatori d’altra parte, aumentano il braccio (quindi il momento) resistente del autogrù, permettendo di aumentare il carico portato (ed il relativo momento sollecitante). A seguito dell’introduzione del concetto di momento ribaltante, sembrerebbe necessario prendere in conto nella rete anche tutti gli altri fattori di tipo strutturale che possono far variare il momento; ciò non è necessario per due motivi: - in primo luogo le motivazioni di tipo strutturali non sono fenomeni osservabili, ma causa interne al sistema: introducendole, verrebbe meno l’utilità della rete stessa, la quale aspirerebbe a modellare un comportamento strutturale, e non fornirebbe nessuna indicazione utile ai fini della prevenzione del rischio nel processo; - in secondo luogo, su molti apparecchi di sollevamento è ormai in dotazione un sistema computerizzato che tiene sotto controllo i seguenti parametri: la variazione dell’estensione del braccio, della sua inclinazione, il carico di servizio, il rapporto tra il relativo momento ribaltante e quello resistente, ed infine anche la compressione agente sul braccio stesso (comprensiva di fenomeni di instabilità connessi). Infine anche per la trave valgono gli stessi discorsi fatti per il solaio a proposito di una corretta tempistica di esecuzione dei tagli, coerente con la sequenza della fasi pianificate. Nella figura di seguito, si riporta nuovamente la parte di rete progettata finora. 280 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Analisi Pilastro Per ciò che riguarda il pilastro, la sua rovinosa caduta in fase di trasporto, può essere essenzialmente causata da tre categorie di motivi: - una imperfezione nella sezione d’appoggio del pilastro, scoperta in fase di taglio; - una rottura generale del sistema di sostegno temporaneo (cavi ed imbracatura); - il ribaltamento dell’intera autogrù, utilizzata per sollevare la trave. L’imperfezione nella sezione d’appoggio del pilastro, rientra in quella serie di errori esecutivi in fase di costruzione, che spesso restano latenti nella struttura, e nascosti finché non si verifica un fenomeno o azione di tipo eccezionale, che le metta in luce. Le sezioni d’estremità di un pilastro sono solitamente soggette ad una sollecitazione di taglio, generata da azioni orizzontali, maggiore rispetto al resto dello sviluppo del pilastro: è quindi necessaria una presenza più fitta di staffe, adibite ad assorbire tale stato tensionale. Può accadere che spesso, a causa della forte presenza di ferri di armatura (longitudinali pilastro superiore, longitudinali pilastro inferiore, staffe) il calcestruzzo non riesca a penetrare completamente nel nodo, e lasci degli spazi vuoti. In casi estremi, questi vuoti possono coinvolgere l’intera sezione di base, lasciando che tutto il carico assiale venga sopportato dai ferri longitudinali. 281 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Situazioni simili possono rimanere nascoste grazie all’intonaco, ma diventano estremamente pericolose in fase di demolizione: non appena venisse azionata la sega circolare, questa taglierebbe senza alcun problema i ferri sullo spigolo del pilastro in questione, portando ad una eccentricità che ribalterebbe immediatamente il pilastro. La rottura generale del sistema di sostegno il caso del pilastro differisce dal caso della trave per l’introduzione di un nuovo elemento fisico, che introduce con sé i proprio contributo di rischio: il perno. Come spiegato in precedenza, una volta tagliato il pilastro alla base, questo viene sollevato con dei cavi, attaccati a dei perni d’acciaio che sono stati in precedenza saldamente infissi alla sommità del pilastro. L’annullamento della validità del collegamento a causa dello sfilamento del perno può avvenire secondo due modalità: - schiacciamento del calcestruzzo adiacente al perno: l’estrema rigidezza e resistenza del perno, solitamente assicurata dal produttore, non garantisce però la resistenza dell’unione: infatti qualora il perno subisse una minima flessione, pur restando il fase elastica, trasferirebbe delle forti tensioni al calcestruzzo adiacente portandolo a rottura; lo schiacciamento del calcestruzzo e la dilatazione del foro in cui è inserito il perno, porterebbe allo sfilamento di quest’ultimo ed all’annullamento immediato di tutto il sistema di sostegno temporaneo. La causa osservabile di questo fenomeno può essere la comparsa improvvisa di un profondo quadro fessurativo nell’intorno dell’innesto del perno: questo sintomo presagisce, con una certa probabilità, lo schiacciamento del calcestruzzo; - rottura del perno stesso: nel caso in cui il perno risultasse profondamente innestato in un elemento costituito da un buon calcestruzzo, si abbassano le probabilità di rottura secondo la modalità precedente, è si alzano le possibilità della rottura del perno stesso: sottoposto ad una sollecitazione di tensoflessione, essendo un elemento tozzo, la sua modalità di rottura più probabile è per tranciamento (dovuta al taglio). Le cause genitrici di questo fenomeno possono essere fattori di usura, per cattivo mantenimento (innesco di corrosione), oppure per uno scorretto utilizzo: il superamento saltuario dei limiti di portanza del perno