La scuola italiana è peggiorata? Uno sguardo alle comparazioni internazionali e alle conseguenti preoccupazioni, più o meno fonda Norberto Bottani 1 Indice Capitolo 1: Una questione di metodo: comparazioni impossibili Capitolo 2: Risultati e saperi scolastici odierni verificati e comparati Capitolo 3: I miti del passato Conclusione: La scuola italiana contemporanea Capitolo 1. Una questione di metodo: comparazioni impossibili Purtroppo è impossibile comparare la scuola odierna con quella per esempio di un tempo, di cent’anni fa ma anche solo con quella di una cinquantina di anni fa. E` una questione di metodo e di informazioni. Le condizioni per un confronto rigoroso non esistono da un punto di vista scientifico, anche nei paesi dove la statistica scolastica ha uno stampo meno medioevale di quello italiano come l’Inghilterra, la Francia, la Svezia, gli Stati Uniti. In taluni (non molti) sistemi scolastici si sono scoperte prove scolastiche degli inizi del servizio scolastico statale come per esempio pacchetti di dettati oppure raccolte di problemi con relativa soluzione. Allora si sono fatte ripetere le stesse prove nelle scuole odierne e nelle stesse classi e si sono comparati i risultati. Questo è successo in Francia o per esempio in Svizzera dove il sociologo ginevrino Roger Girod che si è molto occupato delle disuguaglianze sociali nell’istruzione ( per esempio nel libro « Politique de l’éducation. L’illusoire et le possible. PUF, Parigi 1981) ha fatto rifare alle reclute elvetiche di circa cinquant’anni fa le stesse prove ( non si può parlare di test) svolte dalle reclute del 1860 o giù di lì ed ha tratto le sue conclusioni, ha cioè interpretato i risultati sulla base della sua personale concezione della scuola che direi piuttosto reazionaria. In Inghilterra si è proceduto diversamente con studi longitudinali notevoli che hanno comparato i diplomi di tre o quattro generazioni: quelle dei nonni, quelle dei figli e quelle dei nipoti. Studi longitudinali statistici del genere sono in corso anche negli USA e in Canada. Vale la pena citare la ricerca longitudinale in corso a Baltimora, città periferica di Washington D.C. , dove la corruzione regna sovrana, la violenza pure, il traffico di droga è incontrollabile. Basta vedere la serie televisiva “Wire” per farsene un’idea. L’indagine compara la scuola odierna con quella di 25 anni fa a Baltimora nel quadro di un’ampia indagine longitudinale che coinvolge 400 000 studenti di tutte le scuole secondarie di secondo ciclo USA iniziata 50 anni fa. Non sono a conoscenza di indagini scientifiche analoghe in Italia. Sicuramente ci sono e forse qualcuno ha già trattato dati statistici e comparato le stesse prove svolte a distanza di decenni, ma personalmente non ho in mano nulla di simile. In ogni modo, prima di avventurarmi in valutazioni affrettate gradirei disporre di dati scientificamente sicuri, di prove e queste difettano. Per questa ragione ritengo che le comparazioni con la scuola del passato, di un secolo fa per esempio, non sono possibili. Questi confronti non stanno in piedi perché non si conoscono le condizioni nelle quali le prove sono state svolte (per esempio come l’insegnante svolgeva il dettato, come parlava, se ripeteva le parole o le frasi, se rileggeva il testo alla fine oppure se lo ha letto agli inizi) né i parametri usati per le correzioni. Girod dal canto suo ha preso in considerazione solo i maschi ventenni ed ha quindi fornito una riproduzione delle conoscenze scolastiche di una limitata fascia d’età e di prove condotte nelle caserme, ossia in condizioni del tutto speciali. Per altro questi dati non riguardano la scuola o il servizio scolastico di per sé ma le persone, gli studenti, gli alunni che la frequentavano. Siamo qui confrontati a due situazioni diverse: quella del livello d’istruzione della popolazione e quella della qualità delle scuole, ossia la cultura generale di una società e lo stato dell’insegnamento impartito nelle scuole che erano agli albori. Ancora oggigiorno si riesce a malapena a fornire un’analisi comparata della qualità delle scuole mentre si è più avanzati con le valutazioni singole delle conoscenze scolastiche apprese in talune discipline. Molti storici valutano le competenze nella scrittura e in lettura della popolazione nel Settecento o anche del Seicento quando scoprono archivi familiari nei quali si annida una vasta corrispondenza familiare oppure scorrendo i registri comunali o ecclesiastici dove per esempio i parroci annotavano in occasione dei battesimi o dei matrimoni chi sapeva leggere e chi sapeva scrivere oppure si calcono i cittadini che firmavano le dichiarazioni delle imposte o altri documenti amministrativi come gli atti di nascita o i certificati di battesimo. Da qui si risale ad una stima del livello