Indice Presentazione della Segreteria Nazionale FISAC CGIL Introduzione Avv. Enzo Martino - Foro di Torino 1. 2. 3. 4. 5. 6. Pag.2 Pag.9 Premessa Il testo originario del 1942 La riforma del 1990 Il decreto legislativo n. 18 del 2001 La Riforma “Biagi” La procedura di consultazione sindacale di cui all’art. 47 legge 428/1990 Dottrina a cura del dott. Alberto Massaia Piergiovanni Alleva: La ricerca e l'analisi dei punti critici del DLGS n. 276/2003 in materia di occupazione e mercato del lavoro Pag.21 da “Rivista Giuridica del Lavoro” anno 2003 n. 4 Le due “aree tematiche” del Decreto delegato ed i relativi istituti La separazione del lavoro dall’impresa: somministrazioni di lavoro appalti (di sola manodopera), comando di lavoratori. I trasferimenti di ramo d’azienda e le modifiche all’art. 2112 c.c. Amos Andreoni : Il lavoro nell’Impresa di Gruppo da “Il lavoro tra progresso e mercificazione” Commento critico al DLGS 276/2003 -dizioni EDIESSE 2004 Pag.32 I contenuti della miniriforma Impresa dì gruppo e titolarità dei rapporti di lavoro. Lavoro italiano all’estero, gruppi di impresa e tutela previdenziale. Le riforme legislative auspicabili 4 Michele De Felice: Il trasferimento d'azienda e di ramo d'azienda nel DLGS attuativo della legge n. 30/2003 Pag.39 Relazione al Convegno della Consulta Giuridica della CGIL Roma 3 ottobre 2003 Le norme in materia di trasferimento di azienda La disciplina delle vicende circolatorie del “ramo d’azienda“ Il requisito della preesistenza La verifica "ex post" della sussistenza dei requisiti di identificabilità quale "ramo d'azienda" dell'entità oggetto della cessione Gli strumenti sanzionatori e di tutela Le cessioni fraudolente Clotilde Fierro: “Trasferimento d'azienda e modifica dell’ articolo 2112 cod.civ, appalto di manodopera e distacco dei lavoratori” Pag.53 da"Lariformadeldiritto dellavoro-dalmitodellaflessibilità allarealtàdelprecariato" Atti del ConvegnoCGIL Piemonte eMagistraturaDemocratica Torino 2004 Trasferimento d’azienda e di ramo dopo la legge 276 Appalto di manodopera Distacco Antonio Vallebona: Il trasferimento d’azienda da “La riforma dei lavori”, Cedam Padova 2004 Pag.64 La nozione. La procedura sindacale. La prosecuzione dei rapporti di lavoro. La conservazione dei diritti del lavoratore e la disciplina collettiva. La garanzia dei crediti del lavoratore. Il trasferimento di azienda in crisi. Altre vicende soggettive 5 Normativa CODICE CIVILE: ART. 2112 MODIFICATODALLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990 N. 428 ART. 2112 SOSTITUITODALL’ART. 1 DEL D. LGS. N.18/ 2001 ART. 2112 MODIFICATODALL’ARTICOLO32 DEL D. LGS. N. 276/2003 Pag.81 LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428- ART. 47 Pag.83 ART. 47 DELLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428 MODIFICATO DALL’ARTICOLO 2. DEL D. LGS. 2 FEBBRAIO 2001 N. 18 Pag.85 DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 14 FEBBRAIO 1977 N.187 Pag.86 DIRETTIVA 98/50/CE DEL CONSIGLIO DEL 29 GIUGNO 1998 Pag.89 DIRETTIVA 2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001 Pag.95 Giurisprudenza Cassazione civile sezione lavoro 22 luglio 2002 n. 10701 Pag.104 Cassazione civile sezione lavoro 23 luglio 2002 n. 10761 Pag.105 Cassazione civile sezione lavoro 25 ottobre 2002 n. 15105 Pag.105 Cassazione civile sezione lavoro 4 dicembre 2002 n. 17207 Pag.106 Cassazione civile sezione lavoro 14 dicembre 2002 n. 17919 Pag.106 Accordi Sindacali Gruppo UniCredito Cessione dei rami di azienda relativi alla gestione ed allo sviluppo dei sistemi informativi e dei processi organizzativi 13.1. 2001 Milano Pag.108 Realizzazione del "Progetto S3" 18.6. 2002 Milano Pag.113 Cessione attività Gestioni Patrimoniali di Banca dell’Umbria a Pioneer Investment Management SGR 30.3. 2005 Milano Pag.118 6 Gruppo San Paolo IMI Scorporo e Conferimento della rete distributiva di Campania, Puglia, Basilicata , Calabria da San Paolo a San Paolo Banco di Napoli 30/01/03 Torino Pag.120 Fusione Cardine Finanziaria in San Paolo IMI 9.10. 2004 Torino Pag.126 Cessioni filiali (Integrazione Banche Reti) 7 .12. 2004 Torino Pag.131 Gruppo Banca Intesa Fusione per incorporazione in Banca Intesa di BAV, CARIPLO, MCL e COMIT 13 aprile 2001 Pag.135 Fusione per incorporazione di I.S.S in Banca Intesa 2.12.2004 Milano Pag.145 I.N.A Assicurazioni Trasferimento di Ramo d’azienda - Settore Immobiliare INA 4.6..1998 Roma Pag.147 RAS Assicurazioni Conferimento attività gestione e liquidazione dei sinistri di RAS in RasService gennaio 2002 Milano Pag.150 Appendice Esplicativa a cura del Dipartimento Legale della Fisac Nazionale Giuseppe Farenga Trasferimento d’azienda e di ramo Nozione diritti dei lavoratori ceduti informative sindacali cessione del controllo azionario Quadro sinottico della normativa vigente a cura di Fulvio Caldini Pag.153 Pag.159 7 Avvocato Enzo Martino Foro di Torino - Consulta Giuridica CGIL Il trasferimento d’azienda nel diritto del lavoro SOMMARIO: 1. 2. 3. 4. 5. 6. Premessa Il testo originario del 1942 La riforma del 1990 Il decreto legislativo n. 18 del 2001 La Riforma Biagi La procedura di consultazione sindacale di cui all’art. 47 legge 428/1990 Premessa La sorte del rapporto di lavoro nel caso di trasferimento d'azienda trova la sua prima regolamentazione base nell'art. 2112 del codice civile del 1942. Per meglio comprendere la disciplina attualmente vigente, è necessario esaminare le numerose modifiche legislative intervenute da allora nella loro dinamica storica. Poiché su questo tema la giurisprudenza ha svolto un ruolo importante, e spesso anticipatorio delle successive riforme legislative, sarà necessario anche qualche breve cenno su alcuni orientamenti interpretativi in particolare della Suprema Corte. Il testo originario del 1942 Nel suo testo originario l'art. 2112 cod. civ. prevedeva che "in caso di trasferimento d'azienda, se l'alienante non ha dato disdetta in tempo utile, il contratto di lavoro continua con l'acquirente, e il prestatore conserva i diritti derivanti dall'anzianità raggiunta anteriormente al trasferimento". La norma -espressamente estesa anche ai casi di usufrutto o affitto dell'azienda prevedeva altresì che l'acquirente fosse obbligato in solido con l'alienante per tutti i crediti vantati dal prestatore di lavoro al tempo del trasferimento, sempre che l'acquirente ne avesse avuto conoscenza al momento del trasferimento 9 ovvero i crediti stessi risultassero dai libri dell' azienda ovvero dal libretto di lavoro del dipendente. Con l'intervento delle organizzazioni sindacali, il lavoratore poteva infine liberare l'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Com'è noto, all'epoca non esisteva un disciplina vincolistica dei licenziamenti, ed il datore di lavoro poteva recedere dal rapporto "ad nutum" (con un cenno del capo), con il solo obbligo di rispettare il preavviso (ovvero di corrisponderne l'equivalente pecuniario). In caso di sussistenza di una giusta causa (causa così grave da non consentire nemmeno la prosecuzione provvisoria del rapporto, ai sensi dell'art. 2119 cod. civ.) il lavoratore perdeva anche il preavviso (ed in origine anche l'indennità di anzianità!). In questo contesto normativo ben si comprende perché il testo originario dell'art. 2112, nel suo primo comma, parli di "disdetta in tempo utile" da parte dell' alienante, come modo per impedire la continuazione del rapporto in capo all'acquirente. La possibilità di disdetta era dunque coerente con la libera recedibilità dal rapporto di lavoro. Lo scenario di fondo era però destinato a mutare. Com'è noto, nel nostro ordinamento venne introdotta una disciplina legislativa vincolistica in materia di licenziamenti individuali soltanto a metà degli anni '60, con la legge 15 luglio 1966, n. 604. La legge - anticipata da due accordi interconfederali degli anni sessanta applicabili nel solo settore industriale prevedeva una tutela soltanto "obbligatoria" (pagamento di una penale economica) a carico dei datori di lavoro con oltre i 35 dipendenti, in caso di licenziamento privo di giusta causa ovvero di giustificato motivo (oggettivo o soggettivo). La tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di licenziamento illegittimo) venne introdotta con l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970 n.300), per le aziende oltre i 15 dipendenti. La disposizione venne poi ulteriormente migliorata con la legge 108 del 1990, che introdusse anche per la prima volta una tutela, sia pure soltanto obbligatoria, per le imprese minori. La legge 223 del 1991 estese poi l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori anche ai licenziamenti collettivi. La prima grande operazione interpretativa effettuata dalla giurisprudenza fu quella di adattare il vecchio testo dell'art. 2112 cod. civ., colpevolmente lasciato inalterato dal legislatore, al nuovo contesto normativo. Dall'entrata in vigore della disciplina vincolistica, la giurisprudenza cominciò ad affermare che il trasferimento d'azienda non costituiva, in quanto tale, un giustificato motivo di recesso, e pertanto la disdetta di cui parlava il vecchi testo 10 dell'art. 2112 cod. civ. non poteva essere liberamente esercitata in assenza dei presupposti oggettivi normalmente richiesti per un licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo, ovvero per una riduzione di personale. Con ciò venne anticipata una disposizione poi introdotta, come vedremo, nella riforma del 1990. La riforma del 1990 L'Italia per anni rimase inadempiente rispetto ai precetti emanati in sede comunitaria (direttiva CE n. 187 del 1977), nonostante il ruolo di supplenza esercitato dalla giurisprudenza. La riforma arrivò finalmente con la Legge Comunitaria del 1990 (L. 29 dicembre 1990 n. 428), con la quale da un lato venne introdotta per la prima volta una procedura obbligatoria di consultazione sindacale (il noto articolo 47), e dall'altro vennero sostituiti i primi tre commi dell'art. 2112 cod. civ.. La procedura di consultazione sindacale, che fu ancora modificata nel 2001, verrà esaminata più avanti nel testo attualmente vigente. Quanto alle modifiche di carattere sostanziale all'art. 2112, va segnalata anzitutto la previsione sulla scia della giurisprudenza sopra richiamata - che il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento; il richiamo alle procedure di cui agli articoli 410 e 411 c.p.c. come strumento per consentire la liberazione dell'alienante dalla responsabilità in solido per i crediti vantati dai lavoratori; infine - e per la prima volta la previsione dell'obbligo dell'acquirente di continuare ad applicare i trattamenti economici previsti dai contratti collettivi, anche aziendali, vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa dell' acquirente. – Il decreto legislativo n 18 del 2001 Il decreto legislativo n. 18 del 2001 - emanato su delega del Parlamento contenuta nella "legge comunitaria" 21/12/1999- costituisce in pratica il testo base della disciplina attuale, a parte i peggioramenti apportati di recente con la cosiddetta Riforma Biagi (peggioramenti che esamineremo). Anche l'intervento normativo del 200l è nato sotto l'impulso di una direttiva CEE (la n. 50 del 1998), ed ha rappresentato, a mio modo di vedere, un corretto punto di equilibrio tra esigenze di flessibilità delle imprese ed esigenze di tutela dei lavoratori coinvolti nei processi di ristrutturazione. Inoltre, con quell' intervento legislativo, si tentò di porre un freno agli abusi costituiti da esternalizzazioni fittizie e di comodo, tanto che l'obiettivo della controriforma del 2003, come vedremo, è stato proprio quello di operare un 11 drastico ridimensionamento delle disposizioni antifraudolente contenute nel decreto del 200l. Parte delle modifiche del 200l sono di natura formale, o comunque non rappresentano che una presa d'atto dei risultati cui era già giunta la giurisprudenza. Tra queste modifiche di carattere tecnico, tutte ancora in vigore, si possono annoverare: • il mutamento della rubrica ("mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda anziché "trasferimento d'azienda”), più consono allo spirito della normativa europea; • la sostituzione dei termini "alienante" ed "acquirente", con "cedente" e "cessionario", in coerenza con un' altra grande operazione interpretativa della giurisprudenza, che aveva esteso l'applicabilità delle tutele ad ogni ipotesi di trasferimento, a prescindere dalla tipologia negoziale adottata dai due imprenditori (e dunque non solo all'usufiutto ed all'affitto, così come espressamente previsto nel testo originario del 1942); • la collocazione,con qualche modifica, nel corpo dell'art. 2112 della precisazione- già contenuta nella disciplina procedurale dell' art. 47 - che il licenziamento non costituisce di per sé motivo di licenziamento; Dal punto di vista più sostanziale, invece, va segnalata in primo luogo l'elaborazione di una nozione giuslavoristica di trasferimento d'azienda autonoma da quella civilistica generale. La nozione adottata dalla nuova normativa è più ampia rispetto a quella del diritto commerciale, in quanto è incentrata sul concetto di "mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata" piuttosto che sul concetto di mero trasferimento di beni, sia pure finalizzati all'esercizio di un'attività economica (confronta art. 2555 cod. civ. secondo il quale l'azienda è il complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa). Ci si allontana, in altre parole, dalla nozione di azienda (art. 2555 cod. civ.), preferendo fare riferimento alla nozione di impresa (art. 2082). A questa estensione del concetto di azienda, che persegue lo scopo di allargare l'ambito di tutela (come peraltro persegue lo stesso scopo la precisazione che l'attività economica organizzata può essere "con o senza scopo di lucro", con conseguente estensione della tutela anche ai dipendenti di datori di lavoro non imprenditori), fanno però da contraltare alcune precisazioni importanti, applicabili in particolare alla cessione di "ramo" d'azienda, e cioè alla fattispecie che più si presta ad abusi ed in particolare esternalizzazioni di comodo ovvero mere cessioni di personale. 12 Nel corso degli anni, infatti, si era assistito ad una sorta di mutazione genetica nella applicazione dell'art. 2112, che da strumento di tutela della continuità del rapporto di lavoro, era talora utilizzato come ombrello protettivo per realizzare espulsioni collettive di lavoratori ad imprenditori di comodo, spesso emanazione della stessa società cedente, a prescindere dal consenso dei lavoratori stessi, e senza le garanzie previste per i licenziamenti collettivi. Per porre un freno a questi abusi, realizzati soprattutto nella cessione di presunti rami d'azienda in realtà costituiti da pluralità di lavoratori individuati in base alla mera volontà dell'imprenditore, furono inserite alcune importanti disposizioni antifraudolente. In particolare vennero inserite le norme secondo le quali il ramo doveva essere un’articolazione funzionalmente autonoma dell’azienda, doveva preesistere come tale rispetto al trasferimento, e doveva conservare nella traslazione la propria identità. E' su queste disposizioni antielusive che si è in particolare accanita la controriforma Biagi. Tornando alla disposizioni del 2001, va ricordata la norma (questa ancora in vigore) secondo cui l'effetto di immediata sostituzione dei contratti collettivi si produce soltanto fra contratti collettivi del medesimo livello. In materia di successione di contratti collettivi, dunque, le regole attualmente in vigore comportano che il cessionario è tenuto ad applicare i contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti, del medesimo livello, applicabili presso l'impresa del cessionario. Il rigore di tali regole è in genere contemperato negli accordi sindacali di "armonizzazione" stipulati al momento del passaggio. Da ultimo, va menzionata la disposizione che prevede - sul modello del contratto dei dirigenti - il diritto di dimettersi per giusta causa per il lavoratore che, a seguito del trasferimento, abbia subìto un mutamento sostanziale nelle sue condizioni di lavoro. La norma, più che per la sua importanza intrinseca, viene ricordata perché costituisce un argomento utilizzato da coloro (ed ormai sono la stragrande maggioranza) che ritengono irrilevante il consenso del lavoratore coinvolto da un trasferimento d'azienda (ed in particolare di un suo ramo) alla cessione del proprio contratto di lavoro dal cedente al cessionario. L'opinione che il lavoratore non possa opporsi al trasferimento (ovviamente genuino) dell'azienda, o di un suo ramo, è ormai del tutto acquisita sulla base soprattutto dell’argomento pragmatico che, in caso contrario, non sarebbe mai possibile realizzare le ristrutturazioni aziendali, anche se va detto che l'opinione contraria, accolta in isolati precedenti di merito, trovava un conforto in alcuni passaggi di qualche decisione della Corte di Giustizia Europea. 13 Spazi di contestazione in sede giudiziaria sono però ancora aperti fondamentalmente sotto due profili: la contestazione circa la sussistenza di un autonomo ramo d'azienda, ovvero la contestazione dell’appartenenza del lavoratore al ramo ceduto. Prima della riforma Biagi si contrapponevano fondamentalmente due indirizzi giurisprudenziali contrastanti. Un primo, e meno recente, indirizzo (rappresentato da Cass. 22/7/2002 n. l0701 e Cass. 23/7/2002 n. 10761, relative al cosiddetto caso Alcatel), adottava un'interpretazione estensiva dell'art. 2112 cod. civ. Nelle motivazioni delle due sentenze si insiste in particolare sulla funzione protettiva della normativa in esame, secondo questa giurisprudenza costituiscono autonomo ramo d'azienda in particolare la manutenzione e la logistica. Un secondo indirizzo, di poco più recente, (rappresentato da Cass. 23/10/2002 n. 14961, Cass. 25/10/2002 n.15105 e Cass. 4/12/2002 n. 17207, Cass. 10/7/2004 n. 206, tutte relative al "caso Ansaldo"), adottava invece un'interpretazione più rigorosa, negando che costituissero ramo autonomo d'azienda in particolare i "servizi generali". Questo secondo orientamento giurisprudenziale è stato invocato in alcune interessanti vicende giudiziarie ancora in fasi di giudizio di merito, ma per il futuro bisognerà certamente fare i conti con le modifiche introdotte dalla "riforma Biagi", anche se va ricordato che i casi esaminati erano antecedenti alla riforma del 2001, e dunque in un contesto normativo simile a quello attuale. La Riforma Biagi Del tutto pretestuosa è la motivazione addotta a sostegno dell'inserimento della materia dei trasferimenti d'azienda nella riforma Biagi: la direttiva CE n. 23/2001, invocata come ragione giustificativa dell'intervento, rappresenta, infatti, un semplice coordinamento delle due precedenti direttive, e non introduce alcun elemento di novità rispetto al passato. Non vi era pertanto alcun bisogno di ricezione della direttiva nel nostro ordinamento che, in questa come in altre materie, era già pienamente conformato alla legislazione europea. La ragione vera delle modifiche dell'art. 2112 introdotte con il decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276, attuativo delle deleghe conferite con legge 14 febbraio 2003 n. 30, risiede nella volontà, tutta politica, del Governo di rendere più semplici le esternalizzazioni "di comodo" cui il legislatore del 200l ha tentato di porre un freno attraverso le norme antielusive di cui si è parlato sopra. L'art. 32 del decreto riscrive il comma V dell'art. 2112 cod. civ. ed aggiunge un VI comma. 14 Nel V comma viene opportunamente precisato che la norma si applica anche in caso di fusioni societarie (che a stretto rigore non costituiscono necessariamente trasferimento d'azienda), ma, in realtà, a tale conclusione si era già arrivati già in via interpretativa. La modifica veramente significativa riguarda però il trasferimento del ramo d'azienda: pur rimanendo integro il requisito dell’autonomia funzionale, viene abrogato, infatti, il requisito della preesistenza del ramo rispetto il trasferimento, come pure sparisce la previsione del fatto che il ramo doveva conservare nel trasferimento la sua identità. Al posto di quest'ultimo requisito, viene realizzato il vero capolavoro giuridico della controriforma, laddove si afferma che l'articolazione autonoma costituente il ramo d'azienda viene "identificato come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento.”. Secondo la dottrina più attenta la norma non può essere interpretata nel senso di attribuire addirittura un potere costitutivo in capo alle parti circa la configurazione del ramo d'azienda. Rimando alla barzelletta del prof. Alleva sull'arciprete e l'oca nel suo brillantissimo commento pubblicato sul sito giuridico della CGIL. A mio giudizio, in questa, come in altri aspetti della riforma Biagi, alla giusta indignazione deve subentrare uno spirito critico ma costruttivo, che ci consenta di perseguire in ogni sede operazioni ermeneutiche che riconducano le disposizioni, anche quelle più aberranti, ai principi generali del nostro ordinamento, e dunque a soluzioni più rispettose dei diritti dei lavoratori. Purtroppo con queste norme dovremo convivere ancora per molti anni, e non è tanto lungimirante l'avvallare interpretazioni estreme per eccesso di spirito critico. A proposito dello snodo della controriforma riguardante la nostra materia, io ritengo che si debba sostenere che le parti - nonostante le modifiche legislative non abbiano il potere di configurare ad libitum il ramo d'azienda, e ciò almeno per quattro ordini di ragioni. La prima ragione, di carattere letterale, è il termine utilizzato dal legislatore, che usa il participio passato "identificata, e non "costituita a proposito dell’articolazione autonoma oggetto di cessione. In secondo ordine di ragioni, di natura sostanziale, attiene al fatto che l'autonomia delle parti nell'identificazione del ramo si muove pur sempre nell'ambito del requisito espressamente previsto dalla legge, e cioè quello dell’autonomia funzionale. 15 Pertanto se viene riconfermato - come sarebbe auspicabile - l'orientamento più rigoroso della Cassazione, l'autonomia funzionale deve essere attuale, e non solo potenziale, ed il ramo in sostanza deve presentarsi come una piccola azienda nell’azienda, in grado di funzionare in modo autonomo e di reggersi altrettanto autonomamente sul mercato. Il terzo ordine di ragioni, di carattere sistematico, riguarda il fatto che il trasferimento di ramo d'azienda si distingue dal trasferimento d'azienda nella sua globalità da un punto di visto sostanzialmente quantitativo. Quindi sarebbe del tutto irrazionale ed ingiustificato prevedere, come sembra fare la legge, solo per l'azienda nella sua interezza i due requisiti della preesistenza e della conservazione dell'identità. Il quarto ordine di ragioni è la coerenza con la disciplina comunitaria, che il legislatore italiano aveva l'obbligo di recepire, e non certo di violare (si tenga presente che la direttiva CE 23/2001 sul trasferimento d'azienda, munita peraltro di "clausola di non regresso", stabilisce che" è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un’entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme dei mezzi organizzati alfine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria"). La conseguenza pratica di tutto questo discorso è che, qualora si sia in presenza di un ramo d'azienda privo di autonomia funzionale intesa in senso rigoroso, la normativa di cui all'art. 2112 cod. civ. non è invocabile, e quindi le cessioni dei contratti di lavoro dei dipendenti che ne siano conseguite sono illegittime per difetto del consenso individuale dei lavoratori coinvolti ex art. 1406 cod. civ. Alla stessa conseguenza pratica si deve giungere qualora, pur in presenza di una cessione di ramo d'azienda "genuino", alcuni lavoratori non vi appartengano, ma siano stati spostati in attività in esso incardinate in vista del trasferimento al fine di espellerli dall’azienda. Resta da esaminare la disciplina del VI comma dell'art. 2112 cod. civ. introdotto dall'art. 32 del decreto legislativo n. 276/2003. La norma prevede, nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto d'appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, che operi il regime di solidarietà tra appaltante ed appaltatore di cui all'art. 1676 cod. civ. La disposizione consacra la legittimità anche formale dell'insourcing, e cioè del fenomeno che più si presta ad abusi: il committente cede un ramo d'azienda, con i relativi dipendenti, ad un imprenditore (spesso emanazione dello stesso committente) che continua a svolgere esattamente la stessa attività, ma stavolta in regime di appalto. L'impresa principale resta la stessa, con il medesimo ciclo produttivo, ma l'imprenditore "dominus" resta esente da responsabilità nei 16 confronti dei dipendenti ceduti, che pure continua, di fatto, ad utilizzare sotto lo schermo giuridico di una società formalmente terza. Il VI comma si propone di contemperare la maggior liberalizzazione con una responsabilità di tipo patrimoniale, e richiama a tale scopo l'art. 1676 cod. civ. Quest'ultima disposizione, com'è noto, dispone che i dipendenti dell'appaltatore possano proporre azione diretta nei confronti dell'appaltante per conseguire quanto è loro dovuto, ma la responsabilità del committente è limitata all'ammontare del debito che quest'ultimo ha verso lo stesso appaltatore. Questa limitazione di responsabilità patrimoniale è assolutamente irrazionale, e dunque la norma è fortemente indiziata di incostituzionalità, in particolare con riguardo ad altra disposizione del decreto legislativo n. 276, e cioè l'art. 29 II comma, il quale dispone invece la solidarietà illimitata nell'appalto di servizi in genere (sia pure entro un termine annuale). Non si comprende, infatti, perché i lavoratori espulsi dalla "casa madre" per essere dirottati ad una società terza che, in regime di appalto, li utilizzerà nelle medesime mansioni, debbano godere di tutele patrimoniali più ridotte rispetto a quelli che operano normalmente in regime d'appalto di servizi. La procedura di consultazione sindacale (art. 47 legge 428/1990) La procedura di consultazione sindacale è stata introdotta sotto la spinta della legislazione comunitaria con la riforma del 1990, ed ha subito alcune modificazioni (più che altro adattamenti alla nuova situazione delle rappresentanze sindacali unitarie) con la riforma del 200l. La procedura riguarda le aziende in cui sono complessivamente occupati oltre 15 dipendenti (la riforma del 2001 chiarisce che il limite dimensionale si riferisce all'azienda nel suo complesso), ed è obbligatoria anche se il trasferimento riguarda solo una parte dell’azienda stessa (anche se, dunque, il ramo ne occupa meno di 16). Cedente e cessionario devono dare comunicazione per iscritto alle OO.SS. almeno 25 giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o comunque sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti (il carattere inequivocabilmente preventivo della procedura è stato rafforzato nel testo del 2001, in sintonia peraltro con i risultati cui era già giunta la giurisprudenza, la quale intendeva con ciò garantire l'effettività della procedura). Titolari del diritto all'informazione preventiva sono le RSU (ovvero le RSA), nonché i sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza di rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi. 17 L'obbligo stesso può essere assolto anche per il tramite delle associazioni datoriali. L'informazione deve riguardare: la data ed i motivi del trasferimento; le conseguenza giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le eventuali misure nei confronti di questi ultimi. Su richiesta delle OO.SS., comunicata entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione di cui sopra, le aziende sono tenute entro altri 7 giorni ad effettuare un esame congiunto con i sindacati richiedenti. Se non si raggiunge l'accordo, la consultazione si intende esaurita decorsi dieci giorni dal suo inizio. Il III comma dell'art. 47 precisa, anche qui in sintonia con i risultati già raggiunti dalla giurisprudenza, che l'inosservanza degli esaminati obblighi procedurali costituisce condotta antisindacale reprimibile ex art. 28 legge 300/1970. Il IV comma prevede che gli obblighi di informazione e di esame congiunto debbano essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante, e che la mancata trasmissione da parte di quest'ultima delle informazioni necessarie non giustifica l'inadempimento. Il V comma della norma riguarda invece il trasferimento di aziende in crisi ovvero sottoposte a procedura concorsuale, e prevede la possibilità di deroghe contrattuali all'art. 2112 (norma altrimenti inderogabile), sia per quanto attiene alla responsabilità patrimoniale dell’acquirente, sia della continuità dei rapporti di lavoro, all’evidente fine di salvaguardare sia pure parzialmente l'occupazione nel caso di acquisizione di aziende sostanzialmente decotte. Il VI comma prevede per questi casi un diritto di precedenza nelle assunzioni effettuate dall'acquirente nell'anno dal trasferimento in favore dei lavoratori esclusi dal passaggio. Terminato l'esame del testo normativo, si può concludere affrontando il tema del rapporto tra la procedura di legge e quelle previste da alcuni contratti collettivi di categoria. Il CCNL del credito espressamente prevede che, in caso di trasferimento d'azienda (quali fusione, concentrazioni o scorporo) si applica la procedura di legge, a prescindere dal numero dei lavoratori interessati (quest'ultimo inciso è chiaramente migliorativo rispetto alla disciplina legale). Nulla dice invece il CCNL delle imprese di assicurazione, e quindi si pone il problema se la procedura di cui all'art. 47 della legge cit. possa o meno essere sostituita da quella contrattuale. 18 Da segnalare l'ultimo comma dell’art. 14 CCNL imprese di assicurazione che, oltre a garantire il mantenimento del trattamento complessivo derivante dal CCNL stesso anche nel caso di scorporo di attività non comprese nell'area contrattuale, contiene l'inciso ''previo loro consenso" a proposito dei lavoratori coinvolti nel passaggio. Ci si può chiedere, pertanto, se questo inciso, contro l'opinione della giurisprudenza assolutamente dominante, possa essere considerato sufficiente per garantire il diritto dei dipendenti coinvolti in un trasferimento (genuino) di ramo d'azienda ad opporsi alla cessione dei loro contratti di lavoro. 19 Prof. Piergiovanni Alleva Consulta giuridica della CGIL La ricerca e l’analisi dei punti critici del Dgls 276/2003 in materia di occupazione e mercato del lavoro estratto da “Rivista Giuridica del Lavoro” anno 2003 n.4 Le due “aree tematiche” del Decreto delegato ed i relativi istituti 1) La separazione del lavoro dall’impresa: somministrazione di lavoro, appalti (di sola manodopera), comando di lavoratori. 2) La separazione del lavoro dall’impresa: i trasferimenti di ramo d’azienda e le modifiche all’art. 2112 Nel testo del Decreto Legislativo si possono individuare due “fuochi” o grandi aree tematiche, costituita da: 1) La separazione del lavoro dall’impresa, intesa come possibilità offerta agli imprenditori di utilizzare lavoratori senza assumere le correlative responsabilità e doveri giuridici, economici e sindacali. Questa tematica, a nostro avviso la più importante ed inquietante, comprende gli istituti di cui ai titoli III° e IV° del Decreto, e cioè la somministrazione di lavoro, a tempo determinato ed indeterminato, gli appalti, ed in specifico gli appalti “di servizi” (in realtà, di sola manodopera), i distacchi ed i trasferimenti di ramo d’azienda (anche collegati all’affidamento di appalti). 2) La messa a punto definitiva della “panoplia” dei rapporti precari, utilizzabili dagli imprenditori in tendenziale sostituzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato e stabile, o come loro “contrappeso”. Vi è nell’articolazione del decreto un indubbio ordine sistematico, proprio da “testo unico del precariato”, giacché questa area tematica comprende: • Tit. V°, che disciplina rapporti precari o atipici che sono comunque di lavoro subordinato, e cioè i rapporti di lavoro intermittente, di lavoro ripartito (che però può essere svolto anche in forma autonoma cfr. art. 43, co. 2) e di lavoro “part-time” (ad essi si aggiunge il contratto a tempo determinato del Dlgs. n. 368/2001); • Tit. VI°, che comprende rapporti di lavoro subordinato, ma a causa mista, di lavoro ed insegnamento, e cioè l’apprendistato ed il contratto di inserimento; 21 • Tit. VII°, che comprende rapporti di lavoro autonomo, e cioè il contratto a progetto ed il contratto di lavoro occasionale. Si potrebbe aggiungere, ovviamente, il rapporto di lavoro “somministrato”, quello cioè che intercorre tra il lavoratore e l’agenzia che lo invia presso l’impresa utilizzatrice, ma questo istituto rientra, concettualmente, nella tematica della separazione del lavoro dall’impresa, di cui al punto A) che precede, e, quindi, lo tratteremo tra breve, affrontando tale argomento. Il cerchio di ferro che “tiene insieme le doghe della botte” ed abbraccia ambedue le aree tematiche, ovvero ambedue i “pacchetti” offerti agli imprenditori, è costituito dalla procedura di “certificazione”, cui è dedicato il Tit. VIII°, la quale dovrebbe garantire loro un uso incontestato ed incontestabile dei singoli istituti o strumenti in quei pacchetti contenuti. La separazione del lavoro dall’impresa: somministrazioni di lavoro, appalti di manodopera, comando-distacco Al centro dell’area tematica o “capitolo” della separazione del lavoro dall’impresa sta, ovviamente, l’abrogazione della storica legge n. 1369/1960, vero caposaldo normativo della tutela dei lavoratori sul mercato del lavoro, la quale sanciva il principio contrario, semplice e lineare: datore di lavoro era, per la legge n. 1369/1960, colui che avesse effettivamente utilizzato le prestazioni lavorative. Un criterio che costituiva una vera stella polare per orientarsi con sicurezza tra le diverse e variegate fattispecie interpositorie rinvenibili nella prassi dei rapporti di collaborazione tra soggetti economici. Quel principio esplicava, dunque, un’efficacia unificante ed in particolare abbracciava due fattispecie tra loro ben diverse: a) quella della pura e semplice somministrazione di lavoro altrui, nella quale il formale datore di lavoro assume il lavoratore al solo scopo di avviarlo presso un utilizzatore, il quale, poi, ne organizza e dirige lui la prestazione lavorativa, e b) quella dell’appalto di mera manodopera, nella quale il formale datore di lavoro, invece, dirige ed organizza in prima persona le prestazioni dei lavoratori, ma espletando un servizio, o una fase produttiva, riguardante l’attività imprenditoriale del committente utilizzatore. In sintesi, la distinzione è tra fornitura di lavoro “da organizzare” e fornitura di lavoro “organizzato”. Tutte e due le fattispecie, però, erano represse dalla legge n. 1360/1960 allo stesso modo, perché, anche nel secondo caso, a ben vedere, l’appaltatore metteva a disposizione dell’utilizzatore-committente null’altro che lavoro altrui: al più, si poteva discutere se, espletando anche un’attività di direzione ed organizzazione di queste prestazioni lavorative, non dovesse esser considerato lui stesso un dipendente dell’utilizzatore, alla stregua di un caposquadra. L’appalto, in altre parole, non poteva “contenere solo lavoro”, ma 22 doveva contemplare, per esser legittimo, anche l’impiego di attrezzature, capitali, mezzi dell’appaltatore, tanto che si ricadeva ancora nella fattispecie vietata di appalto di sola manodopera, quando i mezzi, attrezzature e capitali esistessero, ma fossero forniti, seppur dietro compenso, dallo stesso committenteutilizzatore. In tutti questi casi di fornitura di manodopera, la sanzione (civile, a parte quelle penali) era la medesima: costituzione di un rapporto di lavoro diretto tra lavoratori ed utilizzatore effettivo della sua opera. La legge n. 1369/1960, peraltro, andava anche oltre nel suo intento di tutela dei lavoratori nell’ambito dei fenomeni di collaborazione tra imprese, affrontando nell’art. 3 un tema collegato, dal punto di vista socio-economico, ma giuridicamente diverso da quello della fornitura di manodopera da organizzare o già organizzata: quello di appalti veri, con mezzi e capitali dell’appaltatore, ma svolgentesi all’interno del ciclo produttivo del committente. In tal caso, veniva sancita la responsabilità solidale tra committente ed appaltatore, perché ai dipendenti dell’appaltatore venisse garantito un trattamento economiconormativo non inferiore a quello fruito dai dipendenti del committente: in questo modo, la legge raggiungeva lo scopo di evitare l’affidamento in appalto di fasi di lavorazione a soli fini di risparmio sui costi di lavoro, nel senso che i committenti, stante l’equivalenza dei costi tra lavoro diretto e appaltato, avrebbero avuto interesse, allora, ad affidare solo appalti tecnicamente necessari. È noto che questo articolato, ma compatto, sistema di tutela è stato incrinato dall’introduzione del lavoro interinale attraverso la legge 24 giugno 1997, n. 196, c.d “pacchetto Treu”. Ma il lavoro interinale costituiva pur sempre, dal punto di vista sistematico, un caso di eccezione, circondato da una serie di garanzie e limitazioni formali, soggettive e contrattual-collettive, ai disposti della legge n. 1369/1960, e riguardante la sola somministrazione di lavoro “non organizzato” ed a tempo determinato. Per tutto il resto, la vigenza e gli effetti della legge 1369/1960 venivano esplicitamente riconfermati. Con l’esplicita abrogazione, ad opera del decreto delegato, della legge n. 1369/1960, invece, si produce una sorta di esplosione stellare che separa l’una dall’altra le diverse fattispecie una volta rientranti nel suo dominio: per la fornitura di manodopera non organizzata è dettata una nuova complessa disciplina della somministrazione di manodopera; per gli appalti di mera manodopera il decreto presenta poche, equivoche e reticenti disposizioni, mentre degli “appalti interni” e relativo principio di parità di trattamento tra lavoratori del committente e lavoratori dell’appaltatore non si parla affatto. L’opera di interpretazione, di contenimento degli abusi, di ricostruzione di una base di tutela si presenta, quindi, assai ardua. 23 L’argomento di gran lunga più importante, e dal quale iniziare, è, a nostro avviso, quello dei rapporti tra “somministrazione” e “appalti”, ossia tra fornitura di manodopera da organizzare e dirigere e di manodopera organizzata e diretta. E vale la pena, in proposito, di enunziare subito l’enorme, e per certi versi paradossale, pericolo che le nuove disposizioni normative potrebbero presentare: che la somministrazione semplice di manodopera non organizzata sia comunque presidiata dalla richiesta di requisiti soggettivi di affidabilità e serietà al soggetto (agenzia) che effettua la somministrazione, nonché dalla garanzia per i lavoratori di un trattamento economico-normativo non inferiore a quello goduto dai dipendenti dell’impresa utilizzatrice (art. 23 del decreto), laddove, invece, l’appalto di manodopera, ossia la fornitura di manodopera organizzata e diretta potrebbe esser esercitata da chiunque, e senza diritto di parità di trattamento per i lavoratori somministrati in tale forma. Insomma, per portare un esempio, l’impresa utilizzatrice che volesse, poniamo, non impiegare personale proprio in magazzino, avrebbe questa scelta: o richiedere ad un’agenzia autorizzata di avviarle quattro lavoratori da immettere in magazzino, con l’onere, però, di organizzarli, dirigerli e, soprattutto, di garantire che siano pagati come i propri dipendenti, oppure appaltare, per così dire, al “primo che passa” le operazioni di magazzino, perché pensi lui a organizzare e dirigere la “squadretta” dei quattro lavoratori, suoi dipendenti, pagandoli ciò che crede, senza responsabilità per il committente. Sarebbe un assetto normativo davvero paradossale, e proprio questo paradosso occorre scongiurare attraverso l’interpretazione, l’iniziativa vertenziale e la contrattazione, come più sotto meglio si dirà. Passando, allora, all’esame critico-analitico del primo degli istituti che afferiscono a questa area tematica, e cioè alla “somministrazione di lavoro” (artt. 20-28), è quasi ovvio ricordare che esso si impernia su due rapporti contrattuali paralleli: 1) quello tra l’agenzia o altro soggetto somministratore e l’impresa utilizzatrice, che è il contratto di “somministrazione di lavoro”, e 2) quello tra lavoratore ed agenzia, che è un contratto di lavoro subordinato, e che potremo chiamare, per intenderci, “contratto di lavoro somministrato”. La novità principale del decreto, com’è noto, sta in questo: che nella vigenza degli artt. 1-11 della legge 24 giugno 1997, n. 196, l’impresa utilizzatrice poteva ricorrere al contratto di somministrazione solo per sue esigenze temporanee (specificate dalla contrattazione collettiva), le stesse, in sostanza, che le avrebbero consentito di assumere dei lavoratori a termine. Pertanto, il contratto di somministrazione tra impresa utilizzatrice e agenzia era sempre un contratto a termine. 24 Il contratto di lavoro “somministrato” tra agenzia e lavoratore era, per lo più, anch’esso a termine, in quanto funzionale all’adempimento del contratto di somministrazione, ma poteva essere anche a tempo indeterminato, qualora l’agenzia avesse voluto disporre continuativamente del lavoratore per inviarlo “in missione”, ora presso questa, ora presso quella impresa utilizzatrice (e doveva, allora, pagargli un’indennità di disponibilità tra una “missione” e l’altra). Con il nuovo decreto è ampliata la possibilità per le imprese utilizzatrici di far ricorso a contratti di somministrazione a termine, in sostanza, per qualsiasi esigenza di carattere in senso lato temporaneo, e senza più rispetto di alcuna casistica di legge o contratto collettivo (art. 20, comma quarto), ma, soprattutto, è introdotta la possibilità di contratti di somministrazione a tempo indeterminato (“staff leasing”) per esigenze assolutamente continuative dell’impresa, di cui il decreto fornisce un primo nutrito elenco rinviando, per ipotesi ulteriori, alla contrattazione collettiva stipulata da sindacati “comparativamente più rappresentativi”. In ciò è stato giustamente ravvisato il caso emblematico di separazione del lavoro dall’impresa: al limite, con una contrattazione collettiva via via più compiacente, un imprenditore potrebbe non essere datore di lavoro di nessuno dei pur numerosi lavoratori che operano nella sua azienda! È una conseguenza certo alquanto ripugnante, ma lo snodo tecnico-giuridico al quale occorre por mente è un altro, e cioè stabilire se il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (“staff leasing”) comporti, per parallelismo, che sia inviato presso l’impresa utilizzatrice un lavoratore anche lui dipendente a tempo indeterminato dall’agenzia. Ben si comprende che se così fosse, la pericolosità dello “staff leasing” sarebbe assai diminuita, perché l’imprenditore utilizzatore avendo a che fare sempre con lo stesso lavoratore che, tra l’altro, costerebbe addirittura di più di un suo dipendente, finirebbe, con ogni probabilità, con l’assumerlo. Occorre evitare, al contrario, il “tourbillon” di lavoratori somministrati a termine per un’esigenza aziendale continuativa. A nostro parere, esistono già nel corpo del decreto elementi testuali che consentono di sostenere che quel lavoratore deve essere dipendente a tempo indeterminato (dell’agenzia): infatti, l’art. 22, che tratta dei rapporti di lavoro tra lavoratore ed agenzia, recita che questo rapporto è soggetto al Dlgs. n. 368/2001 sul contratto di lavoro a termine quando il contratto di somministrazione tra impresa utilizzatrice ed agenzia è esso stesso a tempo determinato (comma secondo), mentre nel caso che il contratto di somministrazione sia a tempo indeterminato, il rapporto di lavoro con l’agenzia è soggetto “alla disciplina 25 generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile ed alle leggi speciali “(comma primo). È chiaro, allora, che questo rapporto di lavoro deve essere a tempo indeterminato, e non determinato, perché l’ipotesi del tempo determinato è già prevista dall’altro comma (il secondo) per il caso di somministrazioni a tempo determinato per esigenze temporanee, mentre, per converso, il codice civile e le leggi speciali non autorizzano contratti a termine per esigenze continuative, come sono quelle che sorreggono lo “staff leasing”. Può sembrar poco, ma è, invece, molto, perché, come detto, la pericolosità dello “staff leasing” scema, e si aprono alla trattativa sindacale ampi spazi per disciplinare lo “status” giuridico-economico del lavoratore dipendente dall’Agenzia a tempo indeterminato, perché adibito all’esecuzione di un contratto di somministrazione anch’esso a tempo indeterminato. Certamente, occorre rigidamente opporsi a qualsiasi clausola di divieto di assunzione presso l’impresa utilizzatrice (anche qualora sia dato, per questo, al lavoratore un’indennità), giacché si tratterebbe di una incostituzionale limitazione di libertà. Per quanto riguarda l’Appalto, si comprende, dunque, da quanto si è detto, che l’istituto veramente pericoloso, che può davvero realizzare la scissione del lavoro dall’impresa, è “l’appalto di servizi” che si riduca ad appalto di solo lavoro, e, secondariamente, l’appalto (vero) ma interno al ciclo produttivo di altra impresa. Diremmo, a questo proposito, che gli estensori del decreto, nel formulare il testo dell’art. 29, (dedicato, appunto, agli appalti), non hanno avuto il coraggio di esprimere le loro vere intenzioni, nascondendole addirittura sotto delle improprietà lessicali e scorrettezze grammaticali e sintattiche. In apparenza, infatti, il decreto sembra molto preoccupato di distinguere somministrazione da appalti, onde evitare che soggetti non autorizzati alla somministrazione di lavoro la esercitino egualmente sotto mentita specie di appalto ma, poi, lascia intendere che ben volentieri ammetterebbe gli appalti di sola manodopera (già vietati dalla legge n. 1369/1960), nei quali l’appalto ha per solo contenuto il lavoro, ma organizzato e diretto dall’appaltatore. In sostanza, per tornare all’esempio riportato più sopra, ben volentieri ammetterebbe la “squadretta” d’operai magazzinieri guidati dall’appaltatore, capo magazziniere, che libera, o quasi, il committente da ogni responsabilità. Recita, infatti, l’art. 29, primo comma, del decreto, che l’appalto “si distingue dalla somministrazione di manodopera per l'organizzazione di mezzi da parte dell’appaltatore (il che è scontato, ma corretto), che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotte in contratto, 26 dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto...”