Francesco d’Assisi
Figlio di un mercante di panni, Francesco d’Assisi fece
una scelta di povertà:
«Francesco pertanto balza in piedi, fa il segno della
croce, appronta un cavallo, monta in sella e, portando con
sé panni di scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi,
secondo la sua abitudine, vende tutta la merce, e, con un
colpo di fortuna, perfino il cavallo! Sul cammino del
ritorno, libero da ogni peso, pensa all’opera cui destinare
quel denaro.»
Tommaso da Celano Vita beati Francisci, I, 4, 8
Regola non bollata
 VII: Si guardino i frati, ovunque saranno, negli eremi o in altri
luoghi, di non appropriarsi di alcun luogo né lo contendano ad
alcuno. E chiunque verrà da essi, amico o nemico, ladro o
brigante, sia ricevuto con bontà.
 IX: Tutti i frati cerchino di seguire l’umiltà e la povertà del
Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che nient’altro ci è
consentito di avere, di tutto il mondo, come dice l’apostolo, se
non il cibo e le vesti e di questi ci dobbiamo accontentare.
 E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto e
disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i
mendicanti lungo la strada.
 E quando sarà necessario, vadano per l’elemosina.
Regola bollata (1223)
IV: Ordino fermamente a tutti i frati che in nessun modo
ricevano denari o pecunia direttamente o per interposta
persona . Tuttavia per le necessità dei malati e per vestire
gli altri frati, i ministri soltanto e i custodi per mezzo di
amici spirituali, abbiano sollecita cura secondo i luoghi, la
circostanza, il clima delle regioni, così come sembrerà
convenire alla necessità, salvo sempre, come è stato detto,
che non ricevano in nessuna maniera denaro o pecunia.
Quo elongati (1230)
 In terzo luogo, poiché nella stessa Regola si proibisce: che i frati
non ricevano da sé o per mezzo d’altri denaro o pecunia in
qualsiasi maniera, e questo essi vogliono osservare sempre, si
vuole sapere con più sicurezza, se possono osare senza
trasgredire la Regola, di presentare a persone timorate di Dio
alcuni fedeli attraverso i quali essi soccorrano alle loro necessità,
e se a questi stessi fedeli possano con sicura coscienza ricorrere
per le stesse necessità, quando siano venuti a conoscenza che essi
hanno ricevuto denari o pecunia, ben inteso che essi non
intendono far conservare di propria autorità quel denaro o
pecunia, né esigerlo da essi sotto titolo di deposito.
Su questo punto riteniamo di dover rispondere in questo modo: se i
frati vogliono comprare una cosa necessaria, oppure pagare una
cosa già comprata, possono presentare o l’incaricato di colui dal
quale si compra la cosa, o qualche altro a coloro che vogliono fare
loro elemosina (a meno che gli stessi preferiscano fare da sé o per
mezzo di propri delegati); questi, così presentato dai frati, non è
loro incaricato, sebbene sia presentato da loro, ma piuttosto di colui
per mandato del quale ha fatto il versamento o di colui che riceve il
versamento. Lo stesso incaricato deve subito provvedere a
compiere il pagamento così che nulla rimanga presso di lui. Se poi
fosse presentato per altre necessità imminenti, può depositare
l’elemosina a lui consegnata, come lo stesso padrone, presso
qualche amico spirituale dei frati, perché per mezzo di lui venga
usata come gli sembrerà bene, per le loro necessità in luogo e
tempo opportuno. A quest’ultimo anche i frati sempre per necessità
imminenti potranno far ricorso, soprattutto se si diporta con
negligenza o non conosce le loro necessità.
In quarto luogo, poiché nella stessa Regola è detto espressamente: I
frati nulla abbiano in proprietà, né casa, né luogo, né qualsiasi altra
cosa, ed essi temono che con l’andare del tempo venga contaminata la
povertà dell’Ordine soprattutto perché alcuni hanno già affermato che
appartiene a tutto l’Ordine la proprietà in comune dei beni mobili,
venne rivolta umile supplica a noi perché riguardo a questo punto ci
degnamo di provvedere ai pericoli delle anime e alla purità di tutto
l’Ordine. Diciamo dunque che non devono avere proprietà né in
comune né individualmente, ma l’Ordine abbia l’uso degli utensili,
dei libri e degli altri beni mobili che è loro lecito avere. I frati poi ne
usino secondo sarà stabilito dal ministro generale o dai ministri
provinciali, rimanendo intatta la proprietà dei luoghi e delle case nelle
mani di coloro ai quali si sanno appartenere. Né devono vendere i
beni mobili, né commutarli fuori dell’Ordine o alienarli in qualsiasi
modo, a meno che ne abbia concesso l’autorità o il consenso al
generale o ai ministri provinciali il cardinale della Chiesa romana che
sarà governatore dell’Ordine.
La paupertas e i magistri
 Un ambiente di intellettuali di condizione
ecclesiastica, abituato all’analisi logica delle sacre
scritture e a draccordare la Legge divina all’analisi
delle leggi umane delle città e dei regni, scopriva
ora una nuova via di avvicinamento alla perfezione
cristiana nel modello esistenziale francescano. Si
trattava di un modello che, al modo di una formula
matematica, poteva tuttavia risolvere in molti modi
diversi i problemi determinati dalla accelerazione
della vita economica.