potrebbe causare plasticizzazioni e danneggiamenti localizzate, che a lungo termine (vedi fenomeni di fatica) potrebbero comportare la rottura fragile (e quindi improvvisa) del perno. Tornando alla rottura generale del sistema di sostegno, ricordiamo che, come nel caso della trave, può anche essere causata dalla rottura dei cavi, principale e di sicurezza; valgono quindi le stesse osservazioni fatte in precedenza. Le tre modalità di rottura del sistema di sostegno (cavo princ., second. e perno), appena descritto per il pilastro, potrebbero in verità valere anche per la fase di movimentazione del solaio, come anche il discorso del ribaltamento dell’autogrù: si è scelto appositamente di tralasciare l’approfondimento relativo al sollevamento del solaio e studiarne solo la fase del taglio, per semplificare la rete 282 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione e renderla più comprensibile al lettore. Si ricorda infatti che la funzione di questo caso applicativo è puramente illustrativa ed esemplificativa: il vero obiettivo dell’intero quarto capitolo è dimostrare l’applicabilità nel campo della demolizione, da sempre approcciato in maniera empirica, di metodi razionali e scientifici di ottimizzazione, comunemente usati in altri settori di progettazione ad alto rischio. Tornando per l’ultima volta al nostro schema, si osserva che la caduta rovinosa del pilastro in fase di sollevamento, può infine avvenire (come anche per la trave) per l’improvviso ribaltamento dell’autogrù; valgono quindi le stesse osservazioni fatte in precedenza. Nella figura di seguito, si riporta la parte di rete progettata finora. 283 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Si riporta infine il diagramma completo di tutti le componenti costruite finora. Il passo successivo che permette il passaggio dalla rete di Influenze appena creata, ad una rete Bayesiana vera e propria, è l’assegnazione ad ogni nodo, della relativa distribuzione probabilistica di accadimento. Prima di fare ciò, si ritiene necessario approfondire maggiormente il significato di Rete Bayesiana, ed i principi analitici su cui si basa. 284 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Le Reti Bayesiane Quando ad un diagramma di influenze, viene associato il concetto di probabilità, e quindi ad ogni singolo fattore di rischio appartenente alla rete, viene affiancato una componente probabilistica che rappresenti numericamente la probabilità che quel determinato fattore dannoso si manifesti, allora lo schema complesso creato diventa una “Rete Bayesiana”. Le Reti Bayesiane rappresentano oggi uno degli strumenti analitici più all’avanguardia per la modellazione probabilistica di sistemi. Grazie alle Reti Bayesiane (Bayesian Networks) si possono costruire modelli formali efficaci sul piano operativo, strutturalmente flessibili, che permettono la valutazione delle probabilità che si verifichino failures (effetti negativi) a livello del sistema complessivo, sulla base della probabilità di occorrenza di faults degli eventi elementari (malfunzionamento di componenti); egualmente a questa capacità predittiva (forword inference - dalle cause agli effetti), le B.N. possiedono anche una capacita diagnostica (backward inference - dagli effetti alle cause). Ciò vuol dire che tramite una rete bayesiana è possibile, osservando un fenomeno dannoso oramai accaduto, capire quale sia il fattore di rischio che abbia al maggior probabilità di essere la causa scatenante, ovvero, modificando la probabilità di accadimento di un singolo malfunzionamento, osservarne le conseguenze al livello della performance (prestazione) generale del sistema (o processo) in questione. Prima di procedere oltre, si ritiene opportuno aprire una parentesi sul concetto di inferenza. La seguente spiegazione è una libera traduzione di una lettera 1) del grande maestro chassidico della Torah, il “Lubavitcher Rebbe”, Menachem Mendel Schneerson, a proposito della compatibilità tra scienza e Torah (Pentateuco). - “Il pensiero scientifico utilizza due metodi generali di inferenza: a) il metodo dell’interpolazione, ove, sulla base della conoscenza del comportamento di un sistema in due situazioni estreme, si deduce quale sia il suo comportamento in una posizione compresa tra le due di cui prima; b) il metodo dell’extrapolazione, ove l’inferenza viene fatta all’esterno di un range di situazioni il cui comportamento segue una legge nota; Tra i due metodi, il secondo (l’extrapolazione) è chiaramente quello meno certo. Inoltre, il grado d’incertezza cresce all’aumentare della distanza tra la situazione in analisi ed il range di valori conosciuti: se il range in questione è contenuto tra i valori di 1 e 100, un’inferenza fatta a livello 101 ha un grado di affidabilità migliore di un’inferenza fatta a livello 1001. All’interno del metodo dell’extrapolazione è necessario fare un’ ulteriormente distinzione a secondo della direzione in cui viene eseguita l’operazione: un processo di generalizzazione fatto da una conseguenza conosciuta verso un fenomeno sconosciuto antecedente è più speculativa (quindi meno scientifica e 285 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione certa) di