. Sembra, ed è, un non-senso: un’organizzazione “di mezzi”, ossia di beni strumentali e di capitali non può “risultare” dall’esercizio di un potere giuridico, direttivo ed organizzativo, perché, evidentemente i “mezzi” sono qualcosa di ben concreto, che si tocca, per così dire, “con le mani”. I “mezzi” o ci sono o non ci sono e la direzione dei lavoratori non li fa sorgere dal nulla. Ma un giurista un po’ scaltrito comprende bene cosa hanno avuto in mente gli estensori del decreto: rifarsi a quell’orientamento giurisprudenziale minoritario in tema di legge n. 1369/1960 che, confondendo appalto di sola manodopera e somministrazione di manodopera, vedeva solo in quest’ultima una fattispecie vietata e pretendeva, perché i lavoratori potessero pretendere di essere riconosciuti dipendenti del committente, che questi, oltre ad utilizzare la loro prestazione, altresì la dirigesse. Comunque sia, gli estensori del decreto hanno emesso un “segnale” o, se si vuole, piantato un seme, insinuando l’idea che l’esercizio, da parte di un sedicente appaltatore del potere direttivo ed organizzativo sia sufficiente a legittimare, in qualche modo, un appalto. Esiste, però, la previsione dell’art. 84, secondo comma, che chiama sia le confederazioni sia i sindacati di categoria ad individuare “indici presuntivi in materia d’interposizione illecita e appalto genuino”, specificando che essi dovranno tener conto “della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell’assunzione effettiva del rischio tipico d’impresa”: un’occasione preziosa per mettere a punto una piattaforma “rigorosa”, in materia di appalti che denunzi e scongiuri il pericolosissimo paradosso su cui ci si è sopra intrattenuti. Ci sembra, invero, non troppo difficile far risorgere dalle sue ceneri la legge n. 1369/1960 per la parte non espressamente ridisciplinata, e cioè per gli appalti di sola manodopera e per gli appalti “interni”, dando per scontato che la somministrazione di lavoro non organizzato è, ormai, fattispecie formalmente autonoma, ma comunque collegata. Le contraddizioni e le oscurità del decreto, in definitiva, lasciano aperto uno spazio nella delicatissima materia, ed occorre occuparlo. Quanto, infine, a quell’istituto “minore” della tematica della separazione del lavoro dall’impresa, che è il “distacco”, di cui all’art. 30 del decreto, -che è, comunque, un istituto pericoloso per gli individui, in quanto si presta facilmente ad un uso punitivo, discriminatorio e “mobbistico”-, il fulcro del problema è costituito dall’”interesse” del distaccante, che secondo il testo legislativo deve sorreggere il distacco, a pena di cadere nella fattispecie di somministrazione non autorizzata. 27 Quello dell’interesse è un requisito già richiesto dalla giurisprudenza, ma che deve essere qualificato per assumere un senso concreto e costituire un'effettiva garanzia. Fino ad ora l’ipotesi tipica era quella di distacco presso impresa collegata, e la qualificazione era abbastanza agevole, perché tra imprese collegate vi sono comunemente sinergie produttive ed economiche, che giustificano l’utilizzo “incrociato” delle rispettive risorse umane, ma tra imprese estranee l’una all’altra il problema si pone in maniera diversa. Altro è, ad esempio, che il distacco si giustifichi per le esigenze di una “joint venture” tra due imprese, altro che costituisca, ad esempio, una sorta di “comodato” di manodopera, per effetto del quale, portando un esempio al limite, l’impresa A “presta” un suo dipendente per far fronte alla momentanea carenza dell’impresa B, sull’intesa (e vi sarebbe certamente un “interesse”) che il favore sarà reso al verificarsi dell’esigenza uguale ed opposta. Probabilmente la fissazione di una casistica in sede contrattuale-collettiva potrebbe esser desiderata anche dai datori di lavoro, onde evitare le presumibili contestazioni giudiziarie cui potrebbe dar luogo una clausola generale (“interesse”) tanto vaga. I trasferimenti di ramo d’azienda e le modifiche all’art. 2112 c.c. La ragione per cui la disciplina modificativa dell’art. 2112 c.c. dettata dal Decreto in tema di trasferimento di ramo d’azienda va legittimamente annoverata nell’area tematica della separazione del lavoro dall’impresa, è presto detta: perché, sempre più spesso, in molte fattispecie concrete, non si tratta di una vera alienazione di una parte dell’azienda ad altro soggetto economico estraneo, ma di una “esternalizzazione” di una parte dell’attività di impresa con cessione ad un soggetto che non è indipendente, dal punto di vista economico-funzionale, dall’imprenditore cedente, ma risulta a lui strettamente legato o perché ne diviene un fornitore-appaltatore, o perché è addirittura lo stesso cedente “travestito”, per così dire, da diversa impresa societaria. Con la conseguenza che l’impresa principale, intesa come attività e come iniziativa economica, resta sempre la stessa, con il medesimo ciclo produttivo, ma parte dei lavoratori che in quel ciclo prestavano la propria opera risultano dipendenti formalmente di altro datore, con esenzione dell’imprenditore “dominus”, che pure utilizza effettivamente le loro prestazioni, da ogni relativa reale responsabilità. In generale, va notato e rimarcato che il disposto dell’art. 2112 c.c. acquista in situazioni di questo genere una valenza del tutto negativa, pur essendo stata pensata, in origine, come norma protettiva nelle alienazioni “vere” di azienda, o di parte di azienda, in quanto garantisce ai lavoratori la continuazione dei 28 rapporti di lavoro con il nuovo imprenditore cessionario e la conservazione dell’anzianità di servizio. Ma quando l’alienazione non è “vera”, perché il cessionario è soggetto subalterno economicamente e funzionalmente all’imprenditore cedente, ovvero è lo stesso imprenditore cedente “travestito” con altra ragione sociale, allora il meccanismo di tutela si rivolta contro i lavoratori. Quel meccanismo, infatti, consiste, come detto, nel passaggio automatico della titolarità dei rapporti di lavoro a prescindere dalla volontà di tutti i soggetti coinvolti nell’operazione, cedente, cessionario e lavoratori: accade così che i lavoratori che operavano, poniamo, nel reparto verniciatura o al centro elaborazione dati di una grande impresa metalmeccanica, si ritrovino, quasi per un maleficio, a continuare la stessa attività nello stesso reparto, ma come dipendenti di una piccola società cessionaria di quel reparto, che è insieme anche “fornitrice” dell’impresa-madre. Ma senza più godere, ad esempio, della tutela dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori (visto che il loro nuovo datore di lavoro è “piccolo”), né del contratto aziendale in vigore nell’impresa-madre di provenienza, e, talvolta, neanche del contratto nazionale. Con lo scorno di sapere che l’impresa-madre continua ad utilizzare, in concreto, il frutto del loro lavoro esattamente come prima. L’art. 2112 c.c. è per loro, se ci si passi l’immagine, una sorta di “tapis roulant”, che li trascina inesorabilmente verso il basso, contro la loro volontà, ammanettati e recalcitranti. Nel concreto, per l’imprenditore che voglia separare in quel modo parte dei lavoratori dalla sua impresa, e lucrare per più versi sul loro netto peggioramento di “status”, la “magia nera” è di facilissima esecuzione: basta passare da un notaio e costituire una nuova società, alla quale poi cedere quella parte o ramo di azienda e con la quale stipulare poi un contratto di appalto per la fornitura di beni o servizi che quella stessa parte di azienda ha sempre prodotto. È verità documentabile, e non polemica ipotesi di fantasia, che molti imprenditori sono arrivati a dividere la loro azienda in due: una tutta di operai, e l’altra tutta di impiegati costituita in “società di servizi”, che rende, appunto, servizi di amministrazione, contabilità, marketing alla prima, con appalto esclusivo. Va da sé che, spesso, ambedue le imprese così nate per scissione cellulare contino meno di 16 dipendenti. Il gioco, naturalmente, è ripetibile all’infinito. Fino ad ora, però, questo genere di comportamento incontrava un parziale limite: tutto andava bene, infatti, se il “ramo” di azienda ceduto aveva in precedenza una sua autonomia economico-funzionale (es. un negozio facente parte di una catena di negozi), ma se non l’aveva? Pensiamo, appunto, al caso degli uffici amministrativi, o di un reparto di lavorazione collocato, per così dire, “a metà” 29 del ciclo produttivo. In questo caso, non si poteva parlare di cessione di un “ramo”, l’art. 2112 c.c. non scattava, il “tapis roulant” non si metteva in moto, e i lavoratori non erano, dunque, trascinati contro la loro volontà nella nuova società, della quale potevano diventare dipendenti solo se lo volessero, dimettendosi dalla prima. Occorre tener presente che il requisito della preesistente autonomia del ramo d’azienda trasferito discendeva direttamente dalla disciplina commercialistica della circolazione dell’azienda (di cui l’art. 2112 c.c. costituisce una subdisciplina, o caso di specie) che, a sua volta, contiene una deroga al normale principio civilistico per cui la cessione dei contratti può avvenire solo con il consenso di tutti i contraenti. Si considerino, ad esempio, i contratti di fornitura di materie prime e semilavorati necessari per il funzionamento di un’azienda: se questa viene venduta dal ricco e solvibile imprenditore Tizio al poco affidabile imprenditore Mevio, il fornitore delle materie prime potrebbe volersi astenere dal continuare la fornitura, anche sulla base di una sua semplice sensazione soggettiva. Ma le ragioni dell’economia produttiva fan sì che, invece, egli debba continuare la fornitura, e possa interromperla solo in presenza di una giusta causa (art. 2558, secondo comma, c.c.). Una così seria deroga al principio di libertà contrattuale – di cui la regola della cedibilità solo consensuale dei rapporti contrattuali è una diretta applicazione – può esser giustificata solo da un’esigenza macroscopica dell’economia: appunto, che un’azienda continui ad operare così come operava prima. Quindi, che sia effettivamente quella che gestiva il primo imprenditore. Se, poi, l’azienda consisteva, in realtà, in più sub-aziende (es. più negozi, più stabilimenti che producono beni finali diversi), la disciplina può applicarsi anche alla cessione della sub-azienda, o “ramo” d’azienda, ma solo perché essa equivale ad un’intera azienda. Ora, il decreto delegato ha voluto render più facili quelle esternalizzazioni virtualmente semitruffaldine (dispiace dirlo, ma non è possibile altro giudizio se non si pongono limiti nel caso di cessione tra società collegate), prevedendo che, al momento del trasferimento, cedente e cessionario “identifichino” come autonoma l’articolazione aziendale che viene ceduta: il che significa che la “preesistenza” dell’autonomia non è più necessaria e che, quindi, può esser ceduta come azienda, con applicazione dell’art. 2112 c.c., qualcosa che non ha mai funzionato come azienda. In palese contrasto con la “ratio” della disciplina generale, di diritto civile e commerciale, della circolazione dell’azienda, sopra ricordata, che è tutta basata e giustificata dalla salvaguardia della continuità del funzionamento aziendale. 30 Si può comprendere che queste esigenze sistematiche di omogeneità dell’ordinamento giuridico siano di scarso interesse per gli estensori del decreto, preoccupati di ben altro, ma alla loro pretesa di ignorare le ragioni del requisito della “preesistenza” non si può, poi, anche affiancare quella, davvero paradossale, di consentire a cedente e cessionario di stabilire loro (“identificandola come tale”) se una certa articolazione aziendale sia o meno davvero “autonoma”. Così com’è scritta, la norma ricorda tanto la storiella dell’arciprete che, volendo mangiare un’oca arrosto in giornata di venerdì, prima la battezzò “capitone”. Se non si vuole cadere nel ridicolo, prima ancora che in un’evidente censura di incostituzionalità per irragionevolezza, occorre ribadire che l’autonomia funzionale di un compendio di beni organizzati per la produzione non dipende dalla volontà di parti private, almeno quanto non può dipenderne la legge di caduta dei gravi di galileiana memoria. Lo conferma, d’altro canto, tutta l’elaborazione giurisprudenziale in tema di “unità produttiva autonoma”, che proprio a partire dal concetto di autonomia funzionale ne ha dato una nozione “forte”, postulando che essa debba avere una propria separata consistenza, tale da renderla, in potenza, autosufficiente sul mercato. Anche con riguardo a questo istituto del trasferimento di ramo o parte d’azienda, l’operazione di modifica della normativa attuata con il decreto è tanto pericolosa quanto mal riuscita, e, dunque, attaccabile e contestabile in sede giudiziale e contrattuale. Bisogna, però, comprendere che non si tratta qui solo di eliminare o limitare i danni della “novella normativa”, perché anche prima i disposti dell’art. 2112 c.c. si prestavano alle ricordate operazioni deteriori, ancorché il ramo d’azienda da trasferire dovesse essere autonomo e preesistente. Bisogna affrontare il problema centrale del trasferimento di ramo d’azienda a società o altro soggetto controllato dal cedente, e cioè sottoposto in concreto al suo potere di comando, il che può avvenire, proprio come previsto dall’art. 2359 c.c., sia attraverso la partecipazione al capitale sociale, sia anche attraverso vincoli di natura contrattuale (e ben potrebbero esserlo certi appalti “in esclusiva”). D’altro canto, la giurisprudenza ha già affrontato e risolto positivamente la questione dell’abuso della personalità giuridica, con riguardo alle scissioni societarie finalizzate ad aggirare l’applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. 31 Il problema è del tutto analogo, perché qui l’abuso della personalità giuridica serve ad utilizzare, in danno dei lavoratori, una norma, quella dell’art. 2112 c.c., in origine protettiva. Occorre pervenire al risultato che l’art. 2112 c.c. non si applichi quando la cessione avviene in direzione di un soggetto controllato, ovvero che possa avvenire, per regola antifrodatoria, solo con la salvaguardia di tutti i diritti precedentemente goduti dai lavoratori. Risultato al quale tendere sia per la via giudiziale sia per quella contrattuale. Più in generale, comunque, tutta la problematica sarebbe sdrammatizzata se si recuperasse l’essenza del disposto dell’art. 3, legge n. 1369/1960, in tema di parità di trattamento tra lavoratori diretti e lavoratori dell’appalto all’interno dello stesso ciclo produttivo. Come si vede, l’area tematica di cui ci siamo ora occupati ha molte sfaccettature, ma sempre tra loro collegate, così da costituire un capitolo unitario, che dovrà esser riscritto comunque, e per intero, anche dopo un auspicato mutamento di clima politico. Prof. Amos Andreoni Università La Sapienza Roma Il lavoro nell’impresa di gruppo Sommario: 1. I contenuti della miniriforma. — 2. Impresa dì gruppo e titolarità dei rapporti di lavoro. — 3. Lavoro italiano all’estero, gruppi di impresa e tutela previdenziale. — 4. Le riforme legislative auspicabili. I contenuti della miniriforma La disposizione in commento attribuisce ai gruppi di impresa, individuati ai sensi dell’art. 2359 cod. civ. nonché ai sensi del d. lgs. 2 aprile 2002, n. 74, la facoltà di delegare lo svolgimento degli adempimenti di cui all’arti 1, legge 1l gennaio 1979, n. 12, alla società capogruppo per tutte le società controllate e collegate, ferma restando la titolarità delle obbligazioni contrattuali e legislative in capo alle singole società datrici di lavoro (v. anche art. 1, comma 2, lett. n), legge n. 30/2003, su cui Del Punta, 2003c e Fili, 2003). Le società capogruppo dunque potranno svolgere tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale relativamente ai lavoratori dipendenti delle società del gruppo; 32 tali adempimenti — se non curati dal datore di lavoro — oggi possono essere svolti solo dagli iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro, degli avvocati, dei dottori commercialisti, ovvero per le imprese artigiane dai servizi o dai centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria. Resta comunque fermo il principio basilare secondo cui il titolare del rapporto di lavoro continua a essere il responsabile di tutte le obbligazioni che nascono dalla legge e dal contratto di lavoro. Il rinvio ai principi generali dell’ordinamento lavoristico in tema di obbligazioni merita a questo punto alcune doverose precisazioni (in dottrina v. da ultimo Carinci M. T., 2000, 113, cui adde per la bibliografia di riferimento). Impresa di Gruppo e titolarità dei rapporti di lavoro Il fenomeno del «gruppo societario» non ha trovato disciplina sistematica nel diritto del lavoro, a differenza di quello fallimentare o tributario. Se ne era dunque proclamata l’irrilevanza, quale autonomo soggetto titolare del rapporto lavorativo, già negli anni settanta (Cass., Sez. lav., 29 aprile 1974, n. 1220, in Dir. Lav., 1974, 11, 317) e tale orientamento aveva trovato rigorosa conferma anche nel decennio successivo. Per tutte, si veda Cass., Sez. lav., 2 febbraio 1988, n. 957, (in Dir. lav, 1988, II, 333), e, prima ancora, Cass., Sez. lav., 28 gennaio 1981, n. 650, (in Foro it., 1981,1, 1994), la quale aveva escluso la formazione di unico centro d’imputazione «quale che sia l’entità del collegamento tra due o pin società», precisando altresì che l’affermazione non è «allo stato attuale della legislazione superabile dalla speciale disciplina giuridica dei gruppi societari in tema di bilancio consolidato del gruppo (art. 2429-bis cod. civ.), di agevolazioni finanziarie in caso di riconversione industriale (legge n. 675 del 1977), di amministrazione straordinaria (legge n. 95 del 1979) e di editoria (legge n. 213 del 1986), atteso che si tratta di normative che valgono limitatamente al campo di applicazione per il quale sono previste». Per la verità la legislazione negli anni ha fatto crescente ricorso, ai fini più diversi, al principio della rilevanza unitaria del gruppo di impresa. Si veda, a titolo esemplificativo quanto disposto dalle leggi: • 7 marzo 2001, n. 62 (art. 2), sulla proprietà delle imprese editrici e in materia di trasparenza; • 21 novembre 2000, n. 342, in materia di redditi di imprese estere partecipate e di applicazione dell’imposta ai non residenti finalizzate al contrasto dell’evasione e dell’elusione (v. artt. 6,10, 11, 53; cui adde l’art. 11 della legge n. 413/1991); • D.LGS 8 luglio 1999, n. 270, recante nuove disposizioni sulla amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza; 33 • D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58, dettante disposizioni in materia di intermediazione finanziaria; • D.LGS. 17 marzo 1995, nn. 174 e 175 in tema di assicurazione. Dalla seconda metà degli anni ottanta alcune pronunce hanno però introdotto primi temperamenti a tale rigoroso principio della inesistenza di un unico centro di imputazione, ammettendo la rilevanza contraria della simulazione o comunque della finalità fraudolenta con cui un sodalizio sia stato costituito, eludendo così l’applicazione del regime di stabilità reale nei confronti del dipendente (cfr. Cass., Sez. lav., 17 giugno 1998, n. 4142, in Not. giur. lav., 1998, 481, e Cass., Sez. lav., 9 giugno 1989, n. 536). In particolare, Cass., Sez. lav., 18 maggio 1988, n. 3450, in Mass. Ginst. civ., 1988, fasc. 5, ribadendo l’indifferenza del collegamento o del raggruppamento societario, ha fatto «salvo il dovere del giudice del merito — la cui valutazione, se adeguatamente motivata, non è censurabile in sede di legittimità — di accertare se, nel caso concreto, siano stati adottati, o meno, strumenti o meccanismi volti, in frode alla legge, a far apparire frazionata in distinti rapporti un rapporto di lavoro sostanzialmente unico». Prima ancora, era stata Cass., Sez. lav., 18 aprile 1986, n. 2756 (in Foro it., 1986, I, 1847), a richiedere un «esame particolarmente penetrante dei comportamenti dei soggetti collegati, al fine di assodare, ad esempio, se tra gli stessi si sia posto in essere un accordo societario di fatto nella gestione di un rapporto di lavoro» e se, in base agli elementi probatori acquisiti, «i due apparenti datori di lavoro fossero in realtà uno solo, potendo quegli elementi di fatto lasciar presumere, ad esempio, un tale legame tra le due imprese da consentire di ritenere che si fosse costituito fra le stesse un complesso unitario, nell’ambito del quale, pur con la formale distinzione dei rapporti di lavoro, sussisteva in effetti una continuità sostanziale dell’originario contratto di prestazione d’opera con una fittizia successione del soggetto datore di lavoro: più soggetti aventi ciascuno autonoma personalità, ma tesi a tutelare comuni interessi economici, possono essere considerati unitariamente, se non sotto il profilo giuridico, certamente sotto quello economico». A questa maggiore intensità del collegamento societario corrisponde una frequente confusione dei patrimoni, delle attività, delle organizzazioni e, dunque, dell’impiego dei lavoratori, sì da suggerire a una dottrina l’espressione «una sola impresa in forma di gruppo» anziché quella di «gruppo di imprese». Non è quindi casuale il crescente e poi definitivo abbandono, da parte dei giudici investiti dell’argomento,della locuzione «gruppo societario», sostituita dal riferimento al «collegamento economico-funzionale» tra diverse società (tra le prime è stata Cass., Sez. lav., 8 agosto 1987, n. 6848, in Mass. Giust. civ., 1987, fasc. 8-9; cfr. Cass. 34 Sez. lav., 9giugno 1989, n. 2819, in Not. ,giur. lav., 1989, 536). La nuova dizione si discosta in modo esplicito da quella contenuta nell’art. 2359 cod. civ. e l’esame dei casi concreti in cui è stata impiegata conferma la maggiore latitudine della nozione giurisprudenziale rispetto a quella codicistica; ad esempio, in Cass., Sez. lav., 20 settembre 1991, n. 9815 (in Mass. Giuri. civ., 1991 fasc. 9), si è fatto riferimento a tre società di persone caratterizzate dal legame familiare tra gli amministratori, dalla sovrapposizione parziale della struttura organizzativa e dall’impiego indistinto del personale rispettivamente dipendente, prescindendosi dall’indagine sulla titolarità del capitale sociale o dei poteri assembleari nelle distinte compagini, ammettendosi dunque forme di collegamento più ampie e diversificate. Sulla stessa linea si colloca la giurisprudenza che si è pronunciata in ordine alla titolarità del rapporto di lavoro in caso di prestazioni rese da lavoratore nei confronti di più soggetti. Si era infatti affermato che «indipendentemente dalle ipotesi di trasferimento di azienda o di cessione del contratto, la successiva prestazione d’ininterrotta attività lavorativa alle dipendenze di due datori di lavoro, soggettivamente distinti, ma svolgenti attività collegate in senso giuridico ed economico per il raggiungimento di uno scopo comune a entrambi, comporta la responsabilità solidale dei medesimi in ordine all’adempimento dei diritti derivanti al lavoratore dall’intero e unico rapporto di lavoro» (Cass., Sez. lav., 6 novembre 1982, n. 5825, in Mass. Giust. civ., 1982, fasc. 10-11). La solidarietà nelle obbligazioni datoriali nascenti dal rapporto di lavoro, per il caso di un servizio prestato contemporaneamente e indistintamente per due imprenditori, è stata anche successivamente ribadita dalla Suprema Corte (Cass., Sez. lav., 10 giugno 1986, n. 3844, in Mass. Giuri. civ., 1986, fasc. 6) ed è divenuto principio ormai definitivamente acquisito. Si è poi ritenuta la possibilità di ravvisare l’unico centro d’imputazione del rapporto di lavoro non solo «allorquando vi sia una simulazione ovvero una preordinazione in frode alla legge del frazionamento, fra vari soggetti di un’unica e ininterrotta prestazione lavorativa», ma altresì quando «siano configurabili interposizioni fittizie, o, viceversa, reali, ma fiduciarie, rivolte all’artificiosa frammentazione di un rapporto sostanzialmente unitario» (Cass., Sez. lav., 29 novembre 1993, n. 11801, in Giur. it., 1994, I, 1, 1801; cfr. anche Cass., Sez. lav., 8 giugno 1991, n. 6524, in Mass. Giuri. civ., 1991, fasc. 6). Anche i giudici di merito hanno fornito decisioni significative, non ritenendo, ad esempio, «che al fine dell’applicazione delle nonne di cui agli artt. 1, 4 e 24 della legge 223/91 sia necessario provare gli obiettivi fraudolenti o che via sia una fraudolenta parcellizzazione»; qualora infatti concorra «una pluralità di elementi 35 presuntivi che induce a far ritenere che la pluralità di società è nella sostanza un solo soggetto economico, vale a dire una sola impresa», ciò è stato valutato sufficiente per giudicare violato il disposto dell’art. 24 legge 223/91 (Pret. Milano 7 gennaio 1998, in D&L, 1998, 385; cfr. anche Pret. Napoli-Pozzuoli 13 gennaio 1995, in D&L, 1995, 690, e Pret. Milano 27 maggio 1992, in D&L, 1993, 182). Con le più recenti pronunce, anche da parte della Suprema Corte si è pervenuti all’individuazione di indici necessari perché venga affermata l’esistenza di un unico rapporto di lavoro tra un dipendente e più datori di lavoro, o comunque tali da formare un gruppo cosi strettamente collegato da costituire un unico centro d’imputazione di rapporti giuridici. In quest’ottica, Cassazione civile, Sez. lav., 22 febbraio 1995, n. 2008 (in Riv. crit. lav., 1995, 988), ha segnato senz’altro un passaggio significativo. Sono stati enunciati i seguenti requisiti: a) l’unicità dello struttura organizzativa e produttiva; b) l’integrazione tra le attività esercitate tra le varie imprese del Gruppo e correlativo interesse comune; c) il coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune; d) l’utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori che fruiscono dell’attività del lavoratore» (criteri integralmente ripresi da Cass., Sez. lav., 1° aprile 1999, n. 3136, in Mass. Giuri. civ., 1999, 734, su cui v. Trib. Genova 19 aprile 2001, cui si deve la presente ricostruzione della giurisprudenza, in Riv., giur. 1av., 2002, Il, 295, con nota di Santulli) Altre sentenze hanno attribuito carattere pressoché decisivo all’utilizzazione indiscriminata e indifferenziata di lavoratori a opera di una pluralità di aziende (Cass., Sez. lav., 19 giugno 1998, n. 6137, in Mass. Giust. civ., 1998, 1361, nonché Cass., Sez. lav., 28 agosto 2000, n. 11275, in Mass. Giust. civ, 2000, 1850. Quest’ultima, ad esempio, ha ritenuto corretta l’inferenza del collegamento tra un’impresa individuale e una società, per la sussistenza del requisito dimensionale richiesto dall’art. 35 legge 300/70, dalla sola «situazione di promiscuità degli operai della ditta individuale e di quelli della società»). Vale la pena precisare che questo percorso è coerente con la giurisprudenza comunitaria, nella quale si è evidenziato che «nell’ambito del diritto della concorrenza, la nozione di impresa deve essere intesa nel senso che essa si riferisce a un’unità economica dal punto di vista dell’oggetto dell’accordo, anche se sotto il profilo giuridico questa unità economica è costituita da più persone fisiche o giuridiche» (Corte Giustizia Cee 12.1.1995, n. 102, Comm. Cee e altro, in Foro it., 36 1995, IV, 84, e, nello stesso senso, Corte Giustizia Cee 12 luglio 1984, n. 170, in Foro it., 1986, IV, 13). Lavoro italiano all’estero, gruppi di impresa e tutela previdenziale Sotto il profilo previdenziale, di poi, è bene ricordare che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 369 del 30 settembre 1985 ha affermato che «è testualmente scritto in Costituzione (art. 35, ultimo comma) che la Repubblica tutela il lavoro italiano all’estero. La chiarezza e perentorietà del dettato non si prestano ad alcuna elusione, ad alcuna distorsione, ad alcuna dilazione, e non lasciano perciò margine di dubbio sulla fondatezza della questione in esame». Con tali premesse, la Corte Costituzionale giunge a dichiarare «l’illegittimità degli artt. 1 del r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827 (“Perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza sociale”) e 1 e 4 d.p.r. 30 giugno 1965, n. 1124 (“Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”), nelle parti in cui non prevedono le assicurazioni obbligatorie a favore del lavoratore italiano operante all’estero alle dipendenze di impresa italiana». Per la verità la Corte, avuto riguardo ai casi oggetto di rimessione, tutti riguardanti lavoratori assunti in Italia e poi trasferiti all’estero, avrebbe potuto affermarne la tutela previdenziale italiana con una sentenza interpretativa di rigetto, recependo e convalidando l’orientamento della Cassazione. Quest’ultima infatti era ormai ferma nell’armi-lettere alla tutela assicurativa obbligatoria tutti i casi in cui il rapporto di lavoro fosse sorto in Italia (Cass. n. 4882/1985). Viceversa la Corte emana una sentenza interpretativa di accoglimento (per addizione) allo scopo di ammettere a tutela ogni caso di «lavoratore operante all’estero» e dunque anche quello assunto ab origine al di fuori del territorio nazionale. La Corte rigetta i profili ex artt. 3 e 38 ma accoglie quello dell’art. 35 Cost.; convalida dunque la rilevanza, ai sensi del predetto art. 35, degli effetti di creazione della ricchezza nazionale mediante il lavoro all’estero; sottolinea la nozione unitaria del gruppo di impresa e ammette a tutela i lavoratori dell’impresa italiana. E la nozione di impresa, agli effetti dell’art. 35 Cost., è comprensiva dei gruppi di impresa la cui società madre sia italiana e presso cui confluiscano le strategie, i programmi produttivi, gli investimenti e, soprattutto i conti consolidati e i profitti del gruppo. Il che è comprovato a posteriori dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, che «intende rispondere in materia positiva e, credo, precisa ad una sentenza della Corte Costituzionale, che rende obbligatorie le assicurazioni a favore dei lavoratori italiani operanti all’estero» (dalla relazione Azzolini del 24 settembre 1987 al d.d.l. n. 1311, Atti parlamentari, 1987, 2.106; v. anche l’intervento di Sospiri, ivi, 37 2.109). In base all’art. 1, infatti «sono tenuti ad osservare le disposizioni (sulla assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, salvo altro) [...] b) le società costituite all’estero con partecipazione italiana di controllo ai sensi dell’art. 2359, comma 1 del codice civile; c) le società costituite all’estero, in cui persone fisiche e giuridiche di nazionalità italiana partecipano direttamente, o a mezzo di società da esse controllate, in misura complessivamente superiore ad un quinto del capitale sociale». La stessa norma della legge n. 398/1987, con analoga interpretazione «autentica» della sentenza della Corte afferma di poi che «le disposizioni [...] si applicano anche nel senso di assunzione di lavoratori italiani in Paesi extracomunitari» In sintesi — ai soli fini della tutela previdenziale — si affida alla legislazione italiana anche il lavoro svolto alle dipendenze di un’impresa straniera, purché questa risulti controllata da un’impresa italiana che diviene titolare degli obblighi contributivi; ben oltre dunque il caso del distacco (su cui v. Alleva in questo volume) (Cass. 19 gennaio 1995, n. 5470; Cass. 24 novembre 1997, n. 11753). Le riforme legislative auspicabili Il limite dell’assetto normativo attuale — eccezione fatta per la tutela assicurativa dci lavoro all’estero — consiste nella tutela ex post: la mancanza di un principio ordinatore chiaro e trasparente impone una verifica giudiziale del centro unitario solo a valle della lesione dei diritti. Manca, all’opposto, una pratica prevenzionale che sappia tempestivamente imputare alla società capogruppo la gestione attiva dei rapporti di lavoro e delle relazioni sindacali. Appaiono dunque di particolare interesse le proposte legislative della Cgil per la garanzia dell’occupazione e la tutela dei diritti, laddove un elemento caratterizzante del progetto di legge (Alleva e altri, 2003, 93), oltre all’opzione per il piano d’impresa condiviso, tra datori e sindacati, è dato dalla sua dimensione allargata, mediante il rilievo conferito al Gruppo di imprese, partecipate o integrate: tutto il gruppo deve essere coinvolto in ogni passaggio— contratto di solidarietà, CIG, licenziamenti collettivi — al fine di identificare, bilanci alla mano, le soluzioni alla crisi e agli esuberi che si manifestano in un punto del Gruppo. Di qui alla responsabilità sociale del (gruppo di) impresa il passaggio è breve: prima delle garanzie previdenziali contano le garanzie del gruppo e quando i licenziamenti non sono più evitabili i soggetti licenziati vanno inseriti in altre aziende del gruppo o, in mancanza, vanno riqualificati o, in mancanza , vanno riqualificati o, in ultimo, sostenuti con contributi all’esodo. Questo è il senso della proposta di iniziativa legislativa sostenuta dalla Cgil. L’attivazione di un circuito solidaristico entro il gruppo aziendale in effetti garantisce un migliore reinserimento dei lavoratori e un uso più oculato delle 38 risorse previdenziali, conservative (integrazioni salariali) ed espulsive (indennità di mobilità e di disoccupazione). In effetti uno statuto generale di tutela imperniato sulla responsabilità sociale del gruppo di imprese non è più rinviabile ed è reso necessario dai processi di esternalizzazione produttiva, dai distretti e dai sistemi a rete, dalla integrazione sistemica tra diversi comparti produttivi, dalla interdipendenza dei mercati (su questi temi v. Alleva e altri, 2003, 63). Avv. Michele De Felice Foro di Salerno Il trasferimento d’azienda e di ramo d’azienda nel Decreto Legislativo attuativo della legge 30/2003 Relazione al Convegno della Consulta Giuridica della CGIL - Roma 3 ottobre 2003 Poche materie quale quella del trasferimento d’azienda sono state oggetto, nel campo giuslavoristico, di un così vasto numero di interventi normativi e giurisprudenziali, peraltro concentrati in un arco di tempo abbastanza ristretto. La sensazione, abbastanza netta, che se ne trae, è che la questione abbia assunto, probabilmente, un’importanza davvero centrale nel dibattito che da sempre accompagna il contrastato processo di adeguamento dei vincoli legali in materia di rapporto di lavoro alle modificazioni della realtà produttiva. E’ del tutto evidente, infatti, che i processi di esternalizzazione extra ed intra moenia (endo ed extraziendali) rappresentano – dopo le grandi ristrutturazioni governate con gli strumenti della CIGS tra la fine degli anni 70 e gli anni 80 e con i processi di collocazione in mobilità a partire dagli anni 90- la forma più comune di “ terziarizzazione e decentramento funzionale“ e riguardano ormai aspetti non più periferici ma centrali del ciclo produttivo. Non è certo un caso, pertanto, che la materia sia stata oggetto, nel breve arco di tempo di cinque anni, di due direttive comunitarie, due interventi normativi e di una notevole e significativa serie di decisioni giurisprudenziali nazionali e comunitarie. 39 Tanto ha portato, tuttavia, ad una singolare stratificazione normativa ed interpretativa, il cui strato più superficiale è rappresentato dall’art.32 dello schema di D.Lgs. oggi in esame. Proverò oggi ad evidenziare alcune delle problematiche sollevate dalla nuova formulazione della norma ed i possibili spunti di riflessione critica. Prima di entrare nel vivo del tema mi sembra indispensabile formulare due brevi premesse di ordine sistematico: La prima: non é certo un caso che Il D Lgs. n.18/2001 abbia modificato la originaria rubrica dell’art.2112, trasformandola da norma disciplinante il “trasferimento d’azienda“ in norma in tema di “mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda“ dando così riscontro immediato e tangibile della ratio e degli scopi della stessa, così come desumibili, tra l’altro, dalle direttive comunitarie. L’intenzione – dichiarata - di quel legislatore era quella di dare rilievo centrale – all’interno della stessa - alle finalità di tutela della posizione giuridica dei lavoratori rispetto a quelle di regolamentazione delle vicende circolatorie dell’impresa, aspetti, peraltro, entrambi disciplinati dalla medesima formulazione normativa (finalità contrapposte che De Luca Tamajo definisce le “due anime“ dell’art.2112). E’ fin troppo evidente, al contrario, il tentativo perseguito dal legislatore della legge 30/03 e dell’ emanando D.Lgs delegato di invertire l’ordine di importanza dei due aspetti, privilegiando la finalità di agevolare la vicenda circolatoria rispetto all’esigenza di tutelare le posizioni dei lavoratori interessati. Sarà bene tenere in conto questa ambivalenza. Ma, fin qui, siamo, per così dire, nel campo della fisiologica contraddizione presente in qualsiasi normativa in materia di lavoro. A rendere più complesso il quadro di riferimento, tuttavia, è la seconda considerazione sistematica: l’art.2112 c.c. in vigore utilizza una nozione giuridica comune ai fini della regolamentazione di due fattispecie (il trasferimento d’azienda e quello del ramo d‘azienda), solo apparentemente omogenee, considerato che, all’interno di ciascuna di esse, l’assetto di interessi riferibile alle parti interessate alla vicenda circolatoria (datore e lavoratori) viene a configurarsi in modo del tutto diverso, se non addirittura contrapposto. E’ del tutto evidente, infatti, che, dal punto di vista dell’interesse del lavoratore, sarà auspicabile sostenere, di volta in volta, una nozione “ampia“ del trasferimento di azienda ed una nozione “ristretta” del trasferimento di ramo d’azienda. E lo stesso naturalmente vale, a posizioni invertite, per il datore di lavoro. Ne deriva che nozioni e categorie elaborate (con evidenti intenti garantistici) in tema di trasferimento di azienda, se “calate” acriticamente nella regolamentazione della cessione del ramo d’azienda possono finire per legittimare le forme più selvagge di esternalizzazione. 40 E’ per questo che il quadro normativo che si sta progressivamente formando, appare scaturire (con evidente fenomeno di eterogenesi dei fini, puntualmente evidenziato da più di un interprete) da una singolare sintesi interpretativa, prima che normativa, di categorie giuridiche astratte, perché sradicate dal contesto e dalle finalità di volta in volta perseguite. Certo è che l’effetto di disorientamento che si prova nel leggere il testo dell’ultima riforma è per certi aspetti, insuperabile, e ci costringe, probabilmente, a rinunciare ad ogni pretesa di lettura “unificante” dell’art.2112. Tanto con riguardo alla prima e fondamentale questione che la norma ci pone: quella della identificazione della nozione stessa di trasferimento d’azienda desumibile dall’art.2112 nella formulazione conseguente alle modifiche operate dal D.Lgs.n.18. Tale formulazione recepisce le indicazioni contenute nella Direttiva n.23/2001 e gli spunti interpretativi elaborati dalla giurisprudenza comunitaria, giungendo ad una nozione “leggera “ di azienda quale entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme/complesso organizzato di persone e/o di elementi patrimoniali (materiali o immateriali -) strumentale per l’esercizio di un’attività economica, sia essa essenziale che accessoria. La definizione presente nella direttiva comunitaria risulta infatti integrata dalla nozione “leggera“ di azienda elaborata dalla giurisprudenza comunitaria (dalla nota sentenza Suzen, in particolare) al fine di affermare l’applicabilità delle direttive in materia alle fattispecie di trasferimento di attività esercitate con apporto esclusivo di manodopera. Nella versione recepita dal D.Lgs. 18/2001 la definizione risulta ulteriormente “smaterializzata“ dall’abbandono del riferimento all’insieme di mezzi organizzati contenuto nella direttiva 23/2001 in favore della formula “attività economica organizzata“, che presuppone, appunto, la possibilità del trasferimento di parti di azienda del tutto prive di elementi materiali. Tale nozione peraltro (e qui riscontriamo gli effetti della contraddizione appena evidenziata) viene utilizzata dal d.lgs 2001, per la prima volta, anche ai fini della definizione normativa del “ramo d’azienda“, integrata dai riferimenti alla “autonomia funzionale“ dell’entità oggetto della cessione ed alla necessità della “preesistenza“ dei suoi elementi identificativi. Il d.lgs 18/2001, pertanto, nell’ufficializzare la categoria del ramo d’azienda, ne recepisce una nozione significativamente ampia rispetto alla nozione commercialistica (art.2555 c.c.), con definitivo allontanamento dal riferimento ai “beni organizzati per l’esercizio dell’impresa“ e significativo spostamento dell’accento sulle nozioni di “articolazione funzionalmente autonoma“ e di “attività economica organizzata“. L’approccio alla questione era stato condiviso con accenti quasi entustiastici dai sostenitori più accesi delle esternalizzazioni (De Luca Tamajo su tutti) che 41 intravedevano, attraverso tale nozione, la possibilità di estendere l’istituto a tutta una serie di ipotesi precedentemente escluse. A patto, naturalmente, di eliminare il requisito della preesistenza, interpretato quale vero e proprio catenaccio del sistema. Orbene, e qui è l’esempio più evidente di quella eterogenesi dei fini di cui parlavo in precedenza, la nozione fortemente “smaterializzata“ di azienda elaborata, a fini evidentemente garantistici per i diritti dei lavoratori in riferimento all’ipotesi del trasferimento dell’intera azienda, nella versione riveduta e corretta oggi in esame rischia di divenire pienamente spendibile quale argomento a sostegno delle forme di esternalizzazione più selvaggia. Ma sulle problematiche inerenti al ramo d’azienda torneremo da qui a poco. Le norme in materia di trasferimento di azienda Tornando al tema più generale del trasferimento d’azienda, mi preme sottolineare come la norma dell’emanando D.Lgs. non sembra apportare modifiche sostanziali alla precedente formulazione se non per la specificazione ed il richiamo alle nozioni di “cessione contrattuale e fusione“ che mitigano la portata della precedente formulazione (che aveva, invece, esteso la disciplina di cui all’art.2112 “a qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica… a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato“. Tale ultima formulazione intendeva risolvere (al di là delle stesse indicazioni contenute nelle Direttive comunitarie) la questione dell’applicabilità del regime speciale in esame alle fattispecie “ibride“ quali la successione in un rapporto di concessione pubblica, per effetto di un provvedimento delle Pubblica Autorità ed altro. La nuova formulazione limita, al contrario, l’applicabilità della norma alle successioni contrattuali, pur mantenendo il riferimento (scarsamente comprensibile) “al provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato”. Ho letto, tuttavia, in una circolare del Dipartimento Politiche del lavoro datata 8.8.2003 che nella ultima formulazione dello schema di decreto, sparirebbe “ il riferimento a possibili trasferimenti di attività anche se in assenza di beni materiali” Non mi sembra di poter condividere l’opinione, in quanto l’intervento sul testo della precedente formulazione (che era stata, pacificamente, interpretata come introduttiva della nozione “smaterializzata“ di azienda) si limita all’eliminazione della locuzione (riferita all’attività economica organizzata) “al fine della produzione di beni o di servizi“. Trattasi di modifica non significativa, in quanto il carattere potenzialmente smaterializzato dell’entità oggetto della cessione deriva dalla sua definizione 42 come “attività economica organizzata“ anziché dalla sua finalizzazione “alla produzione di beni e servizi”. D’altra parte, un’interpretazione più “pesante“ della nozione di “azienda“ finirebbe per contrastare quella che è la finalità, perseguita in modo fin troppo evidente dal legislatore, di agevolare al massimo le esternalizzazioni. La disciplina delle vicende circolatorie del “ramo d’azienda“ La definizione (già ampia) dell’entità economica oggetto del trasferimento d'azienda richiamata dal legislatore del 2001 veniva arricchita, nella formulazione normativa riferita al ramo d‘azienda, da una soluzione concettuale, quale la definizione di “articolazione funzionalmente autonoma“, sicuramente al passo con le più avanzate teorie organizzative (com’evidenziato, giustamente, da Romei), ma priva di specifico contenuto giuridico. La definizione, peraltro, e lo ribadisco senza alcuna ironia, è stata molto apprezzata dagli interpreti di chiara fede confindustriale. Sappiamo, tuttavia, che il legislatore del 2001 aveva volutamente contemperato la amplissima nozione di “ramo d’azienda“ inserita nel testo normativo con la previsione del noto requisito della preesistenza (la cui origine giurisprudenziale è nota a tutti). Sappiamo, altresì, che l’attuale legislatore ha espressamente eliminato tale requisito attraverso il riferimento “ad un’attività economica organizzata identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento“. La (duplice) domanda che dobbiamo porci è pertanto. • da un lato, se il requisito della “preesistenza“ rappresenti una condizione meramente aggiuntiva della fattispecie e, in quanto tale, sia legittimamente eliminabile a seguito di un successivo intervento normativo, ovvero non ne integri un elemento costitutivo, rispetto al quale la formulazione normativa esercitava una mera (da taluni criticata) funzione confermativa; • dall’altro, se la condizione di “preesistenza“ apposta nel D.Lgs.18/2001 a presidio dei possibili usi scorretti o fraudolenti di una nozione così ampia di “ramo d’azienda“ quale quella elaborata dalla stessa norma rappresentasse, davvero, l’unica difesa possibile e se la sua eliminazione costituisca la riprova della definitiva trasmigrazione della fattispecie del trasferimento di ramo d’azienda nel campo di esercizio dei poteri datoriali insindacabili. La questione non è di poco conto, atteso che la materia è stata, in un recentissimo passato, oggetto di forme di controllo giudiziale particolarmente penetranti e contrastate, che hanno frenato non poco il ricorso allo strumento della esternalizzazione, tanto da portare autorevoli interpreti del D.Lgs.18/2001 a 43 chiedersi se il fine del legislatore fosse stato quello di agevolare ovvero di ostacolare il fenomeno ed ad indurre l’odierno legislatore ad intervenire “a gamba tesa“ sulla norma, attraverso l’elaborazione di modifiche esplicitamente finalizzate ad incentivare il ricorso alle esternalizzazioni -. in stretto collegamento negoziale con i contratti di appalto (fino a configurare quello che è stato definito “contratto di esternalizzazione“). L’eliminazione del requisito della preesistenza ed il riferimento alla nozione di “attività economica organizzata identificata come tale dal cedente dal cessionario al momento del suo trasferimento" sembrerebbero aprire le porte ad un uso praticamente illimitato dello strumento, che demanderebbe la funzione garantista agli ordinari rimedi giuridici contro i comportamenti fraudolenti che costituiscono, invece, solo una delle forme possibili di tutela per i lavoratori. La soluzione ipotizzata appare, a dir poco, opinabile. Il requisito della preesistenza In ordine al primo aspetto, è da evidenziare che numerosi interpreti del d.lgs. del 18/2001 avevano sottolineato con accenti critici il requisito della preesistenza, rilevando la sua inidoneità a sciogliere in modo soddisfacente i nodi interpretativi presenti nella norma e la sua natura, per così dire, pleonastica, in considerazione del fatto che l’identità della articolazione ceduta non poteva che preesistere o meglio ancora, esistere, quale presupposto logico, prima che giuridico, del trasferimento. La stessa Corte di Cassazione (sentenza 15105/2002), sul punto, aveva espressamente dichiarato la natura meramente ricognitiva della legge del 2001, con particolare riferimento agli esiti del dibattito giurisprudenziale in tema di cessione di ramo d’azienda. C’è da dire, tuttavia, come la stessa sentenza, nella sua parte finale, espressamente richiami quelli che (allora) erano disegni di legge di riforma della materia, citando espressamente, senza alcun rilievo critico, l’intenzione di eliminare il requisito della preesistenza. La notazione appare, tuttavia, non espressamente argomentata e, pertanto, non indicativa. In ogni caso, va ribadito come i requisiti “ontologici“ e strutturali identificati sia dalla direttiva comunitaria che dalla normativa nazionale, dovranno essere posseduti dall’entità oggetto della cessione indipendentemente dalla “identificazione al momento della cessione“ operata dal cedente e dal cessionario, alla quale, in altre parole, non potrà di certo attribuirsi valore “costitutivo“. 