G. Todeschini, Ricchezza francescana, p. 73
 L’idea economica e politica [era] che la povertà
evangelica non solo potesse offrire un termine di
riferimento per tutta la realtà sociale, indicando
l’uso come categoria fondante delle relazioni fra
persone e ceti, ma anche che essa facilitasse il
funzionamento della macchina sociale e civica.

Todeschini, p. 83
Bonaventura
 I frati hanno il simplex usus delle cose necessarie,
cioè dispongono della loro semplice fruizione, come
un figlio minorenne che ha diritto di usare i beni
paterni senza per questo averne la proprietà.

Apologia pauperum XI, 7
Exiit qui seminat (1279)
Nella Regola di dice espressamente che “i frati non si approprino di
nulla, né della casa, né del luogo, ne di alcuna cosa”. E’ stato
dichiarato da Gregorio IX e da vari altri nostri predecessori che
questo punto deve essere osservato sia in privato che in comune.
Tale estrema rinuncia è stata denigrata velenosamente dal-l’astuzia
insensata di alcuni calunniatori. Affinché i ragionamenti di questi
ignoranti non giungano a oscurare la chiarezza della perfetta
professione degli stessi frati, dichiariamo che la rinuncia alla
proprietà di tutte le cose per Dio, tanto in privato come in comune,
è santa e meritoria, ed è stata proposta da Cristo, il quale, per
mostrarne la via, ha insegnato la perfezione con le sue parole e l’ha
confermata con i suoi esempi.
Pietro di Giovanni Olivi
 Nella nona questione sulla perfezione evangelica…
Olivi si sofferma a considerare la differenza che corre
tra oggetti necessari e oggetti superflui
 Dunque definisce la povertà volontaria come una
tecnica di uso delle cose, basata sulla conoscenza
della loro specifica utilità:
Pietro di
Giovanni Olivi,
Ci sono alcune cose di cui abbiamo bisogno spesso e
Quaestio IX de
abbondantemente, che normalmente possono essere
perfectione
evangelica, ed.
conservate e che infatti di solito vengono conservate, come
D. Burr, Firenze
nelp. caso
del pane e del vino. Poi ce ne sono altre di cui
1992,
39
abbiamo bisogno spesso e in discreta quantità, ma che però
non possono essere tenute da parte abitualmente e si
possono avere soltanto facendole crescere di continuo, come
nel caso degli ortaggi. Esistono poi cose di cui abbiamo
bisogno solo ogni tanto e anche allora in piccola quantità,
come nel caso dell’olio e dei legumi.
Ci sono poi delle cose la cui conservazione più che quella di
molte altre ha un’aria di ricchezza e anche dal punto di vista
dei laici e secondo l’uso comune contrasta con la privazione
caratteristica della povertà: è il caso della conservazione del
grano nei magazzini e del vino nelle cantine, ma non quello
della conservazione dell’olio o della legna, a meno che l’olio
non equivalga in quantità e prezzo al grano e al vino.
una cosa qualunque per rivenderla a un prezzo
maggiorato… pecchi ciò facendo mortalmente…
Rispondo dicendo che non è necessario pensare che nella
mercatura direttamente e di per sé sia incluso il peccato… che
essa in sé considerata sia lecita, si prova con tre ragioni e due
testimonianze di verità: la prima prova nasce dagli indiscutibili
vantaggi e cose necessarie che provengono alla comunità dalle
azioni del mercante… Inoltre tali mercanti espongono a molti
rischi il proprio danaro, la propria vita e anche la merce
comperata con la loro moneta. E non sono neppure certi di
riottenere il capitale dalla vendita delle merci acquistate. Non ci
riuscirebbero infatti se non fossero industriosi nel valutare
accuratamente il calore, i prezzi e gli utili.
Pietro di Giovanni Olivi, Trattato sulle vendite e sulle compere, q. VI
 Il mercato, lo scambio, il commercio, sono descritti
da Olivi come realtà totalmente sociali o, meglio,
come il modo che i laici hanno a disposizione per
contribuire secondo le loro possibilità alla
costruzione di una società cristiana.

