Storia medievale
prof. Marco Bartoli
8. L’etica economica
Mestieri leciti e mestieri illeciti
nell’Occidente medievale
• mestieri proibiti “negotia illicita”
• occupazioni disoneste o vili “vilia officia”
I tabù delle società primitive:
il sangue (macellai, carnefici, chirurghi)
la sporcizia (tintori, cuochi, lavandai)
il denaro (mercanti, salariati, prostitute)
tabù aggiunti dal cristianesimo
lussuria (locandieri, giullari, tavernieri)
avarizia (uomini di legge)
le ragioni religiose della
condanna del commercio
• condanna di ogni forma di prestito ad
interesse, che infrange il precetto
evangelico “prestate senza nulla sperare”
(mutuum date nihil desperantes) Lc 6,35
• Il lavoro lecito è quello creativo, ad
immagine di Dio (agricoltore o artigiano) il
mercante non crea nulla [il tema della
sterilità del denaro]
Due modelli di imprenditorialità
monastica
• Cluny: tesaurizzazione dei beni di lusso, edifici
sfarzosi
• Citeaux: povertà personale dei monaci, scelte
economiche di tipo produttivo
–“Se possiedi molto grano, non trovare piacere
nell’ammassarlo nelle ceste. Chi ama ammassare vuol
diventare assassino dei poveri…
–Vendi il grano quando vale abbastanza, e non quando non
può essere comperato dai poveri. Vendi ai vicini a un
prezzo minore, anche se ti siano nemici; il nemico infatti
non lo si vince sempre con la spada, mentre spesso lo si
sconfigge essendogli utili”
[Ps. Bernardo, Raymundo domino castri Ambruosii, PL 182, ep. 146]
J. Le Goff,
mestieri leciti e
mestieri illeciti
nell’Occidente
medievale, in
Tempo della
Chiesa e tempo
del mercante,
Torino 1977, p.
59
La rivoluzione tra XI e XIII
secolo
Tra XI e XIII secolo nell’Occidente cristiano
avviene una rivoluzione economica e sociale, di
cui lo sviluppo urbano è il sintomo più lampante, e
la divisione del lavoro l’aspetto più importante.
Nuovi mestieri nascono o si sviluppano, nuove
categorie professionali appaiono o prendono
corpo, gruppi socio-professionali nuovi, forti del
loro numero, del loro ruolo, reclamano e
conquistano una stima, ossia un prestigio adeguati
alla loro forza. Essi vogliono essere considerati e
ci riescono. Il tempo del disprezzo è finito.
Dalla “superbia” alla “aviditas”
Se un creditore non ha prestato denaro con l’intenzione
di ricevere in restituzione qualcosa oltre il capitale
prestato, potrà ricevere legittimamente qualunque cosa
il debitore voglia elargirgli come ringraziamento. Ma se
invece la sua intenzione, anche implicita, era quella di
ottenere in restituzione qualcosa di più del capitale,
allora lo chiamiamo usuraio se riceve questo qualcosa in
più, e soprattutto se lo esige, perché è da questa
passione per il guadagno a dare il nome al suo mestiere.
Simone di Bisignano, Summa, attorno al 1178
Il commerciante è usuraio?
Ci si può chiedere se i mercanti che
comprano a poco con l’intenzione di
vendere a molto debbano essere chiamati
usurai, e si deve concludere per il no, dal
momento che il loro mestiere è di rendere
migliori le cose commerciate o comunque di
occuparsene dandosi da fare con impegno e
fatica, sì che è loro consentito di
commerciare.
Simone di Bisignano, Summa, attorno al 1178
Il tempo di Dio
• Se io ti presto 100 non posso chiederti tra
un mese 110, perché, così facendo ti avrei
venduto il tempo trascorso. Ora, siccome il
tempo non è né mio né tuo, ma di Dio,
nessuno può venderlo.
• In questo senso il dibattito sull’usura si
colloca in quel più generale passaggio dal
“tempo della chiesa” al “tempo del
mercante”
Cfr. J. Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del
mercante,
La restituzione:
il caso delle prostitute
•Tommaso di Cobham, Manuale di Confessione
(inizio XIII sec.)
Le prostitute devono essere annoverate tra i mercenari.