44 A ben vedere, la stessa formulazione dell’art.32 della bozza di D.lgs in esame consente una interpretazione coerente con i principi di diritto comunitario contenuti nella direttiva 23/2001, evitando la censurabilità della norma sotto il profilo della violazione del canone comunitario. In particolare, l’uso dell’espressione “identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento“ descrive la fase (da sempre di competenza di cedente e cessionario) di mera definizione e delimitazione dell’entità oggetto della cessione. Tale entità tuttavia, non potrà risultare priva dei requisiti di autonomia funzionale e di organizzazione di mezzi (personali e/o materiali) che rappresentano, sia per la norma nazionale che per la direttiva comunitaria, condizioni imprescindibili di applicabilità del particolare regime circolatorio. Non sarà pertanto sufficiente, a mio giudizio, che le parti “individuino“ una qualsiasi porzione dell’azienda perché la stessa sia qualificabile “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata“. Mi rendo conto che l’interpretazione letterale della norma sembrerebbe far intendere che l’intenzione del legislatore sia, al contrario, proprio quella di attribuire valore “costitutivo“ al momento dell’identificazione. E’ la preoccupazione espressa, senza mezzi termini, dalla circolare del Dipartimento Politiche attive del lavoro datata 15 settembre, nella quale viene indicato, come rimedio possibile, quello della denuncia della lesione della “clausola di non regresso“ presente nella direttiva comunitaria. Concordo pienamente con il giudizio di merito, nel senso che, effettivamente, l’interpretazione qui contestata risulterebbe chiaramente peggiorativa rispetto alla precedente formulazione così come rispetto alla stessa direttiva. Mi sembra, tuttavia, che ritenere tale interpretazione come l’unica possibile possa farci dare per persa in partenza una partita che, sul piano dei principi e del diritto positivo, mi sembra ancora tutta da giocare. Prima di arrivare alla denuncia della violazione della clausola di non regresso, infatti, va fortemente sostenuta la tesi della interpretabilità della norma in conformità ai principi del diritto comunitario, che consentirebbe al giudice nazionale la verifica della sussistenza delle condizioni di applicabilità della normativa in materia di trasferimento d’azienda e di ramo a prescindere dall’identificazione effettuata dalle parti. In tale ottica, andrà comunque accertato se gli elementi (materiali e/o immateriali) accorpati ai fini della cessione rivestano le caratteristiche di autonomia funzionale e di organizzazione produttiva richieste dalla norma. L’interpretazione qui suggerita mi sembra quella maggiormente coerente con la ratio della disposizione e con i principi sanciti dalle direttive comunitarie e dalla stessa giurisprudenza della Suprema Corte. Ogni diversa lettura, infatti, 45 priverebbe di significato il riferimento, contenuto nella norma, alla definizione delle caratteristiche dell’entità economica ceduta In tal senso spero che già l’interpretazione dei giudici di merito consenta di superare lo scenario, sicuramente meno rassicurante, ipotizzato dalla circolare. Sul punto, tuttavia, potrebbe verificarsi una soluzione giurisprudenziale per così dire “ intermedia” Non è da escludere, infatti, che la giurisprudenza possa disattendere la interpretazione “ costituiva del procedimento di identificazione ( così come ipotizzabile a partire dalla formulazione normativa, ed accedere, tuttavia, sul piano pratico, ad una nozione molto elastica di ramo d’azienda ( in ciò confortata dalla nozione “ leggera “ recepita già dal D.Lgs.18/2001) che finisca per legittimare, in pratica, ogni forma di esternalizzazione. In tal caso, pertanto, l’effetto negativo sul sistema sarebbe prodotto dalla stessa nozione di ramo d'azienda e non dal requisito della preesistenza che rappresenterebbe, a quel punto, un falso problema. La verifica "ex post" della sussistenza dei requisiti di identificabilità quale "ramo d'azienda" dell'entità oggetto della cessione La nuova formulazione sembra agevolare l’esternalizzazione di qualsivoglia articolazione dell’azienda. In realtà, per poter usufruire del particolare regime di cui all’art. 2112 (non essendo, ovviamente preclusa all’imprenditore la cessione ordinaria a terzi di strutture produttive e/o di personale) il datore di lavoro non potrà che trasferire entità con le caratteristiche di autonomia funzionale ed organizzazione previste dalla norma. E tali caratteristiche saranno, certamente, più facilmente presenti in un’entità preesistente alla cessione che non in una “assemblata” per l’occasione. Nella pratica applicazione, l’assetto organizzativo dotato di autonomia funzionale identificato al momento della cessione potrebbe peraltro rivelarsi non idoneo, con possibilità, tutt’altro che infrequente, specie nelle esternalizzazioni endoaziendali che il datore di lavoro riutilizzi personale “ceduto” presso “l’azienda madre” (o, viceversa), ovvero che si verifichino commistioni gestionali che smentiscano quanto affermato in sede di trasferimento. La stessa formulazione normativa, peraltro, consente di individuare quali requisiti per l’applicabilità dello speciale regime la “organizzazione dei mezzi” e la “identità dell’entità economica”, entrambi desumibili dalla Direttiva comunitaria 23/2001, rispetto ai quali sussisterà, comunque, una possibilità di verifica giudiziale, se non più ex ante, almeno ex post, nel senso che l’entità economica individuata al momento della cessione dovrà dimostrare, nelle successive fasi operative, effettiva autonomia funzionale ed adeguata dimensione organizzativa, solo affermate al momento della cessione. 46 In questo senso, pienamente recuperabili appaiono numerosi spunti desumibili dalla giurisprudenza comunitaria e della S.C. che avevano portato ad escludere la possibilità di trasferire separatamente pezzi d’azienda assemblati in modo del tutto strumentale e disorganico. Ulteriore argomento a sostegno di interpretazioni meno aleatorie ed arbitrarie della nozione potrebbe giungere dal requisito della “conservazione nel trasferimento della propria identità”. Tale requisito (originariamente previsto dal D.Lgs. 18/2001 sia per il Trasferimento d'azienda sia di ramo) risulta oggi confermato solo con riferimento all’ipotesi di trasferimento d'azienda. Tale omissione, tuttavia, non deve essere ritenuta decisiva, considerato l’esplicita formulazione della direttiva comunitaria 2001/23, che fa espresso riferimento “ad un’entità economica che conserva la propria identità”, attribuendo alla nozione caratteristiche di stabilità strutturale che dovrebbero metterci al riparo da interpretazioni eccessivamente disinvolte, pur astrattamente riconducibili al testo normativo. Il concetto di “conservazione di identità”, infatti, presuppone, logicamente, la ontologica preesistenza della identità stessa ed una sua permanenza per un tempo apprezzabile. Ognuno di questi argomenti, peraltro, meriterebbe un approfondimento di ben maggiore ampiezza. Gli strumenti sanzionatori e di tutela Giungendo all’esame degli strumenti sanzionatori e di tutela e dei possibili effetti, rispetto agli stessi, della “eliminazione“ del requisito della preesistenza, va sottolineato che la normativa in materia di trasferimento d'azienda, benché finalizzata a realizzare ristrutturazioni e scomposizioni del ciclo produttivo senz’altro paragonabili a quelle realizzate attraverso i processi di mobilità, risulta, da sempre, sprovvista di adeguati e specifici strumenti sanzionatori. Del tutto irrilevante, infatti, in quanto inidoneo ad invalidare il negozio traslativo appare il ricorso ex art.28 esperibile per violazione delle procedure informative. Tale aspetto, se da un lato ha reso più difficile l’esercizio delle tutele, dall’altro ha evitato che la giurisprudenza si limitasse ad assicurare tipologie di tutela meramente formalistiche (come quelle elaborate in tema di licenziamento collettivo per violazione delle norme procedimentali di cui alla legge 223/91), inducendo, al contrario i giudici a sindacare “nel merito“ le scelte datoriali. Trattasi di argomento di non poco conto. Il sindacato giurisdizionale sulle operazioni di Trasferimento di ramo d’azienda si è, storicamente, manifestato, infatti, nelle seguenti forme 47 a) sindacato circa la sussistenza dei presupposti di applicabilità del regime giuridico del Trasferimento d’azienda b) accertamento della natura fraudolenta e/o simulata della cessione; c) accertamento di comportamenti antisindacali per violazione delle procedure informative. Se è possibile esprimere un giudizio sintetico, ai limiti del sommario, andrà evidenziato che, attesa la sostanziale inefficacia della tutela di cui all’art.28, l’effettiva funzione di tutela sia stata svolta dalle controversie di cui alle lettere a) e b). Con una differenza sostanziale tra l’una e l’altra ipotesi: mentre nella prima ipotesi, in caso di contestazione, il datore di lavoro è tenuto a dover dimostrare in giudizio i fatti che determinano, in suo favore, la sussistenza del diritto a trasferire il ramo d’azienda e, pertanto, la natura di articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica organizzata ceduta, nel secondo é il lavoratore a dover fornire la prova (tutt’altro che agevole) della natura fraudolenta della cessione. E’ del tutto evidente che la posizione processuale del datore di lavoro è molto più disagevole nella prima ipotesi. Di qui il tentativo – esplicitamente dichiarato - di “disinnescare“ la possibilità di sindacato giurisdizionale dell’operazione di trasferimento insita nella nuova formulazione dell’art.2112 ed il tentativo di limitare il controllo garantistico alle sole ipotesi di fraudolenza e di violazione di norme procedimentali. E’ un aspetto che va sottolineato con forza perché spesso, impropriamente, si assiste a contestazioni giudiziali in cui vengono sollevate, promiscuamente, questioni attinenti la natura di ramo d’azienda dell’entità ceduta con questioni discriminatorie, simulatorie, interpositive, fraudolente, etc. Si tratta, evidentemente, nel secondo caso di tematiche del tutto diverse, sottoposte a regole processuali differenti, in particolare, con onere probatorio (particolarmente pesante) a carico del lavoratore. Un errore nella prospettazione delle questioni può rivelarsi, sul punto, decisivo. Tornando ai possibili effetti giuridici della eliminazione, nella norma in esame, del requisito della “preesistenza” con riferimento al sistema delle tutele, sembra potersi affermare la natura non decisiva di tale nozione, sulla quale peraltro, si erano già pronunciate una notevole parte dei commentatori e la stessa Suprema Corte. Il controllo giudiziale circa le modalità di esercizio del potere datoriale di trasferire l’azienda (e, con essa, i rapporti di lavoro ad essa inerenti) trae origine, nel nostro ordinamento, proprio dal particolare regime di novazione soggettiva desumibile dalla norma, regime che, consentendo al datore di lavoro di sostituire a sé, quale contraente del contratto di lavoro un soggetto diverso 48 indipendentemente dal consenso del lavoratore/contraente ceduto altera l’ordinario regime contrattuale. Il diritto dell’imprenditore a trasferire (oltre agli eventuali beni) i contratti di lavoro indipendentemente dal consenso del lavoratore appare infatti configurabile quale “diritto potestativo“. Ricostruita in tal senso la fattispecie giuridica ne consegue che il lavoratore potrà limitarsi a formalizzare la sua contestazione, mentre sarà onere del datore quello di dimostrare la sussistenza dei requisiti previsti dalla norma. E potrebbe trattarsi, allo stato, di onere di non facile soddisfazione da parte del datore di lavoro, considerata l'assoluta indeterminatezza e labilità dei parametri richiamati. Vanno, pertanto, ricostruite, brevemente, le forme più tipiche di contestazione dei procedimenti di cessione di ramo d’azienda: in primis, esaminiamo il caso tutt’altro che infrequente e destinato ad incrementarsi - in cui sia in discussione la natura di ramo d’azienda dell’entità ceduta (ad es. nel caso in cui non sia dotata di autonomia funzionale, di effettiva organizzazione, ovvero perda qualcuno di questi requisiti in epoca immediatamente successiva al trasferimento). In tal caso, ribadita la necessità di non proporre impugnazioni basate su argomenti promiscui e sottoposti a regimi sostanziali e processuali diversi andrà rimarcato, in via principale, l’onere del datore di lavoro di dimostrare (in modo adeguato e conforme alle nozioni desumibili dal diritto nazionale e comunitario) la sussistenza dei fatti che determinano la sussistenza, in suo favore, del diritto a procedere al trasferimento. Le ulteriori questioni (fraudolenza, simulazione) potranno essere proposte in via subordinata, con articolazione di apposite istanze istruttorie Al fine di una più dettagliata contestazione sarà interessante “monitorare“ l’attività aziendale del “ramo“ ceduto per un tempo, successivo alla formalizzazione della cessione, idoneo a verificarne la coerenza con la prospettazione “identificata“ al momento della cessione stessa, atteso che, in tal caso, sarà da valutare ex art. 1362 c.c. II co. il comportamento tenuto dalle parti successivamente alla conclusione del contratto. Poiché la giurisprudenza ha costantemente affermato che, in caso di accertata inapplicabilità delle norme in materia di trasferimento d’azienda, la cessione del rapporto di lavoro sarà qualificabile come mera cessione del contratto, inefficace in ragione del mancato consenso del lavoratore ceduto, sarà opportuno poi: • contestare, sin dalla procedura informativa sindacale, la sussistenza dei requisiti di applicabilità della normativa; 49 • notificare, da parte dei lavoratori interessati, il proprio dissenso alla cessione, accompagnato dall’offerta della prestazione lavorativa alla cedente proponendo, eventualmente, tentativo di conciliazione ex art.410 c.p.c.; Va da sé che ciò comporta l’immediato coordinamento tra i soggetti sindacali deputati alle procedure informative di cui alla legge 428/90, gli uffici vertenze ed i legali di riferimento, che dovranno sviluppare la propria strategia difensiva sin dall’inizio della procedura. Le cessioni fraudolente Il tema delle cessioni fraudolente è comune a tutte le versioni normative succedutesi nel tempo. E’ immaginabile che le novità in via di approvazione incentivino ulteriormente il ricorso a forme di esternalizzazione illecite e meramente espulsive. Come molti di voi sanno, è un tema questo di cui mi sono occupato a proposito del caso Standa, che ha indotto i compagni che hanno organizzato questo incontro ad attribuirmi il ruolo (per me insolito e certamente immeritato) di relatore. Prendendo spunto da questo caso, proverò ad elencare gli elementi che hanno indotto i giudici di primo e secondo grado a dichiarare la natura illecita e fraudolenta di quella cessione e, conseguentemente, la nullità della stessa e la continuità giuridica dei rapporti di lavoro con la cedente. Ometterei i passaggi più strettamente processuali. Mi preme evidenziare, tuttavia, che i giudici hanno attenuato l’onere probatorio della natura fraudolenta ed illecita della causa del contratto ovvero dei motivi comuni alle parti contraenti (che, come ho sopra ricordato, nel caso di specie, ricade sui lavoratori), affermando che tale prova non può che essere presuntiva, e quindi meno rigida e desumibile da una varietà di elementi. Vorrei elencare, al proposito, gli elementi, i fatti ed i comportamenti (anche successivi alla stipula del contratto ex art.1362 c.c.) valutati, a tal fine, dai giudici: natura delle parti contraenti (dimensione societaria della cedente e della cessionaria, con particolare riferimento al capitale sociale, identità degli amministratori) importanza dell’azienda cedente e “debolezza“ imprenditoriale e strutturale della cessionaria (successivamente fallita). (eventuale sussistenza o non di specifica esperienza imprenditoriale della cessionaria); 50 modalità contrattuali della cessione (desumibili dallo stesso atto pubblico di vendita del ramo d’azienda), in particolare determinazione generica o inadeguata del prezzo della cessione di merci o attrezzature (da determinarsi eventualmente in un momento successivo alla cessione attraverso inventari o altre procedure equivalenti, ovvero con sconti superiori alle prassi commerciali che consentano alla cessionaria di lucrare un immediato profitto, la cui distrazione può configurare il motivo – illecito- che ha indotto la stessa alla stipulazione del contratto); determinazione equivoca delle poste attive e passive; difficile identificabilità e/o inadeguatezza del prezzo effettivo dell’operazione; modalità insolite di pagamento (con particolare riferimento ai pagamenti differiti); natura ed entità delle garanzie prestate dall’acquirente (tale elemento, di regola presente in tutte le transazioni di un certo rilievo economico, tende a sparire del tutto nelle operazioni fraudolente); modalità di trasferimento del debito per TFR maturato nei confronti dei dipendenti. Tale aspetto riveste, a mio giudizio, un’importanza del tutto particolare, considerato che, in virtù dei noti orientamenti giurisprudenziali in materia, unico debitore del tfr, concernente l’intero rapporto di lavoro risulta essere il cessionario, con la conseguenza che, nel caso tutt’altro che raro di fallimento di quest’ultimo, potrà essere ammesso al passivo (e quindi liquidato dal fondo di garanzia) un trattamento maturato in massima parte durante il periodo di lavoro alle dipendenze del cedente. Evidenti i possibili usi distorti e fraudolenti ai danni dell’INPS, che vengono, di regola, tenuti in grande considerazione dai giudici. modalità di trasferimento delle autorizzazioni amministrative, delle utenze di servizio, dei contratti di fornitura (il regime ordinario per questi ultimi, ex art.2558 c.c. è, infatti, quello della successione nei contratti. L’eventuale disdetta può rappresentare indice della natura fraudolenta della cessione); cessione del contratto di affitto (l’art. 36 della legge 392/78 prevede la successione nel contratto del cessionario, indicativa risulta, pertanto, l’eventuale disdetta del cedente) modalità di gestione dell’attività ceduta da parte della cessionaria modalità di (mancato o insufficiente) approvvigionamento di merci, materie prime o materiali di consumo; 51 modalità di esercizio del potere direttivo sui dipendenti da parte del cessionario ed eventuali inadempimenti contrattuali (mancato esercizio dei poteri organizzativi e direttivi); modalità di esercizio dell’attività d’impresa ( può risultare, in concreto, non esercitata) esistenza di precedenti accordi sindacali che avrebbero ostacolato la licenziabilità, da parte dell’impresa cedente, dei lavoratori addetti al ramo ceduto. Le modalità della contestazione, come già precisato in precedenza, richiedono un ruolo attivo del sindacato sin dalla fase informativa, con manifestazione, preferibilmente già in tale sede, di riserve circa l’identità del cessionario e la natura dell’operazione. Sempre a proposito della fase informativa, sottolineerei l’insufficienza della formulazione normativa (peraltro desunta dalle direttive comunitarie) che fa esclusivo riferimento alla data, ai motivi, alle conseguenze giuridiche del trasferimento ed alle misure previste nei confronti dei lavoratori e non alle modalità della cessione, modalità che possono rivestire invece, carattere decisivo ai fini dell’accertamento della sua natura fraudolenta. Un’accorta gestione sindacale dovrebbe poter colmare tale lacuna. Altra soluzione potrebbe essere, in presenza di un più generale ricorso alle procedure di esternalizzazione, la previsione di clausole contrattuali collettive che amplino, significativamente, i diritti di informazione sindacale. Appare altresì opportuna la comunicazione, da parte dei lavoratori, della mancata accettazione della cessione e l’offerta della prestazione lavorativa al cedente. La più compiuta contestazione della cessione, peraltro, potrà, di regola, con più successo proporsi quando, a seguito del decorso di un congruo lasso di tempo si sia pienamente manifestata la natura fraudolenta della stessa (ad esempio con la definitiva cessazione dell’attività, il licenziamento dei dipendenti da parte della cessionaria senza attivazione delle procedure di cui alla legge 223/91, il suo fallimento). La tutela contro i comportamenti discriminatori Ultimo aspetto da considerare appare quello della tutela contro i possibili comportamenti discriminatori scaturenti dalla identificazione, solo all’atto della cessione, dell’entità ceduta. L’eliminazione del requisito della preesistenza accentuerà senz’altro, infatti, la problematica, in considerazione del fatto che, in caso di esistenza di una platea ampia di possibili destinatari o di lavoratori occupati in mansioni “dentro e fuori il ramo“, il datore di lavoro potrà liberamente scegliere l’identità dei lavoratori interessati alla cessione. 52 Le tutele antidiscriminatorie ordinarie e speciali appaiono probabilmente insufficienti, così come il richiamo agli obblighi di correttezza e buona fede. Si farà senz’altro avvertire l’assenza di regole quali quelle elaborate in materia di licenziamenti collettivi, o, più puntualmente, precisate dal D.Lgs.18/1999 in tema di trasferimento di servizi aeroportuali. Qui mi fermo, anche se, considerata la vastità e la problematicità dell’argomento, le omissioni da me compiute saranno di gran lunga superiori agli aspetti trattati. Vorrei però sottolineare come il nostro sforzo interpretativo, mai come in questo caso, è utile ed atteso, fortemente. Atteso, in particolare, da tutti quegli operatori del diritto, primi tra tutti magistrati ed avvocati, che avvertono come inaccettabili ed estranee al nostro sistema giuridico molte delle leggi in via di approvazione e chiedono alla CGIL, di fare qualcosa, di impedire che si verifichi il “ profondo snaturamento ( a me, per la verità hanno parlato di “ fine”) del diritto del lavoro“ che molti intravedono quale approdo ultimo di questo sciagurato processo legislativo. E’ una responsabilità grande, alla quale non possiamo sottrarci. Dott.ssa Clotilde Fierro Consigliera Corte d'Appello Lavoro di Torino Trasferimento d’azienda e modifica dell’art. 2112 appalto di manodopera e distacco dei lavoratori da “La riforma del diritto del lavoro – dal mito della flessibilità alla realtà del precariato” atti del Convegno CGIL Piemonte e Magistratura democratica -Torino 2004 Prima di esaminare nel dettaglio gli istituti contrattuali dei quali oggi sommariamente parlerò - trasferimento di azienda, appalto e distacco dei lavoratori vorrei sottolineare che con il decreto legislativo 276/03 in genere -ed in particolare con le norme che esaminerò- si è realizzata una brusca inversione di tendenza essendo mutato il soggetto tutelato dalla legge; a differenza di quanto noi giuslavoristi eravamo abituati a fare in precedenza, qui non ci troviamo ad analizzare un normativa di tutela più o meno soddisfacente dei diritti dei 53 lavoratori, bensì una normativa che in prima battuta si occupa di consentire all'imprenditore la maggior libertà possibile nella gestione dell'impresa e delle sue vicende modificative o traslative e solo secondariamente si occupa delle ricadute che i detti processi possono avere sui presta tori di lavoro, pedine indispensabili per la realizzazione degli interessi imprenditoriali da relegare però nel ruolo di spettatori. Trasferimento d’azienda e di ramo In tema di trasferimento di azienda è stato acutamente osservato (cfr. Alleva "Ricerca ed analisi dei punti critici del d.lgs. 276/03 sul mercato del lavoro" in Riv. Giur. Lav. 2003, fasc. 4; Romei "Cessione di ramo d’azienda e appalto" in Giur. Dir. 1999 n.329) che" l'art. 2112 c.c. ha subito una sorta di mutazione giacchè da norma invocata dai lavoratori a protezione dei loro diritti in caso di sostituzione del datore di lavoro tende ora piuttosto a rappresentare un ombrello impugnato dall'imprenditore per conferire unità alle struttura produttive ed alla manodopera esternalizzata". Iniziamo ad esaminare rapidamente le novità legislative in materia di trasferimento di azienda. L'art. 1 lett. p) L. 30/03 stabilisce i criteri direttivi per la revisione dell'art. 2112 c.c. e tra questi prevede innanzitutto " il completo adeguamento della disciplina vigente alla normativa comunitaria anche alla luce del necessario coordinamento con la legge 10 marzo 2002 n. 39 che dispone il recepimento delle direttiva 2001 /23/CEE". La necessaria conformità della disciplina del trasferimento d'azienda a quella comunitaria è quindi espressamente ribadita dal legislatore delegante (che utilizza il termine adeguamento) ed ulteriormente rafforzata dal richiamo alla legge 39/02 e può costituire un importante strumento di interpretazione specie in tema di definizione del ramo di azienda in relazione al quale è maggiore l'esigenza di difesa dei diritti dei lavoratori. Le novità contenute nell'art. 32 d.lgs. 276/03 non incidono sui primi quattro commi dell'art. 2112 c.c.; restano quindi immutate tanto la tutela individuale del lavoratore (e cioè il permanere del rapporto con conservazione dei diritti non costituendo il trasferimento motivo di licenziamento ed il diritto all'applicazione del CNNL applicato dal cedente fino alla sua scadenza) quanto quella collettiva (procedure di informazione e consultazione preventiva con i rappresentati dei lavoratori). Analogamente la disciplina del trasferimento di azienda nella sua globalità è rimasta sostanzialmente immutata; infatti è stata mantenuta la nozione cosiddetta "leggera" di azienda con abbandono del riferimento all'insieme dei mezzi organizzati indicato dall'art. 2055 c.c. e l'adozione della formula, più ampia, della "attività economica organizzata". 54 Sono stati inoltre ribaditi i due requisiti della preesistenza dell'attività al trasferimento e della conservazione dell'identità nel trasferimento. Le modifiche apportate sono solo due ed hanno un contenuto marginale: 1) è stato inserito l'inciso" a seguito di cessione contrattuale o fusione" riferito. all'operazione che comporta il mutamento nella titolarità; non può essere condivisa una interpretazione restrittiva (nel senso cioè di richiedere la preesistenza di una relazione contrattuale diretta tra cedente e cessionario con esclusione dei mutamenti conseguenti a concessione amministrativa) poiché la norma parla di "qualunque operazione che comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata ... a prescindere dalla tipologia negoziale o del provvedimento in base al quale il trasferimento è attuato" così chiaramente volendo ricomprendere nel proprio ambito di applicazione qualunque modificazione nella titolarità dell'impresa. 2) è stata soppressa la specificazione che l'attività economica organizzata è finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi; si tratta di abolizione inutile perché la finalizzazione è prevista dall'art. 2082 c.c. Le novità significative sono invece quelle che riguardano il trasferimento del ramo d'azienda in relazione al quale è concreto il rischio della realizzazione di veri e propri processi di riduzione del personale realizzati al di fuori delle garanzie di legge ed è quindi necessaria una tutela più forte dei lavoratori appartenenti al ramo ceduto. Nel testo previgente il ramo di azienda, definito come articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata, doveva avere le caratteristiche della preesistenza e della conservazione dell'identità, requisiti entrambi soppressi e sostituiti dalla identificazione del cedente e del cessionario al momento del trasferimento. A mio parere la norma non può essere interpretata nel senso della esistenza di un potere costitutivo in capo alle parti per tre ragioni: 1) il legislatore ha utilizzato il termine "identificato" e non "costituito" ed il primo criterio ermeneutico è quello letterale; 2) l'autonomia contrattuale delle parti non è libera bensì si muove all'interno del requisito espressamente previsto dell'essere l'oggetto della cessione costituito da una articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata; è quindi prevedibile che anche a seguito della modifica legislativa, tutt'altro che chiarificatrice dell'ambito di applicazione dell'art. 2112 c.c., permarrà la diatriba sulla nozione di autonomia funzionale ed in particolare se la stessa debba essere attuale ovvero potenziale. Ricordo che secondo l'orientamento più restrittivo, al quale mi sento di aderire, " il ramo di azienda, per essere tale, deve avere una sua autonomia funzionale nel 55 senso che deve presentarsi come una sorta di piccola azienda in grado di funzionare in modo autonomo e non rappresentare, al contrario, il prodotto dello smembramento di frazioni non autosufficienti e non coordinate tra di loro; non può essere condivisa la tesi secondo cui l'autonomia funzionale del ramo trasferito può essere anche solo potenziale essendo sufficiente l'astratta idoneità del nucleo di beni o rapporti ceduti ad essere organizzati per l'esercizio di un'attività; il diritto positivo richiede invece, per l'applicazione dell'art. 2112 c.c., che sia ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalità allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi" (così Cass. 15105/02). L'opzione interpretativa che tende a restringere la nozione di autonomia funzionale del ramo ceduto consente di proteggere i lavoratori dal rischio di perdita del posto di lavoro perché questo requisito è quello che garantisce la capacità di quel segmento produttivo di continuare a svolgere la propria attività economica organizzata così com’è con possibilità di conservazione dei rapporti di lavoro. 3) il trasferimento di azienda nella sua globalità si distingue dal trasferimento del ramo dal punto di vista quantitativo e quindi sarebbe assolutamente irrazionale ed ingiustificato prevedere solo per il primo dei due requisiti della preesistenza e della conservazione dell'identità, specie ove si consideri che il titolo dell'art. 2112 c.c. continua, almeno per ora, ad essere il" mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda" e la predetta esigenza è certo più consistente proprio nel trasferimento del ramo di azienda. In conclusione mi sembra che si possa tranquillamente sostenere che la ricognizione effettuata dalle parti ha il solo scopo di definire l'oggetto della cessione. Alcuni commentatori (cfr. A. Andreoni "Impresa modulare e trasferimenti di azienda: le novità del d.lgs. 276/03" in www.cgil.it) hanno parlato di una presunzione relativa (paragonabile a quella che ha il nomen iuris ai fini della subordinazione) che può essere superata dalla prova contraria a carico del lavoratore. Ritengo che si possa anche sostenere l'esatto contrario sia perché il diritto al trasferimento può essere configurato come diritto potestativo del datore di lavoro cui incombe quindi, in presenza di contestazioni sulla legittimità dell'esercizio, l'onere di provare la sussistenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto sia perché il lavoratore non può essere gravato dall'onere di provare fatti negativi e quindi in prima battuta l'onere di dimostrare la genuinità della cessione incombe sul datore di lavoro anche in base al principio di accessibilità della prova. 56 Ritengo inoltre che tuttora il requisito della conservazione dell’identità sia un presupposto indefettibile per la configurabilità del ramo di azienda sia per quanto ho già detto a proposito della necessaria autonomia funzionale dell'oggetto del negozio traslativo sia perché è un requisito espressamente previsto dalla normativa comunitaria. Come abbiamo già visto il legislatore delegato è tenuto, in base a quanto previsto dalla legge delega, ad adeguare la normativa nazionale a quella comunitaria e l'art. l lett. b) della direttiva 23/2001, dopo aver precisato che la direttiva si applica" ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore", stabilisce che" è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di una entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme dei mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria". Un’interpretazione diversa, nel senso di attribuire un potere costitutivo alle parti e di non richiedere la conservazione dell'identità dell'attività ceduta, stante il tenore peggiorativo della disposizione porterebbe alla violazione della clausola di non regresso contenuta nell'art. 8 della direttiva (che autorizza gli stati membri solo ad introdurre disposizioni più favorevoli ai lavoratori) ed alla conseguente disapplicazione del diritto interno. Nel caso in cui le parti identifichino come ramo d’azienda un segmento di attività privo di autonomia funzionale ed inidoneo alla conservazione dell'identità penso che si possa affermare che, avendo il legislatore definito l'oggetto del negozio traslativo, l'eventuale difformità dello stesso dal modello legale porterebbe alla nullità del negozio stesso per impossibilità dell'oggetto ai sensi degli art. 1346 e 1418, atteso che la prestazione non era suscettibile di essere effettuata per la sussistenza di impedimenti originari di carattere giuridico che ostacolano in modo assoluto il risultato cui essa era diretta. Dal punto di vista dei lavoratori la conseguenza sarebbe inevitabilmente quella dell'inapplicabilità dell'art. 2112 c.c. e pertanto, in assenza di consenso del lavoratore ceduto necessario ai sensi dell'art. 1406 c.c., quella del permanere del rapporto alle dipendenze del cedente, risultato forse non così soddisfacente perché comporterebbe il forte rischio di licenziamento per giustificato motivo obiettivo. Mi rendo conto che l'interpretazione che vi ho esposto non è per nulla aderente all’intenzione del legislatore, chiaramente intesa ad agevolare al massimo la dismissione di parti dell'azienda ed a tenere i lavoratori il più possibile al di fuori dalle grandi manovre imprenditoriali. Già nella legge delega 30/03 (art. 1 lettera p) n. 2) il legislatore si è preoccupato di inserire tra i criteri direttivi quello della" previsione del requisito dell'autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del suo trasferimento" con ciò chiaramente facendo intendere di voler 57 abolire definitivamente il requisito della "preesistenza del ramo" che si era dimostrato di ostacolo ai voleri imprenditoriali. Indubbiamente il requisito della conservazione dell'identità dell'attività economica ceduta evoca quello della preesistenza, essendo difficile immaginare di poter conservare qualcosa che non esiste; peraltro il requisito della preesistenza del ramo è anche l'unico che consente di identificare in modo oggettivo i lavoratori interessati dal trasferimento implicando l'aderenza delle mansioni al ramo ceduto (potendosi in difetto ipotizzare accurate operazioni di selezione del personale da dismettere) e vale quindi la pena di tentare di invocarne la necessarietà. Mi sembra comunque che l’applicazione della direttiva 23/01 possa metter al riparo da critiche sulla creatività dell'interpretazione che prima ho brevemente esposto. Resta ancora da esaminare la disciplina della solidarietà contenuta nell'ultimo comma dell'art. 32 per l'insourcing; la norma consacra la legittimità formale della scelta organizzativa dell'imprenditore di riacquisire mediante appalto parti cedute all'esterno e stabilisce che tra appaltante ed appaltatore opera "un regime di solidarietà di cui all'art. 1676 c.c.". E' una disposizione davvero irrazionale perché per gli appalti di servizi in genere l'art. 29 dispone la solidarietà illimitata entro il termine annuale, a differenza dell'art. 1676 c.c. che prevede solo l'azione diretta nei confronti del committente con sostituzione dei dipendenti dell'appaltatore rispetto all'appaltatore medesimo e costituzione di una solidarietà limitata a quanto dovuto all'appaltatore; non si comprende per quale ragione i dipendenti del ramo ceduto, che già possono vedere compromessa la loro situazione a seguito della cessione del ramo di azienda, debbano avere anche garanzie patrimoniali minori. Mi sembra quindi che la disposizione non possa sottrarsi alla censura di incostituzionalità per violazione dell'art. 3 Cost. (sia per la sua irragionevolezza sia per la disparità di trattamento che essa comporta) a meno di sostenere, ma l'interpretazione mi sembra davvero forzata, che in relazione a tutti gli appalti di servizi - e quindi anche per quelli eseguiti attraverso il ramo di azienda ceduto- opera la solidarietà di cui all'art. 29 quale disciplina generale prevalente. Passando ad esaminare l'appalto ed il distacco va subito rilevato che entrambi gli istituti sono finalizzati ad agevolare il commercio delle mere prestazioni di lavoro e ad incrementare il fenomeno di dissociazione tra datore di lavoro e utilizzatore della prestazione lavorativa; ciò per soddisfare la necessità dell'imprenditore di svolgere determinate attività, solitamente quelle collaterali rispetto al perseguimento degli obiettivi produttivi (cd. core business), ricorrendo alle prestazioni di lavoratori dipendenti da altri imprenditori. Entrambi gli istituti sono ricompresi nell'ambito della legge delega 14 febbraio 2003 n.30 art. 1 lettera m) che, oltre a prevedere l’abrogazione della legge 1369/60 e la sua sostituzione con una nuova disciplina, demanda al legislatore 58 delegato il compito di "chiarire i criteri di distinzione tra appalto ed interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco". L'art. 86 dodicesimo comma qualifica come sperimentale l'intero titolo dedicato alla somministrazione, all'appalto ed al distacco; "decorsi 18 mesi dalla data di entrata in vigore il Ministro del lavoro procede, sulla base delle informazioni raccolte ai sensi dell'art. 17, a una verifica con le organizzazioni sindacali, dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale degli effetti delle disposizioni in esso contenute e ne riferisce al parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza". C'è quindi la concreta speranza che la vigenza delle norme predette sia limitata a 18 mesi essendo facilmente ipotizzabile che gli istituti previsti dal capo 111 non sortiscano l'effetto voluto, quantomeno non quello di promuovere la stabilità del lavoro. L'art. l D.lg. 276/03 ( la cui rubrica è intitolata "finalità e campo d’applicazione") statuisce, infatti, che le disposizioni del decreto "sono finalizzate ad aumentare i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e stabilità del lavoro": la flessibilità non è quindi disciplinata dal legislatore come fine a se stessa, ma viene espressamente definita un valore solo se ed in quanto accresce l'occupazione e promuove la qualità e la stabilità del lavoro. Mi sembra che questa affermazione di principio, certamente ipocrita e non rappresentante la vera intenzione del legislatore, possa tuttavia costituire un importante punto di riferimento interpretativo. APPALTO Il ricorso all'appalto, in luogo dell'assunzione diretta di personale per una determinata opera o servizio, è sempre stato ritenuto legittimo dal nostro ordinamento. Come certo tutti voi sapete la legge 1369/60 vietava solo l'appalto di manodopera, ma contestualmente disciplinava l'appalto genuino preoccupandosi di tutelare i dipendenti dell'appaltatore, almeno sugli appalti interni (da definire in relazione alla inerenza dell'appalto al ciclo produttivo dell'impresa committente) stabilendo in loro favore il diritto alla parità di trattamento con i dipendenti del committente e la responsabilità solidale con l'appaltatore per il trattamento minimo inderogabile. La nuova disciplina dell'appalto contenuta nell’art.29 d.lgs. 276/03 non differenzia più appalti esterni ed appalti endoaziendali e da un lato non prevede alcun diritto di parità di trattamento in favore dei dipendenti dell'appaltatore e dall'altro riduce l'ambito della solidarietà tra appaltatore e committente ai soli appalti di servizi. Il contratto di appalto presenta numerosi punti in comune con quello di somministrazione; lo stesso legislatore si è reso conto delle affinità, e possibili 59 confusioni, con la somministrazione tant'è che, rimandando alla nozione di appalto di cui all'art. 1655 c.c., si preoccupa di sottolineare gli elementi di differenziazione dalla somministrazione così individuandoli: • organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore; • assunzione da parte del medesimo appaltatore del rischio di impresa. L'organizzazione dei mezzi da parte dell'appaltatore, criterio principe per l'individuazione dell'appalto genuino, può anche risultare solo dall'esercizio del potere organizzativo e direttiva nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto: la fornitura da parte del committente di capitali, macchine ed attrezzature emblematica della creazione di una struttura imprenditoriale fittizia ai sensi dell'art. l, comma 3. L. 1369/60- non è quindi più sintomatica della mancanza del rischio e del difetto di imprenditorialità dell'appaltatore. Tenuto conto della difficoltà di definire la nozione di assunzione del rischio, la distinzione tra somministrazione illecita ed appalto lecito si fonda essenzialmente sull'esercizio del potere organizzativo e direttiva nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'esecuzione del contratto commerciale, elemento che la giurisprudenza aveva ritenuto non sufficiente ad escludere l'interposizione (vedi Cass. 15337/02; 5605/01). Ritengo però che non si possa e non si debba lasciarsi andare allo sconforto e che, contrariamente a quanto parrebbe da una prima lettura dell'art. 29, sia tuttora necessario ai fini della configurabilità di un appalto genuino che l'appaltatore sia un imprenditore vero. In questa prospettiva interpretativa conservatrice utili elementi letterali emergono dall'art. 84 che, nell'indicare gli indici presuntivi in materia di interposizione illecita ed appalto genuino, impone di tener conto della reale organizzazione dei mezzi e di assunzione effettiva del rischio tipico di impresa; la norma individua quindi chiaramente, ed in apparente contrasto con quanto previsto dall'art. 29, il tratto distintivo nella effettività dell'organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore. In secondo luogo lo stesso art. 29, nel comprimere il requisito dell'organizzazione dei mezzi fino a ritenerlo esistente anche nel solo esercizio da parte dell'appaltatore del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto prevede tuttavia testualmente che questa compressione sia funzionalmente collegata alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto"; ciò significa che l'eseguibilità senza mezzi di produzione è la condizione specifica ed oggettiva che deve connotare il servizio concesso in appalto ad un'impresa sprovvista di mezzi produttivi e che al contrario in caso di appalto d'opera o di servizi che richieda per la sua esecuzione l'utilizzazione di mezzi il 60 fatto che l'appaltatore non organizzi i mezzi, ma solo la forza lavoro è un indice di illiceità dell'appalto. Infine mi sembra innegabile che nell'impianto complessivo del decreto legislativo 276 la fornitura di prestazioni di lavoro deve necessariamente essere oggetto del contratto di somministrazione, contratto che può essere stipulato solo dai soggetti autorizzati ai sensi degli art. 4 e 5. Secondo la lettera dell'art. 29 il contratto di appalto è regolamentato dall'art. 1655 c.c.; manca quindi, come peraltro nel distacco, una disciplina complessiva del rapporto trilatero committente-appaltatore - lavoratori ed in particolare manca l'affermazione del diritto alla parità di trattamento tra dipendenti dell'appaltatore e dipendenti del committente, a differenza di quanto previsto dall'art. 23 l° comma per i dipendenti del somministratore e di quanto in precedenza stabilito dall'art. 3 l° comma L. 1369/60 per gli appalti interni. E' una soppressione certamente voluta (anche nella legge delega la parità di trattamento è prevista solo per la somministrazione) e mi pare che il diritto alla parità di trattamento non possa essere reintrodotto in via interpretativa; per cercare di contenere il danno che certamente può derivare ai lavoratori da un uso indiscriminato del contratto di appalto mi pare preferibile ridurre l'area di legittima stipulazione del contratto attraverso l'accertamento rigoroso dell'effettività dell’organizzazione imprenditoriale dell’appaltatore. L'unico elemento specifico di disciplina del rapporto trilatero è quello contenuto nel secondo comma dell'art. 29 il quale stabilisce, per i soli appalti di servizi, la solidarietà tra committente ed appaltatore entro 1 anno dalla cessazione dell'appalto; resta da chiedersi che cosa succeda negli appalti di opera. Vale comunque la pena di evidenziare il lapsus freudiano in cui è incorso il legislatore definendo alternativamente il committente come imprenditore o datore di lavoro! Nonostante gli sforzi definitori del legislatore mi pare comunque che la linea di confine tra appalto di servizi per la cui esecuzione non siano necessari mezzi produttivi, ed in relazione al quale l'appaltatore quindi si limita in sostanza a fornire mano d'opera ( che organizza e dirige a proprio rischio), e contratto di somministrazione di lavoro sia assai incerta e di difficile individuazione. La distinzione non è di poco conto perché, tra l'altro, per la somministrazione è espressamente previsto il diritto alla parità di trattamento, la solidarietà piena tra agenzia di somministrazione ed utilizzatore per i trattamenti retributivi e la sanzione della costituzione del rapporto in capo all'utilizzatore. Come ho già detto penso che valga la pena di tentare di contenere ai minimi termini l'ambito di legittimità del contratto di appalto tenuto conto che, in caso di appalto illecito, scatta inesorabilmente la disciplina sanzionatoria della somministrazione irregolare di cui all'art. 27 ( costituzione del rapporto di lavoro 61 con l'utilizzatore). Certo non si può non sottolineare la maliziosità del legislatore che, dopo aver minuziosamente disciplinato il contratto di somministrazione, dedicando ad esso ben otto articoli, prevedendo una disciplina sanzionatoria capillare e rigorosa, in sostanza spalanca all'imprenditore una comoda via di fuga consentendogli di erogare mano d'opera in modo ben più conveniente tramite il contratto di appalto e tutto ciò grazie all'alleggerimento dei requisiti di imprenditorialità dell'appaltatore. Da ultimo va ricordato che l'art. 84 prevede l'utilizzabilità (sia nella fase di stipulazione sia in quella di attuazione del contratto) delle procedure di certificazione di cui al capo primo anche ai fini della distinzione tra appalto e somministrazione; inoltre il secondo comma prevede, entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto, l'adozione da parte del Ministero del lavoro di codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino che dovrebbero recepire le indicazioni contenute negli accordi interconfederali e di categoria. Vista la brevità del termine (sei mesi) il rischio è che il Ministero adotti unilateralmente i codici di buone pratiche e gli indici presuntivi così incrementando la tendenza ad utilizzare il decreto ministeriale per disegnare il nuovo diritto vivente piuttosto che per svolgere una funzione ricognitiva degli indirizzi, collettivi e giurisprudenziali, maturati ( tendenza particolarmente evidente nell'art. 18, 6° comma). Tuttavia sia la certificazione sia i codici non possono intaccare i diritti soggettivi dei lavoratori; la certificazione infatti può essere impugnata in giudizio ai sensi dell'art. 80 mentre il codice di buone pratiche non costituisce certo un atto vincolante in sede giudiziaria tenuto conto della precisa indicazione contenuta nella legge delega che ipotizza l'interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro" ed in ogni caso può essere disapplicato se illegittimo e quindi se non tenga conto della "rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell'appaltatore" richiesta dall'art. l, lett.m),n.7 L. 30/03. Distacco Prima dell'emanazione del d.lgs. 276/03 mancava una definizione legale di distacco; l'unica previsione normativa riferita al distacco era l'articolo 8, comma 3 del d.1. 