un’inferenza che và da un dato fenomeno antecedente, ad uno conseguente sconosciuto. Ciò può essere facilmente dimostrato col seguente esempio numerico: quattro diviso due, rende due; qui il fenomeno antecedente è rappresentato dal dividendo e dal divisore, mentre il fenomeno conseguente è rappresentato dal quoziente. Conoscendo l’antecedente in questo caso, ci permette di conoscere il possibile risultato – il quoziente (numericamente 2). Tuttavia, se conoscessimo solamente il risultato finale, il quoziente 2, e ci chiedessimo come è possibile arrivare a questo risultato, vedremmo che esistono varie possibilità, raggiungibili attraverso diversi metodi (operazioni): • 1+1=2 • 4-2=2 • 1x2=2 • 4–2=2 È da notare che se si introducono numeri diversi su cui operare, i numero di possibilità che ci forniscono lo stesso risultato, tende velocemente all’infinito (infatti 5 – 3 = 2; 6 / 3 = 2 etc. ad infinitum)”-. Si potrebbe obiettare a questo esempio numerico che, mentre nel caso dell’inferenza deduttiva, si ha un problema con tre dati ed un incognita (da una parte il dividendo, il divisore ed il tipo di operazione, dall’altra il quoziente), nel caso dell’inferenza induttiva si è davanti ad un probelma con due dati e due incognite (quoziente e tipo di operaizone, contro dividendo e divisore). È chiaro che il secondo tipo di inferenza presenta più incertezze. Questa asimmetricità del problema è però estremamente importante, e simula perfettamente le situazioni reali: volendo effettuare nella realtà un’operazione di tipo diagnostico, ci si inbatte proprio in una condizione di carenza di dati e possibilità di varie cause generatrici; quensta carenza di input è dovuta semplicemente al fatto che questi stessi dati appartengono al passato e sono quindi inaccessibili ad un operatore che indaga nel presente. Tornando alla definizione di Rete Bayesiana, è possibile quindi definirla come un formalismo matematico che, compresa la topologia interrelazionale di una struttura, considera il peso probabilistico di ogni fattore costituivo all’interno della stessa struttura, ottenendo infine una capacità predittiva e/o diagnostica sull’intero sistema. Come gli altri metodi per la gestione del rischio, anche il metodo delle Reti Bayesiane per l’ottimizzazione del Decision Taking, è largamente usato nelle discipline economiche ad alto livello di rischio, nell’industria aerospaziale, ed ultimamente si sta diffondendo anche nella chirurgia. È evidente come, in tutte le discipline succitate, il problema del decision taking all’interno di un processo progettuale, sia fortemente influenzato e vincolato dalla presenza del rischio. Poiché l’organizzazione gerarchica di una Rete di Influenza viene pensata in maniera soggettiva (in base ad un bagaglio di esperienze e conoscenze non 286 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione strettamente scientifiche), a prima vista, diagnosticare delle cause, ovvero predire un effetto, potrebbe sembrare semplice ed intuitivo: purtroppo, in questi casi l’intuizione è estremamente fuorviante; infatti solo grazie alle regole che guidano il funzionamento di una Rete di Bayesiana, è possibile gestire correttamente tutte le interrelazioni tra i fattori, ottenendo infine un Risk Critical Path (percorso critico del rischio). Per dimostrare come l’intuizione possa essere fuorviante in momenti di scelta, influenzati da più variabili, si riporta in seguito un esempio tratto dal romanzo “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” di Mark Haddon; per maggiore semplicità si riporta direttamente la citazione: “Un uomo partecipa ad un quiz televisivo. Può vincere un’auto. Il presentatore gli mostra tre porte. Dice che dietro ad una delle porte c’è l’auto in palio, mentre dietro alle altre due ci sono delle capre. Gli chiede di sceglierne una. Quella che viene indicata non viene aperta. Il presentatore invece apre una delle porte che il concorrente non ha scelto e gli mostra una capra (poiché lui sa cosa c’è dietro di ognuna delle porte). A questo punto gli dà un’ultima possibilità, prima che si spalanchino tutte le porte e vinca un’auto o una capra. Infine domanda se vuole cambiare idea e scegliere una delle porte ancora chiuse. Cosa gli suggerisce di fare?” Utilizzando l’intuito, si è automaticamente spinti a pensare che le probabilità di vincita, una volta mostrata la prima capra, siano distribuite al 50% tra le due porte. In verità non è così: il fatto di aver aperto una delle porte, ha oramai irrimediabilmente intaccato la distribuzione statica tra le altre due, resta da fare una cosiddetta scelta “vincolata”. Per ottenere l’auto in palio, è necessario cogliere l’occasione offerta dal presentatore e cambiare la propria scelta iniziale: così si avranno due possibilità su tre di vincere. Ciò che è stato detto, può essere dimostrato con i mezzi dell’analisi probabilistica (cosa che tralasceremo in questa sede) oppure col seguente semplice schema: Se ti viene chiesto di scegliere una porta Scegli una porta che nasconde una capra Scegli una porta che nasconde una capra Scegli una porta che nasconde un'auto Non cambi Cambi Non cambi Cambi Non cambi Cambi Vinci una capra Vinci un'auto Vinci