Esse infatti affittano il loro corpo e forniscono un lavoro…
Di qui questo principio della giustizia secolare: in quanto
prostituta agisce male, ma non agisce male ricavando il
prezzo del suo lavoro, essendo ammesso che sia una
prostituta. Perciò ci si può pentire di prostituirsi, e
nondimeno è possibile conservare i guadagni della
prostituzione per darli in elemosina. Ma se ci si prostituisce
per piacere e se si affitta il proprio corpo perché conosca il
godimento, allora non si affitta il proprio lavoro, e il
guadagno è vergognoso quanto l’atto.
Allo stesso modo se la prostituta si profuma e si
orna in modo da attirare con false attrattive e fa
intuire una bellezza e lusinghe che non
possiede, dal momento che il cliente compra
ciò che vede e che, in questo caso, è
menzogna, la prostituta commette con ciò un
peccato e non deve conservare il guadagno
che ne ritrae. Se infatti il cliente la vedesse
come ella è veramente non le darebbe che un
obolo, ma, siccome gli pare bella e brillante, le
da un denaro. In questo caso deve conservare
solo un obolo e restituire il resto al cliente che
ha ingannato, o alla chiesa, o ai poveri”.
Francesco d’Assisi
Figlio di un mercante di panni, Francesco
d’Assisi fece una scelta di povertà:
«Francesco pertanto balza in piedi, fa il segno della
croce, appronta un cavallo, monta in sella e, portando
con sé panni di scarlatto, parte veloce per Foligno. Ivi,
secondo la sua abitudine, vende tutta la merce, e, con un
colpo di fortuna, perfino il cavallo! Sul cammino del
ritorno, libero da ogni peso, pensa all’opera cui
destinare quel denaro.»
Tommaso da Celano Vita beati Francisci, I, 4, 8
Regola non bollata
• VII: Si guardino i frati, ovunque saranno, negli eremi o in altri
luoghi, di non appropriarsi di alcun luogo né lo contendano ad
alcuno. E chiunque verrà da essi, amico o nemico, ladro o
brigante, sia ricevuto con bontà.
• IX: Tutti i frati cerchino di seguire l’umiltà e la povertà del
Signore nostro Gesù Cristo, e si ricordino che nient’altro ci è
consentito di avere, di tutto il mondo, come dice l’apostolo, se
non il cibo e le vesti e di questi ci dobbiamo accontentare.
• E devono essere lieti quando vivono tra persone di poco conto
e disprezzate, tra poveri e deboli, tra infermi e lebbrosi e tra i
mendicanti lungo la strada.
• E quando sarà necessario, vadano per l’elemosina.
Regola bollata (1223)
IV: Ordino fermamente a tutti i frati che in
nessun modo ricevano denari o pecunia
direttamente o per interposta persona . Tuttavia
per le necessità dei malati e per vestire gli altri
frati, i ministri soltanto e i custodi per mezzo di
amici spirituali, abbiano sollecita cura secondo i
luoghi, la circostanza, il clima delle regioni, così
come sembrerà convenire alla necessità, salvo
sempre, come è stato detto, che non ricevano in
nessuna maniera denaro o pecunia.
Quo elongati (1230)
• In terzo luogo, poiché nella stessa Regola si proibisce: che i
frati non ricevano da sé o per mezzo d’altri denaro o pecunia
in qualsiasi maniera, e questo essi vogliono osservare sempre,
si vuole sapere con più sicurezza, se possono osare senza
trasgredire la Regola, di presentare a persone timorate di Dio
alcuni fedeli attraverso i quali essi soccorrano alle loro
necessità, e se a questi stessi fedeli possano con sicura
coscienza ricorrere per le stesse necessità, quando siano venuti
a conoscenza che essi hanno ricevuto denari o pecunia, ben
inteso che essi non intendono far conservare di propria autorità
quel denaro o pecunia, né esigerlo da essi sotto titolo di
deposito.
Su questo punto riteniamo di dover rispondere in questo modo: se i
frati vogliono comprare una cosa necessaria, oppure pagare una
cosa già comprata, possono presentare o l’incaricato di colui dal
quale si compra la cosa, o qualche altro a coloro che vogliono fare
loro elemosina (a meno che gli stessi preferiscano fare da sé o per
mezzo di propri delegati); questi, così presentato dai frati, non è
loro incaricato, sebbene sia presentato da loro, ma piuttosto di colui
per mandato del quale ha fatto il versamento o di colui che riceve il
versamento. Lo stesso incaricato deve subito provvedere a
compiere il pagamento così che nulla rimanga presso di lui. Se poi
fosse presentato per altre necessità imminenti, può depositare
l’elemosina a lui consegnata, come lo stesso padrone, presso
qualche amico spirituale dei frati, perché per mezzo di lui venga
usata come gli sembrerà bene, per le loro necessità in luogo e
tempo opportuno. A quest’ultimo anche i frati sempre per necessità
imminenti potranno far ricorso, soprattutto se si diporta con
negligenza o non conosce le loro necessità.