148/93 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione) a mente del quale "Gli accordi sindacali, al fine di evitare le riduzioni di personale, possono 62 regolare il comando o il distacco di uno o più lavoratori dall'impresa ad altra per una durata temporanea". Il d. lgs. ha sostanzialmente recepito i principi giurisprudenziali che configurano il distacco in presenza: • di un datore di lavoro che deve soddisfare un proprio comprovato interesse • di una necessità temporanea di porre uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l'esecuzione di una determinata prestazione lavorativa. In realtà la giurisprudenza era più rigorosa perché richiedeva comunque l'esistenza di comprovate ragioni tecnico organizzative a sostegno della legittimità del distacco, potendosi configurare in difetto una interposizione di mano d'opera (Cass. 14458/00; Cass. 13979/00; Cass. 12224/99). Nella nuova disciplina la sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive viene inspiegabilmente richiesta solo se il distacco comporta il trasferimento. Ritengo che in realtà il predetto requisito debba sussistere sempre perché la caratteristica precipua del distacco è quella di essere destinato a soddisfare un interesse proprio del datore di lavoro a differenza della somministrazione destinata a soddisfare l'interesse dell'utilizzatore, ed il predetto requisito è espressamente previsto dall'art.30 comma 1 (" per soddisfare un proprio interesse"); in materia è inoltre intervenuta la circolare 15 gennaio 2004 n. 3 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali chiarendo che i requisiti di legittimità sono: • la temporaneità del distacco, concetto coincidente con la non definitività e non con la brevità della durata; • l'interesse del distaccante che può essere qualunque interesse produttivo non coincidente con quello della somministrazione di lavoro; tale interesse è stato individuato anche nell'interesse al buon andamento della società controllata o partecipata. Altri argomenti a sostegno della necessità delle esigenze tecnico produttive quali condizioni di legittimità del distacco sono desumibili dall'art. 1 lett. m della legge delega che prima ho richiamato nella parte in cui ipotizza la interposizione illecita "laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa e produttiva". Il distacco non è certamente condizionato dal consenso del lavoratore che viene espressamente richiesto solo se il distacco comporta il mutamento di mansioni ovviamente nel rispetto dell'art. 2103 c.c. e non invece se comporta il trasferimento del lavoratore. Come per l'appalto anche per il distacco non viene introdotto alcun elemento di disciplina del rapporto trilatero ad eccezione della ribadita responsabilità del datare di lavoro per il trattamento economico e normativa spettante al lavoratore. Forse si può tentare di sostenere che operi comunque il principio di parità di 63 trattamento previsto per la somministrazione dall'art. 23 comma 1 viste le forti analogie esistenti tra i due contratti, ma dubito che la predetta affermazione possa incontrare molti consensi. Prof. Antonio Vallebona IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA da “La riforma dei lavori” – CEDAM Padova 2004 SOMMARIO: 1. La nozione. — 2. La procedura sindacale. — 3 La prosecuzione dei rapporti di lavoro. —4 La conservazione dei diritti del lavoratore e la disciplina collettiva. — 5 La garanzia dei crediti del lavoratore. — 6 Il trasferimento di azienda in crisi. —7 Altre vicende soggettive. Note in calce al testo 1) La nozione Il trasferimento dell’azienda da un imprenditore ad un altro è oggetto non solo della generale disciplina civilistica (artt. 2556 e ss cod. civ.), ma anche di un’apposita normativa lavoristica (art. 2112 cod. civ. e art. 47 legge n. 428 del 1990 come novellati dal dlgs n. 18 del 2001 e dall’art. 32, c. 1 del d. lgs. n. 276 del 2003; direttiva comunitaria n. 187 del 1977 novellata con la direttiva n. 50 del 1998) volta a tutelare, sotto diversi aspetti, la posizione dei prestatori occupati nell’azienda ceduta. Per individuare il campo di applicazione di questa importante regolamentazione è stata introdotta una apposita nozione di trasferimento d’azienda ai fini lavoristici (art. 2112, c. 5, cod. civ.). Innanzitutto la vicenda deve consistere nel «mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro». Questa definizione si riferisce con evidenza alla titolarità dell’impresa (art. 2082 cod. civ.), implicando così, imprescindibilmente la circolazione dell’azienda (art. 2555 cod. civ.) mediante la quale viene esercitata l’impresa (1), in conformità alla direttiva comunitaria che fa ora espresso riferimento al passaggio di elementi materiali significativiLa disciplina riguarda anche il trasferimento di «parte 64 dell’azienda intesa come articolazione funzionalmente autonoma» (ah. 2112, c. 5, cod. civ.) (2), restando esclusa, invece, la cessione ai singoli beni aziendali (3). La previsione secondo cui la parte di azienda trasferita doveva essere «preesistente» e conservare «nel trasferimento la propria identità» (art. 2112, c. 5, cod. civ., introdotto con il dlgs. n. 18 del 2001) impediva al cedente di sbarazzarsi dei lavoratori addetti ad una articolazione aziendale costituita, autonomizzata o alterata in vista del trasferimento (4). Ma ora tale previsione è stata soppressa consentendosi che l’articolazione aziendale autonoma sia «identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento (art. 2112, c. 5, cod. civ. come novellato dall’art. 32, c.1, d.lgs. 276/2003). E’ escluso dalla nozione in esame il trasferimento di un’organizzazione non economica, cioè senza quell’equilibrio tra costi e ricavi che costituisce il requisito minimo per la configurazione di un’impresa anche in assenza del fine di lucro (5). Il mezzo tecnico (“tipologia negoziale”) utilizzato dalle parti per il trasferimento è irrilevante, poiché quel che conta è l’effetto di sostituire nella titolarità dell'attività un soggetto ad un altro (6). Rientrano nella disciplina in esame anche i trasferimenti non volontari, ma determinati da un «provvedimento» della pubblica autorità (7), purché si verifichi il passaggio dell’organizzazione. La legge (art. 2112, c. 5, cod. civ.) si applica espressamente anche a trasferimenti temporanei, come l’usufrutto e l’affitto di azienda, e quindi anche alla retrocessione che si verifica al termine di questi (8). L’integrazione dell’azienda o del ramo aziendale acquisito nella preesistente organizzazione del cessionario non esclude la configurabilità di un trasferimento d’azienda (9), la quale deve avere propria identità "nel " trasferimento e non dopo. Non determinano circolazione dell’azienda né la modifica della denominazione sociale, né la trasformazione societaria (10), né la cessione del pacchetto azionario (11), poiché la società titolare dell’azienda non cambia. La fusione e la scissione di società, al pari della successione dell’erede nella titolarità nell’impresa individuale (12), sono vicende che riguardano direttamente i soggetti, come tali non riconducibili al trasferimento a titolo particolare dell’azienda da un soggetto ad un altro. Tuttavia la nuova nozione lavoristica di trasferimento d’azienda è talmente ampia da ricomprendere anche queste fattispecie. Non si verifica, invece, un trasferimento d’azienda nell’ipotesi di mero subentro di un nuovo imprenditore con propria organizzazione in un appalto (13) o in una concessione amministrativa (14) in precedenza affidati ad altro imprenditore 65 neppure se il subentrante assume, per obbligo legale o negoziale, il personale già impiegato nell’appalto (art. 29, c. 3, d. lgs. n. 276 del 2003), 2) La procedura sindacale La direttiva comunitaria n. 187 del 1977 prevedeva (art. 6) una procedura di informazione e consultazione sindacale in caso di trasferimento d’azienda. L’Italia era rimasta a lungo inadempiente all’obbligo di introdurre questa tutela nel proprio ordinamento nazionale (15) infine provvedendo con l’art. 47 della legge n. 428 del 1990, poi novellato con d. lgs. n. 18 del 2001 in conformità alla sopravvenuta direttiva comunitaria n. 50 del 1998. La procedura riguarda solo le aziende o i rami d’azienda con più di quindici addetti (art. 47, c. 1) e si articola in una fase necessaria di informazione ed una eventuale di esame congiunto. L’obbligo di informazione (art. 47, c. 1) grava su cedente e cessionario, che devono adempierlo mediante comunicazione scritta alle rappresentanze sindacali unitarie (o alle r.s.a.) delle unità produttive interessate ed ai sindacati di categoria stipulanti il contratto collettivo applicato o, in mancanza di rappresentanze aziendali, ai sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi. L’informazione deve riguardare sia la data e i motivi del programmato trasferimento d’azienda, sia le conseguenze di questo sui rapporti di lavoro. L’informazione deve essere preventiva («almeno venticinque giorni prima») al trasferimento, come si evince sia dalla frase d’esordio («quando si intenda effettuare un trasferimento»), sia dal contenuto dell’informazione («motivi del programmato trasferimento»). La ratio della procedura, diretta a consentire al sindacato di conoscere e discutere i programmi imprenditoriali anche al fine di modificarli o di dissuadere il potenziale acquirente, impone lo svolgimento della stessa prima della stipulazione di qualsiasi accordo, anche preliminare, tra i soggetti interessati («prima che ... sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti»), sicché sarebbe tardiva un’informazione data dopo la conclusione di un contratto preliminare o, addirittura, nel periodo tra la conclusione del contratto definitivo e la sua efficacia. Nel termine di sette giorni all’informazione scritta le rappresentanze sindacali o i sindacati possono chiedere un esame congiunto con cedente e cessionario, che sono obbligati ad avviando entro sette giorni dalla richiesta ed a proseguirlo per almeno dieci giorni (art. 47 c.2). Si tratta di un obbligo di consultazione e non di un obbligo a trattare, né tanto meno a contrarre, sicché, decorso il termine suindicato senza il raggiungimento di un accordo sindacale, i soggetti interessati possono liberamente procedere alla realizzazione del loro programma. 66 L’informazione e l’esame congiunto sono dovuti anche se la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da un’impresa controllante, senza possibilità di eccepire l’omessa trasmissione da parte di questa delle informazioni necessarie (art. 47, c. 4). L’informazione deve essere tempestiva, completa e veritiera e la consultazione va condotta lealmente, La trasgressione di questi obblighi da parte del cedente o del cessionario o di entrambi costituisce condotta antisindacale reprimibile ex art. 28 Statuto dei Lavoratori, trattandosi della violazione di diritti sindacali tipizzati dalla legge. Pertanto è superflua la previsione espressa in tal senso (art, 47, c. 2). L’ordine del giudice di cessazione della condotta e di rimozione dei suoi effetti può sicuramente imporre il corretto svolgimento della procedura, che, però, avrebbe poco senso in presenza di un trasferimento già attuato. In quest’ultimo caso è, peraltro, difficile sostenere l’invalidazione dello stesso trasferimento e/o delle sue conseguenze sui rapporti di lavoro (16) non essendo configurabili con certezza come «effetti» della violazione procedimentale, atteso che, come si è visto, il sindacato non titolare di un potere di veto. 3) La prosecuzione dei rapporti di lavoro La prima fondamentale tutela per i lavoratori occupati nell’azienda trasferita consiste nella continuazione del rapporto con il cessionario (art. 2112, c. 1, cod. civ.). Non si tratta di un obbligo di assunzione, bensì della sostituzione automatica di un soggetto ad un altro nella titolarità del rapporto di lavoro come effetto legale del trasferimento d’azienda. Pertanto il rapporto resta lo stesso, salvo questa modificazione soggettiva. Nel testo originario dell’art. 2112 cod. civ., coevo alla regola di licenziamento libero con preavviso (art. 2118, cod. civ.), era prevista la possibilità per l’alienante di impedire l’effetto in esame mediante «disdetta in tempo utile», intesa, appunto, come licenziamento con preavviso scadente prima del trasferimento d’azienda (17). A seguito della introduzione della regola di giustificazione necessaria del licenziamento con tutela reale questa possibilità è venuta meno, essendosi riconosciuto che il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento (l8). Ciò è ora espressamente sancito dalla legge (art. 2112, c. 4, cod. civ.), mentre è stato eliminato dal testo dell’art. 2112 cod. civ. l’inciso relativo alla disdetta in tempo utile. Pertanto, attualmente, oltre le ovvie ipotesi di dimissioni, risoluzione consensuale o morte del prestatore anteriori al trasferimento, la prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario è esclusa solo se il cedente intima un valido licenziamento. Se il lavoratore ritiene illegittimo tale licenziamento ed intende 67 essere reintegrato nel posto di lavoro deve convenire in giudizio lo stesso cedente, mentre non sussiste un litisconsorzio necessario con il cessionario alle cui dipendenze passa automaticamente anche quel lavoratore in caso di invalidazione del licenziamento (19). La risoluzione del rapporto con il cedente subito prima del trasferimento d’azienda seguita da immediata riassunzione da parte del cessionario è considerata come un fittizio frazionamento del rapporto in frode alla legge (20). È ammessa, invece, una rinunzia del lavoratore al diritto alla prosecuzione del rapporto con il cessionario, dopo che tale diritto sia sorto (21). In caso di trasferimento parziale l’effetto legale della automatica prosecuzione del rapporto con il cessionario si verifica solo per gli addetti al ramo trasferito, mentre i lavoratori addetti altrove possono passare alle dipendenze dell’acquirente solo se consentono la cessione del contratto individuale di lavoro (cfr. nota 2). 4) La conservazione dei diritti del lavoratore e la disciplina collettiva La prosecuzione del rapporto, con la sola modificazione soggettiva dal lato del datore di lavoro, lascia le parti nella stessa posizione precedente. Appunto in questo senso di mantenimento per il futuro della posizione contrattuale acquisita va intesa la previsione per cui "il lavoratore conserva tutti i diritti che ne (dal rapporto) derivano» (ari. 2112, c. 1, cod. civ. civ.). Infatti i crediti già maturati m passato prima del trasferimento d’azienda costituiscono oggetto di altra apposita garanzia. Il cessionario deve, quindi, riconoscere ai lavoratori divenuti suoi dipendenti i diritti collegati alla pregressa anzianità di servizio e quelli contenuti nel contratto individuale, anche per effetto di eventuali usi aziendali che lo abbiano integrato per fatti concludenti. Problemi complessi si pongono, invece, per i trattamenti previdenziali complementari, distinguendosi da un lato i trattamenti già maturati dalle aspettative e dall’altro lato i fondi con propria soggettività dalle obbligazioni gravanti direttamente sul datore di lavoro. La prosecuzione del medesimo rapporto in corso con il cedente determina anche l’obbligo del cessionario di corrispondere l’intero trattamento di fine rapporto, senza distinzione tra le quote relative al periodo anteriore al trasferimento e quelle successive, poiché il diritto matura tutto insieme alla fine del rapporto (22). E' escluso un obbligo di parità di trattamento nei confronti dei lavoratori già dipendenti del cessionario (23). Quanto alla disciplina collettiva, che non si incorpora nei contratti individuali, il cessionario è tenuto ad applicare ai lavoratori addetti all’azienda trasferita i contratti collettivi, anche aziendali, applicati dal cedente alla data del 68 trasferimento, ma ciò solo fino alla rispettiva scadenza e ferma la possibilità di sostituzione immediata con i contratti collettivi del medesimo livello applicabili all'impresa del cessionario (art. 2112, c. 3, cod. civ.) (24). La successione di fonti collettive, in base ai principi generali, può determinare anche un peggioramento del precedente trattamento, ma di solito, in sede di procedura sindacale, vengono stipulati appositi accordi collettivi di passaggio diretti ad evitare tale conseguenza e ad armonizzare gradualmente il trattamento di vecchi e nuovi dipendenti del cessionario. In caso di modifica sostanziale delle condizioni di lavoro, il prestatore passato alle dipendenze del cessionario ha facoltà, nel termine di tre mesi dal trasferimento, di dimettersi senza preavviso, e con diritto ad una indennità pari a quella sostitutiva del preavviso di licenziamento (art. 2112, c. 4, cod. civ.). 5) La garanzia dei crediti del lavoratore Per i crediti, di qualsiasi tipo, già maturati dal lavoratore al momento del trasferimento dell’azienda è prevista (art. 2112, c. 2, cod. civ.) la responsabilità solidale del cedente e del cessionario (25), salvo che il lavoratore stesso consenta la liberazione del cedente in sede di conciliazione ex artt. 410 e 411 cod. proc. civ. (art. 2112, c. 2, cod. civ., nel testo novellato dall’art. 47 legge n. 428 del 1990 e dal d. lgs. n. 18 del 2001). La disposizione riposa sulla considerazione per cui la principale garanzia dei crediti del lavoratore è costituita dai beni aziendali, sicché la responsabilità viene estesa al cessionario, di cui non è prevista neppure la possibilità di liberazione. Con la ricordata novella del 1990 la garanzia è stata rafforzata eliminando la precedente condizione secondo cui i crediti dovevano tare dai libri dell’azienda trasferita (26). Per incentivare il trasferimento dell’ azienda in crisi un accordo collettivo può prevedere la disapplicazione della garanzia in esame. Un diverso tipo di garanzia consiste nel diritto dei dipendenti dell’appaltatore addetti all’esecuzione dell’appalto di «proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda» (art. 1676 cod. civ.). Si tratta di azione non surrogatoria, ma diretta mediante la quale il prezzo dell’appalto viene destinato immediatamente alla soddisfazione dei crediti dei lavoratori indicati, senza passare per le mani dell’appaltatore, al fine di evitare il rischio che questi lo utilizzi diversamente (27). Dal momento della richiesta il committente deve pagare il residuo prezzo non all’appaltatore, ma ai lavoratori fino a soddisfazione dei loro crediti. L’obbligo del committente è limitato all’importo del prezzo ancora da pagare, con evidente differenza rispetto alla illimitata responsabilità 69 solidale prevista a carico dell’imprenditore committente di appalti di servizi e del cessionario dell’azienda. La garanzia dell’art. 1676 cod. civ. è richiamata espressamente nel caso di appalto eseguito utilizzando il ramo d’azienda trasferito dal committente all’appaltatore (art. 2112, ult. comma, cod. civ., introdotto dall’art. 32, c. 2, d. lgs. n. 276 del 2003). 6) Il trasferimento di azienda in crisi Se l’azienda è in crisi, con conseguente serio rischio per l’occupazione dei relativi addetti, il trasferimento ad un nuovo imprenditore disposto a risanarla è considerato uno strumento fondamentale per salvare in tutto o in parte i posti di lavoro. Pertanto tale trasferimento viene agevolato dalla legge, mediante deroghe alle tutele normalmente operanti al fine di rendere conveniente l’acquisto. Dopo alcuni importanti interventi di emergenza in tal senso (legge 62 del 1976; legge n. 215 del 1978) (28), il sistema è stato istituzionalizzato (art. 47, c. 5 e 6, legge n. 428 del 1990). Il regime derogatorio si applica in caso di procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo con cessione dei beni, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria) o di provvedimento amministrativo dichiarativo di crisi aziendale (art. 47, c. 5, legge cit.) (29). Le deroghe non sono automatiche, bensì dipendono dalla conclusione di un apposito accordo collettivo nel corso della prescritta procedura sindacale (art. 47, c. 5, legge cit.) (30). In tal modo è rimessa di volta in volta all’autonomia collettiva la valutazione circa l’opportunità e l’entità delle deroghe, ma si pongono i soliti problemi di efficacia del contratto collettivo ablativo di diritto comune nei confronti dei lavoratori dissenzienti non rappresentati dalle organizzazioni stipulanti (31). All’accordo collettivo è concessa la più ampia libertà, poiché può disapplicare tutte o parte delle tutele legali previste per il trasferimento d’azienda. In particolare l’accordo può escludere che il personale ritenuto esuberante dall’acquirente passi alle dipendenze di quest'ultimo, mentre per il persona1e il cui rapporto prosegue con il subentrante è automaticamente esclusa la conservazione dei diritti acquisiti e la responsabilità solidale dell'acquirente per i crediti vantati da tali lavoratori verso l'alienante, salvo previsioni di miglior favore dell'accordo collettivo (32) (art. 47, c. 5, legge cit.). Per i lavoratori rimasti presso l’alienante oppure da questi licenziati è previsto un diritto di precedenza in relazione alle nuove assunzioni eventualmente effettuate dall’acquirente entro un anno dal trasferimento dell’azienda o entro il maggior periodo previsto dall’accordo collettivo, ma restano comunque escluse in caso di assunzione le tutele relative alla posizione contrattuale precedente ed alla 70 garanzia dei vecchi crediti (art. 47, c. 6, legge cit.) (33). Al di fuori del sistema di deroga regolato dalla legge i diritti dei lavoratori derivanti dalle norme di tutela dell’art. 2112 cod. civ. non sono disponibili da parte dei contratti collettivi (34), salvo che sia già intervenuto il licenziamento in tempo utile da parte dell’alienante che esclude, fino alla conclusione dell’eventuale giudizio di impugnazione, l’operatività delle tutele in esame, con conseguente validità dell’accordo collettivo intervenuto in questa situazione a tutela dell’occupazione con sacrificio di altri interessi (35), purché accettato, anche per fatti concludenti dai singoli lavoratori (36). Per il trasferimento del portafoglio di imprese di assicurazione in liquidazione coatta amministrativa non riconducibile al trasferimento d’azienda, è prevista una disciplina speciale (l.egge 39/1977; legge 738/1978), che tutela i posti di lavoro sacrificando altri interessi dei lavoratori (37). 7) Altre vicende soggettive Vi sono alcune vicende non riconducibili al trasferimento d’azienda ma che pongono analoghe esigenze di tutela dei lavoratori. Innanzitutto va esaminata la successione di un imprenditore ad un altro nella gestione con propria organizzazione di un servizio affidato in appalto, che non costituisce trasferimento d’azienda poiché non si verifica il mutamento nella titolarità di una organizzazione economica (38) neppure se il subentrante assume, per obbligo legale o negoziale, il personale già impiegato nell’appalto (art. 29, c. 3, d, lgs. n. 276 del 2003). Neppure le direttive comunitarie, comunque in sé prive di efficacia orizzontale tra i privati (39), sembrano ampliare la nozione di trasferimento d’azienda sino a comprendere la mera successione nell’appalto (40), facendo ora espresso riferimento al passaggio di elementi materiali significativi. In assenza di tutela legale alcuni contratti collettivi (ad es. per le imprese di pulizia, per le imprese di igiene ambientale e smaltimento rifiuti, per i gestori di mense aziendali) prevedono non solo procedure di informazione e consultazione sindacale, ma anche l’obbligo dell’impresa subentrante di assumere, alle stesse condizioni, i lavoratori già addetti all’appalto da parte dell’impresa uscente (41). Si tratta di un obbligo a contrarre, la cui esecuzione, anche ope iudicis ex art. 2932 cod. civ., dà origine ad un nuovo rapporto di lavoro distinto dal precedente, con conseguente differenza rispetto alla disciplina legale del trasferimento d’azienda ed esclusione di qualsiasi responsabilità del nuovo appaltatore per i crediti del lavoratore nei confronti del vecchio appaltatore. L’obbligo di assunzione opera solo se l’impresa subentrante è vincolata dal contratto collettivo privatistico che lo prevede, ma se l’appaltante è un ente pubblico l’applicazione del contratto collettivo o, comunque, l’assunzione dei 71 precedenti addetti è normalmente imposta dal capitolato d’appalto. Con interessante disposizione antifraudolenta, simile a quella contenuta nella disciplina legale del trasferimento del portafoglio di impresa assicurativa in crisi il diritto di assunzione è riconosciuto solo ai lavoratori che erano addetti all’appalto già da un certo tempo oppure ai loro sostituti, al fine di evitare che l’imprenditore uscente, in vista della perdita dell’appalto, gonfi l’organico con i lavoratori superflui. L’obbligo di assunzione vige solo se l’oggetto e le condizioni dell’appalto restano invariate, non potendosi altrimenti gravare l’impresa subentrante di un organico di cui non è sicura la piena utilizzabilità. Il preesistente rapporto di lavoro con il vecchio appaltatore si estingue tipicamente per risoluzione consensuale contestualmente all’assunzione da parte del nuovo appaltatore, sicché i lavoratori che ottengono o pretendono il nuovo rapporto non possono impugnare un licenziamento che non esiste, Solo nell’ipotesi in cui il lavoratore rifiuti di utilizzare la tutela collettiva e la conseguente obbligata proposta di assunzione da parte del nuovo appaltatore resta esclusa una risoluzione consensuale del precedente rapporto, sicché l’imprenditore uscente deve scegliere se mantenere in servizio il lavoratore, adibendolo a posizioni disponibili presso altri appalti, oppure licenziarlo per giustificato motivo oggettivo dovuto alla soppressione del posto comprovando l’impossibilità di utilizzarlo altrove (42), Tuttavia non possono essere considerate come posizioni disponibili quelle relative ad eventuali appalti di nuova acquisizione, per le quali operi l’obbligo di assunzione dei relativi addetti (43), salvo la rinunzia di qualcuno di questi a far valere il proprio diritto. Mentre non è configurabile un licenziamento collettivo (circ. Min. Lav. 28.5. 2001) e, comunque, non si possono considerare come licenziamenti, neppure programmati, le fisiologiche risoluzioni consensuali dei rapporti di coloro che mediarne un nuovo contratto passano alle dipendenze del nuovo appaltatore (44). Se quest’ultimo si rende inadempiente al proprio obbligo a contrarre, il lavoratore eventualmente licenziato può scegliere se proporre domanda di costituzione del contratto nei confronti, appunto, del nuovo appaltatore, oppure domanda di invalidazione del licenziamento contro il vecchio appaltatore, Se queste domande vengono proposte entrambe, la seconda è per definizione subordinata al rigetto della prima (45), poiché la conservazione del rapporto precedente presuppone che non sia instaurato il nuovo rapporto con l’imprenditore subentrante A questa complessa ricostruzione si può ragionevolmente sostituire la semplice impostazione secondo cui, laddove opera in concreto la tutela collettiva di conservazione dell’occupazione nei confronti del subentrante è esclusa in radice 72 la tutela legale contro il licenziamento nei confronti dell’impresa Uscente, in quanto la disciplina collettiva è più favorevole ai lavoratori ai sensi dell’art. 12 della legge n, 604 del 1966, proprio perché nel fisiologico funzionamento del sistema non dovrebbero esserci sufficienti posizioni disponibili presso il vecchio appaltatore per il reimpiego degli addetti all’appalto perduto. Un’altra vicenda non configurabile come trasferimento d’azienda è il subentro di un imprenditore con propria organizzazione ad un altro in una concessione amministrativa. Tuttavia nel caso delle concessioni per il servizio dei tributi è espressamente previsto il diritto del personale addetto alla concessione «di essere mantenuto in servizio dal subentrante concessionario senza soluzione di continuità» (art. 63, c. 4, d.lgs. n. 112 del 1999). Analogo diritto era stato riconosciuto, al momento della modifica del sistema, al personale delle vecchie esattorie nei confronti delle nuove concessionarie (art. 122, c. 1, dpr. n. 43 del 1988) ed, in proposito, l’espressa garanzia del trattamento economico acquisito a fronte della prevista immediata applicazione dei contratti collettivi applicati dal nuovo concessionario (art. 122, c. 3, d.p.r. cit.) era stata correttamente intesa come diritto del lavoratore a conservare in valore assoluto l’eventuale maggior importo della precedente retribuzione, mediante un assegno ad personam di copertura della differenza, per definizione assorbibile nei futuri aumenti derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi applicati dai concessionario (46). Anche per il mero subentro, senza trasferimento d’azienda, nella gestione di servizi aeroportuali di assistenza a terra è stabilito «il passaggio del personale» dal vecchio al nuovo gestore (art. 14, c. 2, d. lgs. n. 18 del 1999), da intendersi come prosecuzione del rapporto precedente, con conseguente conservazione dell’anzianità di servizio e di ogni altro diritto, ma con esclusione della responsabilità solidale del subentrante per i debiti pregressi mancando, appunto, il presupposto del trasferimento d’azienda. Il numero dei lavoratori coinvolti è «proporzionale alla quota di traffico o di attività acquisita» dal nuovo gestore, conseguendone un problema di individuazione, nell’ambito dell’organico del precedente gestore, dei soggetti destinati al passaggio, Questa individuazione deve essere effettuata «d’intesa con le organizzazioni sindacali dei lavoratori», che a tal fine hanno stipulato con Assaeroporti il protocollo 16 marzo 1999, che fissa criteri diretti a distribuire uniformemente l’individuazione nelle diverse fasce d’età per ciascuna figura professionale. Di notevole rilievo è il problema della sorte del personale nelle ipotesi di fusione o scissione di società. In proposito il diritto nazionale, fino alla novella del 2001, taceva sia sul versante lavoristico (art. 2112 cod. civ.; art. 47 legge n. 428 del 1990), sia sul versante societario (dlgs. n, 22 del 1991), benché l’ordinamento comunitario imponesse di 73 applicare la stessa disciplina del trasferimento d’azienda (art. 1 direttiva 187 del 1997 novellata con la direttiva n. 50 del 1998; art. 12 direttiva n. 885 del 1978 sulle fusioni; art. 11 direttiva n. 891 del 1982 sulle scissioni). In questa situazione la fusione veniva ricondotta in via interpretativa al trasferimento (47), ma questa operazione di adeguamento al diritto comunitario costituiva una forzatura, poiché la fusione non riguarda la circolazione di un bene tra soggetti che erano e restano distinti, bensì investe più radicalmente gli stessi soggetti, di cui almeno uno (nella fusione per incorporazione) o addirittura entrambi (nella fusione con creazione di una nuova società) si estinguono dando luogo ad una successione a titolo universale (48). Solo con l’introduzione della apposita nozione di trasferimento d'azienda ai fini giuslavoristici avvenuta con d. legs. n. 18 del 2001 la disciplina nazionale è stata estesa con certezza anche alla fusione, come poi confermato espressamente con la novella del 2003 che fa riferimento ad una «cessione contrattuale o fusione» (art. 2112 c. 5, cod . civ., come novellato dall'art. 32, c. 1, d. lgs. n. 6 del 2003). Tuttavia la garanzia di diritto comune della posizione del lavoratore di fronte alla fusione rimane più forte di quella prevista dall’art. 2112 cod. civ., poiché «la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assumono i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione» (art. 2504 bis, c. 1, cod. civ.), con conseguente incondizionata tutela della continuità del rapporto di lavoro, della disciplina collettiva, dei diritti acquisiti e dei crediti del lavoratore. Sicché le uniche vere tutele aggiuntive della disciplina lavoristica consistono nella procedura sindacale e nella facoltà di dimissioni agevolate. In parte diversi erano i problemi giuslavoristici della scissione, che determina una divisione del patrimonio della società scissa tra più soggetti, preesistenti o di nuova costituzione, con i conseguenti problemi di individuazione del titolare dei rapporti di lavoro e dei responsabili per i debiti pregressi. La società beneficiaria della quota di patrimonio comprensiva dell’azienda, conservata come tale, subentra automaticamente nei relativi rapporti di lavoro in virtù della successione conseguente alla scissione, sicché è assicurato anche il mantenimento dei diritti acquisiti e della disciplina collettiva. Invece la garanzia dei crediti del lavoratore derivante dalla disciplina di diritto comune della scissione è inferiore a quella prevista per il trasferimento d’azienda, poiché la solidarietà passiva illimitata ed incondizionata tra tutte le società beneficiarie del patrimonio è prevista per la sola ipotesi in cui il progetto di scissione abbia taciuto su tali debiti (art. 2506 bis, c. 3, cod. civ., mentre qualora il progetto abbia assegnato tali debiti ad una società le altre rispondono solo dopo l’escussione di questa e solo nei limiti della quota netta di patrimonio a ciascuna attribuita. 74 Pertanto per la scissione al problema della omessa previsione della procedura sindacale, si aggiungeva l’indicata minore garanzia dei crediti del lavoratore. In questa situazione, ai fini della disciplina lavoristica, la scissione era stata già assimilata al trasferimento d’azienda (49), specie in caso di sopravvivenza della società scissa e di trasferimento della quota di patrimonio comprendente l’azienda ad una società preesistente. Ogni residuo dubbio è stato, poi, superato con l’introduzione (d. lgs. n. 18 2001 nella ricordata nuova definizione di trasferimento d’azienda ai fini lavoristici (art. 2112, c. 5, cod. civ.), nella quale rientra certamente la scissione, sebbene nella novella del 2003 sia menzionata solo la fusione e non anche la scissione (art. 2112, c. 1, d. leg. n. 276 del 2003). L’ultima vicenda da esaminare riguarda il trasferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici o privati, essendo disposta, in proposito, l’applicazione di tutta la disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda (art. 31 d. lgs. n. 165 del 2001; art. 34 d. lgs. n. 29 del 1993 come novellato dal d. lgs. n. 80 del 1998 e, ancora prima, il testo dell’originario art. 62 d.lgs. n. 29 del 1993). Si aggiunge l’obbligo delle società Private destinatarie delle attività dismesse dalla pubblica amministrazione di mantenere in servizio il personale trasferito per almeno cinque anni o per il superiore periodo di tempo concordato (art. 44, c. 1, legge n. 449 del 1997), il che significa divieto di licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo essendo ovviamente consentito il licenziamento disciplinare. In precedenza nell’ambito della privatizzazione degli istituti di credito di diritto pubblico erano stati fatti salvi per il personale i diritti quesiti e quelli derivanti da leggi speciali, nonché l’intera disciplina previgente fino al rinnovo del contratto collettivo aziendale (art 3 legge n. 218 del 1990), assicurandosi così, ai sindacati una trattativa sulla nuova disciplina nuova disciplina (art.3 legge n. 218 del 1990) con disposizione più favorevole rispetto a quella relativa al trasferimento d'azienda. Note (1) È irrilevante che l’azienda sia al momento non attiva, ad esempio perché danneggiata: Cass. 18 giugno 1981 n. 4009, FI, 1982, I, 177. È considerato trasferimento d’azienda anche l’acquisizione di un complesso organizzato di persone quando non occorrano mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica (Corte Giust. 2 dicembre 1999, Allen, MGL, 2000, 506; Cass. 22 luglio 2002 n. 10701 e Cass. 23 luglio 2002 n. 10761, entrambe in RIDL, 2003, II, 148). Invece non bastano, da soli, a configurare un trasferimento d’azienda né la mera prosecuzione dell’attività negli stessi locali ove operava il precedente imprenditore (Cass. 11 luglio 1989 n. 3267, LPO, 1990, 1303; Cass. 17 marzo 1993 n. 3148, RIDL, 1994, II, 413), nè il mero trapasso di clienti e fornitori con conservazione della stessa impostazione dell’attività (Cass. 15 gennaio 1990 n. 123, MGL, 1990, 39), nè la mera conservazione della precedente denominazione (Cass. 9 marzo 2001 n. 3512, MGL, 2001, 516). (2) Cass. 8 gennaio 1983 n. 138, GC, 1983, I, 2009; Cass. 21 novembre 1984 n. 5971, FI, 1985, I, 102; Cass. 8 gennaio 1991 n. 67, MGL, 1991, 78; Cass. 17 marzo 1993 n. 3148, RIDL, 1994, II, 413. Il trasferimento produce effetti per i soli addetti al ramo ceduto (Cass. 18 maggio 1995 n. 5483, MGL, 1995, suppl., 37), dei quali non è richiesto il consenso, invece necessario, secondo la regola della cessione del contratto, da parte dei lavoratori non addetti al ramo ceduto e, quindi, estranei all’effetto legale di prosecuzione del rapporto con il cessionario (Cass. 22 luglio 2002 n. 10701, MDL, 2003, II, 148; Cass. 23 75 luglio 2002 n. 10761, FI, 2002, I, 2278; Cass. 25 ottobre 2002 n. 15105, FI, 2005, I, 104; Cass. 4 dicembre 2002, n. 17207, FI, 2003, I, 103). Tuttavia l’alienante può scegliere di trattenere presso di sé alcuni ditali addetti per impiegarli nella parte di azienda non trasferita (Cass. 24 gennaio 1991 n. 671, RIDL, 1991, II, 678; Cass. 30 agosto 2000 n. 11422, RIDL, 2001, II, 519), peraltro, deve ritenersi, con onere di giustificare tale spostamento in mancanza del consenso del lavoratore. Secondo Corte di Giustizia 24 gennaio 2002 Temco Service, FI, 2002, IV, 142 la direttiva comunitaria n. 187 del 1977 non esclude la facoltà del lavoratore di rifiutare il passaggio alle dipendenze del cessionario, peraltro con le conseguenze del diritto interno che possono comportare anche la legittima risoluzione del rapporto con il cedente che l’incauto lavoratore contava di conservare. (3) Cass. 19 marzo 2001 n. 3911, GL, 2001, n. 26, 20; Cass. 30 dicembre 1999 n. 14755, RIDL, 2000, II, 474. Tuttavia se le varie componenti dell’azienda vengono trasferite al medesimo acquirente mediante contratti successivi in un arco di tempo non eccessivo è configurabile un trasferimento d’azienda: Cass. 4 marzo 1997 n. 1887, MGL, 1997, suppl., 28; Cass. 20 aprile 1998 n. 4010, MGL, 1998, suppl., 52; Cass. 11 marzo 2002 n. 3469, MGL, 2002, 274, che sottolinea la rilevanza della volontà dei contraenti di cedere un’azienda oppure singoli beni. (4) La necessaria preesistenza del ramo aziendale era ricavata in via interpretativa a prescindere dal d. lgs. n. 18 del 2001, da Cass. 25 ottobre 2002 n. 15105, FI, 2003, I, 104 e da Cass. 4 dicembre 2002 n. 17207, FI, 2003, I, 103. (5) Continuano a restare escluse, dunque, le organizzazioni non imprenditoriali come già ritenuto prima della novella del 2001, da Cass. 17 novembre 1983 n. 6701, GC, 1984, I, 2550; Cass. 17 giugno 1997 n. 5426, RIDL, 1998, II, 158; Cass. 10 aprile 1999 n. 3543, GL, 1999, n. 24, 35; Cass. 2 agosto 2002 n. 11622, RIDL, 2003, II, 406. Tuttavia se l’azienda utilizzata da un imprenditore viene trasferita ad un soggetto non imprenditore può applicarsi la disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda in virtù dell’art. 2239 cod. civ. (Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432). (6) Cass. 4 aprile 1981 n. 1921, OGL, 1981, 769; Cass. 5 aprile 1995 n. 3974, FI, 1997, I, 3663; Cass. 29 novembre 1996 n. 10688, RIDL, 1997, II, 572; Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432. E' considerato trasferimento d’azienda anche il conferimento in società di un’azienda individuale (Cass. 10 marzo 1990 n. 1963, MGL, 1990, suppl., 61), nonché la cessione di azienda effettuata da una società in liquidazione (Corte di Giustizia 12 marzo 1998, Jules Dethier e Dassy, FI, 1998, IV, 437; Corte di Giustizia 12 novembre 1998, Europièces, MGL, 1999, 506). (7) Fino alla novella del 2001 questi trasferimenti erano, invece, esclusi dalla disciplina in esame: Cass. 5 marzo 1993 n. 2705, RIDL, 1994, II, 499; Cass. 25 maggio 1995 n. 5754, RIDL, 1996, II, 186; Cass. 16 ottobre 1996 n. 9025, FI, 1997, I, 3662; Cass. 4 febbraio 1998 n. 1152, RIDL, 1998, II, 780; Cass. 25 gennaio 1999, n. 672, MGL, 1999, 382. (8) Cass. 7 luglio 1992 n. 8252, RIDL, 1993, II, 589; Cass. 16 ottobre 1996 n. 9037, MGL, 1996, 761; Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432; Cass. 21 maggio 2002 n. 7458, FI, 2002, I, 2278. Questo principio è applicato anche in caso di avvicendamento di imprenditori nel comodato d’azienda (Cass. 29 novembre 1996 n. 10688, RIDL, 1997, II, 572), di subentro nel franchising con utilizzo della medesima azienda fornita dal concedente (Cass. 27 febbraio 1998 n. 2200, MGL, 1998, 636), di retrocessione al preponente dell’azienda utilizzata dall’agente cessato e poi riaffidata al nuovo agente (Cass. 5 aprile 1995 n. 3974, FI, 1997, I, 3663; Cass. 7 ottobre 1997 n. 9728, RIDL, 1998, II, 382; Cass. 3 giugno 1998 n. 5466, MGL, 1998, 635). (9) Cass. 4 aprile 1981 n. 1921, OGL, 1981, 769; Cass. 8 gennaio 1991 n. 67, MGL, 1991, 78. (10) Cass. 28 aprile 1979 n. 2503, MGL, 1980, 489; Cass. 4 ottobre 1985 n. 4813, LPO, 1985, 2428. (11) Cass. 15 ottobre 1991 n. 10829, FI, 1991, I, 3031; Cass. 6 novembre 1992 n. 1203 e Cass. 9 novembre 1992 n. 12057, DPL, 1993, 129; Cass. 6 settembre 1993 n. 9339 GC, 1994, I, 1002. (12) Cass. 4 ottobre 1994 n. 8053, MGL, 1994, 688, che rileva l’inapplicabilità della disciplina del trasferimento d’azienda alla successione universale. Contra Cass. 26 luglio 2001 n. 10260, FI, 2001, I, 3088. (13) Cass. 6 marzo 1990 n. 1755, MGL, 1990, suppl., 57; Cass. 22 maggio 1991 n. 5745, RIDL, 1992, II, 437; Cass. 18 marzo 1996 n. 2554, MGL, 1996, 558; Cass. 20 novembre 1997 n. 11575, MGL, 1998, suppl., 13. (14) Cass. 16 giugno 1979 n. 3409, MGL, 1980, 639; Cass. 6 febbraio 1980 n. 843, MGL, 1981, 423; Caso. 21 giugno 1985 n. 3745, FI, 1986, I, 1968; Cass. 19 ottobre 1985 n. 5142, GC, 1986, I, 801; Cass. 19 giugno 2002 n. 572, RIDL, 2002, II, 855; Cass. 15 luglio 2002 n. 10262, RIDL, 2003, II, 249. (15) Corte di Giustizia 10 luglio 1986, DL, 1986, II, 426. Per l’inefficacia orizzontale della direttiva, cfr. 76 Cass. 21 marzo 2001 n. 4073, RIDL, 2002, II, 114. (16) Cass. 4 gennaio 2000 n. 23, FI, 2001, I, 1260 ritiene che la violazione dell’obbligo procedurale non incida sulla validità del trasferimento d’azienda. (17) Per tutte Cass. 26 novembre 1980 n. 6286, MGL, 1982, 121; Cass. 12 febbraio 1993 n. 1771, DPL, 1993, 1024. (18) Cass. 21 aprile 1983 n. 2762, GC, 1984, I, 516; Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, MGL, 1998, 432. Tuttavia si ritiene giustificato il licenziamento, individuale o collettivo, imposto dall’acquirente come condizione per l’acquisto: Cass. 9 luglio 1984 n. 3991, GC, 1984, I, 3288; Cass. 9 settembre 1991 n. 9462, LPO, 1992, 1773. (19) Per l’esclusione del litisconsorzio cfr. Cass. 21 novembre 1984 n. 5971, GC, 1985, I, 3160. Per la nullità del licenziamento e la condanna del subentrante al risarcimento del danno secondo il diritto comune in caso di rifiuto della prestazione offerta dal lavoratore, cfr. Cass. 6 marzo 1998 n. 2521, RIDL, 1999, II, 410. (20) Cass. 10 luglio 1984 n. 4039, 14 luglio 1984 n. 4132, 21 luglio 1984 n. 4291, GC Rep., 1984, voce Lavoro (rapporto), n. 2438, 2435, 2434; Cass. 12 febbraio 1993 n. 1771, DPL, 1993, 1024. Tuttavia la frode viene esclusa in caso di oggettive esigenze del subentrante per l'attuazione di una diversa organizzazione anche con diverso contratto collettivo (Cass. 23 gennaio 1986 n. 448, GC, 1986, I, 2855) ed in caso di licenziamento in tempo utile finalizzato a cedere l’azienda nel modo più conveniente (Cass. 3 febbraio 1994 n 1091, MGL, 1994, suppl., 20). (21) Cass. 18 agosto 2000 n. 10963, FI, 2001, I, 1259. (22) Cass. 27 agosto 1991 n. 9789, RIDL, 1992, II, 220; Cass. 14 dicembre 1998 n. 12548, MGL, 1999, 285; Cass. 13 dicembre 2000 n. 15687, MGL, 2001, 267. (23) Cass. 16 marzo 1994 n. 2491, RIDL, 1995, II, 186; Cass. 20 maggio 1996 n. 4951, RIDL, 1997, II, 200. (24) Cass. 8 settembre 1999 n. 9545, MGL, 1999, 1147 rileva che tale sostituzione immediata può determinare anche un peggioramento del complessivo trattamento dei lavoratori. (25) La responsabilità del cessionario viene esclusa per i debiti del cedente verso l’ente previdenziale per omessa contribuzione in quanto non qualificabili come crediti di lavoro (Cass. 16 giugno 2001 n. 8179, RIDL, 2002, II, 119), diversamente dal credito risarcitorio del lavoratore per la perdita della prestazione previdenziale a seguito della prescrizione dei contributi omessi (Cass. 4 ottobre 1984 n. 4934, MGL, 1984, 206, suppl.; Cass. 20 aprile 1935 n: 2644, MGL, 1985, 117, suppl.). La solidarietà riguarda anche i debiti gravanti sul cedente per effetto di un precedente trasferimento d’azienda (Cass. 17 luglio 2002 n. 10348, MGL, 2002, 669). (26) Tuttavia questa condizione veniva applicata solo ai rapporti di lavoro non proseguiti