Todeschini, p. 117
La condanna dell’usura
 E’ chiara dunque la differenza tra mercante ed
usuraio: mentre il primo è un imprenditore, che
mette a frutto il suo capitale e contribuisce così ad
accrescere il bene comune, il secondo accumula per
se e si presenta come parassita rispetto alle attività
economiche altrui.
Nuova condanna del contratto di usura
Un contratto di prestito è spesso squilibrato. Chi chiede è in
una posizione di debolezza verso chi può dare il denaro. Se
dunque il contratto che essi stipulano è tale per cui la
fortuna dell’investitore dipende dalla rovina dell’altro, tale
contratto è moralmente illecito.
Se invece il rischio sarà commisurato alle possibilità di
guadagno ed equamente ripartito tra le parti, allora si può
dire che il contratto è lecito.
Il Trecento
“Il mercato era stato presentato dai francescani come un sistema di
relazioni basato sulla fiducia e sulla credibilità reciproca. Questo
però aveva significato, già nel Trecento, che bisognava distinguere
fra chi partecipava al bene comune commerciando o scambiando e
chi sottraeva ricchezza al bene comune accumulando soltanto per sé
e per la propria famiglia. Usurai, accaparratori, ma anche quei
poveri che in nessun modo erano utili alla collettività, erano stati
individuati come estranei al popolo dei fedeli. Questa raffigurazione
del sistema sociale era andata di pari passo con l’allestimento di
grandi istituzioni come il prestito pubblico e di importanti opere di
carattere civico come ospedali, lazzaretti…”
Todeschini, p. 161
Bernardino da Siena
 Un corposo trattato in latino ‘sui contratti e sulle usure’
 Una serie di prediche in volgare pronunciate dal 1425 al 1427.

Quella di Bernardino è:
una teoria economica
 un progetto politico istituzionale
 un discorso da diffondere e propagandare

 “Adesso non si tratta più di sconfiggere semplicemente la
disonestà commerciale o la tesaurizzazione improduttiva, ma di
individuare nello specifico, fisicamente, chi, dentro e fuori della
società dei cristiani, concretizzi sistematicamente queste
tendenze. Bisogna chiarire di chi ci si può [o non ci si può]
fidare»
Todeschini, p. 167
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