di alfabetizzazione della popolazione, ma non è questa l’informazione che permette il confronto tra il servizio scolastico statale agli albori nell’Ottocento e quello e quello odierno. In altri termini esiste ancora molta strada da compiere e la massima cautela è di rigore prima di sbandierare qualsiasi dichiarazione sulle scuole dell’Ottocento o del primo Novecento per concludere che erano migliori di quelle odierne. Capitolo 2: Risultati e saperi scolastici odierni verificati e comparati Dopo il 1950, diversi istituti di ricerca scientifica sulla scuola si sono alleati per impostare indagini internazionali comparate nell'ambito dell'Unesco sugli apprendimenti degli studenti a 13 anni che a quell'epoca era l'età di fine della scolarizzazione nella maggior parte dei sistemi scolastici. Dopo aver constatato la fattibilità di tali indagini, nel corso degli anni Sessanta l’ associazione internazionale di valutazione degli apprendimenti scolastici (IEA) ha svolto tutta una serie di indagini comparate sugli apprendimenti dei tredicenni. L'IEA continua tuttora a sopravvivere e a condurre indagini comparate diverse dalla celebre indagine PISA dell’OCSE. L’indagine PISA A partire dal 2000, dunque da quattrodici anni fa, l 'OCSE che è una organizzazione intergovernativa con sede a Parigi, ha iniziato un ciclo triennale di indagini internazionali comparate sugli apprendimenti dei quindicenni concorrenziale alle indagini dell’IEA anche perché le indagini PISA sono tirennali e quindi soddisfano le attese dei dirigenti scolastici mentre le indagini dell’IEA che sono molto più dettagliate non hanno una periodicità fissa. Nel frattempo, la durata media della scolarizzazione nella maggior parte dei sistemi scolastici è aumentata a 15 anni, termine dell'obbligo scolastico nella maggior parte dei sistemi scolastici tranne che in Italia dove il limite della scolarizzazione obbligatoria e del diritto all'istruzione resta assai nebuloso e poco comparabile con quanto praticato in altri sistemi scolastici. In ogni modo, la maggior parte dei quindicenni italiani svolge le prove strutturate proposte dall'indagine PISA con due anni di scuola in più, il famoso biennio, dei quindicenni della maggior parte degli altri sistemi scolastici. I quindicenni italiani dovrebbero quindi essere favoriti quando affrontano gli strumenti proposti dall’OCSE. In quindicenni di tutti i sistemi scolastici sono ovunque ripartiti in vari anni di scuola: quindicenni in anticipo, quindicenni in ritardo, quindicenni “regolari” per quel che riguarda l'annata scolastica. Nei sistemi scolastici nei quali si boccia molto, per esempîo in Francia, molti quindicenni si trovano in una classe di ritardo rispetto ai quindicenni dei sistemi scolastici nei quali non si boccia. Per rendere comparabili i risultati degli apprendimenti nei test predisposti dall'indagine PISA è indispensabile campionare per ogni sistema scolastico gli studenti quindicenni secondo regole analoghe. Nei primi cicli dell'indagine PISA iniziata nell’anno 2000 la campionatura italiana era sbagliata, come lo era anche in altri sistemi scolastici. Inoltre, occorre controllare le modalità per la somministrazione dei test nelle varie classi dei diversi sistemi scolastici. Sono questi gli aspetti, assai difficili, da considerare, quando si comparano i risultati conseguiti dei quindicenni nella stessa indagine svolta in diversi sistemi scolastici. I punteggi dei quindicenni italiani nell’indagine PISA Andreas Schleicher che è il direttore attuale del dipartimento dell'educazione all'OCSE ha svolto una relazione molto interessante sulle lezioni che si possono trarre dall'indagine Pisa per l'Italia in occasione del seminario internazionale “Acchiappanuvole” organizzato dall'ADI a Bologna dal 28 febbraio al primo marzo 2014. Se l'indagine è ben svolta, si possono trarre indicazioni molto precise sul funzionamento dei vari sistemi scolastici e sull'influenza esercitata dalle strategie politiche adottate per gestirli. Infatti, i modelli statistici scolastici sono diventati estremamente potenti e perfezionati per cui oggi è possibile trarre dai dati raccolti con le prove strutturate indicazioni valide sulle scuole più evolute, sui sistemi scolastici più equi, sulle politiche scolastiche più efficaci. Come se la cavano i quindicenni italiani sulla base dei punteggi conseguiti nell'indagine PISA, l'ultima delle quali fu svolta nel 2012 ed aveva come tema principale la cultura matematica? Il dato più eclatante caratteristico dell'Italia è costituito dalla presenza di una situazione estremamente variegata fra le diverse aree del paese. Il sistema scolastico italiano è pertanto molto eterogeneo e secondo Schleicher comprende in sé prestazioni di ben 14 diversi sistemi scolastici: vi si trovano per esempio i