con l'acquirente; Cass. 12 febbraio 1980 n. 994, MGL, 1981, 427; Cass. 15 febbraio 1989 n. 909, MGL, 1989, 214; Cass. 23 marzo 1991 n. 3115, RIDL, 1991, II, 852; Cass. 27 novembre 1992 n. 12665, RIDL, 1993, II, 838. (27) Per la differenza rispetto all’azione ex art. 3 legge n. 1369 del 1960 cfr. Cass. 20 novembre 1998 n. 11753, MGL, 1999, 206. Viene escluso il litisconsorzio necessario con l’appaltatore e riconosciuta la competenza del giudice del lavoro (Cass. 4 settembre 2000 n. 11607, RIDL, 2001, II, 382). Ma la mancata partecipazione al giudizio dell’appaltatore impedisce un effettivo contraddittorio sull’esistenza e la misura del credito azionato dal lavoratore essendo-le vicende del rapporto note solo all’appaltatore, sicché appare quanto meno opportuno che sia sempre ordinato l’intervento iusso iudicis di quest’ultimo ex art. 107 cod. proc. civ.. Secondo un opinabile orientamento giurisprudenziale il diritto dei dipendenti dell’appaltatore ex art. 1676 cod. civ. è riconosciuto anche in caso di fallimento del medesimo, benché sottragga il prezzo residuo dell’appalto all’attivo della massa fallimentare ed al conseguente concorso di tutti i creditori: Cass. 10 luglio 1984 n. 4051, GC, 1985, I, 1744; Cass. 14 aprile 2001 n. 5591, MGL, 2001, 700; Cass. 10 marzo 2001 n. 3559, RIDL, 2002, II, 44. (28) Per la legittimità costituzionale della riduzione di tutela prevista dalla legge n. 215 del 1978 cfr. Corte Cost. 30 luglio 1980 n. 143, FI, 1980, I, 2953; Cass. S.U. 8 agosto 1991 n. 8640, RIDL, 1992, II, 420. Per alcune opinabili ricostruzioni del sistema della legge n. 215 del 1978 cfr. Cass. S.U. 25 novembre 1983 n. 7070, GC, 1984, I, 728 (a proposito del caso Unidal; Cass. 28 marzo 1985 n. 2187, RIDL, 1986, II, 174; Cass. 19 febbraio 1987 n. 1799, OCL, 1987, II, 245; Cass. 29 gennaio 1988 n. 796, FI, 1989, I, 3184. (29) Conte di Giustizia 7 dicembre 1995, Spano, FI, 1996, IV, 205 ha ritenuto violata da questa disposizione nazionale la direttiva comunitaria n. 187 del 1977, che ammette la disapplicazione delle tutele previste per il trasferimento d’azienda solo in caso di procedure concorsuali. La disciplina del trasferimento d’azienda si applica anche all’acquisto di una banca in liquidazione coatta amministrativa da parte di un’altra banca 77 (Cass. 23 giugno 2001 n. 8617, MGL, 2001, 1038). (30) Secondo Cass. 21 marzo 2001 n. 4073, FI, 2001, I, 3235 e Cass. 16 maggio 2002 n. 7120, FI, 2002, I, 2277, l’accordo collettivo può intervenire anche prima della dichiarazione di crisi, purché entrambi coesistano al momento del trasferimento. (31) Con riferimento al sistema della legge n. 215 del 1978, l’accordo collettivo è stato ritenuto vincolante solo per i lavoratori iscritti ai sindacati stipulanti o che lo abbiano ratificato anche per farti concludenti: Cass. 19 maggio 1990 n. 4543, MGL, 1990, suppl., 88. In senso conforme, con riferimento alle disposizioni dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990, cfr. Cass. 12 maggio 1999 n. 4724, MGL. 1999, 1037. (32) La disapplicazione delle tutele previste dall’art. 2112 cod. civ., per i lavoratori passati alle dipendenze dell’acquirente deriva automaticamente dal fatto materiale della stipulazione dell’accordo e non dal suo contenuto, che può solo introdurre condizioni di miglior favore: Cass. 18 febbraio 1997 n. 1462, RIDL, 1998, II, 150. (33) Nel sistema della legge n. 215 del 1978 i lavoratori non passati alle dipendenze dell’acquirente rimanevano in cassa integrazione presso l’alienante, a maggior ragione se addetti ad un ramo d’azienda non trasferito: Cass. 19 febbraio 1988 n. 1763, RIDL, 1988, II, 1078. E' stata considerata in frode alla legge l’esclusione del passaggio all’acquirente dei lavoratori subito seguita dall’assunzione degli stessi da parte del medesimo acquirente per godere delle riduzioni contributive previste per l’assunzione dei lavoratori collocati in mobilità (Cass. 27 giugno 2001 n. 8800, MGL, 2001, 1049). (34) Cass. 13 aprile 1985 n. 2445, GC, 1985, I, 2208; Cass. 19 maggio 1990 n. 4543, MGL, 1990, suppl., 88; Cass. 26 maggio 2000 n. 6907, MGL, 2000, 1052. Contra Cass. 4 luglio 1991 n. 7397, FI, 1992, I, 418; Cass. 21marzo 1994 n. 2660, DPL, 1994, 1916. (35) Cass. 18 agosto 1978 n. 3901, OCL, 1979, 389; Cass. 22 aprile 1983 n. 2785, GC, 1983, I, 2981; Cass. 23 gennaio 1986 n. 448, GC, 1986, I, 2855; Cass. 10 agosto 1987 n. 6861, FI, 1989, I, 3186. (36) Cass. 13 aprile 1985 n. 2445, GC, 1985, I, 2208; Cass. 19 maggio 1990 n. 4543, MGL, 1990, suppl., 88. (37) I dirigenti sono esclusi da questa disciplina, per cui sono licenziabili con preavviso (Cass. 17 ottobre 1984 n. 5233, GC, 1985, I, 769; Cass. 12 ottobre 1993 n. 10086, FI, 1994, I, 1493). I lavoratori obbligatoriamente riassunti dall’impresa cessionaria del portafoglio hanno diritto a conservare la qualifica corrispondente alle mansioni svolte (Cass. S.U. 17 ottobre 1984 n. 5230, GC, 1985, I, 770; Cass. 27 novembre 1987 n. 8829, RIDL, 1988, II, 695), ma non l’inquadramento di favore equiparabile ad un superminimo individuale (Cass. n. 8829 del 1987, cifr.). Il diritto alla riassunzione da parte dell’impresa cessionaria del portafoglio è escluso per gli assunti nell’ultimo anno, al fine antifraudolento di evitare l’instaurazione di rapporti clientelari in vista della liquidazione coatta (Cass. 24 gennaio 1992 n. 779, FI, 1993, I, 547). La riassunzione ex novo da parte del Commissario liquidatone ex art. 10, c. 2, legge n. 39 del 1977 avviene con trattamento minimo e presuppone l’estinzione ope legis senza preavviso del precedente rapporto (Cass. 31 luglio 1998 n. 7544, RIDL, 1999, II, 789). (38) Cass. 6 marzo 1990 n. 1755, MGL, 1990, suppl., 57; Cass. 22 maggio 1991 n. 5745, RIDL, 1992, II, 437; Cass. 18 marzo 1996 n. 2254, MGL, 1996, 568; Cass. 20 novembre 1997 n. 11575, MGL, 1998, suppl., 13. (39) Cass. 5 aprile 1995 n. 3974, FI, 1997, I, 3663; Cass. 18 marzo 1996 n. 2254, MGL, 1996, 568; Cass. 30 agosto 2000 n. 11422, MGL, 2000, 1334; Cass. 21 marzo 2001 n. 4073, MGL, 2001, 608. (40) Cass. 20 novembre 1997 n. 11575, MGL, 1998, suppl, 13; Corte di Giustizia 11 marzo 1997, Suzen, MGL, 1997, 241; Corte di Giustizia 25 gennaio 2001, Py Likenne, FI, 2001, IV, 153. Contra in precedenza Conte di Giustizia 10 febbraio 1988, GC, 1990, I, 283; Corte di Giustizia 14 marzo 1994, RIDL, 1995, II, 608; Corte di Giustizia 7 marzo 1996, Mercks, MGL, 1996, 362. Ovviamente diverso è il caso, in cui si è configurato un trasferimento d’azienda, del committente che riassume in proprio il servizio prima appaltato, contemporaneamente acquisendo l’organizzazione dell’appaltatore: Corte Giustizia 10 dicembre 1998, Francisco Hernandez Vidal, MGL, 1999, 98; Corte Giustizia, 10 dicembre 1998, Sanchez Hidalgo, MGL, 1999, 98. In effetti la massima estensione del concetto di trasferimento di azienda non poteva andare oltre l’ipotesi, già in sé discutibile, della acquisizione di un complesso organizzato di persone da solo sufficiente, senza mezzi patrimoniali, all’esercizio dell’attività economica (Corte di Giustizia 2 dicembre 1999, Allen, MGL, 2000, 506; Corte di Giustizia 24 gennaio 2002, Temco Service, FI, 2002, IV, 142, in un caso di obbligo per contratto collettivo a carico dell’impresa subentrante in un appalto di pulizie di assumere una parte essenziale del personale utilizzato dal precedente appaltatore). Ma, ormai, è decisivo l’espresso riferimento della vigente direttiva al passaggio di elementi materiali significativi (Corte Giustizia 25 gennaio 2001, cit.). 78 (41) Opportunamente Cass. 8 febbraio 1993 n. 1518, RIDL, 1993, II, 834 riporta le improprie espressioni utilizzate nei contratti collettivi (ad es. cessione dell’appalto, cambio appalto) alla corretta definizione di «concessione di un nuovo appalto in sostituzione del precedente». (42) Cass. 8 marzo 1990 n. 1875, MGL, 1990, suppl., 57; Cass. 29 marzo 1990 n. 2550, MGL, 1990, 448; Corte di Giustizia 24 gennaio 2002 Teinco Service, FI 2002, IV, 142. (43) Contra Cass. 21 maggio 1998, n. 5104, FI, 1998, I, 2108 e RIDL, 1999, II, 206. (44) Contra, ma senza neppure porsi il problema della risoluzione consensuale, Cass. N. 5104 del 1998, cit. nella nota precedente. (45) Di ciò non si è avveduta Cass. n. 5104 del 1998, cit.. Il risarcimento per l’inadempimento dell’obbligo negoziale di assunzione deve essere commisurato alle retribuzioni perdute con detrazione dell’eventuale aliunde perceptum (Cass. 2 luglio 2001 n. 8894, GL, 2001, n. 36, 23). (46) Cass. 7 marzo 1998 n. 2575, RIDL, 1998, II, 784; Cass. 9 luglio 2002 n. 9966. Contra Cass. 22 ottobre 1999 n. 11900, RIDL, 2000, II, 467. (47) Cass. 23 gennaio 1986 n. 448, GC, 1986, I, 2855; Cass. 29 maggio 1996 n. 4951, RIDL, 1997, II, 200; Cass. 5 giugno 1998 n. 5581, RIDL, 1999, II, 231. Contra Cass. 8 novembre 1983 n. 6612, GC, 1984, I, 1171; Cass. 28 luglio 1986 n. 4812, FI, 1988, I, 1275. (48) Cass. 17 novembre 2000 n. 14879, GL, 2001, n. 5,17. 49) Cass. 6 ottobre 1998 n. 9897, FI 1999, I, 3312. 79 La principale normativa nazionale e comunitaria ddaall 11999900 aall 22000033 1) CODICE CIVILE: ART. 2112 MODIFICATO DALLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990 N. 428 ART. 2112 SOSTITUITO DALL’ART. 1 DEL D. LGS. 2 FEBBRAIO 2001 N. 18 ART. 2112 MODIFICATO DALL’ARTICOLO 32 DEL D. LGS. N. 276/2003 2) LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428- ART. 47 3) ART. 47 DELLA LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428 DALL’ARTICOLO 2. DEL D. LGS. 2 FEBBRAIO 2001 N. 18 MODIFICATO 4) DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 14 FEBBRAIO 1977 N.187 5) DIRETTIVA 98/50/CE DEL CONSIGLIO DEL 29 GIUGNO 1998 6) DIRETTIVA 2001/23/CE DEL CONSIGLIO DEL 12 MARZO 2001 Codice Civile art. 2112 modificato dalla legge 428 del 1990 Trasferimento dell'azienda In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. L'alienante e l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. L'acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa dell'acquirente. Le disposizioni di quest'articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto della azienda. Codice Civile art. 2112 sostituito dall’art. 1 del d. lgs. 2001 n. 18 Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. 81 Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Il cessionario e' tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello. Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sè motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità, a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento e' attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità. Codice Civile art. 2112 modificato dall’art.32 del DLGS n. 276/2003 Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello. 82 Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d’azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all’articolo 2119, primo comma. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d’azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. Nel caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all’articolo 1676. LEGGE 29 DICEMBRE 1990, N. 428 ART. 47. TRASFERIMENTI DI AZIENDA. 1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'art. 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono occupati più di quindici lavoratori, l'alienante e l'acquirente devono darne comunicazione per iscritto, almeno venticinque giorni prima, alle rispettive rappresentanze sindacali costituite, a norma dell'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonchè alle rispettive associazioni di categoria. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, la comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. La comunicazione alle associazioni di categoria può essere effettuata per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; b) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; c) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. 2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali aziendali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, l'alienante e l'acquirente sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti 83 sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. Il mancato rispetto, da parte dell'acquirente o dell'alienante, dell'obbligo di esame congiunto previsto nel presente articolo costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300. 3. I primi tre commi dell'art. 2112 del codice civile sono sostituiti dai seguenti: <<In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. L'alienante e l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. L'acquirente è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi anche aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa dell'acquirente>>. 4. Ferma restando la facoltà dell'alienante di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sè motivo di licenziamento. 5. Qualora il trasferimento riguardi aziende o unità produttive delle quali il CIPI abbia accertato lo stato di crisi aziendale a norma dell'art. 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675, o imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all'amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova applicazione l'art. 2112 del codice civile, salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante. 6. I lavoratori che non passano alle dipendenze dell'acquirente, dell'affittuario o del subentrante hanno diritto di precedenza nelle assunzioni che questi ultimi effettuino entro un anno dalla data del trasferimento, ovvero entro il periodo maggiore stabilito dagli accordi collettivi. Nei confronti dei lavoratori predetti, che vengano assunti dall'acquirente, dall'affittuario o dal subentrante in un momento successivo al trasferimento d'azienda, non trova applicazione l'art. 2112 del codice civile. 84 Art. 47 Della Legge 29 Dicembre 1990, N. 428 modificato dall’articolo 2. del d. lgs. 2 febbraio 2001 n. 18 1. All'articolo 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428, i commi 1, 2, 3 e 4 sono sostituiti dai seguenti: "1. Quando si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati piu' di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unita' produttive interessate, nonche' ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente piu' rappresentativi e puo' essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. 2. Su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. 3. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti dai commi 1 e 2 costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300. 4. Gli obblighi d'informazione e di esame congiunto previsti dal presente articolo devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata trasmissione da parte di quest'ultima delle informazioni necessarie non giustifica l'inadempimento dei predetti obblighi.". 85 COMUNITÀ EUROPEA DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 14 FEBBRAIO 1977 N.77/187 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti SEZIONE I - Campo di applicazione e definizioni Articolo 1 1 . La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, si stabilimenti o di parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione. 2 . La presente direttiva si applica se e nella misura in cui l'impresa, lo stabilimento o la parte di stabilimento da trasferire si trovi nel campo d' applicazione territoriale del trattato. 3 . La presente direttiva non si applica alle navi marittime. Articolo 2 Ai sensi della presente direttiva si intende: • per « cedente », ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dello stabilimento; • per « cessionario », ogni persona fisica o giuridica che , in conseguenza di un trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dello stabilimento; • per « rappresentanti dei lavoratori », i rappresentanti dei lavoratori previsti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri, eccettuati i membri degli organi di amministrazione, di direzione o di controllo di società che in alcuni Stati membri occupano un posto in tali organi in qualità di rappresentanti dei lavoratori. SEZIONE II - Mantenimento dei diritti dei lavoratori Articolo 3 1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro. 2. Dopo il trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o 86 della scadenza del contratto collettivo o dell'entrata in vigore o dell'applicazione di un altro contratto collettivo. Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro purchè esso non sia inferiore ad un anno. 3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, d'invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o interprofessionali, esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al momento del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, per quanto riguarda i diritti, da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari citati al primo comma. Articolo 4 1. Il trasferimento di un ' impresa , di uno stabilimento o di una parte di stabilimento non è di per sè motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione. Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento. 2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è rescisso in quanto il trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la rescissione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro. Articolo 5 1. Qualora lo stabilimento conservi la propria autonomia, sussistono lo status e le funzione dei rappresentanti o della rappresentanza dei lavoratori interessati dal trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, previsti dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri. Il primo comma non si applica se, in virtù delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative o della prassi degli Stati membri, esistono le condizioni necessarie alla nuova designazione dei rappresentanti dei lavoratori o alla nuova formazione della rappresentanza dei lavoratori. 2. Qualora il mandato dei rappresentanti dei lavoratori interessati dal trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, scada a causa del trasferimento, questi rappresentanti continuano a beneficiare delle misure di protezione previste dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o dalla prassi degli Stati membri. 87 SEZIONE III - Informazione e consultazione Articolo 6 1. Il cedente ed il cessionario sono tenuti ad informare i rappresentanti dei rispettivi lavoratori interessati da un trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, sui seguenti punti: - motivi del trasferimento, - conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i lavoratori, - misure previste nei confronti dei lavoratori. Il cedente è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile prima dell'attuazione del trasferimento. Il cessionario è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile e in ogni caso prima che i suoi lavoratori siano direttamente lesi nelle loro condizioni di impiego e di lavoro di trasferimento. 2. Se il cedente o il cessionario prevedono misure nei confronti dei rispettivi lavoratori, essi sono tenuti ad avviare in tempo utili consultazioni in merito a tali misure con i rappresentanti dei rispettivi lavoratori al fine di ricercare un accordo. 3. Gli Stati membri le cui disposizioni legislative, regolamentari e amministrative prevedono la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di ricorrere ad un'istanza di arbitrato per ottenere una decisione su misure da adottare nei confronti dei lavoratori, possono limitare gli obblighi previsti ai paragrafi 1e 2 ai casi in cui il trasferimento realizzato comporta una modifica a livello dello stabilimento che può implicare svantaggi sostanziali per una parte consistente dei lavoratori. L'informazione e la consultazione devono almeno riferirsi alle misure previste nei confronti dei lavoratori. L'informazione e la consultazione devono avere luogo in tempo utile, prima dell'attuazione della modifica a livello dello stabilimento di cui al primo comma. 4. Gli Stati membri possono limitare gli obblighi previsti ai paragrafi 1, 2 e 3 alle imprese o agli stabilimenti che soddisfano, per quanto riguarda il numero di lavoratori occupati , le condizioni per l'elezione o la designazione di un organo collegiale che rappresenti i lavoratori. 5. Gli Stati membri possono prevedere che, qualora in un'impresa o in uno stabilimento non vi siano rappresentanti dei lavoratori, i lavoratori interessati debbono essere informati in precedenza dell'imminenza del trasferimento ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1. SEZIONE IV - Disposizioni finali Articolo 7 - La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli al lavoratori. Articolo 8 - 1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva 88 nel termine di due anni a decorrere dalla notifica e ne informano immediatamente la Commissione. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. Articolo 9 - Entro i due anni successivi alla scadenza del periodo di due anni previsto dall'articolo 8, gli Stati membri trasmettono alla Commissione tutti i dati utili per consentirle di redigere una relazione, che sarà sottoposta al Consiglio, sull'applicazione della presente direttiva. Articolo 10 - Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva. COMUNITÀ EUROPEA DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 29 GIUGNO 1998 N. 98/50 che modifica la direttiva 77/187/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti Articolo 1 La direttiva 77/187/CEE è modificata come segue: 1) Il titolo è sostituito dal seguente: «Direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti». 2) Gli articoli da 1 a 7 sono sostituiti dal testo seguente: «SEZIONE I - Ambito di applicazione e definizioni Articolo 1 a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione. b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria. c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici, non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva. 2. La presente direttiva si applica se e nella misura in cui l'impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento da trasferire si trovi 89 nell'ambito d'applicazione territoriale del trattato. 3. La presente direttiva non si applica alle navi marittime. Articolo 2 - 1. Ai sensi della presente direttiva si intende: a) per «cedente», ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dello stabilimento; b) per «cessionario», ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dello stabilimento; c) che «rappresentanti dei lavoratori» ed espressioni connesse, i rappresentanti dei lavoratori previsti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri; d) per «oratore», ogni persona che nello Stato membro interessato è tutelata come un lavoratore nell'ambito del diritto nazionale del lavoro. 2. La presente direttiva non lede il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione di contratto o di rapporto di lavoro. Tuttavia, gli Stati membri non potranno escludere dall'ambito di applicazione della presente direttiva i contratti o i rapporti di lavoro a motivo unicamente: a) del numero di ore di lavoro prestate o da prestare; b) di rapporti di lavoro disciplinati da un contratto di lavoro di durata determinata a norma dell'articolo 1, punto 1 della direttiva 91/383/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale, o c) di rapporti di lavoro interinali a norma dell'articolo 1, punto 2 della direttiva 91/383/CEE e del fatto che l'impresa, lo stabilimento o la parte d'impresa o di stabilimento trasferita è l'agenzia di lavoro interinale che è il datore di lavoro o parte di essa. SEZIONE II - Mantenimento dei diritti dei lavoratori Articolo 3 1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento. 2. Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per garantire che il cedente notifichi al cessionario tutti i diritti e gli obblighi che saranno trasferiti al cessionario a norma del presente articolo, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano o avessero dovuto essere noti al cedente al momento del 90 trasferimento. Il fatto che il cedente ometta di notificare al cessionario tali diritti e obblighi non incide sul trasferimento di detto diritto o obbligo e dei diritti di qualsiasi lavoratore nei confronti del cessionario e/o del cedente in relazione a detto diritto o obbligo. 3. Dopo il trasferimento il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell'entrata in vigore o dell'applicazione di un altro contratto collettivo. Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro purché esso non sia inferiore ad un anno. 4. a) A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, i paragrafi 1 e 3 non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o interprofessionali, esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri. b) Anche quando essi non prevedono, a norma della lettera a), che i paragrafi 1 e 3 si applichino a tali diritti, gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per tutelare gli interessi dei lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al momento del trasferimento per quanto riguarda i diritti da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari di cui alla lettera a) del presente paragrafo. Articolo 4 - 1. Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione. Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento. 2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è risolto in quanto il trasferimento comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro. Articolo 4 bis - 1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 3 e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un'autorità pubblica competente). 91 2. Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso di una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere un curatore fallimentare determinato dal diritto nazionale), uno Stato membro può disporre che: a) nonostante l'articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima del trasferimento o prima dell'apertura della procedura di insolvenza non siano trasferiti al cessionario, a condizione che tali procedure diano adito, in virtù della legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente a quella prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro; b) il cessionario, il cedente o la persona o le persone che esercitano le funzioni del cedente, da un lato, e i rappresentanti dei lavoratori, dall'altro, possano convenire, nella misura in cui la legislazione o le prassi in vigore lo consentano, modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell'impresa, dello stabilimento o di parti di imprese o di stabilimenti. 3. Uno Stato membro ha facoltà di applicare il paragrafo 2, lettera b) a trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi economica quale definita dal diritto nazionale, purché tale situazione sia dichiarata da un'autorità pubblica competente a sia aperta al controllo giudiziario, a condizione che tali disposizioni esistano già nel diritto nazionale entro il 17 luglio 1998. La Commissione presenterà una relazione sugli effetti della presente disposizione entro il 17 luglio 2003 e sottoporrà eventuali proposte adeguate al Consiglio. 4. Gli Stati membri adottano gli opportuni provvedimenti al fine di impedire che l'abuso delle procedure di insolvenza privi i lavoratori dei diritti loro riconosciuti a norma della presente direttiva. Articolo 5 - 1. Qualora l'impresa, lo stabilimento o parte di un'impresa o di uno stabilimento conservi la propria autonomia, sussistono lo status e la funzione dei rappresentanti o della rappresentanza dei lavoratori interessati dal trasferimento, secondo le stesse modalità e alle stesse condizioni esistenti prima della data del trasferimento, previsti dalle disposizioni legislative, regolamentari, e amministrative o da accordi, a patto che siano soddisfatte le condizioni necessarie per la costituzione della rappresentanza dei lavoratori. Il primo comma non si applica se, in virtù delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o della prassi degli Stati membri o ai termini di un accordo con i rappresentanti dei lavoratori, esistono le condizioni necessarie 92 per la nuova designazione dei rappresentanti dei lavoratori o la nuova costituzione della rappresentanza dei lavoratori. Nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolge sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un'autorità pubblica competente), gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari al fine di garantire che i lavoratori trasferiti siano adeguatamente rappresentati fino alla nuova elezione o designazione di rappresentanti dei lavoratori. Qualora l'impresa, lo stabilimento o la parte di un'impresa o di uno stabilimento non conservi la propria autonomia, gli Stati membri adotteranno i provvedimenti necessari per garantire che i lavoratori trasferiti, che erano rappresentati prima del trasferimento, continuino ad essere adeguatamente rappresentati per il periodo necessario a provvedere ad una nuova costituzione o designazione della rappresentanza dei lavoratori, conformemente alla legislazione o alla prassi nazionale. 2. Qualora il mandato dei rappresentanti dei lavoratori interessati dal trasferimento scada a causa del trasferimento, questi rappresentanti continuano a beneficiare delle misure di protezione previste dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o dalla prassi degli Stati membri. SEZIONE III - Informazione e consultazione Articolo 6 1. Il cedente e il cessionario sono tenuti ad informare i rappresentanti dei rispettivi lavoratori interessati da un trasferimento sui seguenti punti: - data o data proposta del trasferimento, - motivi del trasferimento, - conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i lavoratori, - misure previste nei confronti dei lavoratori. Il cedente è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile prima dell'attuazione del trasferimento. Il cessionario è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile ed in ogni caso prima che i suoi lavoratori siano direttamente lesi dal trasferimento nelle loro condizioni d'impiego e di lavoro. 2. Se il cedente o il cessionario prevedono misure nei confronti dei rispettivi lavoratori, essi sono tenuti ad avviare in tempo utile consultazioni in merito a tali misure con i rappresentanti dei rispettivi lavoratori al fine di ricercare un accordo. 3. Gli Stati membri le cui disposizioni legislative, regolamentari e amministrative prevedono la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di ricorrere ad un'istanza di arbitrato per ottenere una decisione su misure da adottare nei confronti dei lavoratori, possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1 e 2 93 ai casi in cui il trasferimento realizzato comporta una modifica a livello dello stabilimento che può implicare svantaggi sostanziali per una parte consistente dei lavoratori. L'informazione e la consultazione devono almeno riferirsi alle misure previste nei confronti dei lavoratori. L'informazione e la consultazione devono aver luogo in tempo utile prima dell'attuazione della modifica a livello dello stabilimento di cui al primo comma. 4. Gli obblighi di cui al presente articolo si applicano indipendentemente dal fatto che la decisione riguardante il trasferimento sia presa dal datore di lavoro o da un'impresa che lo controlla. Nell'esame delle pretese violazioni degli obblighi in materia di informazione e di consultazione previsti nella presente direttiva, non si deve tener conto quale mezzo di difesa del fatto che tale violazione è avvenuta in quanto l'impresa che controlla il datore di lavoro non gli ha trasmesso le informazioni necessarie. 5. Gli Stati membri possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1, 2 e 3 alle imprese o agli stabilimenti che soddisfano, per quanto riguarda il numero dei lavoratori occupati, le condizioni per l'elezione o la designazione di un organo collegiale che rappresenti i lavoratori. 6. Gli Stati membri possono prevedere che, qualora in un'impresa o in uno stabilimento non vi siano rappresentanti dei lavoratori per motivi indipendenti dalla volontà degli stessi, i lavoratori interessati debbono essere informati in precedenza: - della data o della data proposta del trasferimento, - dei motivi del trasferimento, - delle conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i lavoratori, - delle misure previste nei confronti dei lavoratori. SEZIONE IV - Disposizioni finali Articolo 7 - La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l'applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori. Articolo 7 bis - Gli Stati membri introducono nelle loro normative nazionali i provvedimenti atti a consentire a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti che si ritengono lesi dall'inosservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva, di tutelare i loro diritti con un'azione in giudizio dopo eventuali ricorsi ad altri organi competenti. Articolo 7 ter - La Commissione presenta al Consiglio una relazione sugli effetti delle disposizioni della presente direttiva entro il 17 luglio 2006. Essa propone le modifiche che risultano necessarie. Articolo 2 - 1. Gli Stati membri adottano entro il 17 luglio 2001 le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla 94 presente direttiva o garantiscono che in questo periodo le parti sociali adotteranno le disposizioni necessarie mediante accordo; gli Stati membri sono tenuti a prendere tutte le disposizioni necessarie per consentire loro in ogni momento di ottenere i risultati prescritti dalla presente direttiva. 2. Quando gli Stati membri adottano le disposizioni di cui al paragrafo 1, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri. Gli Stati membri informano immediatamente la Commissione circa i provvedimenti adottati in applicazione della presente direttiva. Articolo 3 - Il presente regolamento entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee. Articolo 4 - Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva COMUNITÀ EUROPEA DIRETTIVA DEL CONSIGLIO DEL 12.3.2001 N. 2001/23 concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA, visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare l'articolo 94, vista la proposta della Commissione, visto il parere del Parlamento europeo(1), visto il parere del Comitato economico e sociale(2), considerando quanto segue: (1) La direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti(3) è stata modificata in maniera sostanziale(4) ed è, perciò, opportuno, per motivi di chiarezza, procedere alla sua codificazione. (2) L'evoluzione economica implica, sul piano nazionale e comunitario, modifiche delle strutture delle imprese effettuate, tra l'altro, con trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti a nuovi imprenditori in seguito a cessioni contrattuali o a fusioni. (3) Occorre adottare le disposizioni necessarie per proteggere i lavoratori in caso di cambiamento di imprenditore, in particolare per assicurare il mantenimento dei loro diritti. (4) Sussistono differenze negli Stati membri per quanto riguarda l'entità della protezione dei lavoratori in questo settore e occorre attenuare tali differenze. 95 (5) La carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, adottata il 9 dicembre 1989 ("Carta sociale"), nei punti 7, 17 e 18 dispone in particolare che la realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea. Tale miglioramento deve consentire, ove necessario, di sviluppare taluni aspetti della regolamentazione del lavoro, come le procedure per il licenziamento collettivo o quelle concernenti i fallimenti. Occorre sviluppare l'informazione, la consultazione e la partecipazione dei lavoratori, secondo modalità adeguate, tenendo conto delle prassi vigenti nei diversi Stati membri. L'informazione, la consultazione e la partecipazione devono essere realizzate tempestivamente, in particolare in occasione di ristrutturazioni o fusioni di imprese che incidono sull'occupazione dei lavoratori. (6) Nel 1977 il Consiglio ha adottato la direttiva 77/187/CEE per promuovere l'armonizzazione delle legislazioni nazionali relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori e chiedere ai cedenti e ai cessionari di informare e consultare in tempo utile i rappresentanti dei lavoratori. (7) Detta direttiva è stata in seguito modificata alla luce dell'impatto del mercato interno, delle tendenze legislative degli Stati membri per quanto riguarda il salvataggio delle imprese con difficoltà economiche, della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, della direttiva 75/129/CEE del Consiglio, del 17 febbraio 1975, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi(5), e delle norme legislative già in vigore nella maggior parte degli Stati membri. (8) La sicurezza e la trasparenza giuridiche hanno richiesto un chiarimento della nozione giuridica di trasferimento alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia. Tale chiarimento non ha modificato la sfera di applicazione della direttiva 77/187/CEE, quale interpretata dalla Corte di giustizia. (9) La Carta sociale riconosce l'importanza della lotta contro tutte le forme di discriminazione, in particolare quelle basate sul sesso, sul colore, sulla razza, sulle opinioni e sulle credenze. (10) La presente direttiva deve far salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di attuazione indicati nell'allegato I, parte B, ha adottato la presente direttiva: CAPO I Ambito di applicazione e definizioni Articolo 1 1. a) La presente direttiva si applica ai trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a cessione contrattuale o a fusione. 96 b) Fatta salva la lettera a) e le disposizioni seguenti del presente articolo, è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria. c) La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche o private che esercitano un'attività economica, che perseguano o meno uno scopo di lucro. Una riorganizzazione amministrativa di enti amministrativi pubblici o il trasferimento di funzioni amministrative tra enti amministrativi pubblici, non costituisce trasferimento ai sensi della presente direttiva. 2. La presente direttiva si applica se e nella misura in cui l'impresa, lo stabilimento o la parte di impresa o di stabilimento da trasferire si trovi nell'ambito d'applicazione territoriale del trattato. 3. La presente direttiva non si applica alle navi marittime. Articolo 2 1. Ai sensi della presente direttiva si intende: a) per "cedente", ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, perde la veste di imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dallo stabilimento; b) per "cessionario", ogni persona fisica o giuridica che, in conseguenza di un trasferimento a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, acquisisce la veste di imprenditore rispetto all'impresa, allo stabilimento o a parte dell'impresa o dello stabilimento; c) per "rappresentanti dei lavoratori" ed espressioni connesse, i rappresentanti dei lavoratori previsti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri; d) per "lavoratore", ogni persona che nello Stato membro interessato è tutelata come tale nell'ambito del diritto nazionale del lavoro. 2. La presente direttiva non lede il diritto nazionale per quanto riguarda la definizione di contratto o di rapporto di lavoro. Tuttavia, gli Stati membri non potranno escludere dall'ambito di applicazione della presente direttiva i contratti o i rapporti di lavoro a motivo unicamente: a) del numero di ore di lavoro prestate o da prestare; b) di rapporti di lavoro disciplinati da un contratto di lavoro di durata determinata a norma dell'articolo 1, punto 1, della direttiva 91/383/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale(6); o c) di rapporti di lavoro interinali a norma dell'articolo 1, punto 2, della direttiva 91/383/CEE e del fatto che l'impresa, lo stabilimento o la parte d'impresa o di 97 stabilimento trasferita è l'agenzia di lavoro interinale che è il datore di lavoro o parte di essa. CAPO II Mantenimento dei diritti dei lavoratori Articolo 3 1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario. Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento. 2. Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per garantire che il cedente notifichi al cessionario tutti i diritti e gli obblighi che saranno trasferiti al cessionario a norma del presente articolo, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano o avessero dovuto essere noti ai cedente al momento del trasferimento. Il fatto che il cedente ometta di notificare al cessionario tali diritti e obblighi non incide sul trasferimento di detto diritto o obbligo e dei diritti di qualsiasi lavoratore nei confronti del cessionario e/o del cedente in relazione a detto diritto o obbligo. 3. Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest'ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell'entrata in vigore o dell'applicazione di un altro contratto collettivo. Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno. 4. a) A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, i paragrafi 1 e 3 non si applicano ai diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o interprofessionali, esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri. b) Anche quando essi non prevedono, a norma della lettera a), che i paragrafi 1 e 3 si applichino a tali diritti, gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per tutelare gli interessi dei lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al momento del trasferimento per quanto riguarda i diritti da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia, comprese quelle per i superstiti, dei regimi complementari di cui alla lettera a) del presente paragrafo. Articolo 4 1. Il trasferimento di un'impresa, di uno stabilimento o di una parte di impresa o di stabilimento non è di per sé motivo di licenziamento da parte del cedente o del cessionario. Tale dispositivo non pregiudica i licenziamenti che possono aver 98 luogo per motivi economici, tecnici o d'organizzazione che comportano variazioni sul piano dell'occupazione. Gli Stati membri possono prevedere che il primo comma non si applichi a talune categorie delimitate di lavoratori non coperti dalla legislazione o dalla prassi degli Stati membri in materia di tutela contro il licenziamento. 2. Se il contratto di lavoro o il rapporto di lavoro è risolto in quanto il trasferimento comporta a scapito del lavoratore una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro, la risoluzione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro è considerata come dovuta alla responsabilità del datore di lavoro. Articolo 5 1. A meno che gli Stati membri dispongano diversamente, gli articoli 3 e 4 non si applicano ad alcun trasferimento di imprese, stabilimenti o parti di imprese o di stabilimenti nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolgono sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un'autorità pubblica competente). 2. Quando gli articoli 3 e 4 si applicano ad un trasferimento nel corso di una procedura di insolvenza aperta nei confronti del cedente (indipendentemente dal fatto che la procedura sia stata aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso) e a condizione che tali procedure siano sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere un curatore fallimentare determinato dal diritto nazionale), uno Stato membro può disporre che: a) nonostante l'articolo 3, paragrafo 1, gli obblighi del cedente risultanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro e pagabili prima dei trasferimento o prima dell'apertura della procedura di insolvenza non siano trasferiti al cessionario, a condizione che tali procedure diano adito, in virtù della legislazione dello Stato membro, ad una protezione almeno equivalente a quella prevista nelle situazioni contemplate dalla direttiva 80/987/CEE del Consiglio, del 20 ottobre 1980, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro(7); b) il cessionario, il cedente o la persona o le persone che esercitano le funzioni del cedente, da un lato, e i rappresentanti dei lavoratori, dall'altro, possano convenire, nella misura in cui la legislazione o le prassi in vigore lo consentano, modifiche delle condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell'impresa, dello stabilimento o di parti di imprese o di stabilimenti. 3. Uno Stato membro ha facoltà di applicare il paragrafo 2, lettera b), a trasferimenti in cui il cedente sia in una situazione di grave crisi economica quale definita dal diritto nazionale, purché tale situazione sia dichiarata da un'autorità 99 pubblica competente e sia aperta al controllo giudiziario, a condizione che tali disposizioni fossero già vigenti nel diritto nazionale il 17 luglio 1998. La Commissione presenterà una relazione sugli effetti della presente disposizione entro il 17 luglio 2003 e sottoporrà eventuali proposte adeguate al Consiglio. 4. Gli Stati membri adottano gli opportuni provvedimenti al fine di impedire che l'abuso delle procedure di insolvenza privi i lavoratori dei diritti loro riconosciuti a norma della presente direttiva. Articolo 6 1. Qualora l'impresa, lo stabilimento o parte di un'impresa o di uno stabilimento conservi la propria autonomia, sussistono lo status e la funzione dei rappresentanti o della rappresentanza dei lavoratori interessati dal trasferimento, secondo le stesse modalità e alle stesse condizioni esistenti prima della data del trasferimento, previsti dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o da accordi, a patto che siano soddisfatte le condizioni necessarie per la costituzione della rappresentanza dei lavoratori. Il primo comma non si applica se, in virtù delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o della prassi degli Stati membri o si termini di un accordo con i rappresentanti dei lavoratori, esistono le condizioni necessarie per la nuova designazione dei rappresentanti dei lavoratori o la nuova costituzione della rappresentanza dei lavoratori. Nel caso in cui il cedente sia oggetto di una procedura fallimentare o di una procedura di insolvenza analoga aperta in vista della liquidazione dei beni del cedente stesso e che si svolge sotto il controllo di un'autorità pubblica competente (che può essere il curatore fallimentare autorizzato da un'autorità pubblica competente), gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari al fine di garantire che i lavoratori trasferiti siano adeguatamente rappresentati fino alla nuova elezione o designazione di rappresentanti dei lavoratori. Qualora l'impresa, lo stabilimento o la parte di un'impresa o di uno stabilimento non conservi la propria autonomia, gli Stati membri adotteranno i provvedimenti necessari per garantire che i lavoratori trasferiti, che erano rappresentati prima del trasferimento, continuino ad essere adeguatamente rappresentati per il periodo necessario a provvedere ad una nuova costituzione o designazione della rappresentanza dei lavoratori, conformemente alla legislazione o alla prassi nazionale. 2. Qualora il mandato dei rappresentanti dei lavoratori interessati dal trasferimento scada a causa del trasferimento, questi rappresentanti continuano a beneficiare delle misure di protezione previste dalle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative o dalla prassi degli Stati membri. 