una capra Vinci un'auto Vinci un'auto Vinci una capra Provando a percorrere i tre percorsi è possibile vedere come in effetti, cambiando, due volte su tre si ottiene l’automobile, ossia le probabilità di vincita aumentano dal 33% iniziale, ad un 67%, e non al 50% supposto intuitivamente. Il 287 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione principio che sta alla base di questo esempio è il teorema di Bayes, che esporremo in seguito. Le Reti Bayesiane (dette anche belief networks, Bayesian Belief Network, Causal Belief Network – Pearl 1988) sono definite come grafi orientati aciclici dove i nodi rappresentano le variabili indipendenti, e gli archi rappresentano le dipendenze dirette probabilistiche tra i nodi stessi. La struttura di una rete Bayesiana è una rappresentazione grafica e qualitativa delle interazioni tra una serie di variabili, il cui scopo è simularne la gerarchia causale, permettendo una capacità predittiva sugli effetti, quando vengano manipolate le cause. Essendo basate su di una rete di influenza, le reti Bayesiane sono anch’esse graficamente rappresentate da una serie di nodi, ovali o circolari, collegati da frecce unidirezionali: i nodi rappresentano le variabili, e contengono informazioni sulla propria distribuzione probabilistica, mentre le frecce rappresentano i possibili legami di causalità tra le suddette variabili. Il principio che sta alla base del funzionamento delle reti bayesiane, è il teorema di Bayes, che, una volta fissate due variabili X ed Y , rappresentanti due eventi tra loro correlati, pone in relazione le relative distribuzioni di probabilità P(X) e P(Y): P(Y X ) = P( X Y )P(Y ) P( X ) Per comprenderne meglio il funzionamento, utilizziamo un esempio pratico: supponiamo che la variabile Y rappresenti una patologia, mentre la variabile X un sintomo; il teorema di Bayes permette di calcolare la probabilità P(YX) che si manifesti la patologia Y, dopo l’osservazione del sintomo X, sulla base della probabilità P(XY) del verificarsi del sintomo in relazione alla patologia, ed in base alle probabilità a priori di entrambe. Compreso il principio di funzionamento, sembrerebbe possibile simulare completamente il comportamento di qualsiasi sistema reale, una volta scisso nei suoi fattori costitutivi e conosciute le distribuzione statistiche di ognuno. Quindi qualora un evento Y dipendesse da una serie di variabili Xi, il teorema di Bayes si presenterebbe nel seguente modo: P(Y X 1 , X 2 ,..., X n ) = P(X 1 , X 2 ,..., X n Y )P(Y ) P( X ) Sfortunatamente all’aumentare delle variabili in gioco, aumentano esponenzialmente anche le possibilità combinatorie, rendendo velocemente il problema irrisolvibile. Questa difficoltà può essere ovviata grazie all’introduzione di un’ipotesi semplificativa, detta di “indipendenza condizionale”: così facendo si rendono indipendenti tra loro i vari possibili eventi-causa Xi, abbattendo fortemente il numero di combinazioni da eseguire in fase di calcolo. L’ipotesi semplificativa introdotta può essere rappresentata analiticamente con la seguente espressione: 288 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione P( X 1 , X 2 ,..., X n Y ) = ∏ P( X i Y ) . n i =1 Il teorema di Bayes comprensivo di quest’ipotesi diventa: X1 n P(Y X 1 , X 2 ,..., X n ) = ∏ P( X i X2 Y )P(Y ) i =1 P( X ) graficamente Y A questo punto è possibile dare una spiegazione più precisa del significato dei nodi e delle frecce (definizione di A. Giretti, P. Minacci): - in nodi rappresentano le variabili aleatorie discrete o continue che sono definite attraverso la loro distribuzione di probabilità P(Xi); - gli archi rappresentano le relazione di dipendenze condizionale tra le variabili e per questo sono direzionati. Un arco dal nodo Xi al nodo Yi significa una distribuzione di probabilità condizionata P(YXi). La struttura della rete stessa rappresenta e simula il comportamento del sistema o del processo in questione, dopo che questo è stato scisso nelle sue variabili costitutive principali. Operativamente, per costruire una rete bayesiana, è necessario in primo luogo rappresentare graficamente il diagramma di influenza del problema in questione, avendo ben chiare le relazioni tra le diverse variabili; essendo una rete bayesiana per definizione un grafo aciclico orientato, non sono ammessa relazioni cicliche, ossia il flusso delle dipendenze deve essere monodirezionale, altrimenti non è possibile risolvere e calcolare la rete stessa. Una volta creata questa rete di influenze, avendo rispettato i legami tra i vari nodi, ciò che resta da fare è assegnare ad ogni nodo (evento) la relativa distribuzione di probabilità condizionata, la quale indica la probabilità di accadimento di quello specifico evento. A questo punto il modello probabilistico del problema è completato, la sua risoluzione spetta ad un qualsiasi programma di calcolo che sappia sfruttare il teorema di Bayes. Resta da dire che, per alimentare i nodi, è necessario disporre di una banca dati che fornisca le distribuzioni probabilistiche degli stessi; una volta fatto ciò, cambiando un valore di probabilità di qualsiasi delle variabili, è possibile studiarne gli effetti della propagazione nel resto