buoni risultati dell'Olanda o della Polonia come pure quelli scadentissimi della Turchia e della Tailandia. In un certo senso si può dire che tutto il mondo si trova in Italia. Questa constatazione è un’ informazione sulla pessima qualità della gestione del sistema scolastico italiano dove vi si trova di tutto un po, dall’eccellente allo scadente. Alla stessa conclusione si giunge quando si esamina la distribuzione dei risultati degli studenti quindicenni dal punto di vista dell'equità e della giustizia sociale. Vale la pena ricordare che i punteggi presi in considerazione sono in generale la media di tre prove strutturate. Nel 2012, il test principale era la prova sulla cultura matematica; il test secondario quella sulla cultura scientifica; il test meno importante nel 2012 fu quella sulla comprensione dei testi scritti, ossia più comunemente sulla comprensione della lettura. Ci sono sistemi scolastici nei quali il background sociale ha un forte impatto sui punteggi degli studenti. In questi sistemi scolastici, gli apprendimenti dal punto di vista della cultura matematica sono distribuiti in modo totalmente non equo, come per esempio nei sistemi scolastici nei quali esiste un divario molto grande tra i risultati dei più bravi e quelli dei meno bravi. Questo significa che le scuole di questi sistemi scolastici non riescono a conseguire apprendimenti omogenei tra tutti gli studenti nella cultura matematica durante la scuola dell’obbligo perché le caratteristiche socio-economiche degli studenti influenzano grandemente gli apprendimenti. Si sa che questo succede anche per la cultura scientifica e per la comprensione della lettura. È molto probabile che in questi sistemi scolastici il divario di padronanza degli apprendimenti scolastici in altre discipline che compongono il programma scolastico( geografia, storia, una seconda lingua, magari musica, ecc.) subisca la stessa evoluzione. Ci sono invece sistemi scolastici nei quali il contesto socio-economico di provenienza degli studenti quindicenni conta molto meno per cui i punteggi conseguiti nelle prove strutturate sono distribuiti in modo socialmente equo. Si può a questo punto affermare che questi sistemi scolastici sono gestiti da strategie scolastiche più giuste e più eque. E anche il caso di aggiungere che in nessun sistema scolastico finora l'equità dei punteggi conseguiti dai quindicenni è soddisfacente. Ci sono sistemi scolastici più equi ed altri meno equi, con punteggi medi nelle prove strutturate alti e bassi. L’equità nei sistemi scolastici È molto semplice fissare un obiettivo di equità: tutti auspicherebbero scolarizzare i propri figli nelle scuole dove la qualità degli apprendimenti e l'equità siano entrambe forti. Nessuno vorrebbe inviarli nelle scuole dove i risultati sono bassi e le opportunità di apprendimento sono distribuite in modo non equo. Un tempo, e da questo punto in avanti ritroviamo il tema principale della relazione, non era così importante curare la correzione di queste divergenze perché il mercato del lavoro era in grado di assorbire anche gli studenti con poche competenze. Quando si parla di un tempo, si allude agli inizi dell'epoca industriale oppure si deve risalire al medioevo. Un’ analisi della metamorfosi delle condizioni dei poveri nel corso dei secoli e delle politiche sociali attuate per combattere la povertà e la miseria è in questo caso cruciale per capire l’istruzione scolastica , privata o pubblica che sia, dato per scontato che gli Stati si sono dotati di un sistema statale di istruzione solo nell’Ottocento quando era già iniziata la rivoluzione industriale. In quei decenni contava il livello di istruzione e di disciplina della classe operaia. In ogni modo, stando a quanto affermano gli economisti, l'impatto delle disuguaglianze scolastiche oggigiorno cresce con conseguenze considerevoli sull'occupazione. Occorre però anche aggiungere che la diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione consente anche ad una manodopera poco istruita di inserirsi efficacemente nel mercato del lavoro. Non si leggono le istruzioni ma si vede sugli schermi o sulle tavolette quel che si deve effettuare. Dove si trovano i giovani italiani, per esempio i quindicenni, da questo punto di vista? Anche in questo caso la posizione degli studenti quindicenni italiani non è brillante: questi si trovano nel gruppo dei sistemi scolastici dove i punteggi delle prove strutturate di matematica dell’indagine PISA sono bassi, ma sono anche in compagnia di quindicenni che frequentano le stesse scuole e che provengono da classi sociali agiate che ne sanno altrettanto. Il sistema scolastico italiano si rivela dunque come un sistema nel quale la distribuzione dei risultati e delle opportunità di apprendimento è socialmente equa. Si potrebbe a