100 CAPO III Informazione e consultazione Articolo 7 1. Il cedente e il cessionario sono tenuti ad informare i rappresentanti dei rispettivi lavoratori interessati da un trasferimento sui seguenti punti: - data o data proposta del trasferimento, - motivi del trasferimento, - conseguenze giuridiche, economiche e sociali, del trasferimento per i lavoratori, - misure previste nei confronti dei lavoratori. Il cedente è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile prima dell'attuazione del trasferimento. Il cessionario è tenuto a comunicare tali informazioni ai rappresentanti dei suoi lavoratori in tempo utile ed in ogni caso prima che i suoi lavoratori siano direttamente lesi dal trasferimento nelle loro condizioni d'impiego e di lavoro. 2. Se il cedente o il cessionario prevedono misure nei confronti dei rispettivi lavoratori, essi sono tenuti ad avviare in tempo utile consultazioni in merito a tali misure con i rappresentanti dei rispettivi lavoratori al fine di ricercare un accordo. 3. Gli Stati membri le cui disposizioni legislative, regolamentari e amministrative prevedono la possibilità per i rappresentanti dei lavoratori di ricorrere ad un'istanza di arbitrato per ottenere una decisione su misure da adottare nei confronti dei lavoratori, possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1 e 2 ai casi in cui il trasferimento realizzato comporta una modifica a livello dello stabilimento che può implicare svantaggi sostanziali per una parte consistente dei lavoratori. L'informazione e la consultazione devono almeno riferirsi alle misure previste nei confronti dei lavoratori. L'informazione e la consultazione devono aver luogo in tempo utile prima dell'attuazione della modifica a livello dello stabilimento di cui al primo comma. 4. Gli obblighi di cui al presente articolo si applicano indipendentemente dal fatto che la decisione riguardante il trasferimento sia presa dal datore di lavoro o da un'impresa che lo controlla. Nell'esame delle pretese violazioni degli obblighi in materia di informazione e di consultazione previsti nella presente direttiva, non si deve tener conto quale mezzo di difesa del fatto che tale violazione è avvenuta in quanto l'impresa che controlla il datore di lavoro non gli ha trasmesso le informazioni necessarie. 5. Gli Stati membri possono limitare gli obblighi previsti nei paragrafi 1, 2 e 3 alle imprese o agli stabilimenti che soddisfano, per quanto riguarda il numero dei lavoratori occupati, le condizioni per l'elezione o la designazione di un organo collegiale che rappresenti i lavoratori. 101 6. Gli Stati membri possono prevedere che, qualora in un'impresa o in uno stabilimento non vi siano rappresentanti dei lavoratori per motivi indipendenti dalla volontà degli stessi, i lavoratori interessati debbano essere informati in precedenza: - della data o della data proposta del trasferimento, - dei motivi del trasferimento, - delle conseguenze giuridiche, economiche e sociali del trasferimento per i lavoratori, - delle misure previste nei confronti dei lavoratori. CAPO IV Disposizioni finali Articolo 8 La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l'applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori. Articolo 9 Gli Stati membri introducono nelle loro normative nazionali i provvedimenti atti a consentire a tutti i lavoratori e ai loro rappresentanti che si ritengono lesi dall'inosservanza degli obblighi derivanti dalla presente direttiva, di tutelare i loro diritti con un'azione in giudizio dopo eventuali ricorsi ad altri organi competenti. Articolo 10 La Commissione presenta al Consiglio una relazione sugli effetti delle disposizioni della presente direttiva entro il 17 luglio 2006. Essa propone le modifiche che risultano necessarie. Articolo 11 Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva. Articolo 12 La direttiva 77/187/CEE come modificata dalla direttiva di cui all'allegato I, parte A, è abrogata, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini d'attuazione indicati all'allegato I, parte B. I riferimenti alla direttiva abrogata si intendono fatti alla presente direttiva e si leggono secondo la tavola di concordanza di cui all'allegato II. Articolo 13- Art. 14 omissis 102 Le sentenze di Cassazione Civile, sezione Lavoro, delle quali pubblichiamo le massime sono alcune, tra le numerosissime sulla materia, che possono fornire un quadro della giurisprudenza di Suprema Corte sui principi fondamentali del trasferimento di azienda e di ramo, sui diritti dei lavoratori coinvolti, sulle caratteristiche di legittimità delle operazioni societarie. Non ci sono allo stato sentenze che si riferiscono al periodo successivo al DLGS 276/2003, che ha, in materia di ramo d’impresa, abrogato le disposizioni relative al requisito di preesistenza; pur tuttavia, come già riportato nella sezione “Dottrina”, tutti i più autorevoli commentatori considerano, per ragioni logiche e sistematiche, nella sostanza immutati i concetti di autonomia e funzionalità delle frazioni d’azienda. Le decisioni della Suprema Corte sono da considerarsi perciò sull’intera materia ancora attuali. Cassazione civile sezione lavoro 22 luglio 2002 n.10701 Perri e altro c. Soc. Alcatel Italia La funzione garantistica che la disposizione dell'art. 2112 c.c. assume nei confronti dei lavoratori, in conformità anche alle indicazioni della direttiva n. 77/187 del Consiglio delle Comunità europee - funzione destinata ad accentuarsi in un contesto di maggiore flessibilità del mercato del lavoro, quale scelta alternativa al licenziamento per giustificato motivo oggettivo o alle procedure di mobilità di cui alle l. n. 675/1977 e 223/1991 comporta l'accoglimento di una nozione estensiva del trasferimento di azienda (definitivamente accolta dal d.lg. 2 febbraio 2001 n. 18, attuativo della direttiva n. 98/50/Ce, che ha riformulato lo stesso art. 2112 c.c.), la quale ricomprende in esso tutte le ipotesi di trasferimento anche di una singola attività di impresa, sempre che sia riscontrabile un complesso di beni o di rapporti interessati al fenomeno traslativo. In tale accezione allargata, il trasferimento di azienda può configurarsi, con riferimento alla posizione del lavoratore, come successione legale nel contratto che, non richiedendo il consenso del contraente ceduto, non è assimilabile alla cessione negoziale, per la quale tale consenso opera da elemento costitutivo della fattispecie di cui all'art. 1406 c.c. 104 Cassazione civile sezione lavoro 23 luglio 2002 n.10761 Villeni e altro c. Soc. Alcatel Italia e altro Secondo la disciplina dell'art. 2112 c.c., come modificato dal d.lg. 2 febbraio 2001 n. 18 (attuativo della direttiva n. 98/50/Ce), si intende per trasferimento di azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di una "attività economica organizzata" preesistente, che conservi nel trasferimento la propria identità; pertanto, in linea con un assetto produttivo diretto a dare sempre maggiore rilevanza alla capacità professionale e alle conoscenze tecniche dei lavoratori, può configurarsi un trasferimento aziendale che abbia ad oggetto anche i soli lavoratori che, per essere stati addetti ad un medesimo ramo dell'impresa e per avere acquisito un complesso di nozioni ed esperienze comuni, siano capaci di svolgere autonomamente - e, quindi, pur senza il supporto di beni immobili, macchine, attrezzi di lavoro o altri beni - le proprie funzioni anche presso il nuovo datore di lavoro, realizzandosi in tale ipotesi una successione legale di contratto non bisognevole del consenso del contraente ceduto, ex art. 1406 ss. c.c. Cassazione civile sezione lavoro 25 ottobre 2002 n.15105 Addamo e altro c. Soc. Manital e altro La disciplina dettata dall'art. 2112 c.c. e dall'art. 47 l. 29 dicembre 1990 n. 428 (in ordine alla successione dell'imprenditore cessionario all'imprenditore cedente nel rapporto di lavoro) trova applicazione non solo nel caso di trasferimento dell'intera azienda, ma anche quando sia trasferito un ramo di azienda, da intendere come un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi. Tale disposizione, anche nel testo anteriore alle modifiche di cui al d.lg. 2 febbraio 2001 n. 18, pur non impedendo la cessione di singole funzioni o servizi (c.d. "esternalizzazione"), impone che essi si presentino, prima del trasferimento, funzionalmente autonomi, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito. 105 Cassazione civile sezione lavoro 4 dicembre 2002 n.17207 Soc. Ansaldo Energia c. Bronzati e altro Il trasferimento ad altra impresa di lavoratori addetti ad una struttura aziendale priva di autonomia organizzativa e caratterizzata dall'estrema eterogeneità delle funzioni degli addetti, insuscettibile dunque di assurgere ad unitaria "entità economica", non può configurare una cessione di ramo d'azienda cui sia applicabile l'art. 2112 c.c., ma costituisce mera cessione di contratti di lavoro, richiedente per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori ceduti. Cassazione civile sezione lavoro 14 dicembre 2002 n. 7919 Soc. Ansaldo c. Anello L'art. 2112 c.c., anche prima delle modificazioni introdotte dall'art. 1 d.lg. 18/2001, non precludendo il trasferimento di un ramo (o parte) di azienda, postulava comunque, per la sua applicazione a tale limitato trasferimento, che venisse ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presentasse quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi, con esclusione, quindi, della possibilità che l'unificazione di un complesso di beni (di per sè privo di una preesistente autonomia organizzativa ed economica volta ad uno scopo unitario) discendesse dalla volontà dell'imprenditore cedente al momento della cessione. Ne consegue che non è riconducibile alla nozione di cessione d'azienda il contratto con il quale viene realizzata la cd. esternalizzazione dei servizi, ove questi non integrino un ramo o parte di azienda nei sensi suindicati, e che in tali casi la vicenda traslativa, sul piano dei rapporti di lavoro, va qualificata come cessione dei relativi contratti, che richiede per il suo perfezionamento il consenso del lavoratore ceduto (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che, con riferimento alla cessione di un ramo d'azienda, identificato nei cd. "servizi generali", comprendente attività non riconducibili alla nozione di unità produttiva o di parte di azienda, per essere caratterizzato unicamente dalla non riferibilità all'attività di base dell'azienda cedente, aveva ravvisato un processo di esternalizzazione non integrante la cessione di ramo di azienda ed aveva ritenuto applicabili ai rapporti di lavoro ceduti le norme sulla cessione dei contratti). 106 Senza pretesa alcuna di dare una documentazione esaustiva in materia di Accordi sindacali abbiamo scelto di pubblicare una serie di intese che riguardano le ristrutturazioni di alcune tra le più grandi Aziende creditizie e assicurative. Non certo perché si tratta degli unici esempi nel settore finanziario in materia di trasferimento di impresa o di ramo e neppure perché abbiano particolari qualità o caratteristiche, ma per cercare di fornire una documentazione che presenti una successione ragionata su varie fasi di alcune complesse riorganizzazioni societarie. Gli accordi che riguardano la cessione del ramo d’impresa non hanno subito particolari mutazioni dopo il DLGS 276/2003, a riprova, malgrado le palesi contrarie intenzioni del legislatore, di una sostanziale continuità nell’ordinamento giuridico e nella prassi sindacale delle caratteristiche del ramo di impresa. Gruppo UniCredito Accordo su Cessione dei rami di azienda relativi alla gestione ed allo sviluppo dei sistemi informativi e dei processi organizzativi 13.1. 2001 Milano Tra UniCredito Italiano S.p.A., e la Delegazione Sindacale di Gruppo, e FABI, FALCRI, FEDERDIRIGENTICREDITO, FIBA/Cisl, FISAC/Cgil, SINFUB e UIL C.A. premesso che - da parte aziendale si è deciso di procedere al trasferimento, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 Cod. Civ.: - dei rami di azienda relativi alle lavorazioni accentrate di back office da parte della Capogruppo UniCredito Italiano S.p.A., di Banca CRT S.p.A. di Cariverona Banca S.p.A. e di Rolo Banca 1473 S.p.A. ad UniCredit Produzioni Accentrate S.c.p.A. (di seguito denominata UPA) - dei rami di azienda relativi alla gestione ed allo sviluppo dei sistemi informativi e dei processi organizzativi da parte della Capogruppo UniCredito Italiano S.p.A., Rolo Banca 1473 S.p.A., Cassamarca S.p.A., Banca CRT S.p.A., Cariverona Banca S.p.A. e CRTrieste Banca S.p.A. ad UniCredit Servizi Informativi S.c.p.A. (di seguito denominata USI); 108 - i relativi progetti sono stati deliberati dai Consigli di Amministrazione di UniCredito Italiano S.p.A. in data 19 ottobre u.s., Cassamarca S.p.A. in data 26 ottobre u.s., Rolo Banca 1473 S.p.A. in data 31 ottobre e 11 dicembre uu.ss, Banca CRT S.p.A. in data 10 novembre u.s., Cariverona Banca S.p.A. in data 16 novembre u.s. e CRTrieste Banca S.p.A. in data 21 novembre u.s.; - i progetti in parola - come illustrato in sede di presentazione dei piani industriali - presentano un rilevante valore strategico, in quanto consentono di porre a fattor comune le strutture della Capogruppo e delle Banche del Gruppo oggetto di trasferimento al fine di realizzare l'omogeneizzazione dei processi informativi, operativi, amministrativi e contabili e l'ottimizzazione della struttura dei costi, con i conseguenti benefici. Lo sviluppo ed il costante adeguamento di tali attività costituiscono infatti, per il Gruppo UniCredito Italiano e le sue componenti, significative leve per mantenere e rafforzare situazioni di vantaggio competitivo. La creazione di società dedicate all'interno del Gruppo UniCredito Italiano consentirà, anche, l'elaborazione di importanti progetti di sviluppo per le realtà servite. Le due società di servizio costituiranno inoltre, a regime, un possibile polo di attrazione per altre realtà, anche esterne al Gruppo. - le parti sottoscrittrici del presente accordo si sono ripetutamente incontrate per esaminare in particolare le ricadute dei progetti sulle condizioni di lavoro del personale interessato; - sono state esperite e concluse con il presente accordo le procedure previste dalle vigenti disposizioni di legge e di contratto e dal Protocollo per la realizzazione del progetto di integrazione delle risorse umane e per le relazioni industriali di UniCredito Italiano; considerato che - in virtù di quanto sopra il personale operante nei settori oggetto di conferimento sarà trasferito ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 Cod. Civ. alle società di servizio; - pur in presenza di rilevanti processi di riorganizzazione e razionalizzazione delle attività e delle aziende coinvolte, la Capogruppo e le Banche, con l'obiettivo di non far insorgere fenomeni di mobilità territoriale, hanno provveduto alla creazione di specifici poli e distaccamenti operativi rispettivamente: per USI sulle piazze di Milano, Verona (con un distaccamento ad Ancona), Bologna, Torino, Treviso e Trieste, per UPA sulle piazze di Milano, Verona (con distaccamento a Padova), Bologna (con distaccamento a Modena), Torino; - l'esistenza di differenti trattamenti normativi e retributivi comporta l'esigenza di pervenire ad una armonizzazione dei trattamenti applicati al personale dei rami d'azienda trasferiti con quelli in essere per il personale delle società acquisenti; 109 le Parti hanno convenuto quanto segue: Art. 1 La premessa costituisce parte integrante della presente intesa. Art. 2 Le attività che verranno rispettivamente trasferite ad UPA e ad USI sono quelle concernenti: - le lavorazioni accentrate di back office della Capogruppo UniCredito Italiano S.p.A., di Banca CRT S.p.A., di Cariverona Banca S.p.A. e di Rolo Banca 1473 S.p.A.;- la gestione e lo sviluppo dei sistemi informativi e dei processi organizzativi della Capogruppo UniCredito Italiano S.p.A., di Rolo Banca 1473 S.p.A, Cassamarca S.p.A., Banca CRT S.p.A., Cariverona Banca S.p.A. e di CRTrieste Banca S.p.A. Le parti, allo scopo di rendere omogenea e coerente la gestione del personale nell'arco dell'intero esercizio 2001 e consentire una corretta pianificazione anche in punto costi dei relativi interventi, hanno convenuto, nelle more dei conferimenti dei rami d'azienda - i quali verranno portati ad effetto nel corso del primo semestre del 2001 -, che il personale addetto alle attività oggetto di trasferimento è, in via transitoria, a decorrere dal 1°.1.2001 e sino al 30.6.2001, distaccato presso le società di servizio. Alla scadenza del predetto termine i rapporti di lavoro dei dipendenti distaccati verranno automaticamente trasferiti, senza soluzione di continuità, ai sensi dell'art. 2112 Cod. Civ. in capo alla rispettiva società di servizi, dovendosi ritenere la presente procedura a tutti gli effetti esaustiva di quelle previste dall'art. 47 Legge 428/90 e dalle vigenti normative contrattuali. Art. 3 UPA ed USI continueranno a far parte dell'area contrattuale del settore credito, secondo quanto previsto dalla contrattualistica nazionale, ed aderiranno all'Associazione Bancaria Italiana. Nei confronti del personale trasferito alle due società di servizio dal momento del conferimento cesserà di produrre effetto ogni accordo ed intesa, di qualunque natura, in essere presso l’azienda originaria e verrà applicata - in termini globalmente sostitutivi, anche di trattamenti e provvidenze frutto di delibere aziendali - la normativa nazionale e aziendale applicata al personale di UPA ed USI. Art. 4 Nei confronti di ciascun dipendente che all'atto del trasferimento risulti destinatario di un trattamento economico complessivamente inteso (vale a dire comprensivo di ogni intervento aziendale di qualsivoglia natura con esclusione delle voci connesse a disagio) superiore al trattamento economico come sopra definito applicato ad un dipendente della società acquisente di pari inquadramento ed anzianità di servizio, si conviene di mantenere la differenza di importo, nella misura in essere alla data della cessione, sotto forma di "assegno 110 ad personam". Tale "assegno ad personam" sarà assorbibile a seguito di future promozioni non di merito. Art. 5 Per gli esercizi 2000 e 2001 ai dipendenti in servizio presso UPA ed USI verrà riconosciuto il premio aziendale dell’azienda di provenienza, ove ne ricorrano i presupposti. Per gli anni successivi verrà definita con le OO.SS. aziendali un'apposita disciplina in coerenza con quanto previsto dal vigente CCNL (Cap. IX, lett. B, punto 1, ultimo comma). Art. 6 A far tempo dalla data di trasferimento dei rami di azienda, ai dipendenti trasferiti alle due società di servizio con rapporto di lavoro a tempo pieno ovvero part-time verticale verrà riconosciuto il buono pasto nelle misure in essere per il personale di UPA ed USI. Art. 7 A far tempo dal 1° gennaio 2002 al personale trasferito verrà estesa l’assistenza sanitaria integrativa nei termini e con le modalità applicate al personale di UPA ed USI. Sino ad allora il personale conferito manterrà la copertura dell'azienda originaria. Nota a verbale n relazione alla particolare natura del fondo assistenziale Cassamarca S.p.A., da parte aziendale viene espressa la propria disponibilità ad approfondire la fattibilità di forme che consentano una continuità dei trattamenti in parola nei confronti del personale proveniente dalla sopracitata realtà bancaria. Art. 8 Per quanto concerne le tematiche di natura previdenziale, le parti si richiamano a quanto definito nell'allegato accordo al titolo “Accordo sulla previdenza complementare per i dipendenti di UPA ed USI”, da considerarsi ad ogni effetto parte integrante del presente verbale. Nota a verbale Il Fondo Pensioni per il Personale della Banca CRT S.p.A., il Fondo Pensione Complementare a Capitalizzazione e Contribuzione Definita per i Lavoratori della Cariverona Banca S.p.A. ed il Fondo di Previdenza Gino Caccianiga a favore del personale della Cassamarca S.p.A., in relazione alle loro origini normative, prevedono prestazioni e condizioni diversificate. In virtù di quanto sopra, al fine di assicurare la continuità dei trattamenti pensionistici complementari fruiti presso le aziende di provenienza e laddove i Regolamenti e/o Statuti dei rispettivi Fondi Pensione lo permettano, UPA ed USI consentiranno al personale conferito che ne faccia richiesta di mantenere l’iscrizione al Fondo Pensione dell'azienda di origine, alle condizioni di contribuzione previste per il restante personale della medesima, tempo per tempo contrattate. 111 Analogamente, i dipendenti provenienti da Rolo Banca 1473 S.p.A. ed appartenenti alla categoria degli "iscritti ante" Decreto Legislativo 124/93 potranno continuare a mantenere l'iscrizione al Fondo Pensione di origine, alle condizioni di contribuzione previste per il restante personale della medesima, tempo per tempo contrattate. I dipendenti provenienti da tutte le aziende sopracitate appartenenti alla categoria degli "iscritti post" Decreto Legislativo 124/93 confluiranno - mediante trasferimento della propria posizione - al Fondo Pensione per il Personale delle Aziende del Gruppo UniCredito Italiano. A quest'ultimo potranno altresì iscriversi i dipendenti provenienti da CRTrieste Banca e per quanto concerne il Fondo Pensioni di origine saranno loro applicabili le definizioni che verranno assunte in sede aziendale. Art. 9 Qualora dovessero generarsi tensioni occupazionali connesse a crisi aziendali, ridimensionamento/ridistribuzione territoriale di poli e/o distaccamenti, perdita del controllo – diretto o indiretto – da parte della Capogruppo, vendita o cessazione dell'azienda, la Capogruppo e le Aziende conferenti assicurano al personale che dovesse risultare in eccesso la riallocazione, ove possibile nell'ambito della provincia, presso l'Azienda di origine ovvero presso altra Azienda del Gruppo. Nel caso di cessione di UPA ed USI a soggetti non bancari esterni al Gruppo, ove le tensioni occupazionali dovessero emergere successivamente entro il limite massimo di 5 anni dalla data dell'evento, la Capogruppo e le Aziende conferenti si renderanno disponibili a riallocare - ove possibile nell'ambito della provincia, presso l'Azienda di origine ovvero presso altra Azienda del Gruppo - il personale che dovesse risultare in eccesso a seguito di insourcing di attività, di esternalizzazione delle medesime ad altro soggetto ovvero di fallimento comunque connesso ai due eventi sopracitati. L'impegno espresso nel presente articolo riguarda il personale già distaccato e conferito - in virtù della presente intesa - alla data dei trasferimenti dei rami d'azienda il quale risultasse, al momento dell'evento, privo a qualsiasi titolo di requisiti pensionistici ovvero di accesso al "Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del credito" od eventuali altre misure equivalenti di sostegno al reddito tempo per tempo vigenti nel settore, esperite le necessarie procedure di legge e di contratto. Art. 10 Durante il periodo di distacco le aziende di provenienza e, dopo il conferimento, di concerto con USI e UPA, manifestano la propria disponibilità, in presenza di particolari e gravi necessità di carattere personale e/o familiare, debitamente documentate, a consentire, compatibilmente con le esigenze aziendali, al rientro di lavoratori nell'organico dell'azienda di origine. 112 Inoltre UPA ed USI - d'intesa con le aziende di origine - manifestano la disponibilità a venire incontro, anche dopo il conferimento dei rami e per un periodo non superiore a 2 anni da tale momento, compatibilmente con le esigenze di servizio, ad eventuali istanze anche di natura professionale, mano a mano che si creeranno le condizioni organizzative idonee a riallocare i dipendenti conferiti che dovessero farne richiesta (dando, in linea di massima, precedenza a quelle già pendenti e tenuto anche conto di eventuali criteri di priorità già esistenti presso l'azienda di provenienza). Art. 11 Fino al termine del periodo di distacco di cui all'art. 2 della presente intesa, UPA ed USI provvederanno rispettivamente ad effettuare momenti di verifica periodici - di massima ogni due mesi - con un'apposita delegazione sindacale composta da un rappresentante sindacale di ciascuna O.S. per ogni banca conferente. Tali momenti di verifica avranno natura tecnica e, nell'ambito dei medesimi, le due società forniranno informative sull'applicazione della presente intesa e di quanto realizzato nell'ambito delle strategie aziendali e dei progetti industriali. Art. 12 Le parti si danno reciprocamente atto che le clausole del presente accordo sono da intendersi, ad ogni effetto, tra di loro collegate ed inscindibili. Intesa per la Realizzazione del "Progetto S3" 18.6. 2002 Milano UniCredito Italiano S.p.A., Credito Italiano S.p.A., Rolo Banca 1473 S.p.A., Banca CRT S.p.A., Cariverona Banca S.p.A., Cassamarca S.p.A., Caritro S.p.A. e CRTrieste Banca S.p.A., e la Delegazione Sindacale di Gruppo Fabi, Falcri, Federdirigenticredito, FIBA/Cisl, FISAC/Cgil, SINFUB e UIL C.A. Premesso che • nell’ambito del più complessivo progetto di riorganizzazione denominato S3, di cui al Protocollo sottoscritto in data odierna, da parte aziendale è stato deciso che, con decorrenza 1° luglio 2002, il personale operante in Banca CRT, Cariverona, Cassamarca, Caritro, CRTrieste e Rolo e nei settori Corporate e Retail di UniCredito Italiano sarà trasferito senza soluzione di continuità ai sensi e per gli effetti dell'art. 2112 Cod. Civ. a Credito Italiano S.p.A., (ridenominata UniCredit Banca S.p.A.) unitamente all’intera rete bancaria costituita dalle Direzioni Territoriali, dalle Filiali, dalle Agenzie, dagli Sportelli e da ogni altra dipendenza, comunque denominata, distribuita sul territorio nazionale e dalle strutture centrali funzionali all’attività della rete bancaria; 113 • nel passaggio sopra descritto resteranno in capo alla holding UniCredito Italiano S.p.A., con il relativo personale: i settori preposti alle funzioni di indirizzo, governo e presidio operativo di Gruppo; i distaccamenti operativi sul territorio delle Unità Organizzative Sicurezza e Immobiliare; i presidi logistici; • resterà altresì in capo alla holding il personale attualmente addetto ad attività non intrinsecamente funzionali all'operatività della rete bancaria; considerato che in data 18 dicembre 2001 l'intero progetto S3 è stato illustrato alle OO.SS. dall'Amministratore Delegato; sono state esperite e concluse le previste procedure di confronto avviate in data 8 aprile 2002; l'esistenza di differenti trattamenti normativi e retributivi comporta l'esigenza, allo scopo di realizzare la piena integrazione delle risorse umane oltre che delle funzioni e dei processi, di pervenire ad una armonizzazione dei trattamenti applicati al personale trasferito con quelli in essere presso le aziende conferitarie (UniCredito Italiano/UniCredit Banca); le parti hanno convenuto quanto segue: Art. 1 La premessa costituisce parte integrante della presente intesa. Art. 2 Fermo quanto stabilito nel Protocollo sottoscritto in data odierna e nella presente intesa in materia di previdenza, assistenza, coperture assicurative ed inquadramenti, nei confronti del personale trasferito ad UniCredito Italiano/UniCredit Banca dal momento del conferimento cesserà di produrre effetto ogni accordo ed intesa, di qualunque natura, in essere presso l’azienda originaria e verrà applicata - in termini globalmente sostitutivi, anche di trattamenti e provvidenze frutto di delibere aziendali - la normativa nazionale e aziendale applicata al personale delle aziende acquisenti. Per quanto non espressamente previsto nell'ambito del presente accordo varranno le prassi in vigore presso UniCredito Italiano/UniCredit Banca. Art. 3 Nei confronti di ciascun dipendente che all'atto del trasferimento ad UniCredito Italiano/UniCredit Banca risulti destinatario di un trattamento economico complessivamente inteso (vale a dire comprensivo di tutte le voci mensili/annuali non legate ad aspetti indennitari e/o di disagio, ivi compreso l'importo corrispondente all'eventuale quota dell'ex premio di rendimento eccedente lo standard di settore, cd "surplus") superiore al trattamento economico come sopra definito applicato ad un dipendente delle società acquisenti di pari inquadramento ed anzianità di servizio, si conviene di mantenere la differenza di importo, nella misura in essere alla data del 114 conferimento, sotto forma di "assegno ad personam ex intesa 18.6.2002", suddiviso in tredici mensilità, assorbibile a seguito di promozioni non di merito. Nota a verbale Ai fini di cui sopra, nei confronti dei dipendenti già appartenenti alla categoria "funzionari" provenienti da Cassamarca, le Parti individuano quale "surplus" del premio di rendimento una quota - valida anche a fini Fondo Pensioni aziendale - pari al 27% dell'importo erogato a titolo di maggiorazione del premio di rendimento. La quota dinamica del "surplus" e l'importo corrispondente all'ex indennità di laurea/albo, prima di confluire definitivamente nell'assegno ad personam di cui al presente articolo, verranno rivalutate del 2,8%. Art. 4 In favore del personale che alla data del trasferimento del rapporto di lavoro presso UniCredit Banca svolga mansioni per il cui esercizio è prevista un'indennità mensile di reggenza, la stessa verrà mantenuta in un'apposita voce denominata "indennità transitoria reggenza" sino al cessare dell’incarico; tale voce sarà assorbibile per qualsiasi avanzamento di carriera. Art. 5 Il personale che alla data del trasferimento del rapporto di lavoro in UniCredit Banca svolga mansioni comportanti l’attribuzione presso l’azienda di origine di indennità di rischio il cui importo risulti superiore a quello previsto dal CCNL per le unità site su piazze “Capoluoghi di Provincia e centri aventi intenso movimento bancario”, manterrà fino al cessare delle mansioni medesime presso tali unità, l’importo eccedente in un’apposita voce denominata "indennità transitoria rischio". Il personale che alla data del trasferimento del rapporto di lavoro in UniCredito Italiano/UniCredit Banca svolga mansioni comportanti l’attribuzione presso l’azienda di origine di altre forme indennitarie mensili (ex edp, ex reggenza, ecc.) manterrà l’importo in apposita voce transitoria. Le voci di cui al presente articolo saranno assorbibili per qualsiasi avanzamento di carriera ed ogni incremento retributivo. Art. 6 Al personale incaricato dell'attività di stima (cd. stimatori) viene attribuita un’indennità forfettaria per il rischio dell'invenduto nella misura dell'1,5 per mille sull'importo delle sovvenzioni di prima concessione. Art. 7 A favore del personale iscritto INPDAP le voci utili al computo della cd "quota A" della pensione (non ricomprese nel trattamento economico di cui all'art. 3 del presente accordo) verranno fatte confluire nella voce retributiva "Ass. Sostitutivo ex AEN 1991" nell'importo percepito all'atto del trasferimento; tale voce avrà le medesime caratteristiche dell'"assegno ad personam ex intesa 18.6.2002" di cui all'articolo 3. Art. 8 Relativamente al premio aziendale da corrispondere nell’anno 2003, con riferimento all’esercizio 2002, in applicazione di quanto previsto all'ultimo comma dell'art. 5 del Contratto Integrativo Aziendale per il personale delle Aree 115 Professionali e per i Quadri Direttivi del Credito Italiano, le parti convengono che ai lavoratori venga corrisposto, ove ne ricorrano i presupposti di cui al sopracitato articolo, un premio aziendale di importo pari a quello percepito nella rispettiva azienda di origine per l'esercizio 2001. Con riferimento al personale appartenente alle Aree Professionali proveniente da Cariverona, Cassamarca, Caritro e CRTrieste il citato importo verrà maggiorato di € 103. Relativamente al premio aziendale da corrispondere nell’anno 2004, con riferimento all’esercizio 2003, le parti convengono che ai lavoratori venga corrisposto, ove ne ricorrano i predetti presupposti, un premio aziendale di importo pari a quello che verrà erogato presso Credito Italiano nell'anno 2002, con riferimento all'esercizio 2001. Art. 9 A far tempo dalla data di trasferimento, il buono pasto verrà riconosciuto - in sostituzione di eventuali altri forme esistenti presso le aziende di origine nelle seguenti misure: - al personale con rapporto di lavoro a tempo pieno e a tempo parziale di tipo verticale, appartenente alle tre aree professionali ed alla categoria dei quadri direttivi: Euro 5,16 (lire 10.000); - al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale Euro 2,58 (lire 5.000). Nell’"assegno ad personam ex intesa 18.6.2002" di cui all’art. 3 va a confluire l’eventuale importo eccedente il valore del buono pasto del personale part-time; tale quota sarà assorbibile a seguito di variazione di valore del buono pasto medesimo. Art. 10 Nei confronti dei lavoratori che, dal 1° luglio 2002, venissero coinvolti in processi di mobilità territoriale, fermo quant'altro previsto dal protocollo sottoscritto in data odierna, verranno applicate le prassi in essere presso Credito Italiano. Norma transitoria I lavoratori che all'atto del conferimento siano destinatari di un trattamento di disagio connesso a trasferimento continueranno a percepire il trattamento medesimo, secondo le originarie caratteristiche, sino alla naturale scadenza e/o, ove non prevista, al cessare della situazione oggettiva che ne ha determinato l'origine . Art. 11 Il sistema inquadramentale e la struttura organizzativa di riferimento saranno quelle in essere presso il Credito Italiano. Allo scopo, stante i diversi assetti organizzativi in atto presso le singole Aziende, viene costituita un'apposita Commissione Tecnica tra le parti firmatarie della presente intesa con l'intento di valutare - anche alla luce della prevista segmentazione in tre banche in base al mercato di riferimento - le effettive omogeneità di mansione tra le figure professionali e gerarchiche in essere presso le singole aziende con quelle disciplinate dal CIA dell'azienda conferitaria. Alla luce di tale valutazione, che dovrà essere rassegnata dalla Commissione Tecnica entro il 31 ottobre 2002, le parti riscontreranno in sede politica se ed in quale misura possono essere 116 considerati utili ai fini dell'inquadramento i tempi di adibizione alle omologhe mansioni già svolte presso le Banche di origine. Sino al 31dicembre 2002 continueranno a produrre effetti le preesistenti normative aziendali. Nota a verbale Ai preposti di sportello verrà riconosciuto l'inquadramento previsto dalla normativa aziendale del Credito Italiano con decorrenza 1° luglio 2002, fermo restando che la complessiva adibizione al ruolo non dovrà essere inferiore alle previsioni di legge e di contratto in materia. Art. 12 Da parte aziendale viene assunto l'impegno a garantire una prestazione, a favore dei dipendenti, decorrente dal 1°.1.2003, contro gli infortuni professionali ed extra-professionali con le seguenti modalità: • per morte 7 volte l’importo della retribuzione annua lorda (r.a.l.), col massimo per ciascun dipendente di Euro 300.000; • per invalidità permanente 8 volte l’importo della r.a.l., col massimo per ciascun dipendente di Euro 400.000. La somma assicurata per invalidità permanente è soggetta alla franchigia assoluta del 5%; ferma la medesima, per gli infortuni comportanti invalidità permanente sino al 25%, l'indennizzo verrà ridotto del 50%. Da parte aziendale viene altresì assunto l'impegno a garantire, con la sopraindicata decorrenza, tramite primaria compagnia assicurativa, una copertura "kasko" per danni conseguenti all'utilizzo dell'autovettura personale per motivi di servizio, compreso il rischio in itinere (percorso dall'abitazione al luogo di lavoro e ritorno). Il massimale sarà di Euro 10.329 e la franchigia di Euro 413 per l'utilizzo professionale e di Euro 516 per gli eventi in itinere.L'onere dell'eventuale estensione della polizza casko ai rischi extra-professionali sarà a carico dei dipendenti. Norma transitoria Sino al 31 dicembre 2002 viene confermata l’applicazione delle forme di copertura assicurativa in essere presso le aziende di provenienza. Art. 13 Nel quadro delle compensazioni economiche generali intervenute, in deroga alla previsione esistente presso l'azienda conferitaria, le Parti convengono che a favore dei dipendenti delle banche conferite si terrà conto, ai soli fini della maturazione dei requisiti previsti per l'erogazione dei cd "premi di fedeltà" (25° e 35° anno di servizio), anche delle anzianità di effettivo servizio maturate nelle aziende di provenienza, fermo restando che i relativi importi verranno riconosciuti pro-quota secondo il seguente criterio: • misure previste dalle rispettive aziende di origine per le anzianità maturate presso le medesime sino al 30 giugno 2002; • misure previste da UniCredito Italiano/UniCredit Banca per i periodi successivi. 117 Nella determinazione degli importi si farà riferimento alla retribuzione percepita al raggiungimento del requisito, tenendo conto di eventuali erogazioni già riconosciute a titolo di "fedeltà" presso l'azienda di origine. Art. 14 Ai sensi e per gli effetti di cui all'ultimo comma dell'art.2120 Codice Civile, le parti firmatarie convengono le seguenti ipotesi ulteriori di accesso all'anticipo del trattamento di fine rapporto rispetto a quelle definite ai sensi di legge: • spese sanitario/assistenziali sostenute per gli ascendenti diretti di primo grado; • spese di ristrutturazione della prima casa (a fronte di presentazione di idonea documentazione); • acquisto seconda casa; • spese matrimonio del dipendente o figli; • tasse universitarie per dipendente o figli, nell'ambito del regolare svolgimento del piano di studi. Art. 15 Le parti si danno reciprocamente atto che le clausole del presente accordo e quelle di cui al Protocollo sottoscritto in data odierna sono da intendersi, ad ogni effetto, tra di loro collegate ed inscindibili. Accordo su Cessione attività Gestioni Patrimoniali di Banca dell’Umbria a Pioneer Investment Management SGR 30.3. 2005 Milano UniCredito Italiano SpA, nelle persone dei Sigg. Marco Vernieri, Gianluigi Robaldo, Franco Scaccabarozzi, Silvia Cassano; Banca dell’Umbria SpA, nelle persone dei Sigg. Fabrizio Barbetti, Cesare Cenci, Elisabetta Carloni; Pioneer Investment Management SGR nella persona del Sig. Raffaele Spina; e la Delegazione Sindacale di Gruppo FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL e UIL C.A., premesso che si è deciso il trasferimento del ramo d’azienda relativo alle attività Gestioni Patrimoniali di Banca dell’Umbria SpA (di seguito denominata, per brevità, “BdU”) a Pioneer Investment Management SGR (di seguito, per brevità, denominata “PIM”); il progetto è stato deliberato dal Consiglio di Amministrazione di BdU in data 15 marzo 2005 e di PIM nella seduta del 22 marzo 2005; l’operazione, che rientra tra gli interventi societari avviati a seguito del noto processo di riorganizzazione del Gruppo, denominato S3, è finalizzata alla razionalizzazione di alcune attività e delle business units operanti nel settore del risparmio gestito riconducibili alla Divisione “Private & Asset Management”; il trasferimento di questo ramo d’azienda ha l’obiettivo di accentrare in PIM le attività afferenti la gestione del risparmio su base individuale portando in capo ad essa l’attività di compliance e risk management connessa alla gestione 118 finanziaria ed amministrativa delle gestioni patrimoniali in argomento, al fine di realizzare sinergie operative e contenimento dei costi, vantaggi competitivi e maggior efficacia commerciale; alla luce di quanto sopra, il rapporto di lavoro dell’unica risorsa addetta al ramo d’azienda in questione verrà trasferito senza soluzione di continuità in capo a “PIM”; considerato che l’operazione produrrà i propri effetti sul rapporto di lavoro con il 1° aprile 2005; dalla realizzazione dell’operazione non discendono ricadute in termini di mobilità territoriale per il personale interessato; l’esistenza di differenti trattamenti normativi e retributivi comporta l’esigenza di pervenire ad una armonizzazione dei trattamenti applicati al personale del ramo d’azienda trasferito con quelli in essere per il personale PIM; le Parti esperite e concluse le procedure previste dalle vigenti disposizioni di legge e di contratto hanno convenuto quanto segue: Art. 1 La premessa costituisce parte integrante della presente intesa. Art. 2 Nei confronti del personale interessato dal presente accordo dal momento del passaggio in PIM cesserà di produrre effetto ogni accordo ed intesa, di qualunque natura, in essere presso l’azienda originaria e verrà applicata - in termini globalmente sostitutivi, anche di trattamenti e provvidenze frutto di delibere aziendali - la normativa nazionale e aziendale applicata al personale di PIM. Art. 3 Nel caso il dipendente di provenienza BdU sia destinatario all'atto del trasferimento a PIM di un trattamento economico complessivamente inteso (vale a dire comprensivo di tutte le voci mensili/annuali non legate ad aspetti indennitari e/o di disagio) superiore al trattamento economico come sopra definito applicato ad un dipendente della società acquisente di pari inquadramento ed anzianità di servizio, si conviene di mantenere la differenza di importo, nella misura in essere alla data del trasferimento, sotto forma di "assegno ad personam ex intesa", suddiviso in tredici mensilità, assorbibile a seguito di promozioni non di merito. Art. 4 Al lavoratore interessato dalla presente intesa spetterà per l’anno 2005 un premio aziendale di importo pari ai 9 dodicesimi di quello percepito dagli altri dipendenti di medesimo inquadramento in servizio presso PIM Art. 5 Nel quadro delle compensazioni economiche generali intervenute, in deroga alla previsione esistente presso l'azienda trasferitaria, le Parti convengono che a favore del dipendente di BDU si terrà conto, ai soli fini della maturazione dei requisiti previsti per l'erogazione dei cd "premi di fedeltà" (25° e 35° anno di servizio), anche delle anzianità di effettivo servizio maturate nell’azienda di 119 provenienza, fermo restando che i relativi importi verranno riconosciuti proquota secondo il seguente criterio: • misure previste dall’azienda di origine per le anzianità maturate presso la medesima sino al 31 marzo 2005; • misure previste da PIM per i periodi successivi. Nella determinazione degli importi si farà riferimento alla retribuzione percepita al raggiungimento del requisito (tenendo conto di eventuali erogazioni già riconosciute a titolo di "fedeltà" presso l'azienda di origine). Gruppo San Paolo IMI Accordo su scorporo e conferimento della rete distributiva di Campania, Puglia, Basilicata , Calabria da San Paolo a San Paolo Banco di Napoli 30/01/03 Torino Tra SANPAOLO IMI S.p.A. e le Segreterie Nazionali di FABI,FALCRI, FEDERDIRIGENTICREDITO,FIBA/CISL,FISAC/CGIL,SINFUBeUILC.A. e le Delegazioni Sindacali di Gruppo FABI,FALCRI,FEDERDIRIGENTICREDITO,FIBA/CISL,FISAC/CGIL, SINFUBeUILC.A. • • • • premesso che in data 20 novembre 2002 è stata inoltrata la lettera di avvio delle procedure contrattuali e di legge riguardanti la fusione per incorporazione del Banco di Napoli S.p.A. in SANPAOLO IMI S.p.A., prima operazione di riassetto societario prevista dal piano industriale di Gruppo e volta al raggiungimento della migliore efficienza e competitività nel panorama creditizio nazionale; nella successiva illustrazione alle Organizzazioni Sindacali del citato piano industriale si è dato conto della previsione di successivo scorporo di una nuova Società bancaria operante nelle regioni Campania, Puglia, Calabria, Basilicata, in un’ottica di integrazione e specializzazione delle reti distributive con i connessi benefici in termini operativi di utilizzo di una comune piattaforma informatica e di prodotti, nonché di coordinamento commerciale; con protocollo sottoscritto in data 20 dicembre 2002 sono stati differiti al 31 gennaio 2003 i termini per l’effettuazione del previsto esame congiunto, convenendo altresì l’applicazione, sino a tale data, al Personale interessato all’operazione predetta, del complesso della disciplina normativa ed economica vigente presso il Banco di Napoli; in data 14 gennaio 2003 si è altresì siglato un verbale di accordo in tema di garanzie occupazionali e di salvaguardia e valorizzazione delle opportunità 120 • di sviluppo professionale relativo, in particolare, alla ridetta operazione di scorporo; nella fase di consultazione e negoziazione si è approfondita la complessiva materia delle ricadute rivenienti dalla fusione in tema di disciplina del rapporto di lavoro con il raggiungimento, in data odierna, di intese sui principali punti oggetto di confronto; si conviene quanto segue La premessa costituisce parte integrante e sostanziale del presente accordo. PRINCIPI GENERALI In materia di salvaguardia dell’occupazione, sviluppo professionale, percorsi di riconversione/riqualificazione, distacchi di risorse e trattamento dei fenomeni di mobilità straordinaria sono integralmente confermati le intese e gli impegni di cui agli accordi di Gruppo 19 ottobre 2001, 20 marzo 2002 e 14 gennaio 2003, con le ulteriori precisazioni di seguito riportate. Sviluppo professionale L’inserimento del Personale incorporato in SANPAOLO IMI avviene nel rispetto delle professionalità acquisite ed in ottica di valorizzazione dei contributi operativi e di conoscenza dei singoli, con salvaguardia delle medesime opportunità quanto a sviluppo professionale e di carriera. Analoghi principi sono seguiti, in correlazione alle caratteristiche dell’organizzazione aziendale applicata, in occasione del previsto scorporo, per il Personale destinatario dell’operazione. Mobilità straordinaria Ai fini dell’applicazione dell’accordo 20 marzo 2002 in tema di mobilità straordinaria derivante dall’operazione di fusione di Banco di Napoli in SANPAOLO IMI e successivo scorporo si chiarisce tra le Parti che la mobilità in questione riguarda i trasferimenti d’ufficio disposti – anche previo percorso di riconversione/riqualificazione professionale – in diretta conseguenza di: 1. chiusura o trasferimento di uffici/strutture di Sede Centrale, di Area ovvero di Punti Operativi (quali l’unificazione di Punti Operativi su piazza e lo spostamento di Punti Operativi ad altre piazze); 2. accorpamento e/o trasferimento anche parziale di attività di Sede Centrale. Fermi l’ambito ed i criteri di applicazione ed i trattamenti previsti dal richiamato accordo 20 marzo 2002, è ribadito l’impegno da parte aziendale di ricercare prioritariamente la volontarietà per le risorse interessate dalla ricollocazione – così come definita al punto 4., lettere a) e b) dell’accordo in parola, nonché la specifica valutazione delle fattispecie ivi individuate per i casi di necessario consenso a trasferimenti presso unità produttive ad oltre 25 km. di distanza dal luogo di residenza/domicilio. In tale contesto saranno altresì attivate specifiche informative al Personale interessato circa le disposizioni in tema di trasferimenti a richiesta, ivi compresa 121 la comunicazione delle zone, come derivanti dallo sviluppo degli impegni dell’accordo di rinnovo del vigente Contratto Integrativo Aziendale SANPAOLO IMI. Quanto precede restando inteso che il trasferimento richiesto in dipendenza della mobilità in questione costituisce motivo per dar corso allo scavalcamento delle liste in essere. Alle competenti strutture sindacali aziendali firmatarie del presente accordo viene resa da parte dell’Azienda un’informativa con cadenza bimestrale circa numeri di risorse interessate dalla mobilità, strutture di provenienza e di assegnazione, dati disaggregati su trasferimenti a richiesta effettuati e sugli eventuali casi rientranti nelle fattispecie che richiedono il consenso per i predetti spostamenti oltre i 25 km. NORMATIVA APPLICABILE A far tempo dal 1° gennaio 2003 – ai sensi delle disposizioni di legge al riguardo - il rapporto di lavoro del Personale proveniente dal Banco di Napoli prosegue senza soluzione di continuità con SANPAOLO IMI, con mantenimento di livello retributivo ed inquadramento rivestito a tale data – come meglio dettagliato in appresso - e riconoscimento dell’anzianità maturata a tutti i fini delle vigenti normative contrattuali nazionali ed aziendali di pertinenza dei medesimi. Nei confronti del predetto Personale trova applicazione – sempre a far tempo dal 1° gennaio 2003 – il Contratto Integrativo Aziendale di SANPAOLO IMI 21 maggio 2001 nonché gli ulteriori accordi e disposizioni vigenti presso lo stesso, salve le diverse normative specificamente indicate nel presente accordo e le eventuali diverse decorrenze ivi riportate. In connessione a ciò è pienamente realizzato l’effetto sostitutivo della precedente contrattazione integrativa e del complesso delle disposizioni fruite dal Personale predetto presso l’Azienda incorporata, anche ai sensi di quanto previsto dall’art. 47 della Legge 428/1990 e successive modificazioni ed integrazioni. La normativa di cui sopra è trasmessa individualmente al Personale con le opportune forme in una con il testo del Contratto Integrativo Aziendale. Resta inteso che al Personale interessato dalla successiva operazione di scorporo sono applicati Contratto Integrativo Aziendale e la normativa del SANPAOLO IMI, nonché le previsioni del presente accordo. Il rinnovo del Contratto Integrativo Aziendale avviene in sede di contrattazione integrativa SANPAOLO IMI, fatta salva l’autonomia delle strutture sindacali della nuova Società quale parte agente in detta contrattazione. INQUADRAMENTI Personale delle aree professionali L’inserimento del Personale proveniente dal Banco di Napoli avviene nei medesimi aree professionali e livelli retributivi allo stato riconosciuti, fermo restando il principio vigente della piena fungibilità delle mansioni degli addetti alla 3ª area professionale. Relativamente ai percorsi di carriera in settori specialistici già presenti nella normativa aziendale del Banco di Napoli (accordo del 7 maggio 1997, lettera A, 122 punti 2 e 3 e lettera B), sono fatti salvi gli inquadramenti che maturino entro il 30 giugno 2003. In relazione alle previsioni dall’accordo 27 luglio 2001 stipulato presso il Banco di Napoli resta inteso che sino all’applicazione del modello organizzativo di Filiale SANPAOLO IMI alla Rete incorporata, gli inquadramenti ivi previsti per le figure professionali di Filiale continuano a trovare applicazione nel caso in cui siano affidate al Personale mansioni corrispondenti a quelle stabilite per le figure di cui sopra. Quadri Direttivi L’inserimento del Personale proveniente dal Banco di Napoli avviene nei medesimi livelli e ruoli chiave allo stato riconosciuti. Con riferimento alla materia degli inquadramenti dei Direttori di Filiale sino a sei addetti, per il Personale incorporato il relativo riconoscimento avviene progressivamente per tutti i Direttori incaricati alla data del presente accordo attraverso l’inserimento in specifico percorso di formazione. Pertanto gli inquadramenti in parola avvengono con gradualità in relazione al completamento dei predetti percorsi, a partire dal 1° luglio 2003 e comunque entro il 31 ottobre 2003, fatte salve proroghe del termine in relazione ad assenze per maternità o malattia. In relazione a quanto sopra è fornita specifica informativa di consuntivo alle Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo entro il mese di novembre 2003. TRATTAMENTO ECONOMICO Con decorrenza 1° gennaio 2003 al Personale proveniente dal Banco di Napoli è mantenuto il trattamento retributivo allo stato fruito, con applicazione delle denominazioni e dei criteri di erogazione previsti in SANPAOLO. Le voci rivenienti da accordi sottoscritti presso il Banco di Napoli fruite ad personam – il cui elenco è riportato nell’allegato sub 1, che costituisce parte integrante e sostanziale del presente accordo - sono ricondotte alla voce "Assegno individuale", con mantenimento delle caratteristiche di assorbimento e dinamicità attualmente rivestite. Gli eventuali assegni ad personam di merito continuano ad essere corrisposti con le medesime attuali caratteristiche. In luogo della quota di "Ex Premio di Rendimento" in precedenza erogata dal Banco di Napoli " è corrisposta una voce mensile denominata "Assegno ex ristrutturazione" con divisione per 13 dell’attuale importo annuale differenziato per grado, mantenendo la dinamica contrattuale. Nella tabella allegata sub 2, che costituisce parte integrante e sostanziale del presente accordo, sono riportati i relativi importi. Decorrenza: 1° gennaio 2003. Con le competenze del mese di febbraio si provvede al pagamento della quota di pertinenza del 2002. 