In quarto luogo, poiché nella stessa Regola è detto espressamente: I
frati nulla abbiano in proprietà, né casa, né luogo, né qualsiasi altra
cosa, ed essi temono che con l’andare del tempo venga contaminata la
povertà dell’Ordine soprattutto perché alcuni hanno già affermato che
appartiene a tutto l’Ordine la proprietà in comune dei beni mobili,
venne rivolta umile supplica a noi perché riguardo a questo punto ci
degnamo di provvedere ai pericoli delle anime e alla purità di tutto
l’Ordine. Diciamo dunque che non devono avere proprietà né in
comune né individualmente, ma l’Ordine abbia l’uso degli utensili,
dei libri e degli altri beni mobili che è loro lecito avere. I frati poi ne
usino secondo sarà stabilito dal ministro generale o dai ministri
provinciali, rimanendo intatta la proprietà dei luoghi e delle case nelle
mani di coloro ai quali si sanno appartenere. Né devono vendere i
beni mobili, né commutarli fuori dell’Ordine o alienarli in qualsiasi
modo, a meno che ne abbia concesso l’autorità o il consenso al
generale o ai ministri provinciali il cardinale della Chiesa romana che
sarà governatore dell’Ordine.
La paupertas e i magistri
• Un ambiente di intellettuali di condizione
ecclesiastica, abituato all’analisi logica delle
sacre scritture e a draccordare la Legge divina
all’analisi delle leggi umane delle città e dei
regni, scopriva ora una nuova via di
avvicinamento alla perfezione cristiana nel
modello esistenziale francescano. Si trattava di
un modello che, al modo di una formula
matematica, poteva tuttavia risolvere in molti
modi diversi i problemi determinati dalla
accelerazione della vita economica.
– G. Todeschini, Ricchezza francescana, p. 73
• L’idea economica e politica [era] che la
povertà evangelica non solo potesse
offrire un termine di riferimento per tutta la
realtà sociale, indicando l’uso come
categoria fondante delle relazioni fra
persone e ceti, ma anche che essa
facilitasse il funzionamento della macchina
sociale e civica.
• Todeschini, p. 83
Bonaventura
• I frati hanno il simplex usus delle cose
necessarie, cioè dispongono della loro
semplice fruizione, come un figlio
minorenne che ha diritto di usare i beni
paterni senza per questo averne la
proprietà.
– Apologia pauperum XI, 7
Exiit qui seminat (1279)
Nella Regola di dice espressamente che “i frati non si approprino
di nulla, né della casa, né del luogo, ne di alcuna cosa”. E’ stato
dichiarato da Gregorio IX e da vari altri nostri predecessori che
questo punto deve essere osservato sia in privato che in comune.
Tale estrema rinuncia è stata denigrata velenosamente dall’astuzia insensata di alcuni calunniatori. Affinché i ragionamenti
di questi ignoranti non giungano a oscurare la chiarezza della
perfetta professione degli stessi frati, dichiariamo che la rinuncia
alla proprietà di tutte le cose per Dio, tanto in privato come in
comune, è santa e meritoria, ed è stata proposta da Cristo, il
quale, per mostrarne la via, ha insegnato la perfezione con le sue
parole e l’ha confermata con i suoi esempi.
Pietro di Giovanni Olivi
• Nella nona questione sulla perfezione
evangelica… Olivi si sofferma a
considerare la differenza che corre tra
oggetti necessari e oggetti superflui
• Dunque definisce la povertà volontaria
come una tecnica di uso delle cose,
basata sulla conoscenza della loro
specifica utilità:
Pietro di
Giovanni Olivi,
Ci sono alcune cose di cui abbiamo bisogno spesso e
Quaestio IX de
abbondantemente, che normalmente possono essere
perfectione
evangelica, ed.
conservate e che infatti di solito vengono conservate, come
D. Burr, Firenze
nelp. caso
del pane e del vino. Poi ce ne sono altre di cui
1992,
39
abbiamo bisogno spesso e in discreta quantità, ma che però
non possono essere tenute da parte abitualmente e si
possono avere soltanto facendole crescere di continuo,
come nel caso degli ortaggi. Esistono poi cose di cui
abbiamo bisogno solo ogni tanto e anche allora in piccola
quantità, come nel caso dell’olio e dei legumi.