questo punto affermare che le politiche scolastiche attuate in Italia hanno privilegiato l'equità a scapito della qualità degli apprendimenti. Non ne sono sicuro e tendenzialmente propendo a pensare che questo risultato sia casuale. Per essere più precisi si può aggiungere che la media dei punteggi conseguiti dai quindicenni italiani nelle prove strutturate di matematica PISA non sono sostanzialmente diversi da quelli dei coetanei lituani, svedesi, croati, norvegesi, islandesi, serbi o turchi. Si può anche sottolineare il fatto che il sistema scolastico italiano è contraddistinto da una forte carenza di “studenti eccellenti” in matematica e noi sappiamo che a livello mondiale lo sviluppo, il progresso economico, la competizione, la distribuzione della ricchezza sono molto influenzati dalla presenza di specialisti in matematica o da una diffusa conoscenza della matematica anche a livelli elevati. Questo significa che nel sistema scolastico italiano occorre impostare iniziative per migliorare l’insegnamento nell'apprendimento della matematica sotto tutte le sue forme in tutte le classi di età. Dai punteggi prodotti dalle prove strutturate dell'indagine PISA si possono estrarre molte altre informazioni ma occorre anche specificare che questa indagine non mira a valutare né i sistemi scolastici, né le politiche scolastiche, né gli insegnanti. L'indagine è stata concepita soprattutto per raccogliere informazioni sul livello di apprendimento e sulla padronanza del sapere scolastico ( che non è il sapere) degli studenti alla fine della scolarità obbligatoria e per comparare questi risultati tra sistemi scolastici nei quali la durata dell'istruzione obbligatoria è pressoché simile o addirittura uguale. Inoltre, finora, l'indagine ha messo a punto solo 3 strumenti: il test sulla cultura matematica di cui stiamo parlando, il test di cultura scientifica (la prossima indagine PISA sarà nel 2015 proprio sulla cultura scientifica), il test sulla comprensione dei testi scritti. Esiste inoltre un questionario per gli studenti ed uno per i dirigenti. Nel 2012 si è provato anche un test sulla cultura finanziaria dei quindicenni. La partecipazione a questo esperimento era facoltativa ma l’Italia ha partecipato a questa prova. Anche in questo caso, l'estrapolazione del significato politico dei punteggi conseguiti dagli studenti quindicenni ai quali è stato somministrato il test va effettuata con la massima cautela. A mio parere non si possono utilizzare le informazioni fornite da questi strumenti per valutare una scuola o gli insegnanti. Il test PISA non è stato forgiato per questi scopi. L'indagine PIAAC Anche questa indagine alla quale tra l'altro l’ Italia ha partecipato ( l’Italia partecipa a moltissime indagini internazionali) fornisce indicazioni utili per valutare la qualità delle scuole, il livello di istruzione della popolazione, l'efficacia delle politiche scolastiche. In un certo senso l’indagine PIAAC è più utile dell’indagine PISA. Il termine PIAAC è un acronimo inglese che significa "Programme for International Assessment of Adults competencies". Questo test è molto dissimile dall'indagine PISA poiché valuta la cultura scientifica, quella matematica nonché le competenze nella comprensione dei testi scritti della popolazione adulta, ossia della popolazione compresa tra i 16 e i 65 anni. Dunque gli studenti quindicenni ai quali fu somministrato il primo test PISA nel 2000 adesso dovrebbero avere 24 anni in media. È molto tentante pertanto stabilire un collegamento tra cosa è rimasto di quello che si è appreso nella scuola di base fino a 15 anni e tutto quanto si è appreso dopo, nel corso della vita. Le indagini sulla popolazione adulta sono molto difficili e costose perché gli adulti selezionati per l'indagine secondo criteri statistici ormai consolidati non si trovano nelle classi come lo sono i quindicenni, ma lavorano oppure stanno a casa, per cui occorre scovarli, prendere appuntamento con loro. In genere, la metodologia dominante per svolgere questo tipo di indagini è quella dell’intervista telefonica. L'Italia ha partecipato alle tre valutazioni delle competenze delle conoscenze della popolazione adulta organizzate nel corso di questi ultimi vent'anni per cui si dispongono di informazioni sui 65 anni italiani cioè su coloro che avevano terminato la scolarizzazione obbligatoria in media attorno al 1960, ossia prima dell'introduzione della scuola media unica, ma anche sulla fascia di età della popolazione giovane tra i 19 e i 24 anni oppure quella tra i 25 e i 29 anni, ovverosia di informazione sulla padronanza delle competenze cosiddette di base della popolazione che ha appena terminato la scolarità. Il confronto fra i punteggi dei giovani e quelli degli anziani permette in un certo senso di formulare un