123 PREMIO AZIENDALE DI PRODUTTIVITA’ Erogazione nel giugno 2003 per il Personale incorporato del premio di produttività relativo al 2002 nelle stesse misure erogate nel 2002 dal Banco di Napoli, incrementate del 60% della differenza tra tali importi e quelli che saranno erogati nel 2003 in SANPAOLO IMI. Nel 2003, nell’ipotesi di azionariato diffuso che riguardi anche il personale in oggetto l’onere complessivo aziendale per l’erogazione del premio di produttività e l’assegnazione delle azioni non può superare l’onere complessivamente previsto per l’erogazione del solo premio di produttività. Dopo lo scorporo, presso la nuova Società viene applicato lo stesso premio aziendale di produttività di SANPAOLO IMI quanto a criteri, misure e modalità di erogazione. SISTEMA INCENTIVANTE Per quanto riguarda il sistema incentivante si procede con i seguenti criteri: • per l’esercizio 2002 al Personale incorporato è applicato il sistema incentivante già vigente presso il Banco di Napoli; • per l’esercizio 2003 il sistema incentivante SANPAOLO IMI è unico per tutto il Personale; • dagli esercizi successivi il sistema incentivante SANPAOLO IMI riguarda anche il Personale scorporato. BUONO PASTO Per tutto il Personale incorporato l’importo del buono pasto - a far tempo da quelli riferiti al mese di marzo 2003 - è allineato alle misure in essere presso SANPAOLO IMI. ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA La copertura assicurativa in corso per il Personale incorporato è mantenuta per l’anno 2003, fermo restando che il premio a carico dell’Azienda è incrementato sino a concorrenza dell’apporto contributivo in cifra fissa previsto dall’articolo 10, comma I dello Statuto della Cassa di Assistenza SANPAOLO IMI (di seguito Cassa) per il Personale dipendente di SANPAOLO IMI iscritto alla medesima. In relazione a quanto precede l’Azienda si attiva al fine di rinegoziare le prestazioni in funzione dell’anzidetta maggiorazione di premio, interessando al riguardo, in sede di esame preventivo della materia, le Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo. Le Parti Sociali apportano le conseguenti modificazioni allo Statuto della Cassa. In caso di mancato raggiungimento di intese collettive in ordine al mantenimento delle coperture assicurative in tempo utile prima della fine del 2003, il Personale incorporato è iscritto alla Cassa dal 1° gennaio 2004. PREVIDENZA COMPLEMENTARE AZIENDALE Il Personale incorporato mantiene l’iscrizione al Fondo di previdenza complementare per il Personale del Banco di Napoli, nei termini e con le condizioni attualmente fruiti. Per il Personale assunto dal 1° gennaio 1991 l’aliquota di contribuzione a carico dell’Azienda è adeguata, a far tempo dal 1° gennaio 2003, al 3%. 124 Per tutto il Personale incorporato è inoltre versato lo 0,50% dell’imponibile TFR (riveniente da specifica disposizione statutaria della Cassa di Assistenza circa analoga posta contributiva) quale ulteriore contribuzione aziendale in via transitoria per il 2003, con riserva di successive determinazioni delle Parti sociali entro il termine di tale anno, correlate all’assistenza sanitaria. NORME TRANSITORIE La normativa ex accordo 27 luglio 2001 inerente l’assunzione di figli di Personale dichiarato inabile è applicata per le fattispecie per cui la relativa regolare documentazione sia formalmente pervenuta all’Azienda entro il 31/1/2003. Per i procedimenti disciplinari formalmente avviati (con lettera di contestazione ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori) entro la data di consegna individuale del Contratto Integrativo Aziendale e di affissione del Codice Disciplinare ivi contenuto viene applicato il regime previgente presso il Banco di Napoli. AGEVOLAZIONI CREDITIZIE Fermo restando che per le pratiche deliberate entro il 28 febbraio 2003 continua a trovare applicazione la previgente normativa del Banco di Napoli, a far tempo dal 1° marzo p.v. la materia delle agevolazioni creditizie al Personale è regolata dal complesso delle disposizioni aziendali SANPAOLO IMI. L’Azienda effettua entro la fine del mese di febbraio un esame delle situazioni pregresse che risultino disallineate rispetto ai criteri/importi di finanziamento SANPAOLO IMI. Al termine di tale disamina si tiene specifico incontro con le Organizzazioni Sindacali al fine rappresentare la situazione e le ipotesi di soluzione volte a individuare opportune forme di rientro dalle esposizioni eccedenti in tempi congrui. In tale sede viene altresì esaminata la percorribilità dell’estensione della copertura assicurativa alle aperture di credito con elasticità di cassa. In tale circostanza le Organizzazioni Sindacali possono presentare eventuali osservazioni. RELAZIONI SINDACALI Tenuto conto degli articolati riflessi discendenti dall’applicazione del Contratto Integrativo SANPAOLO IMI, nonché dalla prevista unificazione delle procedure ed alla progressiva estensione del modello organizzativo di Filiale, è costituita una Commissione Tecnica composta da due rappresentanti per ciascuna delle Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo e da esponenti delle competenti Funzioni aziendali al fine di consentire momenti di verifica dell’omogeneizzazione in corso in materia di: • inquadramenti; • valutazione del personale; • sistema incentivante; • trasferimenti a richiesta, con particolare riferimento alla ricomposizione delle zone in dipendenza dell’avvenuta incorporazione. 125 La prima riunione della Commissione in discorso (che ha durata sino al 31 dicembre 2003) si tiene entro il primo trimestre 2003, con riserva di fissare in tale sede i successivi incontri, in funzione dei previsti sviluppi dei citati argomenti. Le Parti, al termine dei lavori della Commissione verificano congiuntamente eventuali riflessi di carattere contrattuale derivanti e/o attinenti alle materie esaminate. Accordo Fusione Cardine Finanziaria in San Paolo IMI 9 ottobre 2004 Torino SANPAOLO IMI S.p.A. e le Segreterie Nazionali di FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A., e le Delegazioni Sindacali di Gruppo FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A., premesso che 1. con accordo sottoscritto in data 31 ottobre 2003, nell’ambito della procedura di integrazione delle attività di Corporate Centre di SANPAOLO IMI di Cardine Finanziaria e delle Banche Reti, si è convenuto di far decorrere dal 1° novembre 2004 le risultanze dell’esame congiunto ex art. 47 della legge n. 428/1990 e successive modificazioni ed integrazioni relativo alla programmata fusione di Cardine Finanziaria S.p.A. in SANPAOLO IMI S.p.A.; 2. con lettera del 18 novembre 2003 è stata attivata la procedura di legge e di contratto relativa alla predetta operazione di fusione, con successivo formale avvio della fase di consultazione e confronto, per quanto attiene alle conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori interessati dalla richiamata operazione di fusione; 3. fermi restando gli effetti traslativi della operazione di fusione di cui al precedente punto ed i conseguenti passaggi dei rapporti di lavoro, con accordo del 22 dicembre 2003 si è convenuto di continuare ad applicare sino al 31 ottobre 2004 il complesso delle discipline normative ed economiche vigenti alla data di incorporazione e di differire al 29.2.2004 i termini per l’effettuazione dell’esame congiunto previsto dalle vigenti disposizioni di legge; 4. con accordi sottoscritti in data 26 febbraio e 21 luglio 2004 è stato differito il predetto termine al 30 settembre 2004 e, da ultimo, con proroga condivisa tra le Parti sino all’8 ottobre 2004; 5. nel corso della fase di consultazione e negoziazione si è approfondita la complessiva materia delle ricadute rivenienti dalla fusione in tema di disciplina del rapporto di lavoro con il raggiungimento, in data odierna, delle seguenti intese; si conviene quanto segue La premessa forma parte integrante e sostanziale del presente Accordo. 126 PRINCIPI GENERALI In materia di salvaguardia dell’occupazione, sviluppo professionale, percorsi di riconversione e/o riqualificazione e trattamento della mobilità straordinaria sono integralmente confermati le intese e gli impegni di cui agli accordi 27.2.2003, 31.10.2003 e 22.12.2003. NORMATIVA APPLICABILE A far tempo dal 31 dicembre 2003 – ai sensi delle disposizioni di legge in materia – il rapporto di lavoro del Personale proveniente da Cardine Finanziaria prosegue senza soluzione di continuità con SANPAOLO IMI, con mantenimento del livello retributivo e dell’inquadramento rivestito a tale data nonché con riconoscimento dell’anzianità maturata a tutti i fini delle vigenti normative contrattuali nazionali ed aziendali di pertinenza dei medesimi. Nei confronti del predetto Personale trova applicazione – a far tempo dal 1° novembre 2004 – il Contratto Integrativo Aziendale di SANPAOLO IMI 21 maggio 2001 nonché tutti gli ulteriori accordi e disposizioni vigenti presso lo stesso, salvo diverse normative specificatamente indicate nel presente accordo e le eventuali decorrenze ivi riportate. In relazione a ciò è pienamente realizzato l’effetto sostitutivo della precedente contrattazione integrativa e del complesso delle disposizioni fruite dal Personale predetto presso l’Azienda incorporata, presenti alla data di incorporazione, anche ai sensi di quanto previsto dall’art. 47 della Legge 428/1990 e successive modificazioni ed integrazioni. La normativa di cui sopra è trasmessa individualmente al Personale con le opportune forme unitamente al testo del Contratto Integrativo Aziendale. INQUADRAMENTI Aree professionali L’inserimento del Personale proveniente da Cardine Finanziaria avviene nelle medesime aree professionali e livelli retributivi allo stato riconosciuti, fermo restando il principio vigente della piena fungibilità delle mansioni degli addetti della 3a area professionale. Entro la fine del 2004 viene effettuate una verifica dell’attività svolta all’1/1/2004 ai fini dell’inserimento nei percorsi di cui all’art. 5 del CIA SANPAOLO IMI. Nei confronti del personale di Cardine Finanziaria proveniente dalle Banche Reti continua a trovare applicazione la disciplina relativa agli avanzamenti automatici economici e di carriera vigenti presso le rispettive Banche di provenienza sino al 31/12/2009 e, comunque, sino al raggiungimento, a decorrere dall’1/11/2004, di almeno un avanzamento automatico. Successivamente a tali scadenze trova piena applicazione la disciplina vigente presso SANPAOLO IMI. Quadri direttivi 127 L’inserimento del Personale proveniente da Cardine Finanziaria avviene nei medesimi livelli allo stato riconosciuti, nel rispetto delle professionalità acquisite ed in un’ottica di valorizzazione dei contributi operativi e di conoscenza dei singoli, con salvaguardia per i medesimi, di medesime opportunità di sviluppo professionale e di carriera. Con riferimento al Personale destinatario di trattamenti relativi ai ruoli chiave presenti alla data di incorporazione, vengono analizzati i contenuti professionali e le posizioni di responsabilità ricoperte onde accertarne l’omogeneità con le corrispondenti declaratorie vigenti in SANPAOLO IMI, ai fini dell’ attribuzione delle indennità di ruolo chiave SANPAOLO IMI. Per detto Personale restano comunque salve le differenze le eventuali differenze economiche rispetto ai trattamenti precedentemente fruiti, che vengono mantenute come assegno ad personam da assorbire in caso di inquadramento superiore anche economico ovvero di incrementi retributivi di merito. TRATTAMENTO ECONOMICO Al Personale proveniente da Cardine Finanziaria è mantenuto il trattamento retributivo fruito alla data del 31/10/2004, con applicazione delle denominazioni e dei criteri di erogazione previsti in SANPAOLO IMI a decorrere dal 1/1/2005. A far tempo dal 1/1/2005 le voci rivenienti da accordi aziendali sottoscritti presso le Banche di provenienza ovvero fruite ad personam ed eventualmente riconosciute su un numero di mensilità diverso da 13 – il cui elenco è riportato nell’allegato sub 1, che costituisce parte integrante e sostanziale del presente accordo –, sono riportate su tredici mensilità sotto la voce “Assegno individuale”, con mantenimento delle caratteristiche di assorbimento e di rivalutazione allo stato rivestite. Gli eventuali assegni ad personam di merito continuano ad essere corrisposti con le attuali caratteristiche. Sempre a decorrere dall’1/1/2005, in luogo delle voci che hanno nelle diverse sedi aziendali contribuito alla determinazione della quota dell’“Ex premio di rendimento”, viene corrisposto un importo mensile denominato “Assegno ex ristrutturazione”, calcolato ripartendo su 13 mensilità l’importo annuale relativo al 2004, con mantenimento dei criteri di rivalutazione all’attualità previsti. Restano ferme le modalità di erogazione per le quote relative al 2004. Al Personale proveniente dalla Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Cassa di Risparmio di Venezia e Cassa di Risparmio in Bologna (di seguito rispettivamente CARIPARO, CARIVE e CARISBO) ed adibito al Centro Elaborazione Dati nonché all’Auditing e Sicurezza EDP, è riconosciuta una voce mensile denominata “Assegno individuale” di importo pari allo specifico trattamento indennitario attualmente fruito, le cui voci sono riportate nell’allegato 2. Detto “Assegno individuale” è assorbito solo in caso di inquadramento superiore anche economico ovvero di attribuzione di trattamenti retributivi individuali fatta 128 eccezione per gli effetti economici connessi al riconoscimento dell’automatismo in corso di maturazione alla data del 1/11/2004. Per il Personale proveniente dalla CARIPARO tale voce viene mantenuta anche in caso di adibizione a mansioni differenti. PREMIO AZIENDALE DI PRODUTTIVITA’ Al Personale di Cardine Finanziaria proveniente dalle Banche Reti, il premio aziendale di produttività relativo all’esercizio 2004 viene corrisposto, nel mese di giugno 2005, con applicazione dei criteri di determinazione e delle modalità di erogazione previste presso le Banche di provenienza. Per il Personale assunto direttamente da Cardine Finanziaria ovvero proveniente da CAER, il premio aziendale di produttività del medesimo esercizio, viene corrisposto applicando i criteri e le modalità SANPAOLO IMI. A partire dal 1/1/2005 trovano applicazione i criteri e le modalità di determinazione del premio aziendale di produttività vigenti in SANPAOLO IMI. Per quanto si riferisce alle peculiari previsioni della normativa CARISBO in materia, si dà luogo, in sede di consuntivo, a valutare soluzioni condivise tra le Parti che in via transitoria possano consentire di superare le eventuali differenze economiche rispetto all’anno precedente e, ciò, per quanto riguarda, in particolare, i quadri direttivi. ASSISTENZA SANITARIA INTEGRATIVA In considerazione delle specifiche istanze sindacali in materia, il Personale proveniente da CARIPARO mantiene l’iscrizione al Fondo Interno di Assistenza (FIA) e vale per il medesimo la disciplina del Regolamento del Fondo stesso tempo per tempo vigente. Al riguardo, le Parti si impegnano a favorire le opportune modifiche Regolamentari per consentire il mantenimento della predetta iscrizione. La complessiva contribuzione di SANPAOLO IMI per il Personale in servizio non può essere superiore all’importo complessivo determinato moltiplicando l’apporto contributivo di cui all’art.10, comma I, dello Statuto della Cassa di Assistenza di SANPAOLO IMI (di seguito “Cassa”) - pari, per il 2004, a 796 Euro - per il numero degli iscritti in servizio. Al di fuori dell’impegno economico come sopra previsto, SANPAOLO IMI non è tenuto ad alcun intervento diretto e/o indiretto concernente la gestione del Fondo nonché l’equilibrio finanziario del medesimo. Per il Personale assunto direttamente da Cardine Finanziaria ovvero da CAER, restano ferme le previsioni di cui all’accordo 15/1/2004 comportanti l’iscrizione alla “Cassa” a partire dall’1/1/2005. Per il restante Personale, a far tempo dal 1/1/2005, sono attribuite prestazioni erogate per il tramite di polizza di assistenza sanitaria integrativa stipulata dalla “Cassa” con premio assicurativo a carico aziendale pari all’apporto contributivo stabilito ai sensi dell’art. 10, comma I, dello Statuto della medesima. A decorrere dall’1/1/2006 è applicata la complessiva disciplina statutaria della Cassa e sono 129 attribuite le prestazioni erogate in forma diretta dalla stessa, salvo diverse intese tra le parti. NORMATIVA DEI TRASFERIMENTI E RELATIVI TRATTAMENTI ECONOMICI A decorrere dal 1/11/2004 sono applicate le regole vigenti in materia presso SANPAOLO IMI con le espresse eccezioni di seguito indicate. Il Personale proveniente da CARIVE e da Banca Popolare dell’Adriatico (di seguito BPDA) mantiene, in materia di consenso al trasferimento, le garanzie previste dalle rispettive discipline aziendali sino al rinnovo o sostituzione delle medesime. L’esercizio di detta facoltà determina l’applicazione del complessivo trattamento proprio della Banca di provenienza. Per un periodo di 8 anni a far tempo dal 1°.1.2004, sono mantenute le misure economiche di mobilità tuttora in essere, salvo applicazione della normativa SANPAOLO IMI in caso di trasferimento disposto durante tale periodo. Raccomandazione delle OO.SS. Le OO.SS. rivolgono espressa raccomandazione all’Azienda a voler riservare particolare attenzione gestionale nei confronti del Personale che abbia avanzato richiesta di rientro/avvicinamento in prossimità della scadenza delle anzidette misure economiche di mobilità anche attraverso ipotesi di cessione del rapporto di lavoro ad Aziende del Gruppo. L’Azienda prende atto della raccomandazione come sopra formulata dalle OO.SS. PREVIDENZA COMPLEMENTARE AZIENDALE Le Parti confermano l’impegno a consentire il mantenimento dell’iscrizione ai rispettivi regimi aziendali di previdenza complementare di pertinenza del Personale interessato. Per il Personale iscritto a regimi aziendali di previdenza complementare a contribuzione definita, a far tempo dal 1/11/2004, l’aliquota contributiva minima a carico dell’Azienda è fissata al 3%, mentre sono conservate le aliquote contributive in essere superiori a tale percentuale. PREMIO DI ANZIANITÀ Vengono mantenute sino al 31/12/2005 le regole vigenti presso le Banche di provenienza. Sempre sino al 31/12/2005 trova integrale applicazione la disciplina vigente presso la BpdA, ivi compreso l’accordo 30/7/2002 - previo accertamento delle oggettive circostanze che ne giustificano l’erogazione – nonché la disposizione inerente il riconoscimento di una giornata di permesso aggiuntivo al compimento del 15° e del 25° anno di anzianità di servizio. PERMESSI AGGIUNTIVI Sono mantenuti, per il Personale proveniente da CARIVE, due giorni aggiuntivi di permessi retribuiti ai sensi della normativa previdente nonché la/le giornata/e 130 aggiuntiva/e prevista/e per il Personale proveniente da BPDA che ne fruisca in forza della normativa citata al punto 10. Accordo cessioni filiali (Integrazione Banche Reti) 7 .12. 2004 Torino SANPAOLO IMI S.p.A. Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. (di seguito Banca cessionaria) e le Segreterie Nazionali DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A. le Delegazioni Sindacali di Gruppo DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A. le Segreterie degli Organi di Coordinamento DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A.di SANPAOLO IMI le Segreterie degli Organi di Coordinamento DIRCREDITO, FALCRI, FIBA/CISL, FISAC/CGIL, UIL C.A.della Cassa di Risparmio in Bologna • • • • • • premesso che nell’ambito del complessivo riassetto strutturale del Gruppo previsto dai piani industriali si è realizzato il progressivo processo di integrazione delle Banche Rete ex Cardine, attraverso l’estensione del modello distributivo SANPAOLO, l’unificazione delle procedure e la graduale applicazione del modello organizzativo di Banca Commerciale; in tale contesto si inserisce il progetto di razionalizzazione della Rete Commerciale del Gruppo con la concentrazione delle Filiali e la valorizzazione dei marchi di riferimento nelle diverse realtà territoriali, che prevede lo sviluppo della Rete nei territori interessati, coniugando i valori derivanti dal forte radicamento delle Banche presenti localmente con le opportunità insite nell’appartenenza ad un grande Gruppo; le realtà territoriali in discorso, unitamente alla Capogruppo ed a Sanpaolo Banco di Napoli, costituiscono un’unica Rete Commerciale per la quale è auspicabile l’adozione di un’omogenea disciplina del rapporto di lavoro; con lettera del 30/9/2004 è stata avviata la procedura ex art. 47 della legge n. 428/1990 riferita al conferimento del ramo aziendale costituito dai punti operativi di SANPAOLO IMI S.p.A. delle province di Bologna, Ferrara, Modena, Parma, Piacenza e Reggio Emilia e dagli uffici di riferimento del territorio dell’Area Emilia Romagna alla Cassa di Risparmio in Bologna; alla luce della situazione che ha successivamente interessato le relazioni sindacali a livello di Settore i termini delle procedure sono stati prorogati al 10 dicembre corrente; nell’ambito del previsto confronto si sono congiuntamente esaminate le conseguenze giuridiche, economiche e sociali determinate dall’operazione per i lavoratori interessati, alla luce delle disposizioni normative loro applicabili; 131 si conviene quanto segue La premessa costituisce parte integrante e sostanziale del presente Accordo. PRINCIPI GENERALI Tenuto conto dell’unicità del modello distributivo adottato a livello di Gruppo e del correlato modello organizzativo, si conferma la necessità di un’omogenea disciplina del rapporto di lavoro in tema di figure professionali ed inquadramenti, piano di formazione, sistema valutativo ed incentivante. Tale intervento, in corso di realizzazione nelle diverse sedi aziendali, unitamente al progetto di razionalizzazione delle reti distributive - che trova prima applicazione nelle ridette operazioni di conferimento di ramo d’azienda – determina la creazione di un’unica rete commerciale, nell’ambito della quale devono essere adottati strumenti omogenei che favoriscano l’interscambio, anche professionale, delle risorse ed una maggiore flessibilità gestionale. Conseguentemente le Parti si impegnano a ricercare, per il Personale operante all’interno delle Banche commerciali, un’omogenea disciplina del rapporto di lavoro attraverso la quale, tra l’altro, si renda possibile favorire la mobilità interaziendale mirata alla valorizzazione delle professionalità ed alla salvaguardia delle medesime opportunità di sviluppo professionale nei diversi contesti operativi nonché, in presenza di esigenze non occasionali, il trasferimento del Personale tra Società diverse attraverso lo strumento della cessione individuale del contratto di lavoro, già oggi praticabile in caso di applicazione del medesimo Contratto Integrativo Aziendale nelle Aziende interessate. Nelle more della citata omogeneizzazione – che dovrà tener conto delle peculiarità specifiche delle normative aziendali (previdenza, assistenza, etc. ), da individuare tra le Parti - per la gestione dell’eventuale mobilità ordinaria tra Aziende del Gruppo si procede attraverso lo strumento del distacco, con la precisazione che nei casi di mobilità territoriale si applicano gli eventuali trattamenti di trasferimento in essere presso la Banca distaccante per il Personale interessato. Nei confronti del Personale proveniente da SANPAOLO IMI per effetto del conferimento di cui trattasi, nell’ipotesi di uscita dal Gruppo della Banca cessionaria, l’operazione sarà gestita nel caso di tensioni occupazionali – per un periodo di dieci anni dall’avvenuto conferimento e con il coinvolgimento dell’acquirente - con i medesimi criteri previsti per le analoghe operazioni interne al Gruppo e cioè attraverso la ricollocazione in via prioritaria delle eventuali eccedenze di personale presso la Capogruppo od altre Società del Gruppo ovvero, ove ciò non si rendesse possibile, il successivo utilizzo di tutti gli strumenti previsti dalle normative vigenti in tema di mobilità, riconversione professionale attraverso la formazione ed il ricorso al “Fondo di solidarietà”. 132 NORMATIVA APPLICATA AL PERSONALE CONFERITO A far tempo dalla data di conferimento – ai sensi delle disposizioni di legge al riguardo - il rapporto di lavoro del Personale proveniente da SANPAOLO IMI prosegue senza soluzione di continuità con la Banca cessionaria, con mantenimento del livello retributivo ed inquadramento attribuito a tale data e riconoscimento dell’anzianità maturata a tutti i fini delle vigenti normative contrattuali nazionali ed aziendali di pertinenza dei medesimi. Nel caso di mobilità ordinaria verso SANPAOLO IMI o SANPAOLO BANCO DI NAPOLI, in applicazione dei principi descritti si da luogo alla cessione del rapporto di lavoro. Per il Personale iscritto all’INPDAP ex CPDEL sono attivati, a cura della Banca cessionaria le opportune iniziative nei confronti di tale Ente in ottica di verificare possibilità e condizioni per il mantenimento dell’iscrizione in parola. Sulle risultanze di tali approfondimenti è fornita tempestiva informazione alle Organizzazioni Sindacali firmatarie delle presenti intese. In adesione a quanto stabilito dalle previsioni contrattuali aziendali in materia, nei confronti del Personale proveniente da SANPAOLO IMI continuano a trovare piena applicazione: • il Contratto Integrativo Aziendale ed il complesso della disposizioni e dei trattamenti vigenti presso SANPAOLO IMI sino a scadenza e/o sostituzione degli stessi in forza di rinnovo; • il complesso delle ulteriori disposizioni aziendali vigenti in tema di agevolazioni creditizie, provvidenze a favore del Personale, trattamento di trasferimento, missione e pendolarismo. Nelle more della citata omogeneizzazione non si rende formalmente applicabile l‘art. 76 relativo ai trasferimenti a richiesta, mentre per quanto concerne l’art. 64 in tema di visite preventive periodiche ne viene valutata da parte delle Aziende la praticabilità nel nuovo contesto. Per quanto attiene alle previsioni del Capitolo terzo del Contratto Integrativo SANPAOLO IMI su Provvedimenti disciplinari – Licenziamento – Provvedimenti cautelari, le stesse sono sostituite dalle previsioni contrattuali applicate in materia dalla Banca cessionaria. NORMA TRANSITORIA Per i procedimenti disciplinari formalmente avviati (con lettera di contestazione ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori) entro la data di comunicazione individuale dei contenuti del presente accordo viene applicato il regime in essere presso SANPAOLO IMI. In deroga all’art. 96 del CIA SANPAOLO IMI ed in considerazione del periodo in cui è avvenuta l’operazione di conferimento, il premio aziendale di produttività relativo al 2004 da erogare al Personale conferito sarà individuato in misura pari a quella definita presso SANPAOLO IMI per il medesimo esercizio. 133 Dichiarazione delle Aziende Per quanto attiene all’andamento del sistema incentivante per il 2004 le Aziende dichiarano che per l’intero anno si applicano i criteri adottati presso SANPAOLO IMI, con determinazione del risultato economico per gli ultimi due mesi dell’anno sulla base dell’andamento complessivo annuo della Rete Filiali Italia. Raccomandazione delle OO.SS. In relazione a quanto esplicitato in corso di trattativa le Organizzazioni Sindacali rivolgono espressa raccomandazione alle Aziende affinché, nelle more della definizione di un’omogenea disciplina del rapporto di lavoro, valutino positivamente le eventuali richieste di trasferimento verso zone diverse da quelle in cui è presente la Banca cessionaria avanzate da parte del Personale conferito, con particolare attenzione nei confronti delle richieste già in essere. Le Aziende prendono atto della raccomandazione espressa, precisando che, in analogia a quanto praticato per la mobilità disposta per esigenze aziendali, viene adottato lo strumento del distacco ovvero della cessione del rapporto di lavoro nei termini sopra indicati, senza alcun onere a carico dell’Azienda. E’ inoltre mantenuta l’iscrizione al regime di previdenza di pertinenza del Personale oggetto del conferimento, con conferma delle previsioni in materia di contribuzione aziendale ed individuale all’attualità previsti. Le Parti si attivano per favorire le opportune modifiche statutarie e/o di regolamento dei regimi predetti al fine di permettere la continuità di iscrizione da parte del Personale conferito ovvero la continuità di erogazione delle prestazioni. E’ altresì confermata l’iscrizione alla Cassa di Assistenza SANPAOLO IMI, con fruizione delle prestazioni dirette della Cassa stessa ed applicazione della complessiva disciplina statutaria ovvero, per il Personale proveniente dal Banco di Napoli, delle prestazioni attraverso polizza sanitaria. Quanto sopra previsto si applica anche nei confronti del Personale assunto con contratto di formazione e lavoro ovvero a tempo determinato ai sensi dell’accordo 5/12/2003, a far tempo dalle eventuali trasformazione o successiva assunzione a tempo indeterminato. L’inserimento del Personale conferito nell’organizzazione aziendale della Banca cessionaria avviene nel rispetto delle professionalità acquisite ed in ottica di valorizzazione dei contributi operativi e di conoscenza dei singoli, con salvaguardia, per i medesimi, di pari opportunità quanto a sviluppo professionale e di carriera Raccomandazione delle OO.SS. Le Organizzazioni Sindacali rivolgono espressa raccomandazione affinché presso la Banca cessionaria venga riservata la necessaria attenzione gestionale al 134 Personale inserito in percorsi di sviluppo professionale, al fine di consentirne il completamento, nonché ai ruoli professionali attualmente rivestiti. Le Aziende prendono atto della raccomandazione espressa. Per l’inserimento del Personale conferito nella nuova organizzazione delle Aziende cessionarie sono realizzati idonei interventi formativi, con ricorso al “Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione e della riconversione e riqualificazione professionale del Personale dipendente dalle imprese del credito” (di seguito Fondo di Solidarietà) istituito presso l’INPS con il D.M. n. 158/2000, in particolare avvalendosi delle prestazioni ordinarie di cui all’art. 5, 1° comma, lettera a), punto 1 del D.M. predetto, nonché degli appositi fondi nazionali e comunitari. Le Parti dichiarano in materia che i contenuti delle iniziative formative di cui trattasi sono funzionali alla realizzazione degli specifici obiettivi di riqualificazione professionale resi necessari nell’ambito ed in connessione con il processo di integrazione previsto dal piano industriale e che tale programma riguarda tutto il Personale conferito (circa n. 306 risorse). RELAZIONI SINDACALI In relazione all’operazione di cui in premessa sono previsti in sede aziendale momenti di informativa e verifica periodica circa gli sviluppi dell’integrazione, per quanto riguarda: 1. situazione dei percorsi di sviluppo professionale in essere e loro andamento; 2. situazione delle domande di trasferimento avanzate da Personale proveniente 3. da SANPAOLO IMI e risultanze circa la valutazione delle medesime; iniziative di mobilità professionale ed eventuali interventi formativi correlati. La prima informativa è resa entro il mese di marzo 2005, con successiva sessione prevista per il mese di ottobre, salvo convocazioni per specifiche comunicazioni da parte dell’Azienda, ovvero motivata richiesta delle OO.SS. Gruppo Banca Intesa Accordo Fusione per incorporazione in Banca Intesa di BAV, CARIPLO, MCL e COMIT 13 aprile 2001 Banca Intesa S.p.A. e Banca Commerciale Italiana S.p.A. e F.A.B.I. F.A.L.C.R.I. F.I.B.A./C.I.S.L. F.I.S.A.C./C.G.I.L UIL C.A. 135 premesso che: • nel novembre 2000 sono state avviate le procedure di legge e contratto relative all’incorporazione in Banca Intesa, a decorrere dal 31 dicembre 2000, di BAV (Banco Ambrosiano Veneto), CARIPLO, MCL (Mediocredito Lombardo), e a decorrere dal 1° maggio 2001, di COMIT (Banca Commerciale Italiana) e al trasferimento del rapporto di lavoro a ISS (Intesa Sistemi e Servizi) e IGC (Intesa Gestione Crediti) del personale all’epoca dipendente di CARIPLO e BAV, • il 29 dicembre 2000 è stato sottoscritto un Verbale di riunione con il quale le Parti si davano atto dell’esito delle suddette procedure, concordando l’impegno a definire un “contratto di ingresso” per il personale proveniente dalle Banche incorporate e a disciplinare talune specifiche regolamentazioni applicabili a tutto il personale di Banca Intesa, nonché prorogando consensualmente le procedure relative a ISS e IGC, tenuto altresì conto che per la realizzazione del modello organizzativo definito nel masterplan di Banca Intesa - diffusamente illustrato alle Organizzazioni Sindacali in occasione degli incontri in data 11 aprile, 7 giugno, 10 ottobre, 20 dicembre 2000, 12 gennaio, 23 febbraio e 26 marzo 2001 - è stato progettato un percorso in più fasi che si completerà alla fine del 2003 con l’unificazione dei sistemi informativi, garantendo la continuità di presidio sul territorio e sulla clientela e realizzando nei minimi tempi necessari la nuova struttura organizzativa e manageriale, le Parti hanno definito nel presente Accordo: • le regole per la gestione del Piano Industriale del Gruppo Intesa, in particolare con riferimento ai processi di riequilibrio degli organici, di mobilità territoriale, al trasferimento dei rapporti di lavoro a ISS e IGC, nonché alle procedure di informativa e confronto sindacale per la gestione dei progetti di riorganizzazione, •• la disciplina dei rapporti di lavoro del personale proveniente dalle Banche incorporate, nonché alcuni istituti applicabili a tutto il personale di Banca Intesa. Confronto sul Piano Industriale In relazione agli articolati progetti di intervento organizzativo e/o societario comportanti: operazioni di trasferimenti di azienda (quali fusioni, cessioni di ramo d’azienda, scissioni ecc.); • rilevanti riorganizzazioni e/o ristrutturazioni di immediata realizzazione dalle quali derivino comunque ricadute sul personale; • riorganizzazioni a realizzazione progressiva che, in ragione della loro complessità, si sviluppano in fasi di sperimentazione, di attuazione transitoria e di attuazione operativa (come nel caso del riassetto delle reti commerciali secondo il modello divisionale, della razionalizzazione delle attività di back 136 office delle reti e dell’attuazione dei processi riorganizzativi delle Direzioni Centrali), Le OO.SS. saranno coinvolte - anche su loro richiesta - nelle diverse fasi dei progetti di riorganizzazione per un esame congiunto sulla loro progressiva evoluzione. Resta inteso che, per l’attuazione dei progetti di cui sopra, saranno attivate le procedure previste dalle norme di legge e di contratto. Si darà corso all’attuazione in via definitiva dei provvedimenti comportanti ricadute sul personale nell’ambito organizzativo, volta per volta interessato (esempio: trasferimenti e/o processi di riconversione e riqualificazione) solo dopo la conclusione delle procedure di cui sopra; il termine previsto dalle predette procedure - relativamente ai progetti a realizzazione progressiva decorre dalla data dell’informativa sull’avvio della fase di attuazione operativa. STRUMENTI E MODALITÀ DI RIEQUILIBRIO DEGLI ORGANICI E DI GESTIONE DELLE ECCEDENZE DI GRUPPO In relazione ai diversi obiettivi da perseguire stabiliti nel Piano Industriale, relativi alla razionalizzazione degli organici, ci si atterrà a modalità gestionali e si farà ricorso agli strumenti contrattuali come di seguito precisato: • equilibrata gestione del turn over e contenimento delle prestazioni di lavoro straordinario; • processi di riqualificazione e riconversione professionale; • adesione volontaria a forme di flessibilizzazione della prestazione lavorativa (part time e forme di flessibilità dell’orario di lavoro); • incentivazioni all’esodo volontario; • attivazione del c.d. “Fondo esuberi”, così come previsto dal Verbale di Incontro 24 gennaio 2001 sottoscritto in sede nazionale. Tale iniziativa potrà essere attuata a far tempo dal secondo semestre 2002. Confronto relativo agli organici alle seguenti scadenze: • entro il 30 giugno 2001 le Parti si impegnano ad effettuare una verifica a livello aziendale; • entro il 31 ottobre 2001 analoga verifica sarà effettuata a livello di Gruppo; • entro il primo semestre del 2002 incontro per un esame a livello di Gruppo delle prospettive di conseguimento degli obiettivi di riequilibrio degli organici delineati dal Piano Industriale, anche al fine di concordare criteri e modalità (numero risorse interessate, ambiti organizzativi, tempistica, ecc.) per l’attivazione del c.d. “Fondo esuberi”. MODALITÀ PER LA GESTIONE DI OPERAZIONI DI CESSIONE DI FILIALI In relazione al processo di razionalizzazione delle Filiali previsto dal Piano Industriale 2001-2003 (disposizioni dell’antitrust, nonché ottimizzazione del presidio territoriale con la cessione di filiali sovrapposte ritenute non strategiche), l’Azienda conferma che, oltre alle operazioni già comunicate – 137 ultima delle quali UNIPOL – la vendita degli sportelli contemplata dal Piano suddetto si concluderà con l’individuazione dei cessionari presumibilmente entro il primo semestre 2001. Il perfezionamento delle relative operazioni avverrà entro l’anno. Tali ultime cessioni riguarderanno circa n. 60 sportelli e n. 320/360 risorse. Ai fini delle previste informative resta inteso che gli organici di riferimento saranno individuati alla data della delibera che autorizza la cessione di cui si darà tempestiva comunicazione alle OO.SS. In proposito si precisa che nelle suddette e conclusive operazioni di cessione, Banca Intesa impegnerà le banche cessionarie: • a non effettuare nei confronti del personale oggetto di cessione alcuna risoluzione del rapporto di lavoro per effetto dell’acquisizione del ramo di azienda; • a non effettuare ulteriori trasferimenti a terzi dei medesimi sportelli nell’arco dei successivi 24 mesi; • a salvaguardare la professionalità nonché un trattamento complessivamente equivalente a quello acquisito dai dipendenti, tenuto conto delle anzianità maturate. Inoltre, nell’ambito delle previste procedure, saranno ricercate, di concerto con l’acquirente, soluzioni atte a individuare un trattamento economico complessivamente equivalente, comprensivo del trattamento previdenziale ed assistenziale dei lavoratori oggetto di cessione, nonché finalizzate a limitare la mobilità del personale appartenente alle Aree Professionali, individuando ambiti temporali e territoriali circoscritti per eventuali trasferimenti. Nelle stesse procedure sarà altresì ricercata la necessaria continuità di esercizio delle attività sindacali. PROCESSI DI MOBILITÀ TERRITORIALE RELATIVI AI PROGETTI DI RIORGANIZZAZIONE DI BANCA INTESA L’attuazione della fase operativa dei progetti di riorganizzazione delle reti commerciali secondo il modello divisionale, di razionalizzazione delle attività di back office delle reti e dei processi riorganizzativi delle Direzioni Centrali, potrà comportare mobilità territoriale per quote di lavoratori. L’Azienda, nel corso dei previsti incontri, fornirà alle OO.SS.LL. adeguate e preventive informative sui fenomeni di mobilità - temporanea e/o definitiva connessi agli specifici progetti in atto e sul numero delle risorse interessate. Resta stabilito che la gestione delle ricadute in termini di riallocazione territoriale delle risorse conseguenti alla realizzazione di detti processi avverrà nel rispetto dei criteri di seguito specificati. Banca Intesa s’impegna, compatibilmente con le esigenze tecniche ed organizzative, ad orientare anche la mobilità territoriale a criteri di 138 valorizzazione delle risorse e di crescita professionale, garantendo al riguardo i necessari e specifici percorsi formativi. I trasferimenti derivanti dall’attuazione dei progetti di riorganizzazione delle reti commerciali secondo il modello divisionale, di razionalizzazione delle attività di back office delle reti e dei processi riorganizzativi delle Direzioni Centrali ferme restando le previsioni di legge e contratto vigenti in materia - saranno effettuati su base volontaria qualora la distanza tra la residenza/domicilio del lavoratore e la nuova sede di lavoro sia superiore a 50 Km per gli appartenenti alle Aree Professionali e a 70 Km per i Quadri direttivi di 1° e 2° livello, salvo che detto trasferimento comporti un avvicinamento al luogo di residenza/domicilio. Tali previsioni hanno carattere sperimentale e saranno oggetto di verifica nel corso di apposito incontro da tenersi entro il mese di ottobre 2001. Laddove le esigenze aziendali di mobilità connesse all’avvio dei progetti di cui sopra non potessero risultare soddisfatte, le Parti s’impegnano ad individuare le soluzioni idonee al fine di raggiungere alle scadenze stabilite gli obiettivi prefissati dal piano industriale. Resta comunque inteso che nel caso si rendesse necessario disporre trasferimenti presso unità produttive situate ad oltre 25 km di distanza dal luogo di residenza/domicilio del dipendente, il provvedimento potrà essere disposto solo in presenza del consenso per gli appartenenti alle seguenti categorie di personale: • personale femminile in stato di gravidanza o con figli di età inferiore ai tre anni (ovvero del padre lavoratore quando detti figli siano affidati a lui esclusivamente); • dipendenti portatori di handicap ovvero nel cui nucleo familiare siano presenti persone portatrici di handicap o in gravi e documentate condizioni di malattia; • dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale. Banca Intesa, per agevolare il personale coinvolto nel processo di mobilità, favorirà - compatibilmente con le esigenze di servizio - il ricorso agli strumenti in materia di flessibilità degli orari di lavoro previsti dal C.C.N.L. In caso di trasferimento – che non comporti l’effettivo cambio di residenza per l’interessato – Banca Intesa, nei casi di distanza superiore a 30 km tra la residenza e la nuova sede di lavoro, qualora sussista un oggettivo maggior disagio per l’interessato, riconoscerà i seguenti importi ripartiti in due quote semestrali: Lit. 2.500.000 da 30 sino a 45 Km da 46 Km sino a 70 Km Lit. 5.000.000 Lit. 7.000.000 oltre i 70 Km oltre a n. 30 giorni di diaria nella misura contrattualmente spettante. La distanza è quella più breve tra la residenza – da intendersi come abituale dimora – e la nuova sede di lavoro. 