Ci sono poi delle cose la cui conservazione più che quella di
molte altre ha un’aria di ricchezza e anche dal punto di vista
dei laici e secondo l’uso comune contrasta con la privazione
caratteristica della povertà: è il caso della conservazione del
grano nei magazzini e del vino nelle cantine, ma non quello
della conservazione dell’olio o della legna, a meno che l’olio
non equivalga in quantità e prezzo al grano e al vino.
Nella sesta questione si domanda se chi compra
una cosa qualunque per rivenderla a un prezzo
maggiorato… pecchi ciò facendo mortalmente…
Rispondo dicendo che non è necessario pensare che nella
mercatura direttamente e di per sé sia incluso il peccato… che
essa in sé considerata sia lecita, si prova con tre ragioni e due
testimonianze di verità: la prima prova nasce dagli indiscutibili
vantaggi e cose necessarie che provengono alla comunità dalle
azioni del mercante… Inoltre tali mercanti espongono a molti
rischi il proprio danaro, la propria vita e anche la merce
comperata con la loro moneta. E non sono neppure certi di
riottenere il capitale dalla vendita delle merci acquistate. Non ci
riuscirebbero infatti se non fossero industriosi nel valutare
accuratamente il calore, i prezzi e gli utili.
Pietro di Giovanni Olivi, Trattato sulle vendite e sulle compere, q. VI
• Il mercato, lo scambio, il commercio, sono
descritti da Olivi come realtà totalmente
sociali o, meglio, come il modo che i laici
hanno a disposizione per contribuire
secondo le loro possibilità alla costruzione
di una società cristiana.
– Todeschini, p. 117
La condanna dell’usura
• E’ chiara dunque la differenza tra
mercante ed usuraio: mentre il primo è un
imprenditore, che mette a frutto il suo
capitale e contribuisce così ad accrescere
il bene comune, il secondo accumula per
se e si presenta come parassita rispetto
alle attività economiche altrui.
Nuova condanna del contratto di usura
Un contratto di prestito è spesso squilibrato. Chi
chiede è in una posizione di debolezza verso chi
può dare il denaro. Se dunque il contratto che
essi stipulano è tale per cui la fortuna
dell’investitore dipende dalla rovina dell’altro,
tale contratto è moralmente illecito.
Se invece il rischio sarà commisurato alle
possibilità di guadagno ed equamente ripartito
tra le parti, allora si può dire che il contratto è
lecito.
Il Trecento
“Il mercato era stato presentato dai francescani come un sistema
di relazioni basato sulla fiducia e sulla credibilità reciproca.
Questo però aveva significato, già nel Trecento, che bisognava
distinguere fra chi partecipava al bene comune commerciando o
scambiando e chi sottraeva ricchezza al bene comune
accumulando soltanto per sé e per la propria famiglia. Usurai,
accaparratori, ma anche quei poveri che in nessun modo erano
utili alla collettività, erano stati individuati come estranei al
popolo dei fedeli. Questa raffigurazione del sistema sociale era
andata di pari passo con l’allestimento di grandi istituzioni come
il prestito pubblico e di importanti opere di carattere civico come
ospedali, lazzaretti…”
Todeschini, p. 161
Bernardino da Siena
• Un corposo trattato in latino ‘sui contratti e sulle usure’
• Una serie di prediche in volgare pronunciate dal 1425 al 1427.
– Quella di Bernardino è:
• una teoria economica
• un progetto politico istituzionale
• un discorso da diffondere e propagandare
• “Adesso non si tratta più di sconfiggere semplicemente la
disonestà commerciale o la tesaurizzazione improduttiva, ma di
individuare nello specifico, fisicamente, chi, dentro e fuori della
società dei cristiani, concretizzi sistematicamente queste
tendenze. Bisogna chiarire di chi ci si può [o non ci si può]
fidare»
Todeschini, p. 167
Scarica

Storia medievale - 8. l`etica economica.