giudizio sul livello di istruzione e sulla qualità dell'insegnamento e delle scuole in due periodi storici diversi, quello dell'immediato dopoguerra è quello più recente, ma questi lavori sono molto delicati e non mi risulta che in Italia questi confronti siano stati effettuati. Per esempio, in uno dei volumi pubblicati dall'OCSE sui risultati dell'indagine PIAAC si trova una tavola sulla varianza delle competenze nella comprensione dei testi della popolazione anziana (fascia di età tra i 55 e i 65 anni) e della popolazione adulta giovane (fascia di età tra i 16 e i 24 anni). Orbene, in Inghilterra e nell'Irlanda del Nord, il livello di competenze di questi due gruppi è molto simile mentre invece nella Corea del Sud il divario è enorme. Da qui si può dedurre che le politiche scolastiche inglesi non hanno molto cambiato da allora e non hanno neppure migliorato sostanzialmente gli apprendimenti nel corso di questi ultimi sessant'anni, mentre invece nella Corea del Sud si sono fatti cambiamenti scolastici spettacolari che hanno profondamente trasformato il sistema scolastico con conseguenze innegabili sulla qualità degli apprendimenti della popolazione giovane che è molto più istruita che non la popolazione anziana. In altri termini, nella Corea del Sud è stata applicata una politica scolastica nel corso di questi ultimi decenni che ha permesso di migliorare sensibilmente la qualità dell'istruzione. Non ho scovato confronti simili per l'Italia. Con questo tipo di indagini si possono effettuare interpretazioni di grande qualità sulle modalità di apprendimento, sui programmi scolastici, sulle prassi di insegnamento, sull'uso del sapere e sulla configurazione della cultura diffusa in una società, sulle connessioni tra istruzione scolastica e attività professionale, sulla capacità di comprensione della vita politica da parte della popolazione adulta, sulle correlazioni esistenti tra livelli di istruzione e partecipazione alla vita democratica, oppure sulla cura della salute o lo sviluppo del capitale umano e sociale. Queste informazioni esistono per i tre paesi citati. L'indagine PIAAC non è la prima di questo tipo che è stata svolta nel mondo. La prima fu effettuata soltanto recentemente, nel 1994-1995 ed è nota con l'acronimo “IALS” (si tratta ancora di un acronimo inglese che significa “International Adult Literacy Survey") è la seconda è stata effettuata nel 2002 ed è nota con l'acronimo “ALL" (anche questo è un acronimo inglese e significa “Adult Literacy and Lifeskills"), ma l'OCSE recentemente si è impadronita di questo tipo d'indagini sulla popolazione adulta e si vedrà nei prossimi anni quali saranno gli sfruttamenti e le interpretazioni che gli esperti dell'OCSE produrranno. Per ora, si può già constatare che l'OCSE ha sfruttato questi dati per l'ultimo insieme di indicatori internazionali dell'istruzione (l'insieme INES) senza però trarre conseguenze molto eloquenti dal punto di vista delle politiche scolastiche. I risultati dell'indagine svolta in Italia furono subito diffusi dall'ISFOL, l'ente che ha pilotato l'indagine in Italia. I risultati italiani non sono in generale buoni e sono tali da destare preoccupazioni, ma occorre anche affermare che il livello di istruzione misurato con gli strumenti messi a punto nelle due indagini precedenti hanno fornito indicazioni allarmanti sul livello di istruzione della popolazione adulta anche in altri paesi che avevano partecipato all'indagine. Per esempio, i livelli di competenza nella comprensione dei testi della popolazione adulta francese nel 1994-95 erano talmente scadenti che il governo francese ha esercitato una vera e propria censura sulla pubblicazione dei dati ed ha proibito all'OCSE di pubblicare i punteggi francesi. L’OCSE ha dovuto rifare il volume già impaginato per la stampa. Un altro esempio viene dalla Svizzera che è uno dei paesi che spendono di più per l’istruzione al mondo. Anche in questo caso i livelli di competenza in lettura delle fasce d'età anziane erano assai bassi. Ma la Confederazione elvetica non ha censurato l’OCSE. Questo significa che tra la fine della scolarizzazione e il termine della vita professionale succedono fenomeni che ancora si ignorano e che hanno un’ incidenza indubbia su quanto si impara durante gli anni di scuola. Per quel che riguarda la lettura è comprovato che se non si continua a leggere dopo aver terminato la scuola oppure se a scuola si è appreso a leggere in maniera imperfetta, molto presto si disimpara a leggere e si ridiventa in un certo senso analfabeti. Nella maggior parte delle tavole pubblicate dall'OCSE sui punteggi della popolazione adulta nei test nell'indagine PIAAC l'Italia è un paese che si trova quasi ovunque in coda al treno. Da questo punto di vista non esiste una differenza significativa tra i