139 Detto trattamento non sarà erogato nel caso in cui: • il lavoratore sia trasferito ad unità produttiva situata nel luogo in cui ha la propria residenza/domicilio ovvero, per effetto del trasferimento, sia avvicinato alla propria residenza/domicilio; • il trasferimento avvenga in accoglimento di domanda presentata dal lavoratore. Nel caso di trasferimento che comporti l’effettivo cambio di residenza, si applicano le disposizioni previste dal C.C.N.L. 11 luglio 1999. Le presenti intese hanno carattere eccezionale ed hanno validità sino al 31 dicembre 2003. Esigenze di organico delle Società del Gruppo Le esigenze operative che determinano necessità temporanee di rafforzamento degli organici nell’ambito delle aziende del Gruppo, pure collegate a trasferimenti di attività, potranno essere soddisfatte anche ricorrendo all’istituto del distacco, ferma restando la salvaguardia delle professionalità acquisite. In tale prospettiva, la Capogruppo presenterà preventivamente alle Delegazioni Sindacali di Gruppo, nell’ambito di appositi incontri, i progetti complessivi di mobilità riguardanti gruppi di lavoratori. In presenza di mobilità territoriale, nella concreta attuazione dei provvedimenti di distacco - anche in un’ottica di crescita professionale - si terrà prioritariamente conto delle disponibilità che dovessero emergere a livello individuale, fermo restando che i provvedimenti di distacco saranno adottati nel rispetto delle condizioni stabilite nel capitolo sui “Processi di mobilità territoriale” del presente Verbale di Accordo. Le esigenze di rafforzamento strutturale degli organici nell’ambito delle aziende del Gruppo, al di fuori delle ipotesi di trasferimento di rami d’azienda, potranno essere soddisfatte mediante risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e riassunzione presso altra Società del Gruppo. Fermo restando il rispetto del generale principio di salvaguardia dei trattamenti normativi ed economici, resta inteso che al momento dell’assunzione - che avverrà senza soluzione di continuità - di tale personale saranno ricercate soluzioni atte a individuare un trattamento economico complessivamente equivalente, tenendo anche conto del trattamento previdenziale ed assistenziale in precedenza fruito da ciascun interessato. Nei casi in cui nell’ambito di un’azienda il fenomeno delle assunzioni di personale proveniente da altre Società del Gruppo dovesse risultare significativo, Banca Intesa informerà preventivamente le Delegazioni Sindacali nel corso di un apposito incontro per la ricerca di soluzioni condivise. 140 In ogni caso, negli incontri di verifica periodica sull’evoluzione degli organici - previsti dal presente Verbale di Accordo - Banca Intesa fornirà, una puntuale informativa sul totale del personale interessato da operazioni di siffatta natura. Disposizioni per il personale conferito a ISS e IGC Trasferimento del rapporto di lavoro a Intesa Sistemi e Servizi e a Intesa Gestione Crediti Ad esito delle procedure avviate in data 17 novembre 2000 per il trasferimento dei rapporti di lavoro a ISS/IGC si conferma che per il personale di Banca Intesa detto trasferimento avrà decorrenza 1° maggio 2001. Per i dipendenti della Banca Commerciale Italiana il trasferimento sarà effettuato, successivamente al passaggio di questi ultimi in Banca Intesa e, presumibilmente, dopo il 1° giugno 2001, espletate le relative procedure destinate ad esaurirsi con la ratifica del presente Accordo. Considerata la valenza strategica di ISS/IGC, le Parti concordano sulla necessità di definire un complesso di tutele di carattere contrattuale e occupazionale per il personale ad esse conferito. Tutele di carattere contrattuale • Nei riguardi di tutto il personale di ISS/IGC (in servizio e di futura assunzione) troverà applicazione il C.C.N.L. 11 luglio 1999. Le Società in questione provvederanno ad iscriversi all’A.B.I.; • al personale conferito saranno applicate le norme di cui al capitolo “Accordo economico relativo alla fusione” del presente Verbale di Accordo; • premio aziendale per gli esercizi 2000 e 2001: sarà riconosciuto quello della società di provenienza, secondo le relative regolamentazioni. Per l’anno 2002 sarà definita un’apposita disciplina che prevederà anche il riferimento a indicatori relativi alle performance della Capogruppo; • inquadramenti, orari, turni di lavoro ecc.: saranno definite specifiche discipline correlate alla particolarità dei processi produttivi. Fino ad allora al personale conferito continueranno ad essere applicate, in materia di inquadramento, le norme che saranno convenute ai sensi del presente accordo; • il personale conferito continuerà ad essere adibito alle attuali mansioni o in altre di equivalente contenuto professionale. Gestione delle richieste di ricollocazione nella rete Valutate le esigenze di servizio si conviene che in caso di domande di ricollocazione pervenute: • entro il 31 maggio 2000: il personale sarà mantenuto in distacco presso ISS/IGC e la ricollocazione avverrà, con la necessaria gradualità, entro il 30 giugno 2002; • dopo il 31 maggio 2000, da personale in servizio a ISS: saranno accolte sino al raggiungimento dell’obiettivo di efficientamento previsto dal Piano 141 Industriale, a partire dal secondo semestre 2002 e secondo la seguente progressione: sino a 50 entro il 31 dicembre 2002 sino a 50 entro il 30 giugno 2003 sino a 50 entro il 31 dicembre 2003 sino a 100 entro il 31 dicembre 2004; • dopo il 31 maggio 2000, da personale in servizio a IGC: saranno accolte in coerenza con il dimensionamento della Società secondo la seguente progressione: sino a 10 entro il 31 dicembre 2002 sino a 10 entro il 30 giugno 2003 sino a 10 entro il 31 dicembre 2003 sino a 20 entro il 31 dicembre 2004. Le Parti verificheranno trimestralmente la situazione delle domande giacenti per valutare l’impatto sulla funzionalità delle predette Società; entro il 31 dicembre 2003, accertata la situazione delle domande all’epoca giacenti, le Parti si incontreranno per individuare idonee soluzioni al riguardo. Le richieste di avvicendamento e di rotazione in altri compiti ovvero di rientro presso la rete commerciale del Gruppo, avanzate in un’ottica di crescita professionale dal Personale conferito, entro il biennio successivo alla conclusione del processo di efficientamento, saranno accolte compatibilmente con le esigenze organizzative e tenuto conto delle professionalità acquisite e delle condizioni personali e familiari dell’interessato, previa definizione di apposito percorso formativo. Banca Intesa accoglierà, inoltre, le domande di rientro presentate dal personale conferito, in presenza di particolari e gravi necessità di carattere personale e/o familiare, debitamente documentate. Clausole sulle garanzie occupazionali In caso di tensioni occupazionali presso ISS/IGC, che si verificassero anche una volta esaurito il processo di efficientamento, connesse a crisi aziendali, perdita di controllo proprietario, vendita o cessazione dell’azienda nonché in caso di trasferimento delle sedi di lavoro in altra località significativamente distante dalle attuali, qualora – esperite le previste procedure contrattuali – dovessero permanere eccedenze di personale, la Capogruppo riallocherà le risorse presso Società del Gruppo Intesa, favorendo, compatibilmente con le esigenze di carattere organizzativo, la collocazione nell’ambito territoriale di provenienza. Qualora – in caso di cessione delle predette aziende a società non bancarie – dovessero emergere, entro il limite massimo di sette anni dall’operazione, tensioni occupazionali conseguenti alla decisione di Banca Intesa di far rientrare in tutto o in parte le attività cedute, ovvero di affidarne il relativo svolgimento ad altra società, Banca Intesa si renderà disponibile a riallocare le risorse eccedenti presso società del Gruppo, favorendo, compatibilmente con le esigenze di carattere organizzativo, la collocazione nell’ambito territoriale di provenienza. 142 Ambito di applicazione Le garanzie contenute nei precedenti comma: • si applicano al personale trasferito presso ISS/IGC ai sensi del presente Accordo; • non riguardano coloro i quali abbiano maturato il diritto al trattamento di pensione I.N.P.S. o all’accesso alle prestazioni del “Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione, e della riconversione e riqualificazione professionale del personale del credito” esperite le necessarie procedure di legge e di contratto. Accordo economico relativo alla fusione Trattamento economico Conservazione sotto forma di “Assegno ad personam ex Verbale di Accordo 13.4.2001” delle eventuali differenze fra il trattamento contrattuale aziendale previgente (escluse le quote extrastandard del premio annuale di rendimento standard di settore che continueranno ad essere corrisposte secondo le modalità precedentemente in atto) e quello spettante ai sensi del C.C.N.L. 11 luglio 1999, non assorbibile negli incrementi retributivi conseguenti a futuri avanzamenti di merito. Riconoscimento dell’eventuale automatismo economico e di carriera in corso alla data di incorporazione secondo le regole della previgente contrattazione aziendale. Mantenimento esclusivamente a favore del personale che le percepisca alle date di incorporazione sotto forma di “Indennità di funzione ad personam ex Verbale di Accordo 13.4.2001” delle eventuali indennità aziendali legate a specifiche funzioni (con cessazione all’atto dell’assegnazione di un nuovo incarico). Premio aziendale Per il premio aziendale 2000, che sarà erogato nel mese di luglio p.v., sottoscrizione di un Accordo che preveda un importo parametrato (3ª area professionale 3° livello retributivo): • L. 3.700.000 personale Banca Intesa (Cariplo, BAV e MCL); L. 3.100.000 per il personale COMIT; • una quota fissa di L. 500.000 uguale per tutti collegata al raggiungimento degli obiettivi di riorganizzazione previsti dal piano di integrazione, quota che sarà altresì prevista nel premio aziendale dei prossimi anni. Entro il 30 giugno 2001 impegno a concordare criteri e modalità per il premio aziendale 2001, 2002 e 2003. Buono Pasto A decorrere dalle date di fusione corresponsione, secondo le modalità previste dall’art. 42 del C.C.N.L. 11 luglio 1999, di un buono pasto di L. 9.000 giornaliere. 143 Per il personale a part-time che effettua una pausa, un buono pasto di L. 6.000 giornaliere ovvero, per il personale già a part-time, nelle misure in atto se di miglior favore. Previdenza Complementare Conferma degli accordi aziendali in essere. Per il personale già BAV iscritto al FAPA anteriormente al 28 aprile 1993, nonché per quello di Banca Carime (sempre se iscritto anteriormente al 28 aprile 1993) che trasferisca la propria posizione ed infine per il personale ex Mediosud se già destinatario di accordi alla data del 28 aprile 1993, contributo aziendale non inferiore al 4,30 % della retribuzione utile ai fini del T.F.R.. Conferma per il personale CARIPLO già destinatario dell’accordo aziendale del gennaio 1992, regolante il riassetto della previdenza aziendale conseguente all’entrata in vigore della legge n. 218/1990 (legge Amato), della specifica indennità così come convenuta nel suddetto accordo. Banca Intesa conferma la propria disponibilità a proseguire il confronto fra le Parti al fine di definire la trasformazione dei fondi a prestazione definita ancora in essere nell’ambito aziendale. Assistenza Sanitaria Integrativa Per l’anno 2001 conferma dell’applicazione delle forme di assistenza sanitaria integrativa, con le misure e i criteri di contribuzione in essere presso le Banche incorporate. Impegno delle Parti a confrontarsi al fine di addivenire, entro il 30 settembre 2001, ad una proposta volta a uniformare il sistema assistenziale aziendale a far tempo dal 1° gennaio 2002, con l’obiettivo di istituire una cassa sanitaria di Gruppo. Al riguardo le Parti terranno in considerazione le situazioni esistenti e confermano la volontà di adottare una forma atta a fornire prestazioni aggiuntive/integrative, in linea con quelle attualmente assicurate dalle casse assistenziali del Gruppo, compatibilmente con l’evoluzione del quadro normativo in materia. A far tempo dal 1° gennaio 2002 la contribuzione complessiva a forme di assistenza sanitaria integrativa sarà del 2,30% suddivisa fra Banca Intesa (1,30%) e dipendente (1%), ferme restando per il personale proveniente dalle diverse Banche le misure di cui all’allegata tabella. Impegno delle Parti a vincolare, anche nella nuova forma istituita, le disponibilità ora esistenti nei singoli Enti a favore del personale iscritto agli Enti medesimi. Impegno della Banca, nei primi tre anni, a tenersi a proprio carico gli oneri di parte del personale di cui la Cassa medesima si avvarrà per la propria operatività. Le Parti si incontreranno a far tempo dal 2 maggio p.v. per definire le materie non disciplinate dal presente Verbale di Accordo tra le quali: • inquadramenti; 144 • • • • • • • • • rapporti di lavoro a tempo parziale; formazione professionale; condizioni igienico-sanitarie; sicurezza antirapina; ferie arretrate; associazioni dipendenti; accordi ex art. 4 L. 300/70 in materia di registrazione del traffico telefonico; regime delle anticipazioni del TFR fonti istitutive FAPA di Gruppo (ivi compreso l’accordo per il personale di Banca Intesa non ancora iscritto a forme di previdenza complementare) • agibilità sindacali; • pari opportunità; • politiche sociali. Banca Intesa, inoltre, entro il 30 settembre 2001, promuoverà un apposito incontro per esaminare congiuntamente le disposizioni che saranno applicate in materia di agevolazioni finanziarie e condizioni per il personale, sino a tale data continueranno a trovare applicazioni le disposizioni in atto presso le aziende di rispettiva provenienza. In relazione a prestiti e mutui in corso di ammortamento, Banca Intesa proseguirà nell’applicazione delle condizioni già previste presso le rispettive Banche incorporate. Il presente Verbale di Accordo sarà sottoposto alle assemblee dei lavoratori. Accordo Fusione per incorporazione di Intesa Sistemi e Servizi (ISS) in Banca intesa 2 dicembre 2004 Milano tra BANCA INTESA S.p.A. (nella qualità di Capogruppo) INTESA SISTEMI E SERVIZI S.p.A. e la delegazione sindacale ad hoc ex art. 18 del C.C.N.L. 11 luglio 1999 delle OO.SS.LL. Premesso che 1) per conseguire tutti gli obiettivi prefissati dal Piano d’Impresa 2003-2005 è strategico rafforzare il governo dell’area informatica mediante la costituzione in Banca Intesa di una Direzione Sistemi Informativi (DSI) nella quale far confluire tutte le attività attualmente di competenza di ISS; 2) i rispettivi Organi Statutari hanno pertanto deliberato la fusione per incorporazione di ISS in Banca Intesa dal 1° gennaio 2005, data di efficacia giuridica dell’operazione; 3) le suddette Società hanno provveduto a fornire alle rispettive Organizzazioni Sindacali la comunicazione prevista dalle disposizioni di legge e di contratto vigenti; 4) su richiesta delle medesime OO.SS.LL. sono state avviate le procedure di consultazione e contrattazione, ai sensi di quanto previsto dall’art. 47 della legge n. 428 del 29 dicembre 1990, così come modificato/integrato dal decreto legislativo 145 n.18 del 2 febbraio 2001, nonché dall’art. 18 del CCNL 11 luglio 1999, in ordine alle ricadute sulle condizioni di lavoro dei dipendenti, il cui rapporto di lavoro sarà trasferito da ISS (Società incorporata) a Banca Intesa (Società incorporante), si è convenuto quanto segue Art 1 la premessa costituisce parte integrante del presente accordo. Art. 2 Dal 1° gennaio 2005 la titolarità dei rapporti di lavoro del personale di ISS proseguirà, senza soluzione di continuità, alle dipendenze di Banca Intesa, alla quale la Società incorporata trasferirà il TFR maturato dal suddetto personale a tutto il 31 dicembre 2004. Art. 3 A seguito della fusione per incorporazione di ISS in Banca Intesa, l’accordo stipulato il 23 gennaio 2003 tra ISS e le rispettive OO.SS.LL. continuerà a trovare piena applicazione, ad ogni conseguente effetto, presso la Società incorporante, ivi compresa la riduzione degli organici prevista con decorrenza 1° aprile 2005 che sarà realizzata secondo un’unica complessiva graduatoria. Gli effetti conseguenti all’armonizzazione delle due graduatorie di Banca Intesa e ISS saranno esaminati nello specifico momento annuale di consultazione e approfondimento, avviato fra le parti in base a quanto disposto al punto 16 (RELAZIONI INDUSTRIALI) dell’Accordo di Programma del 5 dicembre 2002. Art. 4 Le parti si impegnano a rivedere la materia dei trattamenti di reperibilità, indennità di turno, indennità di intervento, indennità previste a beneficio dei programmatori e degli operatori, anche al fine di addivenire ad una unica regolamentazione entro i termini di scadenza del recesso dagli accordi aziendali che, esclusivamente per gli accennati trattamenti e indennità, risultano eccezionalmente sospesi nei confronti del solo personale incorporato fino alla data ultima del 31 marzo 2005 (o, se precedente, fino alla data dell’eventuale accordo). Banca intesa applicherà al personale incorporato i trattamenti economici e normativi previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di lavoro del settore del credito (il CCNL 11 luglio 1999 e il CCNL 1° dicembre 2000, così come risulteranno nel tempo rinnovati dalle parti stipulanti) con le integrazioni disposte dagli accordi aziendali vigenti tempo per tempo e da quanto segue. Art. 5 Dalla data di efficacia giuridica dell’operazione, in Banca Intesa il predetto personale continuerà ad essere adibito alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti, riconducibili all’inquadramento posseduto, conserverà le stesse anzianità di servizio effettive e convenzionali nonché lo stesso trattamento economico individuale complessivo. L’accordo 10 marzo 2004, tra ISS e le rispettive OO.SS.LL. in materia di inquadramenti, dal 1° gennaio 2005 viene recepito da Banca Intesa e applicato esclusivamente al personale incorporato per il tempo in cui continuerà a svolgere le attuali mansioni, come previste e descritte nel citato accordo. Conseguentemente, l’applicazione degli specifici accordi di Banca Intesa (31 ottobre 2003) e ISS (10 marzo 2004) formerà oggetto di un’unica verifica congiunta. Banca Intesa precisa altresì che le 146 previsioni che hanno regolato i ruoli chiave in ISS continueranno ad essere osservate presso la DSI laddove compatibili con la struttura organizzativa della citata Direzione. Art. 6 Il lavoratore trasferito continuerà a percepire dal nuovo datore di lavoro il buono pasto giornaliero, secondo il valore, alle condizioni e con le modalità tempo per tempo previste da Banca Intesa. Art. 7 Il personale proveniente da ISS con rapporto di lavoro a tempo parziale conserverà anche alle dipendenze della società incorporante il contratto part time già in essere al 31 dicembre 2004 alle stesse condizioni pattuite. Art. 8 In materia di assistenza sanitaria e di previdenza complementare Il personale proveniente da ISS conserverà in Banca Intesa le iscrizioni e i trattamenti già in essere, alle condizioni tempo per tempo vigenti. Art. 9 Confermata la prevalente collocazione del suddetto personale presso la DSI, le eventuali future esigenze di mobilità territoriale, ferme restando le garanzie di legge e di contratto in materia, saranno regolate dalle disposizioni applicate al personale di Banca Intesa. I.N.A Assicurazioni Accordo Trasferimento di Ramo d’azienda - Settore Immobiliare Ina 4 giugno 1998 Il 27.04.1998 l’INA comunica alle R5A ed alle 0055 di settore la decisione del C.d.A. INA di trasferire alla società “Unione Immobiliare (UNIM) S.p.A. il ramo d’azienda composto dagli immobili ed il complesso di beni e persone organizzate per il loro esercizio; con la stessa comunicazione si avviano le procedure ex legge 29.12.1990 n° 428. Il 4.06.1998 viene raggiunto un accordo che, sostanzialmente, migliora la previsione dell’art. 47 Legge 29.12.1990 n° 428, laddove prevede il subentro di UNIM nei rapporti di lavoro del personale senza soluzione di continuità, alle condizioni in atto ed in coerenza con le rispettive aree professionali/livelli di appartenenza e con le mansioni precedentemente svolte; l’anzianità di servizio INA è computata, a tutti gli effetti di legge e contrattuali. La UNIM applicherà il trattamento economico e normativo previsto dal CCNL del settore assicurativo e dai successivi CCNL che saranno stipulati in sede ANIA (cosiddetta clausola del “contratto nazionale a vita”); inoltre, la UNIM conserverà il trattamento economico e normativa previsto dal C.I.A., nonché il trattamento di previdenza complementare e di assistenza sanitaria integrativa, in vigore per il personale INA. 147 Il C.I.A. continuerà ad applicarsi anche dopo la scadenza, salvo diversa negoziazione fra le parti. Con gli allegati 1) e 2) dell’accordo 04.06.1998 vengono salvaguardati, anche, i benefici su polizze vita, RCA/ARD e rami diversi, nonché i benefici sui mutui ipotecari e prestiti personali con la prosecuzione dei contratti di mutuo e di prestito. Alla fine del 1999 la Milano Centrale del gruppo Pirelli lancia una OPA su UNIM che si conclude il 7 gennaio 2000; il 25.02.2000 viene concluso un accordo che recepisce integralmente gli accordi del 4.06.1998 fra INA ed UNIM. ACCORDO 4 giugno 1998 Premesso che: • INA - Istituto Nazionale delle Assicurazioni S.p.A. (“INA”). considerata la complessità raggiunta dalla gestione dei servizi immobiliari e del relativo patrimonio immobiliare e ritenuto opportuno che tali incombenze vengano svolte da società all’uopo dedicata e poiché intende concentrare sempre più la sua attività nel “core business” è pervenuta alla decisione di trasferire alla società Unione Immobiliare S.p.A. (“U. I..”) il ramo di Azienda composto dagli immobili e il complesso dei beni e persone organizzati per il loro esercizio; • la società Unione Immobiliare è disposta ad accettare il trasferimento in suo favore del ramo aziendale di cui sopra; • il trasferimento di ramo «azienda verrà effettuato mediante una operazione di scissione societaria ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 2504 septies e seguenti del codice civile che vedrà coinvolta l’INA. quale società scissa e Unione Immobiliare, quale società beneficiaria; • è previsto che. subordinatamente al completamento delle procedure societarie e dì quelle di quotazione della società beneficiaria, l’operazione di scissione si concluda - con la stipula dell’atto di scissione, la quotazione di Unione Immobiliare e gli adempimenti connessi e conseguenti - nel novembre-dicembre 1998; • i motivi della cessione del ramo aziendale sono stati illustrati con una prima informativa alle OO.SS. aziendali il 24 marzo 1998, anche ai sensi dell’art. 14 del vigente CCNL (cui sono seguiti numerosi incontri) e successivamente con comunicazione scritta in data 27 aprile 1998 (alle OO.SS. aziendali nonché alle OO.SS. nazionali di settore) anche ai sensi dell’ad. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428, contenente anche precisazioni circa le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori e le eventuali misure previste nei confronti degli stessi; • le OO.SS., nel prendere atto delle motivazioni dell’operazione, hanno ribadito l’esigenza che la stessa avvenga in un quadro di certezze normative e contrattuali per il personale interessato e senza pregiudizio per i livelli occupazionali e per la professionalità dei lavoratori; 148 • al personale assunto direttamente dalla U.I. si applicherà il trattamento normativo ed economico previsto dai CCNL del settore commercio; tutto ciò premesso le Parti. a seguito di un ampio e articolato confronto, in relazione al verificarsi di tali eventi unicamente per il personale INA che viene assegnato, a Unione Immobiliare S.p.A. in sede di scissione, hanno convenuto quanto segue: Disposizioni in materia di trattamento normativo ed economico 1) La U.I.. subentrerà, secondo la legge nei rapporti di lavoro del personale senza soluzione di continuità, alle condizioni in atto e in coerenza con le rispettive aree professionali/livelli di appartenenza e con le mansioni precedentemente svolte. Pertanto. verrà computata l’anzianità di servizio INA a tutti gli effetti di legge e contrattuali. quali, a titolo esemplificativo l’anzianità relativa all’applicazione delle norme in materia di premi di anzianità, ferie, periodo di comporto di malattia, preavviso. trattamento di fine rapporto (TFR), maturazione degli scatti tabellari, automatismi. etc. 2) La U.I. applicherà il trattamento normativo ed economico previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro del settore assicurativo (CCNL 6.12.1994. scaduto il 31.12.1997) e dai successivi CCNL che saranno stipulati in sede ANIA. 3) La U.I. conserverà il trattamento normativo cd economico previsto dal contratto collettivo integrativo aziendale in vigore per il personale dell’INA. stipulato il 29.12.1997 (e relative lettere alle OO.SS. in essere alla data di efficacia della operazione). A tal fine per alcuni istituti del vigente CCIA nonchè per il trattamento di previdenza complementare di cui all’accordo 16.12.1997 e per i trattamenti contrattuali di assistenza sanitaria integrativa sono state identificate soluzioni specifiche risultanti rispettivamente dagli allegati n. 1 e n. 2 (che costituiscono parte integrante del presente accordo). Il predetto CCIA INA 29.12.1997 continuerà ad applicarsi anche dopo la sua scadenza, salva diversa negoziazione che intervenga tra le Parti interessate (U.I. e OO.SS.). Nota a verbale: resta inteso che in ogni caso detti trattamenti di previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa proseguiranno nelle misure in atto (ovviamente con esclusione di ogni eventuale duplicità di sistemi: oneri, prestazioni. etc.). I lavoratori che, entro cinque anni dalla data di efficacia dell’operazione, cesseranno dal servizio dalla UI.. con pensionamento saranno considerati da INA come i propri pensionati agli effetti di ogni eventuale provvidenza extracontrattuale. 149 RAS Assicurazioni Accordo Conferimento attività gestione e liquidazione dei sinistri di RAS in RasService gennaio 2002 Milano . premesso • che RAS intende procedere - secondo quanto comunicato e motivato con lettere 17.12.2001 indirizzata alle OO.SS. - al conferimento delle attività di gestione e liquidazione dei sinistri nella sottoscritta società RasService Gestione e Liquidazione Danni; • che, a seguito di tale conferimento, i lavoratori già operanti in tali attività e dipendenti da RAS proseguiranno if rapporto di lavoro con RasService, avente sede legale in Milano; • che le OO.SS. - confermando l'esigenza di favorire il mantenimento di un modello organizzativo delle attività di liquidazione dei sinistri che possa sostenere la qualità del servizio anche mediante un presidio diffuso sul territorio - ribadiscono l'obiettivo primario della salvaguardia dell'occupazione e della professionalità di tali lavoratori nonché dell'appartenenza dei medesimi all'area contrattuale del settore assicurativo si conviene: I rapporti di lavoro di tutto il personale, già dipendente da RAS ed impegnato nelle attività di gestione e liquidazione dei sinistri, proseguiranno con RasService senza soluzione di continuità e resteranno disciplinati dal CCNL per i dipendenti amministrativi delle imprese di assicurazione e dal contratto integrativo aziendale applicato in RAS, conservando l'inquadramento normativo ed economico acquisito nella società di provenienza. L'inquadramento normativo ed economico dei lavoratori assunti successivamente da RasService sarà quello previsto dalla contrattazione collettiva nazionale e aziendale applicabile al momento della assunzione stessa, allo stato, il CCNL del settore assicurativo 18.12.1999 e il CIA 23.1.1997(come rinnovato dal protocollo 7.7.2001); Con il perfezionamento di tale operazione RasService potrà favorire - in una realtà di lavoro fortemente specializzata e professionalizzata - lo sviluppo delle competenze del personale e la valorizzazione dellecapacità professionali, anche mediante adeguati interventi formativi. Qualora, in futuro, RasService cessasse di operare, fosse posta in liquidazione, oppure ii suo controllo passasse a soggetti non facenti parte del Gruppo RAS, i lavoratori - attualmente dipendenti dalla medesima RAS con contratto a tempo indeterminato e interessati dalla predetta operazione di conferimento - potranno 150 esercitare il diritto di rientrare alle dipendenze di RAS; a tale scopo RAS si impegna a garantirne la ricollocazione. Note a verbale • Qualora inoltre l'eventuale capacità di ricollocazione mediante assorbimento nel normale processo produttivo non risultasse sufficiente, RAS - compatibilmente con gli impegni da essa eventualmente assunti nei confronti di terzi - si dichiara disponibile ad un rientro da RasService di attività funzionali a tale scopo, • Con riferimento ai chiarimenti richiesti dalle R.S.A., RasService si impegna a mantenere continuità di applicazione rispetto alla gestione di Gruppo dei diritti sindacali e del D.Igs. 626/94 confermando altresì ['appartenenza atte sfora di applicazione del CIA RAS. Lettera RAS e RSA Service a OOSS firmatarie Ci riferiamo alla discussione con Voi intervenuta in sede di sottoscrizione dell'accordo di data odierna riguardante l'operazione di conferimento delle attività di gestione e liquidazione dei sinistri di RAS nella società RasService. Al riguardo, relativamente a quanto previsto al punto 4. del citato accordo, Vi confermiamo che qualora l'eventuale capacità di ricollocazione mediante assorbimento nel normale processo produttivo non risultasse sufficiente, RAS compatibilmente con gli impegni da essa eventualmente assunti nei confronti di terzi - si dichiara disponibile a valutare la possibilità di un rientro da RasService di attività funzionali a tale scopo. 151 Avv. Giuseppe Farenga amo ’azienda e ddii rramo rasferimento dd’azienda T Trasferimento N ozione, ddiritt iritti ei llavoratori avoratori cceduti eduti,i, iinformative nformative ti ddei Nozione, ssindacali, indacali, ccessione essione ddel el ccontrol ontrollloo aazionario zionario Il trasferimento d'azienda è regolato dall'articolo 2112 del codice civile e dall'articolo 47 della legge 428 del 1990 (attuazione della direttiva comunitaria dei 14 febbraio 1977, n. 77/187), così come modificati dal Decreto Legislativo n. 18 del 2 febbraio 2001, in attuazione alla Direttiva 98/50 Ce (di modifica della Direttiva 77/187/Cee) e dal Decreto Legislativo 276/2003. CAMPO DI APPLICAZIONE Nozione di trasferimento d’azienda e ramo d’azienda Attività economiche senza scopo di lucro E’ importante ricordare che, secondo il nuovo art. 2112 c.c. novellato dal Decreto Legislativo 18/2001 e dal Decreto Legislativo 276/2003, si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento e' attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. Con la normativa del Decreto Legislativo n. 18 del 2 febbraio 2001 si è avuto un chiarimento riguardo la nozione di trasferimento d’azienda e trasferimento di ramo d’azienda, chiarimento imposto da esigenze di trasparenza e sicurezza. La vecchia norma, secondo l’interpretazione prevalente nella giurisprudenza italiana, dava centralità all’elemento oggettivo dell’azienda, inteso come complesso di beni destinati all’esercizio dell’impresa e autonomamente suscettibile di costituire idoneo e compiuto strumento di impresa. Allo stesso proposito, invece, la Corte di Giustizia ha, costantemente, ribadito la necessità che l’oggetto della cessione sia comunque una entità economica organizzata in modo stabile e, quindi, un complesso organizzato di persone e di elementi che consentono l’esercizio di una attività economica, finalizzata al 153 perseguimento di un determinato obbiettivo; la Corte, inoltre, ha precisato che il rilievo degli elementi patrimoniali, materiali o immateriali andava valutato in relazione al tipo di attività o di settore economico o, addirittura, in funzione dei metodi di produzione dell’impresa in questione; per quelle attività che si fondavano essenzialmente sulla manodopera, anche un gruppo di lavoratori che assolvesse stabilmente una attività comune, poteva corrispondere ad una entità economica. Tale prospettiva ha trovato conferma nella direttiva n. 98/50 e, successivamente, nel decreto legislativo 18/2001 che, peraltro, da anche ingresso nel diritto positivo al concetto di ramo d’azienda, frutto sino ad ora di creazione giurisprudenziale e dottrinale; il decreto in questione ha, peraltro, chiarito che il ramo d’azienda deve avere una propria identità preesistente al trasferimento. D'ora in poi, con la modifica del comma quinto articolo 2112 del Codice civile da parte dell’art. 32 del Decreto Legislativo 10/12/2003 n° 276 saranno l'impresa che cede e quella che rileva a definire se quello venduto si configura come un ramo di impresa al momento della stipula del contratto. (vedi in materia di requisito della preesistenza nella dottrina Martino, Alleva, De Felice e Fierro) DIRITTI DEI LAVORATORI Prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario Garanzia per i crediti Garanzia contro il licenziamento L’articolo 2112 – 1° comma - del codice civile prevede, in primo luogo, che in tutte le ipotesi di trasferimento d'azienda i contratti di lavoro esistenti proseguono con il cessionario ed i dipendenti mantengono tutti i diritti esistenti al momento del trasferimento. Si tratta di una cessione del contratto che non richiede alcun atto specifico (ad esempio una lettera di assunzione del nuovo datore di lavoro), trattandosi di un effetto legale che deriva dal realizzarsi della fattispecie. Ulteriore conseguenza è che il trasferimento d'azienda non può costituire mai un giustificato motivo di licenziamento. Il "subentrante" oltre l'azienda acquista tutti i crediti che il lavoratore vanta al momento del passaggio. L’articolo 2112 c.c. – 2° comma - stabilisce, a garanzia dei lavoratori trasferiti, la responsabilità solidale del cedente e del cessionario per tutti i crediti vantati dai dipendenti al momento del trasferimento d'azienda. Il cedente può essere liberato da tale responsabilità, ma tale rinuncia da parte dei lavoratori deve essere sottoscritta in una delle sedi «pubbliche» ovvero in sede sindacale, avanti 154 alla Commissione di conciliazione nell'ambito della Direzione provinciale del lavoro o, in seguito a una controversia giudiziale, di fronte al giudice. Lo stesso nuovo art. 2112 c.c. – 4° comma - specifica che il trasferimento della proprietà aziendale (azienda che occupa più di 15 dipendenti) non costituisce di per se motivo di licenziamento. Il datore di lavoro deve, invece, provare l'esistenza di altre ragioni inerenti l'attività produttiva, l'organizzazione del lavoro ed il regolare funzionamento di essa. Inoltre, lo stesso 4° comma, stabilisce anche che il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma: Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto: • prima della scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato (Il lavoratore potrà agire per il risarcimento commisurato al mancato guadagno fino alla scadenza del termine); • senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato (con diritto a percepire l’indennità sostitutiva di preavviso). Il concetto di sostanziale modifica delle condizioni di lavoro nasce in esperienze giuridiche di altri paesi ove manca una disciplina inderogabile delle mansioni. In Italia, laddove esistono norme esplicite (art. 2103 c.c.) in materia di immodificabilità in pejus delle mansioni, non sembra possa farsi riferimento - a violazioni da parte del nuovo datore di lavoro – di norme inderogabili di legge o di contratto collettivo; gli interpreti, pertanto, dovranno elaborare una nozione di modifica sostanziale delle condizioni di lavoro che tenga conto di elementi interessanti quali, ad esempio, le aspettative professionali del lavoratore. CONTRATTI APPLICABILI DOPO IL TRASFERIMENTO L’articolo 2112 c.c. - 3° comma - stabilisce Il cessionario e' tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello. Rispetto alla vecchia normativa viene ora precisato che i trattamenti sono quelli previsti dai “contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali “ ma, soprattutto, si aggiunge la previsione che “l’effetto di sostituzione si produce esclusivamente tra contratti collettivi di medesimo livello. Per anni, infatti, si sono contrapposte due tesi: l’opinione che tendeva ad affermare l’automatico ed integrale effetto sostitutivo, anche immediato, delle regole collettive comunque vigenti presso il nuovo imprenditore e quella che, 155 invece, riconduceva il termine “contratti collettivi applicabili” a coerenza con le regole del sistema sindacale privatistico, pretendendo, quindi, un collegamento negoziale con la collettività dei lavoratori interessati al trasferimento individuato, soprattutto, nella possibilità di stipulazione – in sede di procedura – di accordi collettivi “di ingresso” o di “armonizzazione”. Dal momento che, generalmente, le imprese cessionarie mirano a sottrarsi ai trattamenti collettivi aziendali vigenti nella precedente realtà aziendale, la nuova previsione dovrebbe incentivare la ricerca di accordi di armonizzazione o di ingresso in sede di procedura sindacale. Aziende obbligate PROCEDURA DI INFORMAZIONE/ CONSULTAZIONE Termine per la comunicazione Soggetti sindacali interessati Condotta antisindacale L’articolo 47 della legge 428/90, al primo comma, disciplina la procedura di comunicazione e consultazione sindacale. Secondo tale norma, qualora si intenda effettuare, ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d'azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d'azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato. L'informazione - stabilisce la norma - deve riguardare: a) la data o la data proposta del trasferimento; b) i motivi del programmato trasferimento d'azienda; c) le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; 156 d) le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. Secondo il 2° comma dell’articolo 47 della legge 428/90 su richiesta scritta delle rappresentanze sindacali o dei sindacati di categoria, comunicata entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 1, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta, un esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti, sopra evidenziati, costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 300/1970. Lo stesso articolo prevede che gli obblighi di informazione e di esame congiunto devono essere assolti anche nel caso in cui la decisione relativa al trasferimento sia stata assunta da altra impresa controllante. La mancata trasmissione da parte di quest’ultima delle informazioni necessarie non giustifica l’inadempimento dei predetti obblighi. Riguardo il termine dei 25 giorni precedenti il trasferimento, si era innestato un ampio dibattito rispetto al tipo di atto cui fare riferimento. La norma attuale si esprime con decisione: lo spazio temporale per la procedura sindacale deve essere di almeno 25 giorni “prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta una intesa vincolante fra le parti, se precedente.” La norma sembra essere coerente con la ratio dell’obbligo procedurale: se al contropotere collettivo delle R.S.A. deve essere data la possibilità di influire sulla vicenda (influenzandola nei suoi sviluppi o al limite opponendosi ad essa nei limiti della propria capacità di conflitto) è del tutto conseguente che la fase di consultazione debba svolgersi a giochi ancora aperti, quando l’imprenditore cedente non sia ormai vincolato. D’altra parte, anche in questo caso, il cedente ed il cessionario sono liberi di sviluppare – in piena riservatezza – i contorni dell’operazione, purché fino a procedura sindacale espletata l’imprenditore cedente non assuma un obbligo vincolante alla cessione. Riguardo la violazione delle procedure e delle conseguenze in termini dell’applicazione dell’art. 38 legge 300/70, il precedente testo dell’art. 47 della legge 428/90 sanzionava espressamente come condotta antisindacale il mancato rispetto dell’obbligo di esame congiunto, mentre restava il dubbio se la stessa sorte potesse toccare alla violazione del preventivo obbligo di informazione. La nuova norma prevede espressamente che il mancato rispetto del dovere di comunicazione e dell’esame congiunto costituisce condotta antisindacale. Inoltre, gli stessi obblighi di informazione e di esame congiunto devono essere assolti dal datore di lavoro anche quando la decisione relativa al trasferimento sia assunta dall’impresa controllante e la mancata trasmissione da parte di 157 quest’ultima delle informazioni necessarie non può essere assunta a giustificazione dell’inadempimento procedurale. Cessione di pacchetto azionario La cessione di un pacchetto azionario non è invece riconosciuta come trasferimento non tanto perché l’art. 2112 c.c. non lo nomina quanto perché la giurisprudenza ha avuto occasione di sancire l’esclusione di questa ipotesi dal novero delle «operazioni» che configurano un trasferimento. L’argomentazione addotta per l’esclusione si fonda sulla considerazione che la cessione di un pacchetto azionario non cambia la persona giuridica ma soltanto la composizione interna della medesima. Ciò è dimostrabile dal raffronto di un contratto di cessione di azioni con tutti gli altri negozi giuridici che provocano un mutamento della persona giuridica. Per capirci, intesa in questo senso, è trasferimento d’azienda quando all’ingresso dell’ufficio e/o dello stabilimento si procede alla sostituzione dell’insegna indicante la ditta; non è trasferimento lo scambio quotidiano di azioni in borsa. L’argomentazione è formalmente ineccepibile. Lo è anche sostanzialmente allorché si osservi che la cessione di un pacchetto azionario non implica – necessariamente – neanche una modificazione della titolarità “sostanziale”. Se infatti fosse vero il contrario, portato alle sue estreme conseguenze, si dovrebbe parlare di trasferimento d’azienda anche quando un piccolo risparmiatore ordini alla banca di riferimento di cedere le proprie quote azionarie. Tuttavia, all’estremo opposto della casistica vi è il caso in cui la cessione di un pacchetto azionario di maggioranza (assoluta o relativa) produce un chiaro ed evidente «mutamento nella titolarità di un’attività economica organizzata» che, peraltro, non risulta solo dalla percezione sociale ma costituisce il risultato di una «operazione» finanziaria-industriale giuridicamente rilevante. Qui siamo di fronte non solo ad una ipotesi effettuale di cessione di una posizione giuridica attiva e passiva (qual è la titolarità di una quota azionaria) ma, soprattutto, ad una operazione giuridica che produce un mutamento nella titolarità. Il punto di fondo è che, se anche si trattasse di un mutamento sostanziale, la conservazione formale della stessa persona giuridica implica la non mutazione della sfera giuridica dei rapporti di lavoro ivi costituiti rispetto ai quali, dunque, la cessione/modificazione del capitale azionario è tanquam non esset. Ciò non toglie che quella modifica azionaria possa produrre effetti modificativi sulla dinamica dei rapporti di lavoro; ma ciò sarebbe un evento ulteriore e – in ogni caso – estraneo alla fattispecie. 158 dr. Fulvio Caldini, Q uadro ssinot inottiico co Quadro Trasferimento d'Azienda nella sua generalità QUALSIASI OPERAZIONE CHE, IN SEGUITO A CESSIONE CONTRATTUALE O FUSIONE, COMPORTI IL MUTAMENTO NELLA TITOLARITÀ DI UN'ATTIVITÀ ECONOMICA ORGANIZZATA, CON O SENZA SCOPO DI LUCRO, PREESISTENTE AL TRASFERIMENTO E CHE CONSERVA NEL TRASFERIMENTO LA PROPRIA IDENTITÀ A PRESCINDERE DALLA TIPOLOGIA NEGOZIALE O DAL PROVVEDIMENTO SULLA BASE DEL QUALE IL TRASFERIMENTO E' ATTUATO IVI COMPRESI L'USUFRUTTO O L'AFFITTO DI AZIENDA. Azienda ell''Azienda arte ddel to ddii pparte rasferimen T ennto Trasferime IL REQUISITO DELL'AUTONOMIA FUNZIONALE E PRODUTTIVA DEL RAMO D'AZIENDA DA TRASFERIRE SI DETERMINA AL " MOMENTO DEL TRASFERIMENTO" I TITOLARI DELLA INDIVIDUAZIONE DELL'AUTONOMIA FUNZIONALE DEL RAMO D'IMPRESA TRASFERIRE SONO IL "CEDENTE E IL CESSIONARIO" 159 Diritti dei lavoratori trasferiti (art.2112 c.c.) il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento il trasferimento d'azienda non costituisce di per se motivo di licenziamento Risoluzione del rapporto di lavoro (Dimissioni del lavoratore) Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119 c.c.,primo comma (Recesso per giusta causa: prima della scadenza del termine se il contratto è a tempo determinato, senza preavviso se il contratto è a tempo indeterminato) 160 CCNL applicabili dopo il trasferimento Il cessionario e' tenuto ad applicare: I trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello. Art. 47 legge 428/90 Cosa devono fare cedente e cessionario (nel trasferimento d'azienda o di una parte in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori)) CEDENTE E CESSIONARIO devono Darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l'atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un'intesa vincolante tra le parti alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, 161 n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l'obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell'associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato Art. 47 legge 428/90 L’informazione deve riguardare: la data o la data proposta del trasferimento; i motivi del programmato trasferimento d'azienda; le sue conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori; le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. 162 ART. 47 legge 428/90 cosa devono fare le R.S.A. Richiedere per iscritto, entro sette giorni dal ricevimento della comunicazione un esame congiunto che il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare, entro sette giorni dal ricevimento della predetta richiesta. La consultazione si intende esaurita qualora, decorsi dieci giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo. Il mancato rispetto, da parte del cedente o del cessionario, degli obblighi previsti, sopra evidenziati,costituisce condotta antisindacale ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300. 163