del sistema (in funzione dei legami internodali), e comprendere di conseguenza, il peso di ogni variabile in relazione alla performance generale finale del sistema. Rete Bayesiana del caso studio Avendo già costruito la rete di influenze del caso di demolizione in questione, cioè avendo già chiarito le interrelazioni tra le varie variabili di rischio intrinseche al processo analizzato, come premesso, ciò che resta da fare è solo assegnare le distribuzioni probabilistiche condizionate ad ogni nodo. 289 Xn Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione È necessario ora modellare nella rete di Influenze, le relazioni di tipo complesso che intercorrono tra i vari fattori. Si prenda come esempio la relazione tra il cavo principale e quello secondario, appartenenti al più generico sistema di sostegno trave e/o pilastro: il cavo secondario entra in funzione solo a seguito della rottura del principale; inoltre una eventuale rottura del secondario, nel caso non si fosse spezzato il principale, non comporterebbe ovviamente nessuna conseguenza dannosa. Tutte queste condizioni ed altre ancora, vengono inserite nel modello attraverso la definizione del nodo che precede le due concause “rottura cavo princ.” e “rottura cavo second.”, ossia il nodo definito “Rottura del sistema di sostegno trave”. La sintassi che sta dietro ad ogni nodo, viene rappresentata col programma utilizzato per la risoluzione della rete, attraverso una tabella, come illustrata in figura: naturalmente più aumentano le concause di un evento, maggiore sarà il numero delle combinazioni e delle possibilità da studiare. I coefficienti numerici inseriti nelle caselle indicano le percentuali di probabilità di avvenimento di un fenomeno, in funzione dell’accadimento delle sue cause genitrici. Osservando la tabella in figura, partendo dall’estrema destra: nel caso in cui non avvenga la rottura del cavo principale, né quella del cavo secondario, si ha solamente il 10% (indicato come 0,1) di probabilità che avvenga la rottura del sistema di sostegno della trave; si è preferito ammorbidire le possibilità utilizzando il 10% invece di un netto 0%, per prendere anche minimamente in conto altri fattori secondari. In figura si riporta un altro esempio della sintassi più complessa, di un nodo, a cui convergono molteplici cause genitrici: 290 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Eseguendo lo stesso procedimento per tutti i nodi, è possibile così completare la preparazione della rete. La figura in basso illustra la struttura della rete Bayesiana completa di tutte le distribuzioni probabilistiche per ogni nodo. … Si può osservare che, assegnando a tutti i nodi genitori una probabilità di accadimento del 50%, la rete calcola una probabilità finale di “danno sugli operai” del 75%. Se invece si assegna una probabilità praticamente nulla di avveramento delle condizioni pericolose più esterne (singoli faults), la conseguente probabilità di ferimento operai (failure di sistema) si riduce fino ad un valore del 36%. Nonostante in questo caso ci si aspetterebbe un abbattimento completo della percentuale, questo valore residuo è dovuto alla diversità assegnata ai coefficienti che esprimono la mutua influenza tra i vari nodi. 291 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Nel nostro caso, le possibilità di accadimento del singolo fault erano assegnate con delle semplici variabili del tipo true e false, ma le Reti Bayesiane si prestano ad elaborazioni ben più complesse e dettagliate, in cui l’avveramento di ogni nodo può essere espresso anche tramite delle equazioni: è così che si possono modellare comportamenti probabilistici di tipo strutturale. A questo punto la rete è pronta per essere adoperata a nostro piacimento: abbiamo già trattato la possibilità di effettuare sia una forward che una backward inference; in pratica si traduce nella capacità della rete di calcolare l’influenza che ha un singolo fattore sulla possibilità di causare una failure generale (prevedendo quindi il futuro), ovvero di diagnosticare, una volta osservato uno stato di fatto (evento negativo già accaduto), quale sia il fattore di rischio unitario che abbia, con maggior probabilità, causato l’evento dannoso generale. Quest’ultima caratteristica della rete, creando un vero e proprio Risk Critical Path (percorso critico del rischio) permette applicazioni di tipo diagnostico in vere e proprie indagini su casi di collassi e cedimenti. Chiaramente, come spiegato in precedenza, per permetterle di elaborare i risultati, la rete deve essere alimentata da una base dati statistica. Sono comunque in fase di studio e di sperimentazione in vari campi, cosiddetti metodi di apprendimenti bayesiano, i quali consistono nello sviluppare una forma di capacità autonoma di apprendimento della rete stessa. 