punteggi che si conseguono nelle indagini PISA sulle competenze dei quindicenni al momento di terminare l'obbligo scolastico e i punteggi della popolazione adulta conseguiti nelle prove standardizzate dell'indagine PIAAC: sussiste una grande disparità tra Nord e Sud Italia, il ritardo nelle tre discipline trattate nel test è rilevante, esistono carenze fortissime nella popolazione adulta per quel che riguarda l'uso delle nuove tecnologie della comunicazione dell'informazione, aspetto che è stato integrato nell'indagine PIAAC. Dunque, rispetto ad altri paesi della stessa importanza economica dell'Italia, il livello di istruzione della popolazione adulta italiana tra i 16 e i 65 anni non brilla affatto. Ci si può chiedere quale sia l'incidenza della qualità delle scuole su questi risultati. Infatti, non si deve scordare che non tutto quanto si apprende lo si apprende nelle scuole, soprattutto quando si è adulti e che tra la fine della scolarità obbligatoria e l'entrata nella vita professionale succedono molte cose che possono avere un’ incidenza sul livello di istruzione della popolazione adulta. Nondimeno, di un fatto si può essere certi poiché ci sono prove scientifiche sufficienti che lo dimostrano, ossia che le competenze in lettura dipendono moltissimo dalla lettura: se non si continua a leggere si perde quel poco o quel tanto che si è appreso a scuola. Anche in questo caso, si nota l'assenza in Italia di una politica dell'istruzione degli adulti. Poco importa che questa sia di formazione professionale o di cultura generale. Tanti anni fa, probabilmente, il salariato non aveva bisogno di elevati livelli di istruzione per trovare un posto di lavoro. Quest'epoca è terminata. La manodopera sotto istruita e a buon mercato è fornita dalla popolazione immigrata e non più dagli indigeni. Dunque, la situazione italiana non è brillante ma non è nemmeno catastrofica. Indubbiamente, la formazione e l’istruzione degli adulti è deficiente e non esiste una politica specifica di sostegno e sviluppo di questo tipo di formazione. Un'altra conclusione da trarre potrebbe essere la seguente: questa situazione non è colpa del sistema scolastico. Apparentemente ( siccome non ci sono molte indagini in Italia sui temi indicati qui di seguito per cui occorre essere cauti), la crisi socio-economica e le trasformazioni tecnologiche e culturali che hanno profondamente modificato le società contemporanee dopo il 1970 sono state digerite dall'apparato scolastico italiano. Capitolo tre: I miti del passato Quando si pone la domanda: la scuola del passato non era forse migliore della attuale e si adducono una serie di argomenti per giustificare questa ferrea convinzione mi sento molto imbarazzato nel rispondere. Non condivido infatti taluni aspetti della scuola attuale e mi astengo dal farne un elenco qui ma confesso anche che l’istruzione contemporanea nelle scuole è migliore e non solo diversa di quella del passato. Ho avuto due fortune: la prima è quella di ereditare 40 diari di scuola di mio nonno che era insegnante di scuola elementare , un diario per ogni anno scolastico. Leggendo i diari del nonno mi sono reso conto che la scuola agli inizi degli anni Novanta non era affatto un paradiso. Lui ha iniziato ad insegnare nel 1900. La seconda di discutere spesso con il mio allenatore sportivo, ex-professore di matematica e poi allenatore in un club di box, di questa questione. Ore e ore di lamentele, di denunce, di esempi sbandierati da una persona sessantenne. Ed ora ho qui sul tavolo un libretto francese di Michel Jeury e Jean-Daniel Baltassat, pubblicato per la prima volta quindici anni fa, intitolato: « Petite histoire de l’enseignement de la morale à l’école. Editore Laffont, Parigi. Anche il diario di mio nonno inizia con una lezione di morale il primo giorno di scuola. Non posso citare la data perché ho depositato i quaderni del diario all’archivio di Stato. Cosa è cambiato? Dopo questa premessa si può entrare in materia: che cosa è cambiato? Tutto é cambiato e nulla è cambiato , affermano i due autori francesi nella prefazione. Rispetto la visione idilliaca della scuola del passato dei miei interlocutori ma non la condivido. Sono andato a scuola una sessantina di anni fa e non ho un piacevole ricordo. Ritengo che i miei nipotini frequentano una scuola migliore di quella dei miei tempi anche se non si divertono molto ma in ogni modo si divertono più di quanto mi divertisi io. Divertirsi imparando beninteso. Anche adesso si soffre quando si impara. Ho sofferto ed ho perso moltissimo tempo per apprendere nozioni del tutto inutili e per svilgere compiti famigerati. Non ho la nostalgia di una « belle époque » scolastica. Credo che non ci sia mai stata una « belle époque » di questo tipo. Si dovrebbero intervistare i diretti