292 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione Conclusioni Come ci proponeva di fare, durante lo svolgimento di questa ricerca è stato portata avanti con livelli di approfondimento sempre crescenti, l’analisi dell’iter progettuale che sta alle spalle di un intervento di demolizione di un organismo complesso. Si è partito da un primo capitolo, in cui si introduceva il lettore ai concetti fondamentali ed ai presupposti teorici su cui si basa un progetto di demolizione; si è quindi portata avanti un’approfondita analisi e scomposizione del progetto nei suoi componenti costitutivi, classificando così tutti quei fattori che possono entrare in gioco nel momento decisionale, all’interno di un iter progettuale: di ognuno di essi sono state studiate le possibili interrelazioni, ed è stato assegnato ad ognuno un peso relativo nei confronti dell’intero processo. Attraverso questo studio, si è introdotto il concetto di all’interno di un processo progettuale: nel caso specifico un’operazione di abbattimento, il momento decisionale scelta, in primo luogo della metodologia di intervento parziale, indifferenziata o selettiva), ed in secondo luogo da utilizzare. momento decisionale della pianificazione di è rappresentato dalla (demolizione totale o della specifica tecnica Alla conclusione del primo capitolo, si è quindi creata nella mente del lettore, non solo un certo bagaglio culturale sui possibili fattori costitutivi, ma anche una vera e propria rete virtuale che collega e relaziona tra loro tutte queste variabili; la risoluzione di questa rete nella maniera ottimale, cioè prendendo in giusto conto il peso relativo di ogni fattore, fornisce l’indicazione della tipologia di intervento e di relativa tecnica da utilizzare: in sintesi è possibile dire che, così facendo si è esplicitato ed approfondito il percorso mentale di un progettista in un momento di scelta progettuale. Ne secondo capitolo si è continuato ad arricchire il back-ground culturale del progettista, entrando nel dettaglio delle singole tecniche, studiando le caratteristiche, positive e negative di ognuna di esse in base ad una serie di criteri prefissati, ed in particolare sottolineando il grado di compatibilità della singola tecnica col contesto operativo. Tutte le tecniche, esistenti o in fase di sperimentazione, sono state preventivamente inquadrate e classificate all’interno della relativa tipologia di approccio, in modo tale da fornire una prima indicazione al progettista sulla scelta da effettuare in funzione dei possibili vincoli di progetto, già analizzati precedentemente. Il terzo capitolo costituisce il momento di sintesi di tutto quanto è stato detto nei capitoli precedenti: attraverso l’illustrazione e l’analisi critica di alcuni casi studio strategici, si presentano degli esempi concreti di progettazione di demolizioni complesse: tramite questi esempi s’è avuta l’opportunità di mettere in luce le possibili interazioni tra le suddette variabili della progettazione, e di scoprire come le varie problematiche sono state di volta in volta risolte dai progettisti. 293 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione I casi studio affrontati forniscono una gamma molto varia di esempi progettuali: si è tentato non solo di selezionarli in modo tale da fornire una esemplificazione di funzionamento delle principali tecniche di abbattimento e dal loro rapporto con i vincoli progettuali, ma alcuni di loro sono stati scelti poiché rappresentano casi mediamente rari di integrazione di tecniche molto diverse tra loro, la quale integrazione ha garantito infatti altissimi risultati prestazionali. Una volta acquisito il bagaglio culturale attraverso la lettura dei primi capitoli, il lettore giunge infine al quarto capitolo: in particolare, a questo punto risulta chiaro che, tra i vari aspetti da considerare in un momento di scelta progettuale, il fattore rischio rappresenta mediamente l’input più caratterizzante. Quindi ripartendo da una rilettura del concetto di progetto attraverso la semantica e le definizioni della disciplina del Project Management, si è deciso di approfondirne un aspetto in particolare, ovvero quello del rischio progettuale e della sua gestione: si tratta del cosiddetto Project Risk Management. Così facendo si è evidenziata la necessità di una progettazione di tipo Fault Tolerant, ossia un’attività pianificatoria flessibile, in cui, già nella sua genesi siano contemplate le possibili cause di insuccesso, e quindi siano state prese le dovute misure, preventive o mitigatrici del danno. All’interno di un iter progettuale, arriva infine il momento della Decision Taking, che, nel caso della demolizione è rappresentato dalla scelta della metodologia e della relativa tecnica di intervento. Si è scelto di supportare il progettista nel momento della scelta, in particolare in funzione dei possibili rischi di progetto. Quindi, operativamente, si è illustrato il funzionamento delle principali tecniche di gestione del rischio, afferenti alla disciplina della Reliability Engeneering. Fra le varie tecniche analizzate, si è scelto di utilizzarne una in particolare e di fornirne un esempio pratico di applicazione: si tratta della tecnica delle Reti Bayesiana, un efficace strumento di rappresentazione di modelli di sistemi tecnologici e di processi costruttivi, che permette di definire gli aspetti rilevanti e la struttura di dipendenze del problema in esame. Alla fine di tale trattazione si considerano quindi raggiunti gli obiettivi preposti: ovvero fornire uno strumento di supporto al progettista nel momento decisionale all’interno di un iter progettuale. L’intero approccio del Knowledge Based Decision Taking è motivato da una necessità di fornire al progettista una corsia preferenziale nei momenti in cui deve affrontare delle scelte progettuali. L’ipotesi di partenza di questa disciplina, è che il progettista abbia tutte le capacità di scindere il problema nelle sue componenti costitutive, comprendendo anche la rete di relazioni che correlano i vari fattori; questa capacità di analisi è garantita dall’esperienza personale e dal bagaglio culturale del progettista stesso, e, nel nostro testo si è tentato di fornire questa knowledge base (base di conoscenze) attraverso i primi tre capitoli; allo stesso tempo però si suppone che il progettista abbia delle difficoltà a risolvere la suddetta rete di fattori, e necessiti quindi di un aiuto per poter prendere la soluzione ottimale, cioè quella che, considerando il debito peso di tutti i vincoli di progetto, garantisca il rendimento prestazionale 294 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione più alto (secondo gli aspetti che di volta in volta interessano al committente: bassi costi, tempi ristretti…), minimizzando contemporaneamente i rischi tecnici. Questo supporto al progettista è fornito dai metodi di controllo e gestione del rischio, tra cui le Reti Bayesiane rappresentano lo strumento più innovativo per la valutazione dei scenari operativi attraverso una simulazione qualitativa. Si è già detto che le prime applicazione delle Reti Bayesiane per il controllo del rischio di progetto, è stato effettuato in campi ben diversi dalla demolizione edilizia: basti pensare all’industria aerospaziale, agli studi sulla propagazione di malattie infettive, oppure alla progettazione di centrali nucleari o chimiche ad alto rischio. Quest’applicazione delle Reti Bayesiane nel campo della produzione edilizia (in particolare nella fase della demolizione), è un tipico esempio di trasferimento delle conoscenze da una campo disciplinare ad una altro: la motivazione stessa della ricerca sta nel tentativo di elevare il campo della demolizione, da una serie di operazioni eseguite senza la necessita di un’attività pianificatoria e spesso senza nessuna conoscenza specifica sull’argomento, ad un’attività razionalizzata ed ottimizzata alla stregua di tutte le altre fasi del ciclo vitale di un edificio. Si è quindi ridotta l’importanza del fattore della convenienza economica, come elemento più vincolante nel momento progettuale di un abbattimento, mettendo in luce tutte le variabili in gioco all’interno di tale processo: in particolare si è concentrata l’attenzione sul fattore del rischio tecnico, il quale è in verità la variabile più vincolante in un’attività demolitiva di un organismo complesso. Il controllo dell’influenza delle conseguenze di questo fattore su processo progettuale è ottenuta tramite appunto lo strumento delle Reti Bayesiane. Essendo tale strumento relativamente recente, ed ancora in fase di implementazione e potenziamento, si ritengono molto varie ed interessanti le sue ulteriori future applicazioni nel campo della produzione edilizia, il quale campo, pur avendo sempre rappresentato un caso particolare rispetto agli altri settori della produzione industriale, poiché estremamente complesso e multisfaccettato, risulta ad oggi ancora troppo caratterizzato da un’aleatorietà di fondo. “LA DEMOLIZIONE DELLE OPERE IN CALCESTRUZZO ARMATO: TEORIA, PROGETTO E CONTROLLO DEL RISCHIO” Note: 1) il testo originale tratto dalla lettera del “Lubavitcher Rebbe”, Menachem Mendel Schneerson , è il seguente: “Here science has two general methods of inference; 295 Capitolo 4 Il Controllo del Rischio nella Demolizione (a) The method of interpolation (as distinguished from extrapolation), whereby, knowing the reaction under two extremes, we attempt to infer what the reaction might be at any point between the two. (b) The method of extrapolation, whereby inferences are made beyond a known range, on the basis of certain variables within the known range. For example, suppose we know the variables of a certain element within a temperature range of 0 to 100, and on the basis of this we estimate what the reaction might be at 101, 200, or 2000. Of the two methods, the second (extrapolation) is clearly the more uncertain. Moreover, the uncertainty increases with the distance away from the known range and with the decrease of this range. Thus, if the known range is between 0 and 100, our inference at 101 has a greater probability than at 1001. Let us note at once, that all speculation regarding the origin and age of the world comes within the second and weaker method, that of extrapolation. The weakness becomes more apparent if we bear in mind that a generalization inferred from a known consequent to an unknown antecedent is more speculative than an inference from an antecedent to consequent. That an inference from consequent to antecedent is more speculative than an inference from antecedent to consequent can be demonstrated very simply: Four divided by two equals two. Here the antecedent is represented by the divided and divisor, and the consequent - by the quotient. Knowing the antecedent in this case, gives us one possible result - the quotient (the number 2). However, if we know only the end result, namely, the number 2, and we ask ourselves, how can we arrive at the number 2, The answer permits several possibilities, arrived at by means of different methods: (a) 1 plus 1 equals 2; (b) 4-2 equals 2; (c) 1 x 2 equals 2; (d) 4 2 equals 2. Note that if other numbers are to come into play, the number of possibilities giving us the same result is infinite (since 5 - 3 also equals 2; 6 3 equals 2 etc. ad infinitum)”. 