interessati, ma molti sono scomparsi, deceduti. Il parere dei sopravvissuti non è né autorevole né sufficiente. La scuola di un tempo era un rifugio per molti poveri diavoli , ha permesso a molte persone di farsi una posizione sociale decente nella vita, ma i puniti, gli esclusi, furono numerosissimi. Era una scuola terribile: bella per pochi e tremenda per molti. Si bocciava moltissimo, si puniva per un nonnulla, oggi diremmo che si selezionava parecchio. Ai miei tempi si diceva che la scuola scremava e separava la gramigna dal buon grano. Non so darne una spiegazione perché non sono uno storico dell’istruzione. Forse questa era una funzione ufficiale della scuola statale, e gli insegnanti , funzionari statali , ricevevano indicazioni in questo senso da parte dei loro superiori, dalle autorità, dai politici e dalle famiglie. La scuola non era un paradiso ( forse , in molti casi, non lo è neppure ora anche se funziona in modo diverso). Gli aneddoti non mancano e se ne potrebbero raccontare delle belle per ore e ore, ma non riesco a sfoderarli di fronte ai miei interlocutori che hanno la nostalgia della scuola del passato. Questi coltivano illusioni e falsificano i loro ricordi. Qua e là sussistono edifici scolastici dell’epoca, restaurati in modo delizioso e con grande buon gusto. Ma ciò non serve a raccontare quanto succedeva dentro le aule o nei corridoi. Non trovo la parata per seminare almeno il dubbio che nel servizio statale di tantissimi decenni fa non tutto era oro colato, che si apprendevano bene talune nozioni scolastiche che servivano a quei tempi per selezionare e per posizionarsi in modo decoroso nella vita professionale, ma nella scuola odierna si apprendono altre nozioni che servono più o meno per gli stessi scopi . In entrambi i casi la funzione del servizio scolastico resta la stessa: preparare ad inserirsi in un modo e nell’altro nella società, produrre una popolazione diligente e ubbidiente. Mi viene spesso da sorridere quando intavolo queste discussioni, proprio come i due autori francesi appena citati. C’è da ridere (oppure da piangere, a seconda dei punti di vista). Alla domanda: il livello di conoscenze scolastiche è più alto o più basso ora che non un secolo fa, non si può rispondere. Il livello è diverso. Gli studenti odierni apprendono a scuola altre cose che non quelli del 1900. I miei interlocutori, non poi così tanto anziani, rimuovono i loro pessimi ricordi, le sberle, gli schiaffi, gli insulti, e coltivano solo quelli belli: le buone note, gli elogi, gli scherzi. Dopo tutto, come molti autori hanno detto e scritto , a scuola ci si divertiva. Il concetto di autorità non era quello odierno ma il piacere di violarlo, di trasgredirlo, era insuperabile come lo è ora. Penso a mio nipote la cui scrittura è oscena perché, come dice lui, anche i medici scrivono male e a ricreazione, sul cellulare , con i compagni, ascolta clips proibiti o viola il controllo parentale. I miei compagni invece fumavano di nascosto. Taluni, bravissimi, hanno pagato caro questo divertimento e sono decessi male e presto. Li ricordo con commozione. Ma quella scuola era davvero migliore di quella odierna? Non lo credo affatto. Era diversa, ecco tutto. Molte vicende losche sono state censurate da coloro che esaltano la scuola del passato. Conclusione: La scuola italiana contemporanea Per concludere, un accenno succinto s’impone a proposito della scuola italiana contemporanea. La prima osservazione riguarda la presenza di un vero e proprio baratro tra il sistema scolastico italiano e la maggior parte dei sistemi scolastici concorrenziali o meno con quello italiano. Questa è un’ osservazione superficiale perché deriva da un rapido sguardo sul servizio scolastico statale esistente in Italia. L’impressione che se ne deduce immediatamente è quella di un sistema scolastico in gran parte obsoleto, non all’altezza dei tempi. Ci sono beninteso situazioni, scuole, regimi di istruzione moderni o come si preferisce oggigiorno dire, avanzati o d’avanguardia, ma considerata l’estensione dell’Italia e la densità della popolazione non si può non restare impressionati dalla senescenza dell’apparato di istruzione. L’osservatore straniero è in primo luogo sorpreso dall’importanza e dalla dimensione riservata al ministero centrale dell’amministrazione scolastica, ossia al MIUR a Roma. In secondo luogo colpisce la presenza di numerosi edifici poco curati ed in terzo luogo la presenza di un personale numerosissimo nelle scuole per cui si fa fatica a capire quale sia la sua funzione. Il sistema scolastico italiano in genere sembra non avere evoluto moltissimo da decenni. Si ha a che fare con un apparato scolastico che soffre di un ritardo cronico, aggravato da mali che sembrano incurabili. Il sistema scolastico italiano soffre di staticità e immobilismo. In 150 anni è ovviamente cambiato, ma grosso modo le sue prestazioni e il suo modo di funzionamento non sono mutati. Come lo afferma il capitolo dedicato all’istruzione inserito nel volume pubblicato dalla casa editrice il Mulino in occasione del 150º dell’unità d’Italia (G. Vecchi, 2011: In ricchezza in povertà. Il benessere degli italiani dall’unità a oggi, pp. 158-206) nel 1870 l’Italia era un paese grosso modo sotto-istruito, con una proporzione molto elevata di adulti totalmente analfabeti, che non avevano mai frequentato la scuola; nel 2012, il paese è ancora sotto-istruito, ma in un altro modo, come lo si deduce quando si prendono in considerazione per esempio, i punteggi dei quindicenni nell’indagine internazionale PISA dell’OCSE oppure i punteggi della popolazione adulta dai 16 ai 64 anni forniti dall’indagine PIAAC che pure è stata eseguita nell’ambito dell’OCSE. Si deve però anche aggiungere che il livello di competenza alfabetica dei quindicenni italiani odierni pur non essendo strabiliante com’è stato segnalato nel primo capitolo permette di ottenere una comprensione quasi generale della lingua italiana in tutto il paese. Ci si può però chiedere se questo risultato è puro merito dell’istruzione scolastica oppure se è dovuto ad altri fattori che non sono stati fin qui presi in considerazione. Il celebre linguista Tullio de Mauro che fu anche ministro dell’istruzione, afferma che solo la metà della popolazione italiana contemporanea capisce la lingua italiana ed i risultati dell’indagine PIAAC confermano piuttosto questa affermazione. Quindi, si può sostenere che il sistema scolastico italiano non è all’altezza dei tempi e che l’alfabetizzazione di massa non è perfettamente riuscita. Una buona metà della popolazione, distribuita in varie fasce di età, non capisce o capisce a malapena la lingua ufficiale del paese, ossia l’italiano. D’altra parte, in questi ultimi mesi, anche le autorità politiche italiane si sono accorte che la proporzione degli studenti che abbandonano gli studi, ossia la dimensione della dispersione scolastica, è molto elevata. L’Italia, come alcuni altri paesi europei, si trova nel gruppo di coda dei paesi con una forte proporzione di giovani privi di una qualsiasi formazione posteriore alla fine della scuola dell’obbligo e con una formazione di base alquanto zoppicante. In questo caso non si può parlare di colpe perché queste sono distribuite tra molteplici attori. Indubbiamente i responsabili scolastici ne hanno parecchie: l’amministrazione scolastica italiana è pachidermica e si rivela incapace di gestire le novità, la flessibilità, la diversità che nel paese da Nord a Sud è alquanto pronunciata. Il Trentino non è la Sicilia. Si ha a che fare con un apparato scolastico obsoleto, non in grado fino a questo momento di gestire la decentralizzazione del sistema scolastico e neppure l’autonomia degli istituti scolastici. Le buone note conseguite nelle prove standardizzate assegnate al sistema scolastico italiano per il piccolo divario esistente tra studenti od adulti provenienti da ceti sociali diversi devono essere interpretate anche come la manifestazione della presenza di un disprezzo per la formazione e la cultura elitarie. Questo è il rovescio della medaglia, aggravato dalla povertà e dalla miseria di un gran parte del corpo insegnante il quale svolge miracoli per almeno riuscire a conseguire risultati che non peggiorano le discriminazioni sociali o che non accentuano le procedure di segregazione sociale ma questo risultato è conseguito a prezzi molto elevati. Il corpo insegnante italiano è diligente, svolge un lavoro ingrato in condizioni in gran parte molto spiacevoli. Infine, uno dei punti deboli del sistema scolastico italiano e del servizio scolastico statale è la carenza di indagini scientifiche rigorose e di dati sufficienti per conoscere e per capire il mondo scolastico. In conclusione, si può quindi affermare che la scuola italiana contemporanea non è né peggiore né migliore di quella di un tempo. La scuola di un secolo fa era del tutto diversa da quella contemporanea. Si ha a che fare con due mondi diversi e opposti nei quali si insegnano conoscenze diverse con priorità socio-economiche differenti. I difetti però del servizio scolastico di un tempo sono simili a quelli odierni, si sono riprodotti per decenni, ed anche se questa conclusione si basa su impressioni, letture affrettate, indagini assai rare, mi pare che sia piuttosto esatta. Tra i difetti principali si possono citare l’ingiustizia del sistema scolastico, il verbalismo, la scarsa equità. In conclusione si può affermare che si ha che fare con un sistema scolastico mediocre, in ritardo rispetto ai sistemi scolastici dei paesi con i quali l’economia italiana è mondialmente in competizione.