296 La Demolizione delle Opere in Calcestruzzo Armato: Teoria, Progetto e Controllo del Rischio BIBLIOGRAFIA IL PROCESSO DI DEMOLIZIONE: - “Abbattimento Controllato, alcune problematiche ed esempi di applicazione” – M. Carastro, E. M. Dantini, E. Finocchiaro – Istituto di Arte Mineraria; - “Structural diseases and Reliability”; Atti del Convegno Internazionale – Napoli 15–16 Maggio 2003; - “La demolition du beton” - Pierre Cormon. - Paris : Editions Eyrolles, 1979. XIV; - “Il processo edilizio e il processo di progettazione” - Gianfranco Carrara; - “Costruire in Laterizio: Progettare la demolizione” - num. Settembre-Ottobre 1998 (monografia); - “L’arte della demolizione industriale” – Flavio Cioffi, Maria Pia Contento Ediz. EPC Libri; ALTRE TECNICHE DI DEMOLIZIONE: - “Development of high pressure pumps and associated equipment for fluid jet cutting” - Walstad O. M., and Noecker P. W., 1st International Symposium on Jet Cutting Technology, Coventry, UK, April 1972; - “Abrasive Water Jet Cutting” - Fairhurst R. M. - MSc Thesis, Cranfield Institute of Technology, January 1982; - “Diajet: A New Abrasive WaterJet Cutting Technique,” - Fairhurst R. M., Heron R. A. and Saunders D. H., – 8th International Symposium on Jet Cutting Technology, Durham, UK, September, 1986; - “Costruire in Laterizio: Progettare la demolizione ” – num. Settembre-Ottobre 1998 (monografia); IL CALCESTRUZZO: - “Il Calcestruzzo” – Vito Alunno Rossetti – Mc Grow Hill Edizioni; - “Tecnica delle Costruzioni – il c.a. ed il c.a.p.” – Emanuele Filiberto Radogna - “Lineamenti di storia dell’architettura contemporanea” – Alessandra Muntoni – Università Laterza Architettura; - “L’architettura del ferro” – Roisecco; 297 La Demolizione delle Opere in Calcestruzzo Armato: Teoria, Progetto e Controllo del Rischio - “Innovazione tecnologica ed architettura” – Laura Angeletti – Gangemi Editore - “Quarry and Construction”- numeri vari - “Nuovo cantiere” - annate: 2003 TESTI VARI: - “La Bibbia” - “Edilizia 1” – Enrico Mandolesi – UTET - “Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte” - Haddon Mark – Einaudi Supercoralli - “PeBBu - Performance Based Building” – Greg Foliente - “Problemi statici nelle demolizioni strutturali” - Prof. Francesco Martinez Y Cabrera - “Gli errori degli ingegneri - Paradigmi di progettazione” – Henry Petrosky - “Progettazione della sicurezza in cantiere” – Luigi Falsino, Alessandro Michelon - “Demilition & Recycling International” – annate: 2003, 2004, 2005 - “Caterpillar Magazine” – annata: 2005 - “Byzantine seige Warfare in Theory and Practice” - Eric McGeer from The Medieval City under Siege - “Parangelmata Poliorcetica et Geodesia” - Heron of Byzantium - “Manuale della Demolizione Controllata” – Marco Biffani – Carper S.r.l. - “A Guide to Project Management” – Project Management Institute - “Science & Torah - At Odds?” – Lettera del Lubavitcher Rebbe, Menachem Mendel Schneerson. ESPLOSIVISTICA CIVILE: - “Demolition: the art of demolishing, dismantling, imploding, toppling & razing” – Helene Liss, Controlled Demolition Inc. - “Blasting Operations” – Gary B. Hemphil – Mc Graw Hill Book Company; - “Lavori con esplosivo” – Italesplosivi; - “L’esplosivo strumento di lavoro” - Giorgio Berta; 298 La Demolizione delle Opere in Calcestruzzo Armato: Teoria, Progetto e Controllo del Rischio - “The Science of Industrial Explosives” – Melvin A.Cook – Ireco Chemicals, Salt Lake City, - “Blasting Practice” - Nobel’s Explosives Company Limited, Stevenston, Ayshire, Scotland; - “Explosives for North American Engineers” – C. E. Gregory – Trans Tech Publications; - “Swedish Blasting Technique” – Rune Gustafsson; - “Explosives for Engineers – A primer of Australasian Industrial Practice” – C. E. Gregory – University of Queensland Press; - “De pirotechnaria” – Biringuccio Vannoccio, 1540 - “175th Anniversary Edition of Blasters’ Handbook” – E. I. Du Pont de Nemours & Co. (Inc.) Explosive Product Division, Wilmington, Delaware 1989 - Sixteenth Edition; MATERIALE ILLUSTRATICO DELLE DITTE PRODUTTRICI: - A.T. Toptaglio S.r.l. - General Smontaggi S.r.l. - Bontempi demolizioni speciali s.r.l.; - Indeco Italia; - Cardox International Limited; - Italesplosivi; - Carper s.r.l.; - Loizeaux Group International (LGI); - CE.TAD s.r.l. - Maia – Caterpillar; - Controlled Demolition Incorporated - Mantovanibenne S.r.l.; (CDI); - Pagel Italiana S.r.l.; Demarec Demolition & Recyciling - Saide Costruzioni; Equipment BV; - S.I.A.G. s.r.l. - Blasting Works; - Despe s.r.l. - Demolizioni Speciali; - Tecnomine s.a.s. - Esplodem service; - ThyssenKrupp; - Fogtec Fire Protection; - VTN Europe S.r.l.; - 299